Untitled - Società Italiana per la Ricerca nel Diritto Comparato
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Metodologia della comparazione Lo studio dei sistemi giudiziari nel contesto euro-americano a cura di Lucio Pegoraro, silvia bagni e GIORGIA PAVANI La to sto ca pubblicazione è stata realizzata con il contributo del Fondo CUIA 2014 attribuito al proget“Organizzazione dei poteri, ruolo dei giudici, apprendimento della metodologia nel conteeuro-americano”, coordinato dal prof. Lucio Pegoraro e gestito dal Centro studi sull’Amerilatina del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Bologna ISBN 978-88-95922-54-6 © Copyright 2014 Filodiritto Editore filodirittoeditore.com inFOROmatica S.r.l., Via Castiglione, 81, 40124 Bologna inforomatica.it tel. 051 9843125 - fax 051 9843529 - [email protected] ottobre 2014 La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i film, i microfilm, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15 % di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie utilizzate per finalità di carattere professioniale, economico o commerciale, o comunque per esigenze diverse da quella personale, potranno essere effettuate solo a seguito di espressa autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazione per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana, 108 - 20122 Milano. e-mail: [email protected], sito web: www.clearedi.org © Filodiritto Editore SOMMARIO PRESENTAZIONE 5 a cura del Cuia PREFAZIONE 7 Lucio Pegoraro Trasplantes, injertos, diálogos. Jurisprudencia y doctrina frente a los retos del derecho comparado 9 Lucio Pegoraro Dialogo è comparazione? Saggio sul giudice “costituzionalista comparatista” nella prospettiva del metodo Michele Carducci 35 Dalla catena alla bilancia84 Claudio Luzzati Diálogo jurisprudencial entre tribunales supranacionales y domésticos: lineamientos y desafíos a la luz de la experiencia en el caso argentino María Sofía Sagüés 96 Amicus curiae, justicia constitucional y derecho internacional de los derechos humanos Víctor Bazán 131 Las lenguas del derecho Barbara Pozzo 149 Au-delà des «modèles» de justice constitutionnelle, pour un comparatisme pragmatiste Guillaume Tusseau 160 Organizzazione e funzionamento della giustizia ordinaria Carlo Guarnieri 176 4 © Filodiritto Editore PRESENTAZIONE a cura del CUIA Il CUIA è il Consorzio Interuniversitario Italiano per l'Argentina, promosso dall'Università degli Studi di Camerino sulla base di un accordo di rete con il Consejo Interuniversitario Nacional dell’Argentina (CIN, che raggruppa le Università pubbliche) e sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) della Repubblica Italiana. Nasce nel 2004 tra 14 Università italiane e ad oggi il CUIA conta l’adesione di 27 Università pubbliche italiane, mentre a partire dal 2011 è stata formalizzata la collaborazione anche con le Università private argentine, attraverso la firma di un protocollo d’intesa con il Consejo de Rectores de Universidades Privadas (CRUP). I principali compiti istituzionali del CUIA sono i seguenti: promuovere e sostenere progetti di cooperazione interuniversitaria tra le università italiane ed argentine; promuovere e sostenere la mobilità sia tra gli studenti italiani ed argentini sia tra il personale docente ed amministrativo; favorire il riconoscimento reciproco dei titoli di studio nei vari livelli, rilasciati dalle università italiane e argentine, in accordo con le autorità accademiche e governative dei due Stati, attraverso sia l’utilizzo del sistema dei crediti formativi sia il rilascio di titoli congiunti; costituire una banca dati sulle iniziative di cooperazione nel campo della ricerca e dell’alta formazione tra Università italiane ed argentine; studiare forme di applicazione e di sviluppo dell’e-learning e delle teleconferenze come strumenti essenziali di supporto alle forme tradizionali della didattica. Da anni il CUIA sovvenziona progetti di ricerca interuniversitari, borse di studio per dottorati di ricerca e corsi intensivi interuniversitari, nonché organizza ogni anno le Giornate in Argentina al fine di promuovere ulteriormente il partenariato universitario italo-argentino già consolidato, ma sempre aperto a nuove collaborazioni nell’ambito della ricerca e della didattica d’eccellenza. Le attività del CUIA si svolgono nell’ambito delle proprie Scuole di Studi Superiori, in cui si è organizzato e che corrispondono alle seguenti macro-aree disciplinari strategiche: Studi europei ed integrazione regionale; Patrimonio culturale; Scienze e tecnologie; Bioscienze e biotecnologie. Il progetto di ricerca dell’Università degli studi di Bologna (coordinatore Lucio Pegoraro) concerne la costituzione di una Rete Italo-Argentina sul tema “Organizzazione sovranazionale dei poteri, ruolo dei giudici, apprendimento della metodologia della comparazione nel contesto euro-americano”. Mobilità studiosi ed operatori giuridici argentini all’interno del Curso de Verano en “Metodología de la comparación: aspectos teóricos y prácticos en el estudio de los sistemas de organización judicial nacionales e internacionales”. La ricerca mira a creare una Rete di rapporti italo-argentini per la formazione permanente degli operatori giuridici sulla metodologia della comparazione con particolare riferimento al ruolo del giudice nei processi di riorganizzazione sovranazionale dei poteri pubblici, a partire dalle integrazioni regionali. Il tema interessa una vasta gamma di operatori giuridici chiamati, oggi più che mai, a confrontarsi con il diritto e la cultura di utenti, clienti, partner provenienti da altri Paesi. La ricerca si inserisce nella macro-area disciplinare “Studi europei ed integrazione regionale” proponendo un innovativo metodo di formazione per gli operatori giuridici dell’aera euro-americana e consentendo di diffondere il messaggio di conoscenza e approfondimento delle identità e differenze tra cultura italiana e cultura argentina nello specifico ambito della metodologia della comparazione 5 © Filodiritto Editore costituzionale e del ruolo del giudice. Essa si collega inoltre alle iniziative del Centro Studi sull’America latina del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna che ha curato l’organizzazione del Curso de verano in “Metodología de la comparación: aspectos teóricos y prácticos en el estudio de los sistemas de organización judicial nacionales e internacionales”, svoltosi a Bologna dal 30 giugno al 4 luglio 2014 e al quale hanno potuto partecipare vari studiosi argentini sovvenzionati da questo progetto di ricerca. 6 © Filodiritto Editore PREFAZIONE di Lucio Pegoraro Il volume raccoglie i risultati del progetto di ricerca CUIA “Organizzazione sovranazionale dei poteri, ruolo dei giudici, apprendimento della metodologia della comparazione nel contesto euroamericano” e i contributi di alcuni docenti del Curso de Verano in “Metodología de la comparación: aspectos teóricos y prácticos en el estudio de los sistemas de organización judicial nacionales e internacionales”, organizzata dal Centro Studi sull’America Latina dell’Università di Bologna – Dipartimento di Scienze politiche e sociali, che rappresenta la parte operativa del progetto stesso. Indirizzato principalmente a un uditorio latino-americano, il progetto si proponeva (e si propone per il futuro) di associare a una parte introduttiva teorica, dedicata alla comparazione, l’approfondimento di un tema sostanziale. In questo caso, l’organizzazione giudiziaria e le tecniche di decisione giudiziale, sia nel processo ordinario che in quello costituzionale. Il libro si sviluppa coerentemente a questo schema e rispecchia, nel diverso stile dei contributi, la varietà degli approcci disciplinari e dell’impostazione didattica dei docenti del Corso. L’uso della comparazione appare, se non imprescindibile, quanto meno assai utile sia in sede scientifica, per allargare le conoscenze oltre la provincia e l’ordinamento di riferimento, sia per gestire le attività pratiche (normazione, amministrazione, risoluzione delle controversie, formulazione del diritto convenzionale). La giurisdizione è un buon banco di prova. Circolano, e si confrontano, le soluzioni organizzative, circolano le tecniche di decisione, si confrontano le “ragioni” delle motivazioni. Spesso fanno da collante alcuni principi, che si presume comuni se non universali, e vengono chiamati a supporto delle scelte. Anche per ciò la raccolta si inaugura con due scritti sul c.d. dialogo tra le corti e tra i giudici: Trasplantes, injertos, diálogos. Jurisprudencia y doctrina frente a los retos del derecho comparado (Lucio Pegoraro), e Dialogo è comparazione? Saggio sul giudice “costituzionalista comparatista” nella prospettiva del metodo, di Michele Carducci, per proseguire con il saggio, dedicato ai princìpi, di Claudio Luzzati, intitolato Dalla catena alla bilancia, il quale affronta in chiave di filosofia analitica del diritto le tematiche del ragionamento giudiziario, del sillogismo, della ponderazione come tecnica di risoluzione delle antinomie. María Sofia Sagües torna sul tema del dialogo, focalizzando la sua analisi sui rapporti tra corti sovranazionali e domestiche, con riferimento al caso argentino (Diálogo jurisprudencial entre tribunales supranacionales y domésticos: lineamientos y desafíos a la luz de la experiencia en el caso argentino). Un peculiare istituto, per così dire quasi al crocevia tra l’apporto del giudice e quello della dottrina, è rappresentato dall’amicus curiae, studiato da Victor Bazán in Amicus curiae, justicia constitucional y derecho internacional de los derechos humanos. Come spiega in alcune sue opere Guillaume Tusseau, per chiarire in chiave comparativa il ruolo della giurisdizione (nella specie, quella costituzionale) occorre valersi anche della teoria generale del diritto. Solo unendo gli sforzi è possibile offrire a scienziati e operatori il quadro corretto indispensabile per le operazioni classificatorie e le funzioni pratiche. Il suo saggio, Au-delà des «modèles» de justice constitutionnelle, pour un comparatisme pragmatiste, attesta l’esigenza di non adagiarsi negli 7 © Filodiritto Editore stereotipi tradizionali per fare ordine nelle cose: di abbandonare per ciò le classificazioni classiche, e suggerire nuovi criteri epistemologici, che siano veramente utili non solo per la conoscenza in sé, ma anche per capire cosa si può trapiantare e cosa no. Affrontare i temi della giurisdizione da un punto di vista comparativo significa cimentarsi, in più, con i problemi linguistici. A Las lenguas del derecho si rivolge dunque l’attenzione di Barbara Pozzo: il linguaggio tanti problemi provoca in ciascun diritto interno; quando si fa comparazione, essi si moltiplicano in maniera esponenziale, come ha dimostrato una letteratura sterminata, non sempre purtroppo assimilata dai giuristi “nazionali”, siano essi teorici o pratici, che amano talora convivere con le assonanze e la volgarizzazione del linguaggio giuridico. Solo l’interdisciplinarietà consente di penetrare le strutture profonde del diritto (pur nel rispetto del metodo giuridico). Anche la giurisdizione può/deve essere analizzata con categorie diverse da quelle dei giuristi: come nel saggio di Carlo Guarnieri, politologo, su Organizzazione e funzionamento della giustizia ordinaria, che analizza il ruolo del giudice, le garanzie di indipendenza, lo status di giudici e corti da prospettive diverse di quelle cui i giuristi sono abituati (ovvero, i sistemi di regole giuridiche). 8 Lucio Pegoraro © Filodiritto Editore Trasplantes, injertos, diálogos. Jurisprudencia y doctrina frente a los retos del derecho comparado di Lucio Pegoraro* Sumario: 1. Premisa. – 2. “Trasplantes”, “legal borrowing”, “migración”, “turismo legal”, “cross fertilization”, “diálogo”: estado del arte. – 3. Los formantes implicados en el diálogo: 3.1. La doctrina. – 3.2. Constituciones y leyes. – 3.3. Jueces y tribunales constitucionales. – 3.4. El diálogo inter-formantes: de la doctrina a los formantes “dinámicos” (pero sólo donde la doctrina no es formante dinámico). – 4. “Clases dúctiles” entre la imposición y el prestigio. – 5. Diálogos y monólogos: horizontalidad y verticalidad en las relaciones entre las cortes. – 6. El objeto privilegiado del diálogo: los derechos. – 7. Conclusiones: doctrina y jurisprudencia frente a la globalización del derecho. 1. Premisa Mi interrogante principal es, sí en la esfera de la jurisdicción la modalidad de circulación del derecho comparte con otros formantes – el legislativo y el doctrinal – causas justificativas, procesos y éxitos. Para tal fin, preliminarmente se aclarará el sentido de las palabras con las que algunos estudiosos definen este fenómeno, dado que el “diálogo”, como veremos, propone casi una posición paritaria entre las cortes implicadas, a veces sin tener en cuenta, quizás, que una cosa es la circulación vertical, y otra, aquella horizontal. De otra parte no hay diálogo solo de las cortes entre ellas mismas, sino también entre legisladores y cortes, entre doctrina y cortes, entre legisladores y doctrina. La fertilización recíproca puede ayudar a superar el fenómeno frecuente de la disociación entre formantes, del que habla Sacco, para quien las soluciones de los problemas jurídicos no siempre son conformes, ni tampoco los formantes mismos, como se dice, “alineados”1. Con frecuencia se señala, con relación sobretodo a la producción normativa, que los modelos circulan por imposición o por prestigio. ¿Esta dicotomía “dura” se aplica también al diálogo entre las cortes? ¿Igualmente, como he tratado de demostrar en relación con el fenómeno de “import-export” de las constituciones, se puede adoptar para la jurisdicción una lógica taxonómica débil, limando las asperezas de dos clases contrapuestas? En suma, la materia privilegiada del diálogo – los derechos – presenta características particulares? ¿O por el contrario la uniformización de un cierto modelo impositivo, alimentada por los tratados, la legislación, la doctrina y la misma jurisprudencia (la idea occidental de los “derechos humanos”), atenúa y difumina en cierto modo las problemáticas de las exportaciones y de las recepciones de lenguajes, institutos y conceptos diferentes? Catedrático de Derecho Público Comparado, Departamento de Ciencias Políticas y Sociales, Universidad de Bolonia. El texto ha sido traducido al español por N. Katherine González Piñeros (§§ 1-3-3), Sabrina Ragone (§§ 3.4-4) y Grethell Aguilar Oro (§§ 5-7). Publicado en E. Ferrer Mac-Gregor, A. Herrera García (coords), Diálogo jurisprudencial en Derechos Humanos entre Tribunales Constitucionales y Cortes Internacionales, Tirant Lo Blanch México, México, 2013, p. 33 ss. 1 R. Sacco, “Legal Formants: a Dynamic Approach to Comparative Law”, en Am. journ. comp. law, 1991, n. 39, n. 2, p. 343 ss.; Id., Introduzione al diritto comparato, 5a ed., Utet, Torino, 1992, en Id. (ed.), Trattato di Diritto comparato, p. 47 ss. Para infringir el mito de la’”univocidad de la regla”, el derecho comparado «constitue une menace por toute la science juridique» y cumple con una «fonction subversive»: H. Muir Watt, “La fonction subversive du droit comparé”, en Rev. int. dr. comp., n. 3, 2000, p. 503 ss. En este sentido A. Somma, Introducción crítica al Derecho Comparado, Ara, Lima, 42006, p. 62 ss.; Id., Introduzione al diritto comparato, Laterza, Roma-Bari, 2013, passim. * 9 © Filodiritto Editore 2. “Transposition”, “legal borrowing”, “migration”, “legal tourism”, “cross fertilization”, “diálogo”: el estado del arte Entre los estudiosos que se ocupan del derecho comparado2, desde siempre uno de los temas más controvertidos y difíciles ha sido aquel dedicado a la circulación del derecho. Como es sabido, hay quien dice que «the transplanting of legal rules is socially easy»3. Otros en cambio, como P. Legrand, en su famoso artículo titulado “The Impossibility of Legal Transplants”, niega totalmente (refutando presupuestos positivísticos) la posibilidad de trasplantes, anclándose sobretodo en el rol disuasivo de la cultura. Esta, a diferencia de la norma, no puede ser “comprensiblemente” trasplantada: de hecho, en contextos diferentes, cualquier ley será siempre una ley distinta4. Se ha afirmado que «Comparison between the laws of national jurisdictions will remain superficial unless we seek to appreciate those laws in the contexts of their local cultures, and comparison between laws in their cultures will remain superficial unless we appreciate that law is not alien to other cultural arts, but is closely akin to them»5. Así también se ha dicho que «linking law to other societal and cultural phenomena of a specific country would be impossible»6. Se debate también – incluso en este caso de posiciones distintas – sobre las relaciones entre cultura y cultura jurídica, casi siempre dudando que la primera pueda ser objeto de trasplantes7. Para quienes aceptan la posibilidad de los trasplantes, es frecuentemente usada la metáfora del jardín, que es definida por D.E. Cooper de la siguiente manera: «a feature which, in one garden, is relevant to a certain appreciation may, in another garden, either be irrelevant, or relevant to a very different appreciation»8; pero se podrían usar otras metáforas también, relativas a la música o a la comida: por ejemplo, un gazpacho bien frío tomado en España con el calor de agosto probablemente no tendría el mismo sabor en una tarde noruega… En el campo del derecho comparado, Cooper enfatiza en la necesidad de tener en cuenta los contextos, no solo jurídicos, hacia los cuales el trasplante opera. Particularmente atentos a dichas implicaciones debiesen ser los constitucionalistas, llamados – tal vez mucho más que los civilistas – a valorar las cualidades del terreno donde operan los trasplantes (en términos de cultura jurídica y también de la cultura en general)9. Es importante aclarar algunos aspectos semióticos de esta cuestión. A menudo se habla genéricamente de “trasplantes” para indicar cualquier modalidad de circulación; como recuerda Chen Lei10, si usan también otros términos, entre ellos (en inglés): “transY entonces no solo de un derecho extranjero, que tiene poco que ver con la comparación: infra, § 3.1 y nota 22. A. Watson, Legal Transplants: An Approach to Comparative Law, Scottish Academic Press, Edimburgh, 1974, 2a ed., Un. of Georgia Press, Athens, 1993, p. 9, trad. it. Il trapianto di norme giuridiche, Esi, Napoli, 1984. p. 95 dell’ed. del 1974. 4 P. Legrand, “The Impossibility of Legal Transplants”, en Maastricht journ. eur. and comp. law, n. 4, 1997, p. 111 ss., y en Ankara L.R., n. 2, 2007, p. 177 ss. Como es sabido para Legrand, el análisis comparativo es “diferencial”, y se desenvuelve a partir de la aceptación de la idea que «el derecho conoce solo la diversidad» y que los ordenamientos jurídicos, estudiados como “tradiciones”, son en sí mismos “inconmensurables”: vid. Id., L’analyse différentielle des juriscultures, en Rev. int. dr. comp., n. 51, 1999, p. 1053 ss. Vid. además Id., “Against a European Civil Code”, en Modern L.R., n. 60, 1997, p. 44, e Id., Fragments on Law-as-Culture. WEJ Tjeenk Willink, Schoordijk Inst., Deventer, 1999, espec. p. 5. Y además, acerca de los riesgos del legal borrowing, C.F. Rosenkrantz, “Against Borrowings and Other Nonauthoritative Uses of Foreign Law”, en Int. journ. const. law, n. 1, 2003, p. 269 ss. 5 G. Watt, “Comparison as deep appreciation”, en P.G. Monateri (ed.), Methods of Comparative Law, Edward Elgar, CheltenhamNorthampton, 2012, p. 84 s. 6 J. Smits, “The Harmonisation of Private Law in Europe: Some Insights from Evolutionary Theory”, en Georgia journ. int. comp. law, n. 31, 2002, p. 80. 7 En crítica a Watson, G. Watt escribe en su artículo, “Comparison as deep appreciation”, cit., p. 87, que «He attends with great diligence to legal cultures and legal histories and legal language, but his method and scope of engagement implies undue confidence in our ability to separate that which is labelled ‘legal’ from that which is not labelled ‘legal’»; y, en crítica a B. Grossfeld, Macht und Ohnmacht der Rechtsvergleichung, trad ingl. The Strength and Weakness of Comparative Law, Clarendon Press, Oxford, 1990, p. 103, que «Grossfeld states that “the only sensible way to treat” comparative law is as “the comparison of legal cultures”. He would have done well to omit the word ‘legal’». 8 D.E. Cooper, A Philosophy of Gardens, Clarendon Press, Oxford, 2006, p. 57. Ver también A. Watson, “Legal Transplants and European Private Law”, en Electr. journ. comp. law, n. 4, 2000 (http://www.ejcl.org/44/art44–2.html). 9 Cfr. sobre este aspecto V.C. Jackson, “The international migration of constitutional norms in the new world order: constitutions as ‘living trees’? Comparative constitutional law and interpretive metaphors”, en Fordham L.R., n. 75, 2006, p. 921 ss. 10 C. Lei, “Contextualizing legal transplant: China and Hong Kong”, en P.G. Monateri (ed.), Methods of Comparative Law, cit., p. 192. 2 3 10 © Filodiritto Editore position”, “borrowing”, “migration”, y hasta “legal tourism”11; se usan también “injerto”12 y “cross fertilization”13. Se habla además de “diálogo”, ya sea con relación al formante dinámico por excelencia –por lo menos en gran parte de occidente– (la ley), y el sujeto que la produce (el parlamento)14, sea sobre todo para indicar la circulación de ideas entre cortes y tribunales15. Pero también “diáloga” la doctrina comparada, y existe también un dialogo trasversal y recíproco inter-formantes, es decir entre legisladores, jueces y doctrina. “Transplant”, “transposition”, “migration”, y también “legal tourism” (aunque más relajante) evocan axiologías taxonómicas, la idea di dominación, de superioridad, de unidireccionalidad. “Cross fertilization” y “diálogo” permiten pensar en situaciones paritarias, de intercambio recíproco. Por esto, se crítica el uso de la palabra “diálogo” para designar la influencia recíproca entre las cortes16; en realidad, como veremos, existen algunas cortes que se consideran “importantes” que manifiestan parsimonia, discriminación y una cierta soberbia en el uso de la jurisprudencia extranjera. Para ellas, sin embargo, diferentemente del caso de los gobiernos y parlamentos, con base en los datos de la investigación empírica parece más difícil demostrar situaciones de subordinación unidireccional y unilateral. En el plano terminológico, en su significado estricto, el vocablo más usado – “trasplante” – presupone primero una “explantación”, y en un sentido estricto sólo se da en caso de migraciones. La doctrina ha ampliado el sentido del término, prescindiendo del fenómeno de la extirpación del cuerpo originario17. Hoy en día, por otro lado, casi nunca se verifican migraciones de pueblos a otros territorios, tales que lleguen a cancelar todo el derecho preexistente. En clave macro, no pasa nunca que una migración tenga como consecuencia la superposición de una entera organización constitucional (aunque si ahora en vastas áreas del planeta, son difundidos fenómenos de cancelación de culturas jurídicas autóctonas a causa de colonizaciones económicas y culturales, si no a nivel estatal). Pero el transplante puede registrarse a nivel micro, en relación con institutos singulares o valores o principios, como en el caso de una visión particular de igualdad hombre-mujer dentro de una comunidad de emigrantes, que llevan consigo sus derechos propios, reconocidos o aceptados como “estatuto personal” de la comunidad misma (en los límites de cuanto puede ser tolerado por el derecho conVer respectivamente: E. Örücü, “Law as Transposition”, en Int. comp. law quart., n. 51, 2002, p. 51 ss.; el “Symposium: Constitutional Borrowing”, en Int. journ. const. law, n. 1, 2003, p. 177 ss.; S. Choudhry (ed.), The Migration of Constitutional Ideas, Cambridge U.P., New York, 2006; J. Smits, “Legal Tourism: Contract, Marriage and Citizenship Beyond the State”, Lecture: Oxford Inst. of Eur. and Comp. Law, Oxford Un., 29 April 2010. 12 O. Calliano, Innovazione tecnica, neologismi e impianti giuridici, en L. Antoniolli, G.A. Benacchio, R. Toniatti (eds), Le nuove frontiere della comparazione, Ed. Un. degli studi di Trento, Trento, 2012, p. 140 y nota 39, usa el vocablo “injerto” para designar la «transposición de lexemas de otras lenguas especialmente en el léxico jurídico y entonces transformados de artefactos técnicos a artefactos jurídicos », es decir cuando «un término, trasferido de un lenguaje, en el caso extra-jurídico, a un lenguaje especial, en el caso jurídico, después de un cierto tiempo se integra en el contexto y se transforma en lexema jurídico». La metáfora – explica el autor – es copiada de la implantología dental y de la técnica para compatibilizar los materiales utilizables. 13 S. Choudhry, “Globalization in Search of Justification: Towards a Theory of Comparative Constitutional Interpretation”, en Indiana L.J., n. 74, 1999, p. 821 ss. 14 Sobre este punto ver L. Scaffardi (ed.), Parlamenti in dialogo. L’uso della comparazione nella funzione legislativa, Jovene, Napoli, 2011. 15 El vocablo aparece frecuentemente en los títulos o en el texto de las siguientes obras (además de aquellas citadas passim en las notas): M.-C. Ponthoreau, La reconnaissance des droits non écrits par les cours constitutionnelles italienne et français. Essai sur le pouvoir créateur du juge constitutionnel, Economica, Paris, 1994, p. 165 ss.; Id., “Le recours à ‘l’argument de droit comparé’ par le juge constitutionnel. Quelques problèmes théoriques et tecniques”, en F. Mélin-Soucramanien (ed.), L’interprétation constitutionnelle, Dalloz, Paris, 2005; G. Canivet, M. Andenas, D. Fairgrieve (eds), Comparative Law Before the Courts, British Institute of International and comparative law, London, 2004; D. Maus, “Le recours aux précedents étrangers et le dialogue des cours constitutionnelles”, en Rev. fr. dr. const., n. 2, 2009, p. 675 ss.; B. Markesinis, J. Fedtke, “The Judge as Comparatist”, en Tulane L.R., n. 80, 2005, p. 11 ss.; Id., Judicial Recourse to Foreign Law: a New Source of Inspiration?, U.C.L. Press, London, 2006, trad. it., Giudici e diritto straniero. La pratica del diritto comparato, il Mulino, Bologna, 2009; A. Somma, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Giuffrè, Milano, 2001; G. Alpa (ed.), Il giudice e l’uso delle sentenze straniere. Modalità e tecniche dell’interpretazione giuridica, Giuffrè, Milano, 2006 ; y por último T. Groppi, M.-Cl. Ponthoreau (eds), The Use of Foreign Precedents by Constitutional Judges, Hart publ., Oxford, 2013. 16 Cfr. G. de Vergottini, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, il Mulino, Bologna, 2010. 17 Critica el concepto de “trasplante jurídico”, U. Mattei, “Comparative Law and Critical Legal Studies”, en M. Reimann, M. Zimmermann (eds), The Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford U.P., New York, 2006, p. 827 s. 11 11 © Filodiritto Editore stitucional del país de llegada)18. Este conflicto – el conflicto entre valores constitucionales, y entre derechos individuales y derechos comunitarios o culturales – representa uno de los temas más delicados y sensibles del constitucionalismo moderno. Siempre desde una perspectiva definitoria, otro vocablo usado a menudo – “cross-fertilization” – me parece un término enfático si se refiere al formante normativo, siempre y cuando se discuta de la importación de elementos de ordenamientos de familias culturalmente diferentes, e incluso a veces, si la tabla de valores es compartida como en el derecho occidental. El fenómeno hoy es bastante unidireccional, en el sentido de que generalmente son los ordenamientos con base tradicional u “orientales” los que imitan al Occidente, y los ordenamientos “menos desarrollados” imitan a los ordenamientos leader. No creo entonces que sea correcto usar el término “cross-fertilization” cuando se habla de circulación de soluciones normativas fuera de aéreas limitadas, incluso más pequeñas que las familias19. Sin embargo, vale la pena considerar si esto vale también en el ámbito doctrinal y jurisprudencial. Ahora es necesario hacer algunas precisiones: una tiene que ver con los sujetos que “dialogan” (constituyentes y legisladores, doctrina, jueces); una segunda concierne a las causas que justifican la circulación del derecho (¿imposición? ¿prestigio?); la última respecto a la posición institucional de los sujetos implicados: en el caso de las cortes, una cosa es importar el derecho por libre elección, otra es valerse del derecho extranjero porque se debe. 3. Los formantes implicados en el diálogo 3.1 La doctrina Partamos justamente de la doctrina, de su circulación, de como ésta es utilizada por los legisladores y los jueces, y de como los formantes dinámicos – los que producen directamente derecho autoritativo – interactúan entre ellos y con los estudiosos20. Remito a otros artículos y ensayos la cuestión del uso del derecho extranjero en las obras de los comparatistas, y el problema conectado de como se compara, para señalar solo el uso de varios formantes21. 18 W.F. Menski, Comparative Law in a Global Context: The Legal Systems of Asia and Africa, cit., p. 58 ss., usa la expresión “implante étnico”, como forma de injerto jurídico de normas híbridas del ordenamiento originario y de los grupos inmigrantes, que se añade a los conceptos de imposición y prestigio. 19 Sobre el diálogo entre parlamentos en un área homogénea (liberal-democrática), vid. L. Scaffardi (ed.), Parlamenti in dialogo. L’uso della comparazione nella funzione legislativa, Jovene, Napoli, 2011, y e C. Decaro, N. Lupo (eds), Il “dialogo” tra parlamenti: obiettivi e risultati, Luiss U.P., Roma, 2009. 20 Pero no, sobre como los estudiosos usan leyes y sentencias: estos son de hecho el objeto de investigaciones jurídicas, también en el campo del derecho constitucional comparado y es obvio que el comparatista las tiene en cuenta. V. sobre este tema G. Dannemann, “Comparative Law: Study of similarities or differences?”, en M. Reimann, M. Zimmermann (eds), The Oxford Handbook of Comparative Law, cit., p. 408. 21 Ver en particular mi libro Derecho constitucional comparado. Itinerarios de investigación, Fundap, Querétaro, 2011, y Ed. Un. Libre, Bogotà, 2012, parte I. Entre lo criticos mas fuertes de la equiparacion entre derecho extranjero y derecho comparado se encuentra O. Pfersmann, “Le droit comparé comme interprétation et comme théorie du droit”, en Rev. int. dr. comp., n. 2, 2001, p. 275 ss., che in particolare a p. 280 sottolinea: «Rien n’empêche évidemment de conférer l’étiquette de ‘droit comparé’ à un cours ou un à ouvrage concernant le droit espagnol professé ou paru en France (ou l’inverse), à condition que l’on reconnaisse explicitement qu’il s’agit uniquement d’un synonyme strict du terme ‘droit étranger’ ce qui a pour consequence que tout ouvrage étranger devient un ouvrage de droit comparé dès qu’il subit un transfert géographique, un document stocké sur un serveur étranger devient du droit administratif ou commercial national, s’il apparaît sur un écran national ou s’il est imprimé sur un appareil situé sur le territoire du pays en question, il se transforme en droit administratif ou commercial comparé, dès lors que l’on fait appel à lui à partir d’un endroit extérieur à cette sphère». Como lo recuerda R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 17, nota 34, la diferencia entre un estudioso de derechos extranjeros y un comparatista es la que hay entre un políglota y un lingüista: «El políglota conoce muchas lenguas, pero no sabe medir las diferencias ni cuantificarlas, cosas que sí el lingüista sabe hacer. Así el comparatista posee un conjunto de nociones y datos de diferentes ordenamientos y sabe hacer una comparación, midiendo los elementos comunes y las divergencias». Además, no es verdad que cuando se trabaja sobre el derecho extranjero se hace comparación, porque se está obligado a traducir los conceptos: «L’équation selon laquelle ‘droit étranger = droit inconnu et droit interne = droit connu’» es contestada por M.-C. Ponthoreau, “Le droit comparé en question(s) entre pragmatisme et outil épistémologique”, en Rev. int. droit comp., n. 1, 2005, p. 13. Según A. Somma, Introduzione al diritto comparato, cit., parte II, § 1, § 6, en cambio, «La distinzione da operare non è (…) quella tra diritto straniero e diritto comparato, bensì quella tra una buona e una cattiva comparazione, la seconda stigmatizzata fin dagli albori del diritto comparato eretto a scienza autonoma». 12 © Filodiritto Editore Entender los ordenamientos, para un comparatista, no significa tener que usar siempre todos los formantes en sus investigaciones. Ello es indispensable en los estudios “macro”, pero no lo es siempre en los “micro”. Entender los sistemas para reagruparlos en familias o formas de Estado comporta estudiar el derecho de manera global – en su historia, y teniendo en cuenta los aportes de otros tipos de investigaciones –, buscar sus principios fundamentales y cómo están desarrollados en la ley, la jurisprudencia y la doctrina22. Pero nada impide que en un estudio “micro” se pueda analizar sólo un formante: por ejemplo, una investigación sobre las técnicas de codificación de un derecho específico (asociación, reunión…) en un conjunto de ordenamientos; o investigaciones sobre la jurisprudencia “procesal” de tres Tribunales constitucionales, para descubrir los tipos de sentencias; o finalmente, se puede hacer también meta-investigaciones, es decir, investigaciones sobre las elaboraciones doctrinales (por ejemplo, investigaciones acerca de las posiciones doctrinales sobre la descentralización). En particular, en algunos casos no se puede usar ningún otro formante aparte del legal, cuando se estudian sistemas nuevos o reformas introducidas en varios ordenamientos y todavía no presentes en la jurisprudencia23. Incluso en algunas investigaciones que denomino “globales” – es decir, que comprenden todos los ordenamientos o casi, pero con referencia a aspectos específicos – se puede usar un solo formante. Pasa, por ejemplo, en los estudios sobre el lenguaje de las Constituciones o las leyes, sobre las definiciones de los ordenamientos24, sobre las técnicas de división del material en la estructura del texto legal25; o, a nivel de formante jurisprudencial, en los estudios acerca del uso de los trabajos preparatorios de la ley26, del uso del derecho comparado27 o del concepto de “derechos humanos” en la jurisprudencia. Más allá de los casos mencionados, desde una perspectiva práctica cualquier investigación comparada conlleva, en mayor o menor medida, la necesidad de enfrentarse al diferente peso de los formantes y a su disociación. El tema concierne todo sistema, pero es más delicado cuando se estudia más de un sistema. Una comparación entre el sistema televisivo británico y el estadounidense, por ejemplo, tiene que evidenciar de forma diferente los principios constitucionales (presentes en la primera enmienda en los EE.UU., y en reglas no codificadas en el Reino Unido); la legislación (amplia en ambos casos); la jurisprudencia (determinante en los EE.UU., poco importante en el ordenamiento británico); si la comparación se amplía a sistemas de civil law, se encuentran fuerte disociaciones entre el texto de las Constituciones, los principios constitucionales, la legislación y la jurisprudencia (sobre todo la constitucional). Hay consecuencias sobre la organización del sumario, el énfasis dado a cada elemento, que puede ser diferente según el caso, con el riesgo de desequilibrios del texto. Indicaciones útiles sobre las fases de una investigación comparada – selección, descripción, análisis – se encuentran en G. Danne“Comparative Law: Study of similarities or differences?”, cit., p. 406 ss. 23 Es este el caso de algunos estudios de los años 90 sobre las nuevas Constituciones de Europa del Este, a la espera de que la jurisprudencia y la doctrina determinaran su significado en detalle. [Ver de mi autoría “Il sistema delle fonti giuridiche nelle Costituzioni dell’Est europeo”, en Eur. journ. of law, phil. and computer sc., 1995, n. 4, IV, pp. 233, trad. ingl. “The system of legal sources in the Constitutions of Eastern Europe”, en Id., Derecho constitucional comparado. Itinerarios de investigación, cit., p. 261 ss. (ed. peruana) y p. 363 (ed. colombiana)]. Podría ser el caso también de un estudio sobre las reformas constitucionales de Bolivia y Ecuador, casi contemporáneas, para averiguar cómo han sido enunciados los principios inspiradores parecidos con fórmulas a veces similares y otras diferentes. (Pero hay que decir que también en estudios de este tipo se deben de tener en cuenta los “criptotipos”, aunque no haya legislación y jurisprudencia todavía.) 24 Como por ejemplo: L. Pegoraro, S. Baldin, “Costituzioni e qualificazioni degli ordinamenti (Profili comparatistici)”, en L. Mezzetti, V. Piergigli (eds), Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamentarismi: modelli comparati e riforme istituzionali in Italia, Giappichelli, Torino, 1997, p. 1 ss. y en Dir. soc., 1997, n. 1, p. 117 ss.; L. Pegoraro, “Autoqualificazioni ed eteroqualificazioni del federalismo: il linguaggio della Costituzione e delle proposte di riforma”, en S. Baldin, L. Pegoraro, A. Rinella, Tre lezioni su federalismo, Eut, Trieste, 1998, p. 19 ss.; Id., “Las definiciones de los ordenamientos descentralizados en los estatutos de las Regiones italianas y de las Comunidades Autónomas”, en Rev. vasca adm. públ., n. 86, 2010, p. 139 ss. 25 Referencias en L. Pegoraro, A. Porras Nadales (eds), Qualità normativa e tecnica legislativa. Europa, Stati, enti territoriali – Calidad normativa y técnica legislativa. Europa, Estados y entitades infraestatales, Bonomo, Bologna, 2003. 26 Remito a mi artículo “Lavori preparatori della legge e sindacato di costituzionalità”, en Giur. cost., 1988, II, n. 9, p. 1441 ss. 27 Vid. infra, nota 81. 22 mann, 13 © Filodiritto Editore 3.2 Constituciones y leyes En primer lugar aclaro que por “leyes” entiendo en general cualquier texto jurídico, incluidas las Constituciones. El interrogante planteado es: cuando para decidir el legislador (constitucional u ordinario, pero también los ejecutivos en la producción de normas primarias o secundarias) utiliza el derecho comparado, qué cita mayormente? cual es el formante mas fructífero, que asegura ventajas más consistentes? La respuesta implica un análisis en dos niveles, que corresponden al sein y al sollen (aquello que es y aquello que debe ser)28. En la praxis, los trabajos preparatorios de las leyes de varios países evidencian una predilección marcada por el formante normativo. Los legisladores, en otras palabras, aman más (más, no exclusivamente) citar las soluciones normativas de otros sistemas, aunque algunas veces hacen referencia a categorías generales, otras veces a estudiosos de referencia (como se dice, “orgánicos” a la política del grupo en cuestión). La jurisprudencia extranjera es casi ausente, como si los textos normativos extranjeros no estuviesen afectados por ella. Esto es probablemente imputable – además de la escasa o inexistente cultura comparatística de gran parte de los parlamentarios – a la mayor facilidad a la hora de encontrar los meros textos normativos. Esta tendencia ocurre también en las oficinas de algún parlamento (como el francés o el italiano), que proveen datos en bruto, sin comentarios o clasificaciones. No se puede pretender de los parlamentarios abstracciones o profundizaciones del contexto en el que se cita una ley extranjera, sin ayuda de los asesores, y tampoco comprobaciones de su interpretación de parte de los jueces29. La situación cambia – pero no mucho – cuando se trata de escribir o reformar las Constituciones. A menudo los órganos constituyentes tienen una composición ad hoc (distinta entonces a la ordinaria de la asamblea legislativa): se encuentran integrados por la élite de la sociedad civil, incluso constitucionalistas abiertos al mundo; algunas veces se manifiesta el aporte de la doctrina o de igual manera de la jurisprudencia. Otras veces la recepción se deduce implícitamente: representa un ejemplo válido de circulación trasversal entre formantes el Art. 82 CE, una verdadera “verbalización” constitucional no solo del Art. 76 de la Constitución italiana, sino sobretodo de la jurisprudencia de la Corte constitucional sobre las leyes delegadas30. Cuando las Constituciones se escriben ex novo, con frecuencia el camino ya ha sido abierto por la doctrina, cuyo rol se enfatiza en el caso en que existan organismos auxiliares oficiales con base científica (comités, comisiones de estudio o similares)31. El derecho comparado se encuentra entonces detrás de muchas decisiones constituyentes (o de reforma), como conjunto de normas, sentencias, doctrinas. Para concluir: el constituyente, el poder de reforma, el legislador usan el derecho constitucional Según J.M. Smits, “Comparative Law and its influence on national legal systems”, en M. Reimann, M. Zimmermann (eds), The Oxford Handbook of Comparative Law, cit., p. 525 ss., las razones que inducen a legisladores y jueces a utilizar el derecho extranjero son sustancialmente dos: una conectada a la exigencia de tener una «source of fresh ideas and, particulary, in order to find a solution to a given problem»; y la otra de tener «a normative argument». 29 Sobre la prohibición de hacer comentarios comparativos para los traductores y los funcionarios de tales parlamentos, en aras de preservar la autonomía de la política (!) véase F. Megale, “La traduzione delle legislazioni straniere nei Parla menti italiano e francese”, en Dir. pubbl. comp. eur., n. 3, 2011, p. 663 ss. y especialmente p. 669. Tales faltas podrían ser superadas por el uso de hearings en la sede de elaboración legislativa: aquí es emblemática la experiencia del Congreso de los Estados Unidos, pero la práctica es difusa en todo el mundo. En la sede de las audiencias legislativas, también pueden ser escuchados expertos en derecho comparado. Por este canal, puede entrar en el proceso legislativo, por medio de la doctrina en vía directa, también el formante jurisprudencial, con la condición que se consulten comparatistas. Sobre la introducción de las hearings en EE.UU. puede consultarse en la doctrina italiana a A. Predieri, Contraddittorio e testimonianza del cittadino nei procedimenti legislativi, Giuffrè, Milano, 1964. 30 Remito a mi artículo “Il diritto comparato e la Costituzione spagnola del 1978: recezioni ed ‘esportazioni’”, en F. Fernández Segado (ed.), The Spanish Constitution in the European Constitutional Context – La Constitución Española en el Contexto Constitucional Europeo, Dykinson, Madrid, 2003, p. 523 ss., trad. esp. “El Derecho comparado y la Constitución española de 1978. La recepción y la “exportación” de modelos”, en An. iberoam. just. const., n. 9, 2005, p. 287 ss. y en L. Pegoraro, Ensayos sobre justicia constitucional, la descentralización y las libertades, Porrua, Ciudad de Mexico, 2006, p. 29 ss. 31 Todos conocen la importante misión cumplida por la llamada Comisión de Venecia, constituida en el ámbito del Consejo de Europa, para soportar la redacción de las Constituciones de los países del este europeo. 28 14 © Filodiritto Editore comparado; lo usan con frecuencia en un modo aproximativo, especialmente el legislador; prevalentemente se basan en la observación paralela y especular de textos normativos del mismo grado, otras veces de categorías generales (“derechos”, “federalismo”, etc.), de las cuales raramente perciben la complejidad. Ignoran generalmente (pero no siempre) la jurisprudencia. En algunas circunstancias se valen de la lectura de la doctrina. La legislación de todas maneras es influenciada, en algunas ocasiones justificada, por categorías comparatísticas. Detrás de cada una de las leyes, o de cada constitución, existe la cultura jurídica de un país; el grado de percepción de la utilidad de estudiar experiencias extranjeras depende también de las políticas de la universidad, de la selección del personal que asiste a los legisladores, del prestigio adscrito al poder judicial; en definitiva, de factores internos que influyen en la homogeneidad o heterogeneidad del derecho en su conjunto, incluyendo la legislación, la jurisprudencia y la doctrina. 3.3 Jueces y tribunales constitucionales Por su naturaleza la jurisprudencia usa el formante legislativo, que representa el objeto de su actividad, en las resoluciones de antinomias y en la interpretación de los enunciados. La cuestión es si los jueces hacen referencia a leyes extranjeras, y si la hacen, en qué medida, no porque deben interpretarlas y aplicarlas – como en el caso del derecho internacional o europeo –, sino para reforzar o fundamentar sus interpretaciones o hacer un balance entre valores; por consiguiente, en este contexto, la legislación no sería muy diferente a los otros formantes: leyes, jurisprudencia y doctrina serían utilizadas por los jueces de la misma manera, como argumentum quoad auctoritatem. Desde este punto de vista, entonces, la interacción entre el formante legislativo y el formante jurisprudencial no es nada obvia. También para los jueces, constitucionales y ordinarios, valen las consideraciones ya expresas en otros estudios32, relativas a las influencias culturales, la formación universitaria, etc. Que usen categorías comparadas para resolver los casos, y si lo hacen de qué tipo, con qué frecuencia o peso, todo ello depende de la mentalidad jurídica global propia de cada ordenamiento. La influencia del derecho extranjero no se manifestaría solo a través de una comparación efectuada directamente por los jueces, sino también mediante el reenvío a obras de doctrina, que a su vez analizan el derecho interno con una lente comparativa33. Tal influencia indirecta sobre las cortes sería incluso más intensa que aquella determinada por la cita consiente a la doctrina y la jurisprudencia extranjera, y la doctrina tendría la misión di preparar el terreno para la recepción, por parte de la jurisprudencia interna, de soluciones usadas en otros ordenamientos34. Los jueces del common law están habituados a inclinarse fuera del derecho nacional, y es natural que se valgan de precedentes extranjeros buscados en el ámbito de la familia. Esta actitud ha abierto su mentalidad, al punto que es frecuente que, además de sus precedentes judiciales, citen también leyes extranjeras para justificar su reasoning35. Salvo el valor diferente, en efecto, la ratio de las citas extra-estatales jurisprudenciales y las que atienen a los textos normativos parece la misma: buscar en los elementos de derecho extranjero fundamentos para la afirmación de una decisión o una elección interpretativa. O mejor: en aquellos supuestos donde el precedente (ya sea binding o ya sea persuasive) constituya un vínculo para el juez, obviamente, la referencia al derecho extranjero persigue un objetivo adicional que, cualitativamente, es diverso al que confiere autoridad a la decisión adoptada. Sin embargo, por un lado, en los sistemas de civil law, la trama de la jurisprudencia ofrece la base 32 Entre otras, Giustizia costituzionale comparata, Giappichelli, Torino, 2007, p. 159 ss.; La Justicia Constitucional. Una perspectiva comparada, Dykinson, Madrid, 2004, p. 131 ss. 33 A. Gerber, “Der Einfluss des ausländischen Rechts in der Rechtsprechung des Bundesgericht”, en Aa.Aa, Perméabilité des ordres juridiques, Publ. de l’Isdc, n. 20, Zürich, 1992, p. 141 ss.; F. Werro, “La jurisprudence et le droit comparé”, ivi, p. 165 ss. 34 F. Werro, “La jurisprudence et le droit comparé”, cit., loc. cit. 35 Infra, § 5. 15 © Filodiritto Editore argumentativa para dotar de racionalidad al sistema36; y por otro lado, incluso en los sistemas de common law la referencia comparativa siempre no está incardinada en la ratio decidendi. (Únicamente, este hecho sucede cuando un punto de derecho, solamente, se decide en base al precedente judicial por parte de otra corte de common law). Acerca de los formantes evocados, ha sido desmentido, aunque podría parecer plausible, que en los ordenamientos de matriz anglosajona o mixta, el recurso a la comparación se limite a las citas de jurisprudencia. Asimismo, tampoco es verdad el fenómeno opuesto, es decir que, en los ordenamientos civilian, los reclamos se circunscriban únicamente a las leyes, y no alberguen también a las sentencias37. Acerca del uso de la doctrina por parte de los jueces, existen ordenamientos en donde para el juez es normal reforzar las argumentaciones con citas de trabajos monográficos, artículos, ensayos, voces enciclopédicas, e incluso tesis de doctorado (es el caso, de dar un par de ejemplos, Canadá y Suiza); y existen ordenamientos donde esto es considerado, si no sacrílego, por lo menos inútil para los fines perseguidos por el juez: piénsese en la ausencia de referencias doctrinales en la jurisprudencia de la Corte Constitucional italiana, por el influjo de específicas disposiciones de leyes38, o de la praxis que prohíbe citar la doctrina jurídica en las sentencias, disposiciones que condicionan a los jueces – inclusive los constitucionales, a causa del continuum entre la jurisdicción ordinaria y la jurisdicción constitucional – en la búsqueda de los materiales seleccionados para la solución de un caso (Francia, España). La prohibición aleja al juez, una vez inmerso en la profesión, de los estudios teóricos realizados en la Universidad los cuales prestan bastante atención a la doctrina, y lo induce a buscar dentro de la casuística el precedente útil. En los últimos tiempos, ha crecido el interés hacia el derecho comparado por parte de la doctrina, sin embargo este hecho no ha alcanzado al juez lo suficientemente39. Los jueces constitucionales continentales europeos, salvo raras excepciones (por ejemplo, en Alemania o Portugal), hacen muy pocas referencias a la doctrina, salvo contadas ocasiones: por tanto, se separa vistosamente del estilo de los pronunciamientos anglosajones, y en particular del realizado por la Corte Suprema de Canadá, cuyas decisiones están precedidas de las referencias doctrinales, las cuales no sólo contempla los estudios de derecho sino que abarca también campos como la antropología y la sociología. En América Latina, al contrario, el uso es muy frecuente, independientemente del país, desde Perú a Argentina a Brasil, Colombia y México (donde el fenómeno está muy presente incluso en los tribunales electorales). Lo es también en algunos sistemas africanos de civil law, como Marruecos (pero se citan casi solo autores franceses, y casi solo sus comentarios de jurisprudencia), y en Asia (Filipinas, influenciadas por autores americanos más que europeos, mientras que casi no hay españoles). El uso de doctrina extranjera en las sentencias es amplio en ordenamientos mixtos como Israel (que importa mucho de los Estados Unidos y bastante de Alemania) y Sudáfrica (donde paradójicamente a pesar del componente de Roman-Dutch Law, es ausente en concreto el derecho germánico). Si se excluye a Marruecos (y a lo mejor otros casos aislados), la doctrina francesa está desapareciendo de las sentencias (¡hasta en la jurisprudencia de derecho civil de Quebec!), como la italiana, de la cual a veces se 36 Remito a mis volúmenes Giustizia costituzionale comparata, cit., p. 159 ss. y La Justicia Constitucional. Una perspectiva comparada, cit., p. 131 ss. En España, la importancia del precedente en la jurisprudencia del Tribunal Constitucional es analizada por M. Gascón Abellán, La técnica del precedente y la argumentación racional, Tecnos, Madrid, 1993, espec., p. 50 ss. Sobre el riesgo de asonancias en el uso de los precedentes v. C. Saunders, “Use and Misuse of Comparative Constitutional Law”, en Indiana journ. global legal st., n. 13, 2006, p. 37 ss. 37 Roe vs Wade (en tema de aborto) fue citada por varios Tribunales europeos, y Missoury vs Holland (1920, 252 US 416), por ej, por la Corte constitucional italiana en una sentencia del 1980 sobre competencias regionales. 38 En Italia, se trata del art. 118 de las disposiciones de actuación del Código procesal civil. Además G. Gorla, “I ‘Grandi Tribunali’ italiani fra i secoli XVI e XIX: un capitolo incompiuto della storia politico-giuridica d’Italia”, en Quad. de Il Foro it., 1969, columna 639 ss., demuestra que el origen de la prohibición remonda a edictos reales del siglo XVIII, para contrastar la autoridad de los doctores. 39 La influencia que ejercen los estudios realizados en la Universidad ha sido enfatizada por U. Drobnig, “The Use of Comparative Law by Courts”, en U. Drobnig, S. van Erp (eds), The Use of Comparative Law by Courts, Actas del XIV Congrès international de droit comparé, Kluwer Law Int., The Hague-London-Boston, 1999, p. 13, en relación a los ordenamientos de Luxemburgo, Brasil, Québec, y ha sido explicada a través de la influencia ejercida por las codificaciones y los subsiguientes contenidos de las materias impartidas en las Universidades. Sobre los procedimientos metodológicos de los estudiantes, profesores, abogados y jueces v. el volumen de A. Gordillo, El método en Derecho. Aprender, enseñar, escribir, crear, hacer, Civitas, Madrid, 1988, rist. 1999. 16 © Filodiritto Editore recuerdan los grandes maestros del pasado – sobre todo procesalistas –, pero pocas veces los actuales. Ello es un indicio sobre el peso de Universidades antiguas, que viven gracias al prestigio pasado, pero no consiguen ofrecer ahora a los formantes dinámicos productos vendibles, como lo hacen Institutos de cultura que han sabido actualizarse, modernizarse e internacionalizarse40. Además del estilo tradicional de las sentencias, la apertura no solo a la doctrina interna sino también a la extranjera depende de elementos objetivos (globalización del derecho) y subjetivos, relacionados con la selección de los magistrados en un personal que hoy viaja mucho y realiza estancias en el extranjero en Universidades prestigiosas, desde donde vuelve con actitudes jurídicas y culturales importantes. Sin contar las citas textuales, el formante doctrinal tiene de todas formas influencia sobre el jurisprudencial. En las Facultades de Derecho del mundo, donde se forman los jueces (no solo “nacionales”), a menudo se manifiestan orientaciones doctrinales diferentes. La cultura jurídica del juez, en otras palabras, puede variar según el lugar donde se formó principalmente y donde pudo profundizar y especializarse41. 3.4 El diálogo inter-formantes: de la doctrina a los formantes “dinámicos” (pero sólo donde la doctrina no es formante dinámico) La distinción entre formantes dinámicos (o activos) y los otros es una variante de familias y época, y solo en la interpretación más estricta del positivismo legal la ley es la única fuente, el juez bouche de la loi, la doctrina el conjunto de los comentaristas. Lo que precede no explica la circulación entre formantes donde la doctrina representa una fuente del derecho: en suma, es un formante dinámico. Es el caso del derecho dhármico indio, que no es derecho legislativo ni derecho jurisprudencial, sino –como se ha escrito– «Juristenrecht, derecho jurisprudencial en el sentido de doctrinal (término que no excluye a los jueces, si están dotados de doctrina jurídica e influyentes justamente por el valor doctrinal de las motivaciones o rationes decidendi)», con lo cual «legisladores y jueces tienen un peso reducido en su formación o producción»42. Al intérprete (es decir, al derecho jurisprudencial en sentido estricto) le corresponde especialmente coordinar el dharma con las reglas reales y la costumbre, unificando el pluralismo de los usos dentro de los mismos textos sagrados43. La alineación de los formantes – se podría decir usando las categorías de Sacco – es el resultado de la interpretación doctrinal en el Islam también, donde el sistema de reglas jurídicas no se basan en la voluntad política de los gobernantes, sino la revelación divina44. Anticipo algunos resultados de un proyecto a nivel mundial en el que participan cadorce Universidades italianas y numerosos grupos de investigación extranjeros, sobre el uso de la doctrina por parte de los Tribunales Constitucionales. Una parte de los resultados provisionales se encuentra en mi ensayo “Los jueces y los profesores: la influencia de la doctrina sobre las decisiones de los Tribunales y Cortes constitucionales”, en las futuras Actas del XI Congreso Iberoamericano de Derecho Constitucional (en homenage a Jorge Carpizo), Tucuman, 2013. 41 Remito a mi escrito “Derecho Nacional, Derecho Internacional, Derecho Europeo: la circulación horizontal y vertical entre formantes”, en An. iberoam. just. const., n. 17, 2013, p. 257 ss. 42 L. Lombardi Vallauri, “Presentazione” a R. LINGAT, Les sources du droit dans le système traditionnel de l’Inde, Mouton & Co., La Haya, 1967, trad. it. La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè, Milano, 2003, p. XII s. 43 A. Procida Mirabelli di Lauro, “Presentazione” en L.-J. Constantinesco, Introduzione al diritto comparato (a cura di A. Procida Mirabelli di Lauro, R. Favale), trad. it., Giappichelli, Torino, 1996, p. XXXV: «La nozione occidentale di diritto si rivela insufficiente a promuovere un’indagine effettivamente macro-comparatistica, idonea ad individuare gli archètipi categoriali». Y, comentando un caso decidido por un tribunal de common law, en el que estaban implicados el concepto de amistad y la simbología de la sangre en la escritura de un contrato, P. Goodrich, “Interstitium and non-law”, en P.G. Monateri (ed.), Methods of Comparative Law, cit., p. 227: «The Western concept of friendship does not seem directly applicable and so immediately, straight off, first line of the opinion, the juridical paradigm, the legal decision, has to be supplemented, confronted, aligned to disciplines and knowledges other than law». 44 Como lo recuerda M. Oliviero, voz “Derecho islámico”, en L. Pegoraro (ed.), Glosario de Derecho público comparado, ed. mexicana coordinada por E. Ferrer Mac-Gregor, M. Núñez Torres, C. Astudillo, G. Enríquez Fuentes, P. Torres Estrada, Porrúa, México, 2012, p. 120 ss., «La ciencia del Derecho islámico (ilm’al-fiqh) se divide en dos grandes partes. Por un lado, se compone por las ‘raíces’ (usūl al-fiqh) que explican por medio de qué procedimientos y qué fuentes ha sido hallado el conjunto de disposiciones que constituyen la Sharì‘a. Son consideradas ‘raíces’: el Corán (Qur’ān), la sunna (sunnat al-nābī), el consenso (iğmā) y la analogía (qiyās). Por otro lado, se encuentra constituida por las ‘ramas’ (furū al-fiqh) de la jurisprudencia. Los furū, considerados por los doctos de las leyes (‘ulamā) como derivados de la primera división, comprenden algunas materias que, utilizando las modernas categorías 40 17 © Filodiritto Editore Por lo que se refiere a las “raíces” de la ciencia de este derecho (usūl al-fiqh), el Corán representa sin duda la fuente principal del derecho islámico45. Las costumbres no pueden ser contrarias al texto revelado y la jurisprudencia de los tribunales es conforme a las opiniones de la doctrina46. Bastante diferente se presenta la situación en el derecho chino, influenciado todavía en los fundamentos por la doctrina de Confucio y su aversión hacia las normas legales (fa), a favor de los ritos y costumbres (li), interpretados a lo largo de los siglos por los seguidores del maestro y luego las familias, las tribus, los grupos y las corporaciones mercantiles47. En las familias occidentales, la doctrina no representa hoy un elemento dinámico de producción jurídica. En el common law, no lo era tampoco en el pasado, y no ha tenido mucha influencia en la jurisprudencia: el common law inglés, en particular, es el producto de los jueces del Rey, y el papel de los profesores/juristas ha sido siempre marginal, como lo ha sido la ciencia jurídica que ellos han creado en otras partes. La producción jurídica universitaria no es tan amplia como en otros sitios; los profesores citan a los jueces, en sus motivaciones de mayoría o minoría, pero raramente pasa lo contrario48. Lo que ocurre (incluso en los EE.UU. y en otros ordenamientos de la familia), las referencias se hacen a obras que a su vez son sistematizaciones de los casos, en un continuum donde el perdedor (desde el punto de vista cultural) es la doctrina. En la esfera del derecho público, además, la creciente pervasividad del derecho legislativo49 ha favorecido la entrada de los doctores en el circuito de producción jurídica, siendo ella (un poco) más reacia a los esquemas mentales anclados en el uso del sistema casuístico y del precedente judicial. En el continente europeo, desde el inicio del milenio pasado los profesores han sido los verdaderos creadores de las grandes construcciones jurídicas. La codificación les ha quitado el poder de decidir, que tenían antes, pero no el de comentar, criticar, sistematizar, influir, recomendar; muchas veces los llaman en gobiernos y parlamentos, en los tribunales supremos, ordinarios o administrativos, o constitucionales o internacionales. Las sentencias son anónimas, no son los jueces en su individualidad los que crean derecho, ni siquiera donde existen los votos particulares50. Non hay fractura entre academia y formantes activos, sino solo diferentes percepciones subjetivas de su papel. En muchos casos, los profesores se conciben como exegetas del derecho legislativo o jurisprudencial, y producen obras donde el derecho que explica es el resultado de legisladores y jurídicas occidentales, constituyen el Derecho privado, el Derecho penal, el Derecho procesal y parte del Derecho público». Bibliografía actualizada sobre el Islam en M. Iqbal, The Reconstruction of religious thought in Islam, 2.ª ed., Oxford U.P., London, 1989; ‘A.A. Na’im (ed.), Islamic Family Law in a changing World. A global resource book, Zed Books, London, 2002; M.H. Kamali, Shari‘a Law: An Introduction, Oneworld, Oxford, 2008; C. Mallat, “Comparative Law and the Islamic (middle eastern) legal culture” en M. Reimann, R. Zimmermann (eds), The Oxford Handbook of Comparative Law, cit., p. 610 ss; T.W. Bennett, “Comparative Law and African Customary Law”, ivi, p. 641 ss. Sobre las transicciones y la denominada primavera árabe vid. el número monográfico 11/2012 de la Rev. gen. der. públ. comp., titulado “El mundo árabe”. 45 Como es sabido, contiene la colección escrita en forma definitiva de las revelaciones que el arcángel Gabriel hizo a Mahoma: en el Corán cada una de las palabras es sagrada en cuanto representa la exacta traducción del “Libro sacro que está en el cielo junto a Dios”. 46 Para profundizar, F. Castro, Il modello islamico, Giappichelli, Torino, 2007, p. 3 ss. «Traditional Islamic Law – afferma P.G. Monateri, “Methods in comparative law: an intellectual overview”, en Id. (ed.), Methods of Comparative Law, cit., p. 19 – has been essentially based on the prestige of a caste of scholars in law and divinity (but not professional lawyers), in an institutional setting where judges were not delivering opinions and little or no room was left for legislation». 47 Cfr. R. Cavalieri, La legge e il rito. Lineamenti di storia del diritto cinese, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 34 ss.; Id. , “Cina”, en Id. (ed.), Diritto dell’Asia orientale, Cafoscarina, Venezia, 2008, p. 16 s.; sintéticamente M. Timoteo, “Derecho chino”, en L. Pegoraro (ed.), Glosario de Derecho público comparado, cit., p. 92 ss., e Id., voz “Cina”, en Dig. disc. priv. Sez. civ., actualización, Utet, Torino, 2009, p. 197 ss.; R. Peremboom, China’s Long March Towards the Rule of Law, Cambridge U.P., Cambridge, 2002; J.A.G. Roberts, A History of China, 3a ed., Macmillan, New York-London-Basingstoke, 2011; Lin Feng, Constitutional Law in China, Sweet & Maxwell Asia, Hong Kong, 2000; A. Chen, An Introduction to the Legal System of the People’s Republic of China, 3a ed., Lexis-Nexis-Butterworths, Hong Kong, 2004; A. Rinella, Cina, il Mulino, Bologna, 2006. Antes del cambio de los años 2000 Samuel Krislov propuso distinguir en términos jurídicos entre la sociedad china “character oriented”, y otras de Oriente Extremo basadas en obligaciones contractuales mutuas: v. S. Krislov, “The Concept of Families of Law”, en A. Podgörecki, Ch. J. Whelan, D. Khoila, Legal Systems & Social Systems, Croom Helm, London-Sydney-Dover, 1985, p. 37. 48 Cfr. A. Paterson, The Law Lords, MacMillan, London, 1982, p. 10 ss., donde se demuestra la falta de interés de la autoridad jurisdiccional suprema británica hacia las obras académicas, incluso notas y comentarios jurisprudenciales. 49 G. Calabresi, A Common Law for the Age of Statutes, Harvard U.P., Cambridge (Mass.), y en general R.C. Van Caenegem, Judges, Legislators and Professors. Chapters in European Legal History, Cambridge U.P., Cambridge, 1987, trad. it., I signori del diritto. Giudici, legislatori e professori nella storia europea, Giuffrè, Milano, 1991, espec. cap. I (y p. 78 de la edicción italiana). 50 R.C. Van Caenegem, Judges, Legislators and Professors. Chapters in European Legal History, cit., p. 51 de la edicción italiana. 18 © Filodiritto Editore tribunales (especialmente constitucionales). A veces esperan reconstruir los sistemas, ofreciendo interpretaciones o visiones globales (que pueden no tener en cuenta lo que dicen los legisladores o los jueces). Por lo general, participan en el circuito de la producción del derecho, insertando sus obras en los debates jurídicos en curso, uniformando los formantes y dando un papel parecido a leyes, sentencias y doctrina. En particular, en el derecho constitucional, legisladores y jueces “usan” (aunque poco, o no siempre) los profesores, y éstos hacen referencia a aquellos (siempre). Los profesores lo hacen siempre de forma expresa, legisladores y jueces más de forma críptica, pero no solo. En este contexto (sumariamente delineado), los comparatistas tienen una ventaja: los estudiosos de los derechos positivos, los legisladores y jueces nacionales pueden interactuar (en medida diferente y con diferente peso mutuo) entre ellos, dentro de cualquier ordenamiento, pero no tienen los instrumentos para ir más allá. Los filósofos, los historiadores, los estudiosos de doctrinas políticas, los teóricos generales aseguran las necesarias conexiones entre hechos y reconstrucción de los fenómenos. Pero solo los comparatistas alimentan en el formante doctrinal conocimientos verticales (entre doctrina, legislación y jurisprudencia), y horizontales, entre ordenamientos, empezando con los datos positivos – los derechos por lo que son – y conectándolos y deduciendo clasificaciones y modelos51. Al final del razonamiento, usan sus resultados no solo los profesores, sino también los formantes dinámicos. En materia constitucional, esta labor – si se hace bien – puede ser especialmente útil, por la mayor permeabilidad a los aportes externos de los institutos del derecho público, menos dependientes (¡pero no siempre!), respecto de los privatistas, del peso de tradiciones, religiones, costumbres. 4. “Clases dúctiles” entre la imposición y el prestigio El segundo punto que deseo afrontar concierne las causas justificativas de la circulación del derecho (¿imposición? ¿Prestigio?). En el derecho constitucional comparado, la existencia de “modelos” que se configuran como formas ejemplares postula de por sí la circulación de los modelos mismos: las llamadas Constituciones “modelo” se consideran tales justamente porque han sido largamente imitadas. Quien prestase atención a las mutaciones jurídicas de los ordenamientos no tendría dificultad en constatar que dichos cambios se deben generalmente a experiencias de imitación-recepción de modelos jurídicos surgidos en otros lugares, siendo el nacimiento de un modelo original un fenómeno algo extraño52, aunque en el derecho constitucional no faltan casos de creaciones ex novo de modelos, sobre todo después de revoluciones. Ahora bien, el fenómeno de imitación-recepción constituye por lo general la vía ordinaria para la circulación de los modelos constitucionales, de forma similar a lo que normalmente ocurre para los modelos jurídicos de derecho privado. La mayoría de las veces, la comparación permite comprender 51 Véase O. Pfersmann, “Le droit comparé comme interprétation et comme théorie du droit”, cit., p. 277: «Les ordres nationaux sont des illusions, le droit véritable est déjà unique et il revient au droit comparé de le présenter. Elle résulte d’une confusion conceptuelle. Il n’y a pas de système transnational. Le droit comparé n’est pas un ordre juridique du tout, mais une discipline». Critica ferozmente los límites del jurista “municipal” A. Procida Mirabelli di Lauro, “Presentazione”, cit., p. LVI y passim, pues él «tende a contaminare i risultati della sua ricerca, sia ricostruendo fin dall’inizio i problemi in maniera infedele e caotica, sulla base dell’arbitrio individuale e nel segno di una pretesa “originari età”, sia azzardando giudizi e pareri che, inevitabilmente, allontanano la sua analisi dalla realtà». Los que no quieren o no saben usar el método comparado «sono costretti a rifugiarsi negli anfratti della dogmatica più obsoleta, inventando in via ermeneutica e ricostruttiva un “sistema” assiomaticamente chiuso e compiuto, all’interno del quale trovare la panacea per tutti i mali» (p. LVIII). 52 Cfr. A. Watson, Il trapianto di norme giuridiche, cit., p. 83; R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 134. Ello vale incluso cuando un nuevo modelo surge (con elementos originales) de la fusión de varios modelos anteriores: piénsese en la Francia de la Quinta República, que une en algo nuevo algunos rasgos del presidencialismo y del parlamentarismo, ofreciendo un producto original (el semipresidencialismo). 19 © Filodiritto Editore el conjunto de intuiciones y de ideas que están detrás de las formulaciones normativas asumidas como modelo53. Ello vale sobre todo a nivel normativo, pero se puede aplicar también para la jurisprudencia (y la doctrina). En la experiencia aparecen justamente: imitaciones legales, cuando el legislador imita directamente el modelo producido por otro legislador (ejemplo típico es la frecuente imitación de las codificaciones francesas y alemanas54); imitaciones doctrinales, que operan en el plano exquisitamente teórico. No es extraño, además, que estas dos formas de imitación se combinen en el mismo ordenamiento55. Finalmente se encuentran las imitaciones judiciales, directas o por medio de intermediarios, como las jurisdicciones supranacionales o la doctrina56. Naturalmente, las imitaciones de un modelo pueden ser globales o parciales: las Constituciones, como es notorio, tienen frecuentemente más de un modelo de referencia, combinando sus aspectos más interesantes. Ello puede dar lugar, según el caso, a hibridaciones incompatibles, con consecuentes inaplicaciones o rechazos, o a adaptaciones exitosas coherentes con las exigencias políticas y culturales del sistema que imita57. En la perspectiva que aquí interesa conviene ahora detenerse, aunque sea brevemente, sobre dos aspectos de la problemática que estamos examinando: a) de un lado, el problema de las “malas” imitaciones; b) de otro, las causas que, en general, determinan la circulación de los modelos. a) Acerca el problema de las “malas” imitaciones, a veces es el cuadro normativo referencial en el que el modelo jurídico opera dentro del sistema de origen el que se escapa a la recepción, determinando malos entendidos o equivocaciones en el sistema imitador. Naturalmente, no hay que limitarse a aclarar, «caso por caso, que la solución extranjera considerada superior haya tenido óptimos resultados en el ordenamiento de origen, sino que sea igualmente apropiada para el propio país. En particular, puede suceder que las soluciones desarrolladas en el extranjero y que han demostrado buenos resultados no puedan ser trasladadas a nuestro derecho –o por lo menos no lo puedan ser permaneciendo inmutadas (...)»58. No es casual que la “sumisión” del modelo jurídico acogido dependa de un conjunto de factores políticos y ambientales y, además, del correcto análisis comparativo conducido por los órganos legislativos; un análisis que hubiese considerado únicamente el dato formal de los textos normativos y excluyese su concreta actuación en el ordenamiento de referencia, abriría el camino a serios riesgos 53 A. Watson, “Legal Change: Sources of Law and Legal Culture”, en Un. of Pennsilvanya L.R., n. 131, 1983, p. 1154, habla de «enormous power of the legal culture determinino the timing, the extent and the nature of legal change», aunque niegue el nexo necesario de los transplants con la cultura jurídica, no siendo necesariamente el derecho un espejo de la sociedad. En este sentido también A. Riles, “Comparative Law and Socio-Legal Studies”, en M. Reimann, M. Zimmermann (eds), The Oxford Handbook of Comparative Law, cit., p. 795. 54 Cfr. L. Pegoraro, A. Rinella, Las Fuentes en el Derecho Comparado (con especial referencia al ordenamiento constitucional), ed. peruana al cuidado de J.F. Palomino Manchego, Grijley, Lima, p. 103 ss. y la bibliografía citada. 55 Por ej., en los países romanistas es posible hallar, en diferentes periodos, «el encuentro de modelos legales franceses y de modelos doctrinales alemanes»: R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 137. 56 Cfr. sobre este tema a G. Gorla, Diritto comparato e diritto comune europeo, Giuffrè, Milano, 1981, p. 543 ss.; V. Grementieri, “La circolazione dei modelli normativi nel sistema giuridico europeo: il contributo delle Corti europee”, en Riv. dir. civ., n. 5, 1990, p. 547. 57 La imitación puede determinar como efecto un fenómeno de aculturación, si la sociedad imitante pierde su identidad o, viceversa, de mera asimilación. Para profundizar en el argumento y para la bibliografía respectiva, R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 13 ss. R. Sacco, “Rapport de Synthèse”, en Aa.Vv., La circulation du modèle juridique français (Journées franco-italiennes de l’Association Henri Capitant, Nice et Gênes, 1993,Travaux de l’Association Henry Capitant, XIV), Litec, Paris, 1994, p. 8 s., señala incluso que a menudo las limitaciones no son conscientes: «C’est-à-dire –recuerda P.G. Monateri, “Critique et différence: le droit comparé en Italie”, en Rev. int. dr. comp., n. 4, 1999, p. 997– «les importations que personne n’a consciemment dessiné, ou projeté, mais qui ont profondément marqué le caractère d’un système». Sobre las diferentes tipologías de recepción, L. Pegoraro, A. Rinella, Diritto pubblico comparato. Profili metodologici, Cedam, Padova, 2007, p. 92 ss.; Id., Introducción al Derecho Publico Comparado, Unam, México, 2006, p. 101 ss, y Palestra, Lima p. 89 ss. 58 K. Zweigert, H. Kötz, Einfürung in die Rechtsvergleichung. Band 1: Grundlagen, Mohr Siebeck, Tübingen (1a ed., 1971), trad. ingl. An Introduction to Comparative Law, 3a ed., Clarendon Press, Oxford, 1998, trad. it. de la 3a ed. (Tübingen, 1984), Introduzione al diritto comparato. 1: Principi fondamentali, Giuffrè, Milano, 1998, p. 19. Para el tema de los presupuestos de una recepción fructifera cfr. además: O. Khan-Freund, “On Uses and Misuses of Comparative Law”, en Modern L.R., n. 37, 1974, p. 1 ss.; A. Watson, “Legal Transplants and Law Reform”, en Law quart. rev., n. 1, 1976, p. 79 ss.; E. Stein, “Uses Misuses and Nonuses of Comparative Law”, en Northwestern Un. L.R., n. 1, 1977, p. 198 ss. 20 © Filodiritto Editore de ineficacia del trasplante59, incluyendo el peligro de su probable rechazo. Lo mismo vale para las imitaciones (y las citas) jurisprudenciales. Se ha observado que las influencias e imitaciones son mucho más frecuentes entre sistemas parecidos; aunque, en realidad, la circulación de los modelos puede tener lugar también entre sistemas profundamente diferentes60. En los procesos de imitación-recepción, entre las demás circunstancias, resultan particularmente importantes las condiciones de comprensión y conocimiento de los modelos a imitar. Un rol determinante compete al conocimiento de la lengua en la que el modelo se expresa. Por último, en cada sistema operan criptotipos. Por lo que, mientras puede resultar fácil imitar una norma explicita, parece muy poco probable imitar un criptotipo, esto es, un modelo jurídico implícito del cual, en ocasiones, el mismo sujeto que lo observa no es plenamente consciente. Así, “criptotipos” particularmente renuentes a la circulación son aquellos vinculados a la mentalidad y a los hábitos implícitos de los juristas. Por otro lado, la presencia de criptotipos puede desvelar ocasionalmente que lo que a primera vista aparecía como recepción de un modelo jurídico (recepción aparente), en realidad no era otra cosa que la reviviscencia de un criptotipo radicado en el ordenamiento que parece ser el imitador. b) Las causas que determinan la divulgación de los modelos jurídicos por imitación se presentan bajo diferentes naturalezas y capacidades; piénsese en la afinidad de condiciones culturales, ambientales, sociales y económicas. Todos ellos representan factores de influencia innegable sobre el proceso de imitación de un modelo jurídico. No cabe duda que la recepción de un modelo responde a una necesidad, a la exigencia de colmar una laguna del ordenamiento, o bien, de hacer propias las soluciones de otros por ser más racionales o parecer más idóneas61. La doctrina comparatista ha destacado que los fenómenos de recepción voluntaria de modelos jurídicos, que son los más difundidos de esa experiencia, tienen como base un factor no-jurídico que consiste en el «deseo de apoderarse de las atribuciones ajenas, cuando esas atribuciones están cargadas de una calidad que no sabemos como llamar sino es con el adjetivo “prestigio”»62. En otras palabras, el prestigio podría constituir el postulado indispensable, aunque talvez no suficiente, para explicar la circulación de los modelos. En relación a la cuestión del prestigio del modelo imitador, podríamos estar tentados a considerar que, en el mismo momento en el que atribuimos al modelo el significado de “forma ejemplar”, reconocemos con ello mismo el prestigio y, en consecuencia, la capacidad intrínseca de ejercitar una significativa influencia sobre otros ordenamientos. En realidad, bajo una consideración adecuada, sí por un lado es verdad que la expresión “prestigio” lleva una carga positiva y una valoración de excelencia referida a un fenómeno y, en ese sentido, algo digno de imitación, es también verdad, por otra parte, que la expresión “forma ejemplar” no siempre es indicativa de un fenómeno positivo63. 59 Acerca de los condicionamientos de la eficiencia de un modelo normativo importado, ver a N.S. Marsh, “Comparative Law and Law Reform”, en Rabels’, Zeitschrift für ausländisches und internationales Privatrecht, Mohr Siebeck, Tübingen, 1977, p. 661 ss.; J.B. Ojwang, “The Application of the Comparative Method in the Domain of the Public Law: Some Reflections”, en Rev. dr. int., n. 1, 1982, p. 207 y ss. 60 Cfr. A. Watson, Il trapianto di norme giuridiche, cit., p. 83, según el cual «el trasplante de normas jurídicas es, desde un punto de vista social, fácil (…). Esto es verdad incluso cuando las normas provienen de un tipo de sistema muy diferente». 61 Cfr. R. von Jhering, Geist des römischen Rechts, Breitkopf und Härtel, I, Leipzig, 1852, p. 8 ss. (cit. en la reimpresión de 1955 en K. Zweigert, H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, I, cit., p. 19), según el cual «la cuestión de la recepción de instituciones jurídicas extranjeras no es una cuestión inherente a la nacionalidad, sino simplemente es una cuestión de finalidad, de necesidad. Nadie se preocupa por buscar en un lugar lejano algo de lo que dispone en casa; por eso, solamente un loco refutaría la quinaquina por no haber crecido en su propio huerto». 62 R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 148. Consúltese además, G. Ajani, “By Chance and Prestige: Legal Transplants in Russia and Eastern Europe”, en Am. journ. comp. law, 1995, n. 43, p. 93 ss. Sobre la necesidad de considerar otros elementos, aparte de las imposiciones de textos jurídicos, para explicar la circulación de modelos, v. M. Graziadei, “Comparative Law as the study of transplants and recepcions”, en M. Reimann, M. Zimmermann (eds), The Oxford Handbook of Comparative Law, p. 463 ss. 63 De este modo, podría considerarse “ejemplar” el modelo de la forma de Estado nacionalsocialista en relación a la categoría de Estado autoritario; pero es evidente que la ejemplaridad, a ese propósito, es una característica que responde a finalidades comparativas y que carece de todo valor axiológico. A. Rapaczynski, “Bibliographical Essay: The Influence of US Constitutionalism Abroad”, en L. Henkin, A.J. Rosenthal (eds), Constitutionalism and Rights: The Influence of US Constitution Abroad, Columbia U.P., New York, 1990, p. 94 ss., limitadamente al contexto estadunidense habla de “positive influence” (cuando el ejemplo estadounidense es evaluado e imitado) y de “negative influence”, cuando es evaluado pero no considerado idóneo a ser importado. 21 © Filodiritto Editore A veces los dos elementos que en la visión dicotómica más recurrente son la causa de las imitaciones a nivel normativo – imposición y prestigio – se confunden, creando monstruos, híbridos donde es difícil entender dónde termina el prestigio y dónde empieza la imposición. Si en el derecho privado comparado la distinción resulta bastante neta64, no me parece que así sea en el derecho constitucional, donde los perfiles de la ciencia jurídica a veces tienen que ver incluso con la política y la fuerza. No hay texto constitucional, así como cualquier enmienda a la Constitución, aunque limitada, que sea completamente inmune a influencias externas, difícilmente dependen solo de la imposición o del prestigio65. En cuanto a la primera (imposición) se debe subrayar, ante todo, que la divulgación de modelos rationae imperii, debida a actos de pura fuerza militar, es un fenómeno relativamente raro en la historia. Sin embargo, la imposición no implica necesariamente meros actos de fuerza; de hecho, es posible que la divulgación de un modelo derive de la capacidad de influencia política, social, cultural, económica – que a veces puede ser dominante –, como incluso de presiones de un determinado ordenamiento estatal sobre otro. Además, no es extraño que una recepción coactiva cese bruscamente al modificarse las relaciones de fuerza. Es útil profundizar en este tema con un ejemplo, relativo justamente a la relación entre imposición y prestigio en el nacimiento o reforma de las Constituciones. Muchos recuerdan que la imposición originaria puede trasformarse en aceptación voluntaria, si desaparecen las condiciones de las dominaciones66. Acerca del prestigio, la historia del constitucionalismo (y la inmensa bibliografía que lo ha acompañado) demuestra la influencia cultural que ha caracterizado el principio de las Constituciones, en todas las épocas y lugares. Podríamos decir que su misma historia es la historia de la circulación de las ideas, por el prestigio de los modelos dotados de más autoridad. Non es sencillo distinguir siempre las decisiones autónomas de las presiones internacionales o de potencias específicas, como resulta claramente en el caso de las Constituciones del Este de Europa adoptadas entre el final de los 80 y el 2000. Las dos categorías – imposición y prestigio – no resultan nada definidas, como resulta de las reformas en materia de equilibrio presupuestario introducidas en muchas Constituciones europeas entre 2010 y 201267. Para clasificar las Constituciones – como cualquier otro acto o hecho jurídico, incluso jurisprudencial – desde el punto de vista de su origen de legitimación interna o externa (o, en la óptica del derecho comparado, para entender si se trata de una recepción por imposición o por prestigio), en el campo del derecho privado, A. Trabucchi da una pista importante68: «Tomemos como ejemplo la violencia moral. Tizio suscribe un contrato porque se le amenaza de un grave daño. La decisión se presenta en la mente de Tizio así: o afrontar el peligro de la amenaza Por otra parte, la ibridación es reconocida incluso entre los privatistas: por ejemplo, M. Graziadei, “Comparative Law as the study of transplants and recepcions”, cit., p. 458, ammette che «dominance and prestige are often joined», aunque «there are many examples of legal imitation driven by prestige alone», y pone como ejemplo el papel de los profesores alemanes en la academia estadounidense; O. Kahn-Freund, “On Uses and Misures of Comparative Law”, cit., p. 1 ss., explica en términos de adaptación (“fit”), entre ley “trasplantada” y contextos locales, la existencia de instituciones autónomas o semi-autónomas, y de injertos “self-contained” o “non self-contained”. 65 Véase por ej. el n. 3/2008 de la Rev. gen. der. públ. comp., con las comunicaciones presentadas al Congreso celebrado en Caserta el 29-30 de mayo de 2008: “2007-2008. Buon compleanno, Costituzioni (La circolazione di principi e istituzioni tra Europa e America: influenze reciproche tra le Costituzioni di Stati Uniti, Messico, Brasile, Italia, Francia, Spagna)”. Y también, entre otros, L. Pegoraro, “Il diritto comparato e la Costituzione spagnola del 1978: recezioni ed ‘esportazioni’”, en F. Fernàndez Segado (ed.), The Spanish Constitution in the European Constitutional Context – La Constitución Española en el Contexto Constitucional Europeo, Dykinson, Madrid, 2003, p. 523 ss., trad. esp. “El Derecho comparado y la Constitución española de 1978. La recepción y la ‘exportación’ de modelos”, en An. iberoam. just. const., n. 9, 2005, p. 287 ss., y en L. Pegoraro, Ensayos sobre justicia constitucional, la descentralización y las libertades, cit., pp. 29 ss. 66 Por ejemplo el mismo M. Graziadei, “Comparative Law as the study of transplants and recepcions”, cit., p. 456 s. 67 Un caso emblemático se dio con las reformas constitucionales en materia de equilibrio presupuestario: véanse E. Álvarez Conde, C. Souto Galván (eds), La constitucionalización de la estabilidad presupuestaria, Idp, Madrid, 2011 [y allí, p. 45 ss., mi ensayo (en colaboración con E.D. Cosimo), La constituzionalización del equilibrio presupuestario. Reflexiones críticas]; E. Álvarez Conde, “La reforma constitucional del 2011”, en Aa.Vv., Constitución y Democracia: Ayer y hoy. Libro homenaje a Antonio Torres del Moral, Ed. Universitas, Madrid, 2012, I, p. 239 ss. 68 A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, 18a ed., Cedam, Padova, 1971, p. 157. 64 22 © Filodiritto Editore o adherir a la contratación, y Tizio prefiere, entonces quiere, hacer el contrato; etsi coactus, decía el antiguo jurista, tamen volui. El derecho interviene concediendo a la victima la acción de nulidad porque esta voluntad se formó en un modo equivocado, pero no porque una voluntad faltaba. Y lo mismo pasa con el error o el dolo, que influyen, en lugar de la libertad, sobre los elementos que inducen el sujeto al contrato». El derecho civil considera entonces anulables los contratos donde hay un vicio del consenso. ¿Pero esto vale también para el derecho constitucional? ¿En qué medida, por lo menos para la clasificación, los vicios del consenso son observados por la ciencia constitucionalista? Cuáles sean las plausibles motivaciones “ideológicas” de la indiferencia o al menos la escasa atención de las Constituciones (pero también del legislador, de la jurisprudencia y de la doctrina) por un fenómeno – la formación del consenso – que también concurre a diferenciar la forma de Estado liberal democrático de aquella totalitaria, cada reflexión queda consignada en los aportes de otras ciencias, a las cuales los juristas tal vez debieron confiarse en tentar de concebir soluciones diversas de aquella habitual. En el derecho civil, el juez evalúa prudentemente (con eventual asistencia de asesores técnicos) si la coacción psicológica fue tan fuerte como para determinar un comportamiento no libre. Así, en el derecho penal el juez puede, mejor debe, evaluar el elemento psicológico del delito. En el derecho constitucional, la pregunta no es si nos encontramos ante Constituciones nulas o anulables (o las reformas) cuando están impuestas o condicionadas “desde fuera”, aunque, en casos extremos, puede haber consecuencias hasta en los formantes dinámicos69. Sin embargo, hay al menos que preguntarse si estas categorías meramente empíricas de las Constituciones, como las que se han dado hasta ahora de las Constituciones impuestas, pueden ser satisfactorias o exhaustivas. ¿Cuando de verdad una Constitución (o reforma) puede definirse “impuesta”, además de en caso de debellatio o de construcción por parte del Estado colonial? ¿Y una Constitución (o reforma) puede decirse “condicionada” sólo en presencia de actos internacionales formales, que implican una cesión de soberanía, o la categoría merece ser ampliada a otras hipótesis? Las respuestas se pueden encontrar en ciencias que estudian el poder (la ciencia política), sobre la base de los resultados alcanzados, porque tienen que ver, en la génesis de una Carta fundamental, con la fase de transformación de la política en derecho y, en caso de reformas que afectan a los principios fundamentales del sistema, con el ejercicio de un nuevo poder constituyente (o, mejor, constituyente/ constituido). Más allá del dato formal (que les corresponde a los juristas), la medición no pueden hacerla solo los constitucionalistas. El riesgo es que procedan por impresiones o con datos aproximados. La aplicación de lógica de clasificación débil (que deriva de la lógica fuzzy)70 sugiere entonces disponerlas, según los elementos adquiridos, en una escala dividida en grados, donde en un extremo lado se encuentran textos casi inmunes de influencias externas diferentes del prestigio, y en el otro, Piénsese en el caso de Constituciones de Estados que son tales sólo de nombre, como por ejemplo la República social italiana sostenida en el Norte de Italia al final de la Segunda guerra mundial, por el Tercer Reich (véase ahora A. Reposo, Storia e critica comparata della Costituzione italiana, Bup, Bologna, 2012, cap. I, § 1.7), o en las reformas realizadas durante los regímenes de emergencia, de guerra u ocupación, donde esté expresamente prohibido, como en Portugal, España, Francia o Bélgica. (Véanse los artículos 284 de la Constitución de Portugal; 169 de la Constitución española; 94 de la Constitución francesa de 1946 y 89 de la Constitución de la Quinta República; 196 de la Constitución belga.) Véase también el preámbulo de la Constitución húngara (2011), donde declara la invalides de la anterior: «We do not recognise the suspension of our historical constitution due to foreign occupations. We deny any statute of limitations for the inhuman crimes committed against the Hungarian nation and its citizens under the national socialist and communist dictatorships. – We do not recognise the communist constitution of 1949, since it was the basis for tyrannical rule; therefore we proclaim it to be invalid».). 70 Vid. S. Baldin, “Riflessioni sull’uso consapevole della logica fuzzy nelle classificazioni fra epistemologia del diritto comparato e interdisciplinarietà”, en Rev. gen. der. públ. comp., n. 10, 2011, p. 3 ss. Per alcune applicazioni pratiche della teoria nel campo della comparazione, C. Casonato, “Il fine-vita nel diritto comparato, fra imposizioni, libertà e fuzzy sets”, en A. D’Aloia (ed.), Il diritto alla fine della vita. Principi, decisioni, casi, Esi, Napoli, 2012, p. 523 ss.; L. Pegoraro, J.O. Frosini, “Constitutional Courts in Latin America: A Testing Ground for New Parameters of Classification”, en Journ. comp. law, n. 2, 2009, p. 39 ss. y en A. Harding, P. Leyland (eds), Constitutional Courts. A Comparative Study, Wildy, Simmonds & Hill Publ., London, 2009, p. 345 ss. (trad. esp. “Tribunales constitucionales en Latino América: ¿un campo de prueba para nuevos parámetros de clasificación?”, en L. Pegoraro, Derecho constitucional comparado. Itinerarios de investigación, cit., p. 263 ss. y p. 329 ss.). 69 23 © Filodiritto Editore textos incluso formalmente privados de legitimación interna (popular o incluso autoritaria)71. Los elementos que las caracterizan son típicos de otros textos también, y tampoco faltan en los que podríamos definir “condicionados”: a su vez, estas no serían sólo las Constituciones cuyo origen fue limitado con acuerdos internacionales (como Weimar), sino también aquellas (o partes de ellas) nacidas o reformadas en sus partes indefectibles tras sanciones (pienso en la génesis de la Constitución sudafricana, o en las recientes iniciativas en Siria), o condiciones de la comunidad internacional o de la Unión Europea (Este de Europa, Grecia ). La pregunta que hay que ponerse es esta: ¿estas categorías – imposición y prestigio –, como la crítica que se acaba de hacer a la dicotomía, se pueden aplicar a la circulación jurisprudencial del derecho? Mutatis mutandis, diría que sí, y no solo porque por las razones evidenciadas supra entre los formantes principales hay siempre una intensa circulación recíproca. En la jurisprudencia también hay casos de “imposiciones” y de imitaciones (mediante las citas) por el prestigio. Ello depende de la verticalidad u horizontalidad del diálogo. 5. Diálogos y monólogos: horizontalidad y verticalidad en las relaciones entre las Cortes La doctrina ha señalado cómo la circulación de las soluciones juridicas (y de los principios y las ideas) se produce hoy, en gran medida, por via jurisprudencial, gracias sobretodo a las aportaciones de las Cortes constitucionales y de las Cortes internacionales y trasnacionales72. Por una parte, estas reciben, a través de los jueces de diverso origen geográfico y cultural, las aportaciones de las distintas doctrinas y culturas nacionales, unificándolas en el veredicto; de otra, las devuelven, por así decir, a los distintos ordenamientos nacionales a los cuales se aplican obligatoriamente o sobre los cuales tienen un fuerte efecto persuasivo. Las citas referidas al derecho de la Unión Europea o internacional o de los principios enunciados por la Corte Interamericana u otras en la jurisprudencia nacional a veces simbolizan un referente cultural al igual que las referencias que se hallan sobre el derecho comparado en la jurisprudencia comunitaria o internacional. Sin embargo, la ratio de las referentes “internacionales” respecto a las comparativas es evidentemente diferente, pues no es lo mismo argumentar la decisión en función de la observancia a un tratado, una convención o una directiva de la Unión Europea (en efecto, ¿cómo puede el juez ordinario o constitucional ignorar tales fuentes, en sede interpretativa o aplicativa, para decidir un caso que le implica?) que citar la normativa extranjera como argumentum quoad auctoritatem para sustentar o rechazar una determinada solución73. Más bien, las normas y sentencias internacionales (y también extranjeras) adquieren interés a nivel comparativo si el juez de cada país puede adoptar la decisión prescindiendo de éstas aun cuando las tome en consideración dentro del propio reasoning para fortaLas Constituciones “impuestas” no resultarían así sólo las que han sido definidas tales de forma pacífica (Japón, Alemania, Afganistán. Iraq). La Constitución en vigor de Iraq, por ejemplo, ha sido adoptada formalmente por una asamblea específica; nadie duda de las fuertes presiones occidentales, y specialmente de los EE.UU., para imponer algunos contenidos (en particular, los derechos, la estructura federal del Estado, concepto del todo ajeno a la mentalidad y cultura del país). 72 Véanse por ej.: Aa.Vv., “The International Judicial Dialogue: When Domestic Constitutional Courts Join the Conversation”, en Harvard L.R., n. 114, 2001, p. 2049 ss.; A.-M. Slaughter, “40th Anniversary Perspective: Judicial Globalization”, en Virginia journ. int. law, n. 40, 2000, p. 1103 ss.; Id., “A Typology of Transjudicial Communication”, en Un. of Richmond L.R., n. 29, 1994, p. 99 ss.; Id., “A Global Community of Courts”, en Harvard int. L.J., n. 44, 2003, p. 191 ss.; Cl. L’Heureux-Dubé, “The Importance of Dialogue: Globalization and the International Impact of the Rehnquist Court”, en Tulsa L.J., n. 34, 1998, p. 15 ss.; M. Claes et al. (eds), Constitutional Conversations in Europe. Actors, Topics and Procedures, Intersentia, Cambridge-Antwerp-Portland, 2012. 73 Conformemente, V. Vigoriti, “L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica”, en Aa.Vv., L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica, Quad. della Riv. trim. dir. proc. civ., n. 7, Giuffrè, Milano, 2004, p. 14. Contra U. Drobnig, “The Use of Comparative Law by Courts”, cit., p. 5 ss. Análogamente distingue entre «recours obligatoire au droit comparé» y «l’utilisation libre du droit comparé» M.R. Legeais, “L’utilisation du droit comparé par les tribunaux”, en Rev. int. dr. comp., n. 2, 1994, pp. 347 ss. Por M. Andenas, D. Fairgrieve, “Intent on making mischief: seven ways of using comparative law”, en P.G. Monateri (ed.), Methods of Comparative Law, cit., p. 29, «Comparative law has been seen to provide courts with persuasive and non-binding arguments. At the current stage, there is an argument about the consequences of a call for more consistency. One question is whether courts are ever bound to make use of comparative law sources, for instance in certain situations when an authority is based on comparative law sources». 71 24 © Filodiritto Editore lecer con argumentos de autoridad el propio iter argumentativo74. El uso de Derecho Internacional o Europeo pone en evidencia un problema de circulación “vertical” de la actividad interpretativa, porque frecuentemente, aunque no siempre, cuando un Juez nacional lo usa lo hace solo porque debe hacerlo, en cuanto que debe resolver problemas de compatibilidad entre diversas normas. Se trata de un uso uso ratione imperii, coesencial a su actividad no haciendo ni más, ni menos que cuando usa la Constitución nacional para detectar la contradicción entre la misma y una fuente subordinada, o cuando resuelve conflictos de competencia entre normas de distintos ordenamientos sobre la base de una lex superior. Se trata entonces de un monólogo, pero no sucede así cuando el juez, sea nacional o internacional (e europeo), no está obligado a citar y a usar material de un ordenamiento distinto; en resumen, cuando la circulación es horizontal (así por ej.: entre la Corte interamericana y las Cortes europeas), o cuando una Corte usa el derecho extranjero porque quiere y no porque debe75. Para negar que existe “diálogo”, sería útil emplear otros elementos, en particular, demostrar que las Cortes “importantes”, o que sirven como “modelo”, son las únicas citadas por las Cortes de los países “receptores”, y que en sentido contrario no existe ningún efecto de retorno de éstas sobre aquellas. Solo el análisis empírico, estadísticamente demostrable, puede testimoniar que las cosas son verdaderamente así. Los cultores del derecho privado comparado, quienes están consolidados por una fuerte tradición, han dedicado diversos ensayos, libros, artículos, reseñas, notas y convenios a la «utilización complementaria del derecho extra-estatal»76, y, particularmente al uso de las sentencias extranjeras en la jurisprudencia. Los estudios sobre derecho extranjero en la jurisprudencia, que han sido desarrollados por los cultores del derecho privado, insisten sobre el comportamiento de las cortes y los tribunales ordinarios, los cuales, solo en parte (es decir, en los ordenamientos de common law y mixtos y donde la Corte Suprema se juez de constitucionalidad) también tienen que afrontar los problemas de constitucionaldad. Los resultados alcanzados atestiguan que: las cortes de common law77 y mixtas78 utilizan bastante el argumento comparado; se ha emprendido una evolución alternativa en otros ordenamientos la cual ha sido explicada con razones disparatadas, pues se han apoyado, preponderantemente, en razones de orden histórico-cultural79; se ha asistido a una progresiva expansión de las citas extra-estatales en Se destaca en la doctrina que el derecho extranjero no es capaz por sí solo de determinar una orientación jurisprudencial respecto a las cortes; éste es utilizado como un soporte para reforzar una ya determinada toma de posición (A. Gerber, “Der Einfluss des ausländischen Rechts in der Rechtsprechung des Bundesgericht”, en Aa.Vv., Perméabilité des ordres juridiques, Schulthess, Zürich, 1992, p. 141 ss.). Señalamos que el contenido sustancial del derecho extranjero prevalece más que sus efectos prácticos dentro de la jurisprudencia que alude al derecho comparado. Cfr. al respecto U. Drobnig, “The Use of Comparative Law by Courts”, cit., p. 17, donde se cita una decisión del Bundesverfassungsgericht en sentido contrario. La praxis belga parece prestar más atención a los efectos. 75 Sobre diferencias véase la Constitución de Sudáfrica, donde coexiste una abertura hacia el derecho internacional y extranjero como instrumentos interpretativos de la Carta de los derechos formulados en estos términos: el Ch. 2, s. 36, y espec. s. 39, afirma que al interpretar el Bill of Rights cada Corte, Tribunal o forum «(b) must consider international law», y «(c) may consider foreign law». 76 Acerca de esta terminología, v. A. Somma, “Le corti italiane e l’uso complementare di modelli normativi extrastatuali nel processo di armonizzazione del diritto in àmbito comunitario”, en Aa.Vv., L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica, cit., p. 25 ss. Acerca de la finalidad del uso, M. Taruffo, “The Use of Comparative Law by Courts”, en Aa.Vv., Italian Reports to the XIVth Congress of Comparative Law, Giuffrè, Milano, 1994, p. 51 ss. 77 En particular, véase los siguientes ensayos, los cuales se encuentran en U. Drobnig, S. van Erp (eds), The Use of Comparative Law by Courts, cit.: J. Chen, “The Use of Comparative Law by Courts: Australian Courts at the Crossroads”, p. 25 ss.; H.P. Glenn, “The Use of Comparative Courts by Law Courts in Canada”, p. 59 ss.; P. Viau, “L’Utilisation du droit comparé par les Tribunaux – Rapport Canadien”, p. 79 ss.; U. Drobnig, The Use of Foreign Law by German Courts”, p. 127 ss.; E. Örücü, “Comparative Law in British Courts”, p. 253; D.S. Clarck, “The Use of Comparative Law by American Courts”, p. 297 ss.; A.A. Levasseur, “The Use of Comparative Courts by Courts”, p. 315 ss. 78 Una vez más en U. Drobnig, S. van Erp (eds), The Use of Comparative Law by Courts, cit., v. R. Sanilevici, “The Use of Comparative Law by Israeli Courts”, p. 197 ss. 79 Cfr. en U. Drobnig, S. van Erp (eds), The Use of Comparative Law by Courts, cit., los ensayos de P. Agallopoulou, C. DeliyanniDimitrakou, “L’Utilisation du droit comparé par les Tribunaux Helléniques”, p. 149 ss.; H.E. Sigurbjrnsson, “Application of a Comparative Method by Icelandic Courts”, p. 197 ss.; K. Nishino, “The Use of Foreign Law by Courts in Japan”, p. 223 ss.; M. Elvinger, “Le recours, par les jurisdictions luxemburgeoises, aux techniques de droit compareé dans l’interprétation et l’application du droit luxemburgeois”, p. 231 ss.; S. van Erp, “The Use of Comparative Law Method by the Judiciary – Dutch National Report”, p. 235 ss. Sobre las raíces históricas que condicionan el comportamiento de los jueces, véase dentro de la inmensa literatura, por lo menos P.G. Monateri, Il modello di civil law, Giappichelli, Torino, 1997, espec. p. 29 ss.; acerca de la formación de los operadores jurídicos en los 74 25 © Filodiritto Editore todos los ordenamientos. Semejantes investigaciones son de gran utilidad para los comparatistas que se encauzan hacia el derecho constitucional y público, pues excavan en las raíces de los comportamientos culturales que justifican la apertura hacia el derecho extranjero, realizan reconstrucciones históricas y confrontaciones al igual que construyen modelos. En los últimos años, también los constitucionalistas han estudiado el uso del derecho comparado por parte de Cortes y Tribunales Constitucionales80. En los Estados Unidos, algunos autores han llegado a afirmar que la atención hacia el derecho extranjero puede distraer a los jueces de la comprensión del derecho interno81. La visión narrow minded de la corriente originalista americana (que con flagrante contradicción pretende que los derechos defendidos por su Constitución sean “universales”) es desmentida por la praxis de numerosos Tribunales82. El hecho de que, dentro del área de common law, los jueces recurran al derecho comparado más Estados Unidos, v. sintéticamente J. Cueto Rua, El “common law”. Su estructura normativa – su enseñanza, Editorial La Ley, Buenos Aires, 1957, p. 289 ss. En general, U. Mattei, Il modello di common law, 2a ed., Giappichelli, Torino, 2004, espec. p. 27 ss. y 69 ss., y R.C. van Caenegem, Judges, Legislators and Professors. Chapters in European Legal History, cit., passim (e ivi, p. 135 de la edicción italiana, apuntes sobre la aversión, madurada en Inglaterra como en Francia, por parte de los respectivos pueblos hacia los juristas). 80 G.F. Ferrari, A. Gambaro (a cura di), Corti nazionali e comparazione giuridica, Esi, Napoli, 2006, y por la bibliografía ivi, p. 477 ss., L. Pegoraro, “L’argomento comparatistico nella giurisprudenza della Corte costituzionale italiana”; Id., La Corte costituzionale italiana e il diritto comparato: un’analisi comparatistica, Clueb, Bologna, 2006; Id., “La Corte costituzionale e il diritto comparato nelle sentenze degli anni ’80”, en Quad. cost., n. 3, 1987, p. 601 ss.; L. Pegoraro, P. Damiani, “Il diritto comparato nella giurisprudenza di alcune Corti costituzionali”, en Dir. pubbl. comp. eur., n. 1, 1999, p. 411 ss., trad. ingl. “Comparative Law in the Judgments of Constitutional Courts”, en A. M. Rabello, A. Zanotti (eds), Developments in European, Italian and Israeli Law, Giuffrè, Milano, 2001, p. 131 ss., trad. esp. “El Derecho comparado en la jurisprudencia de los Tribunales Constitucionales”, en. Rev. jur. Castilla-La Mancha, 1999, n. 26, p. 209 ss. y en L. Pegoraro, Ensayos sobre justicia constitucional, la descentralización y las libertades, cit., pp. 145 ss. Además N.P. Sagües, “El recurso al derecho y al intérprete externo en la interpretación e integración de la Constitución nacional”, en Aa.Vv., Memoria del X Congreso iberoamericano de Derecho constitucional, Inst. Iberoam. de Der. Const. et al., Lima, 2009, I, p. 95 ss.; G. de Vergottini, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, cit.; A.M. Slaughter, “A global community of Courts”, en Harvard L.R., n. 1 (44), 2003, p. 191 ss. 81 C.N. Llewellyn, “Remarks on the Theory of Appellate Decision and the Rules of Canons About Statutes Are To Be Construed”, en Vanderbilt L.R., n. 3, 1950, p. 395. El tema, como todos saben (porque la polémica ha sido registrada por los estudiosos en todas partess, más allá de su efectivo interés), ha representado el objeto de una violenta controversia entre los jueces Brewer –favorable– y Scalia, que en nombre del originalismo de la Constitución estadounidense demoniza el derecho extranjero. Las repercusiones son importantes incluso a nivel parlamentario, con propuestas de prohibir expresamente las referencias al derecho comparado [Senate 520 (2005), Hause of Representatives 1070 (2005)]. Al contrario para sostener la tesis de que el uso de derecho comparado representa un “método universal de interpretación”, se expresa K. Zweigert, “Rechtsvergleichung als universale Interpretationsmethode”, in (Rabels) Zeitschrift für ausländisches und internationales Privatrecht, n. 15, 1949-50, p. 5 ss. Afirma M. Reimann, “The End of Comparative Law as an Autonomous Subject”, en Tulane eur. and civil law forum, n. 11, 1996, p. 53, que algunos causes de la formulación estadounidense sobre el derecho comparado «lie in the intellectual and cultural predisposition of the majority of American lawyers, as is widely known and much bemoaned. Among them are parochialism, belief in the superiority of the American Way (i.e., arrogance), the lack of language skills, etc.». Otro ejemplo es aquel de L. Epstein, J. Knight, “Constitutional Borrowing and Nonborrowing”, en I. Con, n. 2, 2003, p. 196 ss., que tratando el tema de los trasplantes desde una perspectiva general (Este de Europa-occidente), no renuncia a dedicar varias páginas a la polémica entre Brewer y Scalia. 82 T.L. Grove, “The International Judicial Dialogue: When Domestic Constitutional Courts Join the Conversation”, en Harvard L.R., n. 114, 2001, p. 2064, observa que «The U.S. Supreme Court has been notably absent from the international judicial dialogue. Even as its opinions are cited by constitutional courts all over the world, the U.S. Supreme Court continues to look inward». El análisis de los constitucionalistas demuestran que el Conseil constitutionnel francés se apoya en los argumentos comparados menos que la Corte costituzionale italiana, el Tribunal Constitucional español y la Cour d’Arbitrage (ahora constitutionnelle) belga, por no decir que se apoya menos en la comparación que las cortes restantes, bien sean de common law o bien sean expresión de los sistemas mixtos. Asimismo se incluye a la Corte estadounidense, al Bundesverfassungsgericht alemán y al Tribunal federal suizo, por citar algunos de los tribunales especializados de los ordenamientos que gozan de una democracia estabilizada. También otras cortes o tribunales constitucionales han realizado apelaciones bastante importantes en relación al derecho comparado, inclusive los países de la Europa del Este [ver varios ensayos en G.F. Ferrari, A. Gambaro (eds), Corti nazionali e comparazione giuridica, cit.]; en particular, sobre las referencias extraestatales del Bundesverfassungsgericht alemán v. además A. Weber, “The Role of Comparative Law in Civil Liberties Jurisprudence of the German Courts”, en A. De Mestral et al. (eds) The limitation of human rights in comparative constitutional law – La limitation des droits de l’homme en droit constitutionnel comparé, Éditions Yvon Blais, Cowansville (Québec), 1986, p. 525 ss. Acerca del gap que se encuentra en las citas de los tribunales ordinarios («extremely poor» dentro de la esfera privatista, y casualmente en la penalista), y respecto a las apelaciones comparadas por parte del Bundesverfassungsgericht («almost only on the top»), v. U. Drobnig, “The Use of Foreign Law by German Courts”, cit., p. 140 s. Sobre el Tribunal suizo cfr. G. Walter, “L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica: il caso della Svizzera”, en Aa.Vv., L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica, cit., p. 47 ss y espec. p. 48 s., donde el autor recuerda que las cortes evocadas con mayor frecuencia son el Tribunal constitucional y la Corte suprema alemana. 26 © Filodiritto Editore que los colegas de civil law es una constatación difusa por parte de los comparatistas-privatistas83, que explican el fenómeno apoyándose en la sustancial irrelevancia de las barreras lingüísticas84, o en el rol político y cultural que ha asumido la praxis aplicativa, porque los jueces están «acostumbrados a ejercitar concientemente el role de protagonistas en la evolución de los ordenamientos»85. Igualmente, ha sido subrayado que existe una mayor propensión a usar la comparación en los ordenamientos de dimensiones reducidas (empero, el ordenamiento belga desmiente la propia tendencia de la jurisdicción ordinaria, la cual ha sido señalada por la doctrina86), en los ordenamientos donde conviven más sistemas87, en los que son “democráticamente jóvenes”88, o en los multiculturales como Suiza89. Dentro de estos últimos – además de Canadá, se incluye a Israel y a Sudáfrica– la jurisprudencia constitucional contiene ricas citas comparativas, la cual no sólo presta atención a las sentencias de common law invocadas como precedentes sino también a la legislación y a la doctrina, sea anglófona o sea de cualquier otra procedencia90. La tendencia a utilizar el derecho comparado por parte de los países exportadores de modelos no es menor con respecto a los Países importadores, los cuales, en teoría, son los primeros, que prestan atención a la experiencia extranjera. Sin embargo esta aseveración tiene que ser demostrada: Francia, país “exportador”, se apoya muy poco en la comparación, mientras los Estados Unidos la utilizan bastante, a diferencia de Italia, Bélgica y España, los cuales son Países receptores de modelos91. Por otra parte, dentro del área de common law y del área mixta, Canadá, Israel y Sudáfrica importan en el reasoning de sus jueces tanto los modelos como el resultado de los estudios de derecho comparado – las clasificaciones, las definiciones, etc – . Las reconstrucciones constitucional-comparatistas son de utilidad para que las Cortes elijan con conocimiento de causa tanto las referencias específicas como las categorías generales. La subsunción 83 U. Drobnig, “The Use of Comparative Law by Courts”, cit., p. 12 s., además de todos los autores de los Países de common law (Australia, Canadá, Reino Unido, Estados Unidos) cuyas contribuciones aparecen en U. Drobnig, S. van Erp (eds), The Use of Comparative Law by Courts, cit., passim. Además, A. Somma, “Le corti italiane e l’uso complementare di modelli normativi extrastatuali nel processo di armonizzazione del diritto in àmbito comunitario”, cit., p. 31 s. e ivi ulteriores referencias a la doctrina. Adde A.S. Zuckerman, “The sensitivity of English courts to the jurisprudence of other States within the European union”, en Aa.Vv., L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica, cit., p. 61 ss. Señalan M. Andenas, D. Fairgrieve, “Intent on making mischief: seven ways of using comparative law”, cit., p. 25: «Across the national borders dividing the Commonwealth, the seamless nature of the common law, from its origins in English law, through its permutations across to former colonies and beyond, provided a reason and justification for courts to look to each other’s jurisprudence, exchange solutions and thereby create a network of persuasive authority». 84 Resalta que están aventajados los ordenamientos en los cuales se utilizan lenguas difusas A. Somma, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, cit., p. 58. Acerca de la importancia de la lengua también insisten B. Markesinis, Comparative Law in the Courtroom and Classroom. The story of the Last Thirty-Five Years, Hart Publ., Oxford-Portland, 2003, trad. it., Il metodo della comparazione. Il retaggio del passato e le sfide del futuro, Giuffrè, Milano, 2004, p. 99 ss.; É Zoller, “Qu’est-ce que faire du droit constitutionnel comparé?”, en Droits, 2000, n. 32, p. 131; M.C. Ponthoreau, “Le recours à ‘l’argument de droit comparé’ par le juge constitutionnel”, cit., pp. 172 y 180. 85 A. Somma, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, cit., p. 273. En general, sin embargo, las justificaciones se fundamentan en la integra diferencia que existe entre las sentencias de common law y las sentencias de civil law. (Sobre esta diferencia, el primer supuesto se vincula a las discusiones de rationes y opiniones que justifican en cada caso la racionabilidad de la elección que ha sido adoptada, y el segundo supuesto se vincula a la utilización de un esquema silogístico, v. al respecto P.G. Monateri, Pensare il diritto civile reimpresión., Giappichelli, Torino, 1997, p. 63.). 86 H. Kötz, “Der Bundesgerichtshof un die Rechtsvergleichung”, en 50 Jahre Bundesgerichtshof, Festgabe aus der Wissenschaft, Bd. II, Beck, München, 2000, p. 873. 87 U. Drobnig, The Use of Comparative Law by Courts, cit., p. 13; G. Alpa, L’arte di giudicare, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 42 ss. 88 ... como por ejemplo, Hungría y Sudáfrica: cfr. M.C. Ponthoreau, “Le recours à «l’argument de droit comparé» par le juge constitutionnel”, cit., p. 182, y C. Dupré, Importing the Law in Post-Communism Transitions, Hart Publishing, Oxford 2003, passim ; A. Rinella, “La Corte costituzionale del Sudafrica: il contributo del diritto comparato al consolidamento della democrazia”, en G.F. Ferrari, A. Gambaro (eds), Corti nazionali e comparazione giuridica, cit., p. 379 ss. 89 Vid. G. Walter, “L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica: il caso della Svizzera”, cit., p. 49; S. Gerotto, “L’uso della comparazione nella giurisprudenza del Tribunale federale svizzero”, en G.F. Ferrari, A. Gambaro (eds), Corti nazionali e comparazione giuridica, cit., p. 281 ss. 90 Sobre la circunstancia de que (todas) «las Cortes constitucionales de hoy dan indirectamente vida a un dialogo cerrado acerca de las cuestiones de particular actualidad e importancia (...), influenciándose recíprocamente (y suscitando el fenómeno de la conocida “cross fertilization” y de las “reciprocal influences”)» v. G. Walter, “L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica: il caso della Svizzera”, cit., p. 49. 91 R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 256 ss.; A. Gambaro, “Il diritto comparato nella aule di giustizia ed immediati dintorni”, en Aa.Vv., L’uso giurisprudenziale della comparazione giuridica, cit., p. 8; A. Somma, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, cit., p. 66. 27 © Filodiritto Editore de un caso en una categoría general es, en efecto, un argumento clásico del derecho comparado, que favorece la intención de resaltar elementos diferentes o analógicos. La referencia a un modelo comporta consecuencias prescriptivas, y la percepción de que una determinada disciplina (como la que es objeto de juicio) sea conforme o disconforme en relación a la clasificación otorgada representa un “fuerte” argumento para desarrollar la comparación92. Con mayor frecuencia de los jueces ordinarios, las cortes constitucionales deberían invocar, tanto el derecho comparado (los resultados de la doctrina) como la jurisprudencia de otros jueces constitucionales. Al contrario, existe doquiera un continuum cuantitativo y cualitativo en la utilización de las referencias extra-estatales. En los ordenamientos donde los jueces comunes utilizan bastante las referencias comparadas, igualmente los jueces constitucionales se apoyan en ella. Empero, en los ordenamientos donde los jueces de legitimidad y de merito son reacios a indagar sobre las soluciones ajenas, las cortes constitucionales también siguen el mismo camino. La continuidad se percibe vistosamente en los sistemas donde la corte suprema es un órgano del poder judicial, y por tanto el juicio de último grado se confunde con el juicio de constitucionalidad (a pesar de que existe la tendencia hacia la especialización por parte de la corte suprema). En otras palabras, por un lado, se confirma la transferencia de estilos desde los reasoning de los jueces ordinarios hacia los reasoning de los jueces constitucionales, inclusive el belga y el francés, aunque su extracción ostente un matiz marcadamente político y el procedimiento de control de constitucionalidad se inserte dentro del procedimiento de aprobación de las leyes, y por otro lado, se atestigua la importancia del formante cultural respecto a los otros. Con independencia de otros elementos, los cuales caracterizan la jurisdicción constitucional (extensión del parámetro, “politización” de la elección o nombramiento de los magistrados, la exigencia de efectuar el juicio de ponderación, etc.), sin embargo, lo que sella la diferencia entre ordenamiento y ordenamiento, verdaderamente, es el hábito mental, el uso más o menos consolidado de la comparación dentro de la costumbre de los jueces93. ¿Pero, verdaderamente, las únicas cortes citadas son aquellas consideradas “modelos”, como por ejemplo las de los Estados Unidos o de Alemania? Por razones de espacio, no se pueden exponer en esta sede las estadísticas (que están todavía en proceso) que hasta este momento he recopilado. Pero, al menos, puedo sintéticamente señalar algunos de los datos que han salido a la luz. En primer lugar, al menos, a nivel de jurisprudencia constitucional, en los sistemas de common law (y mixtos) respecto a las citas de derecho extranjero no se observa una prevalencia de las Cortes inglesas respecto de las otras. La causa se podría encontrar en la ausencia de una jurisdicción especializada en la antigua madre patria, aunque ni siquiera la Corte Suprema estadounidense tiene un papel particularmente privilegiado. En sentido contrario, no es inusual encontrar sentencias de Israel que citan Chipre, o sentencias sudafricanas que citan a India o Canadá, pero también sentencias canadienses que miran más allá del vecino que está al Sur. Las citas encontradas guardan relación con leyes, sentencias, doctrina. Esto es cierto también para la América latina, donde los referentes utilizados son tanto (recíprocamente) del área latina, como de la experiencia estadounidense, canadiense y europea (con alguna invasión en otros países). Por M. Andenas, D. Fairgrieve, “Intent on making mischief: seven ways of using comparative law”, cit., p. 50, «Comparative law can be used in the following cases: (1) to provide support for a rule or an outcome; (2) for normative models in comparative law where national law is undetermined; (3) to review factual assumptions about the consequences of legal rules; (4) to review assumptions about the universal applicability of a particular rule; (5) to overturn authority in domestic law; (6) to develop principles of domestic law; and (7) to resolve problems of the application of European and international law, including European Human Rights law». 93 El derecho comparado – nos recuerda G. Alpa, “L’Arcadia del comparatista. Un saggio di storia e di metodo”, ubicado en la introducción de B. Markesinis, Il metodo della comparazione. Il retaggio del passato e le sfide del futuro, cit., p. XVI – «no es un juego para confinar en los museos académicos, pues absorbe tareas de naturaleza social. Está expuesto al mundo de los operadores, los legisladores, los profesionales, los clientes, y sobre todo los jueces los cuales deben escoger la opción, y para hacer esto deben estar asistidos, orientados, anticipados, y también tienen que tomar en consideración lo que sucede en otras experiencias diversas a las suyas propias. A esta nueva realidad no se puede adaptar el viejo método de la comparación, que privilegia el modelo nacional de pertenencia, con alguna incursión hacia el exterior». 92 28 © Filodiritto Editore En otro contexto clasificatorio, en cambio es cierto que la jurisprudencia estadounidense y europea occidental, frecuentemente, no hace referencia a universos fuera del suyo propio (con algunas esporádicas excepciones). Con las precisiones vistas supra, prevalentemente las referencias se encuentran dentro de esta área, con una cierta primacía del Derecho alemán (tanto en términos de soluciones legislativas como en términos de jurisprudencia, como de doctrina). También es cierto que, normalmente, las new entries del Este de Europa en el club de la liberal democracia toman como referencia las experiencias consolidadas (pero no ocurre lo mismo en sentido contrario), y esto me parece imputable a la ausencia de un consolidado back-ground jurisprudencial del cual extraer nuevas experiencias. No existen, por cuanto está en mi conocimiento, datos relativos al uso de la comparación, por parte de las Cortes, en el área africana y asiática, y tampoco de la que está a cargo de la antigua Unión Soviética (áreas altamente heterogéneas desde el punto de vista cultural y de cultura jurídica). La circulación del Derecho por vía jurisprudencial, especialmente sobre algunos temas al menos parcialmente homogéneos en el constitucionalismo, tienden a hacer referencia a los modelos hegemónicos, pero no desprecian las referencias transversales, ni carecen por completo de acertamientos cautelosos de las Cortes leader sobre la jurisprudencia innovadora de países emergentes, como Sudáfrica. Aunque la convicción de autosuficiencia permanece arraigada en las Cortes occidentales, que en sintonía con las visiones predominantes resuelven en globalización la imposición de modelos (especialmente los estadounidenses, aunque no solo), no me parece adecuado no emplear la palabra “diálogo” para definir este perfil de la circulación del Derecho. La posición del pater familias en una comunidad familiar no significa ausencia de diálogo, sino solo prevalencia de una voz, que la emancipación de los hijos, o lo Schlussemacht –el poder de administración de la casa– puede aminorar, dando equilibrio a las relaciones, en espera de una evolución posterior hacia la potestad compartida. 6. El objeto privilegiado del diálogo: los derechos Debido a la ampliación de las fronteras de la Ley, de la jurisprudencia y de la doctrina y como consecuencia del fenómeno de la globalización y a los nuevos retos a los que nos enfrentamos, el diálogo entre las Cortes aporta algunos problemas, mientras que otros se disuelven cuando el diálogo es en materia de derechos. Los problemas del derecho comparado en el tratamiento jurisprudencial de los derechos son incluso más delicados de los que se encuentran en otros campos; sin embargo, excluyendo de los casos de conflictos entre derechos individuales y derechos culturales (como los de los pueblos indígenas), la jurisprudencia de las Cortes internacionales y de las nacionales lo tienen uniformados en cuanto al sentido, y al nivel de las diferencias, apoyándose tanto en la doctrina, como en la filosofía para los caos más comunes. Esto pone de manifiesto la circulación de las soluciones compartidas (y por tanto, las referencias a jurisprudencia extranjera), aunque con gruesos riesgos de malvadas ideas y de “trasplantes” infructuosos o dañinos para el ordenamiento receptor. Los problemas para las Cortes se relacionan con la vaguedad de la palabra – “derechos” subjetivos – empleada en el lenguaje jurídico (y común) de occidente, para ser aplicada a sistemas, familias y comunidades (como las autóctonas), donde por el razones jurídico-culturales no pueden tener sentido análogo. Estamos en presencia, quizás, del caso más flagrante de un vago y polisémico uso de una palabra importante en el derecho constitucional moderno94. Están implicadas las doctrinas de distintos 94 Reenvío a mi artículo “Direito constitucional comparado y uso conotativo dos direitos (e dos adjetivos que o acompanham)”, en Rev. brasil. est. const. – RBEC, n. 12, 2009, p. 93 ss., trad. esp. “Derecho Constitucional Comparado y uso connotativo de la palabra “derechos” (y de los adjetivos que la acompañan)”, en An. iberoamer. der. const., n. 14, 2010, p. 347 ss. y en L. González Placencia, J. Morales Sánchez (eds), Derechos Humanos en perspectiva: actualidad y desafíos en el siglo XXI, Fontamara, México, 2012, p. 39 ss. Véase O. Pfersmann, “Le droit comparé comme interprétation et comme théorie du droit”, cit., p. 286: «La science du droit dira que les ‘human rights’ sont ceux qui sont définis comme tels dans le statute ‘Human Rights Act’ dans l’ordre juridique du Royaume-Uni; le droit comparé interprétera ces human rights comme des libertés publiques ou des droits subjectifs protégés par le législateur contre des violations résultant de normes infra-législatives par la voie de recours juridictionnels ou par d’autres concepts généraux que l’on jugera plus fins». 29 © Filodiritto Editore ordenamientos, tanto del derecho europeo como del internacional. Un mal uso de la palabra determina una degeneración de la misma en el mundo jurídico, como en aquel de la cultura política (nacional o internacional), de la geopolítica, de la economía95. Razonar científicamente sobre los “derechos” desde una óptica interna es menos complejo que razonar sobre otros referentes (objetos) del lenguaje jurídico (como “federalismo”, o también “control político”96), principalmente porque la base común de estudio y de aceptación del contenido de la palabra es mucho más amplia de lo que lo es respecto a otras categorías. (Hay un léxico común internacional, y también universal, por lo menos en las acepciones que le dan los tratados.) Sin embargo los condicionantes de la cultura jurídica de pertenencia se hacen patentes. Esto es una consecuencia directa de las relaciones entre los distintos formantes. En la construcción de un ordenamiento nacional, el legislador está influenciado por la doctrina. Y cuando interpretan el sistema normativo propio, el juez y el estudioso nacional, ya se muevan desde el formante normativo estudiado, ya se mueven desde la doctrina inspiradora, tenderán a extraer un juicio de coherencia entre el esquema y las medidas adoptadas por el legislador y los principios inspiradores de la doctrina de referencia. En el campo de los derechos, al contrario que en otros, el “primo noto” (el derecho de pertenencia) tiende a ser supranacional, de “área cultural”. Para definir los “derechos” el investigador se apoyará sobre elaboraciones de área más amplia, sobre un “patrimonio cultural común” a investigadores (y a sistemas jurídicos) del mundo occidental (a pesar de sufrir la influencia del derecho interno). Se presupone que los derechos tienen una sola Grundnorm (según lo cual la comparación sería más fácil). Sin embargo la influencia de desarrollos diferenciados entre macro-áreas culturales impide razonar desde un idem sentire y elaborar una definición completamente compartida incluso entre los estudiosos nacionales de un mismo e idéntico ordenamiento. A su vez, el entrelazado de formantes contribuye a complicar el juego hasta el infinito, con influencias recíprocas de nuevas elaboraciones doctrinales y nuevas soluciones normativas y jurisprudenciales, que se influyen una a la otra97. Por otra parte, el pluralismo definitorio y clasificatorio – dentro de cualquier ordenamiento (o área) – es dilatado por la pluralidad de los acercamientos empleados: el relieve dado a las ciencias no jurídicas en la definición y clasificación, la predilección por perspectivas estructurales o funcionales, la consideración por el hecho textual o por la actuación practica... Se pueden, de esta forma, encontrar diferencias de planteamiento (y por tanto también de definiciones y de clasificaciones de “derechos”): a) dentro de cualquier ordenamiento; b) y a mayor escala, entre estudiosos continentales europeos, británicos y estadounidenses. Se evidencia pues, que, en algunos contextos lingüísticos, la palabra “derechos” es a veces fungible con otra igualmente impregnada de connotaciones positivas (“libertad”), y no resulta infrecuente, como en los lenguajes y metodologías del derecho italiano y español, que los dos términos figuren en endíadis (“derechos y libertades”) sin que a menudo se clarifique el significado, o sentido, en el cual los dos fragmentos lingüísticos son utilizados, salvo que se considere el segundo de ellos en términos de “facultad» (“faculties”), como en Hart98. Una última precisión: no siempre, en el formante normativo, una situación jurídica de favor viene indicada con un sustantivo, al cual corresponde un preciso nomen iuris (derecho, poder, facultad, interés legítimo, etc.) acompañado eventualmente de una calificación (cívico, político, humano, social, fundamental, etc.). A veces, de hecho, la aserción que un sujeto tiene a un derecho viene determinada a través de conexiones entre fragmentos de normas; frecuentemente, las fórmulas utilizadas son del tipo «nadie puede ser privado del juez asignado por las leyes», o «ninguna pena puede ser dada si no Observan que los estudiosos de los derechos humanos dedican escasísima atención a los problemas metodológicos. A.P.M. Coomans, F. Grünfeld, M.T. Kamminga, “Methods of Human Rights Research: A Primer”, en Hum. rights quart., n. 32, 2010, p. 180 ss. 96 Reenvío para profundizar, a mi estudio “Semántica de ‘control político’ (elementos reconstructivos para un análisis comparado)”, en J.L. Prado Maillard (ed.), El control político en el Derecho Comparado, Comares, Granada, 2010, p. 137 ss. 97 Basta pensar en la distinción entre situaciones jurídicas subjetivas protegidas en modo directo y aquellas protegidas de manera mediata, fruto de elaboraciones doctrinales y jurisprudenciales, después recibidas (pero solo en algunos ordenamientos) a nivel normativo, o bien en la distinción entre procedural rights y substantive rights formulada en las cortes y por los juristas anglosajones y especialmente por los constitucionalistas estadounidenses. 98 H.L.A. Hart, “Are there any Natural Rights?”, in Phil. rev., n. 64, 1955, p. 175 ss.; al respecto véase también A. Ross, On Law and Justice, Stevens & Sons, London, 1958, cap. VI. 95 30 © Filodiritto Editore es en base a las leyes», o «el secreto de la correspondencia es inviolable», o similares. Incluso: a veces se utiliza el “definidor básico” de “derecho”, es decir “deber”, como donde estuviese escrito: «es un deber del Estado asegurar una instrucción adecuada a todos los ciudadanos». En este caso, compete a la doctrina y a la jurisprudencia cualificar la situación protegida como derecho, individualizar –donde ocurra– las correspondientes situaciones jurídicas desfavorables (deberes, obligaciones) determinar si el “derecho” en cuestión está adscrito a una particular tipología y extraer las consecuencias en cuanto al nivel de protección y tutela, la eficacia inmediata (o menos) etc. La imprecisión con la cual el término es frecuentemente usado por los constitucionalistas denuncia la confusión del lenguaje técnico con el común. Presuponer derechos innatos, adscribirles un valor universal, sea tanto sincrónicamente como diacrónicamente, e incluso buscarlos en los improbables “núcleos duros”, válidos más allá de las prescripciones normativas o jurisprudenciales de cada ordenamiento en cada época histórica, supone precisamente traducir la idea común que de “derechos” tiene el profano, influenciado por la cultura de una sociedad especifica, dentro de una estructura científica en la cual la pretensión o el interés por la tutela de una posición subjetiva equivale a su efectiva protección en cada ordenamiento99. Por otro lado, es cierto que el uso de la palabra “derechos” en este sentido los empuja hacia la positivización subjetiva, contribuye a «influenciar el derecho positivo a favor de clases de sujetos»100. Los estudiosos de formación ius-naturalista e idealista, como la jurisprudencia, le dan cuerpo con sus teorías a tales reivindicaciones, que parten de la historia, de la geografía, de la política, de la sociología, de la economía, sirviendo como base para reivindicaciones de “derechos”, los cuales no existen en sentido positivo, afinados en un ordenamiento ideal, que todavía, ¡ay de mí!, son en realidad hijos de particulares influjos culturales, generados por la larga y fatigosa historia de las luchas y las doctrinas políticas occidentales que los han acompañado. No existen en sentido positivo, al menos hasta que el legislador o las cortes, recurriendo también a otras experiencias, sancionan su exigibilidad. Para entender las diferencias, y sobretodo para reconocer visiones distintas de las relaciones entre el hombre y la sociedad, un diálogo jurisprudencial bidireccional (no por tanto un monólogo desde el occidente hacia otras culturas distintas) puede acudir a la positivación de tales reivindicaciones101. 7. Conclusiones: doctrina y jurisprudencia frente a la globalización del Derecho La globalización – vocablo particularmente ambiguo102 – no es sólo un fenómeno económico, y comprende o implica múltiples facetas jurídicas: «el crecimiento constante del listado universal de los derechos mediante interacciones recíprocas de las sucesivas declaraciones de derechos [...]; la revisión de la idea de soberanía nacional [...]; una suerte de nuevo Derecho de gentes (law of nations, ius gentium) [...]; una estrategia de prevención de las violaciones de derechos mediante diversas Por ej., según R. Garganella, C. Courtis, El nuevo constitucionalismo latinoamericano: promesas e interrogantes, Cepal, Santiago de Chile, 2009, p. 11, una de las principales preocupaciones de las nuevas Constituciones latinoamericanas es solucionar el problema de la desigualdad social. 100 V. U. Scarpelli, “Diritti positivi, diritti umani: un’analisi semiotica”, en S. Caprioli, F. Treggiari (eds), Diritti umani e civiltà giuridica, Pliniana, Perugia, 1992, p. 39. Si el inmigrante reivindica el derecho a la asistencia médica diciendo «tengo derecho a curarme sin correr el riesgo de ser denunciado», o el homosexual afirma que tiene derecho a vivir su propia sexualidad y a casarse como cualquier otra persona, en realidad están declarando justamente lo contrario, es decir que no ostentan dicho derecho. Manifiestan pretensiones de ventaja no reconocidas, en nombre de una cultura/sociedad que parece ya madura y preparada para ampliar la esfera de reconocimiento. De hecho podrán hacerlo solo si este es el presupuesto. En otros climas y otros lugares y en otros tiempos, probablemente ni siquiera se hubiese soñado plantear tales reivindicaciones. 101 «Le pluralisme et le relativisme: tels sont les premiers enseignements qu’un cours de droit comparé doit dispenser» – ci ricorda B. Fauvarque-Cosson, “L’enseignement du droit comparé”, en Rev. int. dr. comp., n. 2, 2002, p. 308, quien añade: «Il est essentiel que les étudiants découvrent d’autres systèmes juridiques et d’autres manières de penser le droit. Ainsi feront-ils l’expérience de la variété et de la contingence du droit; ainsi apprendront-ils la tolérance à l’égard d’autres cultures; ainsi développeront-ils le recul nécessaire pour mieux comprendre leur propre système juridique. L’étonnement nourrira la critique; celleci ne peut plus se fonder exclusivement sur la comparaison entre deux, trois ou même plusieurs systèmes juridiques nationaux. Elle doit aussi prendre appui sur les sources de droit internationales, transnationales, supranationales; à défaut, la vision serait tronquée et la critique faussée car toutes ces sources font désormais partie des systèmes juridiques». 102 Lo ricorda A. Baricco, Next. Sobre la globalización y el mundo que viene, Anagrama, Barcelona, 2002. 99 31 © Filodiritto Editore organizaciones supranacionales [...]; se reclama incluso por algunos autores una “dimensión transnacional del Derecho Procesal Constitucional” [...]»103; a ella se asocia una globalización cultural. Sin embargo, los diferentes “formantes” no viajan normalmente a la misma velocidad. Sobre todo, la economía es rápida; el derecho, lento; la cultura, lentísima; y cuando, para seguir a la economía, el derecho humilla a las culturas ajenas, las recepciones son bastante difíciles. El tema relativo a la muerte del derecho comparado en el mundo globalizado, presupuesto por las visiones de Fukuyama104, es un refrain común105: el riesgo que se teme es que la globalización extinga las diferencias, y que, por este motivo, la ciencia comparada esté destinada a morir, como más de uno imagina, poniendo de relieve una presunta irrelevancia de frente a fenómenos como la globalización, la conexión de la convergencia transnacional, la así llamada armonización y el progresivo compartimiento de un solo derecho común106. En particular, la globalización corroe la misma idea de derecho: los centros de producción jurídica se fragmentan, y esto es solo en parte mitigado por los fenómenos de concentración, como la Unión Europea107; caen las barreras entre público y privado, y este último se sustrae a los imperativos de la época de Westfalia y a las reglas de un derecho internacional que vale, allí donde vale, solo para la esfera publica; las normas internacionales no están acompañadas de sanciones eficaces; la soft-law lo deja a discreción y abre incógnitas; los legisladores nacionales y supranacionales son incapaces de reducir a un sistema la pluralidad de las normas; está difuminada la aceptación al menos epidérmica, por parte de los sistemas jurídicos no occidentales, de principios y reglas ajenas a las bases jurídicas y culturales, y se multiplican las consecuentes fracturas entre los distintos formantes; ni las fuentes 103 J. García Roja, “La interpretación constitucional de una declaración internacional, el Convenio Europeo de Derechos Humanos, y bases para una globalización de los derechos”, en Rev. iberoam. der. proc. const., n. 5, 2006, p. 168 ss. Para un estudio de las causas y las opiniones al respecto, C.A. Espino, “El Estado constitucional y su soberanía en un mundo globalizado”, en Memoria del X Congreso iberoamericano de Derecho Constitucional, cit., I, p. 713 ss., e J.E. Romero, “Soberanía y globalización en las Constituciones”, ivi, p. 821 ss.; R. Arnold, “Identidad constitucional y poder supranacional: relativización de soberanía estatal en integración europea”, y F. Balaguer Callejón, “Derecho constitucional e integración supranacional en el contexto de la globalización”, ambos en Aa.Vv., Constitución y Democracia: Ayer y hoy. Libro homenaje a Antonio Torres del Moral, Ed. Universitas, Madrid, 2012, I, p. 2997 ss. y 3039 ss.; F. De Souza de Brito, “Motivações e tendências pós-modernas do direito comparado e as filosofias da globalização”, en J.M. Serna de la Garza (ed.), Metodología del derecho comparado. Memoria del Congreso Internacional de Culturas y Sistemas Jurídicos Comparados, Unam, México, 2005, p. 421 ss., y J. Ruipérez, “Estado social versus ‘aldea global’, ivi, p. 453 ss. 104 Parece una utopía la visión de F. Fukuyama, “The End of History?”, in The National Interest, n. 16,1989, p. 3, che «What we may be witnessing is not just the end of the Cold War, or the passing of a particular period of post-war history, but the end of history as such: that is, the end point of mankind’s ideological evolution and the universalization of Western liberal democracy as the final form of human government». 105 Cfr. M. Siems, “The End of Comparative Law”, en Journ. comp. law, n. 2(2), 2007, p. 133 ss. Y (citado por el mismo Siems) M. Reimann, “The End of Comparative Law as an Autonomous Subject”, en Tulane eur. and civil law forum, n. 11, 1996, p. 49 ss. Además P. Goodrich, “Interstitium and non-law”, cit., p. 213: «If there is a modus, a method and melody to the angst of comparative law, a theme that conjoins the grand and merry men of situated difference, it is that of the singular universal, the unhappy consciousness of the particular instance.1 As thus staged, the problem with comparison is not the comparata but rather, and this will be my thesis here, my emblem and end, it is the collapse of law. The agony of indistinction, the erasure of boundaries, the becoming virtual of borders and identities spells the universalization of comparison and the advent of non-law». 106 Sobre el debate, véase H. Muir Watt, “Globalization and Comparative Law”, en M. Reimann, M. Zimmermann (eds), The Oxford Handbook of Comparative Law, cit., p. 579 ss., la cual subraya el nexo entre papel de la comparación en el mundo globalizado y los esfuerzos para uniformizar empezados en el siglo XX, desde el Congreso de París (p. 581), preguntándose si la comparación será todavía posible en el mundo globalizado (p. 583 ss.). Véase también O. Pfersmann, “Le droit comparé comme interprétation et comme théorie du droit”, cit., p. 277: «S’il n’existe qu’un seul, le problème ne se pose pas, s’il en existe plusieurs, la solution proposée (un système transnational et par conséquent unique) est par hypothèse exclue», y M.M. Siems, “The End of Comparative Law”, cit., p. 133 ss., donde anticipa el fin del derecho comparado como disciplina académica [contra, C. Costantini, “The iconicity of space: comparative lawand the geopolitics of jurisdictions”, en P.G. Monateri (ed.), Methods of Comparative Law, cit., p. 230: «Comparative law is not at its intellectual end»]. Criticando leyes universales (teológicas y jurídicas), y en contraste con G. Agamben –citado en la edición francesa Le Régne et la gloire, Seuil, Paris, 2008, p. 56 ss. – v. P. Goodrich, “Interstitium and non-law”, cit., p. 225 s.: «There is a system of legality, a purportedly universal law, a mythology associated with modernity and the West that believes that God and law are unitary, One, and should logically therefore proceed ad similia, towards the same, as a brotherhood, identified and identifying only with and in respect of similarity and the singularity of the Cross. That is a somewhat reductive reading, and as Agamben nicely shows, the doctrine of the Trinity, of a triune deity, in fact absorbs an element of polytheism into the grand schema and penetrative mode of Christian law». Véase también el análisis de S. Cassese, Il diritto globale, Einaudi, Torino, 2009; Id., Lo spazio giuridico globale, Laterza, Roma-Bari, 2003. 107 Cuya institución, también, ha añadido una posterior nivel y varios elementos de complicación, imputables por otro lado a la vaguedad o al excesivo detalle y fragmentación de sus disposiciones, a las frecuentes antinomias internas y en la relación a los derechos nacionales, a las dificultades del multilingüismo, a la escasa estaticidad, a los problemas de justiciabilidad, etc. 32 © Filodiritto Editore privadas, ni las públicas consiguen disciplinar la actividad de los actores privados en la economía global108. Pero el temor a que el derecho comparado muera es probablemente infundado si solo se tiene en cuenta la oposición al cambio, generada por la resistencia de las culturas jurídicas (y de las culturas), y – con reflexiones importantes en el campo constitucional – la reivindicación de modelos de organización constitucional alternativos al occidental109, incluyendo la recuperación de los derechos autóctonos: por ejemplo, en cuanto al cauce del Estado del Bienestar (o Welfare State) una reciente propuesta sugiere separar el llamado Caring State, identificado por la introducción de valores comunitarios tradicionales a nivel constitucional, y en el programa político, como se registra por ejemplo en el Sudáfrica, Ecuador, Bolivia, Bután110. Con referencia a la cultura jurídica, como la luz de una supernova ardiente permanece visible, en la distancia, por millones de años, así las reconstrucciones doctrinales y los modelos por ellas creados, continúan produciendo efectos (y a ser evocados) en los formantes dinámicos (y a menudo también en el mismo formante). Sobretodo, el eclipse de la política (y por tanto del legislador) en la economía, me parecen privilegiar, en todo el mundo, el papel de la jurisprudencia en la producción del Derecho. Existe una crisis en la legitimación de los Gobiernos, y los Parlamentos nacionales y supranacionales, que en parte saca fuera del circuito las decisiones políticas; las decisiones legislativas son del caso concreto, las excepciones sobrepasan la regla. Pero no he venido a hablar de anomia, porque los conflictos son compuestos, y las lagunas, son llenadas por la jurisprudencia. Tanto la jurisprudencia de los sabios, como en algunos sistemas del Este o el Sur del planeta, como la jurisprudencia de los jueces, y sobretodo esta, en la solución de los singulares conflictos traza las líneas uniformes para solucionar problemas. Líneas inciertas porque la jurisprudencia no tiene un centro unificador (a excepción de, en algunos sistemas, el papel que desempeña el precedente), aunque la interacción entre cortes nacionales e internacionales intenta – aunque con mucho trabajo – suplir esta carencia. Allí donde no sea posible hacerlo de manera autónoma, la jurisprudencia (hipótesis residual teniendo en cuenta también los sistemas orientales y del Islam), y donde el legislador no lo consiga (hipótesis más concreta), le corresponde entonces a la doctrina dar uniformidad a la fragmentación. Además de a nivel interno, esta misión se desarrolla en la dimensión transnacional. Es la doctrina la que alimenta bases comunes de la jurisprudencia constitucional en los distintos lugares del planeta, con mayor razón cuando el objetivo es la investigación de reglas y principios comunes. Estoy de acuerdo con Claudio Luzzati cuando dice que es la doctrina el verdadero Hércules dworkiniano111: a esta corresponde leer y releer el derecho jurisprudencial (además del legislativo/constitucional), encontrar las líneas de desarrollo, las concordancias y antinomias, y en un proceso circular H. Muir Watt, “Further terrains for subversive comparison: the field of global governance and the public/private divide”, cit., p. 270 s. y espec. p. 274: «Thus, neo-liberalism requires and induces ‘désordre public’ or private-interest-driven public policy – in fact a scheme of governance that is a far cry from its liberal predecessor; but its basic tenets are made to appear to fit into a spontaneous continuum, leading as if quite naturally to the neutralization of those checks, balances and other mechanisms of self-restraint, which, in the liberal model, subordinate private interests to those of the polity». 109 Según G. Samuel, “Epistemology and Comparative Law: Contributions from the Sciences and Social Sciences”, en M. Van Hoecke (ed.), Epistemology and Methodology of Comparative Law, Hart Publ., Portland, 2004, p. 35 ss., el common law está mejor preparado para recoger los retos de la complejidad respecto a las más sistemáticas ciencias del Derecho civil, en cuanto producto de una cultura a-científica. Una profunda critica sobre el tema se encuentra en A. Somma, Introduzione al diritto comparato, cit., parte II, cap. 2, § 3. 110 S. Bagni, “Dal Welfare State al ‘Caring State’? en Id. (ed.), Dal Welfare State al “Caring State”. Innovazione e tradizione nel costituzionalismo latino-americano, Filodiritto, Bologna, 2013. Ante litteram, algunas peculiaridades señaladas por S. Bagni parecen coincidir en M. Losano, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Laterza, Bari, 2000, p. 176 s., para el cual la asimilación de nativos, al menos formalmente pares con los conquistadores, habría favorecido el desarrollo de algunas formas, aunque débiles de pluralismo jurídico, que consentirían trazar una identidad latinoamericana. También por A. Somma, Introduzione al diritto comparato, cit., parte II, cap. 2, §, 6, «il diritto latinoamericano è peculiare rispetto al diritto occidentale in quanto si configura come commistione di tratti identificativi del secondo con elementi della tradizione indigena. Per alcuni proprio questa caratteristica autorizza a invocare lo schema del rapporto tra centro e periferia: se la modernità occidentale si definisce essenzialmente come superamento dell’elemento tradizionale o comunque premoderno, la componente indigena restituisce il livello di arretratezza del diritto latinoamericano. È invece possibile ribaltare questo schema, discutere di modernità al plurale e considerare l’intreccio tra diritto indigeno e sviluppo della democrazia e del capitalismo come il tratto distintivo della modernità latinoamericana rispetto a quella occidentale». 111 C. Luzzati, L’interprete e il legislatore. Saggio sulla certezza del diritto, Giuffrè, Milano, 1999, p. 59. Véase también «The foundation of the modern social order is not the executioner, but the professor», E. Gellner, Nations and Nationalism, Cornell U.P., Ithaca, 1983, p. 34. 108 33 © Filodiritto Editore construir esquemas de lectura y devolverlos a la jurisprudencia. La doctrina es el guardián del legislador, y el juez de los jueces. Con mayor razón esto es cierto en el derecho constitucional comparado: aquí la doctrina busca dar una nueva lectura global a los fenómenos, buscando los elementos unificadores. «Comparison becomes the law» – diría P. Goodrich112. Las nuevas teorías nacen a veces, desde lo alto, como en el neoconstitucionalismo, y no del análisis empírico. En resumen, antes viene la individualización de los elementos irrenunciables (dignidad, persona, procesos, derechos humanos, etc.), propuestos en clave marcadamente occidental, después su aplicación a los casos. La “irresistible expansión del constitucionalismo”, señalada por casi todos los estudiosos, es tal también porque la doctrina soporta la idea de la superioridad respecto a otras formas de organización constitucional (en sentido sustancial)113. Hay quien dice que el Derecho constitucional es solo el occidental, y el resultado a veces es el uso como parámetro de comparación no de modelos reales (recte, inseparables de la realidad), sino de modelos ideales. La comparación asume entonces, una función estrictamente ética, en vez de un papel científico, ético intrínsecamente. El desafío será entonces – más allá de la unificación o armonización formal – para aceptar y si es el caso enfatizar las diferencias, por parte de los formantes dinámicos, y analizar la disociación entre formantes, por parte de la doctrina.114 P. Goodrich, “Interstitium and non-law”, cit., p. 229. En general, sobre la superioridad de tal modelo de desarrollo, G. Crespi Reghizzi, “La comparazione giuridica estrema: L’Est europeo, l’Estremo Oriente, l’Africa e l’India”, en L. Antoniolli, G.A. Benacchio, R. Toniatti (eds), Le nuove frontiere della comparazione, cit., espec. p. 255 ss. Véase también H. Muir Watt, “Globalization and Comparative Law”, cit., 579 ss. 114 Véase G. Watt, “Comparison as deep appreciation”, cit., p. 90: «It is true, indeed it is a truism (and one that Siems would accept), that if all nations ever reach a state of total legal identity we will have no need for comparative law scholarship, but this only goes to show that comparative law is, as it self-evidently must be, a scholarship concerned with difference. We can surely find some comfort in the fact that the closer we approach a totalitarian state of unification the more apparent will become the cultural differences between nations and the cultural interdependence of law and culture. When one hopes to press a plant into a standard sized pot, it is not at the stage of theoretical planning, nor even at the start of the practical attempt, but at the latter stages of pressing that one is most aware that the roots will not fit». 112 113 34 © Filodiritto Editore Dialogo è comparazione? Saggio sul giudice “costituzionalista comparatista” nella prospettiva del metodo di Michele Carducci* «Non v’è meno spirito né meno inventiva nel citare in modo appropriato un pensiero trovato in un libro, che nell’essere il primo autore di quel pensiero» P. Bayle, Dizionario storico-critico, 1696-1697 «Dobbiamo intenderci con le parole giuste lungo infinite vie processuali che hanno conclusioni sempre limitate, parziali, modificabili» G. Berti, Diffusione della normatività e nuovo disordine delle fonti del diritto, in Jus, 2003, 12 «Non rimane che affidarsi alla concretezza dei confronti e delle dinamiche processuali, e cioè alle strutture dinamiche che impegnano pluralità sempre più estese di soggetti e conducono alla fine a decisioni accettabili proprio in quanto sorrette dal suono di molte voci» G. Berti, Le antinomie nel diritto pubblico, in Diritto pubblico, 1996, 285 Sommario: Introduzione. Parte prima: “dialogo” o comparazione? 1. Oggetto dell’indagine. – 2. Visioni “anarchiche” del giudice “costituzionalista comparatista”. – 3. Conoscenza oggettiva e interpretazione dell’ “altro”. – 4. “Dialogo” o “ri-uso”? – 5. La comparazione come operazione di osservazione e il giudice come “osservatore”. – 6. Lo schema esplicativo di Frankenberg. – 7. Il fattore “C”. – 8. Il versus della comunicazione trans-giudiziale. Parte seconda: “dialogo” o “ri-uso”? 9. Il problema del tertium comparationis. – 10. Il “dialogo” come Common Sense o Iura aliena novit Curia. – 11. Critiche del Common Sense. – 12. Concezioni del “ri-uso”: metafora o citazione? – 13. La “standardizzazione” del “ri-uso”. Parte Terza: il Borrowing dei “dialoghi”/“ri-usi” 14. La UE come tertium comparationis? – 15. Il “ri-uso” di giurisprudenza straniera fra comunicazioni trans-giudiziali diverse. Conclusioni. Tra Google e ipotesi di Corte costituzionale internazionale. Introduzione Questo studio ha per oggetto l’analisi dei fenomeni di “dialogo giudiziale” o Judicial Dialogue (d’ora in poi JD) e di “comunicazione trans-giudiziale” o Transjudicial Communication (d’ora in poi TC) nella prospettiva della metodologia della comparazione giuridica e, in particolare, della comparazione costituzionale. Non offro una definizione previa di che cosa io intenda per JD e TC, limitandomi a dire che in letteratura le due formule sono riferite alla esistenza di un rapporto “dialogico” tra giudici appartenenti a ordinamenti giuridici fra loro differenti1. Professore ordinario di Diritto pubblico comparato, Università del Salento. Pertanto, non si considereranno altre forme di “dialogo” tra attori costituzionali come, per esempio, quella tra giudici e parlamenti (su cui S. Gerotto, Premesse metodologiche ad una teoria del dialogo tra giudice costituzionale e legislatore, Cluep, Padova, 2008) o il cosiddetto “confronto cittadino” (A. Serbin (comp.), Entre la confrontación y el diálogo, Siglo XXI, Buenos Aires, 2003). Questo perché JD e TC sono generalmente assunti come elementi produttivi di un costituzionalismo globale di tipo discorsivo inter-giudiziale, proiettato non a formulare moniti o messaggi verso altri organi o soggetti costituzionali, come avviene invece per il caso del “dialogo” tra giudici e parlamenti, bensì a sperimentare forme di utilizzo, più o meno reciproco, di materiale giuridico “esterno” (sentenze, opinioni giudiziali o dottrinali ecc …) a ciascun singolo giudice “dialogante”. Per un primo inquadramento in tal senso, si v. S. Gardbaum, The New Commonwealth Model of Constitutionalism. Theory and Practice, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2013; G. Halmai, The Use of Foreign Law in Constitutional Interpretation, in M. Rosenfeld, A. Sajó (eds.), The Oxford Handbook of Comparative Constitutional Law, Oxford Univ. Press, Oxford, 2012, 1333. * 1 35 © Filodiritto Editore Il lavoro è strutturato in quattro parti. Nella prima, ci si interroga sulla verifica delle attività di JD e TC come operazioni di comparazione giuridica e costituzionale, nelle modalità riconosciute valide e verificate dalla letteratura scientifica, e sulla identificazione del loro oggetto come profilo aperto a qualsiasi “materia costituzionale” o soltanto ai diritti umani o fondamentali (d’ora in poi DF) o addirittura ad alcuni di essi2. Nella seconda, si osserva l’orientamento teso a inquadrare il “dialogo” come comunicazione non sorretta da uno specifico metodo e dunque riconducibile a stilemi e forme retoriche di “ri-uso”. Nella terza, è analizzato il Judicial Borrowing dei “dialoghi”, ossia il prestito delle modalità di impostazione di interi JD e TC praticati in determinati contesti interordinamentali, da parte di giudici operanti in altri contesti interordinamentali strutturalmente e funzionalmente lontani e differenti. Nell’ultima, si tenta una conclusione esplicativa dei fenomeni osservati e della loro rilevanza per la utilizzazione pratica dei metodi di comparazione giuridica e costituzionale. Parte prima: dialogo o comparazione? 1. Oggetto dell’indagine Parto dalle significative riflessioni indicate in epigrafe, per delimitare l’oggetto di studio di questo articolo: fenomeni di “parole” su cui intendersi (“dialogo”, “comunicazione”, “ri-uso”?), sorretti dal “suono di molte voci” (i giudici che “dialogano”) composto da citazioni3. Non si tratta quindi di una rassegna di giurisprudenza4, quanto piuttosto di un percorso, se così può dirsi, “meta-metodologico”5. Focalizzo questo percorso nell’ambito specifico della “materia costituzionale”, per due ragioni: - perché gran parte del JD e dalla TC verte sul tema della tutela dei DF e sul loro rapporto con i poteri, sia pubblici che privati, nazionali o transnazionali; - perché gran parte del JD e della TC è operato da Corti supreme o Tribunali costituzionali o da giudici sovranazionali o dei diritti umani. Infine, pongo i seguenti interrogativi: JD e TC realizzano meccanismi di comparazione costituzionale da parte dei giudici? Perché il “dialogo” viene considerato comparazione? Ma che cosa significa fare “comparazione costituzionale” per un giudice? I giudici svolgono effettivamente operazioni intellettuali di comparazione? Come? Su quali oggetti? A quale scopo? Infine, il “dialogo” dei giudici è effettivamente “dialogico”? Le pagine che seguono sono dedicate alla ricerca di risposte a queste domande, di fronte a fenomeni molto diffusamente evocati, non altrettanto diffusamente praticati, ma sicuramente ancora poco analiticamente studiati, ancorché descritti6. Per questo, obiettivo di questo articolo è proporne un’analisi proprio nella prospettiva della metoOmetto di approfondire la non facile questione della sinonimia o meno fra diritti umani e diritti fondamentali. Tuttavia, rinvio a T. Mazzarese, Ragionamento giudiziale e diritti fondamentali. Rilievi logici ed epistemologici, in P. Comanducci, R. Guastini, Analisi e diritto 2002-2003, Giappichelli, Torino, 2004, 183 ss., e A. Barak, Proportionality: Constitutional Rights and their Limitations, Cambridge University Press, Cambridge, 2012, 181 ss., per utili inquadramenti, epistemologici e metodologici, connessi al tema di questo studio; nonché a F. Mastromartino, La soggettività degli individui nel diritto internazionale, in Diritto & Questioni pubbl., 10, 2010, 415 ss., per il problema del rapporto fra tutela trans-costituzionale dei DF e soggettività individuale nel diritto internazionale. 3 Si v. L. Pegoraro, Estudio introductorio. Trasplantes, injertos, diálogos. Jurisprudencia y doctrina frente a los retos del Derecho comparado, in E. Ferrer Mac-Gregor, ,A. Herrera García (Coords.), Diálogos jurisprudenciales en Derechos humanos entre Tribunales constitucionales y Cortes internacionales. In memoriam Jorge Carpizo, Tirant lo Blanch, México DF, 2013, 33 ss. 4 A meno che non si consideri la mera rassegna di giurisprudenza una comparazione essa stessa di usi di comparazione. Non sembra escludere questa possibilità R.P. Alford, In Search of a Theory for Constitutionalism Comparativism, in 52 UCLA L. Rev., 2004-2005, 639 ss. 5 Non entro nel merito della qualificazione della comparazione in sé come “scienza generale” (scienza della comparazione). Osservo che uno dei pochissimi Autori costantemente attenti ai risvolti metodologici, e quindi cognitivi, della comparazione costituzionale, come L. Pegoraro (Diritto costituzionale comparato. La scienza e il metodo, Bononia Univ. Press, Bologna, 2014, 58 ss.), accetta la prospettiva di un meta-discorso sulla comparazione che enuclei le operazioni necessarie a qualsiasi confronto, al fine di identificare specificità e loro implicazioni o applicazioni nel campo delimitato del comparatista costituzionalista. 6 Sul tema del JD come “luogo comune”, si v. G. de Vergottini, Oltre il dialogo tra le corti, il Mulino, Bologna, 2010. 2 36 © Filodiritto Editore dologia della comparazione giuridica, e costituzionale in particolare. Per farlo, è necessario assumere alcuni dati di fatto. Il primo è il seguente. Nella realtà, come rilevato da coloro che si sono occupati del tema, la struttura delle operazioni di JD e TC oscilla fra tre diversi livelli di azione: - uso di argomenti comparativi7; - formulazione di giudizi comparativi8; - semplice ricorso, tendenzialmente retorico o estetico, a precedenti giudiziali stranieri9. Sono, tutte queste, attività riconducibili ad una metodologia di comparazione giuridica10? Il secondo è così sintetizzabile. Che cosa si intende per JD e TC e come questi fenomeni sono osservati dai giuristi non è affatto pacifico nella letteratura internazionale interessata al tema. La proliferazione di formule definitorie e di tentativi di classificazione, come si avrà modo di accennare più oltre, contribuisce non poco alla complicazione dello studio. Il terzo è connesso. Altrettanto poco chiaro è comprendere quali siano gli elementi del metodo della comparazione costituzionale che si incontrano nelle operazioni di JD e TC e se questi elementi siano effettivamente corrispondenti alle operazioni, accreditate dalla comunità scientifica dei comparatisti. I dati di fatto, pertanto, militano per un quadro quasi “confuso” o comunque “anarchico” dei contenuti, delle modalità e del linguaggio riferito ai fenomeni di JD e TC. Il che non è affatto privo di conseguenze. Non si deve dimenticare, infatti, che il giudice svolge un’attività pratica che non è di tipo scientifico, ossia speculativo, propositivo e confutatorio, ma decisorio11. Il giudice, in altri termini, è un operatore del diritto deputato a prendere decisioni per risolvere controversie concrete, non per effettuare ricerche di diritto costituzionale comparato utili ad altri operatori sociali (politici, legislatori, giudici stessi, ricercatori, comunità scientifica ecc …). Questo non significa che egli non eserciti operazioni intellettuali di osservazione e valutazione, simili a quelle del costituzionalista giurista e dello scienziato comparatista; semplicemente significa che diverso risulterà l’obiettivo dell’operazione intellettuale da lui condotta e quindi il nesso tra metodo perseguito e fine della decisione da assumere12. Tra l’altro, il giudice di oggi, e lo attestato le interessanti ricerche di Bruno Latour sugli “atteggiamenti” interpretativi e argomentativi dei collegi giudicanti13, è diventato esso stesso un attore potenzialmente “anarchico” nei percorsi metodologici, proprio perché stretto dalla necessità di decidere, e non solo di discutere, su temi ermeneuticamente “aperti” come quelli dei DF14. Sembra quindi che l’ “anarchismo metodologico”15 presidi i fenomeni stessi di JD e TC e la loro osservazione e classificazione. Non a caso, per una parte della dottrina, tale “anarchismo” sarebbe comunque costruttivo per due ordini di ragioni: G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa, Jovene, Napoli, 2011. Ancora G. de Vergottini, op. cit. 9 S N. Sagües, El recurso al derecho y al intérprete externo en la interpretación e integración de la Constitución nacional, in Memoria del X Congreso iberoamericano de Derecho constitucional, tomo I, Idemsa, Lima, , 2009, 95. 10 Per una immediata percezione dei risvolti pratici di questi interrogativi, si v. le sintetiche ma efficaci rilevazioni di G.F. Ferrari, La Corte di giustizia rinuncia (ancora una volta) al metodo della comparazione, in III Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2013, 1035 ss. 11 Si v. il classico Ch. Perelman, Le rôle de la décision dans la théorie de la connaissance, in Justice et raison, Univ. Bruxelles, Bruxelles, 1972, 120 ss. 12 Il dato non è sempre esplicitamente ammesso, ma comunque emerge dalle analisi e dalle riflessioni di chi si occupa di ambiti specifici di “dialogo” tra giudici. Si v., con riferimento a un’emergente problematica del “dialogo” nella Unione europea, A. Ruggeri, “Dialogo” tra le Corti e tecniche decisorie, a tutela dei diritti fondamentali, in federalismi.it, 24, 2013; e M. Losana, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nei giudizi in via incidentale: il diritto costituzionale (processuale) si piega al dialogo tra le Corti, in Rivista AIC, 1, 2014. 7 8 13 B. Latour, La fabbrica del diritto. Etnografia del Consiglio di Stato (2002), trad. it., Roma, Città aperta edizioni, 2007. M.A. Marrafon, O carácter complexo da decisão em matéria constitucional, Lumen Juris, Rio de Janeiro, 2010; J.E. Douglas Price, La decisión judicial, Rubinzal-Culzoni, Santa Fe, 2012. 15 Quando si parla di “anarchismo metodologico”, il riferimento epistemologico non può che essere a P. Feyerabend, Addio alla ragione (1987), trad. it., Armando, Roma, 1990, e alle sue idee sulla utilità di tale anarchismo. 14 37 © Filodiritto Editore - da un lato, perché consentirebbe a JD e TC di operare come strumenti di diffusione dei DF su scala globale, nel pluralismo degli argomenti, delle interpretazioni e degli approcci di valutazione e giudizio non riducibili ad un unico “metodo”, proprio perché concorrenti alla promozione del pluralismo medesimo, senza preclusioni o preferenze precostituite16; - dall’altro, perché inserirebbe qualsiasi giudice nella “rete di management” dei diversi attori giuridici coinvolti dalla globalizzazione dei problemi giuridici e della loro soluzione17. Si tratta di letture tracciate nel solco delle teorie giuridico-costituzionali del “diritto flessibile” (Jean Carbonnier) e del “diritto riflessivo” (Gunther Teubner): il diritto pubblico si sarebbe ridotto al primato dei casi particolari e all’estinzione della centralità dell’autodeterminazione normativa popolare, impossibile a livello globale18; la normatività del diritto costituzionale si sarebbe diluita nella obbligatorietà dettata da condizioni di opportunità e bilanciamento, di volta in volta individuate dal giudice. Tuttavia, sia l’una che l’altra lettura, come si vedrà, semplificano notevolmente il quadro di analisi dei fenomeni di JD e TC, per almeno due ragioni: - presuppongono una sorta di naturalismo neutro e astratto dell’intelletto del giudice, come se effettivamente esistesse quel “candore giudiziario”, ancora oggi predicato soprattutto nella letteratura angloamericana19, quale ragione specifica di “incontaminazione” delle sue scelte rispetto a quelle di qualsiasi altro operatore sociale20; - occultano una serie di problemi pratici che i due fenomeni lasciano comunque sul tappeto della realtà21: per esempio, se la diffusione dei DF attraverso JD e TC comporti una effettiva implementazione degli stessi DF nei singoli contesti in cui il giudice “dialogante” opera; se la frammentazione22 e individualizzazione dei metodi di “dialogo” producano o meno astrazioni indeterminate nella osservazione dei conflitti sottesi alle controversie risolte dal giudice “dialogante”; se JD e TC favoriscano o rafforzino la giustiziabilità di tutti i diritti, compresi quelli sociali23; se JD e TC siano dettati da conformismi indotti da rapporti di forza o egemonia tra ordinamenti, sistemi giuridici, relazioni geopolitiche, condizionamenti economici24. K. Lachmayer, The Possibility of International Constitutional Law: Pluralistic Approach towards Constitutional Law and Constitutional Comparison, in P. Riberi, K. Lachmayer (eds.), Challenges and Dilemmas from Contemporary Constitutional Theory, Nomos Facultas Verlag, Wien, 2014; ma si pensi anche alla tesi del costituzionalismo interculturale di J. Tully, Strange Multiplicity. Constitutionalism in an Age of Diversity, Cambridge Univ. Press., Cambridge, 1995, dove tuttavia un metodo sembrerebbe comunque sussistere e consisterebbe nella “negoziazione” interculturale sui diritti e le identità. 17 O. Frishman, Transnational Judicial Dialogue as an Organizational Field, in Eur. L. J., 19, 2013, 739. 18 Per la critica a questo riduzionismo, F. Müller, Quem è o povo? A questão fundamental da democracia, trad. port., Max Limonad, São Paulo, 1998. 19 D.L. Shapiro, In Defense of Judicial Candor, in 100 Harv. L. Rev., 1986-1987, 731, e P.J. Smith, New Legal Fictions, in 95 Geo. L. J., 2006-2007, 1484. 20 Sulla idea del diritto giudiziale come processo a-scientifico e a-politico, si v. le osservazioni di P.G. Monateri, Geopolitica del diritto. Genesi, governo e dissoluzione dei corpi politici, Laterza, Roma-Bari, 2013, che riprendono in sostanza la demarcazione, radicatasi nella seconda metà del Novecento, tra approcci “pragmatici” e approcci “problematici” nella osservazione e riflessione sulla società e sulla condotta umana (si rinvia a F. D’Agostini, Analitici e continentali, Raffaello Cortina, Milano, 1997). Ma si v., come esempio, anche la premessa “a-metodica” della rassegna di N. Dorsen, M. Rosenfeld, A. Sajó, S. Baer, Comparative Constitutionalism. Cases and Materials, Thomson West, St. Paul, 2003, 8. 21 Sugli effetti di semplificazione della (conoscenza della) realtà, perseguiti dalle teorie del management, si v. J.F. Chanlat, Ciéncias sociais e management. Reconciliando o económico com o social, trad. port., Atlas, São Paulo, 2000, 16 ss. 22 Il tema della “frammentazione” nella edificazione del costituzionalismo globale è molto frequente. Per una ricognizione, si v. R. Deplano, Fragmentation and Constitutionalisation of International Law: A Theoretical Inquiry, in 6 Eur. J. L. Stud., 1, 2013, 67 ss. 23 Si pensi, in proposito, alle posizioni “non dialoganti” tra Corte di giustizia UE che, con le sentenze Viking (C-438/05), Laval (C341/05), Rüffert (C-346/06), restringe il riconoscimento europeo di alcuni diritti sociali, e Corte CEDU che, in Demir et Baycara c. Turchia (2008) e Enerji Yapi Yol Sen c. Turchia (2009), allarga il riconoscimento convenzionale europeo ad alcuni diritti sociali, ancorché non esplicitamente contemplati dalla CEDU. 24 Sulla importanza di questi interrogativi, si v. H. Buxbaum, From Empire to Globalization . . . and Back? A Post-Colonial View of Transjudicialism, in 11 Indiana J. Global Legal St., 1, 2004, 183 ss. Sulla ipotesi di esistenza di una “costituzione economica globale” che condiziona qualsiasi processo di costituzionalizzazione, si v. C. Amirante, Costituzionalizzazione del diritto internazionale e decostituzionalizzazione del diritto interno?, in G. Marcilio Pompeu, M. Carducci, M. Revenga Sanchez (orgs.), Direito constitucional nas relações económicas, Lumen Juris, Rio de Janeiro, 2014, 245 ss. 16 38 © Filodiritto Editore 2. Visioni “anarchiche” del giudice “costituzionalista comparatista” In ogni caso, le tesi che JD e TC attivino forme “spontanee” o “anarchiche”25 di comparazione costituzionale sono dominanti e vengono spesso rubricate come espressione di un ormai acquisito “cosmopolitismo costituzionale”26. A parte le – condivisibili – critiche a tale presunto cosmopolitismo27, bisogna registrare la presenza di due diverse letture di queste tesi. Secondo alcuni28, “spontaneismo” e “anarchismo metodologico” favorirebbero una cultura giuridica a-scientifica e quindi maggiormente tollerante verso la complessità e il pluralismo, indipendentemente dalla sua diffusione e dal suo riconoscimento politico. Secondo altri29, una simile epistemologia, proprio perché indipendente da una qualsiasi verifica metodologica sulle differenze e le disuguaglianze della realtà globale, servirebbe a ri-legittimare rapporti di forza (economica e politica) tra contesti culturali e situazioni sociali asimmetriche, utilizzando il tema del pluralismo per concentrare l’attenzione sulle differenze culturali e religiose, di fronte alle quali rivendicare il primato dell’Occidente euro-nordamericano, e occultare contemporaneamente le disuguaglianze sociali e le ricadute di ingiustizia, prodotte dallo stesso Occidente nella sua plurisecolare “missione” di colonizzazione civilizzatrice (oggi riverniciata dalle formule “dialogiche”30): una strategia analoga, si può aggiungere, con quanto storicamente verificatosi con la evoluzione delle relazioni internazionali31 e con il linguaggio diplomatico, anch’essi fondati sulla comunicazione transnazionale decontestualizzata, dialogica, non verificata32. Resta comunque il fatto che JD e TC definirebbero un campo operazionale globale33 con al centro il giudice34, protagonista di un diritto “ubiquo”35 edificato da pratiche discorsive mutevoli. Una simile “comparazione costituzionale”, attivata da JD e TC, si fonderebbe su sei postulati: 1. ciascuna Costituzione è ormai un frammento del pluralismo della società globale, per cui ciascuna Costituzione non può più essere compresa nella sua singolarità36; 2. ciascuna Costituzione deve essere analizzata solo come parte (“knot”37) di un Network globale di Costituzioni che, pur esprimendo regole, culture ed esperienze differenti, convergono su principi comuni38; 3. i “Networks giudiziali” sono i pionieri di questo processo di apertura delle Costituzioni e della circolazione delle idee costituzionali di principio39; Sull’idea di “costituzione spontanea” si v. G. Volpe, Il costituzionalismo del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2000, 214 ss. Con diversa prospettiva ma convergente conclusione, si v. P. Ridola, La giurisprudenza costituzionale e la comparazione, in G. Alpa (a cura di), Il giudice e l’uso delle sentenze straniere. Modalità e tecniche della comparazione giuridica, Giuffrè, Milano, 2006, 16 ss., il quale, sulla base delle visioni di P. Häberle, parla della “formazione di circuiti comunicativi” come “esperienza” dello “Stato costituzionale cooperativo”, e Q. Camerlengo, Contributo per una teoria del diritto costituzionale cosmopolitico, Giuffrè, Milano, 2010. 27 Mi riferisco alle tesi di U. Beck, Mondializzare i diritti umani, trad. it. in Micromega, 3, 2012, 149 ss. Ma con specifico riguardo al tema della giustiziabilità “cosmopolitica” dei diritti sociali, si v. G. Romeo, La cittadinanza sociale nell’era del cosmopolitismo: uno studio comparato, Cedam, Padova, 2011. 28 G. Samuel, Epistemology and Comparative Law: Contributions from the Sciences and Social Sciences, in M. van Hoecke (ed.), Epistemology and Methodology of Comparative Law, Hart, Portland, 2004, 35. 29 B. de Sousa Santos, Toward a New Legal Common Sense, II ed., Butterworths Lexis Nexis, London, 2002. 30 Sui rischi di un uso “coloniale” dell’approccio “discorsivo” ai DF, si v. G. Azzariti, Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Laterza, Roma-Bari, 2013, cap. IV § 11. 31 A. Yakhlef, The Trinity of International Strategy; Adaptation, Standardization and Transformation, in 9 Asian Business and Management, 2010, 47. 32 D. Kappeler, The Birth and Evolution of a Diplomatic Culture, in H. Slavik (ed.), Intercultural Communication and Diplomacy, DiploFoundation, Malta, 2004, 355. 33 O. Frishman, Transnational Judicial Dialogue as an Organizational Field, cit., 739. 34 A.-M. Slaughter, A New World Order, Princeton, Princeton Univ. Press, 2004; R. Hirschl, Globalization, Courts and Judicial Power: the Political Origins of the New Constitutionalism, in 11 Indiana J. Global Legal St., 71, 2004, 97; S. Choudhry, Globalization in Search of Justification. Toward a Theory of Comparative Constitutional Interpretation, in 74 Indiana L. J., 1999, 819 ss. 35 M.R. Ferrarese, Diritto sconfinato, Laterza, Roma-Bari, 2006; I. Turégano Mansilla, Justicia global: los límites del constitutionalismo, Palestra, Lima, 2010. 36 M. Rosenfeld, The Identity of the Constitutional Subject. Selfhood, Citizenship, Culture, and Community, Routledge, London 2010. 37 Kemmerer, The Normative Knot 2.0: Metaphorological Explorations in the Net of Networks, in 10 www.germanlawjournal.com, 2009, 439. 38 Ch. Thornhill, Niklas Luhmann and the Sociology of the Constitutions, in 10 J. Classical Sociology, 2010, 1. 39 Per uno scandaglio analitico dei Network giudiziali, si v. R. Orrù, La Cross Fertilization giudiziaria a carattere informale e il “sistema delle conferenze” tra Corti costituzionali e organi equivalenti, in I Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2011, 189 ss. 25 26 39 © Filodiritto Editore 4. infatti, il ruolo del giudice è focalizzato non più sulla interpretazione del diritto domestico come complesso di regole, ma soprattutto sulla legittimazione del Network transnazionale delle Costituzioni come patrimonio comune di principi40; 5. in questo modo, il pluralismo diventa la base epistemologica della teoria costituzionale, delegittimando, da un lato, l’utilità dei concetti costituzionali di fondamento esclusivamente nazionale41, e legittimando, dall’altro lato, tutti i soggetti e le forme di comunicazione intersoggettiva della società globale42; 6. la comparazione costituzionale non sarebbe altro che studio di queste forme di “dialogo giudiziale” e di comunicazione globale pluralistica43, diventando essa stessa dialogo e argomentazione44 con un duplice scopo: la “costituzionalizzazione” del diritto internazionale attraverso un diritto costituzionale “internazionalizzato”45; la “costituzionalizzazione” di tutti gli ordini sociali, compresi quelli economici46. In definitiva, la trasformazione della comparazione in JD e TC rappresenterebbe il sintomo della fine del diritto comparato fondato sugli imperativi westfaliani e sul primato del diritto costituzonale nazionale47. Sulla Costituzione come testo prevarrebbe la funzione interpretativa del JD e della TC, talvolta abilitati dalle stesse “clausole di apertura” delle Costituzioni domestiche; funzione che si assume come costituzionale perché si legittima e acquista forza dalla qualificazione costituzionale di qualsiasi ordinamento giuridico in cui entrano in gioco DF e principi comuni. Ad una più attenta analisi, però, questi postulati sembrano presentare alcune omissioni concettuali. a) Da un lato, essi riducono il concetto di “costituzionalizzazione” a semplice “innesto”, operato prevalentemente per via giudiziale, di elementi costituzionali all’interno di qualsiasi ordine sociale, locale o globale, pubblico o privato48, come se la costituzionalizzazione non fosse storicamente e semanticamente una morfogenesi costituzionale49, ossia il determinarsi di specifiche forme giuridiche che proprio l’evoluzione e lo sviluppo delle trasformazioni sociali e giuridiche ha concretamente evidenziato50. b) Dall’altro, essi utilizzano il concetto di “costituzionalizzazione” semplicemente come “interpretazione” per la tutela dei DF, e non anche come “decisione”51 sulle forme di razionalizzazione V. Jackson, Constitutional Engagement in a Transnational Era, Oxford Univ. Press, Oxford, 2010. M. Loughlin, The Idea of Public Law, Oxford Univ. Press, Oxford, 2004, 72. 42 P. Zumbansen, Comparative, Global and Transnational Constitutionalism: the Emergence of a Transnational Legal-Pluralist Order, in 1 Global Constitutionalism, 1, 2012, 16. 43 V. Perju, Constitutional Transplants, Borrowing and Migrations, in M. Rosenfeld, A. Sajó (eds.), The Oxford Handbook of Comparative Constitutional Law, cit., 1324. 44 S. Baer, Verfassungsvergleichung und reflexive Methode: interkulturelle und intersubjektive Kompetenz, in 64 Heidelberg J. Int.‘l L., 2004, 735. 45 J. Habermas, The Constitutionalization of International Law and the Legitimation Problems of a Constitution for World Society, in www.onlinelibrary.wiley.com, 2008; J. Klabbers, A. Peters, G. Ulfstein, The Constitutionalization of International Law, Oxford Univ. Press, Oxford, 2009; J. L. Dunoff, J. P. Trachtman (eds.), Ruling the World? Constitutionalism, International Law and Global Governance, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2009; C.E.J. Schwöbel, Global Constitutionalism in International Legal Perspective, Martinus Nijhoff, Leiden 2011; B.N. Mamlyuk, U. Mattei, Comparative International Law, in 36 Brooklyn J. Int.’l L. 2011, 385; A. Roberts, Comparative International Law? The Role of National Courts in Creating and Enforcing International Law, in 60 Int.’l Comp. L. Quart., 2011, 57. 46 L. Fucci Amato, Constitucionalização Corporativa. Direitos Humanos Fundamentais, Economia e Empresa, Juruá, Curitiba, 2014; S. Gill, A.C. Cutler, New Constitutionalism and World Order, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2014. 47 M. Siems, The End of Comparative Law, in 2 J. Comp. L., 2007, 133; M. Reimann, The End of Comparative Law as an Autonomous Subject, in 11 Tul. Eur. and Civ. L. Forum, 1996, 49; H. Muir-Watt, Further Terrains for Subversive Comparison: the Field of Global Governance and the Public/Private Devide, in P.G. Monateri (ed.), Methods of Comparative Law. An Intellectual Overview, Edward Elgar, Cheltenham-Northampton, 2012, 270. 48 O. Diggelmann, T. Altwicker, Is there Something like a Constitution of International Law? A Critical Analysis of the Debate on World Constitutionalism, cit. 49 R. Prandini, Le morfogenesi della Costituzione nell’epoca della globalizzazione, in 2 Soc. & Pol. Sociali, 2011, 116. 50 M. Loughlin, What is Constitutionalisation?, in P. Dobner, M. Loughlin (eds.), The Twilight of Constitutionalism?, Oxford Univ. Press, Oxford, 2010, 47. 51 Sulla plausibilità del discorso giuridico dei giudici come coerenza narrativa nei concetti e non solo nelle decisioni, J. Aguiar e Silva, A prática judiciária entre direito e literatura, Coimbra, Almedina, 2001. 40 41 40 © Filodiritto Editore del potere e di esercizio della democrazia52, enfatizzando una idea di costituzionalismo “giuridico” e “giudiziale”, o “culturale”53, e non anche di costituzionalismo “politico” e “generale”54, ossia di un Constitutional Decision Making (o Design, come si vedrà) parzialmente sottratto ai processi di deliberazione popolare55. Infatti, il focus strategico della comparazione/“dialogo” riguarda l’erosione del monopolio statale sul tema dei DF56, con tre imporanti conseguenze sulla comparazione proposta: la prospettiva si concentra sulla situazione giuridica degli individui; la prospettiva si fonda non tanto sulla sfera economica e sociale della convivenza, quanto sull’autodeterminazione e sulla privacy; l’idea di pluralismo è declinata come differenza di autodeterminazioni culturali e non di condizioni socio-politiche materiali. c) Da un altro lato ancora, questi postulati non superano l’hegelismo della memoria e della esperienza occidentale euro-nordamericana del costituzionalismo57, perché immaginano una realtà piatta, diversificata nelle premesse (il pluralismo sociale e culturale fuori dell’Occidente) ma convergente nelle finalità di sviluppo (l’interpretazione dei diritti umani da parte di giudici occidentalizzati sul patrimonio comune dei principi)58, scissa, secondo la logica euristica denunciata da Ferguson59, tra modernità come “telos” (cioè come obiettivo di un processo che si svolge nel tempo) e modernità come “status” (come privilegio di chi è già moderno: ovviamente l’Occidente euro-nordamericano). Infatti, quale sarebbe il parametro comune o universale di questa comparazione/“dialogo”? Lo stesso circuito comunicativo tra i giudici60? Ma chi decide come attivare questo circuito? Chi ha l’ultima parola? Si tratta realmente di un circuito “spontaneo”, “incondizionato”, “neutro”, “simmetrico” e “paritario” tra i diversi attori comunicanti, sia nelle premesse (come comparazione “in entrata”) sia nelle finalità (come comparazione “in uscita”)? Realmente le dimensioni multilivello non accentuano asimmetrie che condizionano “dialoghi” e comunicazioni61? Quanti giudici nel mondo (e dentro gli Stati) effettivamente perseguono la comparazione/“dialogo”? M.A. Glendon, Rights Talk. The Impoverishment of Political Discourse, New York, Free Press, 1991; M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. Costituzionale, 2006, 1654 ss.; M. Dogliani, I diritti fondamentali, in M. Fioravanti (a cura di), Il valore della Costituzione. L’esperienza della democrazia repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 2009, 41 ss. Sul nesso tra concezioni “sponteneistiche” della Costituzione e discorso dei diritti come comunicazione capace di trasformare visioni moralmente giustificate in diritti giuridici fondamentali istituzionalizzati (attraverso il “dialogo”), si v. G. Volpe, Il costituzionalismo del Novecento, cit., 244-245. 53 A. Pizzorusso, Fonti “politiche” e fonti “culturali” del diritto, in Studi on. Enrico Tullio Liebman, vol. I, Giuffrè, Milano, 1979, 327 ss. 54 Per l’inquadramento generale di questa attuale divaricazione, si v. di recente T. Donnelly, Making Popular Constitutionalism Work, in Wisconsin L. Rev., 2012, 159 ss., e H.J. Knowles, J.A. Toia, Defining “Popular Constitutionalism” The Kramer versus Kramer Problem, in 9 Southern Univ. L. Rev.,. 2014; nonché l’edizione speciale del German L. J, vol. 14, 2013, Issue n. 12 (http://www.germanlawjournal.com). Ma necessario è sempre il “classico” J. Waldron, A Right-Based Critique of Constitutional Rights, in 13 Oxford J. Legal St., 1993, 18. Ottima infine la ricognizione di M. Goldoni, Il ritorno del costituzionalismo alla politica: il «Political» e il «Popular» Constitutionalism, in 4 Quad. Costituzionali, 2010, 733. L’ideatore della formula “diritto costituzionale generale” è stato B. Mirkine-Guetzévitch: Les nouvelles tendances du droit constitutionnel, Giard, Paris, 1931. 55 W. Partlett, The Dangers of Popular Constitution-Making, in Brooklyn J. Int.’l L., 1, 2012, 193 ss. 56 R. Hirschl, Globalization, Courts, and Judicial Power: the Political Origins of the New Constitutionalism, cit.; K.-H. Ladeur, L. Viellechner, Die transnationale Expansion staatlicher Grundrechte: zur Konstitutionalisierung globaler Privatsrechtsregimes, in 46 Archiv des Völkerrechts, 2008, 42. 57 M. Carducci, Judicial Re-Use: “Codification” or Return of Hegelism? The Comparative Arguments in the “South” of the World, Paper presented at the Second Thematic Congress of the International Academy of Comparative Law - NTU Campus, May 24-26, 2012, in II Eunomia, 2, 2013, 7. 58 U. Baxi, The Colonialist Heritage, in P. Legrand, R. Munday (eds.), Comparative Legal Studies. Traditions and Transitions, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2003, 49. 59 J. Ferguson, Global Shadows. Africa in the Neoliberal Order, Duke Univ. Press, Durham, 2006, 191. 60 S. Choudhry, Globalization in Search of Justification, cit.; P. Häberle, Rechtsvergleichung im Kraftfeld des Verfassungsstaates, Duncker & Humblot,, Berlin, 1992; Q. Camerlengo, Contributo ad una teoria del diritto costituzionale cosmopolitico, cit. 61 I. Camyar, Institutions, Information Asymmetry and Democratic Responsiveness: A Cross-national and Multi-level Analysis, in 49 Acta Politica, 2014, 313. 52 41 © Filodiritto Editore Quali sono le verifiche empiriche della quotidianità del “costituzionalismo globale”, praticato attraverso JD e TC62? d) Infine, la visioni “anarchiche” del giudice “costituzionalista comparatista” rischiano di alimentare almeno due equivoci linguistici. Il primo equivoco investe la considerazione del “metodo giudiziale” e dell’ “argomentazione giudiziale” come “metodi comparati” in sé, trascurando la circostanza che le due formule identificano invece un campo operazionale ben preciso e meno pretenzioso, circoscritto al contesto angloamericano dei “formanti” giuridici e rivolto alla ricerca, identificazione e uso dei precedenti giudiziali. Il “metodo giudiziale”, in altri termini, non investe una vera e propria tecnica interpretativa e comparativa, ma un problema ben preciso di utilizzo di un determinato documento normativo (le sentenze produttive di precedenti) a fini pratici63. è vero, lo stare decisis, come è stato efficacemente sintetizzato64, è pur sempre uno strumento comparativo di decisione: un giudice si adegua al precedente semplicemente perché lo prende in considerazione per la soluzione del caso concreto, interrogandosi sulla sostenibilità di un uguale trattamento regolativo su vicende temporalmente e spazialmente diverse ma ritenute concordanti; oppure perché si riconosce in un principio, che ritiene persistente nella dinamica interna di un determinato ordinamento giuridico65. Tuttavia, e in ogni caso, il richiamo a decisioni precedenti deriva pur sempre da un insieme di documenti normativi che una comunità giuridica ha maturato nella sua esperienza66. Ignorare una tale premessa vorrebbe dire confondere il piano dei problemi di determinazione del significato di tali documenti normativi con quello epistemologico della conoscenza giuridica, intesa come descrizione, utilizzo e comparazione di qualsiasi regola di qualsiasi ordinamento giuridico67. In quest’ottica, del resto, si spiegano le distinzioni tra Limited e Questioned Precedent e le tecniche di Restrictive e Genuine Distinguishing, Anticipatory e Prospective Overruling: didascalie estranee a qualsiasi logica di comparazione, anche come “anarchismo metodologico”. Il secondo equivoco linguistico, cui si farà cenno anche più avanti, riguarda la qualificazione del pluralismo costituzionale prescindendo dalla presenza di interazioni interordinamentali e dalla loro incidenza sul grado di discrezionalità dei giudici nel JD e nella TC. Per coloro che si sono trincerati nell’orizzonte eurocentrico, dove in realtà a presentarsi non sono fenomeni di pluralismo “spontaneo”, ma piuttosto innovative strutture di interazione Multilevel tra ordinamenti68 favorevoli a specifiche direzioni di JD dei giudici, questo equivoco linguistico appare poco rilevante69. Ma quando il problema investe il giudice al di fuori di interazioni interordinamentali già esistenti, la questione si fa molto più delicata, perché affida alla discrezionalità giudiziale una funzione decisoria (e non di ricerca scientifica), produttiva di reti comunicative di JD e TC, ma priva di una verificazione del metodo utilizzato (che invece la logica intra-ordinamentale – Mono o Multi62 Per alcuni esempi di verifica empirica, si vedano: la ricerca mondiale coordinata da Lucio Pegoraro (in sintesi parziale: Los jueces y los profesores: la influencia de la doctrina sobre las decisiones de los Tribunales y Cortes constitucionales, in Annuario Iberoam. Costituzionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, 101); C. Bateup, The Dialogic Promise: Assessing the Normative Potential of Theories of Constitutional Dialogue, in 71 Brooklyn L. Rev., 2006, 1109; G. Betlem, A. Nollkaemper, Giving Effect to Public International Law and European Community Law before Domestic Courts. A Comparative Analysis of the Practice of Consistent Interpretation, in 14 Eur. J. Int.’ l L., 3, 2003, 569; M. Carducci, V. de Oliveira Mazzuoli, Teoria tridimensional das integrações supranacionais, Forense, Rio de Janeiro, 2014; B. Flanagan, S. Ahern, Judicial Decision-making and Transnational Law, in 60 Int.’ l Comp. L. Quart., 2011, 1; T. Groppi, M.-C. Ponthoreau (eds.), The Use of Foreign Precedents by Constitutional Judges, Hart, Portland, 2013; A. Lollini, La circolazione degli argomenti, in I Dir. Pub. Comp. Eur., 2007, 307; N. Sagües, El recurso al derecho y al intérprete externo,cit. 63 N. MacCormick, Legal Reasoning and Legal Theory, Clarendon, Oxford, 1978. 64 L. Alexander, Stare decisis, in Enc. American Const., II ed., Macmillan, New York, 2000. 65 H.P. Monaghan, Stare Decisis and Constitutional Adjudication, in 88 Colum. L. Rev., 1988, 725. 66 Sul nesso tra precedente ed esperienza, cfr. in particolare F. Schauer, Precedent, in 39 Stanf. L. Rev., 1987, 575; M.J. Gerhardt, The Role of Precedent in Constitutional Decision-making and Theory, in 60 Geo. Wash. L. Rev., 1991-1992, 68 ss. 67 Sulla rilevanza imprescindibile di questa distinzione, si v. A. Twining, D. Miers, Come far cose con regole (1976), trad. it., Giuffrè, Milano, 1988. 68 Non a caso, proprio uno dei teorici più autorevoli del Constitutional Pluralism, Neil Walker (The Idea of Constitutional Pluralism, in 65 Modern L. Rev., 2002, 317), provvede a distinguere tra pluralismi per “incorporazione istituzionale”, “riconoscimento sistemico”, “coordinamento normativo”, “empatia”, dando atto della varietà di fenomeni di interazione costituzionale osservabili nella realtà. 69 In tal senso, si vedano, tra i costituzionalisti, G. Repetto, Argomenti comparativi, cit., e A. Schillaci, Diritti fondamentali e parametro di giudizio. Per una storia concettuale delle relazioni tra ordinamenti, Jovene, Napoli, 2012. Tra i civilisti, si v. R. Caponi, Dialogo tra Corti: alcune ragioni di un successo, in V. Barsotti, V. Varano (a cura di), Il nuovo ruolo delle Corti supreme nell’ordine politico e istituzionale, ESI, Napoli, 2012, 121 ss. 42 © Filodiritto Editore level – del precedente garantisce70). E non sarà un caso che persino nelle teorie sulla organizzazione dei poteri, che pure influenzano visioni del JD71, si tende a distinguere i fenomeni di Networking da quelli di vincolo Multilevel72. Se, per esempio, un giudice risulterà legittimato, grazie alle clausole di “apertura” della Costituzione del proprio ordinamento, ad andare oltre i “formanti” del medesimo ordinamento, in assenza appunto di vincoli Multilevel, il suo ruolo potrà debordare in (discrezionale) funzione di “amministrazione” dei meccanismo di JD e TC da far transitare a sostegno del linguaggio proposto sugli enunciati domestici73. Solo così, del resto, JD e TC possono essere barattati come “comparazione”74, anche quando si manifestano come banale Judicial Re-Use, metodologicamente tutt’altro che rigoroso75 perché riflesso su meta-criteri interpretativi finalizzati a giustificare le scelte di comparazione in funzione di un determinato sistema di preferenze del giudice. Un simile esito, come già rilevato da Mauro Cappelletti76, apre le porte a derive ideologiche, in cui interpretazione/ comparazione per conoscere e interpretazione/comparazione per decidere si mescolano nel linguaggio dei giudici e delle loro sentenze77 , e JD e TC consentono di far circolare idee come immagini/metafore, più spesso che come concetti/categorie: immagini che, tradotte in concetti, guadagnerebbero rigore, ma perderebbero vigore; guadagnerebbero spessore logico, ma perderebbero forza evocativa, suggestiva, persuasiva, comunicativa. Anche per tali ragioni, le perplessità più ricorrenti dei critici del JD e della TC vertono sulla salvaguardia del principio di legalità, comunque sotteso alla scrittura costituzionale degli enunciati, di qualsiasi natura essi siano. 3. Conoscenza oggettiva e interpretazione dell’ “altro” Invero, la stessa parola “dialogo”, utilizzata con riguardo alle operazioni intellettuali di qualsiasi soggetto comunicante, è tutt’altro che univoca nel significato e nelle implicazioni. La sua semantica oscilla tra due estremi: la prospettiva del “dialogismo”, riconducibile alla visione del linguista russo M.M. Bakhtin, intesa come relativismo dei significati e ricerca del confronto per incompletezza di esperienza di interpretazione di ciascun soggetto e predisposizione all’ “altro” come curiosità e bisogno di apprendimento78; la prospettiva della integrazione per sottrazione, proposta da H. Köchler79, definibile come metodo di reciproca accettazione per reciproca rinuncia agli ostacoli identitari di ciascun soggetto coinvolto. Ma i giudici “dialoganti” agiscono effettivamente all’interno di questa cornice di “curiosità” verso l’ “altro”? Parafrasando Foucault: essi riescono ad esercitare il “pensiero del fuori”80? Gli estremi richiamati, infatti, abilitano due processi “necessari” – conoscere l’ “altro” e rinunciare a qualcosa per l’ “altro” – che non sembrano pienamente o facilmente rinvenibili nelle operazioni di JD e TC. Anzi: il dato stesso che il concetto di JD sia ricondotto a quello di TC, lascia intendere 70 Non a caso, è nei contesti Mono-Multilevel di ricorso ai precedenti, che ha preso piede la formula Cross-Fertilization come campo semantico più circoscritto del JD e della TC. Si v. F.G. Jacobs, Judicial Dialogue and the Cross-Fertilization of Legal Systems: The European Court of Justice, in 38 Texas Int.’l L. J., 2003, 547 ss. 71 Ancora O. Frishman, Transnational Judicial Dialogue as an Organizational Field, cit. 72 S. Piattoni, La governance multi-livello: sfide analitiche, empiriche, normative, in Riv. It. Sc. Pol., 3, 2005, 32. 73 Cfr., per simili avvisaglie del problema, P.G. Monateri, Internazionalizzazione delle Corti e salvaguardia dell’ordine costituzionale, in G. Iudica, G. Alpa (a cura di), Costituzione europea e interpretazione della Costituzione italiana, ESI, Napoli, 2006, 199 ss. Ma questa constatazione è alla base della visione del “dialogo” come “Cherry Picking”. 74 Come propongono B. Markesinis, J. Fedtke, Giudici e diritto straniero, La pratica del diritto comparato (2006), trad. it., il Mulino, Bologna, 2009. 75 Sull’opportunismo dei giudici nell’uso della “comparazione”, si v. molto incisivamente N.P. Sagües, El recurso al derecho y al intérprete externo en la interpretación e integración de la Constitución nacional, cit. 76 M. Cappelletti, Processo e ideologie, Bologna, il Mulino, 1969, 31 ss. e 273 ss. 77 G. de Vergottini, Oltre il dialogo, cit., cap. VI; e Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 2011, 43 ss. 78 In tal senso, V. de Oliveira Mazzuoli, Tratados internacionais de direitos humanos e direito interno, Saraiva, São Paulo, 2011, 131. 79 H. Köchler, The Philosophy and Politics of Dialogue, La Trobe University, Melbourne, 2010. 80 M. Foucault, Il pensiero del di fuori, trad. it in Id., Scritti letterari, Feltrinelli, Milano, 1971, 111 ss. 43 © Filodiritto Editore che il suo agire consista nel comunicare, prima ancora che nel conoscere81, nel decidere “per sé”, prima ancora che nel mostrarsi all’ “altro”, nell’utilizzare l’ “altro” prima ancora che nel rinunciare a qualcosa per l’ “altro”. Insomma, JD e TC non sarebbero affatto “altruisti”, nel significato di eleggere il “dialogo” a luogo del riconoscimento82 in una condizione di reciprocità accettata, rispettata e paritaria83, ma si rivelerebbero “funzionalisti”, nel senso di favorire una esclusività, che rivendica la disponibilità di interpretazioni altrui, utili alle esigenze risolutive dei casi attraverso l’ “altro”, non necessariamente insieme all’altro84. Per tale ragione, come si constaterà più volte, “dialogo” e “ri-uso” si presentano come definizioni confinanti e speculari, di fronte allo stesso fenomeno di JD e TC. In definitiva, da tale angolo di prospettiva, la conoscenza comparativa del “dialogo” consisterebbe non nell’apertura all’ “altro”, appunto per rinuncia e accettazione di reciprocità, bensì nella utilizzazione dell’ “altro”, per mezzo del processo, unilaterale e non reciproco, di interpretazione dell’ “altro”. Interpretazione e conoscenza diventerebbero sinonimi85, in senso soggettivo o, come avrebbe detto G. Bachelard, “regionale”86, delimitato cioè al campo semantico di un solo soggetto, indipendentemente dalla condivisione con gli altri. Ecco allora che, se di comparazione si vuol pur sempre parlare, lo si può fare non per l’esattezza, l’oggettività, il retto esito epistemologico di un metodo, ma per l’accettabilità e la verisimiglianza di questa prassi, nei rapporti tra giudici: i giudici “dialogano” non per conoscersi, né per accettarsi, ma per potersi (reciprocamente o meno) utilizzare. Questo significa, però, che JD e TC si auto-fonderebbero nel loro stesso accadere87: sarebbero cioè privi di una precostituita “autorità” che li orienti o li condizioni. Sarebbero fisiologicamente “anarchici”. Non a caso, molte concezioni di JD e TC sono spesso accompagnate da visioni di Networking88, funzionali a rappresentare e interpretare la complessità del mondo globale come vera e propria architettura comunicativa di utilizzazioni multi-unilaterali89, proiettata in primo luogo a superare l’ “autorità” di qualsiasi gerarchica epistemica, spaziale, temporale, formale90. Ma realmente JD e TC fermentano in uno spazio vuoto di “autorità”? Non è questa la sede per approfondire le innumerevoli implicazioni di una simile declinazione dei fenomeni osservati91. Interessa solo constatare come tale declinazione si inserisca nel solco novecentesco della non più certa corrispondenza fra interpretazione e conoscenza oggettiva, tra postulazioni, ossia l’insieme di qualità poste a premessa della conoscenza e del confronto fra similitudini e diffeSulla rilevanza della distinzione, nel mondo del diritto, fra il comunicare, quale manifestazione del proprio mondo vitale, e il conoscere, quale apertura al mondo vitale esterno, distinzione risalente alla teoria dell’agire comunicativo di J. Habermas, si v. M. Strazzeri, L’eclissi del cittadino, Pensa Multimedia, Lecce, 2011 (ristampa), 84 ss. 82 Qui si utilizza il termine “riconoscimento” come politica costituzionale nella prospettiva tematizzata dal filosofo canadese Ch. Taylor, La politica del riconoscimento, trad. it. in Ch. Taylor, J. Habermas, Multiculturalismo, Feltrinelli, Milano, 1998, 78 ss. 83 Mi permetto di rinviare a M. Carducci, Por um Direito constitucional altruísta, Livraria do Advogado ed., Porto Alegre, 2003, 11 ss. 84 Non a caso, come si dirà più oltre, il funzionalismo è alla base delle dinamiche di integrazione europea e dei loro effetti sul “dialogo” fra i giudici europei. 85 Sulla influenza di questa visione della realtà nel costituzionalismo contemporaneo, si v. G. Volpe, Il costituzionalismo del Novecento, cit., 286-287. 86 F. Bonicalzi, Leggere Bachelard. Le ragioni del sapere, Jaca Book, Milano, 2007. 87 Quasi come nell’azione ermeneutico-artistica propugnata da Gadamer: cfr. C. Tuozzolo, H.-G. Gadamer e l’interpretazione come accadere dell’essere, Franco Angeli, Milano, 1996, 120. 88 Rinvio al numero speciale del German L. J., 10, 2009, Issue n. 4, dedicato a The Law of the Network Society: a Tribute to Karl-Heinz Ladeur (http://www.germanlawjournal.com). 89 Non a caso, le teorie del Networking nascono nel campo dell’analisi delle politiche pubbliche e del Policy Transfer (che non necessariamente presuppone processi di confronto), a partire da H. Heclo, A. Wildavsky, The Private Government of Public Money, Macmillan, London, 1974, passando per R.A.W. Rhodes, Understanding Governance: Policy Networks, Governance, Reflexivity and Accountability, Open Univ. Press, Bukingham, 1997, e arrivando sino a K.G. Provan, P. Kenis, Models of Network Governance: Structure, Management and Effectiveness, in 18 J. Publ. Adm. Research and Theory, 2, 2008. 90 In una declinazione parallela alle diverse ma convergenti teorie della “Governance”, come rete acefala e non gerarchizzabile (di riflesso senza tertium) di attori decisionali: si v. R. Mayntz, La teoria della governante: sfide e prospettive, in Riv. It. Sc. Pol., 1, 1999, 5-6. Sui nessi con le funzioni giudiziali, A. Stone Sweet, Judicialization and the Construction of Governance, in 32 Comp. Political St., 2, 1999, 147 ss., e E.U. Petersmann, Judging Judges: From Principal-Agent Theory to Constitutional Justice in Multilevel Judicial Governance of Economic Cooperation Among Citizens, in 11 J. Int.’ l Ec. L , 4, 2008, 827 ss. 91 Per un recente testo interessante in merito, si v. F. Kratochwil, The Status of Law in World Society. Meditations on the Role and Rule of Law, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2014. 81 44 © Filodiritto Editore renze92, e paradigmi, intesi come metafore esplicative di valori e visioni del mondo93, tra episteme e fronesis, tra certezza e adeguatezza del discutere e dell’agire94, tra dimostrazione e argomentazione del rappresentare95. Che cosa può fare il giudice di fronte a questa frantumazione? Davvero egli non è comunque collocato dentro un’ “autorità” che lo orienti? Oppure i suoi paradigmi dipendono da una sorta di “megalomania” della sua “autorevolezza”96? Certamente, oggi, il compito del giudice è molto più difficile, in quanto egli deve saper essere sia “scienziato sociale”, e per certi versi “antropologo”97 (in quanto osservatore appunto della realtà dei fenomeni umani e non solo studioso di documenti giuridici, disposizioni, sentenze, dottrina ecc …), sia operatore pratico in grado di formulare diagnosi e prognosi risolutive dei problemi concreti. In questo compito, però, si deve tener conto di una specificità, che nessun altro scienziato sociale porta con sé: l’esigenza del decidere sulla realtà in base a un parametro. Lo spiegò intuitivamente molto bene H. Kantorowicz: mentre limiti e dubbi della conoscenza teorica nella comunicazione tra filologi o tra storici, cosi come i contrasti metodologici nel risolvere i problemi delle rispettive scienze, non sospendono il corso della vita, quando si tratta di regolare effettivamente le azioni umane, la scienza si fonde necessariamente con il corso continuo di quelle azioni, e non può non accompagnarle con i suoi giudizi, contingenti proprio perché di valore eminentemente pratico e pertanto approssimativi rispetto alle questioni teoriche non ancora risolte, ma non per questo soggettivi perché necessari a determinare “prese di posizione” sugli eventi stessi della vita. Di conseguenza, la scienza giuridica, in quanto inevitabilmente “pratica”, non può fermarsi alla mera comunicazione, al pensiero soggettivo, alla determinazione acefala. Intendere per agire o comunque per decidere significa pur sempre prendere posizione rispetto a precetti da osservare, dogmi, valutazioni morali, situazioni psicologiche da tenere in conto. È dunque verosimile immaginare che il mondo contemporaneo scandito da JD e TC si muova avulso da questa ontologia? È davvero praticabile l’ “autorevolezza” degli argomenti in “dialogo” in uno spazio vuoto di “autorità”? E se non è così, dove sta l’ “autorità”? Chi la produce? Chi l’accetta98? Sono questi interrogativi a indurre a spingere oltre l’analisi di JD e TC. Anticipando le conclusioni, si può dire sin d’ora che solo la discussione di questi interrogativi consente di scoprire: - che JD e TC non producono affatto comparazione, ma semplicemente riutilizzo di materiale giuridico esterno, talvolta in condizioni di reciprocità (come vero e proprio “dialogo”) talaltra di unilateralità (come “ri-uso”); 92 W. Van Orman Quine, I modi del paradosso e altri saggi (1966), trad. it., il Saggiatore, Milano, 1966, 181 ss., con riguardo soprattutto alla sua teoria dell’ “isomorfismo”. 93 Su questo conflitto, si v. soprattutto la proposta di F. Ost sulla “traduzione” come paradigma della sostenibilità globale delle differenze, fondata appunto sul primato del “paradigma” nel significato di Th. Kuhn: F. Ost, Os desvios de Babel: a tradução como paradigma, in E. Menezes de Carvalho, R. Greenstein (dir.), L’integration normative, FGV, Rio de Janeiro, 2013, 12 ss. 94 A. Artosi, A. Brighenti, Paradigma e mutamento. La molteplicità della transizione storica contemporanea, in XXVII Soc. Diritto, 1, 2000, 78 ss. 95 Il costituzionalista italiano più sensibile a questa tensione nello studio delle dinamiche giuridiche e giurisprudenziali contemporanee, è stato G. Berti, con il suo celebre Interpretazione costituzionale, Cedam, Padova, 1987. Una intelligente lettura del suo pensiero nel quadro delle demarcazioni richiamate, sintetizzabili nella differenza tra ermeneutica di Betti ed ermeneutica di Gadamer, si trova ora in E. Mauro, Studi su Giorgio Berti, Cedam, Padova, 2014. 96 Il concetto di “megalomania giuridica” si deve a H. Kantorowicz, La lotta per la scienza del diritto (1906), trad. it., A. Forni ed., Bologna, 1988, al quale si riferiscono anche le ulteriori osservazioni sulle differenze tra la funzione sociale del lavoro del giudice, rispetto ad altri scienziati sociali. 97 I. Ruggiu, Il giudice antropologo, Franco Angeli, Milano, 2012. 98 Per l’approfondimento di tutte le implicazioni di queste domande nel contesto del presunto costituzionalismo globale, e a ridimensionamento delle facili didascalie dei teorici del “dialogo”, si v. gli imprescindibili studi di A. Carrino: La giustizia come conflitto. Crisi della politica e Stato dei giudici, Mimesis, Milano-Udine, 2011; La dottrina dello Stato e la sua crisi, Mucchi, Modena, 2014; Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014. Vale la pena di osservare che lo stesso lessico a supporto dell’apologia del “dialogo” confessa, soprattutto nella letteratura anglofona, le ineluttabilità delle implicazioni richiamate nel testo: la parola Dialogue è spesso resa col sinonimo Borrowing, che evidentemente non significa “nuova creazione” o “comunicazione”, ma piuttosto “prestito”/“ripetizione” (da un luogo ad un altro) lungo un percorso che qualcuno comunque traccia, evidentemente decide, insomma impone, magari anche per “autorità”. Del resto, «un universo comincia a vivere quando uno spazio viene separato o messo da parte»: così G. Spencer-Brown, Laws of Form, Dutton, New York, 1979, XXIX. 45 © Filodiritto Editore - che l’operazione intellettuale del giudice “dialogante” non consiste nel comparare “formanti”, bensì nel ri-utilizzare argomenti o metodi di misurazione/valutazione dei DF, in un quadro “non esclusivo” di parametri, rispetto ad una pluralità di soggetti od ordinamenti; - che tuttavia l’assenza di esclusività non impedisce alla TC di percorrere un suo versus di “dialogo”/“ri-uso”, ora di tipo orizzontale ora verticale, a seconda della provenienza, imposto o condizionato in primo luogo da elementi di “autorità” precostituiti, comunque preminenti sulle ragioni di “autorevolezza” degli argomenti oggetto di circolazione; - che conseguentemente le scelte/preferenze del giudice “dialogante” potranno rivelarsi più o meno libere, a seconda del livello e del contenuto dei vincoli o dei condizionamenti prodotti dalle “autorità” esistenti nel contesto in cui opera; - che pertanto l’effetto della TC non consisterà nella “armonizzazione”, “uniformazione” o “unifi cazione” di regole “globali”, come non pochi teorici del cosmopolitismo o del globalismo costituzionale pronosticano99, ma nella loro circolazione in funzione sempre delle variabili di “autorità” e del versus presenti100. Per far emergere queste evidenze, sarà necessario procedere su due campi consecutivi: - il primo è quello della osservazione dei fenomeni di JD e TC in sé considerati, prescindendo cioè dalla variabile dell’ “autorità” e del versus, al fine di identificarne le componenti elementari di produzione, le loro proprietà e rapportarle ai meccanismi che presiedono invece le operazioni di comparazione, allo scopo di testarne le presunte coincidenze; - il secondo investe il confronto tra JD e TC rispetto alle molteplici condizioni di “autorità” e di versus operanti a livello mondiale (in particolare, nelle sovranazionalità di Europa, America e Africa), in modo da rilevare la presenza di differenze o “isomorfismi” tra i diversi processi nelle loro proprietà, e constatare infine se sussista “dialogo”/“ri-uso” anche tra più contesti di “autorità” e versus di JD e TC. 4. “Dialogo” o “ri-uso”? Partiamo dalla osservazione del femoneno della comparazione/“dialogo”/“ri-uso” all’interno di una qualsiasi comunicazione trans-giudiziale e prendiamo spunto dall’articolo 39 della Costituzione del Sudafrica del 1996: la prima disposizione al mondo che, com’è noto, costituzionalizza il fenomeno. Questo articolo sostanzialmente stabilisce che la Corte costituzionale, nella interpretazione dei diritti, “promuove i valori” delle società aperte e democratiche, “deve considerare” il diritto internazionale, “può considerare” il diritto straniero. Che cosa significa? Esiste un “obbligo” di considerare il diritto internazionale e una “facoltà” di riutilizzare il diritto straniero? Posto che diritto “internazionale” e diritto “straniero” non sono la stessa cosa (essendo solo il primo fondato sulla reciprocità delle sue regole), questa disposizione legittima il “dialogo” internazionale e abilita il “ri-uso” (interno) di diritto straniero? La distinzione è importante e risulta fondamentale già negli studi di retorica. Del resto, se l’espressione “dialogo tra le Corti” si deve ad una giurista internazionalista come A.M. Slaughter101, il concetto di “ri-uso” nasce proprio dalle ricerche di retorica linguistica di H. Lausberg ed è stato ripreso negli studi comparatistici (ossia tra diritti fra loro “stranieri”) di L.J. Constantinesco102. Pertanto, “dialogare” (“dialogo”) sembrerebbe non essere sinonimo di “ri-utilizzare” (“ri-uso”). Su limiti e possibilità del costituzionalismo globale, mi permetto di rinviare ai miei studi: M. Carducci, “Cross-Constitutionalism” and Sustainable Comparison, in A. Febbrajo (ed.), New Semantics for a new Constitutionalism, Ashgate, Aldershot, 2014; con A. Isoni, Is a “Trans-national” Constitutional Law possible?, in P. Riberi, K. Lachmayer (ed.), Challenges and Dilemmas from Contemporary Constitutional Theory, cit.; La sostenibilità del diritto costituzionale nella globalizzazione, in Studi in on. di Francesco Gabriele, Cacucci, Bari, 2014 (in stampa). 100 R. Dixon, E.A. Posner, The Limits of Constitutional Convergence, in 11 Chicago J. Int.’l L., 2011, 399 ss. 101 A Typology of Transjudicial Communication, in Univ. Richmond L. Rev., 29, 1994, 29, 99-137; 40th Anniversary Prospective: Judicial Globalization, in Va. J. Int.’l L, 2000, 40, 1103 ss.; A Global Community of Courts, in 44 Harv. Int.’l L. J., 2003, 191-219. 102 H. Lausberg, Elementi di retorica (1949), trad. it., il Mulino, Bologna, 1969; J.-L. Constantinesco, Il metodo comparativo, trad. it., Gappichelli, Torino, 2000. 99 46 © Filodiritto Editore Ma entrambi possono essere assunti a sinonimi di “comparare”? Nel dibattito mondiale, si riscontrano due percorsi di risposta diametralmente opposti. Da un lato, si sostiene che “dialoghi”, confronti, argomenti comparativi, giudizi comparativi, riutilizzazioni (o “ri-usi”) giudiziali, richiami di precedenti stranieri, prestiti, imitazioni, trapianti di sentenze da altri ordinamenti non realizzino attività di comparazione, per il fatto che i giudici seguirebbero un metodo “indeterminato” (o, come si è detto in precedenza, “anarchico”)103 o di mero “Cherry Picking”104 nella costruzione del confronto. Secondo altri, i giudici attiverebbero comunque comparazione, nella misura in cui assumerebbero “punti di vista” non più “esclusivi” di un solo ordinamento giuridico105, trasformandosi in “imprenditori”106 di una attività di Engagement costituzionale107 o di ricerca di “norme di riconoscimento” comparate108, indipendentemente se “straniere” o “internazionali”. Dunque, i sostenitori della tesi a favore del “dialogo” come comparazione sostanzialmente ritengono che i giudici facciano comparazione per il fatto di agire e decidere all’interno di dimensioni giuridiche ormai “non più esclusive” per la risoluzione dei conflitti fra DF. Ma che cosa significhi “non più esclusive” è declinato diversamente da ciascun Autore: per N. Walker, equivarrebbe a pluralità di pretese valoriali (in altri termini, a non essere più esclusivi sarebbero i valori); per R. Bustos Gisberg, si tratterebbe di pluralità di confronti tematici (a non essere esclusivi sarebbero gli spazi pubblici di discussione sui contenuti dei conflitti); M. Dani parla invece di pluralità di pretese di egemonia e di resistenza tra ordini giuridici differenti (sarebbe quindi venuta meno la esclusività della egemonia di un ordine giuridico rispetto ad altri); M. Neves discute infine di pluralità di gerarchie normative reciprocamente “intrecciate” (si sarebbe estinta la esclusività di un solo sistema di produzione gerarchica delle fonti)109. In questa sede, non interessa scandagliare nel dettaglio il contenuto di queste tesi. Quello che importa, ai fini della discussione, riguarda tre aspetti precisi. a. Le conseguenze pratiche prodotte da ciascuna di queste prospettive favorevoli alla qualificazione di JD e TC come comparazione: nonostante si converga nel “dato di fatto” della “non esclusività” degli ordini legali, diversi risultano essere gli effetti di valutazione e classificazione dei fenomeni osservati. b. La tematizzazione del presupposto concettuale della “non esclusività”: se non c’è “esclusività”, evidentemente c’è “pluralità”, ma non sempre risulta esplicito e chiaro a quale “pluralità” si voglia fare riferimento. c. La identificazione dell’oggetto, giacché non sempre è chiaro se la “non esclusività” investa, e per quali ragioni, qualsiasi contenuto degli ordini legali considerati o solo alcuni di essi. Infatti, con riferimento al primo aspetto, valgano i seguenti due esempi. Il primo riguarda il tema della pregiudizialità interordinamentale (a partire dal caso dei rapporti fra diritti statali e diritto dell’Unione europea): nella prospettiva di Bustos Gisberg, la pregiudizialità regolerebbe rapporti infracostituzionali – interni cioè a un solo ordine di temi di discussione – e dunque non attiverebbe veri e propri JD e TC né, consequenzialmente, vere e proprie comparazioni; stando invece alla prospettiva di Neves, la pregiudizialità interordinamentale traccerebbe una evidenza tipica di “intreccio” di gerarchie e quindi abiliterebbe le comparazioni per mezzo di JD e TC. Il secondo esempio investe la dinamica tridimensionale Stati-integrazioni regionali-convenzioni regionali sui diritti umani, presente non solo in Europa (Stati-UE-CEDU), ma anche in America La posizione può essere riscontrata nei citati studi di G. de Vergottini, e P.G. Monateri. L’espressione si deve al Justice Stephen Breyer. 105 Ci si riferisce al citato A. Schillaci. 106 Il citato O. Frishman. 107 La citata V. Jackson, nonché C. Saunders, Judicial Engagement with Comparative Law, in T. Ginsburg, R. Dixon (eds.), Comparative Constitutional Law, Edward Elgar, Cheltenham-Northampton, 2011, 582, anche se il termine assume diverse connotazioni nel dibattito anglofono: si v. L. Lazarus, Ch. McCrudden N. Bowles (eds.), Reasoning Rights. Comparative Judicial Engagement, Hart, Portland, 2014. 108 Il citato G. Repetto. 109 N. Walker, The Idea of Constitutional Pluralism, cit.; R. Bustos Gisberg, La Constitución Red, IVAP, Vitoria, 2005; M. Dani, Il diritto pubblico europeo nella prospettiva dei conflitti, Cedam, Padova, 2013; M. Neves, Tranconstitucionalismo, Martins Fontes, São Paulo, 2009. 103 104 47 © Filodiritto Editore (Stati-Convenzione americana sui diritti umani-varie integrazioni regionali) e Africa (Stati-Unione afrcana-varie integrazioni regionali): su questo versante, Autori come R. Bustos Gisberg e M. Neves si riscoprono concordi nel sostenere che tale dinamica non inciderebbe sulle forme di JD, TC e dunque di comparazione; altri, come per esempio Dani, enfatizzano invece il contrario, perché la tridimensionalità influenzerebbe i rapporti di egemonia e resistenza tra i vari ordini legali e dunque fisserebbe percorsi obbligati per i giudici interni alla stessa struttura tridimensionale110. In merito al secondo aspetto, poi, non si può non constatare che i teorici del JD e della TC come comparazione, pur parlando di “conflitto plurale”, “pluralismo”, “non esclusività”, non necessariamente convergano nella identificazione dell’oggetto “plurale” e “non esclusivo” cui fanno riferimento. Dove risiederebbe, infatti, la pluralità? Nei soggetti, negli ordini legali, nei loro parametri di fondamento e legittimazione? È evidente che il tipo di risposta fornita influisce in modo condizionante sul campo di osservazione del fenomeno. Se il conflitto “plurale” e “non esclusivo” investe i soggetti, si sarà di fronte a quel fenomeno denominato di “antinomia impropria”, nel senso di riguardare non una pluralità di ordinamenti da “comparare”, ma piuttosto una pluralità di soggetti, coinvolti in una controversia giudiziaria, con visioni culturali, valoriali, religiose fra loro diverse111, per cui l’oggetto del “confronto” non sarà riferito al diritto “oggettivo”, bensì appunto alle aspettative soggettive culturalmente, religiosamente o moralmente condizionate. Se invece il riferimento cade sul conflitto di parametri di fondamento e legittimazione di fonti e ordinamenti giuridici, non si potrà negare di essere in presenza di fenomeni di “antinomie proprie” e più specificamente di “antinomie reali”, ossia non risolvibili sulla base di criteri interni appunto a un solo ordine legale. Ma le antinomie implicano comparazione? Si deve allora concludere che si ha JD-TC e comparazione ogniqualvolta si assiste a fenomeni di antinomie “improprie” e/o “reali”? Infine, circa l’oggetto, non si può non constatare che l’elemento del conflitto “non esclusivo” ricade sempre sul tema dei DF e, più precisamente, di alcuni di essi. Si pensi all’Europa “multilivello”, al cui interno sono individuabili almeno quindici “oggetti” di JD-TC/comparazione senza “esclusività”: diritto alla procreazione (medicalmente assistita) e a un “figlio sano”; diritto all’interruzione volontaria della gravidanza e diritto a “non nascere” (se non sano); eutanasia e testamento biologico; coppie omosessuali e “diritto al matrimonio”; coppie omosessuali e interesse all’adozione; libertà religiosa ed esposizione di simboli; diritto all’ambiente salubre; diritti dei disabili; diritti dei detenuti; diritto al ricongiungimento familiare; espulsione degli stranieri; diritto di accesso ad un giudice; diritto al contraddittorio; diritto alla difesa; diritto alla ragionevole durata del processo. La ragione di questa particolarità è molto semplice112. Il linguaggio dei DF, com’è stato correttamente rilevato113, non costituisce un luogo per risposte politiche, ma solo una premessa di possibilità di incontro per la loro dimensione comunicativa, che può prescindere dalle sfere sociali ed economiche di riferimento, trovando radice in primo luogo nell’autodeterminazione individuale114. Anche per tale ragione, tra l’altro, il fenomeno di JD-TC/comparazione ricorre per tipi di “oggetto” che si presentano o come “scelte tragiche” o come “situazioni tragiche” (dove per “scelte tragiche” si intendono le situazioni riguardanti decisioni su valori condivisi ma in conflitto fra soggetti che li rivendicano, e per “situazioni tragiche” quelle riguardanti decisioni su valori non condivisi dai 110 Sul rapporto tra tridimensionalità europea e meccanismi di pregiudizialità processuale, si v. ora R. Romboli, Corte di giustizia e giudici nazionali: il rinvio pregiudiziale come strumento di dialogo, in Rivista AIC, 3, 2014. 111 Sulla importanza di non confondere le antinomie “improprie” fra soggetti, con quelle “proprie” fra fonti e ordinamenti, si v. il fondamentale studio di A. Baratta, Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza, Giuffrè, Milano, 1963. L’esempio più interessante è offerto oggi dal rapporto fra diritto statale e “ordini indigeni”. Qui il diritto ufficiale dello Stato interviene (come nel caso delle Leyes de Deslinde latinoamericane) non per avallare un circuito di comunicazioni trans-giudiziali, bensì per legittimare operazioni di delimitazione dell’autonomia di una sola delle due giurisdizioni coinvolte, quella indigena, affinché le autorità “indigene” siano chiamate ad applicare il proprio diritto esclusivamente tra i propri componenti, mentre i giudici “ufficiali” saranno tenuti a intervenire non per comparare o ri-utilizzare la “giurisprudenza indigena”, bensì per risolvere antinomie “improprie” tra questi soggetti indigeni e terzi, attraverso il solo diritto statale. 112 A. Sperti, Omosessualità e diritti. I percorsi giurisprudenziali ed il dialogo globale delle Corti costituzionali, Pisa Univ. Press, Pisa, 2013, 199. 113 M.R. Ferrarese, Il diritto al presente, il Mulino, Bologna, 2002, 169. 114 A. Sperti, op. cit., 197-199. 48 © Filodiritto Editore soggetti in conflitto)115. Questo perché, com’è stato osservato, si tratterebbe di “dilemmi” nei cui confronti, mancando un parametro “non esclusivo”, non esisterebbe un “disegno istituzionale abilitante”, ossia un parametro unico o unificante e condiviso nella sua legittimità116. Sembra quindi che il JD e la TC, quand’anche consistano in attività di comparazione, siano per loro natura “limitati” nella sfera del proprio oggetto: non qualsiasi oggetto, ma solo quelli “comunicabili” perché individualizzabili e decontestualizzabili, il cui contenuto, cioè, non è rinvenibile nella sfera economica e sociale dei contesti di appartenenza dei soggetti, ma in quella dell’autodeterminazione individuale e della privacy di ciascuno117, per la quale si può prescindere da un “disegno istituzionale abilitante”. Quali possano essere questi oggetti, è desumibile dall’evidenza empirica: DF individuali, in proiezione di bilanciamento reciproco, e rapporti fra ordinamenti, in funzione dell’ “autorità” di cui ciascuno è espressione rispetto a quei DF118. Ma allora come si determinano le scelte/preferenze e le valutazioni/misurazioni delle situazioni da bilanciare e dell’ “autorità” degli ordinamenti da considerare? La scelta è rimessa al giudice? Oppure è condizionata da altri fattori? Anche su questo fronte, le risposte possono essere diverse. Sempre per Bustos Gisberg, l’assenza di esclusività produrrebbe “territori controversi” non sulle fonti (Costituzioni, leggi ecc …), ma proprio sulle valutazioni/misurazioni dei diritti e delle istituzioni, quindi sulla loro “costituzionalità” (intesa appunto come attribuzione di valore) indipendentemente dalla fonte. Di conseguenza, il “dialogo”/comparazione servirebbe a risolvere non antinomie (“improprie” o “reali”), ma conflitti di valutazione. Da tale angolo di visuale, scelta e preferenza verrebbero ad essere ricondotte alla dimensione soggettiva della misurazione/valutazione degli elementi in conflitto119. Ma diritti, libertà, istituzioni sono valutabili e/o misurabili? Come, in assenza di un parametro “non esclusivo”120? Se è possibile “misurare”/“valutare”, allora qualche parametro dovrà pur esistere … Chi lo decide? Quale può essere? La comparazione/“dialogo”/“ri-uso” presuppone che si condividano parametri o se ne accettino le conseguenze come effetto del JD e della TC121? Sembrerebbe insomma che il “dialogo”/comparazione non identifichi un problema di “antinomie”, ma presupponga invece una situazione di “non esclusività” nei parametri di misurazione/valutazione degli oggetti (diritti, libertà, istituzioni) da parte del giudice, in assenza di un “disegno istituzionale abilitante” che orienti tali misurazioni/valutazioni. Si v. C. Casonato, C. Piciocchi (a cura di), Biodiritto in dialogo, Cedam, Padova, 2006. G. Lariguet, Dilemas y conflictos trágicos, Palestra, Lima-Bogotá, 2008. 117 Per diverse valutazioni di questo dato di fatto, che non sembra contestato, si v. in primo luogo la nota posizione di G. Teubner. Constitutional Fragments. Societal Constitutionalism and Globalization, Oxford Univ. Press, Oxford, 2012. Per altre letture, G. Turnaturi, Neoindividualismo virtuoso e legami sociali, in www.costituzionalismo.it, 3, 2013; E.U. Petersmann, State Sovereignty, Popular Sovereignty and Individual Sovereignty: From Constitutional Nationalism to Multilevel Constitutionalism in International Economic Law?, EUI Law Working Paper n. 45/2006., in http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=964147 (19 September 2008). Il tema, come immaginabile, si connette anche al dibattito sulla funzione del giudice di fronte all’adeguamento della politica alle aspettative sociali in mutamento: per alcune anticipazioni interessanti con riguardo alla proiezione transnazionale del giudice, G.N. Rosenberg, The Hollow Hope: can Courts Bring about Social Change?, in American Politics and Political Economy Series, Univ. Chicago Press, Chicago, 1993. 118 Esemplificazioni dell’uno e dell’altro tipo si possono leggere in A. Vespaziani (a cura di), Diritti fondamentali europei. Casi e problemi di diritto costituzionale comparato, Giappichelli, Torino, 2009. 119 Su questa possibilità di declinazione, si v. i fondamentali contributi epistemologici di R. Boudon: Le Juste et le vrai: études sur l’objectivité des valeurs et de la connaissance, Fayard, Paris, 1995; L’inégalité des chances, Armand Colin, Paris, 1973. 120 Sulle implicazioni di questi interrogativi, si v. I. Carter, La misurazione della libertà: una prospettiva normativa, in Quaderni di Scienza Politica, 3, 1994, 489 ss., in cui, tra l’altro, si ripercorre il confronto fra le posizioni di F. Oppenheim, per il quale diritti, libertà e istituzioni sarebbero solo “descrivibili” e dunque solo “comunicabili”, e quelle di U. Scarpelli, il quale riteneva invece esistere diverse “dimensioni normative” di libertà e istituzioni (in assoluto, in termini di relazione con altri beni, in termini di distribuzione di una libertà), con conseguenti necessità di definire le modalità di valutazione e misurazione per la loro effettiva conoscenza e comprensione nei singoli contesti (cfr. F.E. Oppenheim, Dimensioni della libertà (1961), trad. it., Feltrinelli, Milano, 1964; U. Scarpelli, La dimensione normativa della libertà, in Riv. Filosofia, 1964, 460). Il tema, tra l’altro, è molto importante, anche perché connesso alla questioni della implementazione dei diritti umani attraverso gli strumenti internazionali, di cui anche JD e TC sembrerebbero essere divenuti parte. Si vedano almeno, L. Barsh, Measuring Human Rights: Problems of Methodology and Purpose, in 8 Human Rights Quart., 4, 1993, 87; E.M. Hafner-Burton, K. Tsustui, Human Rights in a Globalizing World. The Paradox of Empty Promise, in Am. J. Sociology, 110, 5, 2005, 1384. 121 Si pensi alle implicazioni di questo interrogativo con riguardo all’applicazione del principio di proporzionalità e all’attuazione delle previsioni dell’art. 52.1 della “Carta di Nizza”. 115 116 49 © Filodiritto Editore Ma i giudici operano realmente in uno “spazio vuoto”, in assenza “assoluta” di un “disegno abilitante”? La questione dell’ “autorità” si riaffaccia, certificando quanto insufficiente sia il solo descrivere JD e TC, senza discutere sulle loro condizioni di esistenza. Con tale questione, non può non riemergere il problema del ricorso a un metodo … di ricerca di una qualche “autorità” dietro JD e TC. 5. La comparazione come operazione di osservazione e il giudice come “osservatore” Un tentativo di risposta a tutte le inquietudini censite può realizzarsi, se si prova ad applicare ai fenomeni di JD/TC i postulati dell’operazione logica di comparazione e delle sue specificità nel campo del diritto costituzionale. Riassumo in estrema sintesi, riprendendo il percorso di metodo inaugurato da L.J. Constantinesco122. Tali postulati sono in tutto dodici. a) Primo postulato: qualsiasi comparazione è una operazione ternaria ossia presuppone la elezione di un tertium comparationis sulla cui base effettuare un confronto123. Tertium comparationis A B Una comparazione a due è mero “costruttivismo” riflessivo [A = B / B = A]124. Mi spiego. Non è questa la sede per discutere dei problemi connessi alla identificazione o elezione del tertium, di cui comunque si farà cenno più oltre. Certamente l’idea dell’operazione ternaria rintraccia una matrice “positivistica”, contrapposta appunto alle visioni “costruttivistiche” della ricerca sociale e della comparazione125. Nella prospettiva “positivistica”, la realtà assume comunque un suo connotato obiettivo e unico, dal quale è possibile estrapolare elementi comuni (“proprietà” e “stati di proprietà”) da assumere come parametro di riferimento di qualsiasi operazione di confronto. Viceversa, nella prospettiva “costruttivistica”, la realtà è presupposta come soggettiva, molteplice e mutevole, pertanto non ingabbiabile staticamente in un insieme di presupposti di confronto126. Il “costruttivismo” procederebbe per insiemi binari, non ternari. Del resto, quello di insieme è un concetto primitivo legato proprio alla possibilità, logica prima ancora che reale, di considerare oggetti distinti come costituenti un tutto unico di cui cogliere relazioni d’ordine esclusivamente binario (cosiddetta “legge di composizione esterna”). Autori come J.W. Creswell con V.L. Plano Clark127 hanno patrocinato il ricorso di Mixed Methods in tutti gli ambiti di comparazione, per superare questa dicotomia, in modo da non rinchiudere il confronto a combinazioni binarie di isolate astrazioni logiche o di appiattite impressioni empiriche soggettive128. È anche vero, del resto, che nella comparazione giuridica, dove comunque dati “positivi” esistono J.-L. Constantinesco, Il metodo comparativo, cit. G. Tusseau, voce Tertium comparationis, in L. Pegoraro (a cura di), Glossario di Diritto pubblico comparato, Carocci, Roma, 2009, 266-267. 124 Sul “costruttivismo” che presidia i tentativi di comprensione delle relazioni internazionali e dei suoi soggetti, si v. S. Guzzini, A Reconstruction of Constructivism in International Relations, in 6 Eur. J. Int.’l Relations, 2, 2000, 147. Sul nesso fra tipi di “costruttivismo” e idee di costituzionalismo globale, O. Diggelmann, T. Altwicker, Is there Something like a Constitution of International Law? A Critical Analysis of the Debate on World Constitutionalism, in 68 ZaöRV, 2008, 623. Di “illusioni costruttivistiche” parla H.V. Milner, Interests Institutions and Information. Domestic politics and International Relations, Princeton Univ. Press, Princeton, 1997. Ma forse il “costruttivismo” è implicito anche in chi evoca, quanto meno per l’Europa, la forza (ri)-costruttiva del “gesto comparativo” (A. Schillaci, Diritti fondamentali, cit., 26 ss.). 125 F. De Nardis, Sociologia comparata. Appunti sulle strutture logiche della ricerca sociopolitica, Franco Angeli, Milano,2011. 126 Sul nesso fra “costruttivismo” e analisi di meta-giurisprudenza, si v. S. Zorzetto, Ragionevolezza, politica del diritto e semiotica giuridica, in Diritto & Questioni pubbl., 10, 2010, 601 ss. 127 J.W. Creswell, V.L. Plano Clark, Designing and Conducting Mixed Methods Research, Sage, Thousand Oaks, 2007. 128 U. Cerroni, Teoria dei sistemi e comparazione, in Scienzasocietà, 19-20, 1986, 46 ss. 122 123 50 © Filodiritto Editore (i cosiddetti “formanti” del diritto, positivamente prodotti129), la triangolazione appare plausibile, nella misura in cui essa incrocia i vari “formanti” dell’esperienza giuridica per identificarne quelli che sempre L.J. Constantinesco ha definito gli “elementi determinanti” di ciascun ordinamento giuridico comparato130: nel campo giuridico, quindi, il “costruttivismo” non sarà mai “assoluto”, non potendo esso ignorare i dati giuridici (diretti o indiretti) da prendere in considerazione in un determinato contesto di osservazione. Questo postulato è importante perché evidenzia due corollari significativi nell’ambito di indagine che ci interessa. Corollario 1. Bisogna tenere distinte le operazioni di mera “traduzione” di dati giuridici (A= B / B = A), su cui invece insiste una parte della dottrina favorevole alla qualificazione di JD e TC come fenomeni di comparazione131, da quelle di confronto in base a un parametro comune. In definitiva, tradurre, non solo parole ma anche concetti, categorie, semantiche giuridiche, non significa comparare132. Corollario 2. Non si deve confondere il confronto di un solo oggetto rispetto a un parametro comune a più oggetti, con quello tra più oggetti rispetto allo stesso parametro [Comparare = (A/B/C) rispetto a T; non invece: Comparare = A rispetto a T; B rispetto a T; C rispetto a T ecc…]. Faccio un esempio, evidenziato dalla dottrina133: un giudice che, per decidere, invoca principi generali, di presunto jus cogens, desumibili dall’art. 1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo o dal Preambolo del Patto per i diritti civili e politici, si rapporta a quel parametro senza necessariamente confrontare il proprio approccio con quello di un altro giudice, di un qualsiasi altro ordinamento, che effettui la medesima operazione di invocazione per casi simili. In tale ipotesi, di conseguenza, non si verificherà alcuna triangolazione, che consenta di verificare (quindi comparare) analogie o differenze tra le operazioni interpretative dei due giudici rispetto a quel parametro. Non a caso, appunto L.J. Constantinesco ha sottolineato come il confronto di un solo oggetto con un parametro comune a più oggetti costituisca semplicemente una “premessa alla comparazione”, ma non realizzi affatto l’operazione di comparazione. b) Secondo postulato: qualsiasi comparazione consiste in una operazione di osservazione. Quindi: C = O La constatazione appare ovvia ma è fondamentale. Comparare, anche per i più “costruttivisti” o “anarchici”, non significa “creare” ex nihilo134. c) Terzo postulato: infatti, osservare significa guardare e conoscere oggetti e gli oggetti della realtà possono essere innumerevoli per le loro proprietà e gli stati di queste proprietà135 [Rn]. Quindi: O = Rn La comparazione non solo non procede ex nihilo, ma essa deve necessariamente selezionare elementi della realtà, non semplicemente come oggetti, bensì come loro proprietà e stati di proprietà. d) Quarto postulato: pertanto, il numero degli oggetti selezionati per la comparazione non dipende dalla realtà ma 129 Chiariti in modo esemplare, nel campo del diritto privato comparato, da R. Sacco (ma ripresi con originalità per il campo del diritto costituzionale comparato da L. Pegoraro, Diritto costituzionale comparato, cit., 101 ss.). 130 Si deve a L. Pegoraro (v. ora Diritto costituzionale comparato, cit.) la valorizzazione del contributo metodologico di Constantinesco per lo studio del diritto costituzionale comparato. 131 Si pensi al citato F. Ost. Ma sulla problematicità del tema T. Mazzarese, Interpretazione e traduzione del diritto nello spazio giuridico globale, in Dir. & Questioni pubbl., 8, 2008, 88 ss. 132 Si v., in tal senso, la prospettiva di H.P. Glenn, Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza (2010), trad. it., il Mulino, Bologna, 2011, soprattutto quando affronta il tema della costruzione delle identità europee (275 ss.). Più oltre si farà cenno alle analoghe importanti acquisizioni di J.M. Lotman sui processi traduttivi. 133 A Sperti, Omosessualità e diritti, cit., 193 e nota 86. 134 Si v la voce Anarchismo epistemologico, in N. Abbagnano, Storia della filosofia. Dizionario di filosofia, vol. 10, Ist. Geogr. De Agostini, Novara, 2006, 97 ss. 135 G. Gasperoni, Fare ricerca, in P.P. Giglioli (a cura di), Invito allo studio della società, il Mulino, Bologna, 2005, 236 ss. 51 © Filodiritto Editore dall’osservatore136, e più precisamente dal livello [L] di osservazione [O] che l’osservatore persegue. Quindi: Rn = L (O) Con riferimento all’operazione di comparazione, questo assunto vale con riguardo sia alla preferenza/scelta degli oggetti da comparare sia alla preferenza/scelta del tertium comparationis. Da tale angolo di visuale, la presunta incommensurabilità tra “positivismo” e “costruttivismo” appare meno netta, almeno nel campo giuridico, di quanto si immagini. Anche per tale ragione, tra l’altro, le operazioni di JD e TC vengono “confuse” per comparazione (“costruttivistica”). e) Quinto postulato: ancor più precisamente, i livelli [L] di osservazione [O] possono essere tre137: - I livello [L1]: osservo la realtà fenomenica (ossia oggetti con le loro proprietà e nei loro stati di proprietà); - II livello[L2]: osservo chi osserva questa realtà fenomenica; - III livello [L3]: osservo colui che osserva chi osserva questa realtà fenomenica. Quindi: O = L1 / L2 (O L1) / L3 [O L2 (O L1)] Anche questo postulato produce importanti corollari per il campo di indagine che ci interessa. Corollario 1. Nella comparazione giuridica, e costituzionale in particolare, i livelli di osservazione consentono di identificare i “formanti” e i “crittotipi”138. Regole legali (L), regole espresse dalle opinioni dottrinali (D), regole che possono essere estraibili dagli esempi della dottrina (E), regole che i tribunali enunciano nelle loro massime (M), regole che i tribunali applicano nella soluzioni dei casi (A), regole di lingua e stile lessicale e argomentativo (S)139, non sono fra loro tutte simili perché non sono tutte osservabili allo stesso modo. Ad esempio, lo studio di legislazione e giurisprudenza presuppone una osservazione di II livello (le leggi che regolamentano casi; le sentenze che risolvono casi); lo studio della dottrina presuppone una osservazione di III livello (gli autori che commentano leggi o sentenze che risolvono casi o altri autori di dottrina); lo studio dei “crittotipi” può essere di I o III livello (L1: studio di una prassi; L3: studio delle opinioni dissenzienti all’interno di una decisione giudiziale). Corollario 2. Il livello I di osservazione consente di conoscere le “tradizioni giuridiche” presenti in vari ordinamenti o sistemi giuridici (con le loro matrici religiose e culturali140), mentre i livelli II e III permettono di conoscere i “sistemi giuridici” nei loro “elementi determinanti” (come formalizzazione di regole e di comportamenti)141. Corollario 3. Il ricorso a tutti i livelli di osservazione, inoltre, apre alla conoscenza della circolazione dei modelli giuridici, all’euristica dei “flussi giuridici”, allo studio delle citazioni, alla comprensione delle autoqualificazioni dei “formanti”142. Corollario 4. Il livello I di osservazione facilita la comprensione delle realtà diverse e lontane da quella dell’osservatore, consentendo soprattutto di cogliere la differenza fra “centro” e “periferia” della “modernità costituzionale”, ossia fra autonomia ed eterarchia dei sistemi costituzionali rispetto ad altri elementi dell’agire sociale (religione, primato delle decisione politica, dipendenze economi136 L’assunto di deve a H.R. Maturana Romesín, La Objetividad. Un argumento para obligar, Dolmen, Santiago de Chile, 1997, spec. 32-42, dove si spiega che «la realtà non è un’esperienza, è un argomento in spiegazione … La realtà sorge come una proposizione esplicativa della nostra esperienza», alimentando “domini conversazionali” nel discorso (e nel dialogo). 137 Questa acquisizione si deve a H. von Foerster, Sistemi che osservano (1984), trad. it., Armando, Roma, 1988. 138 L Pegoraro, Diritto costituzionale comparato, cit., 109 ss. 139 Si v. in proposito la interessante ricerca di M.V. Dell’Anna, In nome del popolo italiano. Linguaggio giuridico e lingua della sentenza in Italia, Bonacci editore, Roma, 2013. L’importanza dello stile nel campo di osservazione del diritto costituzionale è particolarmente avvertita dalla dottrina tedesca: J. Isensee, Vom Stil der Verfassung. Eine typologische Studie zu Sprache, Thematik und Sinn des Verfassungsgesetzes, Westdeutscher Verlag, Düsserldorf, 1998. 140 Un esempio di come anche i giudici “dialoganti” possano ricorrere a osservazioni di I livello per contestualizzare i confronti e i precedenti, è offerto dalla recente Sentenza della Corte CEDU S.A.S c. Francia, del 1° luglio 2014, in tema di velo islamico, Burqa e Niqab, dove il giudice di Strasburgo osserva l’uso effettivo del velo rispetto ai precetti religiosi del Corano, con l’obiettivo dichiarato di identificare correttamente il precetto religioso da rispettare in termini di “libertà religiosa” tutelata dalla CEDU. 141 Sulle differenze tra ordinamento giuridico, sistema giuridico, tradizioni giuridiche, richiamo M. Carducci, Euristica dei “flussi giuridici” e comparazione costituzionale, in Annuario Dir. Comp. St. Leg., anno 2013, 337 ss. 142 L. Pegoraro, S. Baldin, Costituzioni e qualificazioni degli ordinamenti: profili comparatistici, in L. Mezzetti, V. Piergigli (a cura di), Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamentarismi: modelli comparati e riforme costituzionali, Giappichelli, Torino, 1997, 9 ss. 52 © Filodiritto Editore che, tradizioni, rapporti di classe o di casta ecc …)143. Corollario 5. Infine, i livelli di osservazione consentono: - di distinguere la comparazione giuridica da altre forme di comparazione “simili” perché convergenti negli oggetti osservati, che operano su un solo livello, come la politica comparata (livello I), o più livelli, come la sociologia giudiziaria comparata (livelli I e III); - di misurare la “purezza” del metodo giuridico e la capacità interdisciplinare della comparazio144 ne . f) Sesto postulato: qualsiasi osservazione [O] presuppone una scelta [S] non solo sull’oggetto della realtà e i sui elementi [Rn], ma anche sul livello di osservazione [L]. Quindi: O = S (Rn e L) g) Settimo postulato: ma qualsiasi scelta [S] presuppone una preferenza [P]. Quindi: S = P «Osservare significa decidere; decidere significa escludere», aveva acutamente sintetizzato N. Luhmann anche con riguardo allo studio delle Costituzioni145. Del resto, è interessante constatare che le teorie del JD e della TC come “Organizational Fields” recuperino proprio tale assunto, nella misura in cui inquadrano l’azione del giudice all’interno del classico “albero delle decisioni”, ossia nella rappresentazione dei problemi decisionali che si pongono a un soggetto che debba operare una scelta in condizioni di incertezza nelle sue preferenze146. h) Ottavo postulato: però, qualsiasi preferenza [P] risulta condizionata o vincolata (all’interno o all’esterno dell’osservatore) [Cond. (intra/extra)] a seconda del contesto147. Quindi: P = Cond. (intra/extra) Valgano alcuni esempi per chiarirsi nel campo di indagine che ci interessa. Le competenze linguistiche dell’osservatore giurista identificano un suo condizionamento o limite interno nelle preferenze che determineranno le sue scelte di comparazione. Viceversa, il sistema delle fonti di un ordinamento opera come vincolo esterno al giurista per il suo raggio di preferenze e scelte (si pensi alle “clausole di apertura” di molte Costituzioni contemporanee148, oppure all’inserimento di quell’osservatore giuPer alcuni esempi di implicazioni utili di questo approccio, si vedano: M. Neves, A Constitucionalização simbólica, II ed., Martins Fontes, São Paulo, 20072; L. Moreira, A constituição como simulacro, Lumen Juris, Rio de Janeiro, 2007; G. Bercovici, A Constituição Dirigente e a Crise da Teoria da Constituição, in AA.VV. Teoria da Constituição. Estudos sobre o Lugar da Política no Direito Costitucional, Lumen Juris, Rio de Janeiro, 2003, 133; P.A. Díaz Arenas, Estado e Tercer Mundo: el Constitucionalismo, Temis, Bogotá, 1997; H. Valencia Villa, Cartas de batalla. Una crítica del constitucionalismo colombiano, Panamericana Editorial, Bogotá, 1987. Ma in definitiva sulla stessa linea si collocano le proposte di U. Mattei, P.G. Monateri, Introduzione breve al diritto comparato, Cedam, Padova, 1997, e U. Mattei, Three Patterns of Law: Taxonomy and Change in the World’s Legal Systems, in 45 Am. J. Comp. L., 1997, 23 ss. 144 Per questi problemi, rinvio a L. Pegoraro, Diritto costituzionale comparato, cit., 35 ss. Sulle sfide della interdisciplinarità nei processi di osservazione giuridica, si v. A. Cuéllar Vázquez, A. Chávez López (coords.), Visiones transdisciplinarias y observaciones empíricas del derecho, UNAM-Coyoacán, México DF, 2003. 145 L’originalità della impostazione di N. Luhmann deriva proprio dal fatto di inquadrare il percorso del costituzionalismo in una prospettiva diversa delle tradizioni del formalismo giuridico e del realismo politico (base della coppia concettuale Costituzione formale/materiale), assumendo la Costituzione non come concetto né come mera realtà politica, bensì come funzione di accoppiamento strutturale di tutte le decisioni dei sistemi sociali, osservabile solo nella considerazione complementare dei suoi due fattori fondativi: appunto, il diritto e la politica (in tal senso, si parla di comparazione costituzionale come “sociologia” delle Costituzioni: si v. ora organicamente C. Thornhill, A Sociology of Constitutions, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2011). Per una efficace sintesi della originalità di tale prospettiva per la comparazione costituzionale del mondo globale, in termini appunto di “osservazione”, si v. J. Neuenschwander Magalhães, Constituição e Diferença, in D. Sarmento (coord.), Filosofia e teoria constitucional contemporánea, Lumen Juris, Rio de Janeiro, 2009, 285 ss. 146 Il diagramma consente di distinguere i nodi [P] in cui si presentano le alternative [A], tra le quali si può scegliere con cognizione, e quelli in cui si presentano alternative [A1] tra eventi o risultati il cui verificarsi è indipendente dalla volontà del soggetto: P → A ╪ P1 → A1. 147 Sulla comparazione come operazione intellettuale condizionata dall’esperienza del soggetto osservatore (che cosa già conosce) e dalla sua competenza (come confronta), S.L. Winter, A Cleaning in the Forest: Law, Life, and Mind, Univ. Press of Chicago, Chicago, 2001, e J. Hanson (ed.), Ideology, Psychology and Law, Oxford Univ. Press, New York, 2012. 148 Sulla tendenza delle Costituzioni più recenti ad “aprirsi” al richiamo extra-ordinamentale, si v. G. de Vergottini, Le transizioni costituzionali, il Mulino, Bologna, 1999, 30 ss. Attualmente, la Costituzione più articolata e complessa in questi meccanismi di “apertura” è quella dell’Ecuador del 2008, con gli articoli 10 e 11 combinati con il Capo III del Titolo VIII. 143 53 © Filodiritto Editore rista in un contesto Multilevel di interazioni interordinamentali149). i) Nono postulato: inoltre, le preferenze [P] dipendono anche da fattori extra-personali ed extra-formali, come le “figurazioni” [Fg], ossia i processi psico-sociali di civilizzazione di un determinato contesto istituzionale, conseguenti a “flussi” [Fl], anche giuridici, storicamente determinati150. Quindi: P = Fg + Fl 151 La lingua e il lessico giuridico , la distinzione fra diritto soggettivo e interesse legittimo, la problematica della “dottrina legale” della giurisprudenza152, il Dharma indiano, Li e Fa cinesi, il Buen vivir e il Pacha Mama andini, sono tutti esempi di “figurazioni” storicamente determinate da “flussi” giuridici sedimentatisi nel tempo153. l) Decimo postulato: “figurazioni” [Fg] e “flussi” [Fl] possono produrre “finzioni reali”154. Quindi: Fg + Fl = “finzioni reali” Il concetto di “nazione”, in America latina, o quello di “Stato”, nell’Africa della decolonizzazione, identificano eclatanti esempi di “finzioni reali” alla base dei fenomeni di “mimetismo costituzionale” Su questa linea di approfondimento, si v. ora lo Special Issue The Dynamics of Multi-Level Systems, in 12 Comp. Eur. Pol., 4-5, 2014. Colui che ha fornito il contributo metodologico più significativo, nell’approccio ad una comparazione sistemica delle dimensioni “psico-sociali” delle istituzioni, è stato N. Elias con le sue profonde ricerche sui processi di genesi sociale e di civilizzazione delle identità nazionali e statali europee (si v. almeno Potere e civiltà (1969), trad. it., il Mulino, Bologna, 1983; Coinvolgimento e distacco (1983), trad. it., il Mulino, Bologna, 1988). La “figurazione” non sarebbe altro che «la struttura rappresentativa di una catena di interdipendenze il cui potere, in quanto non entità ma relazione, si impone a coloro stessi che lo hanno posto in essere» (M. Strazzeri, Il teatro della legge. L’enunciabile e il visibile, Palomar, Bari, 2007, 8). Ma sulla importanza di questi profili nella individuazione degli “elementi determinanti” di una osservazione sociale comparata, si deve considerare il contributo offerto dalla cosiddetta Commissione Gulbenkian, (Informe della Comisión Gulbenkian para la reestructuración de las ciencias sociales, a cura di I. Wallerstein: Abrir las ciencias sociales: Comisión Gulbenkian para la reestructuración de las ciencias sociales, II ed., Siglo XXI, México DF, 1999), il cui merito è stato quello di aver svelato altresì le “geopolitiche della conoscenza”, con cui il modo di fare comparazione, egemonicamente eurocentrico, si è evoluto nella storia. Per un esempio pratico della rilevanza delle “figurazioni” nella osservazione comparata delle istituzioni, si può citare il celebre esperimento, promosso nel 1993 da Jacques Delors, con lo studio intitolato Un approccio antropologico alla Commissione europea: affidato a due antropologi francesi e a un inglese, l’indagine rivelò il permanere, fra i funzionari europei, di profondi Clivages legati alla loro origine nazionale e culturale, come le divisioni fra “Nord” e “Sud”, “mondo latino” e “mondo germanico”, “cattolici” e “protestanti”, cultura amministrativa della “centralizzazione” e quella della” decentralizzazione”, cultura della “trasparenza” e della “confidenzialità” (cfr. I.I. Gabara, L. Consoli, In Europa tornano i “caratteri nazionali”, in Limes, 2, 1997, 15 ss.). 151 E su questo campo sarebbe sempre necessario far tesoro degli insegnamenti di R. Orestano, per esempio in Verso l’unità della conoscenza giuridica, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1984, 635 ss. 152 Si v. la interessante sintesi di D.E. López Medina, La jurisprudencia como fuente del derecho. Visión histórica y comparada, in 1 Umbral. Rev. Der. Const., 2011, 21 ss. 153 M. Carducci, Euristica dei “flussi giuridici”, cit.; e M. Carducci, A.S. Bruno, Studying the “Legal Flows” as a Multidisciplinary Method to Promote Constitutionalism as a Common Property of Mankind, in 4 Eur. Sc. J., 2013, 119 ss. 154 Il concetto di “finzione” è molto problematico e percorre molti campi dell’esperienza giuridica (si v. ora la ricerca di E. Olivito, Le finzioni giuridiche nel diritto costituzionale, Jovene, Napoli, 2013, la quale differenzia la “funzione” delle “finzioni” e la loro “circolazione”, in ragione della loro origine come errore, come denominazione, come analogia ecc …), intrecciandosi con la filosofia politica a base del moderno costituzionalismo (nei suoi miti giuridici: P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, Giuffrè. Milano, 2007; nelle sue finzioni politiche: M. Herrero, Ficciones políticas. El eco de Thomas Hobbes en el ocaso de la modernidad, Katz, Buenos Aires, 2012; nei suoi “veli di ignoranza” sulle categorie costituzionali: A. Vermeule, Veil of Ignorance Rules in Constitutional Law, in 111 Yale L. J., 2001, 427 ss.). Nella prospettiva della comparazione, tra l’altro, tale concetto consente altresì di verificare come determinate semantiche costituzionali non sempre corrispondano alle strutture reali del contesto cui si riferiscono (si pensi, per tutti, ai “singolari collettivi” che hanno sorretto, come il concetto di “nazione”, il lessico costituzionale europeo e sono stati “trapiantati” all’esterno, senza alcuna corrispondenza di condizioni e di processo). Per questo tipo di studi, il punto di riferimento continua ad essere l’opera di semantica storica condotta da R. Koselleck, a partire da Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici (1979), trad. it., Marietti, Genova, 1986, sino al recente Begriffsgeschichten: Studien zur Semantik und Pragmatik der politischen und sozialen Sprache, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 2006. Merita infine un semplice accenno, per ragioni di spazio, anche il nesso tra “finzioni” e “invenzioni” della modernità (almeno cinque sono state approdonditamente scandagliate: E. O’ Gorman, La invención de América (1958), FCE, Mexico DF, 1995; E.J. Hobsbawm, T. Ranger (a cura di), L’invenzione della tradizione, trad. it., Einaudi, Torino, 1987; S. Latouche, L’invenzione dell’economia (2005), trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 2010; V.Y. Mudimbe, L’invenzione dell’Africa (1988), trad. it., Meltemi, Roma, 2007; A. Marzo Magni, L’invenzione dei soldi, Garzanti, Milano, 2013). 149 150 54 © Filodiritto Editore e di “facciata costituzionale”, presenti in quei contesti155. Ma “finzioni reali” si riscontrano anche nella dogmatica giuridica, determinata dalle sue “figurazioni” e dai suoi “flussi” (per esempio, il concetto di Recht nello Staatsrecht tedesco e la differenza fra Rechtsstaat e Rule of Law non si comprenderebbero ignorando la storia del popolo tedesco e della sua identità di Volk) sia nelle verbalizzazioni dei “formanti” legislativi scritti (per esempio, il concetto di “inviolabilità dei diritti”, affermato dalla Costituzione italiana, rispetto alla “figurazione” dell’ “interesse legittimo”, formalizzato anch’esso dalla medesima Costituzione156; analogo discorso si può fare per il concetto di “coscienza centroamericana”, formalizzato negli atti istitutivi dei processi di integrazione sovranazionale di quegli Stati157). m) Undicesimo postulato: per individuare “figurazioni”, “flussi” e “finzioni reali” di qualsiasi realtà, da comparare con altre, si deve ricorrere a tutti e tre i livelli di osservazione. Il ricorso a questi campi di osservazione ridimensiona la possibilità di comparazioni meramente “metaforiche” (fondate sulla logica astratta dell’ “als ob”, ossia prescindendo da uno dei tre livelli di osservazione), di volta in volta declinate attraverso formule più o meno “magiche”158, come è quella che invoca la “tutela più intensa” dei DF nel “dialogo” tra giudici159, categorie dogmatiche, presupposizioni di realtà. n) Dodicesimo postulato: una comparazione costituzionale “chiusa” (mono disciplinare) si (pre)occupa solo di osservazioni di II e III livello; una comparazione costituzionale “aperta” (interdisciplinare) si (pre)occupa anche di osservazioni di I livello. Alla luce di questi postulati, che in verità riassumono le acquisizioni consolidate di qualsiasi epistemologia della comparazione, si possono tracciare alcune conclusioni utili all’analisi dei fenomeni di JD e TC e alla loro qualificazione come operazioni di comparazione. La prima conclusione è così di seguito riassumibile: solo una comparazione giuridica interdisciplinare consente di evidenziare “flussi”, “figurazioni” e “finzioni”. L’assunto potrebbe essere reso dalla seguente formula: (S) (P) Fl + Fg (=finzioni) > O / L1,2,3 (Comp) Rn (T) Scelte [S], conseguenti a preferenze [P] condizionate da flussi [Fl]e figurazioni [Fg]che producono finzioni, orientano il processo di osservazione [O], con i suoi connessi livelli [L1,2,3], in cui consiste la comparazione di elementi (proprietà e stati di proprietà di oggetti) della realtà [Rn] rispetto a un tertium comparationis [T]. Tale interazione è presente in termini sistemici generali160 in numerosi approcci epistemologi (penso alle differenti teorie dei sistemi di H.R. Maturana e F.J. Valera, di N. Luhmann, di L. von Bertalanffy; al “razionalismo regionale” di G. Bachelard; alla sociologia del “campo giuridico” di P. Bourdieu; alla c.d. “equazione” di P. Dirac; alla comparazione di F. Galton; all’antropologia della conoscenza di A. Appadurai, e così via) e si inserisce nel solco della demarcazione novecentesca tra A. Colomer Viadel, Introducción al constitucionalismo iberoamericano, Ediciones de Cultura Hispánica, Madrid, 1990, 78 ss.; Y. Meny (a cura di), Les politiques de mimétisme institutionnel, L’ Harmattan, Paris, 1993; F.W. Riggs, Fragilité des Régimes du Tiers Monde, in 136 Rev. Intern. Sc. Sociales, 1993, 235 ss; M. Herrero de Miñon, Autoctonía constitucional y poder constituyente, in Rev. Est. Pol., 1970, 29 ss.; G. Bercovici, La periferia del capitalismo come crocevia delle teorie dello Stato e della Costituzione (2004), trad. it., Pensa, Lecce-Cavallino, 2005. Sull’uso del concetto di «democrazia di facciata» nella comparazione costituzionale, si v. anche F. Lanchester, Gli strumenti della democrazia, Giuffrè, Milano, 2004, 95 ss. 156 Sul profilo della (in)violabilità dei diritti attraverso la “finzione” degli “interessi legittimi”, si v. N. Pignatelli, La giurisprudenza dei diritti costituzionali tra potere pubblico e interesse legittimo: la relativizzazione dell’inviolabilità, Pisa Univ. Presse, Pisa, 2013. 157 J.A. Giammattei Avilés, Conciencia centroamericana, 2 voll., Ed. Somarriba, Managua, 1996-2000. 158 Per riprendere il grande contributo di R. Wiethölter, Le formule magiche della scienza giuridica (1968), trad. it., Laterza, Bari, 1975. 159 Sulla problematicità di questo approccio, si v. le riflessioni costantemente aggiornate di A. Ruggeri (da ultimo: Sei tesi in tema di diritti fondamentali e della loro tutela attraverso il “dialogo” tra Corti europee e Corti nazionali, in www.federalismi.it, 18, 2014). Per una rassegna intelligente dei “livelli di tutela” nel “dialogo” europeo, si rinvia a E. Malfatti, I “livelli” di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea, Giappichelli, Torino, 2013. 160 Dico “in termini sistemici”, perché le prospettive richiamate si collocano cognitivamente in modo diverso intorno all’idea di “sistema” (e quindi anche di “sistema giuridico”), considerandolo ora “organizzativamente chiuso” (H.R. Maturana, E.J. Valera), ora organizzativamente chiuso ma “cognitivamente aperto” (N. Luhmann), ora esclusivamente “aperto” (L. von Bertalanffy). 155 55 © Filodiritto Editore conoscenza oggettiva e interpretazione161. Detto in modo banale: è una interazione “al passo coi tempi” (i tempi della complessità del pluralismo epistemico e non solo fenomenico). Il suo accantonamento può abilitare o all’ “anarchismo metodologico”, quell’ “anarchismo” o “spontaneismo” che si ritiene sussistere e sorreggere proprio i fenomeni di JD e TC, oppure ai giochi metaforici dell’als-ob, dove in realtà non si sperimentano metodi ma si ri-utilizzano spezzoni di esperienze giuridiche altrui per fini propri162. Questa conclusione basterebbe a sentenziare che JD e TC non identificano, in termini epistemologici, operazioni di comparazione. Ma essa, per quanto necessaria, non è sufficiente ai fini di una valutazione complessiva dei fenomeni di JD e TC dal punto di vista del metodo. Infatti, se il quadro dei dodici postulati si dimostra imprescindibile per comprendere come si fa comparazione, si utilizzano i “formanti”, a quale livello di osservazione (e quindi di interdisciplinarità) lavora il giurista-costituzionalista, esso risulterà altrettanto utile per studiare come i giudici fanno “dialogo”/comparazione163. Si è ricordato che il giudice non è uno scienziato né un epistemologo (come, per la verità, non è neppure l’ “Ercole” immaginato da Dworkin164). Egli, tuttavia, per decidere, non può non osservare la realtà (i fatti controversi, le parti in causa, le loro storie ecc …). Quindi, nel momento in cui ricorre a giurisprudenza o materiale straniero, egli non fa altro che ripetere, anche inconsapevolmente, tutte o parte delle operazioni di osservazione descritte, con tutte le implicazioni connesse (figurazioni prodotte da flussi, finzioni reali, preferenze e condizionamenti ecc …). In definitiva, il quadro dei postulati richiamati consente di analizzare il comportamento dei giudici e di distinguerne i processi intellettivi di “dialogo”/comparazione, in modo da verificare in che cosa essi consistano, a quale livello di osservazione si arrestino, quali preferenze, con quali condizionamenti, indirizzino le scelte del giudice, e via discorrendo. Per un quadro di classificazione utile al costituzionalista, si v. G.A. Roggerone, Interpretazione e conoscenza oggettiva, Milella, Lecce, 1998. 162 Sull’affacciarsi di queste alternative nel campo della conoscenza e della interpretazione, si v. il grande contributo di M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizione (1949), trad. it., Borla, Roma, 1982. 163 Del resto, in tale prospettiva si inseriscono studi e contributi come, per esempio, quelli di D.E. López Medina, Teoría impura del derecho. La transformación de la cultura jurídica latinoamericana, Legis-Univ. de los Andes-Univ. Nacional, Bogotá, 2004; M. Gordon, Don’t Copy me Argentina: Constitutional Borrowing and Rethorical Type, in 8 Washington Univ. Global St. L. Rev., 2009, 486; R. Saavedra Velasco, Sobre formantes, transplantes e irritaciones, in Ius et Veritas, 40, 2010, 70. 164 Trovandomi pienamente d’accordo con le considerazioni di L. Pegoraro, Diritto costituzionale comparato, cit., 265, il quale si richiama a C. Luzzati. 161 56 © Filodiritto Editore 6. Lo schema esplicativo di Frankenberg Questo tipo di analisi è stato portato avanti da G. Frankenberg, in una serie di scritti fondativi della sua teoria del “costituzionalismo IKEA”, posti recentemente a discussione e verifica165. Lo schema esplicativo di Frankenberg può essere così di seguito rappresentato166. Esso si rivela estremamente significativo, perché consente di acquisire diversi elementi utili all’osservazione dei fenomeni di JD e TC. In primo luogo, grazie ad esso, si possono tracciare alcune chiarificazioni concettuali, sgombrando il campo dalle confusioni terminologiche che, come accennato, affollano questi studi. In secondo luogo, esso contribuisce a tracciare una differenza empirica abbastanza chiara tra “dialogo” e “ri-uso”. Pertanto, schematizzando al massimo lo schema stesso, si può concludere nei termini che seguono. a) JD e TC non si fondano sulla elezione di un tertium comparationis. In effetti, quale dovrebbe essere questo tertium in una circolazione di Empty Rules? b) JD e TC non utilizzano regole di altri ordinamenti (“stranieri” o del “diritto internazionale”, secondo lo schema ammesso dall’art. 39 della Costituzione sudafricana); bensì essi producono Empty Rules decontestualizzate; “finzioni reali”, potremmo aggiungere. c) JD e TC prescindono dalla comparazione/osservazione dei contesti, proprio perché “decontestualizzano” regole; possono fare a meno di osservazioni di I livello. d) JD e TC definiscono un versus di produzione di Empty Rules, quindi segnano inevitabili “flussi giuridici” di diversa provenienza e di diversa destinazione167. Questi “flussi”, a loro volta, possono essere liberi o condizionati dalle relazioni interordinamentali in cui opera il giudice e dai “vettori di comunicazione”, cui egli si deve attenere168. e) Solo nel caso in cui si riscontri reciprocità tra produzione e recezione di Empty Rules, è corretto parlare di “dialogo” ossia di JD169. In assenza di reciprocità, si verifica una TC consistente soltanto in riutilizzo, o “ri-uso”, di materiale giuridico “straniero”. G. Frankenberg, Constitutions as Commodities: Notes on a Theory of Transfer, in Id. (Org.), Order from Transfer, Edward Elgar, Cheltenham-Northhampton, 2013, 59 ss. ed ivi bibliografia. 166 Si trae da pagina 60 del libro citato nella nota precedente. 167 Per esempio, nella differenziazione tra sitio de producción e sitio de recepción delle imitazioni prodotte dalla giurisprudenza, di cui parla il citato D.E. López Medina, Teoría impura. 168 Sulla identificazione dei “vettori di comunicazione” per la comprensione del “dialogo” tra giudici, si v. M.D. Poli, I “vettori comunicativi” del costituzionalismo tedesco: il dialogo sui diritti fondamentali tra Corte costituzionale federale e Corti costituzionali dei Länder, in III Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2013, 1069 ss. 169 Per esempio, nei rapporti tra giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani e Corte Interamericana dei diritti umani, su cui si v. T. Groppi, Le citazioni reciproche tra la Corte europea e la Corte interamericana dei diritti dell’uomo: dall’influenza al dialogo?, in www.federalismi.it, 19, 2013. 165 57 f) Pertanto, la TC è il presupposto sia del “dialogo” (JD) che del “ri-uso”, ma non si esaurisce solo nell’uno o solo nell’altro. Per tale ragione, Frankenberg preferisce inquadrare questi fenomeni come“Transfer” di un “costituzionalismo IKEA”, funzionale alle preferenze/scelte dei vari operatori/osservatori giuridici nel decidere se “dialogare” o semplicemente “ri-utilizzare” materiale “straniero”170. g) Insomma, con specifico riferimento ai giudici, risulta più corretto qualificare le loro operazioni di osservazione e decisione in termini di comunicazione trans-giudiziale (TC), realizzata come “dialogo” o “ri-uso”, e non invece in termini di comparazione, giacché la TC passa attraverso la messa a disposizione di Empty Rules, “de-contestualizzate” rispetto a qualsiasi tertium comparationis, e “ri-contestualizzate” in funzione delle finalità perseguite dal giudice utilizzatore, finalità che possono essere le più diverse, per condizionamento o libertà di azione del giudice, senza necessarie reciprocità e “altruismi”171. h) Inoltre, questo ricorso alle Empty Rules distingue il fenomeno di TC dal “metodo giudiziale” del precedente, al cui interno non si opera affatto su regole “de-constestualizzate”172. i) Del resto, le Empty Rules non sono una conseguenza diretta della “non esclusività” del parametro o dell’oggetto delle decisioni del giudice “dialogante”, come molta dottrina immagina. Sono piuttosto una conseguenza della comunicazione (libera e volontaria o condizionata e necessaria) tra giudici. Esse costituiscono l’oggetto specifico della TC. l) Bisognerà quindi studiare (osservare) la base (volontaria o necessitata) della comunicazione tra i giudici, per poter comprendere a fondo i fenomeni di “dialogo” e di “ri-uso” delle Empty Rules. Sono tutte conclusioni di grande impatto pratico per lo studioso dei fenomeni di JD e TC. Lo schema di Frankenberg, tuttavia, solleva anche nuovi interrogativi. Se le comunicazioni transgiudiziali (le TC) non sono fra loro uguali, giacché alcune produrranno “dialogo” e altre “ri-uso”, quali saranno gli elementi differenziali a base dell’uno o dell’altro esito? Dipenderanno tutte esclusivamente dal giudice? Se le TC attivano la circolazione di Empty Rules, quali saranno gli elementi minimi di composizione di queste Empty Rules, affinché esse siano ri-contestualizzabili dal giudice “dialogante”? Conterranno principi generali comuni? Rifletteranno elementi di un presunto Jus Cogens internazionale173? Oppure corrisponderanno a quei fenomeni giudiziali che C. Schmitt stigmatizzava come Umformungen (trasformazioni senza forma), quando criticava i “concetti indeterminati” della Costituzione di Weimar (una sorta di creationes ex nihilo)174? Comunque stiano le cose, la TC si rivela non essere un’attività pratica di conoscenza/osservazione, ma di trasmissione. Essa, per funzionare, avrà bisogno di condizioni solo minime di conoscenza. A.S. Bruno, A Space without Frontiers and the New Nomos of the Earth, in II Eunomia,1, 2013, 195 ss. Per una rassegna delle “finalità” del “dialogo”, si v. B. Markesinis, J. Fedtke, Giudici e diritto straniero, cit., 159 ss. Tra l’altro, le finalità sono altresì comprensibili proprio nel quadro dei “vettori di comunicazione” che orientano la TC. Si pensi alla elaborazione giurisprudenziale europea delle “tradizioni costituzionali comuni agli Stati UE”, mirata ad armonizzare il contesto europeo in una sorta di “transazione” delle identità costituzionali degli Stati membri. E si consideri, al contrario, l’uso che il Tribunale costituzionale della Colombia fa della giurisprudenza straniera, per tradurre Empty Rules con finalità trasformative delle identità costituzionali risalenti di quel paese. Si v. i due studi di S. Insignares-Cera, V. Molinares-Hassan: Juicio integrado de constitucionalidad: análisis de la metodología utilizada por la Corte constitucional colombiana, in 124 Vniversitas, 2012, 91 ss.; La dignidad humana. Incorporación de la jurisprudencia del Tribunal europeo de los derechos humanos por la Corte constitucional colombiana, in 36 Rev. Derecho Univ. del Norte, 2011, 98 ss. 172 Utili riflessioni antropologiche in L.A. Fallers, Law without Precedent, Univ. Chicago Press, Chicago, 1969. Ma si potrebbe ricordare l’importante differenziazione proposta da M. Taruffo, Precedente ed esempio nella decisione giudiziaria, in Riv. Dir, Proc. Civ., 1994, 19 ss., tesa proprio a cogliere la specificità contestualizzante della tecnica del precedente, rispetto al semplice richiamo (“esempio”) di giurisprudenza. 173 Come talvolta si ritiene, invocando disposizioni quali l’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati oppure l’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (CIG). Ma tale profilo verrà ripreso infra, nel testo. 174 C. Schmitt, Legalità e legittimità (1932), trad. it. in Id., Le categorie del “politico”, il Mulino, Bologna, 1972, 216. 170 171 © Filodiritto Editore © Filodiritto Editore Tant’è che i suoi effetti “comunicativi” li produrrà comunque, anche se essi consisteranno in un “diritto costituzionale generico”175, in equivoci o addirittura “cattive interpretazioni” della Empty Rule, rispetto al suo contesto concettuale e reale di origine176, revisioni “autoctone” della stessa177, “internalizzazioni” soggettive delle concezioni costituzionali del giudice “altro”178. È per queste ragioni che le “Empty Rules”, come empiricamente evidenziaro, possono tradursi nelle forme più diverse: - mere citazioni di espressioni o formule linguistiche179; - incroci di “formanti” (citazioni di dottrina e non solo di giurisprudenza ecc …)180; - imitazioni di metodi argomentativi181; - atteggiamenti di leale collaborazione tra giudici, per esempio in presenza di basi necessitate di comunicazione182. 7. Il fattore “C” Lo schema di Frankenberg spiega come si produce comunicazione trans-giudiziale, ma non spiega perché (come causa e come scopo) si produce tale comunicazione, presupponendo che tali ragioni siano ininfluenti sulla resa esplicativa dello schema stesso. Al contrario, questa esigenza di precisazione si rileva importante se vogliamo poter fare comparazione fra comunicazioni trans-giudiziali (quindi osservare/comparare fra loro più fenomeni di TC); inoltre, essa è ulteriormente rilevante per cogliere la specificità della dimensione europea di comunicazione trans-giudiziale e interrogarci sulla sua possibilità di assurgere a tertium comparationis di qualsiasi fenomeno di TC a livello globale. Provo a spiegarmi. Si è detto che qualsiasi osservazione/comparazione presuppone una scelta sugli elementi della realtà (proprietà e stati di proprietà degli oggetti), determinata da preferenze condizionate. Quali saranno le preferenze condizionate nella scelta dei giudici sulle Empty Rules messe in circolazione dalla TC? Il panorama comparato offre tre generi di risposte. a) Le Empty Rules sono preferite/scelte in ragione del loro potenziale di ammodernamento di categorie e concetti giuridici del contesto in cui opera il giudice “dialogante”. Questo scenario si presenta soprattutto nelle “periferie” della “modernità costituzionale”183, dove il sincretismo metodologico da parte dei giudici “dialoganti” mira generalmente ad “agganciare” la modernità delle acquisizioni concettuali e terminologiche, consolidate nel “centro” (euro-nordamericano) del costituzionalismo184. In questo caso, la “ri-contestualizzazione” non produce nuove regole nel luogo di ricezione, bensì nuovi concetti e nuove forme argomentative al servizio delle regole autoctone. Il caso più significativo e controverso di questa modalità di TC è offerto dal variegato, e spesso confuso, panorama del “neo- D.S. Law, Generic Constitutional Law, in 89 Minn. L. Rev., 2005, 652. Del resto, sul fenomeno delle cosiddette “malas interpretaciones”, si consideri il citato D.E. López Medina, Teoría impura. Ma si v. anche, sull’ “abuso” del richiamo giudiziale alle teorie di R. Alexy, A. Karam Trindade, L. Luiz Streck, Alexy e os problemas de uma teoría jurídica sem filosofia, in Consultor Jurídico, abril 2014, www.conjur.com.br. 177 A. Badara Fall, Il diritto africano ha una sua collocazione nel diritto comparato? (2005), trad. it., Pensa, Lecce-Cavallino, 2007. 178 F. Schauer, Judicial Self-Understanding and the Internalization of Constitutional Rules, in 61 Univ. Colorado L. Rev., 4, 1990, 749. 179 Esemplificazioni nei citati R. Bustos Gisberg, N. Sagües, A. Lollini. 180 In merito, L. Pegoraro, Diritto costituzionale comparato, cit., 249 ss. 181 Riscontri nel citato C. Bateup. 182 P.W. Hogg, A.A. Bushell, The Charter Dialogue Between Courts and Legislatures, in Osgoode L.J., 35, 1997, 75. 183 M. Carducci, Tradurre, equivocare, copiare nel diritto pubblico dell’America latina, in 12 Rev. Gen. Der. Públ. Comp.-Iustel, 12, 2012, 1 ss. 184 M. Adeodato, Legal Decision-Making Proceedings in Underdeveloped Countries, in 18 Indian Social-Legal J., 1-2, 1992, 161 ss. 175 176 59 © Filodiritto Editore constitucionalismo” latinoamericano185. b) Le Empty Rules sono preferite/scelte per l’effetto utile da esse prodotte nella tenuta di determinati rapporti tra fonti o tra ordinamenti. È quanto si verifica nella cosiddetta Cross-Fertilization dei giudici della Unione europea, comunque finalizzata a legittimare e mantenere la primauté del diritto europeo, vero e proprio elemento condizionante qualsiasi preferenza di TC186, tanto da fondare anche la cosiddetta responsabilità dello Stato-giudice, in caso di sua omissione in sede interpretativaapplicativa e di rinvio pregiudiziale187. Ma analoga osservazione può farsi per il cosiddetto “controllo di convenzionalità” nel “dialogo” tra giudici nazionali e Corte interamericana dei diritti umani188. In questi casi, come già accennato, non si verifica una vera e propria “ri-contestualizzazione”, ma un’applicazione di una specifica Rule, ritenuta valida e preminente per un intero “contesto”, comprensivo anche di quello del giudice “dialogante”. c) Le Empty Rules sono scelte/preferite per corroborare la forza argomentativa intorno a enunciati costituzionali, nei cui confronti sussistono oscillazioni interpretative o applicative domestiche. In questa ipotesi, la Rule è “ri-contestualizzata” attraverso la rilettura della regola costituzionale interna già esistente189. Quest’ultimo scenario è quello forse più frequente e comunque quello più carico di implicazioni problematiche sulle ragioni del ricorso alle Empty Rules. Può la circolazione di Empty Rules incidere sulle sorti interpretative e applicative di una Costituzione? Davvero le Costituzioni sono ormai documenti “parziali” o a “struttura aperta”, come vorrebbero le teorie “anarchiche” della JD e della TC? Com’è noto, le risposte più intransigenti su questo genere di interrogativi provengono dal contesto degli Stati Uniti d’America, al cui interno la tematica della Constitutional Fidelity ha assunto contorni del tutto peculiari, che ridimensionano notevolmente la portata presuntivamente globale dei temi del JD e della TC190. Ciononostante, i giudici statunitensi si atteggiano a “parrocchiali” e “universali” al tempo stesso. Ne fornisce prova la parabola dell’applicazione giudiziale “universalista” dell’art. III della Costituzione USA in base all’Alien Tort Claims Act, interpretato in modo da estendere la competenza dei tribunali federali anche ai ricorsi giudiziari di stranieri, basati sulle consuetudini o sui trattati internazionali espressivi di principi generali di tutela di (alcuni) diritti umani. Questo meccanismo avrebbe potuto fomentare una possibile tendenza alla TC. Invece così non è stato. L’universalismo non serve a “dialogare”, serve a controllare dinamiche esterne agli USA attraverso l’applicazione del diritto statunitense, nonostante l’invocazione di parametri universali come addirittura lo ius gentium191. Quindi non tutte le Costituzione sono realmente “aperte”, “parziali”, “dis-integrabili”; e anche quando (reputate) “aperte”, esse si rivelano in realtà precostitutivamente “connesse” a qualcosa, come non possono non riconoscere anche le teorie sulla cosiddetta “intercostituzionalità”192. Del resto, le Costituzioni sono un “formante” sui generis. Esse non operano solo sul piano “regoPer riferimenti critici alle prassi di “imitazione” del “neo-constitucionalismo” come prassi trans-nazionale che, utilizzando materiale straniero, ostacola la maturazione di una cultura autonoma dei precedenti costituzionali di uno Stato, cfr. C. Escobar García, Transconstitucionalismo y diálogo jurídico, Corte constitucional del Ecuador, Quito, 2011. 186 A. Lazari, La nueva gramática del constitucionalismo judicial europeo, in 33 Rev. Der. Com. Eur., 2009, 501 ss. 187 Per una interessante riflessione sulle implicazioni del tema della responsabilità dello Stato-giudice si v. A. Pace, Le ricadute sull’ordinamento italiano della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 24 novembre 2011 sulla responsabilità dello StatoGiudice, in Rivista AIC, 1, 2012. 188 Si v. gli studi contenuti nel citato volume E. Ferrer Mac-Gregor, A. Herrera García (Coords.), Diálogos jurisprudenciales en Derechos humanos entre Tribunales constitucionales y Cortes internacionales, cit. 189 In tale prospettiva, l’approccio appare simile al “diritto vivente” evocato negli ordinamenti di diritto legislativo. Si v. M. Cavino (a cura di), Esperienze di diritto vivente. La giurisprudenza negli ordinamenti di diritto legislativo, Giuffrè, Milano, 2009. 190 A.S. Bruno, Constitutional Fidelity. Saggio comparativo su una “figurazione” statunitense, Giappichelli, Torino, 2011. 191 Sulla vicenda dell’Alien Tort Claims Act e della sua restrizione per opera della Corte Suprema, si v. J.J. Paust, Human Rights through the ATS after Kiobel: Partial Extraterritoriality, Misconceptions, and Elusive and Problematic Judicially-Created Criteria, in 6 Duke Forum for L. & Soc. Change, 2014, 31 ss. 192 Si v. A. Ruggeri, Sovranità dello Stato e sovranità sovranazionale, attraverso i diritti umani, e le prospettive di un diritto europeo “intercostituzionale”, in II Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2001, 544 ss., il quale riconosce anche di utilizzare il termine Costituzione in “senso materiale”. 185 60 © Filodiritto Editore lativo” (lecito/illecito), ma soprattutto su quello “transitivo”, nella misura in cui combinano appunto l’asse della legalità (l’asse del mero rapporto tra lecito/illecito) con l’asse della legittimità (l’asse delle idee di giustizia e dei rimedi alle ingiustizie nell’adeguamento alle trasformazioni della società). La grammatica costituzionale riflette questa doppia anima con la sua scansione di principi, regole di libertà e funzioni [PF > L > F]. Tra l’altro, i PF consistono in enunciati a forte connotazione evocativa, emotiva e descrittiva, oltre che prescrittiva, rinviando inesorabilmente all’acquisizione evolutiva di un insieme dei diritti fondamentali (DF) assurti a valori (V) e fondati sul primato della dignità (D) della persona umana [PF = DF+V+D]: valori e dignità, frutto delle “figurazioni” consegnate dai processi di civilizzazione occidentale. Come e dove si colloca la TC, con i sui effetti, all’interno di questa così ricca dimensione deontologica/metodologica di legalità/legittimità costituzionale e assiologia193? Ma non è tutto. Qualsiasi Costituzione racchiude un doppio binario di decisioni, giuridiche e politiche, per il quale non si ammette deroga (si pensi al tema delle “omissioni incostituzionali”) ma si richiede altresì la legittimazione attraverso il consenso194. Qualsiasi Costituzione, in poche parole, si muove non solo nell’ambito del sistema giuridico e delle sue istanze di applicazione del diritto (il petitum), ma anche su quello politico della sua legittimazione e delle sue deliberazioni (il consensus)195. Da tale angolo di visuale, la domanda che insorge al cospetto dei fenomeni di TC è inesorabilmente una: “dialogo” e “ri-uso” possono ignorare la dialettica tra petitum e consensus, implicita a qualsiasi contesto costituzionale? Può ignorarlo la comparazione costituzionale stessa? O non è forse questo il tertium comparationis ineludibile al cospetto di qualsiasi preteso “cosmopolitismo costituzionale” sorretto dalla TC di giudici “dialoganti”? Non è questa la sede per ricostruire possibili risposte a questo enorme interrogativo. Quello che conta, ai fini metodologici dell’esposizione, è rilevare l’importanza del fattore “Costituzione” (il fattore “C”) nella osservazione dei fenomeni di JD e TC, troppo frettolosamente inquadrati e classificati omettendo o addirittura ignorando la complessa natura del “formante” Costituzione. 8. Il versus della comunicazione trans-giudiziale Tornando alle rilevazioni di Frankenberg, si è constatato la comunicazione trans-giudiziale non produce comparazione, ma semplicemente riutilizzo di materiale “straniero”, in condizioni di reciprocità (“dialogo”) o di unilateralità (“ri-uso”). In tale prospettiva, il fenomeno appare riconducibile alle operazioni intellettuali che J.-L. Constantinesco denominava di “subappalto” e che, nella linguistica comparata, sono state qualificate come transito dal “prototesto” (da un contesto A, produttore di significati) al “metatesto” (di un contesto B, trasformatore di significati)196: operazioni al cui interno i fattori più condizionanti, come si è constatato essere il fattore “C” di ciascun singolo ordinamento dei giudici “dialoganti”, possono essere alleggeriti – per effetto della “de-contestualizzazione”/“ricontestualizzazione” delle Empty Rules – nel loro peso specifico di determinazione semantica e contenutistica. È emblematico, in merito, constatare come il percorso di TC tracciato da Frankenberg proceda in parallelo a quello disegnato da J.M. Lotman per spiegare le “semiosfere” dei “dialoghi” 197. Per LotSi pensi all’art. 101 Cost. italiana, sul principio della “subordinazione” del giudice “solo” alla legge. In tale prospettiva, è determinante l’interrogativo se sia possibile una interpretazione costituzionale che sia indipendente da considerazioni politiche e non condizioni preferenze/scelte dell’interprete. Su questo problema, si v. J.J. Moreso, La indeterminación del derecho y la interpretación de la Constitución, Centro de Estudios Constitucionales, Madrid, 1997. 195 In altri termini, la TC non colma lo iato tra Policies (consensus) e Pratices (Dialogue). E potrebbe essere questo il motivo per cui il “dialogo” non viene incluso tra gli indicatori internazionali di Human Rights Practices, con buona pace dei teorici del cosmopolitismo costituzionale. 196 J.M. Lotman, La Semiosfera, trad. it., Marsilio, Venezia, 1985, nonché Tesi per una semiotica delle culture, trad. it., Meltemi, Roma, 2007. 197 Sottolinea questo profilo con riguardo al contributo di Lotman, E. Menezes de Carvalho, Integração normativa e a tradução das tradições jurídicas, in E. Menezes de Carvalho, R. Greenstein (dir.), L’integration,cit., 99. 193 194 61 © Filodiritto Editore man i “dialoghi” segnano sempre cambi di comportamento semiotico: da una tipologia “grammaticale”, in cui prevalgono regole previamente stabilite e formalizzate, ad una “testuale”, dove le regole sono riconosciute come pratica e attribuzione di senso ai comportamenti. In effetti, il fenomeno di TC funziona proprio così: esso si presenta a “geometria e geografia variabile” rispetto ad altri meccanismi più incisivi di integrazione giuridica, come l’armonizzazione, l’uniformazione o l’unificazione198, in quanto non crea regole effettivamente formalizzate, ma pratiche e attribuzioni di senso a comportamenti (a partire da quelli dei giudici “dialoganti”). Nel contempo, grazie a queste sue caratteristiche, esso permette di porre in “dialogo” giudici fra loro anche molto diversi per “cultura” (per esempio, giudici di Common Law con giudici di Civil Law) o campo di azione (per esempio, giudici nazionali con giudici internazionali, giudici sovranazionali con giudici internazionali), in quanto esso è rivolto alla dimensione pragmatica dell’uso della comunicazione e non invece alla ricognizione del repertorio semiotico e semantico dei contesti in “dialogo”. Questo, però, non deve portare a concludere che non esistano vincoli o condizioni che delimitino o indirizzino comunque il processo di TC. Anzi. Come accennato, sarà appunto lo studio di tali vincoli e condizioni a far comprendere in pieno i fenomeni di TC, per scandagliare le preferenze/scelte dei giudici sia nella messa in circolazione delle Empty Rules sia nel loro utilizzo da “ri-contestualizzare”, come pure nell’apertura o chiusura alla TC medesima199. Del resto, formule come il “margine di apprezzamento”, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, l’ “argomento storico”200, i “precedenti costituzionali” nazionali201, la “volontà del costituente originario”202, la “discrezionalità del legislatore”, quest’ultima prodotta, com’è noto, dalla legislazione processuale costituzionale italiana e dalla sua interpretazione da parte della Corte costituzionale, denotano la presenza, su scale differenti di incidenza, di questi fattori di fissazione del versus o dei limiti della TC, nonché dei suoi esiti203. E la circostanza che sin dai tempi dello studio dei processi di “romanizzazione”, come “flusso” giuridico di influenze e imitazioni, si sia discorso di vincoli ratione imperii/imperio rationis204, conferma ineludibilmente la centralità di questo aspetto dell’indagine. Oggi, la conferma viene proprio dal contesto europeo, in quanto la comunicazione (trans?)-giudiziale europea è condizionata, nella preferenza/scelta dei giudici, dalle relazioni interordinamentali (UE-CEDU-Stati), che predeterminano qualsiasi operazione di “de- e ri-contestualizzazione” di qualsiasi Empty Rules205. Su questi fenomeni, cfr. C. Mialot, P.D. Ehongo, De l’intégration normative à gèométrie et à géographie variables, in M. DelmasMarty (dir.), Critique de l’intégration normative: l’apport du droit compare à l’harmonisation des droits, PUF, Paris, 2004, 34 ss. 199 Per un esempio recente di rilevanza di questo tipo di analisi del versus di JD e TC, si v. A. Schillaci, Indietro (non) si torna. La Corte Suprema indiana, i comportamenti sessuali “contro natura” ed il verso della comparazione, in www.diritticomparati.it. Ma per altri esempi di considerazione di questo profilo, si v. N. Chronowski, E. Csatlós, Judicial Dialogue or National Monologue?, in 1 Elte L. J., 2013, 5 ss. D’altra parte, è anche stato osservato come la TC non possa sostituirsi alla identità degli ordinamenti non tanto come sovranità, bensì come specificità di tradizioni costituzionali. Per tali ragioni, si è concluso: «Ben venga il “dialogo” tra le Corti, purché sia un dialogo, se non tra sordi, tra soggetti che non pretendano di sentire troppo nitidamente ogni singolo suono. Nessuno deve pretendere di poter dire la parola definitiva sul punto della prevalenza di un ordinamento sull’altro» (R. Bin, Nuove strategie per lo sviluppo democratico e l’integrazione politica in Europa, in Rivista AIC, 3, 2014, 10). Per un recente caso europeo, espressivo di questa dialettica, si v. Corte Giustizia UE, A c. B e altri, 11 settembre 2014 C-112/13. 200 Sulla rilevanza dell’ “argomento storico”, in genere poco studiato, si v. A. Buratti, L’uso della storia nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, in Rivista AIC, 2, 2012; e V. Molinares-Hassan, Afrodescendientes: otro caso de garantismo de la Corte constitucional colombiana, in 127 Vniversitas, 2013, 189 ss. 201 Profilo, questo, particolarmente avvertito nei contesti di sperimentazione del “nuevo constitucionalismo”, la cui impronta è proprio quella di emanciparsi dalle suggestioni passive esterne e costruire una propria esperienza, anche giurisprudenziale, di “autoctonia costituzionale” attraverso la maturazione di propri “precedenti costituzionali”, tra l’altro considerati vincolanti (si pensi all’art. 11 comma 7 della Cost. Ecuador): per una sintesi, rinvio a J. Benavides Ordóñez, J. Escudero Soliz (coords.), Manual de justicia constitucional ecuatoriana, Corte constitucional del Ecuador, Quito, 2013, 105-108. 202 Ipotesi perseguita nell’attuale contesto boliviano, con riguardo al “dialogo” con la Corte interamericana: si v. G. Medinaceli Rojas, Interpretación de la Constitución boliviana. Voluntad del constituyente vs. jurisprudencia interamericana, in 1 Umbral Rev. Der. Const., 2011, 55 ss. 203 Per un caso emblematico di tale panorama, F. Vari, Il soliloquio del giudice a Babele ovvero il tentativo della Cassazione di equiparare il regime costituzionale di famiglia, convivenze more uxorio e unioni omosessuali, in www.federalismi.it, 15, 2013. 204 Mi riferisco al fondamentale P. Koschaker, L’Europa e il diritto romano (1947), trad. it., Sansoni, Firenze, 1962. 205 Ammesso che, per il contesto dell’Unione europea, sia corretto parlare di Empty Rules. Ma sul problema si tornerà alla fine del lavoro. 198 62 © Filodiritto Editore Si tratta allora di scandagliare le tipologie di vincolo e condizionamento, in modo da saper distinguere e comprendere le differenti esperienze di TC presenti nel panorama mondiale. Tre sono, in estrema sintesi, le operazioni necessarie allo scopo: - identificare il versus della TC (si pensi, per tutti, al rapporto tra Corte UE rispetto alla Corte CEDU e ai tribunali nazionali); - rintracciare la fonte del versus e la sua natura (fattuale, normativa, vincolante, ottativa); - verificare i tipi di argomentazione e interpretazione che sorreggono e alimentano il versus della TC (dalle tecniche di “interpretazione conforme” agli approcci funzionalistici della primauté e dell’ “effetto utile”, alle argomentazioni assiologiche del “controllo di convenzionalità” latinoamericano o metaforiche di universalizzazione dei discorsi giuridici in nome delle Dichiarazioni universali sui diritti ecc …). Questi tre elementi si riscontrano in qualsiasi TC, e si cercherà di verificarlo nel prosieguo di questo studio. Parte seconda: “Dialogo” o “ri-uso”? 9. Il problema del tertium comparationis È forse il versus il tertium comparationis cui rapportare le esperienze di TC produttive di “dialogo” o “ri-uso”? Si è visto, in realtà, che la stessa TC sembra prescindere dalla elezione di un tertium comparationis e che suo scopo è quello della immissione in “circolazione” di Empty Rules da “ricontestualizzare”. Questo potrebbe forse significare che le Empty Rules dei “dialoghi”/“ri-usi” operino come una sorta di sostituto funzionale del tertium comparationis? Si potrebbe cioè sostenere che i giudici “dialoganti” non si confrontino su un tertium di riferimento comune, sulla cui base “ri-contestualizzare” le Rules in modo più o meno simile, ma semplicemente attingano liberamente dalle Empty Rules in “circolazione”, in via reciproca o unilaterale, senza alcun limite e soprattutto senza alcun vincolo di referenza a un parametro comune? Se la risposta dovesse essere affermativa, la prospettiva di metodo, nella quale si colloca il giudice “costituzionalista comparatista”, risulterebbe simile a quella dei giudici nazionali nei riguardi delle regole del diritto internazionale dei trattati206. Nel diritto internazionale generale, i trattati non costituiscono il tertium comparationis delle giurisprudenze dei singoli Stati firmatari. Lo si desume da diversi riscontri anche formali. In particolare, l’art. 31 della Convenzione di Vienna del 1969, sul diritto dei trattati, stabilisce che un trattato deve essere interpretato in buona fede e in conformità con il “senso comune”, ma anche considerando il “contesto”. Questo significa che il “contesto” operera come elemento di “integrazione esterna” alla interpretazione del documento internazionale comune a tutti gli Stati207. Di conseguenza, i contenuti del trattato fungerebbero quasi da Empty Rules a disposizione dei giudici e della “conformità” ai loro “contesti”208. Questa “conformità”, di riflesso, legittimerebbe poi il meccanismo della “interpretazione consistente”, ossia dell’adeguamento della interpretazione del diritto interno al diritto internazionale “contestualizzato”209. In definitiva, la circolarità tra contesto nazionale e conformità internazionale Per una diversa differenziazione, si v. R. Bustos Gisberg, XV proposiciones generales para una teoría de los diálogos judiciales, in E. Ferrer Mac-Gregor, A. Herrera García (Coords.), Diálogos jurisprudenciales en Derechos humanos entre Tribunales constitucionales y Cortes internacionales cit., 178. 207 Si v. J.-M. Sorel, Art. 31 Convention de 1969, in O. Corten, P. Klein (dir.), Les Conventions de Vienne sur le droit des traités, Bruylant, Bruxelles, 2006, 1317 ss. 208 Per una rassegna di contestualizzazione, si v. L.M. Pinto Bastos jr., A.L. Lupi, A interpretação da norma jurídica internacional em conformidade com seu contexto: uma proposta para a aplicação do direito internacional pelos tribunais brasileiros, in Anais do Conpedi, Brasilia, 2008. 209 Come esplicitamente riconosciuto dal punto 15 del General Comment n. 9 del 3 dicembre 1998, del Comitato per i diritti economici, sociali e culturali dell’ONU (Committee on Economic, Social and Cultural Rights, The Domestic Application of the Covenant, E/C.12/1998/24). Sul tema, si v. Ch. Schreuer, The Interpretation of Treaties by Domestic Courts, in British Yearbook of Int.’ l ., 45, 1971, 265. 206 63 © Filodiritto Editore contrassegnerebbe i rapporti interpretativi internazionali, differenziandoli da quelli di integrazione sistemica, “chiusi” in un unico contesto e perciò vincolanti e vincolati nelle “conformità”. Inoltre, questa circolarità, com’è stato correttamente constatato210, sarebbe la ragione degli “ibridi” interpretativi del diritto internazionale da parte dei giudici nazionali. Tra l’altro, sulla base anche di queste considerazioni, si va sempre più delineando il superamento della rigida distinzione tra diritto interno e diritto internazionale ogniqualvolta si sia in presenza di un riconoscimento di valori circolanti tra i due campi giuridici211. Anche la TC si muoverebbe sulla stessa linea, assumendo non i trattati, ma le Empty Rules, a materiale di “contestualizzazione” e “conformità”. Le clausole costituzionali di “apertura internazionale”, a partire dalle citate disposizioni dell’art. 39 Cost. sudafricana, non farebbero altro che confermare il parallelismo. Del resto, non mancano casi in cui giudici nazionali “dialoghino” con trattati internazionali e/o giurisprudenza internazionale, anche quando il proprio Stato non sia formalmente vincolato a quei documenti212. Si può allora definitivamente concludere che il tertium comparationis sia del tutto estraneo alle logiche di TC come di interpretazione nazionale del diritto internazionale? Non è questa la sede per affrontare la risposta alla radice, ossia scandagliando il dibattito sulla necessità o meno di rintracciare l’esistenza del tertium comparationis. Com’è noto, in merito si fronteggiano due ipotesi: quella che lo considera un “dato” pre-esistente alle attività di comparazione; quello che l’assume invece come una creazione o co-creazione dell’osservatore stesso che procede al confronto213. Le due letture si fronteggiano solo in apparenza, perché entrambe di fatto presuppongono, come si è accennato nella prima parte di questo lavoro, che il comparatista sia un “osservatore”, le cui operazioni di osservazione siano determinate dalle sue preferenze/scelte che individuano le proprietà e gli stati di proprietà degli oggetti da comparare. Pertanto, sul piano empirico e non solo logico, è più corretto ammettere che il tertium comparationis sia un insieme di “dati” creati dalle preferenze/ scelte dell’osservatore. Per questo motivo, si ritiene incontrovertibile l’assunto che la stessa differenza non possa che essere il risultato del confronto, nella misurazione di almeno due entità che accettino in piena reciprocità un criterio comune di misura214. Si può allora dedurre che nel momento in cui due entità entrano comunque in un contatto di “misurazione”, anche nella forma blanda del “dialogo”/“ri-uso”, un criterio di riferimento comune non possa non esserci. Ecco perché l’interrogativo di un tertium comparationis o comunque di un “criterio comune” nella TC riemerge e non può essere eluso. Ma in che cosa consisterà questo “criterio” per le attività di “dialogo”/“ri-uso”? Forse nei DF, in quanto “principi universali”215? Forse nella “comune” natura dei giudici “dialoganti”, in quanto organi a vocazione costituzionale216? Forse nello statuto di indipendenza dei giudici? Forse nella preasumptio similitudinis dei loro ordinamenti di riferimento? Forse nella egemonia, culturale o economica, di un modello costituzionale e interpretativo rispetto ad altri? Forse nello Jus cogens K. Knop, Here and There: International Law in Domestic Courts, in 32 New York Univ. J. Int.’l L. & Pol., 1999-2000, 503 ss. J. Nijman, A. Nollkamper, Beyond the Divide, in Id. (eds.), New Perspectives on the Divide between National and International Law, Oxford Univ. Press, Oxford, 2007, 342. 212 Per esempio, nella Repubblica del Kosovo, la Corte costituzionale ha ritenuto che la CEDU goda di diretta applicabilità nel sistema legale nazionale e che la giurisprudenza dei giudici di Strasburgo imponga ai giudici nazionali una interpretazione conforme, nonostante lo Stato non sia parte della Convenzione europea né membro del Consiglio d’Europa. 213 L.-J. Constantinesco, Il metodo comparativo, cit., 62 ss.; L. Pegoraro, Diritto costituzionale, cit., 140 ss. 214 R. Escobar, La libertà negli occhi (2002), trad. it., il Mulino, Bologna, 2006, 49. 215 Per alcuni esempi di evocazione di questa forma di tertium da parte dei giudici, si v. A. Sperti, Omosessualità e diritti, cit., 193-194. 216 Sulle connesse difficoltà, ora O. Pfersmann, L’enigma della giustizia costituzionale europea: controllo senza Costituzione, struttura costituente paradossale o messianismo costituzionale?, in Rivista AIC, 2014. Questo tipo di tertium sembra presupposto, per esempio, da B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale, Giuffrè, Milano, 2012. Ma si v. anche O. Pollicino, V. Sciarabba, Tratti costituzionali e sovranazionali delle Corti europee: spunti ricostruttivi, in E. Faletti, V. Piccone (a cura di), L’integrazione attraverso i diritti. L’Europa dopo Lisbona, Aracne, Roma, 2010, 125 ss. 210 211 64 © Filodiritto Editore internazionale217 e nella sua disponibilità da parte dei giudici218? Forse in un presunto diritto costituzionale transnazionale o diritto processuale costituzionale transnazionale219? Forse in un rinnovato multicentrico diritto inter gentes220? Forse nell’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), con il suo rinvio, fra i criteri di decisione, ai principi generali di diritto “riconosciuti dalle nazioni civili”, inteso anche come abilitazione alla considerazione degli Stati che possono essere ritenuti rappresentativi delle “varie concezioni giuridiche”? Forse nell’art. 95 del medesimo Statuto, nella parte in cui si ammette il deferimento della soluzione di una controversia ad altri tribunali? Forse nell’art. 33 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, in base al quale, in caso di conflitto fra trattati scritti in più lingue e di impossibilità di comprenderne il significato, si individua, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo, il senso che permette di “conciliare i testi in questione”221? Probabilmente domande e risposte possono essere moltiplicate all’infinito o trovare riscontri esaustivi, alla luce di precise verifiche empiriche222. Quello che rimane sulla scena delle questioni di metodo è pur sempre il problema del termine di confronto, in assenza del quale o si riaffaccerebbe l’ “anarchismo metodologico” o si prospetterebbe un universalismo tanto astratto quanto riduttivo di fronte alla complessità del pluralismo223. 10. Il “dialogo” come Common Sense o Iura aliena novit Curia Tentativi di risposta non mancano e possono essere ricondotti a due specifiche prospettive: - quella della esistenza di un patrimonio comune non di principi, parametri o termini di confronto, bensì di Common Sense nelle forme retoriche di argomentazione giudiziale, senso condiviso e quindi praticabile nella TC224; - quella della “standardizzazione” dei test di “ri-uso” di materiale giuridico (anche) “straniero”225. Le due prospettive nascerebbero da due constatazioni: - in un mondo di accentuato pluralismo socio-culturale, tentare di fondare un medium sociale di regolazione come il diritto su basi puramente logiche non appare più sufficiente226; - l’esigenza di certezza e prevedibilità, persa sul piano semantico per via del pluralismo, sarebbe recuperabile sul piano pragmatico, attraverso il suo uso giudiziario secondo standard e regole relativamente stabili e controllabili nella struttura argomentativa della decisione227. Con tali angoli di visuale, il Common Sense non assurgerebbe tanto a vero e proprio tertium comL. Baccelli, Diritti dei popoli. Universalismo e differenze culturali, Laterza, Roma-Bari, 2009. Secondo A. Cassese, per la concreta individuazione delle norme cogenti occorre riferirsi alla opinio juris degli Stati, manifestata in seno ad organi internazionali, poiché tali norme non possono essere dedotte da disposizioni di diritto positivo, come ad esempio l’art. 103 della Carta ONU, ancorché direttamente utilizzabili dai giudici: A. Cassese, Diritto internazionale, vol.1, il Mulino, Bologna, 2003, 237. 219 Si rinvia a M. Carducci, V. de Oliveira Mazzuoli, Teoria tridimensional, cit., 43 ss. 220 Su questa ipotesi, J. Waldron, Foreign Law and the Modern Ius Gentium, in 119 Harv. L. Rev., 2005, 129-47. 221 Su questi temi, A. Bianchi, L’immunité des Etats et les violations graves des droits de l’homme: la fonction de l’interprète dans la détermination du droit international, in Rev. Gén. Droit Int. Public, 2004, 63. 222 Come, per esempio, quella sulla Corte europea dei diritti umani, indicata come la “Corte comparatistica per eccellenza” (C.L. Rozakis, Il giudice europeo come comparatista, in B. Markesinis e J. Fedtke, Giudici e diritto straniero, cit., 460), la quale, in alcuni casi, come nella Sentenza A.K. e L. c. Croazia (8 gennaio 2013), con riferimento all’invocata violazione dell’art. 8 della CEDU, si è basata sulla comparazione delle discipline operanti nei vari paesi europei e ai principi contenuti in altro diritto internazionale rilevante (punti 68 – 69). 223 Sulla centralità di questo problema, F.J. Lucas, Elogio a Babel? Sobre las dificultades del derecho frente al proyecto intercultural, in Anales de la Cátedra Francisco Suárez, 31, 1994, 15 ss. 224 Per le dovute chiarificazioni, v. M. Taruffo, Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudice, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2001, 665 ss. 225 Per un indirizzo su questi percorsi, J. Basedow, Transjurisdictional Codification, in 83 Tulane L. Rev., 2008-2009, 973; B. Flanagan, S. Ahern, Judicial Decision-making and Transnational Law, cit. 226 P. Chiari, Stato, sovranità, giustizia, in Mat. St. Cult. Giur., 2008, 358 ss. 227 Sul giudice “combinatore”, v. C. Panzera, Interpretare, manipolare, combinare. Una nuova prospettiva per lo studio delle decisioni della Corte costituzionale, ESI, Napoli, 2013, 295 ss. Ma sulla tendenza della discrezionalità interpretativa a combinare formule o lemmi dai contenuti indefiniti alla ricerca di nuclei immutabili, dai contorni inesorabilmente soggettivamente mutabili, si v. L. Pegoraro, Diritto costituzionale comparato, cit., 218-219. 217 218 65 © Filodiritto Editore parationis, quanto a misura degli strumenti retorici di “dialogo”/“ri-uso”. Al rigore del discorso giuridico, come rapporto logico tra premesse e conclusioni delle decisioni del giudice, dovrebbe affiancarsi la sua efficacia nel mantenere stabile l’uso giudiziario delle decisioni medesime da parte di altri giudici228. Il Common Sense rappresenterebbe l’accettazione di questa pragmatica, posta al riparo sia dell’arbitrarietà del giudice sia della sua coerenza meramente logica229. Uso e “ri-uso” della giurisprudenza servirebbero allora ad alimentare persuasione e convinzione negli argomenti e nelle decisioni dei giudici espressive di questo Common Sense. Tra gli altri, l’ordito si riscontra in modo particolarmente efficace nella teoria di F. Schauer e nella sua qualificazione del meccanismo di comunicazione tra giudici come gioco del “trinceramento”230. In qualsiasi gioco, per raggiungere degli scopi sono necessari dei mezzi. Nel contesto contemporaneo delle Costituzioni, i mezzi non sono forniti dalla forza fisica, dalla violenza, dalla legittimazione ultraterrena del potere. Si riconoscono nell’intelligenza del dialogo e dell’accordo. Questo comporta che il collegamento di mezzi e fini richiede necessariamente una coordinazione sociale continua e persistente fra più attori. Tale coordinazione sociale descrive l’ambiente nel quale giocare la partita, nel quale decidere la propria strategia e le proprie tattiche. Strategie e tattiche decisionali, quindi, non possono essere fornite solo da un regime di comportamenti chiuso e puro (Ruleness), il cui sistema operativo sia esclusivamente fondato su regole eteroprodotte (Rule Based Decision Making), ma deve confrontarsi con la specificità dei casi particolari delle singole partite, con le loro contingenze e le contingenze dei loro giocatori e della loro vita (Case Based Decision Making), per cogliere le irripetibili “esigenze regolative del caso”231, grazie anche al confronto con altre esperienze. Il concorso di queste argomentazioni e delle connesse decisioni contribuirà a consolidare il nesso mezzo-fine, determinando appunto il “trinceramento”: ossia la elevazione delle esperienze di tecniche condivise di discorso e argomentazione come comune regola inderogabile (Mandatory Rule) di convivenza; come Common Sense. Non è dunque la scrittura dei testi costituzionali (e la loro comparazione costituzionale) ad attivare il “trinceramento”, ma l’apprendimento diffuso di pratiche argomentative e decisorie ragionevoli e bilanciate. L’ineliminabile bisogno di certezza del diritto passa ora attraverso l’apprendimento e la diffusione di sforzi dialogici di costruzione delle condizioni di certezza dei diritti, prima ancora che di imposizione di un diritto considerato “oggettivo”. Il “trinceramento”, inoltre, orienta altresì il decisore, ossia il giudice, per non renderlo succube della contingenza dei casi. Insomma, il “trinceramento” fa affidamento sulle decisioni prese da altri, fa tesoro delle esperienze di altri, non solo della propria, e in questo è sgravato della responsabilità di ripercorrere tutte le tappe di esperienza da altri vissute, contribuendo a consolidare consenso e condivisione e ad esportare esperienza lì dove essa non è ancora maturata. Ora, la tesi del “trinceramento” è indubbiamente affascinante. Essa, però, non appare risolutiva dei problemi di metodo che i fenomeni di TC producono. Per esempio, ignora la possibilità del giudice di utilizzare il “trinceramento” come alibi, come strumento di conservazione e autotutela232 o addirittura regresso nel pluralismo dei diritti233. Tant’è che, a protezione da simili derive, secondo alcuni il “dialogo” dovrebbe comunque tornare ad essere eterodiretto; una eterodirezione consistente in una serie di condizioni di fatto e di contesto da rispettare234: dall’esigenza di accertare una serie di principi In tale stabilità dovrebbe consistere l’idem sentire delle interpretazioni costituzionali: si v. M. Cavino, Interpretazione discorsiva del diritto. Saggio di diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 2004. 229 Per una rappresentazione articolata delle implicazioni pratiche di questi problemi, si v. G.A. Ferrari, M. Manzin (a cura di), La retorica fra scienza e professione legale. Questioni di metodo, Giuffrè, Milano, 2004. 230 F. Schauer, Le regole del gioco (1991), trad.it., il Mulino, Bologna, 2000. 231 Sul concetto di “esigenze regolative del caso”, G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1992. 232 E. Benvinisti, Reclayming Democracy: the Strategic Uses of Foreign and International Law by National Courts, in 102 Am. J. Int.’l L., 2, 2008, 253 ss., parla di “uso strategico” del “ri-uso” giurisprudenziale a fini protettivi di determinati DF contro effetti trasformativi o di adeguamento a spinte egemoniche. 233 Si rinvia a M. Carducci, M. D’Onghia, «Derecho viviente» y «Entrenchment» entre Constitucionalismo democratico y conservativo, in Anuario Iberoam. Just. Const., 10, 2006, 51 ss. 234 B. Markesinis, J. Fedtke, Giudici e diritto straniero, cit., 159-192. 228 66 © Filodiritto Editore comuni del diritto; al colmare lacune del diritto locale; al soddisfare esigenze di armonizzazione fra ordinamenti con relazioni internazionali o affinità di sistema ecc...235. Inoltre, la tesi di Schauer appare particolarmente congeniale agli ordinamenti di Common Law, per il valore ivi attribuito al precedente giudiziale236, mentre nei contesti di diritto legislativo, essa non può non fare i conti con i principi di subordinazione del giudice alla legge, anche quando questi pretenda di “dialogare” con omologhi stranieri. Emblematico, in merito, risulta l’art. 14 della legge italiana n. 218 del 1995: «1. L’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice. A tal fine questi può avvalersi, oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali, di informazioni acquisite per il tramite del Ministero di grazia e giustizia; può altresì interpellare esperti o istituzioni specializzate. 2. Qualora il giudice non riesca ad accertare la legge straniera indicata, neanche con l’aiuto delle parti, applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana». La disposizione consacra il principio Iura aliena novit Curia, affidando l’accertamento della legge straniera al giudice. Il criterio, però, non relega il diritto straniero alla stregua di un fatto, ovvero di un elemento che fa il suo ingresso nel processo solo in base all’allegazione fattane dalle parti; né si risolve in un obbligo di autonoma (o “anarchica”) conoscenza del diritto straniero dal parte del giudice. Insomma, quello straniero non è indicato come Empty Rule. Esso costringe invece ad una operazione tecnica più complessa, tanto da richiedere eventualmente il ricorso ad esperti, per non affidare alla sola argomentazione del giudice (e al Common Sense della persuasione e delle convinzioni “trincerate” dal “dialogo”) l’esito del suo percorso di acquisizione. Non a caso, l’art. 15 della medesima citata legge italiana puntualizza che «la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo», in una prospettiva di osservazione che appare lontana dalla logica delle Empty Rules “ri-contestualizzabili” per Common Sense237. 11. Critiche del Common Sense Altre critiche sono state mosse all’idea di un Common Sense “dialogante”. Al di là di chi ha richiamato l’attenzione sul rischio che le tecniche di argomentazione dialogica scadano a mero “ornamento” di una discrezionalità precostituita e impermeabile238, magari con effetti disintegrativi del proprio contesto costituzionale239, si riscontrano nel panorama mondiale due indirizzi critici paralleli. I primo, cui si è fatto già cenno all’inizio di questo studio, è di Boaventura de Sousa Santos240, il quale, analizzando il contributo della topica giuridica di Perelman241, discute di una “nuova nuova retorica” a base di un “nuovo” Common Sense rispetto alla transizione paradigmatica della crisi dei modelli oggettivistici e monistici di conoscenza e interpretazione. Tre sono gli elementi della sua presa di posizione critica: presunta neutralità delle tecniche argomentative; astrattezza delle nozioni utilizzate; unilateralità del modello. In sintesi, secondo l’Autore, le tecniche argomentative dei giudici fungono da medium non solo di mezzi, ma soprattutto di modelli culturali non da tutti paritariamente e liberamente accessibili o accettabili. Questo significa che immaginare che il pluralismo si consolidi attraverso la comunicazione degli argomenti giudiziali in “dialogo”, fa perdere di vista le condizioni sociali, strategiche e politiche che sovrintendono alla sua esistenza, al suo utilizzo e alle sue logiche Tale ipotesi sembra confermare la differenza tra Common Sense e tertium comparationis. R.S. Summers, La natura fondamentale di un sistema di precedenti giudiziari e il suo carattere formale, in 6 Ragion pratica, 1996, 45 ss. 237 Sul principio Iura aliena novit Curia nelle ipotesi di ricorso dovuto al diritto straniero, cfr. S.M. Carbone, Il diritto straniero e il giudice italiano, in Riv. Dir. Int., 1991, 838 ss. Sui “gradi” di apertura del giudice al diritto straniero, si v. A. De Vita, La prise de décision par la juge. Aperçu comparatif, in Rev. Int. Dr. Comp., 1998, 809 ss. 238 Come acutamente colto già da P. Goodrich, Legal Discourse. Studies in Linguistic, Rhetoric and Legal Analysis, Macmillan, London, 1987. 239 Sul nesso tra “conversazioni costituzionali” e “disintegrazione” dei testi costituzionali, si v. L.H. Tribe, M. Dorf, Leggere la Costituzione (1991), trad. it., il Mulino, Bologna, 2005, 45 ss. 240 B. de Sousa Santos, Toward a New Legal Common Sense, cit. 241 Alle quali si riconnettono comunque le visioni del Common Sense e del “trinceramento”. 235 236 67 © Filodiritto Editore di inclusione/esclusione, facendo del pluralismo stesso un’astrazione storicamente indeterminata, un diritto naturale “giudizializzato”, oggetto di discorsi e non di azioni242. In forma analoga, si inserisce la critica di J. Herrera Flores, all’interno di un itinerario più ampio di “reinvenzione” del paradigma dei diritti umani nella società globale243. Il “dialogo” tra giudici contribuisce alla perdita di senso delle ragioni sociali dei diritti e delle lotte per la loro conquista, con effetti di “frammentazione” delle azioni e dei discorsi connessi244. Esso, infatti, trasformerebbe in competizione meramente giuridica e argomentativa, da risolvere internamente ai rapporti tra singole parti in causa, realtà sociali molto più complesse, soprattutto fuori dell’Occidente euro-nordamericano. Pertanto, nonostante il suo apparente pragmatismo, l’argomentare dialogico dei giudici peccherebbe di formalismo e astrattismo, essendo appunto prioritariamente preoccupato degli argomenti in comunicazione, piuttosto che della comprensione delle realtà di confronto. Per tale ragione, invece che essere funzionale alla comparazione, esso frapporrebbe ostacoli e rimozioni alla conoscenza delle esperienze giuridiche: “ostacoli di procedimento”, costringendo a incanalare nella dialettica del processo rivendicazioni politiche e sociali, comprensibili solo attraverso accessi cognitivi molto più profondi; rimozioni di alternative di conoscenza, perché farebbe del giudice l’ingegnere sociale della osservazione del mondo globale, artefice di una vera e propria “politica del metodo”245 priva di legittimazione. 12. Concezioni del “ri-uso”: metafora o citazione? Nella prima parte dello studio, si è constatato che la TC si riveli non essere un’attività pratica di conoscenza/osservazione (dell’ “altro”), ma di comunicazione (dall’ “altro”), nel “flusso” delle Empty Rules. Da questo atteggiamento del giudice deriverebbero “dialogo” e “ri-uso”, a seconda della reciprocità della comunicazione. Considerato però che è la reciprocità la proprietà che produce la distinzione delle due operazioni (“dialogo” e “ri-uso”), si dovrebbe concludere che entrambe, sul piano dell’esercizio intellettuale che le sorregge, siano sostanzialmente analoghe, agendo come processo ermeneutico e dunque “creazione di secondo grado” di un determinato discorso 246. Ecco allora che, per proseguire l’indagine, diventa ineludibile interrogarsi su che cosa rappresenti effettivamente il “ri-uso”. E qui si affaccia un interessante quesito: il “ri-uso” identifica una indole specifica del discorso giuridico oppure una qualità di qualsiasi processo intellettuale di scrittura attraverso “altri”, riconducibile all’esercizio generale della “citazione”247? Il comparatista che con maggiore sensibilità ha colto l’importanza di questa domanda è stato L.-J. Constantinesco, al quale, come detto, si deve anche la elaborazione del tema stesso del “ri-uso” (o ri-utilizzazione)248. Alla luce del suo contributo, è possibile rispondere nel modo che segue. Si v. anche la critica di D.S. Law, M. Versteeg, The Evolution and Ideology of Global Constitutionalism, in 99 California L. Rev., 2011, 1163 ss. 243 J. Herrera Flores, Le reinvención de los derechos humanos, Atrapasueños, Sevilla, 2007; Los derechos humanos como productos culturales: crítica del humanismo abstracto, Libros de la Catarata, Madrid, 2005; e Irrumpiendo afirmativamente en lo real, in M. de Moura (org.), Irrompiendo no real. Escritos de teoría crítica dos direitos humanos, Educat, Pelotas, 2005, 17 ss. 244 Tra l’altro, per una contestualizzazione recente dei dibattiti sulla frammentazione dei discorsi costituzionali globali, si v. R. Bifulco, La c.d. costituzionalizzazione del diritto internazionale: un esame del dibattito, in Rivista AIC, 4, 2014. 245 La discussione sulla emersione di vere e proprie “politiche del metodo” è stata ripresa recentemente dall’importante contributo di G. Steinmetz (ed.), The Politics of Method in the Human Sciences: Positivism and its Epistemological Others, Duke Univ. Press, Durham, 2005, su cui M. Fourcade, The Politics of Method and its Agentic, Performative and Ontological Others, in 31 Social Sc. History, 1, 2007, 107 ss. 246 E.A. Kramer, Konvergenz und Internationalisierung der juristischen Methode, in A l’Europe du troisième millenaire. Mélanges offerts à Giuseppe Gandolfi, vol. I, Giuffrè, Milano, 2004, 167 ss. 247 L’interrogativo è complesso e si connette alla questione del rapporto fra diritto e letteratura: per una sintetica ma efficace rappresentazione dei nessi, con riferimenti proprio al tema della “utilizzazione” di altrui elaborazioni scritte, si v. J.M. Balkin, The Footnote, in 83 Northwestern Univ. L. Rev., 1-2, 1989, 278 ss. Ma si v. pure St. Fish, How to Write a Sentence and how to Read One, Harper, New York, 2011. 248 J.-L. Constantinesco, Il metodo, cit., 301 ss, con richiami, in particolare, a J. Kohler. 242 68 © Filodiritto Editore Il “ri-uso” si può manifestare ora come operazione discorsiva specificamente giuridica (nel momento in cui privilegia la conoscenza/interpretazione di documenti giuridici “altrui”, per verificarne la compatibilità con documenti e decisioni “proprie”) ora come metafora e licenza letteraria (allorquando utilizza quei documenti a supporto di una conoscenza/interpretazione già acquisita su documenti e decisioni “proprie”)249. Solo in tale seconda ipotesi, evidentemente il tasso di “creatività” del giudice sarebbe molto più elevato250: si ricordi, tra l’altro, quanto constatato riguardo al criterio Iura aliena novit Curia. Di conseguenza, il “ri-uso” oscillerebbe tra conoscenza e metafora. Nel primo caso, il giudice effettuerebbe un confronto tra (proprio) significato d’uso e significato attribuito da altri giudici. Si tratta di una tesi presente soprattutto in chi ritiene che il significato dei testi normativi sia dato dall’uso del linguaggio e che conseguentemente l’attività interpretativa sia di tipo conoscitivo251. Il suo sbocco è nella figura dell’analogia, in quanto serbatoio di informazioni simili252. Il fatto però che il giudice abbia usato un significato riscontrabile nell’uso di altri giudici non vuol dire che egli abbia effettivamente conosciuto il significato della disposizione applicata253. Conferma semplicemente la sua preferenza/scelta di utilizzare quel determinato significato altrui. Realizza, cioè, una condivisione, presupposto, invece, della figura della metafora254. Ecco così spiegata l’oscillazione cui si è fatto richiamo255: una oscillazione presente anche nel lessico dei comparatisti che studiano TC e JD, soprattutto quando ricorrono al termine Cross-Fertilization256. Tutto questo può segnare un primo punto conclusivo sulla “identità” del “dialogo”/“ri-uso”. Ma mancano ancora due tasselli per completare il quadro. Uno è già trapelato e riguarda la questione sulla riconducibilità del “ri-uso” all’esercizio intellettuale della citazione in generale. Le citazioni sono strumenti cognitivi o metaforici? Al riguardo, merita di essere richiamata la teoria di H. Small del Concept Symbol 257. Small ha difeso il valore cognitivo delle citazioni, affermando che esse, salvo i casi di “frode”, incarnino pur sempre un’idea effettivamente discussa dall’autore citato e forniscano in tal modo il “simbolo” relativamente stabile di un concetto. A sua volta, la concezione del documento-simbolo deriva dall’antropologo britannico E. Leach258, frutto della sua applicazione dell’analisi strutturalista ad alcune tematiche fondamentali dell’antropologia sociale. Egli sosteneva che la comunicazione umana si realizza per via di azioni espressive che operano come segni e come simboli. Nei segni, l’oggetto, l’elemento che funziona come indicatore di un certo significato, è contiguo a ciò che viene significato (relazione metonimica). Nei simboli, invece, non esiste alcun rapporto di contiguità. Anzi, l’oggetto e ciò che esso significa appartengono a contesti diversi e la relazione stabilita tra loro è puramente convenzionale (relazione metaforica). Small ha trasferito questo schema nel campo delle citazioni: una citazione è al tempo stesso un segno e un simbolo. È un segno perché identifica comunque un oggetto fisico esistente, cioè il documento citato e letto dall’autore, col quale condivide alcune caratteristiche (relazione metonimica). Ma Su queste alternative, anche A. Twining, D. Miers, Come far cose con regole, cit. Sulla inventiva metaforica come condizione stessa della comunicazione giudiziale trans-nazionale, si v. il citato G. Frankenberg (ed.), Order from Transfer, cit. 251 Si v. J.J. Moreso, La indeterminación del derecho, cit. 252 E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia, Quodlibet, Macerata, 2004. 253 L. Helfer, Constitutional Analogies in the International Legal System, 37 Loyola of Los Angeles L. Rev., 2, 2003, 193. 254 La rilevanza di questa convergenza si deve alla precoce rappresentazione di questo genere di problemi, anche sul piano giuridico, da parte di G. Calogero, Estetica semantica istorica, Einaudi, Torino, 1947, soprattutto nei suoi studi su comparazione e paragone (232 ss.). 255 Ph. Eubanks, Metaphor and Writing, Cambridge Univ Press, Cambridge, 2014. È interessante constatare che l’alternativa risulta presente anche sul fronte della costruzione delle relazioni internazionali, campo di osservazione parallelo a quello dei fenomeni trans-nazionali di JD e TC qui studiati: si v. M. Stocchetti, Le metafore e la teoria delle relazioni internazionali, in Riv.. It. Sc. Pol., 2, 2002, 305 ss. 256 Circolante soprattutto in una parte del contesto anglofono: si v. P. Martino (a cura di), I giudici di Common Law e la (Cross) Fertilization: i casi di Stati Uniti d’America, Canada, Unione Indiana e Regno Unito, Maggioli, Rimini, 2014. Ma si v. anche C. Bassu, Comparazione giuridica e diritto giurisprudenziale, Aracne, Roma, 2013, per alcune differenziazioni. 257 H.G. Small, Cited Documents as Concept Symbols, in 8 Social St. of Science, 3, 1978, 327 ss. 258 E. Leach, Culture and Communication, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1976. 249 250 69 © Filodiritto Editore è pure un simbolo del concetto o dei concetti espressi nel testo del documento (relazione metaforica). Nella comunicazione di citazioni, ciascuna citazione può funzionare da simbolo individuale che l’autore utilizza per comunicare le proprie idee, oppure da riferimento a documenti il cui significato può essere condiviso da una comunità o da un gruppo di lettori/scrittori, trasformandoli così in “simboli standardizzati”; e in alcune circostanze, l’accordo dei lettori/scrittori sul significato da attribuire a un concetto sarà talmente forte che si citerà sempre lo stesso documento per richiamarsi ad esso, rafforzando la relazione metaforica. In altre, questa forza non emergerà e dunque prevarrà la relazione metonimica nel contenuto della citazione. Dunque la citazione (il “ri-uso”) in sé, al di là del discorso giuridico in termini di conoscenza, interpretazione o creazione, oscillerebbe tra i due estremi della relazione metonimica e di quella metaforica, a seconda dei livelli di “standardizzazione” presenti nella comunicazione tra lettori259. Ma allora tutto dipenderebbe non dalle caratteristiche in sé della citazione/”ri-uso”, bensì dai livelli di “standardizzazione” dei Concept Symbol? Ricorrendo ai concetti di J.-L. Constantinesco, sembrerebbe di sì, non essendo altro, la “standardizzazione”, che l’ “elemento determinante” delle citazioni/“ri-uso”. Ma, a sua volta, che cosa alimenterebbe la “standardizzazione” dei Concept Symbol? L’accordo (anche tacito) fra i produttori/lettori di citazioni? Oppure l’esistenza di fattori eteronomi di condizionamento, come, per tornare sempre al campo giuridico, i tipi di relazioni interordinamentali al cui interno si muovono i lettori/scrittori di citazioni? Inoltre, la preferenza/scelta delle citazioni sarà condizionata dalla “standardizzazione” dei Concept Symbol? Ma, a questo punto, non sarebbe tutto “citabile”, dipendendo tutto dai soggetti “dialoganti” nella “standardizzazione” e indipendentemente dall’autorità/autorevolezza della citazione260? Allora anche Wikipedia potrebbe ambire a Empty Rule (o addirittura a “formante”) della comunicazione trans-giudiziale261? Se tutte le risposte a queste domande fossero affermative, si dovrebbe concludere per una abissale differenza tra la comparazione, come processo di osservazione realizzato attraverso protocolli verificabili e confutabili262, e la comunicazione tras-giudiziale (la TC), destinata invece, attraverso il consenso, alla ripetizione (“ri-uso”). Osservazione e ripetizione traccerebbero gli assi cognitivi di due processi fra loro completamente differenti263. 13. La “standardizzazione” del “ri-uso” In ogni caso, grazie all’ausilio di tutti questi contributi di ricerca in questa sede richiamati, finalmente si stanno chiarendo i contorni del fenomeno di TC produttivo di “dialoghi”/“ri-usi” fra giudici. Li sintetizzo in sette assunti: a. si è di fronte ad attività di citazione che alimentano relazioni metonimiche o metaforiche di conoscenza, in ragione dei livelli di “standardizzazione” dei Concept Symbol, raggiunti tra i giudici che (si) citano; b. queste attività non necessariamente sono reciproche, differenziandosi così in “dialogo” e “riuso”, ma soprattutto esse non presuppongono il processo di osservazione che presidia le operazioni In tale prospettiva, cadrebbero tutti i distinguo tra forme di “dialogo”/“ri-uso” e tecniche di ricorso ai precedenti, come non poca dottrina sostanzialmente ammette o presuppone. Per una lettura in tal senso del discorso giuridico contemporaneo, si v. R. Cass Sunstein, Accordi non completamente teorizzati e usi costruttivi del silenzio (1998), trad. it., Pensa, Cavallino-Lecce, 2004. 260 Sugli effetti di questa abdicazione all’autorità del riferimento e della citazione, si v. M. Whiteman, The Death of Twentieth-Century Authority, in 58 UCLA L. Rev. Discourse, 2010, 27 ss. 261 Su questa deriva già riscontrabile, si v. L.F. Peoples, The Citation of Wikipedia in Judicial Opinions, in 12 Yale J. L. & Tech., 1, 2009, 36 ss. 262 Al cui interno le citazioni servono non a creare consenso, ma a offrire verifiche alla comunità scientifica e trasparenza ai cittadini (v., in tal senso, M. Mamone Capria, La scienza in una società democratica, in M. Capanna (a cura di), Scienza bene comune, Jaka Book, Milano, 2013, 49 ss.). 263 Ancora una volta si rinvia a M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizione, cit., sulle matrici di questo destino della conoscenza. 259 70 © Filodiritto Editore logiche (verificabili) di comparazione; c. per questo motivo, i contenuti di queste citazioni possono essere definiti, secondo la proposta di G. Frankenberg, come Empty Rules “de-/ri-contestualizzate” dai giudici; d. infatti, nonostante le più varie invocazioni retoriche del Common Sense, le citazioni non assumono o riconoscono alcun tertium comparationis, al quale fare comune riferimento; e. piuttosto, esse sono condizionate dagli elementi che determinano la “standardizzazione” dei Concept Symbol e quindi il valore d’uso e di scambio delle Empty Rules; f. bisogna pertanto studiare gli “elementi determinanti” della “standardizzazione” dei Concept Symbol, a partire dai “vettori di comunicazione”, per comprendere fino in fondo i fenomeni di TC; g. ma poiché si sta parlando di giudici che citano documenti giuridici appartenenti a ordinamenti giuridici fra loro diversi, si dovranno studiare anche le caratteristiche strutturali e funzionali delle relazioni interordinamentali che coinvolgono i giudici “dialoganti”, in modo da definire l’esistenza stessa dei “vettori di comunicazione” e i livelli di “standardizzazione” dei Concept Symbol. La “standardizzazione” si rivela essere un processo molto più articolato della onnicomprensiva condizione di “pluralismo” e di “apertura”, evocata da gran parte della dottrina in tema di JD264: premessa e risultato, al tempo stesso, delle forme e dei modi di comunicazione produttivi di “dialogo”/“riuso”, di cui condiziona caratteri ed elementi. Del resto, una simile constatazione era in qualche modo già trapelata dalle ricognizioni precedentemente effettuate, quando si sono osservati i nessi tra JD ed esistenza di antinomie “proprie” e “improprie” (nei conflitti tra norme, ordinamenti giuridici, soggetti portatori di DF), i condizionamenti sulle preferenze/scelte dei giudici, il versus della TC nelle sue fonti (fattuali, formali, vincolanti, ottative) e nelle sue direzioni. Tutto questo recupero di passaggi emersi dalla ricerca è importante, in quanto conduce a comprendere anche le differenze tra fenomeni fra loro apparentemente simili di “standardizzazione” 265. Infatti, un conto è parlare di “standardizzazione” in termini ancora una volta esclusivamente retorici, un altro verificare l’esistenza di forme più o meno istituzionalizzate della stessa: diversa forza e validità potranno assumere gli stessi Concept Symbol evocati da H.G. Small. Nella prospettiva della “nuova retorica”, qualsiasi operazione argomentativa (comprese le citazioni) necessiterà di qualche anche minimo “standard”. Tre, per esempio, sono stati considerati fondamentali266: adozione di un metodo, come operazione mentale e come procedimento di accoglimento di tesi; costruzione di una griglia di “forme vuote”, ossia di concetti che definiscono rapporti tipici e formali del linguaggio e delle sue connessioni; ricorso ad una riserva di “forme piene”, ossia di utilizzo di stereotipi, temi e affermazioni che per esperienza godono di larga affermazione267. La “tecnica” argomentativa eviterà di scadere nell’arbitrio o nella dogmatica, assumendo valore performativo prima ancora che descrittivo268. Tuttavia, la procedimentalizzazione dell’iter argomentativo del giudice, soprattutto in un contesto globale in cui sorgono molti nuovi “esempi” argomentativi cui ricorrere, sembra possa conoscere dif264 Ridimensionando così la tesi – com’è noto affermata da P. Häberle ma già prefigurata da K. Zweigert – della universale praticabilità di un “V metodo” di interpretazione giuridica, consistente appunto nella comparazione (come se il rispetto dei precedenti quattro metodi non denotasse di per sé uno “standard” da rispettare). Condivisibili critiche sul comparativismo universalista häberliano in L. Pegoraro, Diritto costituzionale comparato, cit., 188 ss.; e A. Carrino, Recensione a P. Häberle Der Kooperative Verfassungsstaat: aus Kultur und als Kultur, ne Lo Stato, 2, 2014, 310 ss. Sulla esistenza di diversi modi di declinare l’ “apertura costituzionale” delle interpretazioni, si v. N. de Barros Bello Filho, Sistema constitucional aberto, Del Rey, Belo Horizonte, 2003. 265 Può sembrare eccessiva questa insistenza sul tema della “standardizzazione” nei fenomeni di JD e TC. Giova però ricordare che il primo a richiamare l’attenzione sul tema dello “standard” come “consenso” tra (soggetti di) ordinamenti inter-comunicanti è stato C. Schmitt, nel suo geniale Il nomos della terra (1974), trad. it., Adelphi, Milano, 1991: a Lui si deve la precoce considerazione che proprio l’insorgenza di “standard costituzionali comuni” tra gli Stati europei avrebbe determinato la progressiva costruzione di dimensioni più ampie di diversa dislocazione dell’Ordnung rispetto all’Ortung. Non a caso, oggi persiste una diffusa corrente intellettuale di comparativismo giuridico che propugna la centralità del tema della “standardizzazione” come esigenza di mettere in comunicazione operatori e ordinamenti giuridici fra loro diversi. Si v. K. Pistor, The Standardization of Law and Its Effect on Developing Economics, in 50 Am. J. Comp. L., 2002, 97 ss. 266 F. Cavalla, Topica giuridica, in Enc. Diritto, vol. XLIV, Giuffrè, Milano, 1992, 720. 267 Per un’applicazione di questo percorso nelle operazioni di comparazione, si v. I. Ruggiu, Il giudice antropologo, cit., 282-283. 268 C. Messner, “Diritto vivente”– performativo, non discorsivo, in XLII Pol. Diritto, 3, 2011, 413 ss. 71 © Filodiritto Editore ficoltà a distinguere “forme vuote” e “forme piene”, tra cui selezionare “stereotipi”: soprattutto ove si pretenda o supponga di poter prescindere da un qualsiasi ordine di priorità, per cui il temuto arbitrio, cacciato dalla porta, potrebbe tornare bussando alla finestra269. Nella TC, quest’ordine è (o può essere) fissato dal giudice270? Ovviamente no. Lo si è subito detto in apertura, ma conviene ribadirlo. Il giudice non è lo scienziato preoccupato della fallibilità del suo discorso all’interno delle coordinate vero/falso accreditate dalla comunità scientifica. È l’operatore pratico che deve decidere dentro coordinate (formalmente o fattualmente) normative di efficacia/inefficacia e validità/invalidità271. Il giudice, in definitiva, non esercita libertà per curiosità scientifica, ma funzioni per doveri processuali272. Il giudice, pertanto, sarà sempre condizionato da un ordine del discorso precostituito e ineludibile, al di là delle sue preferenze/scelte di comparazione e argomentazione. Se, all’interno di un solo ordinamento giuridico, questo ordine del discorso ripercorre la produzione normativa del medesimo ordinamento, nel caso di relazioni o contatti tra più ordinamenti, l’ordine del discorso dipenderà da forme e contenuti delle “standardizzazione” di quei rapporti. È di questo fenomeno che bisogna occuparsi, non invece delle “tecniche” – più o meno standardizzate – di argomentazione: queste ultime, di fronte ai fenomeni di TC produttivi di “dialogo”/“ri-uso”, saranno invece conseguenti rispetto ai livelli di “standardizzazione” delle relazioni interordinamentali. Alla luce di quanto emerso fin qui, si potrebbe riassumere l’assunto con lo schema che segue. Tale schema permette anche di gettare luce sulla divaricazione, cui si è già fatto cenno, tra “dialogo”/“ri-uso” come argomento (comparativo) e “dialogo”/“ri-uso” come giudizio (comparativo). In assenza di antinomie “proprie”, i giudici, “dialoganti” nelle loro preferenze/scelte, non dovranP. Kjaer, Transnational Normative Orders: the Constitutionalism of Intra- and Trans-normative Law, in 20 Indiana J. Global Legal St., 2, 2013, 777 ss. 270 Per esempio, R. Bustos Gisberg, XV proposiciones generales para una teoría de los diálogos judiciales, cit., 175 ss. e 198 ss., propone una specie di “tipizzazione” delle forme di argomentazione comparativa (ad exemplum, a fortiori, ad ostentationem, ad actoritatem, ex lege), simile a quella censita del citato S N. Sagües. 271 Lo riconosce la stessa teoria del “trinceramento” e lo stesso F. Schauer, ribadendolo in Profiles, Probabilities, and Sterotypes, Harvard Univ. Press, Cambridge (Mass.), 2003. 272 Sulla centralità del “momento processuale” come elemento determinante dell’azione cognitiva del giudice, si v. M. Troper, Funzione giurisdizionale o potere giudiziario?, in Id., Per una teoria giuridica dello Stato, trad. it., Guida, Napoli, 1998, 109 ss. 269 72 © Filodiritto Editore no esprimere giudizi (non dovendo risolvere appunto antinomie), per cui semplicemente utilizzeranno, se vorranno, argomenti, anche “standardizzati”, di eventuale contenuto (para)comparativo. Viceversa, in presenza di antinomie “proprie” (reali o apparenti) derivanti da relazioni interordinamentali esistenti, i giudici “dialoganti” non solo si troveranno condizionati nelle loro preferenze/ scelte, ma saranno anche chiamati a formulare comunque giudizi (comparativi), dovendo appunto decidere sulla soluzione di dette antinomie. È un’acquisizione importante, perché, se i giudici confondono i due campi, la loro TC sarà destinata a enfatizzare il loro ruolo discrezionale come (pseudo-)comparatisti, riducendo il sistema giuridico globale ad una irreversibile entropia273, foriera solo di confusione, se non di arbitrio (nella degenerazione dell’evocato “anarchismo metodologico). Per l’osservatore dei fenomeni di TC, poi, tale confusione condannerebbe alla fallacia cognitiva su diversi fronti274: - difficoltà di distinguere “dialoghi”/“ri-usi” all’interno di relazioni interordinamentali fondate sull’esercizio di funzioni (come le integrazioni sovranazionali), rispetto a quelli attivati da relazioni interordinamentali fondate sulla condivisione di tutela di determinati diritti (come le convenzioni sovranazionali sui diritti umani) o a quelli in cui le due dinamiche sono compresenti275 oppure sono condizionate da logiche interstatali “Pick and Choose”, ossia quei contesti interordinamentali in cui gli Stati si vincolano nelle integrazioni reciproche in forma asimmetrica rispetto alle fonti che l’organizzazione sovranazionale produce, a causa non tanto della disponibilità statale ad adempiere a tutti gli obblighi derivanti dai trattati istitutivi, quanto soprattutto della morfologia giuridica stessa degli atti costitutivi di quella relazione interordinamentale; - indifferenza verso la diversità di contenuti normativi e di definizione dei rapporti gerarchici, presenti nelle clausole costituzionali di “apertura” all’esterno276; - rischio di confusione tra “dialoghi”/“ri-usi” e soluzione di conflitti di giudicati277; - indifferenza verso i presupposti istituzionali di convergenza o divergenza dei “dialoghi”/“riusi” e di definizione del loro versus; - sottovalutazione degli effetti di Embeddedness, prodotti dalle sentenze di alcuni giudici “dialoganti”, rispetto ad altri278; - difficoltà a comparare più fenomeni di TC. Parte terza: il Borrowing dei “dialoghi”/“riusi” 14. La UE come tertium comparationis? Al contrario, gli schemi elaborati tracciano l’unica euristica possibile per conoscere e comparare le TC, non solo al loro interno, ma anche al loro esterno, lì dove una determinata esperienza di TC, maturata in uno specifico ambito di relazioni interordinamentali, viene utilizzata e fatta propria per promuovere TC dentro un contesto di relazioni internazionali lontano e differente. Chiamo quest’ultimo fenomeno Borrowing dei “dialoghi”/“ri-usi”, proprio per rimarcare la deci- Si v. la tesi di R. Bin, A discrezione del giudice. Ordine e disordine, una prospettiva quantistica, Franco Angeli, Milano, 2013. Non a caso, si parla di “dissonanze cognitive” nella osservazione delle dinamiche di comunicazione interordinamentale: si v. M. Dani, Il diritto pubblico europeo, cit., 247. 275 Con connessi problemi di equilibrio, come acutamente colto da A. Ruggeri, Salvaguardia dei diritti fondamentali ed equilibri istituzionali in un ordinamento intercostituzionale, in Rivista AIC, 4, 2013. 276 Sarebbe corretto ritenere che articoli come il 39 della Cost. sudafricana, il 117.1 della Cost. italiana, il 10 di quella spagnola o i richiamati della Cost. dell’Ecuador siano fra loro equivalenti nei loro effetti normativi? 277 Per esempio, sulla differenziazione tra “dialogo” e soluzione di conflitti di autorità si fonda la lettura del meccanismo europeo della pregiudizialità, proposta da M. Dani, Il diritto pubblico europeo, 385 ss. 278 Su tale profilo, v. L.R. Helfer, Redesigning the European Court of Human Rights: Embeddedness as a Deep Structural Principle of the European Rights Regime, in 19 Eur. J. Int.’l L., 2008, 135. 273 274 73 © Filodiritto Editore sione giudiziale non di “dialogare”, ma di “importare” 279 un intero meccanismo di TC da un luogo ad un altro280. Esso descrive principalmente la circolazione del “modello” europeo di TC nelle relazioni interordinamentali sperimentate in America latina e Africa281. Il che non significa che quel “modello” sia un Tertium comparationis “naturale” per qualsiasi TC riscontrabile in altre parti del globo. Lo sarebbe solo se presumessimo l’ “isomorfismo” delle relazioni interordinamentali, in questo modo cadendo, però, nelle fallacie cognitive appena richiamate. Al contrario, lo scenario extraeuropeo sollecita piuttosto la necessità scientifica di osservare le TC nei sette assunti, con i relativi quadri euristici consequenziali, sintetizzati nel paragrafo precedente. Parto da un dato: i tentativi di istituzionalizzazione di relazioni interordinamentali produttive di TC non nascono in Europa. Il primo esperimento risale all’inizio del secolo scorso ed è ambientato in Centroamerica, con la originale, ancorché effimera, “Corte di Cartago” del 1907 quale giudice della integrazione degli Stati dell’istmo e dei loro giudici282. La caratteristica del contenitore istituzionale della TC centroamericana continuava ad essere la struttura federativa dell’entità sovranazionale, sostanzialmente nel tentativo di imitazione del modello della Corte suprema statunitense: attribuzioni di funzioni risolutive di conflitti tra poteri, piuttosto che circolazione di interpretazioni e argomentazioni costituzionali. Al contrario, in Europa, la TC si avvia come progressivo effetto di una logica funzionalistica (ispirata principalmente dalle teorie del funzionalismo economico-istituzionale di D. Mitrany283), che non assume come premesse la strutturazione federativa della sovranazionalità, ma agisce di impulso in tale direzione, soprattutto grazie alla rapporto tra giudici nazionali e Corte di giustizia europea284. La circostanza che tale itinerario europeo venga spesso scandito, per la sua comprensione costituzionale, attraverso il lessico tedesco delle integrazioni (Verband/Verbund)285, attesta la particolarità. La sua logica costitutiva si è affacciata alla storia sostanzialmente nei seguenti termini: l’ordinamento comunitario è un insieme di istituzioni e di atti che assumono una dimensione autonoma in ragione della funzione, determinata non dal diritto internazionale né dal diritto costituzionale statale, ma dallo stesso processo integrativo abilitato dei Trattati. In questo quadro, la logica del funzionalismo del giudice sovranazionale si presenta contemporaneamente autoreferenziale (attivare la propria funzione dentro l’ordinamento CE/UE come tertium genus fra diritto internazionale e diritto costituzionale) e binaria (inserire questa funzione dentro gli Stati) e non invece ternaria (dirimere conflitti tra ordinamento UE, funzioni europee e statali, ordinamenti statali in una proiezione di KompetenzKompetenz)286. Il giudice europeo, in sintesi, ha dovuto operare in un collegamento formale con le funzioni solo del suo stesso ordinamento, ma con effetti che si sarebbero riversati non tra Stati, bensì dentro gli Stati. Non è questa la sede per scandire i dettagli della storia. Interessa invece richiamare l’attenzione su tre aspetti, che attestano l’importanza di non confondere TC prescisse da relazioni interordinamentali con quelle operanti in processi di integrazione sovranazionale: - l’integrazione europea non è stata edificata sulla libera circolazione di Empty Rules, bensì sulIl termine Judicial Borrowing, inteso come “mera importazione”, è utilizzato da A. Di Stasi, La Corte interamericana e la Corte europea dei diritti dell’uomo: da un Trans-regional Judicial Dialogue ad una Cross Fertilization, in L. Cassetti, A. Di Stasi, C. Landa Arroyo, Diritti e giurisprudenza. La Corte interamericana dei diritti umani e la Corte europea di Strasburgo, Jovene, Napoli, 2014. 280 Del resto, che il Borrowing presupponga un Decision Making, piuttosto che un Dialogue, è sottolineato da N. Tebbe, R.L. Tsai, Constitutional Borrowing, in 108 Michigan L. Rev., 2010, 459 ss. 281 V. Pennetta (a cura di), L’evoluzione dei sistemi giurisdizionali regionali ed influenze comunitarie, Cacucci, Bari, 2010. 282 Si v. L.P. Castillo Amaya, Il Centro America come precoce esperienza di integrazione sovranazionale (tra “crittotipi” e “sineddochi” costituzionali), in I Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2013, 33 ss. 283 Sulla influenza di questo autore nella costruzione dei meccanismi europei e sulle implicazioni del suo funzionalismo nello studio delle relazioni internazionali e comparate, si v. M. Alexandrescu, David Mitrany. From Federalism to Functionalism, in 16 Transylvanian Rev., 1, 2007, 20 ss. ed ivi bibliografia. 284 Per un quadro del dibattito, si v. G. Itzcovich, Teorie e ideologie del diritto comunitario, Giappichelli, Torino, 2006. 285 Su cui si ritornerà più oltre. In ogni caso, si v. utilmente A. Sandri, Genesi e sovranità. Le teorie dello Stato federale nell’epoca bismarckiana, Jovene, Napoli, 2010, e L. Bussi, Fra unione personale e Stato sopranazionale. Contributo allo storia della formazione dell’Impero d’Austria, Giuffrè, Milano, 2003. 286 J. Neuenschwander Magalhães, O uso criativo dos paradoxos do direito: a aplicação dos princípios gerais do direito pela Corte de Justiça européia, in L. Severo Rocha (org.), Paradoxos da auto-observação, JM Editora, Curitiba, 1996, 364. 279 74 © Filodiritto Editore la produzione di Rules (europee), ancorché pure giurisprudenziali287, funzionalisticamente prevalenti (primauté) e sostitutive (“effetto utile”) di Rules radicate nei contesti degli Stati membri; - primauté ed “effetto utile” fungono da veri e propri Concept Symbol irreversibilmente “standardizzati” della TC europea288; - oggi, nel consolidamento del lungo cammino di questa “standardizzazione”, l’Europa vive un meccanismo triangolare di TC, formalizzato dall’art. 6 del Trattato dell’Unione europea (TUE), dopo le riforme di Lisbona, e coinvolgente tre giudici “dialoganti”: Corte di giustizia UE; Corte CEDU; Tribunali nazionali289. Quindi, già dentro l’Europa stessa è ineludibile attivare comparazioni plurime (ancorché convergenti) di TC, prima ancora di constatarne e studiarne il Borrowing in altre integrazioni extraeuropee con fenomeni di TC tridimensionale. Questo tipo di studio apre un orizzonte di osservazione molto ricco, giacché esso non sarà limitato al solo “diritto costituzionale comparato” fra Stati e TC [Stato A / Stato B (TC)]290, né al solo “diritto comunitario comparato” fra processi di integrazione regionale (IR) [IR (EU) / IR (extraeuropee)], come neppure al possibile solo “diritto internazionale comparato”291 delle relazioni fra Stati rispetto a corrispondenti vincoli internazionali [ad es.: Stato A (CEDU) / Stato B (CEDU)]; ma si aprirà, come operazione di osservazione/comparazione, su tre orizzonti fra loro connessi: - lo studio della TC tridimensionale tra UE, Stati e CEDU, rispetto ai sottostanti vincoli interordinamentali (UE/CEDU); - lo studio delle TC tridimensionali attive fuori dell’Europa, con i relativi vincoli interordinamentali (in America latina e Africa); - lo studio del Borrowing della TC tridimensionale europea nei contesti extraeuropei di TC. Sintetizzando all’estremo, il panorama è ricchissimo ed è così di seguito fotografabile. In Europa, i fondamenti della dinamica della TC risiedono ora negli artt. 4.2 e 6 TUE e nella stessa “Carta di Nizza”, all’art. 53, in qualche modo ispiratrice del Verfassungsgerichtsverbund europeo e della Cross-Fertilization fra “tradizioni costituzionali comuni” statali, interpretazioni della CEDU e di integrazione dell’Unione, versus della TC, consuetudini decisorie più o meno “standardizzate” fra i giudici dei tre livelli292. La tridimensionalità, pertanto, si presenta “dialogante” e “cooperante”293 e, per questo, può essere raffigurata come un insieme di tre cerchi inanellati tra i due livelli orizzontali (UE e CEDU) e il livello verticale verso gli Stati, con la preminenza del cerchio della UE, perché gli altri due sono comunque direzionati (quello statale) o condizionati (quello CEDU) dal meccanismo (obbligatorio e vincolante) della pregiudizialità comunitaria, necessaria al funzionalismo integrativo europeo294. Contemporaneamente, il cerchio della CEDU incide sulla sfera delle Costituzioni degli Stati, per via dei vincoli internazionali di questi ultimi con la Convenzione, del meccanismo delle Il pervasivo riconoscimento della giurisprudenza UE e CEDU come jus superveniens è di per sé un dato sintomatico. Tuttavia, è doveroso ricordare, con riferimento all’integrazione europea, che le sentenze della Corte di giustizia Dassonville (11 luglio 1974, C-8/74) e Cassis de Dijon (20 febbraio 1979, C-120/78) inaugurano l’affiancamento alla primauté dell’opposta tecnica della “concorrenza tra ordinamenti” per “presunta equivalenza” delle loro regole interne, con la conseguenza di “de-contestualizzare” gli ordinamenti nazionali, e le loro differenze (come se fossero Empty Rules), e combinare la originaria “standardizzazione” verso l’altro, di adeguamento alle fonti comunitarie, con quella sopravvenuta verso il basso, di livellamento delle regole nazionali applicabili dai giudici, con evidente sbilanciamento nelle reciproche possibilità di “dialogo”. 289 Per tutti i dettagli in prospettiva di analisi comparata, si rinvia a M. Carducci, V. de Oliveira Mazzuoli, Teoria tridimensional, cit. 290 Operazione che mantiene invece la sua utilità nell’analisi dei requisiti di ingresso di un nuovo Stato nelle relazioni interordinamentali esistenti, come succede per la UE con i cosiddetti “Political Criteria”. 291 Per la cui plausibilità, si rinvia a A. Roberts, Comparative International Law?, in 60 Int.’l Comp. L. Quart., 2011, 57. 292 A. Voβkuhle, Multilevel Cooperation of the European Constitutional Courts: der Europäische Verfassungsgerichtsverbund, in 6 Eur. Const. L. Rev., 2, 2010, 175. 293 Per l’idea di “cooperazione”, si v. A. Schillaci, La cooperazione nelle relazioni tra Corte di giustizia dell’Unione europea e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Rivista AIC, 4, 2012. 294 Nel Report on the Application of the EU Charter of Fundamental Rights 2013, del 14 aprile 2014, la Commissione europea ha ribadito che, in forza dell’art. 51 della Carta dell’UE, le norme di tale Carta impegnano le istituzioni e gli organi dell’UE al loro rispetto nel quadro della propria azione nonché gli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. I DF della Carta producono effetti, quindi, solo nell’ambito di tali competenze. Questo però non dovrebbe limitare la tutela nazionale dei DF, perché i cittadini, una volta esauriti i rimedi nazionali,, potranno sempre rivolgersi alla Corte CEDU, cui la UE dovrà aderire. Nel contempo, sarà sempre e soltanto la Corte UE a verificare la compatibilità fra l’atto europeo e la CEDU. 287 288 75 © Filodiritto Editore cosiddette “sentenze pilota” e della prossima entrata in vigore del Protocollo n. 16 della CEDU, sul rinvio consultivo alla Corte per la interpretazione della CEDU da parte dei Tribunali nazionali295. Fuori dell’Europa, la TC tridimensionale diverge tra America latina e Africa. In America latina, essa si manifesta, com’è noto, attraverso la interrelazione tra Stati, Convenzione americana dei diritti umani (CADH), processi di integrazione regionale con giudici sovranazionali (SICA, CARICOM, CAN, MERCOSUR)296. La dottrina latinoamericana abbonda di neologismi più o meno esplicativi dei propri fenomeni di TC e di “standardizzazione” del loro versus: dal “blocco di costituzionalità transnazionale”, formalmente previsto nelle Costituzioni di alcuni Stati, al “diritto costituzionale transnazionale” o addirittura “comune” o “federativo”, legittimabile in nome degli artt. 3, 28.3, 67 e 68 della CADH297. In ogni caso, anche qui sintetizzando all’estremo, si può dire che la TC tridimensionale del subcontinente risulta tendenzialmente “monopolizzata” dalla Corte interamericana dei diritti umani (CIDH), grazie soprattutto alla dottrina giurisprudenziale del “controllo di convenzionalità”, invero non del tutto “standardizzato” come consuetudine decisoria di tutti i giudici (nazionali e sovranazionali delle quattro integrazioni richiamate)298, ma cionondimeno molto più incisivo delle TC delle sole integrazioni regionali, per l’assenza, all’interno di queste ultime, di un efficace meccanismo di pregiudizialità che imprima il reale versus della TC299. Si sottrae parzialmente a questo panorama la forma di cooperazione orizzontale di TC tra Corte centroamericana di giustizia (CCJ), in quanto giudice della integrazione del SICA, e CIDH, soprattutto grazie alle previsioni degli artt. 3, 23 e 25 dello Statuto della CCJ e alla “standardizzazione”, formale (con apposito protocollo tra CCJ e CIDH) e sostanziale (per consuetudini decisorie della CCJ e dellaa CIDH), del loro “dialogo” in tema di DF. Lo schema, pertanto, potrebbe essere così raffigurato, al fine di marcare la tendenza verticalizzante e non circolare. R. Romboli, Corte di giustizia e giudici nazionali: il rinvio pregiudiziale come strumento di dialogo, cit. Con l’aggiunta, per la verità, di ulteriori processi regionali soft (come il NAFTA) o hard (come l’UNASUR) che frastagliano non poco il campo di osservazione comparata. Si rinvia a J. Roy (comp.), Después de Santiago: Integración regional y relaciones Unión europea-América Latina, J. Monnet Chair Univ. Miami, Miami, 2013. 297 Riscontri sempre in M. Carducci, V. de Oliveira Mazzuoli, Teoria tridimensional, cit. 298 Per ulteriori analisi comparate, si rinvia a L. Cassetti, A. Di Stasi, C. Landa Arroyo, Diritti e giurisprudenza. La Corte interamericana dei diritti umani e la Corte europea di Strasburgo, cit. 299 M. Carducci, V. de Oliveira Mazzuoli, Teoria tridimensional, cit., 133 ss. 295 296 76 © Filodiritto Editore L’esperienza africana è ancora largamente in progress. Com’è noto, l’Unione africana ha proceduto alla unificazione, non ancora efficace, nella African Court of Justice and Human Rights delle due Corti originariamente esistenti nello stesso ambito di integrazione regionale (la Corte sui diritti umani e dei popoli e la Corte di giustizia dell’Unione africana), con l’obiettivo di ridurre le situazioni di “Fragmentation” delle interpretazioni dei DF e promuoverne così la uniforme Embeddedness in tutti gli Stati. Tuttavia, questa unificazione opera all’interno della stessa Unione africana e non tra e all’interno delle altre integrazioni regionali africane esistenti. Il risultato è che le TC triangolari permangono fra loro disarticolate, per esempio con riguardo alla Southern African Development Community (SADC), istituita nel 1992, i cui articoli 4 e 6.2 del Trattato istitutivo riconoscono anche la tutela e il potenziamento giurisprudenziale dei DF, o alla East African Community (EAC), il cui Tribunale di giustizia è competente a interpretare il Trattato istitutivo, anche in funzione della tutela dei DF. Lo schema raffigurativo, di riflesso, è diverso e ancor più complicato dei precedenti, rimarcando tendenze di verticalizzazione “continentale” (con il giudice della Unione africana) e “regionale” (con i giudici delle diverse integrazioni regionali), fra loro non “dialoganti”. A questo punto, il panorama fotografato, nonostante la sintesi, permette di constatare che non esiste un effettivo “isomorfismo” fra i tre contesti di TC tridimensionale. Se l’elevato livello di istituzionalizzazione della TC europea, con la connessa “standardizzazione” delle consuetudini decisorie dei giudici, “dialoganti” secondo Concept Symbol irreversibili (primauté-“effetto utile”), permette di sostenere che non si è di fronte ad una semplice e destrutturata circolazione di Empty Rules, fuori dell’Europa, le relazioni interordinamentali, non supportando con altrettanta solidità il versus della TC e la “standardizzazione” di propri Concept Symbol, faticano ad assestarsi nei propri “elementi determinanti”. La conclusione è ulteriormente corroborata, se ci poniamo l’interrogativo sull’esistenza di “controlimiti” nazionali alle TC attive nei tre contesti e sul ruolo giocato dalle Costituzioni e dalle identità costituzionali degli Stati per la legittimazione della stessa TC nelle relazioni interordinamentali. Com’è noto, in Europa la tridimensionalità della TC ha riconosciuto e accettato l’esistenza di “tradizioni costituzionali comuni” nella UE (artt. 4.2 e 6 TUE) e del “consensus” nel “margine di apprezzamento” della CEDU300, al fine di potersi “standardizzare”. In America latina e Africa, la situazione è opposta: la costituzionalità democratica non è una premessa, ma un obiettivo delle TC. Pertanto, in America latina e in Africa, le esperienze costituzionali nazionali non assolvono un ruolo ricognitivo né in termini di “identità” né in termini di “tradizioni comuni”301. Di conseguenza, la capacità di “standardizzazione” di queste TC è molto più debole. Una apparente eccezione si individua solo nel SICA, in ragione della sua storia costituzionale, racchiusa nella citata “figurazione” della “coscienza centroamericana” evocata e utilizzata (più retoricamente E. Benvenisti, Margin of Appreciation, Consensus, and Universal Standard, in 31 New York Univ. J. Int.’ l L., 1999, 843. Per l’America latina, valgano i seguenti riferimenti: art. 4 Compromiso democrático della UNASUR, del 26 novembre 2010 (obiettivo non di “salvaguardare” identità costituzionali nazionali, ma di sanzionare la “rottura o minaccia di rottura dell’ordine democratico” dentro gli Stati); art. 2 della Carta democratica dell’Organizzazione degli Stati americani; art. 4 del Protocolo sobre Compromiso de la CAN con la Democracia; art. 5 del Protocolo de Ushuaia del MERCOSUR. Per l’Africa, valga per tutti il caso Tanganika Law Society et al. c. Tanzania, del 2013. 300 301 77 © Filodiritto Editore che a fini di “standardizzazione”) dalla CCJ. In particolare, in America latina: - la “experiencia nacional” non assume valore di parametro di orientamento della dinamica tridimensionale di TC; - di conseguenza, i Tribunali sovranazionali privilegiano gli argomenti “interni” alla propria giurisprudenza e al proprio catalogo di diritti umani, assumendoli come “precedenti” obbligatori all’esterno; - l’assenza di parametri condivisi (“standardizzati”) legittima spazi di discrezionalità interpretativa sul catalogo di diritti, di cui ciascun giudice è interprete (è così che la CIDH, il noto caso Gelman c. Uruguay, del 2011, “impone” una propria visione della democrazia deliberativa rispetto addirittura a quanto formalizzato nella Costituzione dell’Uruguay). Analogamente in Africa, la Corte della UA adotta indirizzi “impositivi”, come nel caso Tanganika Law Society et al. c. Tanzania del 2013, per diffondere “standardizzazioni” nelle identità costituzionali interne agli Stati aderenti. Alla luce di tali constatazione, il confronto fra le tre TC potrebbe essere così di seguito tracciato. 78 © Filodiritto Editore 15. Il “ri-uso” di giurisprudenza straniera fra comunicazioni trans-giudiziali diverse Constatata l’assenza di “isomorfismo” fra le relazioni interordinamentali produttive di TC, è comunque possibile comparare fra loro tali TC? Sulla base di quale Tertium? Nonostante l’assenza di “isomorfismo”, i giudici “dialoganti” dei contesti interordinamentali extraeuropei possono riutilizzare l’esperienza di TC delle relazioni interordinamentali europee? Come? In effetti, fuori dell’Europa si verificano fenomeni di Judicial Borrowing, ossia non di riutilizzo di una Empty Rule liberamente circolante nel mondo globalizzato, ma di prestito di un intero metodo e persino contenuto di TC da un contesto interordinamentale ad un altro. Come questo meccanismo migratorio si realizzi è molto complicato da studiare, perché presenta numerose variabili e declinazioni nei singoli campi di osservazione. In ogni caso, esso coinvolge relazioni interordinamentali con elementi apparentemente simili di “standardizzazione”, sicché, volendo sempre sintetizzare per chiarezza e ricorrere alle coordinate logiche richiamate sulla comparazione quale operazione di osservazione, si può offrire lo schema che segue come guida di orientamento. Lo schema consente di verificare, in primo luogo, in che termini sussista o meno “isomorfismo” fra relazioni interordinamentali produttive di TC, estraendo dalla realtà osservata (le relazioni interordinamentali tra UE e “altro”) la proprietà della integrazione sovranazionale come processo interordinamentale a tendenza “standardizzante” nel versus e nei contenuti della TC produttiva di “dialogo”/“riuso”. È su questa linea di confronto, per esempio, che può essere testata la fortunata teoria di diritto costituzionale comparato “euro-latinoamericano”, proposta da P. Häberle, con la sua idea dei “ponti tra Europa e Americhe”302, dialoganti grazie anche al convergente “isomorfismo” delle rispettive reP. Häberle, M. Kotzur, De la soberanía al derecho constitucional común: palavras clave para un diálogo europeo-latinoamericano, UNAM, México DF, 2003. 302 79 © Filodiritto Editore lazioni interordinamentali. Si tratta di una teoria tipicamente tedesca, in quanto presuppone la “figurazione” del Verbund come categoria esplicativa di qualsiasi realtà interordinamentale, distinguendo così tra Verfassungsverbund (riferito solo alla UE), quale “unità costituzionale” composta da TeilVerfassungen statali frutto del versus “standardizzato” della UE, e Staatenverbund (riferita a qualsiasi processo interordinamentale diverso da quello europeo), quale “unità di Stati” non ancora integrati soprattutto sul piano della esistenza di una giurisdizione sovranazionale che definisca il versus della TC e incida in modo “standardizzato” sulle Costituzioni nazionali. L’elemento differenziale tra Verfassungsverbund e Staatenverbund risiederebbe dunque nel giudice sovranazionale capace di produrre una TC con “effetto utile” interno agli ordinamenti e quindi trasformativo delle Costituzioni statali in Teil-Verfassungen. Ora, la didascalia Verfassungs-Staatenverbund contiene una “finzione”: presuppone che gli ordinamenti giuridici entrino in contatto tra di loro e si relazionino sempre allo stesso modo (secondo la cosiddetta “equivalenza”). Al contrario, proprio l’osservazione dei fenomeni di TC in America latina e in Africa attesta che gli intrecci interordinamentali sono più complessi e molteplici, non sempre rispondenti alla presupposizioni di qualsiasi “teoria della equivalenza”, ma piuttosto espressivi di logiche diverse e talvolta “proprie” di quel solo contesto. Osservando, per esempio, l’America latina, si scopre che tali logiche si differenziano non solo rispetto al “tipo” di TC che instaurano i giudici, ma anche rispetto al “tipo” di relazione interordinamentale che si crea nel subcontinente, come del resto si è già osservato nelle schematizzazioni precedenti. Pertanto, non sembra eccessivo sostenere che le relazioni interordinamentali produttive di TC vadano oltre lo schema binario Verfassungsverbund/Staatenverbund maturato dalla “figurazione” tedesca. Basterebbe procedere al confronto sulle seguenti domande, per scandagliare diversamente quel binomio: 1. Quanti e quali testi normativi costitutivi sono coinvolti nel processo interordinamentale? 2. Il conflitto tra questi testi produce antinomie apparenti (AA) o reali (AR)? 3. Esiste reciprocità tra giudici nazionali e giudici sovranazionali nell’applicazione di questi testi? 4. Le decisioni dei giudici sovranazionali producono Embeddedness e quindi “effetto utile” dentro gli Stati? 5. Quale giudice ha l’ultima parola (non in senso gerarchico, ma interattivo funzionale) nel contrasto tra giudicati o tra interpretazioni: il sovranazionale (SN) o il nazionale (N)? 6. Tutte le decisioni sovranazionali sono incidenti/vincolanti negli ordinamenti interni (Embeddedness)? Incidono sul versus delle TC? 7. Quali sono le “materie” su cui “dialogano” i giudici coinvolti dalla relazione interordinamentale? [principi fondamentali (PF), diritti fondamentali (DF), funzioni e poteri (F)]? 8. Su queste materie, il giudice sovranazionale ricorre al confronto reciproco con gli altri giudici (secondo il calco della Cross-Fertilization) oppure si avvarrà del Borrowing di TC esterne al sistema interordinamentale in cui opera? 9. Il ragionamento del giudice sovranazionale sarà topico rispetto a valori (T) o funzionalista rispetto a interessi di integrazione interordinamentale (F) secondo un determinato versus? 10. L’argomentazione “dialogica” del giudice nazionale sarà a vocazione individualista (I) [ossia di enfatizzazione della tutela delle libertà dei soggetti indipendentemente dai processi interordinamentali coinvolti], nazionalista (N) [ossia di tutela della identità costituzionale e degli interessi nazionali rispetto alle relazioni interordinamentali] o funzionalista (F) [ossia di tutela degli interessi di integrazione sovranazionale perseguibili con quelle relazioni interordinamentali e secondo un determinato versus]? Verificando le risposte a questi interrogativi, osservati nei fenomeni di TC diversi dall’Europa, si potrà comprendere anche l’accennata logica “Pick and Choose”. 80 © Filodiritto Editore Il quadro ricavabile potrebbe essere così di seguito raffigurato303. Dovrebbe dunque emergere come il “ri-uso” di giurisprudenza straniera fra più TC differenti (al di là delle presunzioni di equivalenza) non solo sia condizionato dal tipo di strutturazione e funzionamento delle relazioni interordinamentali sottostanti e dal loro versus, ma non risulti reciproco (quindi “dialogico”) e produca “de-contestualizzazione” attraverso il Borrowing praticato304: con la particolarità che tale “de-contestualizzazione” non riguarderà singole Rules, ma l’intero meccanismo di TC di cui si fa “prestito”. È un’acquisizione significativa ancor più quando ci si chieda che cosa succeda lì dove le relazioni Per gli approfondimenti di queste didascalie, rinvio a M. Carducci: Argomento comparativo e presunzione di isomorfismi interordinamentali: spunti critici dalla prospettiva latinoamericana, in Studi in on. di Aldo Loiodice, Cacucci, Bari, 2012, 1577 ss.; O Direito Comparado das Integrações Regionais no Contexto Euroamericano, in R.F. Bacellar Filho, D. Wunder Hachem (orgs.), Direito Público no Mercosul. Intervenção estatal, direitos fundamentais e sustentabilidade (Anais do VI Congresso da Associação de Direito Público do Mercosul), Editora Forum, Belo Horizonte, 2013, 10 ss. 304 In tale direzione, per esempio, si colloca la critica di A. Malamud, Latin American Regionalism and EU Studies, in 32 J. European Integr., 6, 2010. 303 81 © Filodiritto Editore interordinamentali non esistono e quindi la TC può agire nella forma libera della messa in circolazione di Empty Rules. In tal caso, si potranno comunque verificare fenomeni di Judicial Borrowing di TC di altri contesti? Quest’ultima domanda coinvolge tutte le tipologie di cosiddetto “transcostituzionalismo”, classificate dalla dottrina305 indipendentemente appunto dall’esistenza o meno di relazioni interordinamentali e per le quali si ritiene che operino fenomeni di JD e TC306. In realtà, anche per esse varranno le ipotesi e gli schemi proposti in questa ultima parte dello studio. Infatti, si è visto che il Judicial Borrowing della TC europea, effettuato dai giudici latinoamericani o africani, funziona ignorando le differenze delle rispettive relazioni interordinamentali, tutt’altro che uniformabili per “isomorfismo”. Pertanto, si potrebbe ben dire che il Judicial Borrowing delle TC si traduca nella immissione di Empty Rules nel contesto interordinamentale ricevente, nella misura in cui “ri-utilizza” la TC di provenienza in un meccanismo con contenuti, effetti di “standardizzazione” e versus differenti nel contesto di destinazione. Stando così le cose307, nulla può allora impedire che il Judicial Borrowing di TC ricorra anche fra comunicazioni trans-giudiziali non strutturate, ossia del tutto prive di relazioni interordinamentali. In fin dei conti, si tratterà di un fenomeno non “standardizzato”308; e questo confermerà, ove mai ce ne fosse bisogno, quanto già si è acquisito: - che l’esistenza o meno di relazioni interordinamentali condiziona le caratteristiche (di versus e di “standardizzazione”) delle TC; - che in assenza di relazioni interordinamentali, la TC si attiva sempre e solo come circolazione di Empty Rules, in modalità reciproca (“dialogo”) o no (“ri-uso”). Conclusioni tra Google e ipotesi di Corte costituzionale internazionale Giunti a questo punto, si può concludere: dichiarare che i giudici “dialoghino” e facciano “comparazione” suggestiona molto ma non dice nulla sulla realtà cui ci si riferisce (JD e TC). Nella realtà, i giudici non fanno comparazione, perché non sono ricercatori impegnati su programmi e protocolli di metodo; perché non assumono alcun tertium comparationis su cui impiantare un qualche giudizio comparativo309; perché, lì dove lavorino all’interno di relazioni interordinamentali più o meno “standardizzate”, essi sono condizionati nelle loro preferenze/scelte e nel versus; perché, nel caso in cui tali relazioni interordinamentali non esistano o non presentino “isomorfismi”, essi attingono alla circolazione di semplici Empty Rules, anche quando articolate in una vera e propria TC da prendere in “prestito” (Judicial Borrowing); perché comunque i giudici vivono solo nel processo, con le sue regole e i suoi limiti310. In una parola, i giudici non fanno comparazione perché non sono gli attori dei procedimenti cognitivi di in-put dei sistemi giuridici. Chiamati a decidere casi, la loro concentrazione è esclusivamente rivolta all’out-put, edificabile pure attraverso “ri-usi”, versus delle relazioni interordinamentali, argomenti/“trinceramenti” più o meno di Common Sense, a seconda del contesto, ma sempre e solo M. Neves, Transconstitucionalismo, cit. Per il contesto latinoamericano del cosiddetto “regionalismo aperto”, rinvio a M. Carducci (a cura di), Le integrazioni regionali latinoamericane fra originalità, «flussi giuridici» dall’Europa e Judicial Re-Use, numero monografico curato in I Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2013, 1-133. 307 Per i riscontri sull’America latina, ancora M. Carducci, V. de Oliveira Mazzuoli, Teoria tridimensional, cit. 308 Che è poi il presupposto delle tesi di M. Neves, Transconstitucionalismo. 309 Tra l’altro, sull’abbandono della tecnica del Tertium comparationis anche nei giudizi di legittimità costituzionale interni a un solo ordinamento giuridico, si v. M. Barberis, A. Vignudelli, Nuovi dialoghi sull’interpretazione, Mucchi, Modena, 2013. 310 Insiste sulla importanza di questo profilo, al cospetto delle facili comparazioni tra modelli di giustizia soprattutto costituzionale e mancata considerazione del ruolo processuale (e costituzionale) del giudice e delle parti, V. Ferreres Comella, Una defensa del modelo europeo de control de constitucionalidad, Marcial Pons, Madrid, 2011. 305 306 82 © Filodiritto Editore in out-put311. Sarà allora più corretto qualificarli come giudici “combinatori”312, piuttosto che “comparatisti”: espressione, anch’essi, di quella “ad hoc-crazia” che sembra accompagnare la globalizzazione della comunicazione giuridica313 e le sue forme di (neo)positivismo giurisprudenziale314. Se invece si vuole continuare comunque a inneggiarli come “comparatisti”, allora ben li si può affiancare alle operazioni di (psudo-)comparazione, promosse da Google con il “Cyberspazio costituzionale”315; promozione finalizzata a offrire 350 aree tematiche per scrivere o progettare testi costituzionali, attraverso il censimento delle parole e del linguaggio utilizzato in tutte le Costituzioni del mondo316, ultima frontiera del Constitutional Design317. Del resto, solo in condizioni di “atrofia spaziale”318 e di appiattimento sull’accettazione del “principio di realtà”319, è possibile praticare “Transplants” e “Transfers” senza alcuna difficoltà intellettuale (di comparazione logicamente verificabile) e soprattutto senza alcun impegno “politico”. Il fatto però che nell’era del Design si stia tentando di inserire nell’agenda globale proposte politiche di Constitutional Decision Making, come quella (diametralmente opposta alle ambizioni di Google) di istituzione di una Corte Costituzionale internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite320, deve forse suggerire maggior prudenza nell’uso del linguaggio (dato che il diritto, come realtà di pensiero, esiste solo nella lingua321) e nella dismissione dei concetti, dato che sono i concetti e non le parole a far conoscere e comprendere il mondo322. Su questa differenziazione tra in-put e out-put nelle operazioni cognitive interne al sistema giuridico, si v. N. Luhmann, Sistema giuridico e dogmatica giuridica (1974), trad. it., il Mulino, Bologna, 1978. Non a caso, chi studia la TC è indotto a parlare di “reazioni chimiche”: M. Seckelmann, Clotted History and Chemical Reactions. On the Possibility of Constitutional Transfer, in G. Frankenberg (ed.), Order from Transfer, cit., 37 ss. 312 C. Panzera, Interpretare, manipolare, combinare, cit. 313 M. Carducci, Crítica de la comparación constitucional “ad hoc”, in 55 Rev. Dir. Adm. & Const., 2014, 13. 314 Rischio intelligentemente intravisto da P. de Vega García, Giuspositivismo e positivismo giurisprudenziale (1998), trad. it., Pensa, Cavallino-Lecce, 2005. 315 http.//googleblog.blogspot.ca/2013/09/explore-worlds-constitutions-with-new.html. 316 G.L. Conti, La Governance dell’Internet: dalla Costituzione della rete alla Costituzione nella rete, in M. Nisticò, P. Passaglia (a cura di), Internet e Costituzione, Giappichelli, Torino, 2014, 117. 317 Per una ricognizione delle sfumature del concetto di Design, si v. T. Ginsburg (ed.), Comparative Constitutional Design, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2014. 318 K. Schlögel, Leggere il tempo nello spazio (2003), trad. it., Bruno Mondadori, Milano, 2009. 319 Sulla idea della realtà come “accettazione” e non come “conoscenza”, V. Forrester, Una strana dittatura (2000), trad. it., Ponte alle Grazie, Firenze, 2000. 320 M. Carducci, Sull’ipotesi di istituzione di una Corte costituzionale internazionale per il “diritto alla democrazia” e la tutela contro i mutamenti incostituzionali, in 3 n.s. Eunomia, 1, 2014, 195 ss. 321 R. Orestano, Verso l’unità della conoscenza giuridica, cit., 637. 322 M. Revenga Sánchez, Cinco grandes retos (y otra tantas amenazas) para la democracia constitucional en el siglo XXI, in 12 Parlamento y Constitución, 2009, 25. 311 83 © Filodiritto Editore Dalla catena alla bilancia di Claudio Luzzati1* Sommario: 1. Introduzione. – 2. La concezione illuministica e paleo-positivistica del ragionamento giudiziario. – 3. La crisi del modello lineare rappresentato dal sillogismo. – 4. Una metafora del nuovo ordine: la bilancia. Verso un equilibrio riflessivo. – 5. La decodificazione e la costituzionalizzazione. – 6. La ponderazione come tecnica per risolvere le antinomie. – 7. I princìpi come argomenti. 1. Introduzione Procederò in modo estremamente schematico. Il mio intento è mostrare in modo conciso come sono cambiati i modelli di ragionamento giudiziario nel periodo che va dall’illuminismo giuridico fino all’attuale neo-costituzionalismo. La mia è un’indagine storica a grana spessa (cercherò di mostrare la foresta, non i singoli alberi), che non si attarda a prender partito per questo o quel metodo esegetico anche se poi si valuterà, alla luce di determinati presupposti teorici, l’efficienza delle tecniche interpretative, cercando nel contempo di additare le forzature ideologiche che possono esser presenti nelle usuali spiegazioni o giustificazioni delle prassi. Prenderò spunto da un autore spesso citato a sproposito: Marshall McLuhan. Tutti ricordano il cameo cinematografico in Io e Annie di Woody Allen, dove lo studioso canadese, interpretando se stesso, compare all’improvviso a smentire un personaggio che pontificava sproloquiando sulle sue opere. Vuol dire che correrò il rischio. In Gutenberg Galaxy, questo autore riconnette all’alfabeto fonetico e alla stampa a caratteri mobili il privilegiamento della vista a scapito dell’udito, la ripetibilità, i processi meccanici, la catena di montaggio e l’esercito moderno (si pensi al mito di Cadmo) nonché il ragionamento basato sulla successione lineare dalle premesse alle conclusioni. Rispetto a tale tendenza, cui è addebitabile anche l’individualismo e la detribalizzazione (la società aperta), vi sarebbe però un’ondata di riflusso che viene ricollegata al telegrafo e all’elettronica e che dà luogo ad un global village, ad un villaggio mondiale, in cui prevalgono la sinestesia e la simultaneità (con un ritorno al tribalismo). Da un lato, con la stampa, abbiamo un’esplosione (che corrisponderebbe sul piano politico alla nascita dello stato moderno); dall’altro, con l’elettronica si ha un’implosione planetaria (che oggi chiameremmo “globalizzazione”). Le strutture lineari, gerarchizzate, vengono così contrapposte a quelle reticolari (McLuhan, per la verità, parla di “mosaico”). Non so fino a che punto queste allettanti categorie siano accettabili. Per esempio, un libro che possiamo tenere in mano e sfogliare pagina dopo pagine – ma che dico? un libro è riducibile in ultima istanza ad una successione di lettere – potrebbe sembrare il prototipo della linearità; tuttavia i libri hanno in genere una struttura più complessa e, a livello profondo, reticolare: pensiamo alle note, ai riferimenti interni ed esterni, alle anticipazioni e ai rimandi o allo stesso indice. D’altra parte, l’analisi di McLuhan può essere sospettata di riduzionismo, di tagliare i fenomeni con l’accetta, sopprimendo le spiegazioni concorrenti. Non mi soffermerò su questi problemi. Mi pare che, in ogni caso, anche trattando con giustificato sospetto questi strumenti, questi ultimi si applichino abbastanza bene al succedersi delle ideologie * Professore ordinario di Filosofia del diritto, Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria”, Università degli Studi di Milano. 84 © Filodiritto Editore del ragionamento giudiziario. Inizialmente, dominano gli ideali che raffigurano la motivazione delle sentenze quali catene di sillogismi. Viene poi un periodo di crisi, il cui culmine coincide col neocostituzionalismo, allorché tale processione lineare viene disarticolata a favore di modelli basati su un bilanciamento fra princìpi dal mutevole valore secondo le diverse situazioni. Sopravviene cioè, per dirla con Rawls, una sorta di richiamo ad un equilibrio riflessivo. 2. La concezione illuministica e paleopositivistica del ragionamento giudiziario Prenderò come autore paradigmatico dell’illuminismo giuridico Cesare Beccaria, il quale dedica all’interpretazione delle leggi il cap. IV del suo capolavoro, Dei delitti e delle pene (1764). In quella sede fa la sua comparsa la teoria del sillogismo come mezzo per porre un limite all’arbitrio dei giudici in campo penale. Dopo aver premesso che l’autorità d’interpretare le leggi spetta non al giudice, bensì al sovrano, Beccaria presenta così lo strumento per eliminare ogni creatività negli applicatori delle leggi: «In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la [premessa] maggiore dev’essere la legge generale, la minore l’azione conforme o no alla legge, la conseguenza la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza». Il discorso prosegue stigmatizzando l’usale – allora come oggi – contrapposizione tra lettera e spirito, pratica che l’autore considera oltremodo perniciosa, dacché egli aspira ad un codice fisso di leggi che devono esser osservate alla lettera, lasciando al giudice la sola incombenza di esaminare se le azioni dei cittadini siano o non siano rispettose del parametro legislativo precostituito. Va detto che qui Beccaria, al pari degli altri illuministi, si muove ad un livello meta-giurisprudenziale prescrittivo. Non pensa certo che le previsioni del diritto e l’operato effettivo dei giudici dell’epoca corrispondano al modello da lui presentato; tuttavia, proprio per questa mancanza prescrive, sul terreno di una rinnovata etica civile e non già su quello giuridico, una linea di condotta inedita. Il suo intento è di correggere con una riforma le storture del diritto a lui contemporaneo. La situazione cambierà col trionfo del positivismo di vecchio stile. Gli esponenti di questa concezione, penso ad Alfredo Rocco e a Piero Calamandrei per quel che riguarda l’Italia, sostennero che gli auspici di Beccaria si fossero ormai realizzati e che i giudici procedessero davvero a colpi di deduzioni logiche dalle premesse di fatto e di diritto prodotte in aula, senza aggiungere nulla di più, fino a giungere alla ineluttabile conclusione contenuta nel dispositivo della sentenza. In particolare, Calamandrei, in uno scritto giovanile La genesi logica della sentenza civile (1914), ebbe a ritenere, sia pure con molte finezze di cui qui non possiamo dar conto, che l’attività mentale del giudice per arrivare alla sua decisione consistesse di una catena di sillogismi. Bisogna dire che tale raffigurazione assolveva sul piano ideologico alla funzione di ribadire il carattere vincolato di un’attività giurisdizionale che non doveva lasciar spazio alla discrezionalità e corrispondeva in modo eccellente alla struttura espositiva ancor oggi in uso della motivazione: quest’ultima distingue nettamente le ragioni di diritto, che confluiscono nella premessa maggiore del dispositivo, dalle ragioni di fatto, che ne rappresentano la premessa minore. Va aggiunto che tutti i pensatori qui citati avevano conoscenze alquanto superficiali di logica e un’idea molto semplificata del sillogismo. Non accade mai che essi entrino nel merito delle diverse figure e dei diversi modi del sillogismo. Manca un’analisi adeguata; ci si accontenta del richiamo ideologico. Semmai desta stupore che questo «dogma» del positivismo abbia potuto resistere così a lungo quando sarebbe bastato poco ad infrangerlo. Le critiche, a dire il vero, vi furono, ma scivolarono via, quasi si trattasse di bizzarrie. Per esempio, il filosofo crociano – ci voleva un filosofo! – Guido Calogero nel 1937 scrisse un volume intitolato La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, dove sosteneva che il giudice è lontano dal possedere l’automatica tranquillità della macchina calcolatrice e che, cosa assai più grave, la Cassazione, controllando la logicità dei procedimenti giudiziari, finisce per sindacare anche le premesse di fatto, pur essendo una corte di mera legittimità. Anche 85 © Filodiritto Editore Bobbio nel suo libro del 1938 sull’analogia distinse fra rigore del ragionamento e fondatezza delle premesse. Ma queste critiche, al pari di altre, non indussero gli addetti ai lavori a un ripensamento, o a un approfondimento d’analisi, sui loro strumenti logici. 3. La crisi del modello lineare rappresentato dal sillogismo Ma perché la macchina del sillogismo non riesce ad espletare il compito assegnatole dai giuristi dei tempi andati? La risposta a questa domanda non è difficile: perché dobbiamo distinguere con cura la correttezza logica del ragionamento dalla verità (o accettabilità) delle premesse. Si consideri il seguente esempio: Gli uccelli volano. Gli asini sono uccelli. Dunque gli asini volano. Correttezza e verità, si capisce, non vanno di pari passo. Il ragionamento può essere logicamente valido, ma partire da premesse false (o infondate), ed è quel che accade nell’esempio (perché non è vero né che tutti gli uccelli volino né che gli asini siano uccelli), oppure può esser scorretto nonostante l’accettabilità delle premesse. Il nesso fra validità e verità è che un ragionamento valido mantiene necessariamente la verità delle premesse nella conclusione, beninteso nell’ipotesi in cui le premesse stesse risultino vere (il che non è detto a priori). La verità (o l’affidabilità) delle premesse, dunque, non è per nulla garantita dalla bontà del ragionamento. Di conseguenza, è di vitale importanza tenere separata la giustificazione interna di una decisione giudiziale dalla sua giustificazione esterna. Come spiega, tra i molti, Jerzy Wróblewski, la giustificazione interna ha a che fare con la validità dell’inferenza da premesse date, mentre la giustificazione esterna si propone anche il compito, assai meno banale, della giustificazione delle premesse. Il giudice, quindi, può non incorrere in errori logici anche se sbaglia a qualificare i fatti. D’altra parte, la meccanicità del ragionamento deduttivo non comporta che chi se ne serve non compia scelte nel configurare le premesse. A quest’ultimo proposito, interviene la consapevolezza che tutti i termini del nostro linguaggio presentano un margine più o meno ampio d’indeterminatezza semantica e d’apertura. I positivisti di vecchio stampo tendevano a negare la generalità del fenomeno della vaghezza. Si pensava che quest’ultima si limitasse a colpire alcuni termini valutativi – quali p. es. ‘buona fede’, ‘diligenza del buon padre di famiglia’, ‘atti osceni’, ‘negligenza’, ‘giusta causa’, ‘normalità’, ‘correttezza’, ‘buon costume’ ecc. – denominati clausole generali; i concetti da essi espressi servivano a rendere meno angusta e asfittica l’allegata chiusura del sistema ristabilendo un diretto contatto del codice con la realtà sociale. Non per nulla si parlava anche di concetti valvola e di organi respiratori. Tuttavia tale ricostruzione si è dimostrata assai fragile, come già avevano compreso i fautori della giurisprudenza degli interessi e della scuola del diritto libero. La crisi tardiva del modello sillogistico giunse al suo culmine negli anni Sessanta allorché ci si avvide che, come ho accennato, ogni espressione del nostro linguaggio è vaga in una certa misura. La diagnosi della vaghezza (o indeterminatezza semantica) si effettua mostrando che si dànno casi a cui non si è in grado di decidere se un dato concetto si applichi oppure no. Detto in maniera più tecnica, non sappiamo se quel caso, che si denomina caso limite o borderline, cada nell’estensione del concetto o nella sua contro-estensione. E questa incertezza, si badi, non dipende da una carenza 86 © Filodiritto Editore di informazioni circa il mondo, bensì dalla circostanza che le regole linguistiche non decidono su quelle ipotesi. Per quante informazioni si abbiano, si rimane sempre in dubbio. D’altra parte, non ci sono termini vaghi e termini precisi. La vaghezza non è questione di un drastico “sì” o “no”; è una questione di un “più” o di un “meno”. Fin dall’antichità si è cercato di mostrare che non c’è un momento decisivo in cui un mucchio comincia ad essere un mucchio. Non c’è un granello determinante. Così come non siamo in grado di stabilire, da un punto linguistico, un capello critico tolto il quale si incomincia ad essere calvi. Gli esempi sono numerosissimi. Quando una persona è giovane? Alta? O grassa? Quando esattamente un’attività è pericolosa? Quanti alberi ci vogliono per fare una foresta? Che cos’è una religione? Si possono chiamare in quel modo anche culti che non venerano una divinità ultraterrena come il buddhismo o una “religione civile” ? Si potrebbe andare avanti un pezzo. La stessa distinzione fra casi facili, o paradigmatici, che appartengono al nucleo del concetto, e casi difficili, non chiari, che rientrano nella zona di penombra, è impropria perché non si può tracciare una linea netta fra un’area di chiarezza e un’area problematica o di mezza luce. Questi aspetti sono stati esposti, tra l’altro, nel settimo capitolo di un noto libro, The Concept of Law di Herbert L. A. Hart, dove si immagina il celebre esempio del bambino a bordo di un’automobilina alimentata a batteria che pretende di entrare in un parco in cui è vietato l’ingresso ai veicoli. Questo autore, d’altronde, si rende benissimo conto che alla vaghezza si può porre rimedio con ridefinizioni. Ma quello è un rimedio da usare con molta cautela, perché comporta un irrigidimento rispetto alle innovazioni tecnologiche e alla mutevolezza dei fini sociali; ed è precario. Si può infatti ridurre (non eliminare) la vaghezza, l’indeterminatezza attuale; non si può invece limitare l’apertura, ossia la possibilità che in futuro i concetti mostrino zone d’ombra prima inimmaginabili. Ciò dipende dal fatto che il rapporto tra linguaggio ed esperienza è problematico a causa dell’incompletezza essenziale, in linea di principio, di ogni descrizione empirica. La nostra esperienza non è chiusa, come le mosse consentite dal gioco degli scacchi; essa presenta continue sorprese. La constatazione dell’apertura del linguaggio giuridico-normativo ha una innegabile ricaduta sulla teoria della giustificazione in campo giudiziario: bisogna ammettere che i giudici, anche se non sono disposti ad ammetterlo, compiono scelte discrezionali tra le maglie delle norme. Siamo dunque assai lontani dal modello vincolante di giudizio. Non c’è un “significato proprio” delle parole e le stesse questioni potrebbero essere risolte in modo diverso da tribunali diversi senza che si debba gridare allo scandalo. Il giudice smette di essere – se mai lo è stato – la “bocca della legge”. Per tutte queste ragioni teoriche, la teoria del sillogismo andava archiviata. Il che effettivamente accadde, anche se per cause meno direttamente legate alla riflessione teorica. Come vedremo, stava cambiando profondamente la struttura delle fonti con l’affermarsi del neo-costituzionalismo e con la pretesa di supremazia del diritto internazionale sui diritti domestici. E simili mutamenti esercitano sempre un’influenza determinante, assai più delle “chiacchere dei filosofi”, sulle tecniche esegetiche e sulle ideologie dell’interpretazione. Come dice un vecchio proverbio arabo, i cani abbaiano quando la carovana è già passata. 4. Una metafora del nuovo ordine: la bilancia. Verso un equilibrio riflessivo Quasi d’incanto, sulla scorta delle pratiche delle corti costituzionali, si è smesso di parlare ad ogni piè sospinto di sillogismi e si è preso a discutere di ponderazione. O meglio, di sillogistica: qualche volta i teorici – non si sicuro i giuristi positivi – ancora discutono di sillogismi, ma si capisce che ne parlano come sinonimo del sintagma “ragionamento giuridico”, senza pretendere dalla logica nessuna garanzia di certezza. È degno di nota che l’ideologia sottostante al sillogismo non è stata “smascherata”. Come ricordavo, non c’è stata nessuna sconfessione o confutazione teorica pubblica. Piuttosto si è verificato qualcosa che somiglia da vicino al cambiamento di una moda: si è affermata una nuova metafora, quella della bilancia. 87 © Filodiritto Editore In questo paragrafo vorrei presentare un quadro sintetico dei cambiamenti che sono intervenuti. Poi cercherò di approfondirne le cause (v. infra § 5) e di vedere, al di là delle nuove ideologie che sono sorte a proposito della ponderazione fra princìpi, che cosa fanno veramente i giuristi quando ricorrono al bilanciamento, qual è la funzione effettivamente svolta da questa pratica (v. infra § 6). Concluderò la mia riflessione spostando il fuoco dell’indagine dal tema, un po’ logoro, della differenza fra regole e princìpi al tema dell’argomentazione giuridica. Lì individuerò due tipi fondamentali di argomentazioni: quelle escludenti, che fissano un certo risultato sottraendolo ad ogni ulteriore discussione e quelle inclusive, che servono a estendere vecchi criteri a situazioni nuove (v. infra § 7). Da un certo punto di vista, si potrebbe persino dire che non è cambiato niente. Per coloro che prendono sul serio l’immagine della bilancia, la ponderazione si presenta come un procedimento infallibile, né più né meno del mitico sillogismo nei sogni dei positivisti ottocenteschi. Che cos’è la bilancia se non uno strumento di misura, più o meno accurato e preciso, ma che comunque opera su una scala di valori prefissati e immutabili? Non a caso, il teorico scozzese Neil MacCormick ammoniva che i criteri valutativi di cui si servono i giudici non possono essere pesati in modo oggettivo, quasi fossimo in grado di porli sulla bilancia dell’onesto macellaio (on the honest butcher’s scale). Come avveniva in precedenza col sillogismo, anche adesso con il bilanciamento si cerca di spargere una fitta cortina fumogena, con serve a proteggere le operazioni della classe giudiziaria e degli addetti ai lavori dalle critiche – giuste o ingiuste – dei non giuristi, in particolare dei politici che, anche nei paesi democratici, si scontrano spesso con i giudici e coi pubblici ministeri quando vengono indagati per reati di corruzione. Ritengo, tuttavia, che, nonostante il persistere di certe forme di auto-referenzialità e per quanto forte sia il desiderio continuare a negare la discrezionalità giudiziaria – aspetti questi che rappresentano indubbiamente dei motivi di continuità rispetto al passato – siano intervenuti alcuni mutamenti importanti. Ecco in breve le novità. 1) Il modello sillogistico è ricollegabile al prestigio di cui godevano presso i giuristi di vecchia scuola il ragionamento sistematico e la codificazione. Per contro il modello dell’equilibrio riflessivo incentrato sul bilanciamento, storicamente si riconnette al pieno riconoscimento della superiorità della costituzione sulla legge ordinaria e, più in generale, al successo del canone esegetico secondo cui, quando sono possibili, come spesso accade, molte interpretazioni di una stessa legge, l’interprete è tenuto a scegliere l’interpretazione maggiormente conforme ai princìpi costituzionali. 2) La considerazione espressa sopra non spiegherebbe di per sé l’impatto di queste nuove idee. Bisogna tener conto anche delle differenze che intercorrono fra un codice e una costituzione lunga, rispondente agli ideali garantistici che si sono imposti nell’ultimo dopoguerra. Mentre un codice ha una struttura sistematica e, almeno nei propositi dei suoi estensori, coerente, una costituzione è una sorta di deposito di diritti e di preferenze ideologiche sovente contrastanti, fra cui non sussiste nessuna chiara gerarchia. L’ordine che emerge dalla giurisprudenza delle corti costituzionali, al pari di ogni ordine derivante dall’attività giurisprudenziale, è un ordine a rete: manca un centro o una parte generale. 3) Il sillogismo pratico necessita che venga previamente ricostruita la “norma generale e astratta” (la premessa maggiore) e che le questioni di diritto siano tenute ermeticamente separate dalle questioni di fatto (relegate alla premessa minore). Va da sé che questa netta separazione non riusciva neppure ai tempi di Calamandrei. Di qui le critiche avanzate da Calogero. Sia quel che sia, la ponderazione ha abbandonato il ragionamento basato sulla sussunzione meccanica dei fatti concreti sotto la fattispecie astratta e lavora soprattutto sulla risoluzione di casi, isolatamente presi. Mentre prima si chiedeva molto, forse troppo, alle tecniche di universalizzazione, ora si verifica una sorta di “deriva casistica” (tipica del common law più che di quel civil law europeo e continentale, che è stata la culla del positivismo ottocentesco). 4) Mentre l’ordine lineare non ammette ritorni, l’equilibrio riflessivo è fatto di tentativi ed errori, di ripensamenti, di andirivieni, di feedbacks, di successive messe a fuoco, aggiustamenti e precisazioni. L’equilibrio che viene di volta in volta a stabilirsi è sempre provvisorio e temporaneo, essendo 88 © Filodiritto Editore raggiunto sulla scorta di un materiale giuridico ed esperienziale limitato. 5) E a proposito di limitatezza d’orizzonte, nella ponderazione entra in gioco una prospettiva “economica” lato sensu che in precedenza latitava. Si riconosce ormai in modo aperto che nel processo non c’è tempo per ricostruire il “sistema” in tutti gli aspetti rilevanti, per assumere tutte le informazioni sui fatti della causa e neppure per compiere tutte le valutazioni che sarebbero degne d’interesse (nonostante i formalismi del discorso giuridico e della procedura già semplifichino la situazione). Per dirla con uno slogan che i teorici della bounded rationality come Herbert A. Simon forse approverebbero, se il sillogismo suppone una “razionalità olimpica”, tutta protesa a costruire un ordine sistematico nella sua interezza, col bilanciamento si procede a tentoni, piecemeal, con i dati che si hanno al momento, affastellando gli argomenti. 6) Come cercherò di spiegare meglio in seguito (v. infra § 6), il bilanciamento, nella sua funzione pratica effettiva, si risolve in una tecnica assai peculiare per risolvere le antinomie che non possono essere trattate con i noti criteri gerarchico, cronologico e di specialità. Essa si basa sull’idea che non si può, o per lo meno non vale la pena, utilizzare una scala di valori fissa. Il che avrebbe fatto inorridire i vecchi giuristi affezionati al sistema, ai dogmi del positivismo e alle gerarchie inattaccabili. Tanto più che, come vedremo, i princìpi soccombenti in un particolare bilanciamento non vengono espulsi per sempre dal sistema, ma restano a disposizione dell’interprete. 7) Volendo concludere il raffronto con un avvertimento, credo che non ci sia nulla di peggio della contrapposizione fra la sussunzione e una pretesa logica dei princìpi. Un simile logica, intesa come discorso rigoroso che porti a conclusioni inoppugnabili, semplicemente non esiste. I princìpi lasciano largo spazio alla discrezionalità anche se operano in un modo più rivoluzionario e pervasivo dell’ordinaria vaghezza. Essi infatti, oltre a estendere le norme a situazioni inedite, svolgono anche una funzione ablativa, togliendo di mezzo norme scomode, ma di chiara interpretazione, facendo appello alla ratio e, più in generale, consentono d’introdurre premesse implicite, cioè create ad hoc dalla giurisprudenza. D’altra parte, non sussiste una vera e propria incompatibilità tra la sussunzione di un caso sotto una regola e il bilanciamento fra princìpi. Qualunque cosa sia, il bilanciamento, o il compromesso fra princìpi, può servire, ad un livello meta-normativo, a fabbricare e a giustificare la regola sotto la quale cadranno i singoli casi concreti. 5. La decodificazione e la costituzionalizzazione Esaminare i fattori che hanno favorito il sorgere del neo-costituzionalismo e hanno condotto al mutamento di paradigma per quel che concerne l’interpretazione giuridica comporterebbe un’analisi lunga e complessa. Già il termine “neo-costituzionalismo” solleva problemi storici intricati perché è assai probabile che sotto tale etichetta allignino concezioni almeno in parte diverse. Grosso modo i tratti distintivi di questa concezione del diritto sono presto detti. I) L’insistenza sul garantismo e sui diritti. Tale approccio spesso si accompagna all’idea che i diritti fondamentali non entrino mai veramente in conflitto fra loro e sia perciò possibile un indefinito incremento delle le tutele senza costi. II) La tesi che la costituzione e l’ordinamento internazionale pongano limiti assai severi al potere politico e alla mitica onnipotenza del legislatore. Tale impostazione porta ad uno sconvolgimento del “sistema” delle fonti e a un profondo ripensamento della teoria della divisione dei poteri (Michel Troper ritiene p. es. che si sia stabilito un complesso equilibrio fra due soli poteri: il Parlamento e i Giudici, in primis quelli della Corte costituzionale). III) Il favore per l’interventismo delle corti costituzionali. La Corte costituzionale non è più un mero “legislatore negativo”, come la voleva Kelsen, ma emette sentenze manipolative e additive che modificano direttamente le leggi, invece di limitarsi ad un mero annullamento. IV) Una fiducia in generiche formulazioni di principio, più che in regole puntuali. Non tutti, però seguono questa strada. P. es. Luigi Ferrajoli ha denunciato il ricorso ossessivo ai princìpi, quasi si 89 © Filodiritto Editore trattasse di una bolla speculativa, e ha riproposta una visione strettamente normativistica del neocostituzionalismo con tanto di riserva di codice per quel che riguarda il diritto penale. V) L’apertura ai valori e l’indebolimento della netta distinzione fra diritto e morale tracciata dal vecchio giuspositivismo. Anche qui non tutti seguono questa strada e vi sono parecchie varianti fra i diversi autori. Due fenomeni hanno caratterizzato il lungo periodo che abbraccia il declino del vetero-positivismo e l’affermarsi del neo-costituzionalismo: la decodificazione e la c.d. costituzionalizzazione dell’intero ordinamento. Tali fenomeni sono stati esaminati separatamente, ma forse tra di essi qualche nesso c’è. La decodificazione, studiata da Natalino Irti, è il culmine della crisi del vecchio positivismo giuridico incentrato sull’ordine sistematico. È arduo collocare nel tempo questa vicenda in modo esatto. Di fatto si è trattato di un fenomeno graduale: il lento tramonto della centralità del codice civile. La capacità di dare una disciplina generale unica a tutti i rapporti privatistici si sarebbe erosa progressivamente, e infine svuotata, a causa del moltiplicarsi delle leggi speciali, ognuna delle quali ha sviluppato princìpi suoi propri, capaci di esercitare una forza attrattiva e di stabilire un microsistema. Così, al posto del continente del codice, ora vi sarebbe un arcipelago di leggi speciali. Per la verità, si continuano a creare nuovi codici, ma viene a mancare l’idea originaria del codice come palingenesi giuridica, come rinnovamento radicale. Né si crede più nella capacità del codice di tener fermo un ordine anche concettuale. È singolare che la decodificazione sia stata analizzata come un fenomeno indipendente dalla costituzionalizzazione. Al massimo ci si è chiesti se fosse possibile porre rimedio al disordine creato dalla legislazione frammentaria ricorrendo ai princìpi costituzionali e le risposte sono state più perplesse che affermative. In fondo, non si poteva certo restaurare l’ordine precedente piegando la costituzione all’idea ottocentesca di Sistema. Quella idea era morta e sepolta e nessuno sarebbe più riuscito a farla resuscitare. Con una qualche probabilità, la costituzionalizzazione, più che come la soluzione al problema della decodificazione, potrebbe essere concepita come una delle sue cause. Per capirlo, bisogna però spiegare prima in che cosa consiste. In realtà siamo davanti a un fenomeno complesso e multiforme, come ben mostrano le analisi di Tarello e di Guastini. La costituzionalizzazione consiste nell’impatto pervasivo dei princìpi della costituzione su tutto l’ordinamento, secondo una “logica” reticolare. La costituzione rigida non resta – come potrebbe – un documento che riguarda i poteri apicali dello stato, né le sue enunciazioni di principio si riducono a slogan politici, almeno finché non intervenga una legge ordinaria che li attui. Essa non è un manifesto da concretare – se del caso – per via legislativa. Le sue norme sono considerate dagli interpreti qualificati – in primo luogo da quelli della Corte costituzionale, ma anche dagli ordinari magistrati – tutte immediatamente precettive. E si badi, tale immediata precettività e tale applicabilità diretta non valgono solo per i rapporti fra i cittadini e lo stato, ma anche per quelli dei privati cittadini fra di loro. Si verifica quella che è stata efficacemente denominata una iper-interpretazione (o sovra-interpretazione) della costituzione e delle altre disposizioni. Prevalgono l’interpretazione estensiva della costituzione e, correlativamente, l’interpretazione “adeguatrice” delle leggi del Parlamento. Queste pratiche, faceva notare Tarello, innalzano il livello d’incertezza e aumentano notevolmente l’instabilità del sistema. E quali sono gli strumenti di questo gran rimescolamento di carte? Sono tre: a) le sentenze manipolative e sostitutive della Corte costituzionale; b) la pretesa della Corte di dare un giudizio sulla ragionevolezza delle leggi (pretesa che nasce da un’evoluzione del principio di uguaglianza); l’uso intensivo del bilanciamento per conferire maggiore libertà ai giudici (anche di quelli ordinari). È allora evidente che la tesi originaria secondo la quale la decodificazione fosse un fenomeno prodotto soprattutto, se non esclusivamente, dalle leggi speciali, è alquanto unilaterale. In realtà, la costituzionalizzazione è l’espressione di un cambio di metodo e il nuovo paradigma comporta, al di là delle ideologie, uno stock di pratiche e un modo di pensare che non possono non accelerare la crisi del codice. Mentre il codice si nutre della pretesa di risolvere tutti i problemi importanti a priori e in 90 © Filodiritto Editore modo globale (salvo le questioni marginali o di penombra), il mobilissimo gioco dei princìpi della costituzione, che appaiono e scompaiono, che ora si usano e ora si dimenticano, viene ad incarnare un accostamento piecemeal, casistico, per tentativi ed errori. Sorge un paradigma incompatibile con quello dell’epoca precedente, come lo è il passaggio dall’immagine dell’atomo visto come un piccolo sistema solare alla fisica quantistica. 6. La ponderazione come tecnica per risolvere le antinomie Bisogna distinguere la pratica dall’ideologia del bilanciamento. Dell’ideologia già mi sono occupato in un lavoro recente, Prìncipi e princìpi (2012) e spero che ciò mi dispensi dal tornarci su in modo sistematico. Come ho spiegato in precedenza, l’idea della ponderazione prende sul serio la metafora della bilancia e dell’equilibrio. Viene quasi da pensare che non si faccia altro che assumere l’idea della non discrezionalità del giudice ottocentesco per trasferirla pari pari nei contesti moderni. Qualche cosa in realtà è cambiato. Si consideri infatti che una volta i positivisti negavano il libero apprezzamento mentre erano le altre scuole a premere sul versante antiformalistico. Oggi, al contrario, il giuspositivismo rammodernato da Hart ammette che le norme risultano in una certa misura aperte e sono invece i suoi avversari a insistere sulla tesi che esiste sempre una risposta giusta. Le parti si sono invertite. E il gioco è comunque diverso: si è appannata l’idea della scientificità di una giurisprudenza che non farebbe niente di più se non constatare in modo avalutativo un ordine dato; la pretesa infallibilità dei giudici ora si basa assai di più su un confuso cognitivismo riguardante i valori etico-politici. Un valente costituzionalista, per giustificare il bilanciamento, ha fatto ricorso al motto dei fisici quantistici «Shut up and calculate!», più o meno: «Chiudete il becco e fate i calcoli!». La fede verrà poi. Il punto è, però, che qui non siamo solo davanti ad un problema di scarsa verosimiglianza: qui non c’è nulla da calcolare, manca una scala di misura attendibile e, semmai, si tratta di prendere decisioni. Per fare un rapido esempio, quando l’aborto era ancora un reato, la nostra Corte costituzionale fece un bilanciamento fra il diritto alla salute della madre (art. 32 Cost.) e la tutela del concepito (art. 2 Cost.). Questo permise di ammettere l’aborto oltre i limiti angusti segnati dalla scriminante dello stato di necessità (vita per vita), consentendo di prendere in considerazione anche l’equilibrio psichico della gestante. Si disse che «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare» (sent. n. 27/1975). L’attenzione si spostava così verso l’autonomia della donna, aprendosi la strada a una serie di decisioni successive (quella che negò l’interesse del padre e quella che respinse l’obiezione di coscienza del giudice). Tuttavia, questo risultato era ineluttabile? No, fu l’esito d’un mutamento della coscienza sociale. Tanto più che appariva francamente riduttivo declinare il valore dell’autonomia in termini di mera salute mentale. Un altro caso, tra gli innumerevoli che potremmo citare, è quello del matrimonio fra persone dello stesso sesso. In questa materia, la Corte italiana riconobbe che le coppie omosessuali avevano diritto ad una tutela come formazione sociale ex art. 2 Cost. (sent. n. 138/2010). Tuttavia questo riconoscimento non ha portato a nessuna forma di regolazione – neanche una regolamentazione limitata per le coppie di fatto comunque assortite – e, anzi, la Consulta ha riconnesso l’istituto del matrimonio alle sole coppie eterosessuali, ricorrendo ad una sorta di adeguamento alla rovescia, quello della costituzione al codice civile del 1942. Era proprio inevitabile che le cose andassero a quel modo? O si tratta di un bilanciamento finito male? E se sì, in che senso si può dire che i giudici hanno sbagliato? È stato sul piano politico-civile o perché sono incorsi in un errore di calcolo? Sia quel che sia, mi sembra più proficuo concentrarci sulla funzione effettivamente svolta dalla ponderazione. La mia tesi è che, nella pratica dei giuristi, in particolare in quella delle corti costituzionali, il bilanciamento si risolve essenzialmente in una tecnica per risolvere le antinomie. Tradizionalmente i criteri per risolvere le antinomie normative erano tre: 91 © Filodiritto Editore a) il criterio cronologico (lex posterior derogat priori) per cui, in caso di conflitto fra due norme di pari grado, quella successiva abroga quella anteriore; b) il criterio gerarchico (lex superior derogat inferiori) che vede la prevalenza della norma confliggente di grado superiore sull’inferiore anche quando quest’ultima è cronologicamente posteriore; c) il criterio della specialità (lex specialis derogat generali) secondo cui si applica la norma speciale preferendola, quando c’è, a quella generale con essa incompatibile. Siffatti criteri, soprattutto lex posterior e lex superior, non hanno un ruolo rilevante nella soluzione dei conflitti che sorgono fra i princìpi espressi dalle disposizioni di una medesima costituzione, in quanto si tratta per lo più di norme coeve e dello stesso grado. D’altra parte, anche il criterio della specialità è di dubbia applicazione ai princìpi costituzionali perché limita esplicitamente e durevolmente, con un’eccezione, l’universalità di uno dei valori supremi dell’ordinamento. In breve, per quanto sia pacifica la possibilità di conflitti infracostituzionali, qui i vecchi criteri non si possono utilizzare; tali criteri, inoltre, hanno il difetto di condurre all’espulsione dall’ordinamento della norma che soccombe o alla sua disapplicazione permanente. Il bilanciamento permette al giudice di uscire dall’impasse. Anche in questa pratica c’è una norma che prevale ed una che soccombe. Ma il bilanciamento è vantaggioso, in un senso conservativo dei valori costituzionali: esso infatti consente di sospendere o di mettere tra parentesi un principio in un dato caso, nel quale è considerato “meno pesante”, senza però espellerlo dal sistema. Il principio perdente resta, valido a pieno titolo, pronto ad essere impiegato in una futura occasione. Faccio un paio di esempi. Primo esempio. La costituzione garantisce sia il diritto di sciopero sia il diritto alla salute. In linea teorica, i due diritti non si escludono a vicenda, ma può sorgere un conflitto fra di essi per ragioni contingenti: che dire, infatti, se scioperano i medici? In tale ipotesi occorre decidere quale dei due princìpi prevale, in quale misura e a quali condizioni. Secondo esempio. Le costituzioni moderne tutelano tanto i diritti della personalità, ivi incluso quello all’onorabilità personale, quanto la libertà d’espressione. Se in un giornale si critica un personaggio pubblico fino a metterne in forse il buon nome, quale dei due princìpi ha la meglio e in base a quali criteri? Ovviamente, la scelta fra diversi princìpi, comunque avvenga, non si fa una volta per tutte. Opera il metodo casistico, in quanto se oggi vince il principio A, domani, in un’altra ipotesi, si può decidere che la situazione è diversa o è cambiata, e assegnare la palma della vittoria al principio B. A vero dire, questo metodo non è del tutto una novità, neppure per ciò che riguarda il diritto continentale anteriore alla costituzionalizzazione. Anche nel vecchio civil law – persino nella sua versioni conservatrice degli anni Cinquanta in Italia prima che si varasse la Corte costituzionale – è assai comune che ci si appelli alla c.d. ratio legis con l’intento di ritagliare un’eccezione alla regola generale in un’ipotesi particolare. I teorici del diritto anglosassoni parlano qui di defeasibility. Quest’attività tutt’altro che infrequente ha natura integrativa, se si accetta la distinzione un poco traballante fra interpretazione e integrazione. In fondo essa realizza una forma grossolana di bilanciamento, un bilanciamento fra la regola esplicita e un principio implicito – che cos’altro è la ratio? – che, in una fattispecie di un certo tipo, si ritiene sia o produca una norma “più pesante” di quella espressa. Siamo davanti ad un ovvio escamotage per aggirare una norma sgradita, irrazionale o troppo rigorosa per essere riletta nel modo desiderato. Ciò premesso, occorre mostrare anche le differenze del mondo di oggi rispetto a quello in cui si muoveva il giurista tradizionale. Queste, a mio avviso, sono due. 1) Innanzi tutto, la ponderazione acquisisce un ruolo importante in coincidenza col processo di costituzionalizzazione, quando esiste un nucleo corposo di disposizioni di principio inserite in una costituzione rigida e quando si dà un sistema di giustizia costituzionale funzionante e autorevole che condiziona l’intera la giurisprudenza. 2) In secondo luogo, va osservato che il vecchio positivismo faceva riferimento ai princìpi impliciti nel codice civile. Il compito di “trovarli” era affidato alla scienza del diritto e lo strumento, peraltro 92 © Filodiritto Editore contestato, che connotava ideologicamente tale ricerca come “scientifica” era l’induzione. Oggi, invece, mi pare che ci si affidi soprattutto a giudizi di valore (morali?), vantando la pretesa che essi siano obiettivi come quelli di fatto. Si costruisce una scala assiologica. Guastini ha parlato a tale proposito di una «gerarchia mobile», in quanto il peso assegnato ai princìpi è mutevole. L’immagine è bella, ma contraddittoria. Un gerarchia deve fissarsi, altrimenti non è una gerarchia: è solo una capricciosa valutazione caso per caso, a spizzico, attuata dall’interprete. Di più: la ponderazione è l’esatto opposto della gerarchia, perché la gerarchia suppone che ciò che sta sopra prevalga sempre su ciò che sta in basso, senza pesature di sorta o compromessi. Perché una gerarchia stabilisce un ordine lessicografico che non si può più discutere, come quello del vocabolario. Una cosa è comunque chiara: che il bilanciamento fra princìpi allarga a dismisura la discrezionalità. I princìpi, in ispecie se sono posti alla base di un settore o dell’intero ordinamento, dànno molta più mano libera ai giudici della vaghezza delle norme. La vaghezza, infatti, è isolabile, si può incistarla nel sistema; i princìpi invece agiscono sul nostro modo di ricostruire l’ordinamento nel suo complesso. 7. I princìpi come argomenti Abbiamo visto che i princìpi giocano un ruolo centrale nella crisi, sul piano delle fonti e delle pratiche istituzionali, oltre che della teoria, dell’ideale di ragionamento lineare e strettamente conseguenziale simboleggiato dalla catena dei sillogismi. Se si vuole capire meglio questa svolta, occorre però mettersi d’accordo su che cosa si debba intendere per ‘principio’. Tuttavia, la situazione è meno chiara di quel che potrebbe sembrare ad un esame superficiale. Secondo la tesi che va per la maggiore, ma che, lo dico subito, mi pare non condivisibile, l’essere un principio sarebbe una caratteristica dei significati normativi. Un principio, dunque sarebbe una norma molto fluida, ossia vaga e generica. Mentre le regole sarebbero norme molto rigide e non suscettibili di eccezioni implicite (ossia: norme non defettibili), come i limiti di velocità e il doppio errore a tennis, i princìpi sarebbero standard flessibili, suscettibili di eccezioni tacite. Se per le regole vige una “logica” del bianco-o-nero (del tutto-o-nulla), e si tratta solo di vedere se un dato caso è sussumibile sotto di esse oppure no, i princìpi invece sarebbero caratterizzati da una dimensione di peso (non più un netto sì o no, come per le regole, bensì un più o meno). Questa tesi è tanto popolare quanto discutibile. Si nota a colpo d’occhio che è una forzatura. Da un lato, questa drastica contrapposizione fra standard rigidi e standard flessibili non tiene: l’impressione è che in mezzo vi siano parecchie cose trascurate. Dall’altro lato, si ha l’impressione che ci voglia qualcosa di più per caratterizzare i princìpi come tali. Pur essendo molti princìpi altamente vaghi e/o generici, non tutte le norme altamente vaghe e generiche sono etichettabili come princìpi, almeno secondo le intuizioni degli addetti ai lavori. La vaghezza l’abbiamo già analizzata come il presentarsi di casi-limite. La genericità, d’altra parte, è la carenza di specificità e di capacità informativa. Si ha quando il parlante non distingue tra ipotesi differenti, quando fa di ogni erba un fascio. A ben vedere, essa non dà luogo ad un problema esegetico vero e proprio, in quanto l’interprete è autorizzato a specificare l’enunciato come gli pare. Tutto va bene in un certo ambito. Diverse specificazioni normative sono compatibili. Disposizioni come le seguenti non suonano come disposizioni di principio: i) «Vietato l’ingresso agli animali molesti» (appeso sulla porta di un ristorante); ii) «Racconti al bambino una fiaba» (detto dalla mamma alla baby-sitter); iii) «Sergente prenda 5 uomini (qualsiasi) e esca di pattuglia» (l’ordine del tenente). iv) «Insomma, faccia qualcosa!» (sbotta il cliente all’idraulico che non sa fermare una perdita nelle tubature); v) Mi dia per favore un bianco (ordina l’avventore al barista). È inoltre evidente che nella caratterizzazione dei princìpi come tali entrano in gioco sia la loro 93 © Filodiritto Editore posizione nell’ordinamento rispetto ad altre norme e i comportamenti di fatto degli interpreti. Si va molto più in là da una prospettiva meramente semantica. Sulla base delle precedenti sommarie considerazioni, mi pare si possa valorizzare una vecchia idea che ricollega i princìpi alle argomentazioni dei giuristi. L’idea è questa: che i princìpi sono soprattutto il fondamento giustificativo di altre norme già esistenti o da creare. Non a caso, Uberto Scarpelli concepiva i princìpi come matrici di norme. Se questa impostazione è accettabile, l’essere un principio non è una qualità ontologica o semantica; è piuttosto una caratteristica relazionale. Non ci sono norme che in sé vanno considerate princìpi. I princìpi sono sempre tali in relazione ad altre norme e all’uso che se ne fa. La sfera delle altre norme può variare da un minimo ad un massimo, dalla ratio di una legge isolata fino a giungere ad un principio dell’intero ordinamento. Pertanto si può affermare che un principio è più o meno generale: ciò dipende dall’ampiezza dell’ambito normativo che esso contribuisce a “fondare”. In quest’ottica, ripeto non nuova, alla stregua della quale i princìpi si propongono quali meta-norme giustificative, non deve sorprendere se una medesima norma a volte è applicata in modo diretto, posto che la fattispecie non sia del tutto aperta, e altre è usata nel ragionamento degli interpreti come un principio. Quel che conta non è quel che una norma è. Conta invece come la si usa. Anche se questo è un discorso che non si può affrontare qui, stiamo virando verso la pragmatica giuridica. A questo punto diventa più illuminante e teoricamente onesto, anziché contrapporre come si fa di solito le regole ai princìpi, delineare un contrasto fra due diversi stili di argomentazione: lo stile argomentativo che serve ad espandere l’ambito delle ragioni di decisione oltre a quelle espressamente previste e lo stile argomentativo utilizzato per chiudere le questioni, tagliando corto ed evitando di prendere in considerazione altri argomenti per quanto astrattamente sensati essi siano. Potremmo parlare di argomentazioni che si rifanno a ragioni inclusive e di altre che si rifanno a ragioni escludenti. Le prime constano essenzialmente del richiamo ai princìpi. Mediante tale strumento l’interprete è in grado di compiere operazioni integrative, correggendo, riformulando e arricchendo l’originario dettato normativo. Le seconde – e anche qui, come per le prime, si tratta di ragioni di secondo livello – si traducono nelle tecniche formalistiche di cui i giuristi, anche odierni, hanno sempre fatto ampio impiego. Qualche esempio: l’inviolabilità del giudicato, il principio di autorità, la gerarchia delle fonti, le decisioni all’ingrosso applicando le regole senza trovare eccezioni ad ogni piè sospinto, lo scadere dei termini perentori, le decadenze, le preclusioni processuali, l’usucapione, il sistema di prove legali, le presunzioni ecc. In tutta una serie di ipotesi si sa se si deve ragionare in modo inclusivo o esclusivo, ma non c’è un super-criterio applicativo di valore generale. Il meccanismo è ad ogni buon conto chiaro: le ragioni inclusive consentono di far entrare nel diritto aria nuova con operazioni creative anche ardite, le ragioni esclusive d’altro canto tirano il freno, però hanno il vantaggio di fissare i risultati che si sono ottenuti, evitando che siano rimessi in forse. Detta altrimenti: i giudici ponderino pure ma poi, se non si vuole che l’opera compiuta sfugga via, bisogna che intervengano il giudicato, la forza vincolante dei precedenti e, se si tratta dei giudici costituzionali, l’efficacia erga omnes ex art. 136 Cost. La cennata proiezione dell’analisi teorica verso l’argomentazione, tenendo conto delle tecniche e dei metodi effettivamente in uso presso la comunità degli interpreti induce ad alcune riflessioni teoriche che tenterò di contenere in poche righe. 1) Anche quando non è particolarmente creativo, l’interprete è comunque attivo e sceglie, in quanto i testi vanno interrogati e possono essere variamente utilizzati. 2) L’interprete non si limita a comprendere il significato delle parole o che cosa aveva in testa il mitico legislatore (i redattori delle leggi?); l’interprete ha delle finalità tipizzate che mutano secondo i diversi settori e istituti dell’ordinamento. 94 © Filodiritto Editore 3) Di conseguenza stare a ragionare se l’interprete sia o no creativo è riduttivo; non si capisce niente finché non si precisa di che cosa sia, o debba essere, ricognitivo o non ricognitivo. 4) È inoltre chiaro, in quest’ottica, che nei diversi settori vi sono diversi standard di successo che fissano i criteri di una buona interpretazione allo stesso modo in cui vi sono criteri legali (p. es. in materia penale si invoca la formula “oltre il ragionevole dubbio”) che ci dicono quando un fatto è da considerare provato. E questi sono schemi d’azione pesantemente valutativi che indirizzano l’operato degli esegeti. 5) Ad ogni modo, l’interprete non è mai solo davanti ad un testo. Proprio perché c’è questo avvicinamento fra la determinazione dei significati e le tecniche argomentative e retoriche, il singolo giudice non può non aver presenti le interpretazioni che sono state rese in passato. Ed è ovvio che non può fare tutto quel che vuole appellandosi al suo personale senso di giustizia. 6) Il significato letterale difficilmente può ridursi ad un significato univoco. Ma il “dato” linguistico resta un punto imprescindibile di partenza nell’interpretazione. E se si compiono operazioni integrative ardimentose, deve essere almeno palese, e quindi controllabile, tale scostamento dalla “lettera” nonché la sua coerenza con gli obiettivi perseguiti in un certo campo (con gli standard di successo dell’interpretazione). 95 © Filodiritto Editore Diálogo jurisprudencial entre tribunales supranacionales y domésticos: lineamientos y desafíos a la luz de la experiencia en el caso argentino.* di María Sofía Sagüés** Sumario: 1. El diálogo entre tribunales ante la internacionalización del derecho constitucional. – 2. Lineamientos del control de convencionalidad en la jurisprudencia de la CorteIDH. – 2.1 Génesis: el caso “Almonacid Arellano”. – 2.2 Aspectos procedimentales: el control de convencionalidad de oficio y el caso Trabajadores Cesados del Congreso. – 2.3 La “interpretación conforme” o control de conformidad convencional: el caso Rosendo Radilla Pacheco. – 2.4 El control de convencionalidad realizado por órganos no judiciales: El caso Gelman. – 3. Dimensiones y efectos del control de convencionalidad. – 4. El control de convencionalidad en la jurisprudencia de la Corte Suprema Argentina. – 5. Ponderación preliminar. – 6. Desafíos. a) Aspectos generales del sistema interamericano de protección de derechos humanos. b) Conflicto de lealtades. c) Modelos jurisdiccionales: ¿nuevas modalidades de sentencias y ejecución en el ámbito doméstico? d) Desafío procesal de articulación con el control de constitucionalidad. – 7. Perspectiva final. 1. El diálogo entre tribunales ante la internacionalización del derecho constitucional En las reformas recientes de los sistemas constitucionales latinoamericanos existe una tendencia generalizada hacia la internacionalización del derecho constitucional, mediante la adopción de fórmulas en que la jerarquía constitucional es permeable, en mayor o menor grado, a instrumentos internacionales. Así, procesos constituyentes han introducido pautas en torno a las cuales se ha reconocido especial prevalencia a instrumentos internacionales de derechos humanos, previéndose su jerarquización, constitucional o bien supra legal1. Eduardo Ferrer Mac-Gregor explicó esta situación señalando que: “este proceso evolutivo de recepción nacional del derecho internacional de los derechos humanos se manifiesta claramente en reformas legislativas trascendentales en los Estados nacionales, al incorporar diversas cláusulas constitucionales para recibir el influjo del Derecho Internacional. Así sucede con el reconocimiento de la jerarquía constitucional de los tratados internacionales de derechos humanos,2 o incluso aceptando su carácter de supraconstitucionalidad cuando resulten más favorables;3 el reconocimiento de su especificidad en esta materia;4 la aceptación de los principios pro homine o favor libertatis como criterios hermenéuticos nacionales;5 en la incorporación de “cláusulas abiertas” de recepción de otros derechos conforme a la normatividad convencional;6 o en cláusulas constitucionales para interpretar los dereEl presente trabajo tiene su base en la ponencia presentada por la autora en el seminario “Acciones protectoras de derechos humanos”, organizado por la Universidad Alberto Hurtado de Santiago de Chile, 2013. ** Doctora en Derecho y Ciencias Sociales por la Pontificia Universidad Católica Argentina, Facultad de Derecho de Rosario. 1 En torno a este punto me remito a Sagüés, Néstor Pedro (2012) y Manili, Pablo, (2012), entre otros. 2 De manera explícita, por ejemplo, en Argentina (artículo 73) y República Dominicana (artículo 74.3, de la nueva Constitución proclamada en enero de 2010). 3 Bolivia (artículo 256); Ecuador (artículo 424); y Venezuela (artículo 23). 4 El autor citado indica que con independencia de la jerarquía normativa que le otorguen, un número importante de textos constitucionales reconocen algún tipo de especificidad de los tratados internacionales en materia de derechos humanos, por ejemplo, en Argentina, Bolivia, Chile, Ecuador, Guatemala, Colombia, Paraguay, Perú, República Dominicana y Venezuela. Además, en las Entidades Federativas mexicanas de Sinaloa, Tlaxcala y Querétaro. 5 Brinda los ejemplos del Perú (artículo Transitorio Cuarto); Ecuador (artículo 417); y en la nueva Constitución de la República Dominicana, de enero de 2010 (artículo 74.4). 6 A modo ejemplificativos cita, Brasil (artículo 5.LXXVII.2), Bolivia (artículo 13.II), Colombia (artículo 94), Ecuador (artículo 417), Panamá (artículo 17), Perú (artículo 3), República Dominicana (artículo 74.1) y Uruguay (artículo 72). * 96 © Filodiritto Editore chos y libertades “conforme” a los instrumentos internacionales en materia de derechos humanos,7 entre otros supuestos. De esta forma las normas convencionales adquieren carácter constitucional.”8 A partir de estas previsiones normativas las respuestas de los operadores han sido disímiles. De un análisis comparativo liminar puede concluirse que los órganos a cargo del ejercicio de la jurisdicción constitucional en general han sido tendientes hacia el reconocimiento de líneas jurisprudenciales en torno a la “interpretación internacionalmente adecuada” o “interpretación de los derechos fundamentales conforme al derecho internacional”9, en donde se articulan las soluciones o modulaciones interpretativas de las normas domésticas a la luz de las exigencias de los productos supranacionales, en base a principios rectores tales como in dubio pro libertatis10. Paralelamente, el sistema regional de los derechos humanos apremia a los operadores nacionales, en especial los jurisdiccionales, a que pongan acento en el cumplimiento de los compromisos internacionales y satisfagan sus postulados y exigencias en miras al respeto de los derechos fundamentales. La Corte Interamericana de Derechos Humanos11 ha enfatizado la vinculatoriedad del orden regional y, especialmente, de sus pronunciamientos, exigiendo que todos los jueces domésticos, al resolver los casos concretos sometidos a su conocimiento, formulen un juicio de compatibilidad entre la norma jurídica interna y las prescripciones convencionales, debiendo articular dos efectos: invalidar la norma doméstica contraria a la convención y su jurisprudencia y, paralelamente, interpretar el derecho interno “conforme” el orden regional. La clave que aporta armonía a la propuesta de la Corte Interamericana se basa en la noción de diálogo jurisprudencial que se arbitraría entre tribunales internacionales y domésticos, de tal manera de que todos ellos se articulen de manera respetuosa y consistente. La relevancia del postulado es acentuada por Eduardo Ferrer Mac-Gregor, quien explica que “la trascendencia de la nueva doctrina sobre el “control difuso de convencionalidad” es de tal magnitud, que probablemente en ella descanse el futuro del Sistema Interamericano de Protección de los Derechos Humanos y, a su vez, contribuirá al desarrollo constitucional y democrático de los Estados nacionales de la región. La construcción de un auténtico “diálogo jurisprudencial” – entre los jueces nacionales y los interamericanos –, seguramente se convertirá en el nuevo referente jurisdiccional para la efectividad de los derechos humanos en el siglo XXI. Ahí descansa el porvenir: en un punto de convergencia en materia de derechos humanos para establecer un auténtico ius constitutionale commune en las Américas”.12 Es decir, al poner el acento en esta modalidad de control, se robustece el accionar de los jueces internos de los estados, quienes también toman protagonismo en el intercambio que subyace en el reflujo entre ambos sistemas, ya que la dinámica “no debe darse en el marco de una estricta y exclusiva lógica unidireccional desde la Corte IDH hacia las jurisdicciones nacionales, sino que es preciso generar las condiciones para profundizar un ‘diálogo jurisprudencial’ entre ambos niveles de tribunales: interamericano e internos”.13 Aclaró el Juez citado, que la sinergia entre ambos sistemas tiene su origen con anterioridad de la creación pretoriana expresa por la Corte Interamericana de la doctrina del control de convencionalidad, y que “resulta evidente que la Corte IDH crea la doctrina del “control difuso de convencionalidad” advirtiendo la tendencia de la “constitucionalización” o, si se prefiere, “nacionalización” del “derecho internacional de los derechos humanos” y particularmente la aceptación de su jurisprudencia convencional como elemento “hermenéutico” y de “control” de la normatividad interna por parte de Menciona a Bolivia (artículo 13.IV), Colombia (artículo 93), Haití (artículo 19) y en las Entidades Federativas mexicanas de Sinaloa (4º Bis C), Tlaxcala (artículo 16 B) y Querétaro (Considerando 15). 8 Voto razonado del Juez Ferrer Mac-Gregor, en la causa Cabrera García, sentencia del 26 de noviembre de 2010, Serie C. nro. 220, citada precedentemente, párr. 25. 9 Manili (2012), pp. 476, 477. 10 Ver Sagüés, Néstor Pedro, 2012, Manili, 2012. 11 En adelante, también CorteIDH. 12 Voto razonado del Juez Ferrer Mac-Gregor, en la causa Cabrera García, sentencia del 26 de noviembre de 2010, Serie C. nro. 220, párr. 88. 13 Bazán (2012-2) p. 30. 7 97 © Filodiritto Editore los propios tribunales internos; es decir, la Corte IDH recibió el influjo de la práctica jurisprudencial de los jueces nacionales para crear la nueva doctrina sobre el “control difuso de convencionalidad”.14 Así, concluye en que “se produce un interesante influjo entre la Corte IDH y las jurisdicciones nacionales que propicia el “diálogo jurisprudencial”. Diálogo que incide en la debida articulación y creación de estándares en materia de protección de los derechos humanos en el continente americano o, por lo pronto, en Latinoamérica”.15 El fenómeno abarca tanto la internalización del derecho constitucional, como la constitucionalización del derecho internacional16. En consecuencia, lo que se procura, en términos del sistema, es la gestación de una “anhelable sinapsis entre tales instancias, incluso en un ‘atmósfera saturada de tensiones cordiales’, (que) se plantea desde la esperanzada convicción de que es necesario y conveniente que convivan en conexión axiológica y jurídicamente cooperativa en la sintonía de una hermenéutica pro persona, en tanto ambas son copartícipes necesarias de un objetivo convergente: fortalecer cualitativamente la tutela y la realización de los derechos básicos”.17 Esto implica una relectura de los órdenes constitucionales a la luz del sistema regional, pero también una interacción recíproca, donde el derecho comparado y el recurso al interprete externo toma especial protagonismo y relevancia, como elemento determinante de este “ius commune”. La interacción, entonces, no es solamente unidireccional ni vertical, sino que implica un enriquecimiento mutuo, en el que se gesta “una suerte de ‘fertilización cruzada’ (crossfertilization) de ambas instancias en la línea de su retroalimentación y plausible reciprocidad de influjos, para enriquecer cuantitativa y cualitativamente la tutela y la realización de los Derechos Humanos por medio del intercambio y del aprendizaje mutuos”.18 Dentro de este marco, la doctrina ha puesto el acento en el álgido conjunto de normas que confluyen en el ejercicio jurisdiccional doméstico y como ello implica un desafío para la jurisdicción constitucional local. Así, “la existencia de una pluralidad de órdenes jurídicos en un sistema mundial de niveles múltiples, caracterizado por interrelaciones y jerarquías complejas, ha dado lugar al transconstitucionalismo (en sus diversas formas), que implica en realidad un pluralismo constitucional, generando lo que algún autor ha denominado como Constitución red”.19 Por su parte, frente a la complejidad normativa, la doctrina del control de convencionalidad puede actuar como aglutinador y homogeneizador de una serie de normas de diversas fuentes que confluyen en el accionar diario de los operadores jurisdiccionales. En este sentido, explica García Ramírez que “el control de convencionalidad es una expresión o vertiente de la recepción nacional sistemática y organizada, del orden jurídico convencional internacional (o supranacional). Constituye un dato relevante para la construcción y consolidación de ese sistema y ese orden, que en definitiva se traducen en el mejor impero del Estado de Derecho, la vigencia de los Derechos y la armonización del ordenamiento regional interamericano… Se halla al servicio de la justicia y la seguridad jurídica.”20 En el mismo sentido, señala Bazán que “el control de convencionalidad es un dispositivo que, adecuadamente empleado, puede contribuir a la aplicación armónica, ordenada y coherente del derecho vigente en el Estado, abarcando sus fuentes internas e internacionales”.21 Como explica Nogueira Alcalá “el control de convencionalidad deposita en sede jurisdiccional un voto de confianza en que los jueces locales interpretarán y aplicarán el Derecho de los Derechos HuVoto razonado del Juez Ferrer Mac-Gregor, en la causa Cabrera García, sentencia del 26 de noviembre de 2010, Serie C. nro. 220, citada precedentemente, párr. 29. 15 Voto razonado del Juez Ferrer Mac-Gregor, en la causa Cabrera García, sentencia del 26 de noviembre de 2010, Serie C. nro. 220, citada precedentemente, párr., 31. 16 Ferrer Mac-Gregor, Eduardo, (2012) p. 113 y ss. 17 Bazán, Víctor, (2012-I), op. cit, p. 55. 18 Bazán, Víctor, (2012-II), p. 24. 19 Ferrer Mac-Gregor, (2012), p. 113. El autor citado toma la expresión de Rafal Bustos Gisbert, en La constitución red: un estudio sobre supraestatalidad y Cosntitución, OVAP, Oñate, 2005, y Pluralismo Constitucional y diálogo jurisprudencial, Biblioteca Porrúa de Derecho Procesal Constitucional, num. 52, Porrúa-IMDPC, México, 2011, en prensa. 20 G arcía R amírez , Sergio, (2012), p. 214. 21 B azán , Víctor, (2012-II), p. 15. 14 98 © Filodiritto Editore manos contribuyendo a generar un derecho público común básico de nivel regional interamericano, reforzando el Estado constitucional democrático en la región, una mejor protección de los Derechos Fundamentales de las personas, un Derecho Público Regional más integrado al menos en los estándares mínimos de respeto de Derechos Humanos y jueces más legitimados y empoderados de su función de aseguramiento y garantía de los Derechos Fundamentales”.22 La interacción llega a confluir de tal manera que “en algunas ocasiones el ‘bloque de convencionalidad’ queda subsumido en el “bloque de constitucionalidad’, por lo que al realizar el ‘control de constitucionalidad’ también se efectúa ‘control de convencionalidad’… Representa una manifestación clara de este interesante proceso de ‘recepción nacional del derecho internacional de los derechos humanos y sin lugar a dudas constituye uno de los rasgos positivos sobresalientes en la hora actual, que conviene reconocer, sostener y acrecentar”.23 El bloque de constitucionalidad en estos supuestos adopta un perfil dinámico, en permanente replanteamiento a la luz de las mutaciones de las decisiones del órgano supranacional, lo que puede ser definido como un “bloque de constitucionalidad fluido” dado su permanente mutación al compás de la interpretación del orden regional de los derechos humanos. Ahora bien, en términos fácticos, la dinámica de la propuesta ha planteado muchas veces conflictos o entuertos, y otras, fluidez. El resultado, en muchos casos, ha sido sumamente positivo. De hecho, Juan Carlos Hitters, tras un análisis pormenorizado de la jurisprudencia de diversos países, y especialmente Argentina, ha concluido como “es importante ver como las directivas emitidas por estos cuerpos supranacionales se han derramado como derecho positivo en el ámbito doméstico; y en paralelo observar la importancia del contralor heterónomo por parte de la Comisión y de la Corte … Todo ello ha logrado verdaderas mutaciones en los ordenamientos de los diversos países sujetos a este régimen, tanto de origen sustancial como adjetivo. Por ello señalamos que en verdad la Corte Interamericana en el campo doméstico ha jugado un papel que podríamos llamar ‘casatorio’, imponiendo indirectamente cierta homogeneidad en la interpretación de la Convención y de otros tratados, y ha supervisado inclusive el cumplimiento de sus propios fallos”.24 Efectivamente, en algunos supuestos la jurisdicción constitucional se ha mostrado sumamente receptiva de los axiomas propios del control de convencionalidad, y el flujo correlativo ha contribuido con la consolidación de la dignidad humana y el Estado de Derecho, tanto en el plano normativo como también, en ciertas oportunidades, fáctico. Ahora bien, el protagonismo de la normativa y jurisdicción doméstica es determinante, como partícipe de este fenómeno dialéctico, que abre sus cauces a la inserción de los elementos convencionales sin detraer su rol institucional. La doctrina citada repercute notoriamente en diversos aspectos de los ordenamientos jurídicos locales, especialmente generando desafíos a sus operadores. Generalmente se pone el acento en como la misma implica un replanteamiento del sistema de fuentes del derecho y jerarquía, especialmente en cuanto puede implicar un conflicto de lealtades a la norma convencional o constitucional. Es mas, en caso de divergencia del techo axiológico a aplicar, el conflicto resulta aún de mayor relevancia, por las dificultades en la armonización. Además de la proyección en el sistema de fuentes o techos axiológicos, y el consecuente conflicto de lealtades, también se verifican impactos en torno al rol del juez, y la perspectiva procesal de la interacción entre el control de convencionalidad y el control de constitucionalidad, aspectos que analizaremos más adelante. El ejercicio “interno”, “doméstico” o “difuso” del control de convencionalidad por los operadores jurisdiccionales de los Estados plantea múltiples las proyecciones, tanto de naturaleza política como jurídica, ya sea sustancial como procesal. En este marco, la aplicación de la doctrina citada y Nogueira Alcalá, Humberto (2012), p. 356. Voto razonado del Juez Ferrer Mac-Gregor, en la causa Cabrera García, sentencia del 26 de noviembre de 2010, Serie C. nro. 220, citada precedentemente, párr. 26 y ss, con cita al párr. 9 del voto razonado emitido por el juez Sergio García Ramírez, con motivo de la sentencia referida al Caso Trabajadores Cesados del Congreso (Aguado Alfaro y otros) vs. Perú Serie C, 158, esp. (2006), también citado con anterioridad. 24 H itters , Juan Carlos (2009), p. 263. 22 23 99 © Filodiritto Editore la respuesta fáctica de los sistemas domésticos han sido disímiles. En este escenario, la República Argentina adoptó un criterio aperturista y receptivo. Ahora bien, el análisis meduloso de la doctrina del control de convencionalidad y su recepción por la jurisdicción constitucional de los Estados exige la ponderación de sus luces y sombras, a fin de ensayar respuestas superadoras a los desafíos que presenta. En este sentido se orienta el presente trabajo. 2. Lineamientos del control de convencionalidad en la jurisprudencia de la CorteIDH La doctrina del control de convencionalidad – emparentada, conforme explica Albanese, con la doctrina del “problema estructural” en la Corte Europea de Derechos humanos25 – tuvo ingreso en la jurisprudencia de la CorteIDH, mediante referencias introducidas en votos razonados26. A partir de su consagración expresa y mayoritaria, pueden identificarse cuatro escalones a través de los cuales se consolidó su proyección. 2.1 Génesis: el caso “Almonacid Arellano”27 La partida de nacimiento literal del “control de convencionalidad” como criterio mayoritario de la CorteIDH puede encontrarse en la sentencia dictada en la causa Almonacid Arellano y otros vs. Gobierno de Chile. El párrafo 124 del pronunciamiento sentó sintéticamente la doctrina. Así, sostiene el Tribunal transnacional: “La Corte es consciente que los jueces y tribunales internos están sujetos al imperio de la ley y, por ello, están obligados a aplicar las disposiciones vigentes en el ordenamiento jurídico. Pero cuando un Estado ha ratificado un tratado internacional como la Convención Americana, sus jueces, como parte del aparato del Estado, también están sometidos a ella, lo que obliga a velar porque los efectos de las disposiciones de la Convención no se vean mermadas por la aplicación de leyes contrarias a su objeto y fin, y que desde un inicio carecen de efectos jurídicos. En otras palabras, el Poder Judicial debe ejercer una especie de “control de convencionalidad” entre las normas jurídicas internas que aplican en los casos concretos y la CADH. En esa tarea, el Poder Judicial debe tener en cuenta no solamente el tratado, sino también la interpretación que del mismo ha hecho la Corte Interamericana, intérprete última de la Convención Americana”. Del pronunciamiento citado pueden extraerse las siguientes pautas: a) el basamento del control gestado se encuentra en el principio de la bona fide en el cumplimiento de los compromisos internacionales, y de pacta sunt servanda28, Este punto tiene proyecciones relativas a la identificación de las normativas cuya comparación es instrumentada por el control de convencionalidad. Es decir, la CorteIDH refiere a que la obligación de los jueces se basa en que “un Estado ha ratificado un tratado internacional como la Convención Americana29” de lo cual se desprendería que, verificado el compromiso internacional, sea éste en virtud de la ratificación de la Convención Americana, u otro tratado, se da como consecuencia la obligación judicial de control de convencionalidad30. b) Los jueces domésticos tienen entre sus obligaciones la de velar por que las disposiciones de la Convención no se vean mermadas por la aplicación de leyes internas que resulten contrarias a su objeAlbanese, (2007), pp.: 328 y 342. Ver, en torno a la gestación pretoriana del “control de convencionalidad” a Rey Cantor, Ernesto (2008), pp.41 y ss. Resulta ejemplificatorio el voto del Juez Sergio García Ramírez en el caso “Myrna Mack Chang vs. Guatemala, Sentencia de 25 de noviembre de 2003 (Fondo, Reparaciones y Costas)” (Serie C 101, C, esp.), entre muchos otros. Me remito en este punto a García Ramírez, (2012), pp. 211-243, p. 211 y ss. Ver también a Hitters, (2009), pp.: 1205 -1216y Bazán, (2012-1), p. 25. 27 Corte IDH, caso Almonacid Arellano y otros vs. Gobierno de Chile, (2006)., serie C, 154, esp. 28 Ver, en este sentido, Albanese (2007), op. y p. cit. 29 El resaltado pertenece a la autora. 30 La doctrina se ha preguntado si ésta sería la intención de la CorteIDH. En sentido positivo, vr. Cao, (2010), p. 376 y ss. 25 26 100 © Filodiritto Editore to y fin. Esta multiplicidad de los operadores es una proyección del carácter subsidiario del derecho interamericano de los derechos humanos31. c) de los dos extremos citados precedentemente, se desprende que los jueces domésticos que, como parte del aparato estadual, deben aplicar la convención, tienen la obligación de instrumentar un cierto “control de convencionalidad”. Esta referencia parte de considerar a las tres ramas de gobierno como obligadas por la Convención, de tal manera que la división de funciones no es oponible a la responsabilidad internacional del Estado.32 En definitiva, la división de poderes interna no es oponible al cumplimiento de obligaciones internacionales, y todos los poderes públicos, y el ordenamiento jurídico en general, deben responder al compromiso del Estado33. En consecuencia, en el marco de las medidas “de otro carácter” que debe adoptar el Estado, conforme surge del artículo 2 de la Convención Americana, se encuentran no sólo las legislativas y administrativas, sino también las decisiones jurisdiccionales34. d) el control referido debe realizarse entre las normas jurídicas internas que aplican en los casos concretos y la CADH, a la que se suma la interpretación formulada por la CorteIDH. La terminología usada por la Corte supranacional refiere en algunos casos a “ley”, “leyes internas” y en otros a “normas jurídicas internas”, por lo que cabe comprender dentro del control propuesto a la totalidad de normas productos de las diversas fuentes de derecho que cohabitan en el orden nacional, inclusivas de la normativa con jerarquía constitucional, es decir, el bloque de constitucionalidad. Así, se ha señalado que “la Corte no ha hecho una descripción de qué tipo de preceptos locales deben ser controlados, por lo que consideramos que cualquier regla de alcance general y abstracto mal aplicada (ley, decreto, ordenanza, actos administrativo, constitucionales provinciales y nacional), tiene que estar incluida en el concepto aludido”35. De ello se desprendería que ha adoptado el criterio de la supra constitucionalidad de la Convención36. En otro sentido, es la CADH, y en particular el objeto y fin de sus normas, el primer patrón de referencia para la formulación del test de compatibilidad. Paralelamente, se suma al caudal normativo que debe ser considerado al realizar el test, la interpretación que del mismo ha hecho la CorteIDH, reafirmando así que ella es la intérprete última de la Convención37. Esto ha sido calificado como “una interpretación mutativa por adición realizada sobre el Pacto por la Corte Interamericana, en su condición de intérprete definitiva del mismo (artículo 67). El tribunal ha agregado algo al contenido inicial formal del Pacto, aunque el texto de éste no ha variado”.38 En consecuencia, lo que aquí se analiza es la vinculatoriedad de las decisiones de la CorteIDH, que presenta dos escenarios posibles. Respecto a la ejecutoriedad de los pronunciamientos contra el Estado específicamente condenado en un proceso determinado, no cabe duda de tal vinculatoriedad, que se desprende directamente del artículo 68 de la Convención. Ahora bien, el efecto expansivo de las decisiones, y su proyección como precedentes vinculantes con respecto a los jueces domésticos de otros Estados es el predicamento que se desprende del control de convencionalidad consagrado por la Corte en el caso “Almonacid Arellano” citado. e) Surgiría expresamente de este precedente que la CorteIDH ha calificado a las normativas internas contrarias al objeto y fin de la Convención como desprovistas, “desde un inicio”, de efectos jurídicos. Como también ha señalado que el control debe formularse por los jueces en los casos bajo su conocimiento, se ha concluido que la “inconvencionalidad produce un deber judicial concreto de inaplicación del precepto objetado”.39 Vr. Hitters (2009), op. y p. cit. Ver, en este sentido, a Albanese, (2007), p. 340. 33 Vr. García Ramírez, (2012), p. 227. 34 Nogueira Alcalá (2012)., p. 345. 35 Hitters, (2009). op. y p. cit. 36 Ibidem. Ver, asimismo, Sagüés,, Néstor Pedro (2009), p. 761y ss. 37 En torno a este punto, ver, en este sentido, a Albanese (2007), p. 364. 38 Sagüés, Néstor Pedro (2009) op. y p. cit. 39 Ibidem. 31 32 101 © Filodiritto Editore 2.2 Aspectos procedimentales: el control de convencionalidad de oficio y el caso Trabajadores Cesados del Congreso40 En el fallo citado en segundo término, párrafo 128, el Tribunal expresó: “cuando un Estado ha ratificado un tratado internacional como la Convención Americana, sus jueces están sometidos a ella, lo que les obliga a velar porque el efecto útil de la Convención no se vea mermado o anulado por la aplicación de leyes contrarias a sus disposiciones, objeto y fin. En otras palabras, los órganos del Poder Judicial deben ejercer no sólo un control de constitucionalidad, sino también de convencionalidad, ex officio, entre las normas internas y la Convención Americana, evidentemente en el marco de sus respectivas competencias y de las regulaciones procesales pertinentes. Esta función no debe quedar limitada exclusivamente por las manifestaciones o actos de los accionantes en cada caso concreto, aunque tampoco implica que ese control deba ejercerse siempre, sin considerar otros supuestos formales y materiales de admisibilidad y procedencia de este tipo de acciones”. Diversas son los desprendimientos relevantes del pronunciamiento. a) Si bien se reiteran los puntos señalados en el caso anterior, cabe detallar que incorpora un nuevo patrón de compatibilidad negativa, al recalcar que las leyes no deben ser contrarias a las “disposiciones, objeto y fin” de la Convención41. b) Asimismo, el Tribunal refiere a la cohabitación entre el control de convencionalidad (al que denomina directamente como tal, eliminando el calificativo de “cierto”) y el control de constitucionalidad, si bien no formula apreciaciones concretas específicas en torno a la articulación entre ambos. c) Se realizan dos aclaraciones relevantes en materia procesal, una de ellas de carácter extensivo, y la otra restrictivo. En primer lugar, se reitera en dos partes que el control de convencionalidad debe realizarse de oficio. Al efecto se explica en segundo término que “esta función no debe quedar limitada exclusivamente por las manifestaciones o actos de los accionantes en cada caso concreto”. Seguidamente se subraya que la formulación del control de convencionalidad debe ser enmarcada dentro de las potestades y previsiones procesales de accionar de la judicatura doméstica. A tal efecto, señala en primer término que se realiza “evidentemente en el marco de sus respectivas competencias y de las regulaciones procesales pertinentes”. Y, en segundo lugar, aclara “tampoco implica que ese control deba ejercerse siempre, sin considerar otros supuestos formales y materiales de admisibilidad y procedencia de este tipo de acciones”. 2.3 La “interpretación conforme” o control de conformidad convencional: el caso Rosendo Radilla Pacheco42 La doctrina de la “interpretación conforme” aplicada al control de convencionalidad fue expresamente instrumentada por la CorteIDH en los párrafos 338 a 340 del fallo dictado en el caso objeto del presente título, y específicamente, en el 349. Allí el Tribunal sostiene que: “… es necesario que las interpretaciones constitucionales y legislativas referidas a los criterios de competencia material y personal de la jurisdicción militar en México, se adecuen a los principios establecidos en la jurisprudencia de este Tribunal, los cuales han sido reiterados en el presente caso”. En consecuencia, el operador nacional, al formular el control de convencionalidad, debe procurar aplicar aquellas interpretaciones de la legislación interna y de la Convención Americana compatibles con la utilizada por la CorteIDH, desechando la utilización de variables argumentativas contrarias a ella. Cabe aclarar que la doctrina ha adoptado posiciones diversas en torno a este punto. Se ha acentuado, por ejemplo, que de acuerdo a la doctrina de la “interpretación conforme” el operador doméstico CorteIDH, Trabajadores Cesados del Congreso (Aguado Alfaro y otros) vs. Perú (2006). Serie C, 158, esp. Anteriormente sólo refería a su “objeto y fin”. 42 CorteIDH, caso Rosendo Radilla Pacheco vs. Estados Unidos Mexicanos. Excepciones Preliminares, Fondo, Reparaciones y Costas. (2009) Sentencia de 23 de noviembre de 2009. Serie C No. 209, párr. 339. 40 41 102 © Filodiritto Editore debe interpretar todo el orden normativo mediante la aplicación de las pautas exegéticas propias de los sistemas tuitivos de Derechos Humanos. Por su parte, Karlos A. Castilla Juárez sostiene que en el caso lo que se trata es de una interpretación de derechos y libertades acorde a tratados, y no de uno de los efectos de control de convencionalidad, denominado positivo43. En esta segunda línea, por ejemplo, se ha señalado que “tal mandato de interpretación conforme con aquellas fuentes jurídicas debe ser leído no en términos de una vinculación jerárquica, sino en función del deber de decantarse por la interpretación de la norma más favorable y efectiva hacia la protección de los derechos, garantías y libertades (principio pro persona o favor libertatis), en la línea de sentido del artículo 29 de la CADH”.44 La Corte Suprema de México ha aportado luz sobre el punto, indicando que se presentan dos variables de interpretación conforme: la desarrollada en sentido amplio, de acuerdo a la cual se interpreta el orden jurídico a la luz de la norma suprema y los instrumentos, y la desarrollada en sentido estricto, que actúa como directriz de selección hermenéutica, es decir, aquella que recomienda que, frente a diversas variables interpretativas de una norma, se opte por la que resulte más compatible con los órdenes citados anteriormente45. 2.4 El control de convencionalidad realizado por órganos no judiciales: El caso Gelman46 El Tribunal indicó que correspondía que “todos los órganos” de los Estados que han ratificado la Convención Americana, “incluidos sus jueces”, debían formular el control, indicando que todos ellos debían velar por el efecto útil del Pacto. Específicamente, señaló que “los jueces y órganos vinculados a la administración de justicia en todos los niveles” están obligados a ejercer, de oficio, el “control de convencionalidad”. En este sentido, expresa el considerando 193: “Cuando un Estado es Parte de un tratado internacional como la Convención Americana, todos sus órganos, incluidos sus jueces, están sometidos a aquél, lo cual les obliga a velar por que los efectos de las disposiciones de la Convención no se vean mermados por la aplicación de normas contrarias a su objeto y fin, por lo que los jueces y órganos vinculados a la administración de justicia en todos los niveles están en la obligación de ejercer ex officio un “control de convencionalidad” entre las normas internas y la Convención Americana, evidentemente en el marco de sus respectivas competencias y de las regulaciones procesales correspondientes y en esta tarea, deben tener en cuenta no solamente el tratado, sino también la interpretación que del mismo ha hecho la Corte Interamericana, intérprete última de la Convención Americana”. El criterio ya había sido iniciado en la causa Cabrera García y Montiel vs. México47, en lo que refiere a la jurisdicción militar. En control de convencionalidad delimitado en base a los casos fundantes señalados, ha recibido amplia recepción en los protocolos de la Corte Interamericana. Pueden citarse diversas decisiones que lo aplican, como por ejemplo: La Cantuta vs. Perú (2006)48; Boyce y otros vs. Barbados (2007)49; Heliodoro Portugal vs. Panamá (2008)50; Manuel Cepeda Vargas vs. Colombia (2010)51; Comuni- Castilla Juarez, (2012) p. 96 y 97. Bazán, Víctor, (2012-2), p. 14. 45 Expte. “Varios” 912/2010, citado por Bazán (2012-2), op. cit., p. 14. Ver, García Morelos, (2012) p. 187. 46 Corte IDH, Gelman vs. Uruguay (2011), sentencia de fecha 24 de febrero de 2011, Serie C, nro. 221. 47 CorteIDH, Cabrera García y Montiel vs. México (2010), sentencia del 26 de noviembre de 2010, Serie C. nro. 220. 48 Corte IDH, La Cantuta vs. Perú, (2006), Fondo, Reparaciones y Costas, 29 de noviembre de 2006. Serie C No. 162, párr. 173. 49 Corte IDH, Boyce y otros vs. Barbados. (2007) Excepción Preliminar, Fondo, Reparaciones y Costas. Sentencia de 20 de noviembre de 2007. Serie C No. 169. 50 Corte IDH, Heliodoro Portugal vs. Panamá (2008), Excepciones Preliminares, Fondo, Reparaciones y Costas. Sentencia de 12 de agosto de 2008. Serie C No. 186, párr. 180. 51 Corte IDH, Manuel Cepeda Vargas vs. Colombia. (2010), Excepciones Preliminares, Fondo y Reparaciones. Sentencia de 26 de mayo de 2010. Serie C No. 213párr. 208, nota 307. 43 44 103 © Filodiritto Editore dad Indígena Xákmok Kásek vs. Paraguay (2010)52; Fernández Ortega y Otros vs. México (2010)53; Rosendo Cantú y Otra vs. México (2010)54; Ibsen Cárdenas e Ibsen Peña vs. Bolivia (2010)55; Vélez Loor vs. Panamá (2010)56; Gomes Lund y Otros (Guerrilha do Araguaia) vs. Brasil (2010)57, entre muchos otros. De este plexo pretoriano queda configurada la doctrina citada, que ha sido denominada como una “superestructura condicionante de la actividad jurisdiccional” doméstica58. Humberto Nogueira Alcalá la resume con solvencia explicando que: “el control de convencionalidad es un control jurisdiccional desarrollado siempre por tribunales – y órganos vinculados a la administración de justicia59 –, ejercido en forma concentrada por la CorteIDH en el sistema interamericano como jurisdicción internacional vinculante para los Estados Partes, como por las jurisdicciones nacionales, quienes al efecto, son jueces descentralizados del sistema interamericano, además de jueces nacionales, en la protección de los estándares de cumplimiento y garantía de los Derechos Humanos en el ámbito interno, debiendo inaplicar las normas de Derecho Interno contradictorias o que confronten la CADH, utilizando para ello los principios de progresividad y favor persona”.60 3. Dimensiones y efectos del control de convencionalidad Tradicionalmente se ha diferenciado dos “órbitas” o “clases” de control de convencionalidad, teniendo en cuenta, principalmente, la naturaleza del operador que lo instrumenta. En primer término se identifica una variable “en sede internacional que consiste en el mecanismo de protección procesal que ejerce la CorteIDH con el objeto de analizar la compatibilidad existente entre el derecho interno y la CADH u otros instrumentos internacionales aplicables, mediante un examen de confrontación normativo (derecho interno con el Tratado) en un caso concreto dictando una sentencia judicial, y eventualmente, ordenando la modificación, derogación, anulación o reforma de las normas o prácticas internas – según corresponda – protegiendo los derechos humanos de las personas. Otro en sede interna que persigue la realización por parte de los jueces nacionales de un examen de confrontación normativo (derecho interno con el Tratado), en un caso concreto, con el objeto de proteger los derechos humanos de las personas”.61 La terminología aportada para identificar las dos dimensiones es clara. Eduardo Ferrer Mac-Gregor refiere a la modalidad concentrada y la difusa62. Sergio García Ramírez, por su parte, generalmente las menciona como el control externo y control interno de convencionalidad63. Otros autores señalan que en realidad el término ‘control de convencionalidad debería reservarse solo a la labor desempeñada por la Corte Interamericana, optando por denominar la intervención de los Tribunales internos con otros vocablos64. Corte IDH, Comunidad Indígena Xákmok Kásek vs. Paraguay (2010), Fondo, Reparaciones y Costas. Sentencia de 24 de agosto de 2010. Serie C No. 214, párr. 311. 53 Corte IDH, Fernández Ortega y Otros vs. México (2010) Excepción Preliminar, Fondo, Reparaciones y Costas. Sentencia de 30 de agosto de 2010. Serie C No. 215, párr. 234. 54 Corte IDH, Rosendo Cantú y Otra vs. México (2010), Excepción Preliminar, Fondo, Reparaciones y Costas. Sentencia de 31 de agosto de 2010. Serie C No. 216, párr. 219. 55 Corte IDH, Ibsen Cárdenas e Ibsen Peña vs. Bolivia (2010), Fondo, Reparaciones y Costas. Sentencia de 1º de septiembre de 2010. Serie C No. 217, párr. 202. 56 CorteIDH, Vélez Loor vs. Panamá (2010), Excepciones preliminares, fondo, reparaciones y costas. Sentencia de 23 de noviembre de 2010. Serie C No. 218, párr. 287. 57 Corte IDH, Gomes Lund y Otros (Guerrilha do Araguaia) vs. Brasil. (2010) Excepciones preliminares, fondo, reparaciones y costas. Sentencia de 24 de noviembre de 2010. Serie C No. 219, párr. 106. 58 Vr. Trionfetti, (2010), p. 582. 59 Aclaración de la autora. 60 Nogueira Alcalá (2012), p. 344. 61 Gil Domínguez, (2010-1), pp.: 1302 y ss. El resaltado pertenece a la autora. 62 Voto razonado del Juez Eduardo Ferrer Mac-Gregor el fallo “Cabrera García y Montiel Flores vs. México”, citado. 63 García Ramírez (2012), p. 213. 64 Vr. Castilla Juarez, (2012)., p. 91 y ss. 52 104 © Filodiritto Editore En primer término, el control concentrado de convencionalidad es el realizado por la CorteIDH en sede internacional. Sergio García Ramírez ha llamado a esta variable el “control propio, original o externo de convencionalidad”.65 Este punto no presentaría demasiada novedad ni controversia, ya que resultaría ínsito al accionar del tribunal regional66. En este sentido, Eduardo Ferrer Mac-Gregor, actuando como Juez Ad-hoc del Tribunal internacional ha sostenido que: “el ‘control concentrado de convencionalidad’ lo venía realizando la Corte IDH desde sus primeras sentencias, sometiendo a un examen de convencionalidad los actos y normas de los Estados en un caso particular. Este ‘control concentrado’ lo realizaba, fundamentalmente, la Corte IDH. Ahora se ha transformado en un ‘control difuso de convencionalidad’ al extender dicho ‘control’ a todos los jueces nacionales como un deber de actuación en el ámbito interno, si bien conserva la Corte IDH su calidad de ‘intérprete última de la Convención Americana’ cuando no se logre la eficaz tutela de los derechos humanos en el ámbito interno67. En base a la articulación de ambas variables: Se “permitiría trazar un sistema de control extenso – vertical y general – en materia de juridicidad de los actos de autoridades – por lo que toca a la conformidad de éstos con las normas internacionales sobre derechos humanos –, sin perjuicio de que la fuente de interpretación de las disposiciones internacionales de esta materia se halle donde los Estados la han depositado al instituir el régimen de protección que consta en la CADH y en otros instrumentos del corpus juris regional”.:68 Por su parte, “el ‘control difuso de convencionalidad’ constituye un nuevo paradigma que deben ejercer todos los jueces… Consiste en el examen de compatibilidad que siempre debe realizarse entre los actos y normas nacionales, y la CADH…, sus protocolos adicionales, y la jurisprudencia de la CorteIDH…, único órgano jurisdiccional del Sistema Interamericano de Protección de Derechos Humanos, que interpreta de manera ‘última’ y ‘definitiva’ del Pacto de San José”.69 En un sentido similar, Sergio García Ramírez lo denomina control interno de convencionalidad, y lo caracteriza como: “la potestad conferida o reconocida a determinados órganos jurisdiccionales – o a todos los órganos jurisdiccionales… para verificar la congruencia entre actos internos – así, esencialmente, las disposiciones domésticas de alcance general: constituciones, leyes, reglamentos, etcétera con las disposiciones del Derecho Internacional”.70 Se ha cuestionado si el control es una potestad o un deber de los operadores jurisdiccionales locales. Es decir, si constituye una “invitación” del órgano supranacional, o una doctrina vinculante, cuyo incumplimiento u omisión generaría responsabilidad internacional. La jurisprudencia clásica se muestra en este último sentido71, lo cual sería a su vez coherente con la concepción conforme al cual las obligaciones de adoptar medidas internas que instrumenten los derechos, contraídas en los instrumentos internacionales, se dirigen a todos los poderes del estado, y no solo al legislativo o ejecutivo. La respuesta se ha traducido en torno a la noción de diálogo jurisprudencial. Es decir, la coordinación e interacción de ambos escenarios resulta necesaria. Así, “la consolidación de una convergencia sustentable de ambas instancias jurisdiccionales se presenta como una necesidad de primer orden y se convierte en uno de los desafíos centrales a los que se enfrenta la protección integral de los derechos fundamentales, sobre todo, en un momento como el actual, en el que la mayoría de los ordenamientos jurídicos latinoamericanos está inmersa, al menos desde el plano discursivo, en un modelo de justicia internacional de derechos humanos”.72 Recordemos que, en virtud de la doctrina de la interpretación conforme, en torno al ejercicio del García Ramírez (2012), p. 213. Ferrer Mac-Gregor, Eduardo (2013), disertación dictada en la Universidad Austral, Buenos Aires, viernes 20 de septiembre de 2013. 67 Voto razonado del Juez Ferrer Mac-Gregor, en la causa Cabrera García, citada, Asimismo, vr. Ferrer Mac-Gregor (2010), pp. 151 y ss. 68 Corte IDH, caso Trabajadores Cesados del Congreso (Aguado Alfaro y otros) vs. Perú, citado, párrs. 4, 12 y 13 del voto razonado del Juez Sergio García Ramírez, citado por Eduardo Ferrer Mac-Gregor en causa Cabrera García, citada, Párr. 23. 69 Ferrer Mac-Gregor, Eduardo, Interpretación conforme…, op. cit., p. 108. 70 García Ramírez, (2012)., p. 213. 71 Sergio García Ramírez, voto razonado en la causa Myrna Mac Chang vs. Guatemala, citada con anterioridad. Ver asimismo, García Ramírez, (2012), p. 226. 72 Ibidem, p. 20. 65 66 105 © Filodiritto Editore control difuso de convencionalidad, pueden desprenderse los siguientes puntos: a) los jueces domésticos, deberían adecuar la interpretación de la normativa interna a la Convención Americana y, específicamente, a la jurisprudencia de la Corte Interamericana. b) Tal juicio de adecuación debe formularse respecto a toda la normativa interna, abarcando tanto aquella de jerarquía constitucional como legislativa. De este manera el control de convencionalidad desempeña un doble papel: reparador o represivo – en virtud del cual debe inaplicarse la normativa interna opuesta a la Convención y jurisprudencia interamericana – , y exegético o constructivo – que obliga a interpretar el derecho doméstico de conformidad al Pacto y la jurisprudencia citada –. Como explica Ferrer Mac-Gregor, “el control difuso de convencionalidad” convierte al juez nacional en juez interamericano: en un primer y auténtico guardián de la CADH, de sus Protocolos adicionales (eventualmente de otros instrumentos internacionales) y de la jurisprudencia de la Corte IDH que interpreta dicha normatividad)”.73 Es así como se consolida el marco de la doctrina del “control de convencionalidad”, proyectándose en dos pilares: la inaplicación de la normativa interna contraria a la convención y la jurisprudencia de la CorteIDH (por parte de los jueces habilitados para ejercer control de constitucionalidad) y la interpretación conforme de la normativa interna compatible con ellos (por parte de todos los jueces). Nos remitimos a lo analizado Infra, punto 4.2. En consecuencia, el texto constitucional adopta otro cariz, nutriéndose y realizando una simbiosis con el orden jurídico convencional. De hecho, se sostiene que, en virtud del control de convencionalidad, la norma suprema adquiere la dimensión de una “constitución convencionalizada74”, y sus operadores jurídicos, en particular el órgano máximo de jurisdicción constitucional, se ve constreñido a argumentar los casos en base a las fuentes constitucionales y convencionales. Claro está que la convencionalización también se proyecta en todo el ordenamiento jurídico doméstico, no solo en virtud del impacto informador de la norma constitucional, sino en virtud del principio de adecuación normativa, ya que, como se ha señalado, los Estados se encuentran obligados a adoptar las medidas legislativas o de otro carácter que fueren necesarias para hacer efectivos los derechos y libertades convencionales, conforme los artículos 1.1. y 2 de la CADH75. Por su parte, ello provoca que hoy, “el abogado que debe plantear un caso, no restrinja su labor al control de constitucionalidad que tradicionalmente llevaba a cabo y el posible planteo de la cuestión federal que se hubiera suscitado, sino además a ejercer un control de convencionalidad, … vale decir un control relativo a la compatibilidad de las normas o actos de los gobernantes con los tratados internacionales76. A su vez, la integración no es solo normativa, sino que implica también una relectura del texto constitucional en base a las pautas interpretativas propias del orden regional de los derechos humanos. Así, “serán los propios tribunales supremos de cada Estado los que aplicarán la regla pro homine o favor persona como pauta básica de interpretación de derechos, como derivación obligatoria del artículo 29 b) de la CADH”.77 Ahora bien, en el ejercicio del control “difuso”, los órdenes constitucionales y los jueces domésticos tienen la potestad de ampliar la tutela, incorporando instrumentos internacionales de derechos humanos que contribuyen a robustecer la tutela de la dignidad humana. Si bien se reconoció que en principio el control en análisis refiere a la Convención citada, y la interpretación realizada por la Corte Interamericana, luego se explicó la amplitud del mismo, dado que “la propia “jurisprudencia” de la CorteIDH ha ido ampliando el corpus juris interamericano en materia de derechos humanos para fundamentar sus fallos. No debe pasar inadvertido que es el propio Pacto de San José el que permite incluir “en el régimen de protección de esta Convención otros derechos y libertades que sean reconocidos de acuerdo con los artículos 76 y 77”, lo que ha permitido que Ferrer Mac-Gregor (2012)., p. 141. Conforme la terminología de Sagüés, Néstor Pedro (2012), 394. 75 Bazán (2012-2) p. 21. 76 Rojas, (2008) p: 858 y ss. Y Gialdino (2008) p. 1295 y ss. 77 Nogueira Alcalá (2012), p. 358. 73 74 106 © Filodiritto Editore se aprueben diversos Protocolos “adicionales” (a la Convención Americana) y sean interpretados por este Tribunal Interamericano. Asimismo, el propio Pacto establece como norma interpretativa que no se puede excluir o limitar el efecto que puedan producir la Declaración Americana de Derechos y Deberes del Hombre y “otros actos internacionales de la misma naturaleza”.78 Sumadas a las precisiones citadas, cabe señalar que el sistema federal no es oponible a las exigencias convencionales, por lo que el control deberá ser realizado, tanto por jueces nacionales como locales. Esto ha sido especificado con respecto a México, donde se ha señalado que “los jueces o tribunales que materialmente realicen actividades jurisdiccionales, sean de la competencia local o federal, necesariamente deben ejercer el ‘control difuso de convencionalidad’ para lograr interpretaciones conformes con el corpus juris interamericano”.79 Ésta sería la expansión completa del sistema. En cuanto al efecto reparador, explica Ferrer MacGregor que: “el resultado del examen de compatibilidad entre la norma nacional y el ‘bloque de convencionalidad’, consiste en dejar ‘sin efectos jurídicos’ aquellas interpretaciones inconvencionales o las que sean menos favorables; o bien, cuando no pueda lograrse interpretación convencional alguna, la consecuencia consiste en “dejar sin efectos jurídicos” la norma nacional, ya sea en el caso particular o con efectos generales realizando la declaración de invalidez de conformidad con las atribuciones del juez que realice dicho control”.80 En consecuencia, más allá de algunas exigencias procedimentales específicas, y siempre que se garantice un mínimo de control, los requerimientos exigidos por la doctrina del control de convencionalidad no implican una desarticulación de los sistemas domésticos de control de constitucionalidad, sino su modulación en clave convencional. 4. El control de convencionalidad en la jurisprudencia de la Corte Suprema Argentina En términos generales, puede adelantarse que la doctrina y la jurisprudencia ha presentado un abanico de diversas respuestas frente al sistema interamericano, que se proyectan desde una perspectiva nacional, de fuente interna, anclada especialmente en los artículos 2781, artículos 118 y 116 de la Constitución82, pasando por una interpretación armonizadora, el principio de buena fe en el cumplimiento de los compromisos internacionales, hasta la prevalencia de la norma más tuitiva, es decir, aquella “cuyo resultado… brinde una mayor satisfacción a los derechos que la insatisfacción que restringe al otro derecho en colisión sin que ello implique expulsarlas del ordenamiento”.83 Oteiza considera que podría concluirse en que “en un gran número de casos se han hecho esfuerzos importantes para cumplir con las decisiones de la Corte IDH, con algunas notables excepciones, y que el vértice del sistema judicial argentino, constituido por la Corte Suprema, ha reiterado la importancia de seguir la jurisprudencia de la Corte IDH”.84 Un precedente trascendente puede encontrarse en el caso “Ekmekdjian v. Sofovich85”, donde el Tribunal, con anterioridad a la consagración normativa de la jerarquía constitucional de la Convención Americana, subordinó su criterio a la jurisprudencia supranacional, adoptando lo que ha sido denominado por Néstor Sagüés como la “doctrina del seguimiento”. Mas allá de la jurisprudencia posterior, en que se puede vislumbrar criterios vacilantes, incluso frente a sentencias dictadas en procesos en que el Estado Argentino fue parte, la CSJN en sus reVr. Voto razonado de Eduardo Ferrer Mac-Gregor en Cabrera García y Montiel, citada precedentemente, párr. 45. Ibidem, párr. 67. 80 Ibidem, párr. 53. 81 Vr. Disidencia del Juez Fayt en las causas Simón (2005) (CSJN, Fallos: 328: 2056-) y Mazzeo (2007) (CSJN, Fallos: 330:3248). Sobre estos casos puede consultarse a Santiago (2005), p. 729 y ss. 82 Ver Bianchi,(2008), p. 15. 83 Cao, (2010) op. y pp. cit. 84 Oteiza 2012), p. 80. 85 CSJN, Fallos: 315:1492, voto mayoritario de los Jueces Cavagna Martínez, Barra, Fayt, Nazareno, Boggiano. 78 79 107 © Filodiritto Editore cientes períodos, había abandonado criterios renuentes86, para dar a lugar a fórmulas receptivas, ya sea bajo la idea de interpretación armonizante, reconocimiento de su carácter de guía, o como pauta interpretativa de los derechos reconocidos en la Convención87. El control de convencionalidad fue citado por primera vez por la CSJN en el voto mayoritario de un fallo de suma trascendencia: el caso “Mazzeo88”, relativo a la inconstitucionalidad de indultos dictados por el Poder Ejecutivo respecto a imputados de delitos de lesa humanidad. En dicho precedente, al analizar la integración entre los principios recibidos por la comunidad internacional para la protección de los derechos inherentes a la persona con el sistema normativo de punición nacional, la Corte refirió al bloque de constitucionalidad, y explicó como la Convención Constituyente de 1994 incorporó los tratados internacionales como un orden equiparado a la Constitución Nacional misma (artículo 75, inc. 22). Seguidamente, aclaró que tales precedentes constituyen “una insoslayable pauta de interpretación para los poderes constituidos argentinos en el ámbito de su competencia y, en consecuencia, también para la CSJN, a los efectos de resguardar las obligaciones asumidas por el Estado argentino en el sistema interamericano de protección de los derechos humanos”.89 En el considerando 24 la mayoría transcribió el párrafo 124 del caso “Almonacid Arellano” analizado precedentemente, como elemento previo a examinar y aplicar el modo en que la CorteIDH ha precisado las obligaciones de los estados respecto de los deberes de investigación y de punición de delitos aberrantes. El criterio se proyectó y enfatizó en los votos mayoritarios en las causas “Videla, Jorge Rafael y Massera, Emilio Eduardo90” y “Rodríguez Pereyra, Jorge Luis y otra c/ Ejército Argentino s/ daños y perjuicios91”. Cabe aclarar que si bien ha sido aplicada expresamente, con enfática transcripción de su consagración en los pronunciamientos de la CorteIDH en dos casos de vinculación con delitos de lesa humanidad y uno relativo al derecho a la reparación integral, los términos de su instrumentación, así como los restantes pronunciamientos del Tribunal en torno al orden regional de los derechos humanos, permiten vislumbrar una amplia potencialidad en su proyección. Además, la referencia al control de convencionalidad se reiteró en dos votos concurrentes suscriptos en otros dos pronunciamientos”.92 En la sentencia dictada en la causa “Videla, Jorge Rafael93” la Corte analizó diversas aristas en torno a la dinámica de la jurisdicción constitucional y el control de convencionalidad. El Tribunal confirmó la decisión que dejó firme la decisión que había declarado la inconstitucionalidad parcial del indulto de las penas de reclusión y prisión perpetua que se habían impuesto a los mencionados. La Corte señaló que de la ponderación de los precedentes “Mazzeo” 94 y “Videla” 95 Ver, por ejemplo, CSJN, Cantos, (2003).Fallos: 326:2968. CSJN, Ekmekdjian c/ Sofovich (1992), Fallos: 315:1492, Giroldi (1995), Fallos: 318: 514, Portal de Belén (2002) Fallos: 325:292, Espósito (2004), Fallos: 327:5668, Llerena (2005), Fallos: 328:1491, Bramajo (1996), Fallos: 319: 1840 y Simón (2005), Fallos: 328:2056, entre otros. 88 CSJN, (2007). Fallos: 330:3248. 89 Ibidem. 90 CSJN, (2010)., Fallos: 333: 1657. 91 CSJN, R. 401. XLIII, sentencia del 27 de noviembre de 2012. 92 El Juez Enrique Santiago Petracchi, en García Méndez (2008) señaló que era doctrina de la Corte que “garantizar” los derechos humanos implicaba para el Estado el deber ‘de tomar todas las medidas necesarias para remover los obstáculos que puedan existir para que los individuos puedan disfrutar’ de aquéllos, lo cual comprendía el ejercicio del ‘control de convencionalidad’ entre las normas jurídicas internas aplicables in concreto y los tratados internacionales enunciados en el artículo 75, inciso 22, de la Constitución Nacional.. CSJN, Fallos: 331: 269, considerando 7° del voto del Juez Petracchi (2008). Asimismo, el Juez Juan Carlos Maqueda, en la causa “Gualtieri Rugnone de Prieto” (2009) relativa al análisis de la constitucionalidad de la realización judicial de una prueba de histocompatibilidad genética entre los elementos secuestrados a una persona y sus potenciales familiares, en un proceso relativo a la apropiación y sustracción de menores, sostuvo que desde el precedente “Videla” el Tribunal ha afirmado la importancia que deben tener las decisiones de los organismos de protección internacional de los derechos humanos como guía para la interpretación judicial de las normas convencionales. Continúo explicando que, como más recientemente en el caso “Mazzeo”, se recordó el denominado control de convencionalidad que los jueces de los estados partes debían realizar, tal como había dicho la Corte Interamericana de Derechos Humanos en el caso “Almonacid vs. Chile”. CSJN, Fallos: 332: 1769, (2009), considerando 23 del voto del Juez Maqueda. 93 CSJN, Fallos: 333: 1657 (2010). 94 CSJN, Fallos: 330:3248 (2007). 95 CSJN, Fallos: 333: 1657 (2010). 86 87 108 © Filodiritto Editore podía concluirse la recepción de la doctrina del control de convencionalidad por la CSJN y confirmó la decisión del a-quo, en torno a la aplicación del fallo dictado por la CorteIDH en la causa Caso del Penal Miguel Castro Castro96. Se ha puntualizado que, dado que el precedente citado no refería a Argentina, ello implica que el control de convencionalidad debe realizarse teniendo en cuenta tanto las decisiones de la CorteIDH referentes al Estado argentino, como aquellas relativas a otros países97, criterio que se desprende de la jurisprudencia de tal tribunal, y que podía ya concluirse de la pauta otorgada en el caso “Mazzeo” 98 , donde el pronunciamiento que contribuyó a formular el control de convencionalidad era el dictado en la causa Barrios Altos99, tampoco referente a Argentina. El fallo en análisis además de referir a la vinculatoriedad de las decisiones de la CorteIDH repercutió, directamente, en aspectos procedimentales de instrumentación del control de constitucionalidad. En el considerando 10, en primer lugar, el tribunal reiteró los criterios señalados por la mayoría en la causa “Mazzeo” 100. En segundo término analizó su jurisprudencia en torno al control de inconstitucionalidad de oficio, explicando que “con particular referencia a la declaración de invalidez de normas inferiores a las Leyes Fundamentales, y más allá de las opiniones individuales que los jueces de esta Corte tienen sobre el punto, el Tribunal viene adoptando desde el año 2001 como postura mayoritaria la doctrina con arreglo a la cual una decisión de esa naturaleza es susceptible de ser tomada de oficio”. Vinculó tal criterio con el de la CorteIDH en torno al control de convencionalidad de oficio consagrado en “Trabajadores cesados del Congreso”. El precedente citado continúa la tímida línea pretoriana en torno a la aceptación del control de convencionalidad, y se construye otro criterio relacionado, conforme al cual se enlazan procedimentalmente ambos sistemas de control, mediante una articulación “concordante”. En la causa “Rodríguez Pereyra, Jorge Luis y otra”101, donde se analizaba la constitucionalidad de la normativa que establece un régimen indemnizatorio especifico para el personal militar, la Corte reiteró el criterio señalado. La posición mayoritaria, compuesta por los Jueces Lorenzetti, Highton, Maqueda y Zaffaroni, expresó el basamento de la exigencia de coordinación del sistema de control de constitucionalidad con el de convencionalidad difuso, explicando que: “la jurisprudencia reseñada no deja lugar a dudas de que los órganos judiciales de los países que han ratificado la CADH están obligados a ejercer, de oficio, el control de convencionalidad, descalificando las normas internas que se opongan a dicho tratado. Resultaría, pues, un contrasentido aceptar que la Constitución Nacional que, por un lado, confiere rango constitucional a la mencionada Convención (artículo 75, inc. 22), incorpora sus disposiciones al derecho interno y, por consiguiente, habilita la aplicación de la regla interpretativa – formulada por su intérprete auténtico, es decir, la CorteIDH – que obliga a los tribunales nacionales a ejercer de oficio el control de convencionalidad, impida, por otro lado, que esos mismos tribunales ejerzan similar examen con el fin de salvaguardar su supremacía frente a normas locales de menor rango”.102 Posteriormente procuró insertar y canalizar estas exigencias dentro del marco de acción de los órganos jurisdiccionales domésticos. Así, señaló:“Que resulta preciso puntualizar, sin embargo, que el ejercicio del control de constitucionalidad de oficio por los magistrados debe tener lugar “en el marco de sus respectiva competencias y de las regulaciones procesales correspondientes” (…) Desde esta perspectiva, el contralor normativo a cargo del juez presupone un proceso judicial ajustado a las reglas adjetivas aplicables entre las cuales revisten especial relevancia las que determinan la competencia de los órganos jurisdiccionales y, sobre todo, las que fijan los requisitos de admisibilidad y Corte IDH, Caso del Penal Miguel Castro Castro, Serie C, nro. 160, sentencia de fecha 25 de noviembre de 2006. Este punto es señalado por Gil Domínguez (2010-2) p. 197 y ss. 98 CSJN, Fallos: 330:3248 (2007). 99 Corte IDH, caso Barrios Altos, (2001), Serie C, nro. 75, sentencia de fecha 14 de marzo de 2001. 100 CSJN, Fallos: 330:3248 (2007). 101 CSJN, R. 401. XLIII, sentencia del 27 de noviembre de 2012. 102 CSJN, R. 401. XLIII, sentencia del 27 de noviembre de 2012. Posición mayoritaria, considerando 12. 96 97 109 © Filodiritto Editore fundamentación de las presentaciones o alegaciones de las partes. Es conveniente recordar, al respecto, que la descalificación constitucional de un precepto normativo se encuentra supeditada a que en el pleito quede palmariamente demostrado que irroga a alguno de los contendientes un perjuicio concreto en la medida en que su aplicación entraría un desconocimiento o una restricción manifiestos de alguna garantía, derecho, titulo o prerrogativa fundados en la Constitución; es justamente la actividad probatoria de los contendientes así como sus planteos argumentales los que debe poner de manifiesto tal situación. Este pronunciamiento, además de ser el tercer fallo en el que el máximo Tribunal argentino hace suya la doctrina del control de convencionalidad, resulta un interesante ejemplo del criterio de “concordancia” anteriormente sentado, ya que procura una articulación conjunta que, a su vez, sea respetuosa un grado mínimo de salvaguarda de aquellas exigencias particularizadas o rasgos propios de cada uno de los dos sistemas. El Juez Fayt, en su voto, concordó con el resultado mayoritario sin solventar su posición en los criterios analizados supra. Finalmente, el Juez Petracchi, en disidencia, se postuló por revocar el pronunciamiento con remisión al dictamen de la señora Procuradora Fiscal. Recientemente, en agosto de 2014, el Tribunal nuevamente se hizo eco de la doctrina del control de convencionalidad, y la citó en la causa “A. D.D. s/ homicidio agravado”.103 El caso tuvo su origen en tribunales de la Provincia de Mendoza, donde se condenó al imputado a prisión perpetua por el delito de homicidio agravado, que había cometido dos años antes de alcanzar la mayoría de edad. El supremo tribunal nacional acogió la doctrina del control de convencionalidad, y sostuvo que las sentencias de condena firmes dictadas por tribunales internos pueden ser revisadas cuando sobrevienen circunstancias inconciliables con ella, como sería el reconocimiento de responsabilidad internacional del Estado Argentino, en casos similares. Es decir, consideró vinculante el criterio el tribunal supranacional, aún cuando la situación de quien fue condenado a la pena de prisión perpetua no haya sido específicamente e individualizadamente tratada por la CorteIDH. El Tribunal concluye que corresponde así reconocer amplios efectos al fallo aún en cuanto exceden el caso puntual e imponen a la Argentina el deber de adoptar disposiciones de derecho interno de conformidad con lo previsto por el art. 2 CADH. De los fallos citados precedentemente pueden concluirse dos premisas: en primer lugar, la vigencia en el sistema regional de la doctrina de control de convencionalidad gestada por la Corte Interamericana, conforme a la cual ésta – en forma concentrada –, y los tribunales y órganos domésticos vinculados a la administración de justicia domésticos – en forma difusa – deben realizar un test de compatibilidad entre toda normativa interna, inclusive constitucional, y la Convención Americana, así como la interpretación de ésta realizada por la primera, cuyos criterios son vinculante para los Estados Partes. Los órganos jurisdiccionales de los Estados, en consecuencia, actúan como jueces descentralizados del sistema interamericano, además de jueces nacionales, y deben resolver los casos sometidos a su conocimiento en miras a la protección de los estándares de cumplimiento y garantía de los Derechos Humanos en el ámbito interno, con especial referencia a principios de progresividad y pro homine, invalidando o inaplicando aquellas normas inconvencionales A su vez, en base a la doctrina de la “interpretación conforme” a la convencionalidad, puede concluirse que los textos normativos internos se encuentran “convencionalizados”. Paralelamente, la CSJN ha optado, en una serie reducida de pronunciamientos, en sostener una línea consistente y no retaceada, receptiva del control de convencionalidad. A su vez destacó la concordancia del sistema señalado con el control de constitucionalidad, acentuando la interacción procedimental de ambos regímenes. Resulta positivo que la articulación del reconocimiento del control de convencionalidad se produzca de manera relacionada y retroalimentada con las pautas propias de articulación del control de constitucionalidad, a fin de otorgar “consistencia” a ambos sistemas, evitando así contradicciones o incoherencias que puedan redundar en confusiones que repercutan, a la larga, en la desorientación de 103 CSJN, A.D.D. s/ homicido agravado, sentncia de fecha 5 de agosto de 2014, A. 1008. XLVII. 110 © Filodiritto Editore sus operadores. Así como la cohesión del bloque de constitucionalidad exige de sus operadores un diálogo recíproco que contribuya a la seguridad jurídica, y, principalmente, al desarrollo de elementos comunes en miras a la protección de la dignidad humana, los aspectos procedimentales de control de convencionalidad y constitucionalidad también plantean un desafío en torno a su instrumentación retroalimentada, a fin de evitar fisuras y consolidar un régimen sólido donde cada magistratura tenga su propio campo de acción, en coordinación con las restantes, en miras a la tutela de la dignidad humana. Sin embargo estas referencias deparan nuevos desafíos, ya que se hace necesario ponderar si las herramientas procedimentales que aporta el sistema argentino son cauces idóneos para la instrumentación de ambos modelos. 5. Ponderación preliminar Indudablemente, a los efectos de formular una ponderación sistemática de la doctrina del control de convencionalidad es necesario adentrarse en un análisis que implica una relectura de todo el sistema interamericano, ya que su instrumentación práctica repercute de manera directa en la dinámica que en la actualidad que éste presenta. Por otra parte, el análisis completo de cada una de las facetas que presenta el sistema regional demandaría una investigación profunda que excedería el marco del presente trabajo. Sin embargo, podemos delinear algunos aspectos positivos cuya notoria evidencia impide la omisión de planteamiento. Claro está que, frente a la brutal existencia de regímenes autoritarios, y palmarias violaciones de derechos humanos el sistema interamericano de protección de los mismos ha contribuido de manera notable en la gestación de un marco de mayor tutela de las personas, tanto desde el punto de vista normativo como fáctico. Es claro que el plexo supranacional ha contribuido con el reconocimiento de los derechos a nivel constitucional por numerosos estados, incluso de manera directa e inmediata, integrando los bloques de constitucionalidad. Paralelamente la existencia de un mecanismo de control heterónomo y supranacional, sin duda permitió sanear situaciones donde todo o algún tipo de control interno resultaba alarmantemente ausente. Ello más allá de la necesaria realización de una ponderación medulosa de la interacción del sistema de fuentes y jerarquías que se mencionará más adelante. Finalmente otro punto que no puede dejar de ser mencionado en como el sistema interamericano a contribuido a volver el eje hacia la dignidad de la persona humana como destinataria de la protección de los ordenamientos jurídicos, y la exigencia de su ponderación conjunta por parte de los operadores. Han contribuido notoriamente en este sentido algunos principios de hermenéutica propios del orden regional e internacional de derechos humanos, como el principio de indivisibilidad, universalidad, retroalimentación, etc. Esto ha implicado diversas proyecciones. Una de ellas, por ejemplo, se dirige a desdibujar la “descuartización” de algunas nociones jurídicas fundamentales, como el “debido proceso”, que en algunos estados recibían particularidades totalmente diferentes dependiendo de la materia que se trate (penal, civil, administrativo, etc.), y a lo que el sistema interamericano ha respondido con notoria y positiva consistencia. Un ejemplo de este impacto puede verse en la causa Losicer de la Corte Suprema Argentina, donde se analizan las pautas interamericanas y constitucionales relativas a la noción de justicia pronta, y su aplicación analógica en procesos civiles y procedimientos administrativos104. 104 CSJN, Losicer (2012), Fallos: 335:112. 111 © Filodiritto Editore 6. Desafíos a) Aspectos generales del sistema interamericano de protección de derechos humanos Al analizar el control de convencionalidad, algunas voces remiten a cuestionamientos formulados al sistema regional de protección de derechos humanos en sí, que no son propias de esta nueva doctrina, pero que repercuten en ella en cuanto proyecta el ámbito de aplicación de las decisiones adoptadas dentro de este orden. Así, por ejemplo, algunos aspectos del procedimiento interamericano son recordados dentro del análisis global de la doctrina del control de convencionalidad. Por ejemplo, se pone el acento en lo prolongado del tiempo del tratamiento de las causas por la misma Corte Interamericana (muchas veces llegando a extenderse por años), a pesar de que en numerosas oportunidades el tribunal ha referido al derecho a justicia pronta. También se ha cuestionado como personas que pueden ser “perjudicadas” por un pronunciamiento dictado por el tribunal regional, por ejemplo, un fallo que ordene dejar sin efecto una decisión que había declarado la prescripción de una acción penal en su contra, no tuvieron oportunidad de desarrollar sus argumentos en la oportunidad en que la Corte tramitó el caso. Esta pauta, no menor, ha sido referida por los votos de los Ministros Fayt y Argibay, en diversas disidencias de fallos de la Corte Suprema de Justicia de la Nación, y constituyen un elemento determinante en miras a la consistencia del sistema jurídico, y especialmente de un principio basal del mismo como la noción de debido proceso. La jurisprudencia del Tribunal argentino en torno a este punto ha sido también vacilante, y se vinculó con el análisis de la ejecutoriedad de las decisiones de la Corte Interamericana en las causas en que estaba demandado el Estado Argentino. Un criterio reticente puede encontrarse en el precedente “Cantos” 105. En virtud de unos sucesos acaecidos en el año 1972, en la provincia de Santiago del Estero, el empresario Cantos demandó por daños y perjuicios en instancia originaria de la Corte Suprema. El caso había sido resuelto en el orden doméstico por el Tribunal, habiéndose también regulado honorarios, y exigido el pago de la tasa judicial respectiva. Cantos inició un procedimiento ante el sistema interamericano y luego la Comisión presentó demanda ante la Corte Interamericana, invocando las garantías de protección judicial (el derecho de acceso a la justicia y tutela judicial efectiva, artículos 8 y 25 CADH, en virtud de lo mencionado precedentemente) y el derecho de propiedad. La Corte Interamericana rechazó la pretensión en torno al derecho de propiedad, así como el reclamo relativo al derecho a la justicia pronta. Por otra parte, ponderó que las exigencias mencionadas ascendían a montos tales que constituían una afectación de derechos convencionales relativos al debido proceso legal y acceso a la justicia. Así, condenó a la República Argentina:”a) abstenerse de cobrar a Cantos la tasa de justicia y la multa por falta de ese pago; b) fijar en un monto razonable los honorarios devengados en la causa tramitada en el orden interno; c) asumir el pago de los honorario y costas correspondientes a los peritos y abogados del Estado y de la Provincia de Santiago del Estero (ésta parte en el conflicto con Cantos); d) levantar los embargos e inhibiciones que pesaban sobre el denunciante, por el no pago de la tasa de justicia y por los honorarios regulados”.106 El Procurador del Tesoro se presentó ante la Corte Suprema, y dedujo un pedido para que se diera cumplimiento a la sentencia dictada por la Corte Interamericana de Derechos Humanos. El máximo Tribunal nacional, en primer lugar, sostuvo que no correspondía sustanciar el planteo, a fin de no confundir la intervención que en todo caso podría corresponder a la Corte Suprema en orden al gobierno del Poder Judicial de la Nación, con la que resulta de su competencia en materia judicial. En segundo término, desestimó la petición, señalando que la reducción del monto de los honorarios de los profesionales que no fueron parte en el procedimiento desarrollado ante la instancia internacional importaría la violación de garantías expresamente tuteladas por la Constitución Nacional 105 106 CSJN, Cantos (2003), Fallos: 326: 2968. Gelli (2009), pp.231. 112 © Filodiritto Editore (artículos 17 y 18) y por la Convención Americana sobre Derechos Humanos (artículos 8, 21 y 25); bajo el ropaje de dar cumplimiento con una obligación emanada de un tratado con jerarquía constitucional (artículo 63.1, de la citada Convención), llevaría a la situación, de hacer incurrir al Estado argentino en responsabilidad internacional. En su voto, los Jueces Enrique Santiago Petracchi y Guillermo A. F. López consideraron que correspondía desestimar la presentación, pues la Corte Suprema carecía de atribuciones para modificar pronunciamientos jurisdiccionales amparados bajo el atributo de cosa juzgada, por lo que sería el Poder Ejecutivo el que debería adoptar las medidas que, en el ámbito de su competencia, considere apropiadas, o tomar la iniciativa que contempla el artículo 77 de la Constitución Nacional por ante el Congreso de la Nación, a fin de dar cumplimiento con la referida sentencia. El Juez Boggiano, en su disidencia, señaló que correspondía declarar que el Estado Nacional debía abstenerse de perseguir el cobro de la tasa de justicia y la correspondiente multa y asumir el pago de los honorarios de los profesionales que representaron a los demandados. Asimismo, respecto a los abogados, expresó que correspondía dar traslado a los profesionales que no fueron parte en el procedimiento desarrollado ante la instancia internacional -y en el cual se dispuso la reducción de sus emolumentos-, a fin de respetar sus garantías judiciales y el derecho de propiedad, y no hacer incurrir al Estado argentino en responsabilidad internacional. El Juez Maqueda, también en disidencia, expresó en primer término que a partir de la reforma constitucional de 1994, y de acuerdo con lo dispuesto en el artículo 75, inc. 22, de la norma fundamental, las sentencias de la Corte Interamericana de Derechos Humanos – pronunciadas en causas en que el Estado argentino sea parte deben ser cumplidas por los poderes constituidos en el ámbito de su competencia y, en consecuencia, son obligatorias para la Corte Suprema de Justicia de la Nación. En consecuencia, sostuvo que correspondía a la Corte Suprema adoptar – de inmediato – las medidas necesarias para asegurar los derechos afectados que fueron puntualizados en la sentencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos que se referían a la cuantía de los honorarios fijados en la causa planteada, para adecuarlos a las pautas establecidas en dicho pronunciamiento, sin que sea obstáculo a ello el hecho de que no hayan intervenido los letrados interesados, pues el fallo de la Corte Interamericana de Derechos Humanos debe ser prontamente cumplido por el Estado en forma íntegra. Evaluando el pronunciamiento, explica Gelli que “aunque ninguno de los integrantes del Tribunal rehusó desconocer las obligaciones internacionales del Estado bajo las cláusulas de la Convención, sólo existió unidad de criterio acerca de la preservación de los derechos – por lo menos a ser oídode quienes no fueron parte en el proceso internacional, pero resultaron afectados por él. En cambio, existieron discrepancias acerca de cuál poder del Estado es el obligado, en primer lugar, a cumplir con la sentencia, de qué modo y con cuál extensión107. Posteriormente, en “Espósito”108 el criterio fue modificado. El Tribunal se enfrentó nuevamente a la disyuntiva de ejecutar una decisión de la Corte Interamericana cuando ello implicaba una re-lectura de las garantías constitucionales locales, con orientación distinta a la anteriormente sostenida por ella. El caso tuvo su origen en un procedimiento policial llevado a cabo por Policía Federal, en la que se había detenido un grupo de personas en las inmediaciones de un lugar donde se iba a realizar un recital de rock. Uno de los detenidos, Walter David Bulacio, un joven de 17 años, falleció tras retirarse de la comisaría a cargo de Espósito. Una vez radicado y llevado adelante el proceso penal contra el comisario mencionado, éste fue sobreseído por considerarse prescripta la acción penal. Los familiares de Bulacio iniciaron una petición ante la Comisión Interamericana, que resolvió presentar la demanda ante el Tribunal supranacional. El Estado argentino reconoció su responsabilidad, y llegó a un acuerdo de solución amistosa con la Comisión, en el que admitía que Bulacio había sido víctima de una detención ilegítima, durante la cual se había ejercido de manera inapropiada el deber de custodia. La Corte Interamericana consideró las disposiciones de prescripción de la acción penal y las nor107 108 Gelli (2009), pp. 231 y 232. CSJN, (2004), Fallos: 327: 5668. 113 © Filodiritto Editore mas que constituyan obstáculos mediante los cuales se pretenda impedir la investigación y sanción de los responsables de violaciones de derechos humanos, afirmando que resultaban contrarias a la Convención, cuyas disposiciones establecen el deber de los Estados de adoptar medidas de toda índole en miras a garantizar los derechos consagrados en el pacto, entre las que se encuentran las que indican que nadie sea sustraído del derecho de protección judicial (cfr. Artículo 1.1., 2 y 25 CADH). El tribunal resolvió que el Estado argentino debía proseguir y concluir la investigación de los hechos y sancionar a los culpables, garantizar a los familiares el acceso y la participación en esa causa penal contra los presuntos responsables del homicidio, dictar las medidas legislativas a fin de evitar que hechos como el denunciado volvieran a repetirse, indemnizar el daño material e inmaterial provocado a los familiares de la víctima, y pagar costas109. La Corte Suprema argentina señaló que frente a la paradoja de que sólo es posible cumplir con los deberes impuestos al Estado argentino por la jurisdicción internacional en materia de derechos humanos, restringiendo fuertemente los derechos de defensa y a un pronunciamiento en un plazo razonable, garantizados al imputado por la Convención Interamericana, al haber sido dispuestas tales restricciones por el propio tribunal internacional a cargo de asegurar el efectivo cumplimiento de los derechos reconocidos por la Convención, era deber de la Corte Suprema, como parte del Estado argentino, a pesar de sus reservas, darle cumplimiento en el marco de su potestad jurisdiccional. Así, resolvió que debía subordinar el contenido de sus decisiones a las de la Corte Interamericana de Derechos Humanos (artículo 68.1 de la Convención Americana sobre Derechos Humanos). En consecuencia, adoptó un criterio en el que “exteriorizó un discurso demostrativo de su permeabilidad a acatar los pronunciamientos de la CorteIDH”.110 Si bien los aspectos relativos a la reparación indemnizatoria, y la publicación de la sentencia transnacional se satisficieron mediante el accionar del Poder Ejecutivo, las disposiciones del tribunal internacional relativas a la causa penal, donde se había decretado la prescripción de la acción penal a favor del Comisario, se tradujeron en un planteo ante el Poder Judicial. La mayoría del máximo Tribunal nacional sostuvo que al declarar la responsabilidad internacional del Estado argentino por deficiente tramitación de la causa, la Corte Interamericana de Derechos Humanos reputó inadmisibles las disposiciones de prescripción o cualquier obstáculo de derecho interno mediante el cual se pretenda impedir la investigación y sanción de los responsables de las violaciones de derechos humanos, por lo que la confirmación de la decisión por la cual se declaró extinguida por prescripción la acción penal resultaría lesiva del derecho reconocido a las víctimas a la protección judicial, y daría origen a una nueva responsabilidad internacional. El máximo tribunal nacional aclaró que no compartía el criterio -que calificó como restrictivo- del derecho de defensa que se desprende de la decisión de la Corte Interamericana de Derechos Humanos. Sin embargo, conforme lo indicado por el órgano supranacional, declaró inaplicables las disposiciones comunes de extinción de la acción penal por prescripción. Asimismo, teniendo en cuenta que la actuación de los jueces intervinientes en la investigación había sido calificada por la Corte Interamericana como tolerante y permisiva respecto de las dilaciones en que se incurriera en la causa, ordenó remitir testimonios al Consejo de la Magistratura, a fin de que se determinaran las posibles responsabilidades. En sus votos, los Jueces Augusto César Belluscio y Juan Carlos Maqueda, el Juez Carlos S. Fayt y el Juez Antonio Boggiano aclararon que las sentencias de la Corte Suprema no son susceptibles del recurso de nulidad y, por vía de principio y con fundamento en el carácter final de sus fallos, no resulta tampoco admisible el incidente de nulidad. Los Jueces Augusto César Belluscio y Juan Carlos Maqueda, en su voto, en primer lugar señalaron que la obligatoriedad del fallo de la Corte Interamericana de Derechos Humanos no admitía dudas en la medida que el Estado Nacional ha reconocido explícitamente la competencia de ese tribunal internacional al aprobar la convención (ley 23.054). En consecuencia, consideraron descalificable el 109 110 Ver, sobre el punto a Gelli (2009), p. 232. Bazan (2012-1) , p. 43. 114 © Filodiritto Editore pronunciamiento que declaró la prescripción de la acción penal si omitió fundar los motivos por los que afirmó que el traslado a la defensa, las sucesivas prórrogas que se acordaron y las resoluciones adoptadas en cada uno de los planteos incidentales formulados por la misma parte, no podían ser considerados secuela de juicio, lo que no admitía justificación frente a los planteos del Ministerio Público y adquiría mayor gravedad ante al reconocimiento de responsabilidad efectuado por el Estado Nacional en el marco de la demanda instaurada por ante la Corte Interamericana de Derechos Humanos. El Juez Fayt aclaró que la obligatoriedad de las decisiones de la Corte Interamericana debía circunscribirse a aquella materia sobre la cual tiene competencia el tribunal internacional, señalando que si bien estaba fuera de discusión el carácter vinculante de las decisiones de la Corte Interamericana de Derechos Humanos y que la obligación de reparar del Estado no se agotaba en el pago de una indemnización, sino que comprendía además otro tipo de reparaciones como la persecución penal de los responsables de las violaciones a los derechos humanos “deber de justicia penal”, en ese deber no podía entenderse incluida la especificación de restricciones a los derechos procesales de los individuos concretamente imputados en una causa penal, como autores o cómplices del hecho que origina la declaración de responsabilidad internacional. En este sentido, explicó que la imposibilidad de declarar la prescripción de la acción penal respecto del imputado, como parte del deber reparatorio que incumbe al Estado argentino, nunca puede ser derivación del fallo internacional, pues ello implicaría asumir que la Corte Interamericana puede decidir sobre la responsabilidad penal de un individuo en concreto. En definitiva, consideró inadmisible derivar del proceso ante la Corte Interamericana de Derechos Humanos una consecuencia como la inoponibilidad de la prescripción en un juicio penal, so riesgo de infringir ostensiblemente cláusulas de inequívoca raigambre constitucional que amparan los derechos del imputado. Estimó que ello implicaría la deliberada renuncia de la más alta y trascendente atribución de la Corte Suprema, para cuyo ejercicio ha sido instituida como titular del Poder Judicial de la Nación, que es ser el custodio e intérprete final de la Constitución Nacional. Analizó la normativa local, explicando que las normas generales de prescripción del Código Penal argentino no han sido sancionadas con la finalidad de impedir las investigaciones sobre violaciones a los derechos humanos, sino como un instituto que cumple un relevante papel en la preservación de la defensa en juicio. Con específica referencia al tema que nos ocupa, el Juez citado expresó que el artículo 27 de la Constitución Nacional constituye una norma de inestimable valor para la soberanía de un país, en particular, frente al Estado de las relaciones actuales entre los integrantes de la comunidad internacional. Explicó que, desde su perspectiva, esta interpretación preserva – ante las marcadas asimetrías económicas y sociales que pueden presentar los Estados signatarios de un mismo tratado – el avance de los más poderosos sobre los asuntos internos de los más débiles; en suma, evita la desnaturalización de las bases mismas del Derecho Internacional contemporáneo, pues procura evitar que detrás de un aparente humanismo jurídico se permitan ejercicios coloniales de extensión de soberanía. El Juez Boggiano, por su parte, sostuvo que cabía reconocer el carácter vinculante de las decisiones de la Corte Interamericana de Derechos Humanos, a los efectos de resguardar las obligaciones asumidas por el Estado argentino en el sistema interamericano de protección a los derechos humanos (artículo 68.1 de la Convención Americana sobre Derechos Humanos). Dentro de este marco tuitivo, expresó, la obligación de reparar del Estado no se agota en el pago de una indemnización como compensación de los daños ocasionados, sino que también comprende la efectiva investigación y la correspondiente sanción de los responsables de las violaciones de los derechos humanos. Es más, el deber de investigar y sancionar a los responsables de las violaciones de los derechos humanos, como una de las formas de reparación integral impuesta por la Convención Americana sobre Derechos Humanos, debe ser asumido por el Estado como un deber jurídico propio a fin de no incurrir en responsabilidad internacional. Finalmente, concluyó en que la imposibilidad de declarar la prescripción de la acción penal, como parte del deber reparatorio que incumbe al Estado argentino, resulta de conformidad con la ley interna, en atención a las circunstancias particulares de la causa, y a las normas de la Convención según la inteligencia que le ha otorgado esta Corte por referencia a la jurisprudencia de la Corte 115 © Filodiritto Editore Interamericana de Derechos Humanos. En torno a la interacción entre ambos regímenes jurisdiccionales, expresó que correspondía a la Corte Suprema velar porque la buena fe que debe regir el fiel cumplimiento de las obligaciones emanadas de los tratados no se vea afectada a causa de actos u omisiones de sus órganos internos. Los tribunales locales deben adoptar las medidas necesarias para evitar que el Estado incurra en responsabilidad internacional por incumplimiento de un tratado. Tras reiterar la doctrina de la interpretación “armonizadora”, analizada con anterioridad, expresó que tal juicio constituyente del Congreso Nacional no puede ser revisado por la Corte Suprema para declarar su invalidez sino sólo para hallar armonía y complemento entre tales tratados y la Constitución. Así, los tratados complementan las normas constitucionales sobre derechos y garantías y lo mismo cabe predicar respecto de las disposiciones contenidas en la parte orgánica de la Constitución aunque el constituyente no ha hecho expresa alusión a aquélla, pues no cabe sostener que las normas contenidas en los tratados se hallen por encima de la segunda parte de la Constitución. La Jueza Highton de Nolasco sostuvo que con independencia de que en la decisión de la Corte Interamericana se hayan considerado entre otros elementos hechos reconocidos por el gobierno argentino en el marco de un procedimiento de derecho internacional del que no participó el acusado, resultaba un deber insoslayable de la Corte Suprema, como parte del Estado argentino, y en el marco de su potestad jurisdiccional, cumplir con los deberes impuestos al Estado por la jurisdicción internacional en materia de derechos humanos. El pronunciamiento en estudio trasluce una marcada tendencia de la Corte argentina a evitar todo castigo derivado de una eventual responsabilidad internacional del Estado mediante el seguimiento de los pronunciamientos de la Corte Interamericana, más allá de, incluso, sus propios precedentes. Así, ha sido considerada “una muestra de “obediencia debida” por parte de la Corte Suprema argentina, respecto de la Corte Interamericana”.111 Explica Gelli que “la sentencia es importante porque los siete ministros que votaron coincidieron acerca de que los fallos de la Corte Interamericana de Derechos Humanos, en los casos en que el Estado argentino fuera parte, resultan vinculantes para éste y para la Corte Suprema como órgano de ese Estado. Sin embargo, esta obligatoriedad tiene matices en los diferentes votos y éstos detonaron la distinta percepción que los jueces de la Corte Suprema tenían, entonces, del papel que cabe al Tribunal ante las sentencias de la Corte Interamericana de Derechos Humanos”.112 En términos fácticos, mediante el decreto 1313 del 2008 el Poder Ejecutivo, a través de la autorización a la Secretaría de Derechos Humanos del Ministerio de Justicia para intervenir como querellante en las causas en las que se investigue estos delitos, procuró una solución superadora. Las voces disidentes se hicieron oír con posterioridad, en pronunciamientos dictados en septiembre del 2011, donde el tribunal refirió a esta temática. En la causa “Derecho, René Jesús s/ incidente de prescripción de la acción penal – causa n° 24.079”113 se tuvo en cuenta que la Corte Interamericana de Derechos Humanos, al pronunciarse en el caso “Bueno Alves vs. Argentina”, analizó una denuncia presentada por el señor Bueno Alves, cuyas circunstancias fueron reconocidas por el Estado argentino, que fueron objeto de investigación en diversos procesos judiciales en el orden interno, entre las que se incluye una causa en la que la Corte Suprema de Justicia de la Nación había confirmado la declaración de la prescripción de la acción penal respecto del imputado René Jesús Derecho, con relación a los hechos ilícitos de detención ilegal, aplicación de golpes y privación de medicamentos. El Tribunal supranacional resolvió que el Estado argentino debía realizar inmediatamente las debidas investigaciones para determinar las correspondientes responsabilidades por los hechos de este caso y aplicar las consecuencias que la ley prevea. A fin de dar estricto cumplimiento a lo ordenado, la Corte Suprema Argentina, con remisión a lo Vr. Sagüés, Néstor P. y Sagüés, María Sofía (2013). Gelli (2009), p. 233. 113 CSJN, Derecho (2011), Fallos: 334:1504. 111 112 116 © Filodiritto Editore resuelto en el precedente “Espósito”114, analizado anteriormente, hizo lugar al recurso de revocatoria articulado por el querellante, dejó sin efecto el pronunciamiento apelado y devolvió las actuaciones a la instancia anterior para que, por quien corresponda, se cumplimenten las pautas fijadas en dicho fallo. El Juez Maqueda, en un voto particular, enfatizó que la Corte, como uno de los poderes del Estado argentino, debía cumplir la sentencia del tribunal internacional que impone la obligación de investigar, que si bien es de medios, importa una tarea seria y eficaz; máxime si se tiene en cuenta las especiales circunstancias detalladas por la Corte Interamericana, en cuanto al proceso judicial llevado adelante en nuestro país. Los Jueces Fayt y Argibay, en disidencia, dejaron en claro que estaba fuera de discusión el carácter vinculante de las decisiones de la Corte Interamericana, si bien expresaron que aceptar que ello tenga consecuencias como las pretendidas por el recurrente, implicaría una afectación al derecho de defensa del imputado, colocaría al Estado argentino en la paradójica situación de cumplir con sus obligaciones internacionales a costa de una nueva afectación de derechos y garantías individuales reconocidos en la Constitución Nacional y los tratados de derechos humanos que la integran y entraría en contradicción con la regla establecida en el artículo 29 de la Convención Americana sobre Derechos Humanos, que prohíbe interpretar sus normas de modo tal que impliquen la supresión del ejercicio de los derechos por ella reconocidos o su limitación más allá de lo fijado en dicha norma internacional. Agregaron que el derecho internacional ha considerado inadmisibles las disposiciones de prescripción dictadas específicamente con la intención de impedir la investigación de violaciones a los derechos humanos y la sanción de sus responsables, idea que no puede extenderse a previsiones generales de extinción de la acción penal por prescripción aplicables a cualquier caso en el que se investigue la comisión de un delito común. En misma fecha se pronunció la Corte respecto las propuestas de solución amistosa en el sistema regional de derechos humanos, en “Castañeda, Carlos Antonio s/ sustracción y destrucción de medios de prueba – causa n° 768 – ”.115 En esta causa el Tribunal Oral en lo Criminal Federal rechazó la excepción de prescripción de la acción penal en virtud del derecho de las víctimas a conocer la verdad y el deber del Estado de investigar las violaciones a los derechos humanos, y, en consecuencia, condenó a Carlos Antonio Castañeda como autor penalmente responsable del delito de sustracción de elementos destinados a servir de prueba ante una autoridad competente, cometido en forma reiterada. Por su parte, La Cámara Nacional de Casación Penal confirmó el pronunciamiento, por entender que la declaración de prescripción estaba vedada por la existencia de un acuerdo celebrado entre el Estado argentino y un grupo de querellantes de la causa en la que se investiga el atentado contra el edificio de la mutual israelita en Argentina (A.M.I.A). La Corte Suprema, con voto concurrente del Juez Petracchi, revocó el pronunciamiento recurrido. Aclaró el tribunal que un principio de solución amistosa propuesto a los querellantes por la rama ejecutiva del gobierno no es equivalente a un fallo de la Corte Interamericana de Derechos Humanos, por lo que no corresponde extender el criterio de la Corte Suprema de Justicia de la Nación al revocar la declaración de extinción de la acción penal respecto de un delito que se encontraba prescripto conforme las reglas del derecho interno en virtud de una sentencia de la citada en esa misma causa en la que se le imponía al Estado esa solución. Los Jueces Fayt y Argibay, en disidencia, señalaron que las sentencias de la Corte Interamericana de Derechos Humanos que declaran la responsabilidad del Estado argentino por defectos en la investigación de hechos criminales comunes no pueden cancelar la vigencia de las reglas jurídicas nacionales referidas a la prescripción de la acción penal. Agregaron que la admisión de responsabilidad del Estado argentino ante los organismos internacionales, no debe acarrear como consecuencia directa la afectación de las garantías constitucionales de una persona imputada por la comisión de un delito común, quien además no ha tenido la posibilidad de ser oída en la instancia supranacional. 114 115 CSJN, Espósito (2004) Fallos: 327:5669. CSJN, Castañeda (2011), Fallos: 334:1439. 117 © Filodiritto Editore En este escenario, las líneas jurisprudenciales de la Corte Suprema de Justicia de la Nación Argentina se encontraban en condiciones de fluir hacia la aceptación explícita, aunque no de manera muy reiterada, de la doctrina del control de convencionalidad. Otro aspecto cuestionado que vale la pena señalar, es relativo a la técnica a aplicar a fin de constatar la efectiva existencia de un precedente de la Corte Interamericana que sea vincluante en virtud del Control de Convencionalidad. Resulta interesante el análisis realizado por el dictamen de fecha 10 de marzo de 2010 del Procurador General de la Nación en el caso “Acosta, Jorge Eduardo y otros s/recurso de casación”116, donde sostuvo que del artículo 68 de la Convención se desprende que el carácter vinculante de los fallos de la CorteIDH lo es para el Estado que aceptó la competencia del tribunal internacional y fue parte en el proceso internacional en el que resultó condenado, no surgiendo del sistema regional otros elementos que permitan extender el alcance expansivo de tales decisiones.117 Finalmente, postula la aplicación de los precedentes del órgano supra nacional en base a un test conforme las siguientes pautas: “1) verificar si existe jurisprudencia de la Corte o la CIDH, o de ambas, sobre la cuestión debatida en el proceso interno; 2) identificar la doctrina o razón de la decisión; 3) examinar minuciosamente la aplicabilidad de esa doctrina al caso concreto; 4) examinar si existen razones jurídicas basadas en el ordenamiento constitucional que se opongan a la aplicabilidad de la doctrina derivada de la jurisprudencia del órgano pertinente, es decir, efectuar un examen de compatibilidad entre esa doctrina y el orden jurídico constitucional”.118 El criterio no fue adoptado como propio por el Tribunal al resolver el caso. Sin embargo, una seria aplicación del control de convencionalidad, así como su traslación procesal en torno a la cuestión federal por potencial responsabilidad internacional, recomendaría la articulación de este método, a fin de otorgar consistencia al sistema. b) conflicto de lealtades Ínsito en el debate del control de convencionalidad se incluye el análisis de un conflicto de lealtades que se le presenta a los operadores domésticos: la elección entre la lealtad a las exigencias del orden normativo supranacional, o al orden normativo nacional. Es decir, en algunos casos la jurisprudencia en estudio implica un replanteo de las fuentes normativas de cada estado, de manera fundamental. El tema no es menor, y sin duda repercute directamente en los aspectos basales de la doctrina. El control de convencionalidad se nutre, directamente, del principio pacta sum servanda, y la buena fe en el cumplimiento de los compromisos internacionales. Sustentados sobre la Convención de Viena sobre el derecho de los tratados, no se admitiría el incumplimiento de compromisos convencionales, en virtud de la invocación de la existencia de normas internas (constitucionales o inferiores) que así puedan exigirlo. Paralelamente, se exige la sujeción no solo al texto convencional, sino a los productos de su intérprete interno. En base a esta perspectiva, parecería concluirse que frente a un conflicto normativo o pretoriano, prevalecerían las fuentes supranacionales. Ello es criticado por diversas posiciones que sostienen que de esta manera se afecta la soberanía nacional, así como supremacía constitucional y las potestades de gestación normativa y jurisprudencial de cada estado parte.119 En numerosos casos la interacción del orden convencional y nacional, incluso sobre la base de bloques de constitucionalidad que ya la prevén normativamente, se verificará de manera armónica, confluyendo hacia un ius commune en miras a una mayor protección de derechos humanos. Sin embargo también podrían darse supuestos de conflicto, no solo normativo sino axiológico. De hecho, algunos de los casos mencionados en el título anterior son interesantes muestras de ello, ya que a los operadores domésticos se les planteó la disyuntiva de adoptar criterios pretorianos locales en miras a la tutela de derechos constitucionales fundamentales, como es el debido 116 117 118 119 Expte. Nro. A 93 XLV, que fue fallado posteriormente por el Tribunal en fecha 08/05/2012. Ver, Gelli, (2010), p. 1192 y ss. Ibidem. En torno a soberanía estatal y jurisdicción supranacional ver también a Falcón (2010) p. 51. 118 © Filodiritto Editore proceso o el derecho de defensa, y cumplir pronunciamientos de la Corte Interamericana, en los que, en el clearing de valores respectivo, se optó por la tutela de otras prerrogativas, en absoluto menores, como es el derecho de la víctima a conocer la verdad y el deber de investigar. Los conflictos normativos, y más aún, los conflictos axiológicos, no resultan, en consecuencia, un tema menor, porque ponen en jaque el sistema. Un cauce de resolución podría encontrarse mediante un adecuado desarrollo del diálogo jurisprudencial propuesto dentro del marco del control de convencionalidad, y que exigiría un marco de respeto recíproco relevante por parte de los tribunales supranacionales y domésticos, donde la protección de la persona humana actúe como eje central. c) modelos jurisdiccionales: ¿nuevas modalidades de sentencias y ejecución en el ámbito doméstico? La Corte supranacional ha expresado que el artículo 1 de la CADH contiene un deber positivo para los Estados. Debe precisarse, también, que garantizar implica la obligación del Estado de “tomar todas las medidas necesarias para remover los obstáculos que puedan existir para que los individuos puedan disfrutar de los derechos que la Convención reconoce. ...”120. Es decir, “’garantizar’ supone el deber del Estado de tomar todas las medidas necesarias, incluso a través de decisiones jurisdiccionales, en orden a remover los obstáculos que pudieran existir para que los habitantes estén en condiciones de disfrutar los derechos que la Convención consagra”.121 En el mismo sentido ha señalado:“la protección de la ley la constituyen, básicamente, los recursos que ésta dispone para la protección de los derechos garantizados por la Convención, los cuales, a la luz de la obligación positiva que el artículo 1.1 contempla para los Estados de respetarlos y garantizarlos, implica… el deber de los Estados Partes de organizar todo el aparato gubernamental y, en general, todas las estructuras a través de las cuales se manifiesta el ejercicio del poder público, de manera tal que sean capaces de asegurar jurídicamente el libre y pleno ejercicio de los derechos humanos”.122 Al artículo 1.1 citado, contribuye el artículo 2, que recepciona el principio del “efecto útil de los tratados”, al establecer que: “si el ejercicio de los derechos y libertades mencionados en el artículo 1 no estuvieran ya garantizados por disposiciones legislativas o de otro carácter, los Estados partes se comprometen a adoptar, con arreglo a sus procedimientos constitucionales y a las disposiciones de esta Convención, las medidas legislativas o de otro carácter que fueren necesarias para hacer efectivos tales derechos y libertades”. Finalmente, el artículo 25 consagra el derecho a la protección judicial, y el compromiso estatal a: “garantizar que la autoridad competente prevista por el sistema legal del Estado decidirá sobre los derechos de toda persona que interponga tal recurso; a desarrollar las posibilidades de recurso judicial, y a garantizar el cumplimiento, por las autoridades competentes, de toda decisión en que se haya estimado procedente el recurso”. Al referirse a la normativa citada, CanVado Trindade ha enfatizado el perfil tuitivo o protectorio que deben adoptar los diversos operadores jurídicos domésticos, señalando que: “los estados partes en tratados de derechos humanos se encuentran, en resumen, obligados a organizar su ordenamiento jurídico interno de modo que las supuestas víctimas de violaciones de los derechos en ellos consagrados dispongan de un recurso eficaz ante las instancias nacionales. Esta obligación adicional opera como una salvaguardia contra eventuales denegaciones de justicia o atrasos indebidos u otras irregularidades procesales en la administración de justicia. Con esto al menos quedan impedidos los gobiernos de los Estados partes de obstruir acciones ante los tribunales nacionales (en el proceso de agotamiento de los recursos de derecho interno) para obtener reparación de daños resultantes de violaciones de los derechos consagrados en los tratados de derechos humanos. La operación de los deberes complementarios de utilizar los recursos de derecho interno (de parte de los reclamantes) y OC 11/90, CorteIDH, párr. 34. Bazán, (2011), p. 1. 122 CorteIDH, OC 11/90, op. cit., párr 23. El resaltado pertenece a la autora. 120 121 119 © Filodiritto Editore de proveer tales recursos eficaces (de parte de los Estados demandados) contribuye así para una mejor apreciación de la interacción entre el derecho internacional y el derecho interno en el contexto de la protección de los derechos humanos”.123 En consecuencia, de los instrumentos internacionales se desprenderían una serie de obligaciones sobre el Estado Nacional, que impactan en el marco de acción no sólo de los Poderes Ejecutivo y Legislativo, sino también judicial y repercuten directamente en el perfil de los procesos constitucionales. En este sentido, especificando la exigencia de acción del Poder Judicial, en un artículo doctrinario señala el Juez de la Corte Suprema Argentina Enrique S. Petracchi que “cuando la Nación ratifica un tratado que firmó con otro Estado, se obliga internacionalmente a que sus órganos administrativos y jurisdiccionales lo apliquen en los supuestos que ese tratado contemple…”.124 Evidentemente, la obligación constituida por el artículo 2 de la Convención Americana de adoptar las medidas necesarias para instrumentar los derechos consagrados en el Pacto, es compromiso de la totalidad del Estado Nacional, no pudiendo excusarse en la inoperancia de los poderes ejecutivos o legislativos. En dicho caso, el Poder judicial, como última instancia, deberá instrumentar la solución posible para evitar la frustración de un derecho. Es decir, conforme el sistema convencional, el rol institucional del Poder Judicial en materia de Derechos Humanos se articularía de la siguiente manera: En primer lugar, frente a la previsión normativa a nivel nacional, ya sea por el Ejecutivo o el Legislativo, de herramientas de garantía idóneas, el Poder Judicial asume el compromiso de su aplicación efectiva, como se desprende de diversas decisiones de la Corte Interamericana de Derechos Humanos125. A ello se suma, como explican Thomas Buergenthal y Douglas Casell, que de dichas normas surge que los: “estados deben financiar, individualmente o en cooperación con la Organización de Estados Americanos y otras instituciones regionales, programas de entrenamiento para educar sus jueces de todos los niveles, comenzando por la suprema Corte y Cortes constitucionales, en la Convención, su interpretación en la jurisprudencia interamericana y su implementación por las Cortes nacionales”.126 Finalmente, el accionar judicial se acentúa ante la carencia de la previsión legislativa de una garantía idónea de tutela, ya sea por la omisión de la herramienta en sí, o bien por su regulación de manera deficiente, tortuosa o inefectiva. Cançado Trindade sostiene que “… el énfasis pasa a recaer en la tendencia de perfeccionamiento de los instrumentos y mecanismos nacionales de protección judicial. Este cambio de énfasis atribuye mayor responsabilidad a los tribunales internos (judiciales y administrativos), convocándolos a ejercer actualmente un rol más activo – sino creativo – que en el pasado en la implementación de las normas internacionales de protección”.127 El artículo 63.1 de la Convención Americana delimita el marco de los pronunciamientos de la Corte Interamericana, explicando que: “cuando decida que hubo violación de un derecho o libertad protegidos en esta Convención, la Corte dispondrá que se garantice al lesionado en el goce de su derecho o libertad conculcados. Dispondrá asimismo, si ello fuera procedente, que se reparen las consecuencias de la medida o situación que ha configurado la vulneración de esos derechos y el pago de una justa indemnización a la parte lesionada”. Ello implica una perspectiva bifronte del objeto de los pronunciamientos de la Corte: ex ante y ex post. Es decir, “puede advertirse que las medidas generalmente adoptadas persiguen simultáneamente tanto la reparación como la prevención de eventuales violaciones a derechos humanos”.128 En este sentido se pronunció Sergio García Ramírez, al señalar que el artículo mencionado otorga dos variables de acción al órgano jurisdiccional: hacia el pasado y hacia el futuro. En el primer caso, Cancao Trindade, (1992), pp. 56. Ver, asimismo, Alves Pereira, (1994) p: 23 y ss. Petracchi, (2004). 125 CorteIDH, Velásquez Rodríguez (1988) Serie C, nro. 4, sentencia de 29 de julio de 1988, párr. 68; Godínez Cruz, (1989) Secrie C, nro. 5, sentencia del 20 de enero de 1989, párr. 71 y Fairén Garbi y Solís Corrales, (1989) Serie C, Nro. 6 Sentencia de 15 de marzo de 1989, párr. 93, entre muchos otros. 126 Buergenthal, Thomas y Cassell, Douglas (1998 p. 560 (traducción de la autora). 127 Cançao Trindade, (2001), p. 300. El resaltado pertenece a la autora. 128 Fastman, (2006), p. 1012. 123 124 120 © Filodiritto Editore procura la reparación de las consecuencias de la medida lesiva, en especie o jurídicamente. En la segunda perspectiva, procura el restablecimiento y la protección del derecho en juego129. En diversos casos la CorteIDH ha incorporado mandatos que, en el ámbito doméstico, han generado desafíos de ejecución, e incluso replanteado el rol jurisdiccional. De hecho, se ha señalado que estas pautas jurisprudenciales “se aparta de una visión reduccionista (mera indemnización) con el fin de tutelar de un modo más íntegro y efectivo la obligación de respeto y garantía de los derechos humanos ante las exigencias de cada caso concreto130. Ello así porque “para la CIDH, la reparación es una forma o categoría genérica bajo la cual se articulan diversas medidas destinadas a suprimir, mitigar, moderar y compensar los daños ocasionados por los hechos violatorios de los derechos y a garantizar su no repetición”.131 Las diversas opciones de medidas articuladas por la CorteIDH deben su multiplicidad a la de las obligaciones asumidas por los Estados en el marco convencional. En ese sentido, “la reparación es un término genérico que comprende las diferentes formas como un Estado puede hacer frente a la responsabilidad internacional en que ha incurrido”.132 Dentro de este marco, se han planteado diversas variables clasificatorias de las decisiones en análisis. La CorteIDH, en sus pronunciamientos, menciona los siguientes supuestos: medidas de reparación integral (comprensivas de rehabilitación, satisfacción y garantías de no repetición), e indemnizaciones compensatorias (comprensivas del daño material y daño inmaterial, entre otros). Finalmente refiere a costas y gastos. Dentro de la doctrina Aída Kemelmajer de Carlucci refiere a estos tipos:133 Reparación en especie: restitución o restablecimiento de la situación jurídica de la cual se disfrutaba antes de la violación, medidas de satisfacción, medidas de garantía de no repetición, medidas de rehabilitación, medidas de indemnización compensatoria. El objeto de los pronunciamientos del tribunal internacional presentado en ambos casos en último término (indemnización compensatoria) resulta consustancial con la modalidad tradicional del orden doméstico frente a la vulneración de un derecho y no plantea nuevos desafíos desde el punto de vista de su ejecución. Ello más allá de algunas pautas específicas a indemnizar que pueden resultar innovadoras134, y requerir replanteamientos conceptuales y procedimentales en algunos aspectos tales como prueba, etc. Ahora bien, en medidas de otra naturaleza, vemos que la CorteIDH ha innovado con decisiones que han implicado, en el orden interno, desafíos para el órgano jurisdiccional que debió ejecutarlas, en su caso. Así, dentro de la reparación en especie, o restitución del status-quo anterior a la violación del derecho conculcado, el Tribunal ha ordenado diversas medidas, entre las que puede mencionarse “levantar los valladares que impiden el acceso a la justicia”, por ejemplo, al “abstenerse de cobrar” a un justiciable una tasa de justicia determinada, y la respectiva multa impuesta por pago oportuno, lo cual, en su momento, fue cuestionado por la doctrina por considerar que el cumplimiento de esa decisión por la Corte nacional implicaba la injerencia en el ámbito legislativo135. Este aspecto se acentúa en los otros rubros. Dentro del marco de medidas de satisfacción, la Corte parte de la clásica publicación de la sentencia, con un doble “designio: individual y social, esto es, para satisfacer el derecho del afectado y para crear obstáculos de orden social frente a la posible reiteración de conductas violatorias”. Incluso, se ha exigido la difusión radial del pronunciamiento, en virtud de que la comunidad originaria respectiva tenía costumbre de comunicarse por ese medio. Paralelamente, pueden citarse los siguientes ejemplos: realización de actos públicos de desagravio a las víctimas (tales como conmemoración y tributo, formulación de disculpas públicas, construcción García Ramírez, (2003), ps. 130/131. Ver, asimismo, Kemelmajer de Carlucci, Aida, (2013). Olivero, (2012), p. 257. 131 Kemelmajer de Carlucci, Aida, (2013). 132 García Ramirez, (2003). 133 Se sigue en este punto a la autora citada, op. cit. 134 Ver en este sentido el rubro “indemnización por frustración por proyecto de vida”. 135 Vr. CSJN, “Cantos” (2003), Fallos: 326: 2968. 129 130 121 © Filodiritto Editore de monumentos o símbolos recordatorios, dedicación de establecimientos públicos o privados, plazas, escuelas, oficinas, dedicación de una jornada nacional a su memoria, etc.), restitución de restos mortales,136 creación de una fundación para asistir a los beneficiarios, otorgamiento de beca universitaria u otras prestaciones educativas, eliminación de datos obrantes en registros públicos, creación de una página Web, creación de una comisión nacional de búsqueda, instrumentación de un sistema de información genética para la obtención y conservación de datos en miras al esclarecimiento de l filiación de niños desaparecidos, entre otros. A su vez, en miras a evitar repetir los hechos, se han enfatizado las obligaciones de investigar e imponer consecuencias legales, con las consiguientes medidas dirigidas a poderes públicos, algunas de ellas incluso relativas a la exigencia de reformar o dictar nuevas normas legislativas procedimentales y sustanciales e incluso constitucionales. También se ha condenado al Estado a realizar capacitaciones de diversos funcionarios, ya sea judiciales, de fuerzas de seguridad, militares, o bien de la sociedad en su conjunto. Dentro de las medidas de rehabilitación se ha llegado a ordenar, por ejemplo, en un caso relativo a los derechos de una comunidad originaria, la creación de un programa de desarrollo comunitario y la previsión inmediata de servicios públicos. Así, una vez determinada la obligación de entregar tierras a las víctimas, se ordenó “la implementación de un programa integral de desarrollo en salud, educación, producción e infraestructura de las comunidades afectadas que incluya el mantenimiento y mejoramiento del sistema de comunicación por caminos entre las comunidades afectadas y el centro municipal, un sistema de desagüe y la provisión de agua potable, la provisión de personal de enseñanza intercultural y bilingüe para la educación primaria y secundaria”, entre otros137. Ahora bien, el dictado de este tipo de medidas en las sentencias interamericanas ha implicado fuertes desafíos en su ejecución en el orden interno. Efectivamente, la instrumentación de las decisiones adoptadas por los organismos supranacionales de perfil jurisdiccional presenta diversos flancos débiles, que van desde la reticencia de los órganos domésticos encargados de tal tarea, a la dificultad técnica de su instrumentación. Alerta Oteiza que las respuestas a las exigencias convencionales dependen en muchos casos de aspectos internos, tales como el “contexto jurídico y político de cada Estado … Ciertas decisiones de la CorteIDH presentan una gran complejidad a la hora de efectivizar su cumplimiento en el ámbito interno. Ellas se vinculan con aspectos de política muy delicados, en los cuales pueden existir conflictos entre derechos convencionales de distinto rango, con afectados que no siempre han participado ante la instancia de la CorteIDH, a los cuales se trasladan sus efectos… Encontramos líneas de tendencia y prácticas no lineales y sin contradicciones”.138 Así, las posiciones de los Estados en torno al cumplimiento de los pronunciamientos de los organismos transnacionales, o específicamente la Corte Interamericana, y las respuestas jurisprudenciales en torno a la doctrina del control de convencionalidad, han sido disímiles. En primer término, en la posición más reticente, puede adelantarse que algunos países se postulan de manera restrictiva ante la jurisprudencia de la Corte Interamericana, no sólo en lo que refiere al efecto expansivo ínsito en la doctrina del control de convencionalidad, sino, incluso, en lo relativo al cumplimiento de pronunciamientos condenatorios dictados por los órganos interamericanos contra ellos mismos. Los casos de Perú durante la administración de Alberto Fujimori, y Venezuela, durante la de Hugo Chávez son claro ejemplo de ello. Esta situación incluso ha implicado el dictado de resoluciones de inejecutoriedad de sentencias de la Corte Interamericana, en tutela de la soberanía nacional, la constitución local, etc...139 En otros casos se ha optado por el silencio, y la no referencia expresa a la temática. Un ejemplo podría ser Estados Unidos de América, que si bien no ha aceptado la jurisprudencia contenciosa de la Se sigue en este punto a Kemelmajer de Carlucci, op. cit. CorteIDH, caso “Plan de Sánchez vs. Guatemala”, relativo al derecho a la vivienda de una Comunidad originaria. 138 Oteiza, (2012) p. 80. 139 Ver Sagüés Néstor Pedro, (2006), p. 253 y ss. Me remito en este punto al capítulo desarrollado por Ayala Corao, (2010), p. 85 y ss. 136 137 122 © Filodiritto Editore Corte Interamericana, sí se encuentra sometido, como parte de la Organización de Estados Americanos, a los productos de la Comisión. Asimismo, en otros casos la respuesta es casuística, y la posición en torno a la viabilidad de cumplimiento se enmarca en cada caso específico, o incluso dependiendo de la naturaleza de la medida indicada por el Tribunal supranacional. A su vez, ello ha impactado en el rol jurisdiccional reconocido a los magistrados domésticos, a través de una doble perspectiva. Por un lado, como se ha señalado, el juez, como parte del aparato estatal, debe contribuir con la instrumentación de los derechos convencionales en virtud de los compromisos internacionales, lo cual le demanda la asunción de un rol tuitivo en las causas pertinentes, conforme al mandato del Pacto. Además, el poder judicial es siempre la última instancia, en virtud del principio de subsidiariedad, en la que puede evitarse que la conculcación del derecho originaria no sea subsanada en el ámbito doméstico, lo cual ubica su actuación como una instancia superadora fundamental, cuyo marco de acción debe ser comprendido en clave de apertura. Por otra parte, al deber actuar como juez convencional, el órgano jurisdiccional del Estado debe formular su accionar en clave convencional, tomando como referencia a la jurisprudencia del tribunal supranacional, lo cual también implica la adscripción a pautas o modelos de decisiones que expanden su tradicional marco en miras a una efectiva y real recomposición del derecho convencional conculcado. Así, las nuevas modalidades de sentencias domésticas y convencionales se amalgaman. Puede identificarse un claro paralelismo entre las modalidades de sentencias adoptadas por la Corte Interamericana fuera del marco de la compensación clásica, y las pautas de nuevas sentencias dictadas en el orden interno, tanto en torno a sentencias exhortativas, aditivas, como en variables de control de inconstitucionalidad por omisión. Ellas comparten un perfil jurisdiccional desligado de trabas otrora tradicionales, y que posee un punto débil específico en común: las dificultades en la instrumentación fáctica de la ejecución de sus decisiones más trascendentes. Frente a esta realidad, los tradicionales conflictos en materia ejecutiva reciben un duro cuestionamiento en torno a su convencionalidad, y obligan a los operadores a un replanteamiento a la luz de la tutela de los derechos humanos. Este impacto del orden regional implica una necesidad de adecuación por el sistema jurídico interno, en miras a aportar respuestas innovadoras que garanticen eliminar obstáculos a la hora del efectivo cumplimiento de sus decisiones, así como instrumentar mecanismos efectivos en tal sentido. El mandato convencional no puede ser desdibujado en virtud de insuficiencias normativas internas, sin que ello implique generar responsabilidad internacional. Es así que, frente a estas nuevas exigencias a los operadores judiciales, y en virtud de su configuración como jueces convencionales, la problemática de la inejecución de sus pronunciamientos, máxime cuando implican dificultades técnicas en virtud de la mutación de sus causes clásicos, exige una respuesta superadora por parte de los operadores internos. Si los andamiajes procedimentales nacionales no aportan soluciones idóneas a las nuevas modalidades de pronunciamientos que se vislumbran, tanto internos como supranacionales, es la pauta procesal la que debe reformularse en clave convencional, para así procurar la plena efectividad del bloque de constitucionalidad y del sistema regional de tutela de los derechos humanos. d) Desafío procesal de articulación con el control de constitucionalidad Desde una visión sistémica, se ha puesto el acento en que el control de constitucionalidad y el control de convencionalidad comparten la naturaleza intrínseca, ya que parten de la idea de tutelar una supremacía. Es decir, su funcionalidad práctica es similar, de tal modo que exigen que, ante la inconsistencia entre la norma suprema y la inferior se verifique la inaplicación en el caso de la última, y, a su vez, se requiere la interpretación conforme a la superior de la inferior. Ambos estructuran su accionar en base a la supremacía del derecho y la necesidad de su control. Procuran la consolidación 123 © Filodiritto Editore del Estado de Derecho, el “gobierno de las leyes, y no de los hombres”140, y, como fin último, la tutela de la dignidad humana. No nos encontramos ante una desnaturalización, sino de una proyección, potenciación del sistema de control de constitucionalidad, engarzado en el marco convencional. Este aspecto es desarrollado con suma claridad por Gumersindo García Morelos, quien explica que “el origen del control judicial se centró en la defensa de la supremacía constitucional, invalidando toda conducta estatal que resultara incompatible con ésta. La evolución de los procesos constitucionales en América Latina, Europa, Asia, y en algunos países africanos tienen su fundamento en la doctrina judicial elaborada en el caso Marbury vs. Madison; pero los sistemas procesales se adaptaron de acuerdo a las necesidades de cada Estado. La noción de tutela jurisdiccional interna se expandió a la consolidación de una garantía jurisdiccional de orden internacional. El surgimiento de tribunales y de organismos cuasi-jurisdiccionales internacionales para la tutela jurídica de los Derechos Humanos representa la evolución de la protección del individuo, dimensionando la importancia de contar con un recurso judicial efectivo”.141 La necesidad de garantizar la supremacía de la ley, ha vuelto nuevamente el acento en los operadores jurisdiccionales. Como explica el autor citado, “la revisión judicial de los actos y leyes constituyen una pieza fundamental del Estado de Derecho, por lo que los jueces han asumido un rol protagónico en la construcción de las sociedades democráticas en la protección de las libertades públicas de los gobernados”.142 En aquellos casos en que la normativa internacional es recepcionada por el orden interno con jerarquía supra constitucional o constitucional, el examen de confrontación ejercido en el control de convencionalidad difuso o interno responde a prácticamente el mismo caudal normativo (derecho interno con Convención y jurisprudencia interamericana), siendo el elemento diferenciador de las dos órbitas mencionadas supra el hecho que éste control es ejercido por una multiplicidad de operadores, algunos de ellos nacionales y otros interamericanos, así como la jerarquía de cada norma del respectivo conjunto. Sin embargo, ambas órbitas presentan diferenciaciones. El Juez interamericano, al formular el control de convencionalidad no reemplaza a la autoridad judicial doméstica, “no se erige en legislador o juzgador nacional sino que aprecia los actos de aquéllos al amparo de la Convención”.143 Por otra parte, el juez nacional si bien se convierte en juez interamericano, realiza su tarea constreñido por la vinculatoriedad de las decisiones supranacionales. En el supuesto de los operadores nacionales que ejercen el control de convencionalidad, vemos la confluencia entre éste y el control de constitucionalidad. Desde el punto de vista procedimental, el control difuso de convencionalidad implica una simbiosis de las herramientas procedimentales. La articulación de ambos regímenes de control resulta sumamente relevante, en virtud de sus proyecciones, tanto de índole sustancial, como procedimental. Esto nos lleva a formular algunos cuestionamientos de índole sistemática, a fin de ponderar el margen de interrelación recíproca de ambos sistemas de control. La primera pregunta que podría formularse, es si es conveniente esta retroalimentación. Me inclino por considerar positiva la respuesta aportada por la CSJN, englobada sobre la idea de la coordinación de ambos sistemas144. Así, se ha sostenido que “ambas doctrinas responden a dimensiones jurídicas diferentes, pero íntimamente relacionadas”.145 En su voto razonado citado, Ferrer Mac-Gregor explicó que “Se advierte claramente una “internacionalización del Derecho Constitucional”, particularmente al trasladar las “garantías constitucionales” como instrumentos procesales para la tutela de los derechos fundamentales y salvaguarda de la Vr. Marbury v. Madison, USSC, 1 Cranch (5 U.S.) 138, 2 L.Ed.60 (1803). García Morelos, (2012), p. 188. 142 Ibidem, p. 187. 143 Ver, en este sentido, a Albanese, Susana, Garantías Judiciales, op. cit., p. 347. 144 CSJN, “Videla”, Fallos: 333:1657 (2010). 145 Cao, Cristian, Control de constitucionalidad… op. y pp. cit. 140 141 124 © Filodiritto Editore “supremacía constitucional”, a las “garantías convencionales” como mecanismos jurisdiccionales y cuasi jurisdiccionales para la tutela de los derechos humanos previstos en los pactos internacionales cuando aquéllos no han sido suficientes, por lo que de alguna manera se configura también una ‘supremacía convencional’”. Recordemos que, el sistema de control de constitucionalidad no se presenta de manera estática, sino que fluye y muta por diversos factores, tanto endógenos como exógenos. Así, “esa clase de control constituye una variable dentro de la dinámica del poder con permanentes tensiones y desplazamientos y cuyos contornos presentan una capilaridad y un flujo de recíprocas influencias con otros campos”.146 Es natural, entonces, que el impacto del control de convencionalidad repercuta en sus dimensiones y se entrelace con su accionar. Esto lleva a preguntarse si la doctrina del control de convencionalidad implica una exigencia de modificación del sistema nacional de control de constitucionalidad en su diseño procedimental. En aquellos países en que se prevé un sistema difuso de control de convencionalidad, la articulación de éste no presenta mayores dudas, ya que todo órgano podría formular un control de convencionalidad/constitucionalidad, con algunas exigencias procedimentales que serán analizadas más adelante, como la posibilidad de la realización del primero de ellos de oficio. Por otra parte, Eduardo Ferrer Mac-Gregor aclara que la doctrina en estudio no exige que los países que han aceptado la jurisdicción de la CorteIDH adapten su sistema de control de constitucionalidad al modelo difuso, sino que, a partir del sistema existente, apliquen los magistrados pertinentes, en el ámbito de sus respectivas competencias y regulaciones procesales, el control de convencionalidad.147 Lo que se demandaría es un grado mínimo de articulación conjunta, a fin de otorgar solvencia al sistema. En aquellos sistemas mixtos o concentrados, en los que se verifica la existencia de organismos jurisdiccionales que no ejercen control de constitucionalidad en su matriz represiva, el ejercicio del control difuso de convencionalidad será realizado por éstos en su hipótesis de mínina. Explica Ferrer Mac-Gregor que “la precisión de la doctrina relativa a que los jueces deben realizar “de oficio” el control de convencionalidad “evidentemente en el marco de sus respectivas competencias y de las regulaciones procesales correspondientes”,148 no puede interpretarse como limitante para ejercer el “control difuso de convencionalidad”, sino como una manera de “graduar” la intensidad del mismo. Esto es así, debido a que este tipo de control no implica necesariamente optar por aplicar la normativa o jurisprudencia convencional y dejar de aplicar la nacional, sino implica además y en primer lugar, tratar de armonizar la normativa interna con la convencional, a través de una “interpretación convencional” de la norma nacional… pudiendo incluso optar por la interpretación más favorable en caso de aplicabilidad de la Convención Americana y otros tratados internacionales sobre derechos humanos”.149 Paralelamente, «en caso de incompatibilidad absoluta, donde no exista “interpretación convencional” posible, si el juez carece de facultades para desaplicar la norma, se limitará a señalar la inconvencionalidad de la misma o, en su caso, “plantear la duda de inconvencionalidad” ante otros órganos jurisdiccionales competentes dentro del mismo sistema jurídico nacional que puedan ejercer el “control de convencionalidad” con mayor intensidad. Así, los órganos jurisdiccionales revisores tendrán que ejercer dicho “control” y desaplicar la norma o bien declarar la invalidez de la misma por resultar inconvencional».150 Dentro de este marco, la CSJN ha referido a la “concordancia” de ambos modelos, desde el punto de vista procesal. En el caso particular Argentino, a través de los años, la jurisprudencia de la CSJN relativa a los Trionfetti, Víctor, El sistema…, op. cit., p. 582. Ferrer Mac-Gregor, (2012) p. 110. 148 El Juez citado indica que la precisión fue realizada a partir del Trabajadores Cesados del Congreso (Aguado Alfaro y otros) vs. Perú Serie C, 158, esp. (2006), citado precedentemente. 149 Voto razonado del Juez Ferrer Mac-Gregor, en la causa Cabrera García, sentencia del 26 de noviembre de 2010, Serie C. nro. 220, citada con anterioridad, párrs. 35 y 38. 150 Idem párr. 39. 146 147 125 © Filodiritto Editore aspectos sustanciales y formales del recurso extraordinario federal adoptó diversas reacciones frente a la potencial responsabilidad internacional del Estado. En algunos períodos, este aspecto resultó indiferente para el Tribunal, mientras que en otros revistió gravedad y trascendencia institucional. Paralelamente, los efectos que esta calificación fue imprimiendo en la tramitación del remedio, así como en los pronunciamientos en sí, fueron disímiles. En lo que hace a la cuestión federal, el Tribunal sentó diversas líneas, discriminando las cláusulas federales o no del instrumento, considerando todo tratado como derecho federal, o refiriendo autónomamente a la cuestión federal por potencial responsabilidad internacional del estado. En algunos fallos Tribual cimero ponderó no solo la referencia a un tratado internacional, sino la potencial responsabilidad que la violación de un compromiso o una norma internacional podía implicar para el Estado argentino. En una serie específica de precedentes dictados en los últimos años, sostuvo que la potencial responsabilidad internacional del Estado cualificaba per se como cuestión federal suficiente a los fines del artículo 14 de la ley 48. Esta posición es razonable, teniendo en consideración la posición adoptada por el Tribunal respecto de la aceptación de la doctrina del control de convencionalidad, y su concordancia procedimental con el control de constitucionalidad. Con posterioridad el criterio en torno a la existencia de cuestión federal por potencial responsabilidad internacional ha sido reiterado en diversos pronunciamientos en los que estaba en juego la interpretación de normas del sistema regional de derechos humanos, tratados con jerarquía constitucional, conforme el artículo 75 inc. 22 de la norma suprema. Esto resulta especialmente relevante, ya que el máximo tribunal, de manera enfática, refiere directamente a la cuestión federal por responsabilidad internacional. Si esta referencia puede encontrarse enlazada entre sus argumentos a las fórmulas clásicas del artículo 14 de la ley 48, el criterio se vincula directamente al control de convencionalidad, ya que remite directamente a la Corte Interamericana, órgano a cargo de monitorear tal responsabilidad. La fórmula utilizada por el Tribunal, respetada prácticamente de manera textual, es la siguiente: “…al hallarse cuestionado el alcance de una garantía del derecho internacional, el tratamiento del tema resulta pertinente por la vía establecida en el artículo 14 de la ley 48, puesto que la omisión de su consideración puede comprometer la responsabilidad del Estado argentino frente al orden jurídico supranacional…”. Si bien el criterio no ha sido dejado de lado expresamente en precedentes posteriores, su número es aún escaso para sugerir con contundencia la presencia de una línea jurisprudencial consolidada plenamente. Sin embargo, los fallos demuestran la seriedad del compromiso de la Corte en su intención de utilizar su rol institucional en miras a evitar la responsabilidad internacional del Estado, criterio reiterado también en otros pronunciamientos que, sin tratar en concreto el tema de la cuestión federal –en algunos casos son procesos deducidos en instancia originaria ante la Corte, o apelaciones ordinarias en materia de extradición, etc. si constituyen “esfuerzos importantes para cumplir con las decisiones de la Corte IDH...”.151 La figura de la cuestión federal por potencial responsabilidad internacional del Estado contiene en su propia logicidad elementos que pueden actuar de contención y límite a posibles desbordes. El supuesto de por sí no resulta ajeno al marco otorgado por el artículo 14 de la ley 48, ya que el tratado constituye, por sí mismo, una cuestión federal. Efectivamente, un primer avance que otorgó consistencia al sistema fue logrado cuando el Tribunal resolvió adoptar el criterio jurisprudencial conforme al cual se concibe que todo tratado o instrumento internacional implica, por sí mismo, que existiera cuestión federal en la causa en los que ellos se analizan. Ahora bien, si se optara solo por esta variable, no se verificaría vinculación alguna entre el concepto de “cuestión federal” y la jurisprudencia de la Corte Interamericana, cuyas decisiones son vinculantes conforme la doctrina del control de convencionalidad. Es en la referencia a la potencial responsabilidad internacional del Estado donde se concretiza la vinculación, ya que, justamente, el órgano que posee la potestad de verificarla es el mencionado Tribunal supranacional. Así, se cierra el círculo argumentativo, otorgándose coherencia y legitimación al sistema, y, estatuyéndose también 151 Oteiza, (2012). p. 80. 126 © Filodiritto Editore su propia limitación, en miras a evitar su abuso. A fin de dotar de concordancia al control de constitucionalidad con el control de convencionalidad, no bastaba con señalar que había un tratado en juego, sino que era necesario resaltar o vincular ambos sistemas. Como el intérprete auténtico de ese instrumento era la Corte Interamericana, organismo que, en virtud de la Convención Americana de Derechos Humanos, podría resolver en casos contenciosos que el Estado Nacional era responsable de su violación, en virtud de no respetar sus directrices y precedentes, la noción de “responsabilidad internacional” resulta idónea para concretar esta coordinación. Al referir a la “responsabilidad internacional” como elemento determinante de la cuestión federal, y no solo al carácter normativo del instrumento, es decir, a su naturaleza de norma federal, se está poniendo el acento en los productos de los operadores internacionales y su injerencia en la jurisdicción constitucional doméstica. Este criterio destaca la función de la CorteIDH, que ejerce el carácter concentrado del control de convencionalidad. En el marco de esta línea jurisprudencial, los elementos exigidos por la CorteIDH se corresponden a los extremos ponderados por la Corte Argentina. En consecuencia, la herramienta interna se engarza perfectamente con las exigencias convencionales, dándole fluidez al sistema. Una adecuada aplicación del sistema de fuentes y su vinculatoriedad, sobre todo en lo que refiere a la efectiva demostración de la existencia de precedentes que permitan vislumbrar con seriedad esa potencial responsabilidad, permitiría acotar y otorgar límites específicos al tema. Contribuye a ello que este caudal argumentativo supranacional es heterónomo, ajeno a la misma CSJN, lo cual reduciría la potencial manipulación de las pautas pretorianas, si bien el máximo tribunal nacional mantendría su rol de máxima instancia doméstica en el engranaje del control de convencionalidad y el control de constitucionalidad. A través de este criterio, el recurso extraordinario federal resultaría una herramienta idónea para proyectar un rol unificador del ejercicio del control difuso de convencionalidad por los tribunales inferiores y provinciales argentinos, permitiendo así que la CSJN actúe como engranaje entre éstos y los órganos internacionales, sin perder su protagonismo institucional. En consecuencia, desde una perspectiva externa, considerar determinante de la existencia de cuestión federal a la potencial responsabilidad internacional del Estado le otorga al rol institucional de la CSJN la dinámica adecuada en lo que refiere al diálogo entre tribunales, ya que pone el acento en la injerencia de la CorteIDH en el control de convencionalidad concentrado, y en cómo los jueces domésticos, al formular el control de convencionalidad interno, deben formular el juicio de compatibilidad teniendo en cuenta sus pronunciamientos. Desde una perspectiva interna, dado que se concibe la existencia de cuestión federal en aquellos supuestos en que se visualice la potencial responsabilidad internacional (entre la que debe incluirse una potencial sanción de los organismos internacionales), la CSJN se encontraría facultada para actuar en revisión en cualquier causa en que se pueda afectar el orden convencional, ejerciendo, de esta manera, una casación del control de convencionalidad doméstico, y enfatizando su carácter de máximo Tribunal de la Nación. A través de la pauta jurisprudencial objeto del presente estudio, la Corte delimitaría su accionar como cabeza del control difuso de convencionalidad. Esta opción se vería contenida dentro del marco pretoriano convencional, lo que contribuiría a impedir manipulación por los órganos judiciales internos. Resulta sumamente positivo que la CSJN haya articulado su herramienta prioritaria, el recurso extraordinario federal, con el énfasis que ha otorgado a su política de diálogo institucional con la CorteIDH, sin que ello implique haber alterado el diseño y la naturaleza de una figura tan sensible al mapa jurisdiccional y federal argentino, como es la noción de “cuestión federal”. En consecuencia, el criterio pretoriano analizado, utilizado por el Tribunal en un número reducido, aunque trascendente, de pronunciamientos, es considerado idóneo y recomendable para representar la coordinación entre control difuso de constitucionalidad y de convencionalidad en el sistema argentino, lo que recomienda su continuación y afianzamiento. 127 © Filodiritto Editore 7. Perspectiva final La doctrina del control de convencionalidad, gestada por la Corte Interamericana de Derechos Humanos, presenta elementos ya consensuados, y aspectos novedosos y desafiantes. El control originario, propio, o externo, desarrollado por el Tribunal transnacional, no presenta inconvenientes propios, sino que, en su caso, reedita los cuestionamientos ya formulados al sistema en general, que nuevamente convocan a presentar propuestas superadoras. Por su parte, es el control difuso, y su instrumentación por los jueces domésticos, el que presenta mayores desafíos de articulación, que se desgranan desde aspectos procedimentales, hacia elementos troncales de lealtades y jerarquías de fuentes. El elemento que determinará el éxito de la doctrina se encuentra ínsito en los términos “diálogo jurisprudencial”, “coexistencia armónica” con que se procura calificar al accionar recíproco de los operadores tanto transnacionales como nacionales, en miras a que tales palabras procuren asidero en la realidad. Es en este campo de interacción recíproca, en que el recurso al intérprete externo, el derecho comparado, y la interpretación conforme al orden internacional de los derechos humanos, deben procurar un punto de consistencia y equilibrio, que aporte coherencia al sistema, y robustezca su perfil tuitivo. Referencias bibliográficas: Albanese, Susana (2007): Garantías Judiciales (Buenos Aires, Ed. Ediar, Segunda edición ampliada y actualizada). Alves Pereira, Antonio Celso, (1994) “El Acceso a la Justicia y los Derechos Humanos en Brasil”, Revista del Instituto Interamericano de Derechos Humanos, (20) julio-diciembre 1994 p: 23 y ss. Ayala Corao, Carlos (2010, “La doctrina de la inejecución de las sentencias internacionales en la jurisprudencia constitucional de Venezuela (1999-2009)”, en: Von Bogdandy Armin, Ferrer Mac Gregor, Eduardo y Morales Antoniazzi, Mariela (coordinadores), La justicia constitucional y su internacionalización, México, UNAM – Max Planck Institut, 2010, T. 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Control de convencionalidad. – 6.2 Un potencialmente útil aporte argumental tanto en sede interna como en la dimensión internacional. – 7. Epílogo. 1. Introducción En el presente trabajo nos proponemos realizar algunas reflexiones generales sobre el amicus curiae (“amigo del tribunal” o “asistente oficioso”) y subrayar su incidencia o utilidad para elevar la cotización cualitativa del debate jurisdiccional constitucional. En el curso de este emprendimiento propositivo, y luego de intentar un acercamiento conceptual, enfocaremos en primer término la génesis de la figura, su trasvase al derecho inglés y posterior canalización hacia otros ámbitos geográficos donde impera el Common Law, además de su utilización en instancias internacionales y el paulatino empleo que de la misma llevan adelante los órganos de cierre de la justicia constitucional en ciertas latitudes del arco latinoamericano. Posteriormente, describiremos de manera sucinta la metamorfosis que sufriera el instituto desde su configuración primigenia hasta la actualidad y, en función de lo anticipado, nos detendremos en las interesantes perspectivas y potencialidades funcionales que suministra para brindar mayor transparencia a las decisiones jurisdiccionales de interés público, encumbrarse como un vehículo para democratizar la discusión jurisdiccional y, por extensión, vigorizar la garantía del “debido proceso”, que involucra – inter alia – la emisión de sentencias razonadas, justas y jurídicamente sustentables, misión eminente en cabeza de los jueces constitucionales, cuya legitimidad en buena medida se asienta en la razonabilidad de sus pronunciamientos. Es que en este ámbito, como en general sucede en todos los espacios jurídicos relevantes, la labor de la magistratura constitucional debe estar recorrida axiológicamente por la pauta de la razonabilidad, imperativo irrecusable del Estado Constitucional. Retomando el anuncio del itinerario que proyectamos transitar, advertimos que en el tramo final del nudo del trabajo – y de modo inmediatamente anterior al epílogo – no estarán ausentes ciertas apreciaciones en torno al aporte que la figura puede brindar en un ámbito especialmente significativo: el de la aplicación, por los magistrados locales, del derecho internacional de los derechos humanos, Doctor en Ciencias Jurídicas y Sociales. Posgraduado en “Constitucionalismo y Democracia”, Universidad de Castilla-La Mancha, Toledo, España. Catedrático de las asignaturas: i) Derecho Constitucional y Derechos Humanos; ii) Derecho Procesal Constitucional (DPC), y iii) Derecho Internacional Público; y Fundador y actual Director del Instituto de Derecho Constitucional, Procesal Constitucional y Derechos Humanos, de la Facultad de Derecho y Ciencias Sociales de la Universidad Católica de Cuyo (San Juan, Argentina). Profesor de Posgrado en la Universidad de Buenos Aires (UBA) y en diversas Universidades argentinas y del exterior. Miembro de la Junta Directiva del Instituto Iberoamericano de DPC. Vicepresidente del Centro Argentino de DPC. Este ensayo ha sido publicado en la Revista Brasileira de Estudos Constitucionais, Ano 8, N° 28, jan./abr. 2014, Fórum, Belo Horizonte, Brasil. * 131 © Filodiritto Editore sin soslayar su paralela contribución a la labor de los propios jueces de tribunales internacionales; perfil funcional de una magnitud tal que invita, al menos, a desterrar visiones que descarten a priori el instituto que concita aquí nuestra atención. 2. Perfiles de la figura En una caracterización sólo preliminar del instituto, aunque de utilidad para perfilar sus contornos básicos y siempre dejando a buen resguardo las particularidades que puede exhibir cada contexto jurídico específico, cabe recordar que: están facultadas para comparecer como amici curiae las personas físicas o de existencia real y las personas jurídicas, morales o de existencia ideal (según las distintas nomenclaturas que puedan emplearse), siempre que acrediten reconocida competencia en la temática en examen en el proceso; el amicus curiae no reviste carácter de parte ni mediatiza, desplaza o reemplaza a éstas; su intervención no debe confundirse con la de un perito o de un consultor técnico; su actividad se ciñe a expresar una opinión fundada en defensa de un interés público o de una cuestión institucional relevante, por lo que, precisamente, debe ostentar un afán justificado en la decisión que pondrá fin al pleito en el que se presenta, debiendo aquél exceder el de los directamente afectados por la resolución concreta; y, por último, su comparendo no vincula al Tribunal actuante ni genera costas u honorarios. En la línea indicada, su condición de amigo del Tribunal se materializa a través de una actividad de alegación sobre el tema que constituye el objeto de una decisión judicial, tarea que realiza como tercero, es decir, como persona ajena a la relación jurídico-procesal pero interesada en el resultado del juicio1 en el que se debatan cuestiones jurídica, social, política y/o institucionalmente sensibles. 3. Génesis y propagación 3.1 Origen y difusión hacia espacios de habla o influencia inglesas Los primeros antecedentes del instituto pueden ubicarse en el derecho romano2 y luego en el derecho inglés, siendo posteriormente receptado y desarrollado en el contexto jurídico norteamericano y en otros países de habla o influencia inglesas. Así, en relación con estos últimos, pueden computarse la Regla (Rule) 18 de la Suprema Corte de Justicia de Canadá; la Orden IV, par. I, de las Reglas de la Suprema Corte de India; la Rule 81 de la High Court de Nueva Zelanda y, en Australia, el precedente ‘Lange vs. ABC’ [S 108/116]3; además de la Corte Constitucional de Sudáfrica, donde la utilización de la figura es alentada con intensidad. Por su parte, en EE.UU. la práctica está muy arraigada4. De hecho, en las Rules del Alto Tribunal5, se hace referencia a los amici curiae en diversos pasajes: las Nos. 21.2.‘b’, 21.4, 28.7, 29.6, 32.3, 33.1, 44.5 y, fundamental y específicamente, en la N° 37, que con claridad deja al descubierto cuál es el criterio imperante a la hora de meritar la calidad de las presentaciones que en tal carácter se le formulen, al disponer que el memorial de un amicus curiae que destaca a la Corte una cuestión relevante que las partes aún no le han señalado, puede brindarle una ayuda considerable, mientras que uno que no Cfr. Trionfetti, Víctor, “El enriquecimiento del debate judicial a través de la figura del amicus curiae”, La Ley, 2003-F, Buenos Aires, p. 71. Cfr. Cueto Rúa, Julio C., “Acerca del amicus curiae”, La Ley, Buenos Aires, 1988-D-721. 3 Cfr. Umbricht, Georg C., “An ‘Amicus Curiae Brief’ on Amicus Curiae Briefs at the WTO”, en Journal of International Economic Law, p. 780, nota 32 a pie de página. 4 El caso “Green vs. Biddle” (21 U.S. 1 [1823]) fue uno de los pioneros en la materia en el repertorio jurisprudencial de la Suprema Corte de Justicia norteamericana. 5 En vigor desde el 1 de julio de 2013. Su texto puede ser consultado en http://www.supremecourt.gov/ctrules/2013RulesoftheCourt.pdf. 1 2 132 © Filodiritto Editore persiga dicho propósito dificulta la tarea de la Corte y su presentación es vista con disfavor (pto. 1). Precisamente en el marco norteamericano el instituto ha tenido valor protagónico en causas importantes de la Suprema Corte de Justicia Federal, como las referidas a la problemática antidiscriminatoria6, la disputa aborto-antiaborto7 y la eutanasia8 (mercy killing). En torno al tema, Böhmer advierte que los casos que la Corte Suprema norteamericana selecciona para decidir son paradigmáticos de alguna situación determinada y sientan jurisprudencia sobre el tema para el futuro, agregando que la importancia de tales causas se hace evidente a partir de la gran cantidad de capital social acumulado previamente a la decisión del Tribunal9. Convergentemente, Sola ha precisado que dentro del modelo dialógico de creación de precedentes, el amicus curiae permite la ampliación de participantes en el debate. Así, mientras mayor sea la participación de ideas en el debate constitucional, mayor será la legitimidad del precedente que se establezca y, al mismo tiempo, se cumplirá con el fundamento democrático de que las normas son autoimpuestas y, de allí, obligatorias y legítimas10. En ese sentido, la utilidad del amicus curiae está centrada en que permite transformar una acción de inconstitucionalidad entre dos partes en un debate amplio sobre la inconstitucionalidad de una norma, ya que toda persona o sector interesados en la problemática pueden presentar memoriales sobre la cuestión federal planteada, lo que permite conocer todos los argumentos posibles sobre el punto, facilitando la acción de los jueces al tomar conocimiento de elementos que las partes no habrían incorporado. Precisamente aquella amplitud del debate – se ha añadido – es lo que permitirá que el precedente constitucional que surja de la sentencia tenga verdadera ejemplaridad11. 3.2 En instancias internacionales De la misma manera, la figura ha recibido acogida y, en algunos casos, ha tenido amplia utilización en el ámbito del derecho internacional de los derechos humanos y otras instancias transnacionales12. En tal sentido, y con distintos alcances y grados de desarrollo, pueden computarse los supuestos de; − la Comisión IDH, donde tales presentaciones son moneda corriente; V. gr., “Regents of the University of California vs. Bakke” (438 U.S. 265 [1978]). “Webster vs. Reproductive Health Services” (492 U.S. 490 [1989]). 8 En oportunidad del debate sobre la constitucionalidad de las leyes de los Estados de Washington y Nueva York que prohibían a los médicos ayudar a morir a los pacientes que así lo solicitaban, es posible verificar por ejemplo la presentación de un memorial de amicus por parte de seis filósofos morales y políticos de indiscutidos predicamento científico y estatura intelectual: Ronald Dworkin, Thomas Nagel, Robert Nozick, John Rawls, Thomas Scanlon y Judith Jarvis Thomson. También, y sin abandonar el marco meramente referencial, se presentaron como amici curiae 72 premios Nobel (además de diversas academias de ciencias estatales y otras organizaciones científicas) en el caso “Edwards vs. Aguillard” ante la Suprema Corte de Justicia de EE.UU. (482 U.S. 578 [1987]), fallado el 19 de junio de 1987. Aquí finalmente se confirmó por mayoría (7 a 2) la declaración de inconstitucionalidad de una ley del Estado de Louisiana (“Balanced Treatment for Creation-Science and Evolution-Science in Public School Instruction Act”) que proscribía enseñar en las escuelas públicas la teoría de la evolución salvo que fuese acompañada de la enseñanza del creacionismo bíblico. Entre otros argumentos, los amici señalaron que “la enseñanza de ideas religiosas etiquetan incorrectamente cómo la ciencia es perjudicial para la educación científica: establece un falso conflicto entre la ciencia y la religión, engaña a nuestra juventud sobre la naturaleza de la investigación científica y, por tanto, compromete nuestra capacidad de responder a los problemas de un mundo cada vez más tecnológico” (“Teaching religious ideas mislabeled as science is detrimental to scientific education: It sets up a false conflict between science and religion, misleads our youth about the nature of scientific inquiry, and thereby compromises our ability to respond to the problems of an increasingly technological world”). La anticonstitucionalidad se basó en la violación de la cláusula de establecimiento contenida en la Primera Enmienda de la Constitución estadounidense. En su parte pertinente, aquélla dispone que el Congreso no dictará ley alguna por la que adopte una religión como oficial del Estado o se prohíba practicarla libremente (“Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof”). 9 Böhmer, Martín, “Introducción a los Amici Curiae”, en Perspectivas Bioéticas en las Américas, N° 4, segundo semestre de 1997, FLACSO, Buenos Aires, pp. 101/102. 10 Sola, Juan V., “El recurso extraordinario y el debate constitucional”, en el ‘Número especial: Recurso extraordinario federal’, Jurisprudencia Argentina, 26 de marzo de 2003, Buenos Aires, p. 95. 11 Ibíd., p. 96. 12 Algunas interesantes referencias sobre el punto pueden compulsarse en Pascual Vives, Francisco José, “El desarrollo de la institución del amicus curiae en la jurisprudencia internacional”, Revista Electrónica de Estudios Internacionales, vol. 21, Asociación Española de Profesores de Derecho Internacional y Relaciones Internacionales, 2011 (http://www.reei.org/index.php/revista/num21/articulos/ desarrollo-institucion-amicus-curiae-jurisprudencia-internacional). 6 7 133 © Filodiritto Editore − la Corte IDH, tanto en asuntos contenciosos como en opiniones consultivas (cfr. arts. 2.3, 41, 47.3 y 67.3 de su Reglamento13); − el Tribunal Europeo de Derechos Humanos, de acuerdo con el art. 36.2 de la Convención Europea para la Protección de los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales, de acuerdo con lo establecido por el art. 1 del Protocolo N° 1114, relativo a la reestructuración del mecanismo de control establecido por el Convenio, norma que establece la “intervención de terceros” ante el Tribunal15; −los órganos de supervisión del sistema africano estatuido por la Carta de los Derechos Humanos y de los Pueblos – Carta de Banjul –, adoptada en 1981 por la Organización de la Unidad Africana y en vigor desde 1986; −los Tribunales Penales Internacionales para la ex Yugoslavia y para Ruanda y la Corte Especial para Sierra Leona, según los respectivos arts. 74 de las Reglas de Procedimiento y Prueba; − la Corte Internacional de Justicia, en el ejercicio de cuya competencia consultiva pueden participar las ONGs (cfr. art. 50 de su Estatuto), mientras que en los casos concernientes a su jurisdicción contenciosa pueden intervenir los organismos internacionales, incluso intergubernamentales; − la Corte Penal Internacional, en función del art. 103 de las Reglas de Procedimiento y Prueba; − los paneles y el Cuerpo de Apelación de la Organización Mundial del Comercio (OMC); − el Centro Internacional de Arreglo de Diferencias Relativas a Inversiones (CIADI)16. 4. Empleo del instituto por distintos órganos de cierre de la justicia constitucional en Latinoamérica 4.1 Introducción En el plano del derecho interno estatal latinoamericano, es preciso destacar enunciativamente algunos casos de utilización del instituto por los respectivos órganos máximos de la jurisdicción constitucional, sea por vía reglamentaria desarrollada por tales tribunales o por materialización legislativa. Nos referimos a la Corte Suprema de Justicia de Argentina, el Tribunal Constitucional del Perú, el Supremo Tribunal Federal del Brasil y la Corte Constitucional de Colombia. Veremos asimismo, de una manera breve, cierta praxis de la Corte de Constitucionalidad de Guatemala y nos referiremos al tema en México, donde por cierto la figura no resulta desconocida y su instrumentación ha sido reclamada desde algunos sectores de la comunidad jurídica. 4.2 El recorrido propuesto A. Argentina a. Liminarmente corresponde advertir que no existe una ley genérica en el orden federal que consagre el instituto. Sólo se observan ciertas normas que sectorialmente habilitan su actuación en determinadas circunstancias. Nos referimos a los arts. 7 de la Ley N° 24.48817 y 18, inc. ‘e’, de la Ley N° 25.87518. 13 Cfr. el texto aprobado por la Corte en su XLIX Período Ordinario de Sesiones celebrado del 16 al 25 de noviembre de 2000 y reformado parcialmente en el LXXXII Período Ordinario de Sesiones del Tribunal, celebrado del 19 al 31 de enero de 2009. 14 El Protocolo N° 11 (STE N° 155) entró en vigencia el 1 de noviembre de 1998. 15 El art. 13 del Protocolo N° 14 a dicha Convención adicionó un nuevo parágrafo al final del mencionado art. 36 de ésta, disponiendo: “3. In all cases before a Chamber or the Grand Chamber, the Council of Europe Commissioner for Human Rights may submit written comments and take part in hearings”. Es decir, en español: “3. En cualquier asunto que se suscite ante una Sala o ante la Gran Sala, el Comisario de Derechos Humanos del Consejo de Europa podrá presentar observaciones por escrito y participar en la vista”. Vale recordar que el nombrado Protocolo (STCE N° 194) entró en vigor el 1 de junio de 2010. 16 Para ampliar sobre el tema en el derecho comparado, ver Bazán, Víctor, por ejemplo, en “El amicus curiae en el derecho comparado y su instrumentación reglamentaria por la Corte Suprema de Justicia argentina”, Anuario Iberoamericano de Justicia Constitucional, N° 10, 2006, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, pp. 15/50. 17 Boletín Oficial (B.O.) de 28 de junio de 1995. 18 B.O. de 22 de enero de 2004. 134 © Filodiritto Editore El primero de los dispositivos legales nombrados (Ley N° 24.488), sobre ‘Inmunidad de jurisdicción de los Estados extranjeros ante tribunales argentinos’, prevé en su art. 7 que “[e]n el caso de una demanda contra un Estado extranjero, el Ministerio de Relaciones Exteriores, Comercio Internacional y Culto podrá expresar su opinión sobre algún aspecto de hecho o de derecho ante el tribunal interviniente, en su carácter de ‘amigo del tribunal’” − énfasis propio −. Esta normativa establece como principio general que los Estados extranjeros son inmunes a la jurisdicción de los tribunales argentinos, pero en los términos y las condiciones fijados en dicha ley (art. 1), pasando a detallar una extensa serie de supuestos en los que tales Estados foráneos no podrán invocar esa inmunidad (art. 2). La posición que legalmente se adopta queda, así, en línea con la tendencia que venía patentizando hasta entonces el derecho internacional y la propia postura jurisprudencial de la Corte, superando la antigua teoría de la inmunidad jurisdiccional absoluta y ciertos inconvenientes aparejados por el art. 24, inc. 1°, del Decreto-ley N° 1.285/58 y el Decreto N° 9.015/63, que realizó un añadido al segundo párrafo del art. 24, inc. 1°, del aludido Decreto-ley N° 1.285/5819. Se ha valorado positivamente la figura del amicus introducida por la Ley N° 24.488, estimándose que permitirá al Estado Nacional, como parte interesada en velar por la armonía de las relaciones exteriores del propio país, acercar al tribunal las pautas necesarias para mensurar en todo su alcance las consideraciones políticas que permitan encuadrar el caso dentro del principio general del art. 1 ó, en su defecto, en las excepciones del art. 220. La intervención del amigo del tribunal, en tanto órgano del Estado no está sujeta a consentimiento, dado que tal exigencia sería innecesaria cuando quien se presenta como amicus es el propio gobierno o una de sus dependencias, no pudiendo las partes del proceso oponerse a ello; además de que el propio órgano jurisdiccional está facultado para solicitar a organismos del Estado que se hagan presentes en el litigio21. Por lo demás, y en lo que respecta al momento en que la presentación del amicus debería formalizarse, ello podría realizarse en todo momento, siendo recomendable hacerlo – a modo de alegato – previo al dictado de la sentencia de primera instancia, aunque también es posible el acogimiento de una primera intervención incluso ante la Alzada o la Corte Suprema de Justicia de la Nación22. Ya el segundo de los plexos normativos señalados (Ley N° 25.875) institucionaliza la Procuración Penitenciaria en el ámbito del Poder Legislativo de la Nación, asignándole las funciones que deberá desempeñar sin recibir instrucciones de ninguna autoridad (art. 1). Su objetivo fundamental es proteger los derechos humanos de los internos comprendidos en el Régimen Penitenciario Federal, de todas las personas privadas de su libertad por cualquier motivo en jurisdicción federal, incluidos comisarías, alcaldías y cualquier tipo de locales en donde se encuentren personas privadas de libertad y de los procesados y condenados por la justicia nacional que se hallen internados en establecimientos provinciales (id. art.). Específicamente en cuanto atañe al tema de este estudio, el art. 18 de la ley determina que el Procurador Penitenciario y el Adjunto, por orden del primero o en caso de reemplazo provisorio, están facultados para poner en conocimiento de lo actuado en cumplimiento de sus funciones, a los jueces a cuya disposición se encontrara el interno, respecto del cual se iniciara una actuación, pudiendo, a su vez, expresar su opinión sobre algún aspecto de hecho o de derecho ante el magistrado interviniente, en carácter de amigo del tribunal (inc. ‘e’). b. Efectuada la presentación preliminar de la situación normativa en el orden federal, y sin ley expresa que establezca de modo genérico el instituto (o sea, sin que mediara interpositio legislatoris), Ver, para ampliar, Rizzo Romano, Alfredo H., El Estado y los organismos internacionales ante los Tribunales extranjeros, Plus Ultra, Buenos Aires, 1996, pp. 125/129 y 235/251. 20 Uzal, María Elsa, “La inmunidad de jurisdicción y ejecución de Estados extranjeros (El rol del Estado argentino como ‘amicus curiae’)”, La Ley, 13 de mayo de 2003, Buenos Aires, p. 4. 21 Ibíd., pp. 4/5. 22 Ibíd., p. 5. 19 135 © Filodiritto Editore la Corte Suprema de Justicia dictó la Acordada N° 2823, de 14 de julio de 2004, en la que por mayoría autorizó y reglamentó la intervención de amigos del tribunal en las causas tramitadas ante ella en competencia originaria o apelada. Entre otros recaudos contenidos en la Acordada N° 28/2004, la Corte estableció que el presentante debía fundamentar su interés en participar de la causa e informar sobre la existencia de algún tipo de relación con las partes del proceso. Posteriormente, la Corte fue perfilando los alcances de la figura. Así lo hizo, básicamente, en “Juplast S.A. c/ Estado Nacional y A.F.I.P. s/ Amparo”24, de 31 de octubre de 2006, donde rechazó numerosas presentaciones de amici por considerar que ellas tenían por objeto “que la causa sea resuelta en un determinado sentido, con la finalidad de que se establezca así un precedente aplicable a otros pleitos de análoga naturaleza – iniciados o por promoverse – en los que los presentantes o sus representados sean parte o tengan un interés de carácter pecuniario comprometido en su resultado. En el indicado supuesto, la existencia de tal interés determina la improcedencia de la intervención como amigos del tribunal de quienes lo tuvieren, pues resulta incompatible con la imparcialidad que debe guiar la actuación de éstos” (consid. 3°). Basó primordialmente tal conclusión en que no se satisfacía el recaudo establecido en la Acordada N° 28/2004 en cuanto a que las presentaciones debían ser efectuadas por terceros ajenos a las partes que cuenten con una conocida competencia en la cuestión debatida, “con la única finalidad de expresar una opinión fundada sobre el objeto del litigio” (consid. 2°). Algunos de los lineamientos trazados en “Juplast” nos parecen opinables pues proyectan una imagen restrictiva del instituto, ya que – como advierte Courtis – cuando el Tribunal requiere “imparcialidad” como recaudo a cumplir por los presentantes, puede hacer suponer que éstos nunca podrían favorecer a alguna de las posiciones sustentadas por las partes. Añade tal autor que si “éste es el sentido de las palabras de los magistrados para definir ‘imparcialidad’, entonces ‘Juplast’ representa un retroceso en materia de admisibilidad del amicus. Pues es sumamente plausible que si entendemos a la práctica jurídica como una tarea eminentemente argumentativa, toda razón que se induzca para que el magistrado decida de una u otra manera está revestida de un ‘interés’. Si la imparcialidad implica desconocer o – peor aún – exigir que esto no exista, resultaría desconocer una de las características mismas de la práctica argumentativa e interpretativa. Por último, la acordada en su art. 2° exige, por un lado, una reconocida competencia sobre la cuestión debatida en el caso, y, por otro lado, fundar un interés para participar en él. En cuando a la primera exigencia, creo que ésta da buenas razones para presuponer que un amicus goza de un genuino interés de defensa de la cosa pública. Y en cuanto a la segunda exigencia, la propia Corte presupone un interés de quien se presenta y, con éste, la intencionalidad de influir en la decisión final que recae en manos de los magistrados. De allí que aquello que aparece como un requisito para la procedencia del amicus no podría entenderse como un impedimento para el mismo”.25 Sea como fuera, las pautas de viabilidad de las presentaciones de los amigos del tribunal sentadas en “Juplast” fueron confirmadas posteriormente. Así, en el caso “Loñ, Carolina y otros c/ Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires y otros”26, de 13 de noviembre de 2007, la Corte rechazó el pedido de los actores en punto a que se desglosara una articulación formalizada por quienes comparecieron como amigos del tribunal, ya que consideró que la presentación se ajustaba a lo establecido en la Acordada N° 28/2004, sin que se advirtiera que hubiese tenido por objeto que la causa fuera resuelta en un determinado sentido, con la finalidad de que se estableciera así un precedente aplicable a otros pleitos de análoga naturaleza – iniciados o por promoverse – en los que los presentantes o sus representados fueran parte o tuvieran un interés de carácter pecuniario comprometido en su resultado. Un análisis específico de la reglamentación citada en el texto puede consultarse en Bazán, Víctor, “La Corte Suprema de Justicia de la Nación y un importante respaldo institucional a la figura del amicus curiae”, Jurisprudencia Argentina. Suplemento de Jurisprudencia de la Corte Suprema de Justicia de la Nación, LexisNexis, Buenos Aires, 29 de setiembre de 2004, pp. 5/16. 24 Fallos, 329:4590. El decisorio fue firmado por los ministros Petracchi, Highton de Nolasco, Maqueda, Lorenzetti y Argibay. 25 Courtis, Christian, “Sobre el amicus curiae”, en Gargarella, Roberto (coord.), Teoría y Crítica del Derecho Constitucional, T° I, Abeledo-Perrot, Buenos Aires, 2008, p. 344, nota 44 a pie de página. 26 Causa “L.470. XLII”. Resolución firmada por los ministros Lorenzetti, Highton de Nolasco, Petracchi, Maqueda y Zaffaroni. 23 136 © Filodiritto Editore c. Dado que la regulación del instituto, tal como fue diseñada en su momento por la Acordada N° 28/2004, no dio los resultados esperados, por medio de la Acordada N° 7/2013, de 23 abril, la Corte Suprema modificó el régimen que regula la participación ante sus estrados de los amigos del tribunal, abrogando la citada Acordada N° 28/2004 y su par N° 14/2006, de 3 de mayo, que alude a esta última. Básicamente, la Acordada N° 7/2013 procura una mayor y mejor intervención de dichos actores sociales y, con ello, alcanzar los propósitos perseguidos de pluralizar y enriquecer el debate constitucional, así como fortalecer la legitimación de las decisiones jurisdiccionales dictadas por la Corte Suprema en cuestiones de trascendencia institucional. Dicha Acordada se aplicó en el procedimiento previo al dictado de sentencia en el muy importante fallo emitido in re G.439.XLIX, G.445.XLIX y G.451.XLIX, Recursos de hecho, “Grupo Clarín S.A. y otros c/ Poder Ejecutivo Nacional y otro s/ Acción meramente declarativa”27, de 29 de octubre de 2013, donde se pronunció respecto de la constitucionalidad de algunas disposiciones de la cuestionada Ley N° 26.522, de servicios de comunicación audiovisual28. A diferencia de lo que sucediera al sancionar la Acordada N° 28/2004 (dictada por mayoría, compuesta por los ministros Petracchi, Boggiano, Maqueda, Zaffaroni y Highton de Nolasco, con las disidencias de los jueces Belluscio, Fayt y Vázquez), en esta ocasión la Acordada fue aprobada por todos los ministros que la integran actualmente: jueces Lorenzetti, Highton de Nolasco, Fayt, Petracchi, Maqueda, Zaffaroni y Argibay. De una síntesis extrema del nuevo reglamento, que figura en anexo a la Acordada, pueden entresacarse los siguientes lineamientos salientes de la remozada configuración del instituto: las personas físicas o jurídicas que no fueren parte en el pleito, y que cuenten con reconocida competencia sobre la cuestión debatida en él, pueden presentarse ante el Tribunal en la calidad indicada, en todos los procesos judiciales correspondientes a la competencia originaria o apelada en los que se debatan cuestiones de trascendencia colectiva o interés general; quienes pretendan participar en la causa en el carácter mencionado, deben fundamentar en el primer capítulo de su escrito el interés que ostenten y expresar a qué parte o partes apoyan en la defensa de sus derechos, si han recibido de ellas financiamiento o ayuda económica de cualquier especie, o asesoramiento en cuanto a los fundamentos de la presentación, y si el resultado del proceso les representará − directa o mediatamente − beneficios patrimoniales; la actuación del amigo del tribunal tiene por objeto enriquecer la deliberación en cuestiones institucionalmente relevantes, con argumentos fundados de carácter jurídico, técnico o científico, relativos a las cuestiones debatidas; y no podrá introducir hechos ajenos a los tomados en cuenta al momento de trabarse la litis, o que oportunamente hayan sido admitidos como hechos nuevos, ni versar sobre pruebas o elementos no propuestos por las partes en las etapas procesales correspondientes; la Corte establecerá cuáles son las causas aptas para la actuación de que se trata, mediante una providencia que − salvo situaciones de excepción − será dictada con posterioridad al dictamen de la Procuración General de la Nación29; el Tribunal podrá invitar a cualquier entidad, oficina, órgano o autoridad de su elección, para que tome intervención en los términos de la Acordada que reseñamos, a fin de expresar una opinión fundada sobre un punto determinado; el amigo del tribunal no reviste carácter de parte ni puede asumir ninguno de los derechos procesales que corresponden a éstas; su actuación no devengará costas ni honorarios judiciales; El voto que encabezó el acuerdo fue firmado por los ministros Lorenzetti y Highton de Nolasco; en sendos votos concurrentes se pronunciaron los jueces Petracchi y Zaffaroni; en disidencias parciales individuales lo hicieron los ministros Maqueda y Argibay; y en disidencia se expidió el juez Fayt. 28 B.O. de 10 de octubre de 2009. 29 Según el art. 9 de la Acordada, en el caso de que un tercero pretenda intervenir espontáneamente sin aguardar dicha providencia, deberá solicitar a la Corte la inclusión de la causa en el listado correspondiente. La petición se llevará a cabo mediante una presentación por escrito con las pautas formales establecidas en la Acordada, y deberá expresar la naturaleza del interés del peticionario y las razones por las cuales considera que el asunto es de trascendencia o de interés público. La Acordada advierte que, hasta tanto la Corte no tome una decisión expresa que admita la solicitud, no se aceptarán presentaciones en el carácter propuesto. 27 137 © Filodiritto Editore y sus opiniones o sugerencias tienen por objeto ilustrar a la Corte, la que no queda vinculada por éstas pero puede tenerlas en cuenta en su pronunciamiento. d. Como apunte marginal, cabe mencionar ya en el marco del derecho público local, que el amicus curiae ha sido expresamente establecido en la Ciudad Autónoma de Buenos Aires, concretamente, en el art. 22 de la Ley N° 402 de Procedimientos ante el Tribunal Superior de Justicia de esa Ciudad30, en el contexto de ejercicio de la acción declarativa de inconstitucionalidad estatuida en el art. 113, inc. 2°, de su Constitución31. Paralelamente, han hecho lo propio otros tribunales del ámbito provincial. Así, ejemplificativamente, el Superior Tribunal de Justicia de Río Negro, que lo hizo en la sentencia N° 41/04 (Secretaría de Causas Originarias N° 4), de 2 de septiembre de 2004, en Expte. N° 19.565/04, “Odarda, María Magdalena (amicus curiae) s/ Presentación”, quedando luego la figura implementada normativamente por medio de la Ley Prov. N° 4.18532, consolidada por Ley Prov. N° 4.27033; y la Suprema Corte de Justicia de Mendoza, cuya Sala Primera admitió la figura por vez primera en la causa N° 83.665: “Curel, Gastón Oscar y ots. en J° 30.554/114.678, Mancilla Cuello, Enrique Ariel y ots. c/ Municipalidad de la Ciudad de Mendoza p/ Ac. de Amp. s/ Inc.”, resuelta el 3 de febrero de 200634. B. Perú El art. 13.A35 del Reglamento Normativo del Tribunal Constitucional (aprobado mediante Resolución Administrativa N° 095-2004-P-TC, de 14 de septiembre de 2004) establece: “El Pleno o las Salas pueden solicitar información de los amicus curiae (amici curiarum), si fuera el caso, a fin de esclarecer aspectos especializados que puedan surgir del estudio de los actuados”. Por su parte, el art. 34 de dicho Reglamento36, determina: “Luego de instalada la audiencia, el Presidente dispone que el Relator dé cuenta, en forma sucesiva, de las causas programadas, precisando el número de expediente, las partes que intervienen y la naturaleza de la pretensión. El Presidente concede el uso de la palabra, hasta por cinco minutos al demandante y por igual tiempo al demandado, quienes se ubicarán a la izquierda y la derecha, respectivamente, frente a los Magistrados. A continuaSancionada el 8 de junio de 2000, y promulgada y publicada, respectivamente, el 6 y el 17 de julio del mismo año. El art. 22 mencionado en el texto principal determina lo siguiente: “Cualquier persona, puede presentarse en el proceso en calidad de asistente oficioso, hasta diez (10) días antes de la fecha de celebración de la audiencia. En la presentación deberá constituir domicilio en la jurisdicción. - Su participación se limita a expresar una opinión fundamentada sobre el tema en debate. - El/la juez/a de trámite agrega la presentación del asistente oficioso al expediente y queda a disposición de quienes participen en la audiencia. - El asistente oficioso no reviste carácter de parte ni puede asumir ninguno de los derechos procesales que corresponden a éstas. Las opiniones o sugerencias del asistente oficioso tienen por objeto ilustrar al tribunal y no tendrá ningún efecto vinculante con relación a éste. Su actuación no devengará honorarios judiciales. - Todas las resoluciones del tribunal son irrecurribles para el asistente oficioso. - Agregada la presentación, el Tribunal Superior, si lo considera pertinente, puede citar al asistente oficioso a fin de que exponga su opinión en el acto de la audiencia en forma previa a los alegatos de las partes. 31 Al solo efecto ilustrativo, se advierte que en el ámbito de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires coexisten dos sistemas de contralor de constitucionalidad: i) uno difuso e in concreto (cfr. artículos constitucionales 1, 106 y 113 –salvo el inc. 2° de esta última norma–), deferido a todos los órganos jurisdiccionales y que, por vía del recurso de inconstitucionalidad, puede llegar al Tribunal Superior de Justicia en todos los casos que versen sobre la interpretación o aplicación de normas contenidas en las Constituciones Nacional o local (ver art. 113, inc. 3°); y ii) otro concentrado e in abstracto, titularizado exclusivamente por el señalado Tribunal (art. 113, inc. 2°), el que conoce en instancia originaria y exclusiva de las acciones declarativas contra la validez de leyes, decretos y cualquier otra norma de carácter general emanada de las autoridades de la Ciudad, contrarias a la Carta Magna Nacional o a la local. Sobre el particular, y otros temas vinculados con la labor del Tribunal, ver Bazán, Víctor, “La operatividad de los derechos y las garantías no obstante las omisiones o insuficiencias reglamentarias inconstitucionales”, en Bidart Campos, Germán J. y Gil Domínguez, Andrés (coords.), Instituciones de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires, La Ley, Buenos Aires, 2001, pp. 97/128. 32 Sancionada el 19 de abril de 2007, y promulgada y publicada, respectivamente, el 7 y el 21 de mayo del mismo año. 33 Sancionada el 29 de noviembre de 2007, promulgada el 21 de diciembre del mismo año y publicada el 10 de enero de 2008. 34 Para una breve noticia de este último fallo, puede compulsarse Bazán, Víctor, “El amicus curiae y su debut en la jurisprudencia de la Sala Primera de la Suprema Corte de Justicia de Mendoza”, La Ley Gran Cuyo, Año 11, N° 6, julio de 2006, Buenos Aires, pp. 736/738. 35 Tal disposición fue incorporada por el art. 2 de la Resolución Administrativa N° 034-2005-P-TC, publicada el 23 de abril de 2005 en el Diario Oficial El Peruano. 36 Dicho artículo se encuentra vigente conforme a la modificación establecida por el art. 1 de la Resolución Administrativa N° 034, citada en la nota anterior. 30 138 © Filodiritto Editore ción, el Presidente concede el uso de la palabra a los abogados del demandante y del demandado, por el mismo tiempo, los cuales se ubicarán en igual forma que sus defendidos. Está permitida la réplica y dúplica a los abogados por el tiempo que determine el Presidente. Por último, cuando corresponda, se recibirá la participación del amicus curiae”. Para finalizar esta breve referencia, y ciñéndonos ahora a la jurisprudencia del Tribunal, pueden relevarse ejemplificativamente los siguientes casos de operativización práctica de la figura: Exptes. 020-2005-PI/TC y 021-2005-PI/TC (acumulados, Caso Hoja de Coca), sentencia de 27 de septiembre de 2005 (Pleno Jurisdiccional); y Expte. 3.081-2007-PA/TC, Lima, “R.J.S.A. vda. de R.”, recurso de agravio constitucional en proceso de amparo en torno a la problemática de la salud mental, resuelto el 9 de noviembre de 2007 (Sala Segunda). El/la Defensor/a del Pueblo ha intervenido en diversas ocasiones en calidad de amicus curiae tanto ante el Tribunal Constitucional (también el Poder Judicial), como ante la Comisión y la Corte Interamericanas. Tal participación se sustenta normativamente en el artículo 162 constitucional y en el art. 17, párr. 3°, de la Ley N° 26.520 (Orgánica de la Defensoría del Pueblo)37. C. Brasil El Supremo Tribunal Federal (STF)38, aun antes de la enmienda reglamentaria N° 15/04 que modificó el §3° del art. 131 del Reglamento Interno del STF, para disciplinar la intervención de terceros en procesos de control concentrado de constitucionalidad, ya había decidido algunos procesos de ADIn (Ação Direta de Inconstitucionalidade) viabilizando la participación de terceros. Por ejemplo, como señala da Cunha Ferraz, sobre el particular puede verse el relato y el voto del Ministro Celso de Mello en la ADIn 2321-MC/DF, generando una construcción jurisprudencial sobre la figura del amicus curiae que entrañó un verdadero leading case39. Más aún, se ha sostenido que de la interpretación del §2° del art. 7 de la Ley N° 9.868/99, surge que además de los órganos y entidades formalmente legitimados para articular la ADIn, también lo están cualesquiera otros entes dotados de significativa representatividad, llegándose a aseverar que el STF permitió la participación de amici curiae ya antes del dictado de tal ley, por ejemplo en la ADIn 748-4/RS (de 1994), receptando los memoriales de amici al visualizar a éstos como colaboradores informales del Tribunal en las acciones directas de inconstitucionalidad, sin integrar la relación procesal40. D. Colombia Los dos regímenes normativos que reglamentan las competencias de la Corte Constitucional (C.C.) en materias de proceso de inconstitucionalidad y de acción de tutela, son respectivamente los Decretos Nos. 2.06741 y 2.59142, ambos de 1991. Ninguno de ellos utiliza literalmente la expresión amicus curiae. El primero de los ordenamientos jurídicos mencionados ha consagrado la figura del “invitado” en el marco de la tipología de procesos que regula. Así, el art. 13 del Decreto Nº 2.067 establece: “El magistrado sustanciador podrá invitar a entidades públicas, a organizaciones privadas y a expertos en las materias relacionadas con el tema del proceso a presentar por escrito, que será público, su concepto sobre puntos relevantes para la elaboRecepta asimismo apoyatura normativa en el art. 14.‘b’ del Protocolo de Actuaciones Defensoriales, aprobado por Resolución Administrativa Nº 047-2008/DP.PAD, de 15 de agosto del 2008. 38 Sobre el tema en general en el ordenamiento jurídico brasileño, ver Medina, Damares, Amicus curiae. Amigo da Corte ou Amigo da Parte?, Saraiva, São Paulo, 2010. 39 Da Cunha Ferraz, Anna Candida, “O amicus curiae e a democratização e a legitimação da jurisdição constitucional concentrada”, Revista Mestrado em Direito. Direitos Humanos Fundamentais, Año 8, N° 1, 2008, Unifieo, São Paulo, pp. 65 y ss. 40 Amaury Maia Nunes, Jorge, “A participação do amicus curiae no procedimento da Argüição de Descumprimento de Preceito Fundamental (ADPF)”, Direito Público, Año V, N° 20, marzo-abril de 2008, Instituto Brasiliense de Direito Público, Brasília, pp. 54/55. 41 Diario Oficial (D.O.), N° 40.012, de 4 de septiembre de 1991. Dicho Decreto fue expedido por el Presidente de la República en desarrollo del art. 23 transitorio de la Constitución. 42 D.O., N° 40.165, de 19 de noviembre de 1991. Se trata del Decreto por el cual se reglamenta la acción de tutela consagrada en el art. 86 de la Constitución. 37 139 © Filodiritto Editore ración del proyecto de fallo…” (párr. 1°); debiendo el invitado, “al presentar un concepto, manifestar si se encuentra en conflicto de intereses” (párr. 3°) − el destacado no es del original −. En los inicios de la actividad jurisdiccional de la C.C. se objetó la constitucionalidad del citado artículo, lo que dio lugar a la Sentencia C-513/9243, de 10 de septiembre. En dicho proceso de constitucionalidad, el Tribunal se decantó unánimemente44 por sostener la exequibilidad del precepto. Una brevísima síntesis de lo consignado en el pronunciamiento arroja lo siguiente: el concepto del experto nada decide, nada define; apenas ilustra o complementa y deja a salvo la plena autonomía de la Corte para decidir. Frente a ese juicio que efectúa la C.C., los aspectos materia del dictamen son únicamente de hecho, es decir, aquellos relacionados con elementos sobre los cuales habrá de recaer el fallo pero que no pueden confundirse con el análisis jurídico reservado a la Corte; y no atañen a su fundamentación constitucional ni a la inferencia jurídica sobre la constitucionalidad o inconstitucionalidad de una norma sujeta a su control. Pese a lo anterior, la praxis posterior de la C.C. ha delineado progresivamente algunas pautas orientativas sobre la figura, resaltando que: tiene carácter imparcial; su finalidad es facilitar la obtención de elementos de juicio, informaciones y evaluaciones en causas de alto interés público, para ilustrar o complementar. En otras palabras, no define ni decide; tampoco ostenta carácter vinculante, pero puede repercutir en la decisión final, aunque sin comprometer la autonomía de la C.C.; no se limita a planteos de naturaleza jurídica, dado que la aplicación del derecho al caso concreto es una función propia de la C.C. al momento de decidir; la intervención procesal de la figura concreta el propósito de la democracia participativa establecido en la Constitución. De su lado, un razonable enfoque respecto de quiénes pueden participar en los procesos perfilados por el Decreto N° 2.067 viene propuesto por la Academia Colombiana de Jurisprudencia, entidad que ha sostenido que a partir de los arts. 7 y 3745 de aquél, surge “la posibilidad de que sobre las normas enjuiciadas, ‘cualquier ciudadano las impugne o defienda’, es decir, que una persona, de hecho, cualquier académico incluso sin haber sido comisionado por la Academia, ni invitado por la Corte, por el simple hecho de ser ciudadano, puede actuar y participar como amicus curiae”46. Algunas sentencias de la C.C. que se refieren a diversos aspectos de la figura de las intervenciones en procesos de constitucionalidad de leyes, por ejemplo, son las siguientes: C-1155/0547, de 15 de noviembre, y C-194/1348, de 10 de abril. De la complementación de ambos pronunciamientos pueden extraerse algunas pautas interesantes, más allá de las que fueran reseñadas: la acción pública de inconstitucionalidad tiene entre sus características esenciales ser un espacio de participación democrática, donde los ciudadanos ponen a consideración de la C.C. posibles contradicciones entre las normas legales y la Constitución, a efectos de que, luego Expte. D-042, “Acción de inconstitucionalidad contra el artículo 13 del Decreto 2.067 de 1991”, acerca de la invitación a entidades públicas, organizaciones privadas y expertos en los servicios y actuaciones que deban surtirse ante la Corte Constitucional (Actor: Ismael Hernando Arévalo Guerrero). Fue Magistrado Ponente (M.P.) el Dr. J.G. Hernández Galindo. 44 Votaron, además del citado M.P., los Magistrados S. Rodríguez Rodríguez, C. Angarita Barón, E. Cifuentes Muñoz, A. Martínez Caballero, F. Morón Díaz y J. Sanin Greiffenstein. 45 El art. 7 establece: “Admitida la demanda, o vencido el término probatorio cuando éste fuere procedente, se ordenará correr traslado por treinta días al Procurador General de la Nación, para que rinda concepto. Dicho término comenzará a contarse al día siguiente de entregada la copia del expediente en el despacho del Procurador”.En el auto admisorio de la demanda se ordenará fijar en lista las normas acusadas por el término de diez días para que, por duplicado, cualquier ciudadano las impugne o defienda. Dicho término correrá simultáneamente con el del Procurador. ”A solicitud de cualquier persona, el Defensor del Pueblo podrá demandar, impugnar o defender ante la Corte normas directamente relacionadas con los derechos constitucionales” − énfasis añadido −. Por su parte, el art. 37 determina: “Para la efectividad de la intervención ciudadana, en la revisión de los decretos legislativos, repartido el negocio, el magistrado sustanciador ordenará que se fije en lista en la Secretaria de la Corte por el término de cinco días, durante los cuales, cualquier ciudadano, podrá intervenir por escrito para defender o impugnar la constitucionalidad del decreto” − destacado agregado − . 46 Academia Colombiana de Jurisprudencia, “Concepto del Académico de Número Hernán Alejandro Olano García sobre la ‘Función consultiva de la Academia Colombiana de Jurisprudencia’”, Bogotá, D.C., 12 de noviembre de 2013. 47 M.P.: Rodrigo Escobar Gil. 48 M.P.: Luis Ernesto Vargas Silva. 43 140 © Filodiritto Editore de un intenso debate entre las autoridades públicas concernidas en el asunto, así como las diversas instituciones de la sociedad civil y los demás ciudadanos, la Corte adopte una decisión suficientemente ilustrada sobre la materia debatida; una discusión de esta naturaleza exige un presupuesto argumentativo de carácter sustancial, condición metodológica que ha sido sistematizada por la jurisprudencia a través de la definición de los requisitos de claridad, certeza, especificidad, pertinencia y suficiencia que deben cumplir las razones que fundamentan el cargo de constitucionalidad; el carácter público de la acción de inconstitucionalidad y la naturaleza taxativa de las modalidades de control automático, impiden a la C.C. pronunciarse sobre asuntos que no hayan sido formulados por los demandantes; restricción ésta que opera también frente a los intervinientes ciudadanos, por dos razones principales: i) el debate democrático y participativo sólo puede predicarse de aquellos argumentos contenidos en la demanda, respecto de los cuales los distintos intervinientes y el Ministerio Público pueden expresar sus diversas posturas; y ii) aunque es evidente que las intervenciones ciudadanas son útiles para definir e ilustrar el asunto debatido, carecen de la virtualidad de configurar cargos autónomos y diferentes a los contenidos en la demanda; la naturaleza de las intervenciones ciudadanas en el proceso de constitucionalidad fue consagrada por el Constituyente no sólo para que los ciudadanos puedan impugnar o defender la norma sometida a control, garantía de la participación ciudadana, sino, además, con el propósito de que éstos le brinden al juez constitucional elementos de juicio adicionales que le permitan adoptar una decisión; no se trata de una nueva demanda, ni de pretender formular cargos nuevos o adicionales a los planteados por el demandante, por lo que los fallos de la C.C. se estructuran a partir de los cargos hechos por el actor, de tal forma que los argumentos expuestos en los escritos de intervención ciudadana son un soporte que le sirve al juez para realizar el estudio jurídico de las disposiciones legales objeto de control. Como se ha indicado49, en la práctica la limitación de que sean ciudadanas las personas intervinientes (según el art. 7 del Decreto N° 2.067) no es de aplicación irrestricta, pues existen decisiones de la C.C. en las que personas extranjeras u organizaciones internacionales le hacen llegar a este Tribunal sus conceptos sobre el problema jurídico estudiado, por ejemplo, en la Sentencia C-577/1150, de 26 de julio. A su tiempo, el art. 13, párrafo segundo, del Decreto N° 2.591 de 1991 (en materia de acción de tutela) dispone: “Quien tuviere un interés legítimo en el resultado del proceso podrá intervenir en él como coadyuvante del actor o de la persona o autoridad pública contra quien se hubiere hecho la solicitud” − destacado nuestro − . Para cerrar este punto, en torno al tema de la intervención ciudadana en tales procesos, específicamente acerca del instituto denominado “coadyuvancia”, pueden ejemplificativamente compulsarse las Sentencias T-533/9851, de 30 de septiembre, y T-1319/0152, de 7 de diciembre. E. Guatemala Sin contar con normativa específica sobre el particular, la Corte de Constitucionalidad guatemalteca ha admitido en algunos procesos la participación de amici curiae. Así, por ejemplo, en el específico ámbito de las acciones de inconstitucionalidad total o parcial, ello puede corroborarse: en Expte. 3046-2005, en el que por mayoría53 y en decisorio de 29 de marzo de 2007, se acogió la acción de inconstitucionalidad de ley general contra el inc. c.1) del art. 4 de la Ley de sindiCfr. Osuna, Néstor, en respuesta a una consulta específica que le formuláramos al respecto. M.P.: Gabriel Eduardo Mendoza Martelo. 51 M.P.: Hernando Herrera Vergara. 52 M.P.: Rodrigo Uprimny Yepes. 53 La mayoría estuvo integrada por los Magistrados A. Maldonado Aguirre, M. Pérez Guerra, J.F. Flores Juárez, V.R. García Pimentel, J.M. Álvarez Quiros y H.R. Pineda Sánchez. Por su parte, en voto razonado disidente se pronunció el Magistrado R. Molina Barreto. 49 50 141 © Filodiritto Editore calización y regulación de la huelga de los trabajadores del Estado. En tal proceso, se viabilizó la intervención como amicus curiae de la Procuraduría General de la Nación; en Exptes. acumulados 1234-2009 y 1585-2009 (inconstitucionalidad de ley general, de carácter total), resueltos por medio de la sentencia de 22 de julio de 201054, admitió en la primera de tales acciones el comparendo en carácter de amicus curiae de la Asociación de Defensores del Instituto de la Defensa Pública Penal. Por medio de las citadas acciones, que fueron acogidas por la Corte de Constitucionalidad, se impugnaba el Acuerdo N° 04-2007, emitido por el Consejo del Instituto de la Defensa Pública Penal el 17 de julio de 2007, contentivo del denominado “Reglamento de convocatoria para la elección del representante de los Defensores Públicos de planta ante el Consejo del Instituto de la Defensa Pública Penal”; en Expte. 3009-2011, en el contexto de una acción de inconstitucionalidad general parcial contra los arts. 5, 7 y 8 de la Ley contra el femicidio y otras formas de violencia contra la mujer, Decreto N° 22-2008 del Congreso de la República, que fue declarada sin lugar por la sentencia de 23 de febrero de 201255, hubo varios participantes en el proceso de inconstitucionalidad en calidad de amici curiae, algunos de los cuales plantearon − en argumento reproducido y tomado por la Corte de Constitucionalidad − que era evidente el fundamento del legislador para asumir la necesidad de protección de la integridad física, sexual y psicológica de la mujer, en especial, en el contexto social guatemalteco, en el que fenómenos de esa violencia obedecen a las relaciones desiguales de poder entre hombres y mujeres. F. México Vale la pena enfocar el caso mexicano, donde el instituto del amicus curiae no es desconocido. De hecho, los amici se han presentado y presentan ante la Suprema Corte de Justicia de la Nación (SCJN) en algunos casos significativos, y desde algunos sectores se reclama la positivación formal de su intervención en los procesos constitucionales ante dicho tribunal. a. No es ocioso recordar que entre los años 2003 y 2004 la SCJN llevó adelante la Consulta Nacional para una Reforma Integral y Coherente del Sistema de Impartición de Justicia en el Estado Mexicano, cuyos resultados quedaron plasmados en el denominado Libro Blanco de la Reforma Judicial56. Dicho documento fue redactado por los doctores José Antonio Caballero Juárez y Sergio López Ayllón y el maestro Alfonso Oñate Laborde; a quienes el Comité Organizador de la Consulta Nacional (compuesto por los ministros del Máximo Tribunal Federal, Mariano Azuela Güitrón, José Ramón Cossío Díaz y José de Jesús Gudiño Pelayo), encomendó tal tarea. Los redactores del Libro Blanco, al interpretar los resultados de la Consulta Nacional57, identificaron tres ejes temáticos esenciales: la reforma del amparo, el fortalecimiento de los poderes judiciales de las entidades federativas y la reforma de la justicia penal58. Asimismo, relevaron la existencia de otras propuestas expuestas durante la Consulta que también identificaron como “prioritarias”. Justamente, entre éstas, se contempla expresamente (en la denominada “Acción 22”) la introducción del amicus curiae en procesos constitucionales59. Sobre el punto, el resultado de la Consulta ha sido interpretado y sintetizado por los indicados autores de la siguiente manera: “Las funciones de un tribunal constitucional trascienden el interés de las partes en conflicto. Por ello, para lograr un mayor acceso a la justicia y promover una mejor y más amplia participación social en la defensa de los derechos fundamentales y las controversias políticas, se debe introducir la figura del amicus curiae en algunos mecanismos procesales existentes (e.g. con54 La sentencia fue firmada por los Magistrados R. Molina Barreto, A. Maldonado Aguirre, M. Pérez Guerra, G. Chacón Corado y J.R. Quesada Fernández. 55 El pronunciamiento fue signado por los Magistrados A. Maldonado Aguirre, M.R. Chacón Corado, H.H. Pérez Aguilera, G.P. Porras Escobar, C.M. Gutiérrez de Colmenares, M. de los Á. Araujo Bohr y J.C. Medina Salas. 56 Libro Blanco de la Reforma Judicial. Una agenda para la justicia en México, Suprema Corte de Justicia de la Nación, 1ª ed., México, D.F., agosto de 2006. 57 Interpretación que la Suprema Corte de Justicia se encarga de aclarar que es de exclusiva responsabilidad de los autores de los resultados de la Consulta Nacional, y no representa la opinión institucional del Comité Organizador de la misma (ibíd., p. 4). 58 Ibíd., p. 389. 59 Ibíd., p. 403. 142 © Filodiritto Editore troversias constitucionales, acciones de inconstitucionalidad, contradicciones de tesis e, incluso en ciertas hipótesis, el propio amparo). Existen diversas maneras de lograr este objetivo, discutidas en la sección correspondiente de este Libro Blanco, y que incluyen desde una reforma constitucional hasta modificaciones legislativas. Sin embargo, su implementación también puede lograrse en el corto plazo mediante una decisión de la Suprema Corte de Justicia de la Nación en esta dirección. En cualquier hipótesis es necesario subrayar que este mecanismo supone el ejercicio de una facultad discrecional del tribunal quien debe determinar en cada caso la manera en que el amicus curiae contribuye a informar su decisión”60. b. Cabe recordar que en ocasiones el Gobierno de México ha comparecido ante tribunales extranjeros en calidad de amicus curiae. Sólo ejemplificativamente, a continuación evocaremos dos antecedentes al respecto: En primer lugar, el caso “Estados Unidos de América vs. Humberto Álvarez-Machain”61, resuelto por la Suprema Corte de Justicia de EE.UU. el 15 de junio de 1992, en una causa en la que ÁlvarezMachain había sido acusado de secuestrar, torturar y matar en 1985 a un agente de la Drug Enforcement Administration (DEA) y en la que en 1990 el inculpado fue sustraído de su consultorio médico en Guadalajara (México) y trasladado en avión a El Paso (Texas), sitio donde fue arrestado por oficiales de la DEA. En su memorial amicus curiae el Gobierno mexicano solicitaba que aquella Suprema Corte juzgara que la sentencia del Tribunal de Apelación (confirmatoria de la del Tribunal de Distrito, que ordenaba que Álvarez-Machain fuera regresado a México) era consistente con el derecho internacional y, por ende, que el acusado debía ser restituido a territorio mexicano. Asimismo, indicó que el secuestro de aquél en territorio mexicano por agentes de EE.UU. para ser juzgado en ese país, era incompatible con los principios establecidos por el derecho internacional y con las posiciones adoptadas expresamente por EE.UU. en tratados bilaterales y multilaterales sobre mutua asistencia jurídica en materias penales y cooperación para combatir el tráfico de drogas que estaban vigentes entre México y EE.UU. al tiempo del citado secuestro. No obstante, el Máximo Tribunal estadounidense dejó sin efecto el fallo del Tribunal de Apelación y señaló (entre diversas consideraciones) que del Tratado de Extradición entre EE.UU. y México no podía deducirse la existencia de una cláusula prohibitiva de los secuestros internacionales; que el secuestro de Álvarez-Machain (aun cuando hubiese sido violento) no había violado aquel tratado, y que el hecho de que éste hubiese sido secuestrado no impedía su enjuiciamiento por un tribunal de los EE.UU. ante la violación al derecho penal de este país. Terminó decidiendo que el caso se sujetaría en lo sucesivo a lo dispuesto en su resolución. Finalmente, en fecha 14 de diciembre de 1992, Álvarez-Machain fue liberado por el Tribunal del Distrito Central de California regresando entonces a México. Más recientemente, el Gobierno mexicano lo hizo en una causa en la que participaron además como amici otros 12 países latinoamericanos y 47 naciones de la Unión Europea y del Consejo de Europa, ante la Suprema Corte de Justicia de EE.UU., a favor del mexicano José Ernesto Medellín Rojas, sentenciado a muerte en el Estado de Texas. Fundamentalmente la base de la defensa, apuntalada argumentalmente por las presentaciones de los asistentes oficiosos, se centraba en el pronunciamiento de la Corte Internacional de Justicia (CIJ) en el caso “Avena”, por el cual ordenó a EE.UU. revisar y reconsiderar las condenas de 51 mexicanos sentenciados a muerte –incluido el Sr. Medellín– a la luz de las violaciones de su derecho a la notificación y asistencia consular; así como en el Memorando del ex Presidente Bush, ordenando a las Cortes de los Estados de ese país que dieran cumplimiento al fallo del tribunal internacional. La Suprema Corte Federal, por mayoría, rechazó el writ of certiorari el 25 de marzo de 2008 argumentando que ni del Estatuto de la CIJ, ni de la propia Carta de la Organización de las Naciones Unidas surgía la obligación para EE.UU. de cumplir el fallo “Avena” a través de sus tribunales, además de considerar que el ex Presidente Bush se excedió en sus facultades constitucionales al pretender que las cortes estatales dieran cumplimiento a tal decisorio62. Ídem. 504 U.S. 655 (1992). 62 Ver para ampliar www.ime.gob.mx/noticias/boletines_lazos/2007/655.htm. 60 61 143 © Filodiritto Editore c. Para culminar esta aproximación, se puede verificar que en su momento el Pleno de la Suprema Corte sancionó por unanimidad el Acuerdo General N° 2/2008, de 10 de marzo, en el que se establecen los lineamientos para la celebración de audiencias relacionadas con asuntos cuyo tema se estime relevante, de interés jurídico o de importancia nacional. El pto. primero del Acuerdo General63 establece: “Las asociaciones o agrupaciones, al igual que los particulares, que deseen exponer sus puntos de vista en relación con asuntos cuyo tema se estime relevante, de interés jurídico o de importancia nacional, y siempre que así lo acuerde el Tribunal Pleno, serán atendidos en audiencia pública por el Ministro Presidente y por los señores Ministros que decidan asistir. “En todo caso se dará prioridad a quienes ostenten una representación colectiva” − el destacado no es del original −. Tales audiencias se llevarán a cabo previamente a que el proyecto sea dado a conocer, tal como lo marca el pto. tercero, ibíd. Por su parte, el pto. sexto indica que en todos los casos los comparecientes podrán entregar la versión escrita de su exposición o de los comentarios adicionales que estimen pertinentes. El citado Acuerdo General fue formalmente aplicado en el caso de la “despenalización del aborto en el Distrito Federal”. Como se ha señalado, lo anterior no ha impedido ni impide que los amici curiae se presenten por escrito, sin aplicación de aquel Acuerdo General (esto es, sin audiencia), y de manera informal, ante la SCJN. Los ministros los reciben, obviamente, sin obligación de analizarlos, y sin que se agreguen al expediente64. 5. Lineamientos generales de la figura 5.1 Mutación de su rol En un principio, la participación del amigo del tribunal estaba enderezada principalmente a ayudar neutralmente al órgano jurisdiccional y proporcionarle información en torno a cuestiones esencialmente jurídicas respecto de las que aquél pudiere albergar dudas o estar equivocado en el criterio asumido hasta entonces sobre el particular, acercándole fallos jurisprudenciales o antecedentes doctrinarios útiles para dirimir casos con cierto grado de complejidad. Sin embargo, hoy ha abandonado su carácter otrora imparcial, para convertirse en una suerte de interviniente interesado y comprometido, que argumenta jurídicamente para obtener un pronunciamiento favorable a la posición que auspicia65. Incluso Cueto Rúa llegó en su momento a afirmar que en la actualidad no se le pide neutralidad; sí se espera, en cambio, una inteligente contribución sobre los problemas planteados por el caso y su repercusión respecto de terceros y demás integrantes de la comunidad, aun a sabiendas que el ‘amicus’ es el ‘amicus’ del actor o el demandado66 – énfasis añadido –. De su lado, y para despejar cualquier temor sobre una hipotética injerencia procesal exacerbada de los amici curiae, vemos que el tribunal ante el que se presentan está facultado y no obligado a recibirlos en el juicio de que se trate; además, y si bien puede oír sus opiniones o sugerencias y eventualmente servirse de ellas, no queda vinculado por las mismas ni comprometido a tratarlas en la sentencia que profiera. Diario Oficial de la Federación (D.O.F.), de 2 de abril de 2008. El aludido Acuerdo General puede compulsarse en http://dof.gob.mx/ nota_detalle.php?codigo=5032421&fecha=02/04/2008. 64 Cfr. Herrera, Alfonso, en una opinión que amablemente nos hiciera llegar en respuesta a una específica consulta que le realizáramos respecto de la praxis de los amici curiae ante la Suprema Corte de Justicia de México. 65 Como gráficamente se ha afirmado, “what was once a gesture of friendship has become a deliberate act of advocacy” (Krislov, Samuel, “The Amicus Curiae Brief: from Friendship to Advocacy”, Yale Law Journal, T° 72, 1963, p. 694). 66 Cueto Rúa, Julio C., ob. cit., p. 723. 63 144 © Filodiritto Editore 5.2 Su utilidad cuando deben definirse jurisdiccionalmente cuestiones jurídica y axiológicamente dilemáticas Los amici pueden constituir herramientas válidas para funcionar en la resolución de cuestiones controversiales y que presenten significativos dilemas éticos o de otra índole, por ejemplo, de análisis constitucional de una normativa de importancia o sensibilidad públicas, en las que la decisión por recaer sea susceptible de marcar una guía jurisprudencial para otros casos pendientes67. Es decir, asuntos en los que esté en juego un interés público relevante cuya dilucidación judicial ostente una fuerte proyección o trascendencia colectivas; en otras palabras, temáticas que excedan el mero interés de las partes. Sólo por citar algunas hipótesis, la autorización para proceder a la interrupción del embarazo por anencefalia, el debate sobre la viabilidad de la eutanasia o la discusión en torno a la desincriminación del aborto o de la tenencia de droga para consumo personal. Utilizando mutatis mutandi las terminologías de la teoría jurídica empleadas (disputadamente) por Hart68 o Dworkin69, el instituto que analizamos podría suponer un útil recurso para operar en los casos difíciles, es decir – en una simplificación extrema –, aquellos en los que – inter alia – exista incerteza, sea porque converjan varias normas que determinan sentencias distintas (en tanto tales previsiones normativas son contradictorias), sea porque no exista norma exactamente aplicable. O, profundizando aún más en el acercamiento referencial, el instituto en cuestión podría ser de provecho quizá también en lo que Atienza considera como casos trágicos, esto es, los que constituyen un tipo de casos difíciles que se presentan como verdaderos dilemas, donde cualesquiera sean las respuestas que se seleccionen, no cabría encontrar ninguna solución jurídica que no sacrifique algún elemento esencial de un valor considerado como fundamental desde el punto de vista jurídico y/o moral70. Así visualizada, la institución que examinamos – como pudimos apreciar, de extendido empleo en diversos ámbitos del derecho comparado y en las instancias internacionales – es una herramienta idónea para coadyuvar al cumplimiento del desiderátum de acceso a la jurisdicción o tutela judicial efectiva. 6. Un ámbito temático de singular relevancia para las aportaciones de los amici curiae 6.1 Circulación de reglas internacionales. Control de convencionalidad Complementariamente a lo manifestado en el apartado anterior, el instituto que abordamos puede aún reportar una utilidad adicional en el ámbito jurídico interno, también en el internacional; conclusión que aflora a poco de reparar en ciertos rasgos que actualmente tipifican a este último, tales como el alto grado de desarrollo adquirido por el derecho internacional de los derechos humanos, la envergadura de los instrumentos internacionales en dicha materia frente al derecho doméstico y la fuerza que cobran los informes, las recomendaciones, las decisiones y las opiniones consultivas de los órganos protectorios en las instancias internacionales (por ejemplo, la Comisión y la Corte IDH), a cuyos repertorios de precedentes (en el caso de la Comisión) y jurisprudencia (en el de la Corte) deben adaptarse las soluciones jurisdiccionales dispensadas en los escenarios judiciales locales. En un marco con características de tal magnitud, los amici curiae pueden cumplir un papel significativo al proporcionar a los magistrados elementos de juicio actualizados en materia de derechos humanos, relativos a la interpretación y la aplicación de los tratados internacionales sobre tal materia, En torno a la cuestión, ver entre otros trabajos de Bazán, Víctor, “Amicus curiae, transparencia del debate judicial y debido proceso”, Anuario de Derecho Constitucional Latinoamericano 2004, T° II, Fundación Konrad Adenauer, Montevideo, 2004, pp. 251/280. 68 Hart, Herbert L. A., The concept of Law, Oxford, Clarendon Press, 1961. Es ya un clásico la versión traducida por Genaró Carrió, El concepto de derecho, Abeledo-Perrot, Buenos Aires, 1963. 69 Ver Dworkin, Ronald, Los derechos en serio, trad. de Marta Guastavino, 4ª reimpres., Ariel, Barcelona, 1999, pp. 146/208, y el interesante prólogo de Calsamiglia, Albert, que, bajo el título “Ensayo sobre Dworkin”, presenta la obra (vid. concretamente p. 13). 70 Atienza, Manuel, “Los límites de la interpretación constitucional. De nuevo sobre los casos trágicos”, en Vázquez, Rodolfo (comp.), Interpretación jurídica y decisión judicial, 1ª ed., 3ª reimpres., Fontamara, México, D.F., 2003, pp. 194, 195, 196, 198 y otras. 67 145 © Filodiritto Editore por ejemplo, por parte de los aludidos órganos del sistema protectorio interamericano. Conviene entonces pulsar el botón de alerta en torno a este asunto, ya que en la hora actual los puntos de contacto entre el derecho internacional de los derechos humanos y el derecho interno se multiplican, acentuándose la exigencia de lograr una pacífica articulación de tales fuentes mediante su retroalimentación y complementariedad a favor de la solidificación del sistema general de derechos, y pugnar por el cumplimiento por parte del Estado de los compromisos internacionalmente asumidos en la materia y por evitar que éste incurra en responsabilidad internacional; tareas en cuya realización la magistratura constitucional asume un rol protagónico. Es imposible obviar que la Corte IDH ha venido perfilando jurisprudencialmente el control de convencionalidad, que supone la obligación de los jueces y demás autoridades públicas de llevar adelante tal fiscalización convencional, incluso ex officio, entre las normas jurídicas internas que aplican en los casos concretos y la CADH y otros instrumentos internacionales en la materia que conforman el corpus iuris básico. Para el acabado cumplimiento de tal labor, los encargados de realizarla deben tener en cuenta no solamente la citada Convención Americana (y demás documentos internacionales sobre los que la Corte IDH ejerce competencia por razón de la materia), sino también la interpretación que de aquélla ha realizado el Tribunal Interamericano, que es su intérprete último71. En definitiva, y como éste dejara en claro en el “Caso Boyce y otros vs. Barbados”, para los jueces constitucionales, quienes más allá de otras autoridades públicas son los principales responsables de llevar adelante el contralor convencional, a aquéllos no les basta con limitarse a evaluar si una norma es o no constitucional, sino que la cuestión debe girar en torno a si la misma también es o no “convencional”, o sea, deben además decidir si ella restringe o viola los derechos reconocidos en la CADH72. 6.2 Un potencialmente útil aporte argumental tanto en sede interna como en la dimensión internacional Es de subrayar que si la mayoría de los Estados latinoamericanos ha aceptado la jurisdicción contenciosa de la Corte IDH, si además ante ésta existe la posibilidad de comparecer en calidad de amicus curiae y si llegar con un caso ante la misma supone el agotamiento previo de los recursos internos del Estado demandado, requisito éste concedido en interés del propio Estado, no resulta razonable prohibir – como expresan Abregú y Courtis73 – a instituciones o grupos interesados presentarse en carácter de amici curiae ante los tribunales locales (oportunidad frente a la que el Estado tiene posibilidades de remediar la alegada violación) y conceder esa posibilidad después, cuando el Estado ya ha sido demandado ante la Corte por la imputación de los mismos hechos. Es que, siendo la instancia interamericana (en materia jurisdiccional) coadyuvante o complementaria de la que prodiga el derecho interno, es recomendable ofrecer a los interesados en articular opiniones fundadas sobre el tema en cuestión la misma posibilidad de participación procesal en sede local que la que tienen en el ámbito internacional, adelantando ante los tribunales domésticos los argumentos que eventualmente serán considerados por la Corte con asiento en Costa Rica. Precisamente, ésta ha reiterado que los amici son presentaciones de terceros ajenos a la disputa, Algunas reflexiones sobre el control de convencionalidad pueden verse, entre otros, en los siguientes trabajos de Bazán, Víctor: “Corte Interamericana de Derechos Humanos y Cortes Supremas o Tribunales Constitucionales latinoamericanos: el control de convencionalidad y la necesidad de un diálogo interjurisdiccional crítico”, Revista Europea de Derechos Fundamentales, N° 16, 2° Semestre de 2010, Fundación Profesor Manuel Broseta e Instituto de Derecho Público Universidad Rey Juan Carlos, Valencia, 2011, pp. 15/44; y “Control de convencionalidad, aperturas dialógicas e influencias jurisdiccionales recíprocas”, Revista Europea de Derechos Fundamentales, N° 18, 2º Semestre 2011, Fundación Profesor Manuel Broseta e Instituto de Derecho Público Universidad Rey Juan Carlos, Valencia, 2012, pp. 63/104. 72 Corte IDH, “Caso Boyce y otros vs. Barbados”, Sentencia de Excepción Preliminar, Fondo, Reparaciones y Costas, 20 de noviembre de 2007, Serie C, N° 169, párr. 78. 73 Abregú, Martín y Courtis, Christian, “Perspectivas y posibilidades del amicus curiae en el derecho argentino”, en la obra colectiva compilada por dichos autores, La aplicación de los tratados sobre derechos humanos por los tribunales locales, CELS, Editores del Puerto, Buenos Aires, 1997, pp. 392/393. 71 146 © Filodiritto Editore que le aportan argumentos u opiniones que pueden servir como elementos de juicio relativos a aspectos de derecho que se ventilan ante la misma74. Al respecto, conviene evocar que el Reglamento de la Corte IDH reformado parcialmente (innovación en vigor desde el 24 de marzo de 2009), en su art. 2.3. define el término amicus curiae de la siguiente manera: “la persona ajena al litigio y al proceso que presenta a la Corte razonamientos en torno a los hechos contenidos en la demanda o formula consideraciones jurídicas sobre la materia del proceso, a través de un documento o de un alegato en audiencia”. Varias de las observaciones remitidas a la Corte IDH durante la etapa preparatoria de las modificaciones reglamentarias, manifestaban la necesidad de reglamentar la presentación de escritos de los amici curiae, razón por la cual en el art. 41 se decidió establecer que “el escrito de quien desee actuar como amicus curiae podrá ser presentado al Tribunal, junto con sus anexos, en cualquier momento del proceso contencioso pero dentro de los 15 días posteriores a la celebración de la audiencia pública. En los casos en que no se celebra audiencia pública, deberán ser remitidos dentro de los 15 días posteriores a la Resolución correspondiente en la que se otorga plazo para la remisión de alegatos finales y prueba documental. El escrito del amicus curiae, junto con sus anexos, se pondrá de inmediato en conocimiento de las partes para su información, previa consulta con la Presidencia”75. No puede perderse de vista que la Corte IDH ha resaltado que “los asuntos que son de su conocimiento poseen una trascendencia o interés general que justifica la mayor deliberación posible de argumentos públicamente ponderados, razón por la cual los amici curiae tienen un importante valor para el fortalecimiento del sistema interamericano de protección de los derechos humanos, a través de reflexiones aportadas por miembros de la sociedad, que contribuyen al debate y amplían los elementos de juicio con que cuenta la Corte”76 – el énfasis no es del original –. 7. Epílogo A modo de condensación de las pautas centrales recorridas en las líneas precedentes, ofrecemos las siguientes apreciaciones finales. 1. En materia de amicus curiae, como respecto de otras instituciones jurídicas de cuya eventual extrapolación a un determinado escenario jurídico pudiera percibirse alguna dosis de utilidad procesal y/o sustancial, es conveniente visualizar seria y detenidamente las experiencias del derecho comparado, para verificar la potencial viabilidad de transplantarla, pero siempre cuidando de aplicar de ella lo aplicable, es decir, lo que pueda resultar adecuado a la idiosincrasia jurídica del contexto en el que deba operar y compatible con ella, evitando implantes indiscriminados. 2. La intervención de amici curiae puede coadyuvar a un mejoramiento de la actividad jurisdiccional en asuntos complejos o de interés social, contribuyendo incluso a licuar los elementos contramayoritarios que algunos autores visualizan en el control judicial de constitucionalidad. Además, “la insularidad de la tarea judicial, la concepción del juez como una suerte de demiurgo que construye en soledad su decisión (…), sólo constituyen anteojeras epistemológicas que obturan cualquier debate y son oclusivos de la posibilidad de enriquecerlo”77. 3. Visionariamente, al realizar una defensa condicionada de la Judicial Review y en el marco de análisis de las reformas para aportar al “control democrático” de ésta, Carrió postulaba introducir la institución del amicus curiae, ya que el debate judicial adquiriría con ella una apertura y una amplitud de integración que no tenían en medida suficiente los procedimientos contradictorios, añadiendo que Corte IDH, “Caso Castañeda Gutman vs. Estados Unidos Mexicanos”, Sentencia de Excepciones Preliminares, Fondo, Reparaciones y Costas, 6 de agosto de 2008, Serie C, N° 184, párr. 14. 75 Cabe recordar que en su momento había juzgado que tales escritos podían ser presentados en cualquier momento antes de la deliberación de la sentencia correspondiente (Corte IDH, “Caso Kimel vs. Argentina”, Sentencia de Fondo, Reparaciones y Costas, 2 de mayo de 2008, Serie C, N° 177, párr. 16); entendiendo también que, conforme a su práctica, los amici pueden incluso referirse a cuestiones relacionadas con el cumplimiento de la sentencia (Corte IDH, “Caso Castañeda Gutman vs. Estados Unidos Mexicanos”, cit., párr. 14). 76 Corte IDH, “Caso Castañeda Gutman vs. Estados Unidos Mexicanos”, ídem. 77 Trionfetti, Víctor, ob. cit., p. 69. 74 147 © Filodiritto Editore el debate se volvería más democrático, en un sentido interesante (y relevante en este campo) de esa palabra78. Así, la institución que abordamos es un provechoso instrumento destinado, entre otros propósitos, a viabilizar la participación ciudadana en la administración de justicia, en asuntos en que se debatan cuestiones de trascendencia institucional o que resulten de interés público, siempre que los presentantes cuenten con una reconocida idoneidad sobre la materia debatida. En esa línea analítica, cabe recordar – con Nino – que la figura presenta una destacada raíz democrática y su intervención entraña una herramienta para hacer más laxos los criterios de participación en el proceso judicial en el marco del activismo judicial, actitud ésta que se muestra fructífera para promover y ampliar el proceso democrático, abriendo nuevos canales de participación, sobre todo, de los grupos con menos posibilidades de injerencia real en ese proceso79. 4. La exigencia de agotamiento de los recursos internos permite al Estado remediar localmente y por sus propios medios toda violación de derechos humanos que pudiera conducir al debate de la cuestión en el marco internacional y converger en la potencial determinación de su responsabilidad internacional. Así, al estar reglamentariamente permitida la presentación de amici curiae – por ejemplo – ante la Corte IDH, es razonable acordar a los grupos o instituciones interesados en emitir opiniones fundadas sobre el tema en cuestión similar posibilidad de participación procesal en sede interna que la que tienen en el ámbito internacional, planteando ante los órganos judiciarios vernáculos insumos argumentales que eventualmente serían considerados por el Tribunal con asiento en Costa Rica en el supuesto de llegar a esta instancia internacional la correspondiente reclamación. 5. Los amigos del tribunal pueden cumplir un valioso rol al proporcionar a los magistrados constitucionales, entre otras cosas, aportaciones analíticas actualizadas en el campo de los derechos humanos, relacionados con estándares interpretativos específicos forjados, v. gr., por la Corte IDH, lo que puede resultar útil vis-à-vis el control de convencionalidad que aquéllos (además de otras autoridades públicas) están compelidos a ejecutar. De modo análogo, memoriales serios y documentados de experimentados amici curiae están en condiciones de aportar criterios técnico-jurídicos aptos para una apropiada interpretación de los derechos fundamentales. 6. La Corte IDH se ha ocupado de subrayar que los amici tienen un importante valor para el fortalecimiento del sistema interamericano de protección de los derechos humanos, contribuyen al debate y amplían los elementos de juicio con que el Tribunal cuenta para resolver los asuntos de su conocimiento, que poseen una trascendencia o interés generales80. 7. El instituto aquí examinado puede sumar su aporte al (anhelable) proceso de colaboración entre las instancias jurisdiccionales internas y la interamericana, interacción que no debe entenderse en términos de relación jerárquica entre ellas, sino como una conexión cooperativa en la hermenéutica pro persona de los derechos humanos. Es que las respectivas Constituciones de los Estados latinoamericanos, con la fuerza normativa que les es ingénita, y los instrumentos internacionales sobre derechos humanos (principalmente, la CADH y la interpretación que de ésta realiza la Corte IDH), conforman un bloque jurídico que orienta su vigencia hacia un idéntico sustrato axiológico: la salvaguardia de los derechos fundamentales, expresión directa de la dignidad del ser humano. 8. En definitiva, el amicus curiae es un instrumento plausible y digno de ser explorado para tonificar el debate jurisdiccional constitucional – ampliando los márgenes de deliberación en cuestiones de trascendencia social por medio de argumentos públicamente analizados –, aportar a la defensa y la realización de los derechos humanos y contribuir a la elaboración de sentencias razonables y generadoras de un grado sustentable de consenso en la comunidad. Carrió, Genaro, “Una defensa condicionada de la Judicial Review”, AA.VV., Fundamentos y alcances del control judicial de constitucionalidad, Cuadernos y Debates, N° 29, Centro de Estudios Constitucionales, Madrid, 1991, p. 162. 79 Nino, Carlos S., Fundamentos de derecho constitucional. Análisis filosófico, jurídico y politológico de la práctica constitucional, Astrea, Buenos Aires, 1992, p. 696. 80 Corte IDH, “Caso Castañeda Gutman vs. Estados Unidos Mexicanos”, cit., párr. 14. 78 148 © Filodiritto Editore Las lenguas del derecho di Barbara Pozzo* Sumario: 1. Premisa. – 2. El derecho mudo. – 3. La historia de los lenguajes jurídicos. – 4. Las peculiaridades del lenguaje de common law. – 5. Los nuevos fenómenos: la circulación de las lenguas jurídicas en ámbito extraeuropeo y los movimientos para uniformar el derecho a nivel supranacional. – 5.1 La circulación de las lenguas jurídicas en ámbito extraeuropeo. – 5.2 El nuevo derecho común europeo. 1. Premisa El estudio de los lazos de unión entre lengua y derecho1 ha sido emprendido, a lo largo del tiempo, desde diversos puntos de vista por juristas2, historiadores3, sociólogos4, filósofos5 y lingüistas6, que han puesto en evidencia cómo el derecho, al igual que la lengua, es un fenómeno cultural que debe ser analizado teniendo en cuenta el tiempo y el contexto7. Se trata de un tema bastante antiguo, pero que se ha puesto de moda en los últimos decenios con renovado interés al instaurarse fenómenos estables de agregación supranacional, al intensificarse el comercio internacional8, así como las importantes migraciones de masas de poblaciones9 en ámbito internacional que han hecho necesaria la confrontación entre las distintas culturas y las diversas lenguas en las que estas se expresan10. La sociedad multicultural exige un diálogo continuo entre culturas, lenguas y sistemas jurídicos diferentes y nuestra universidad debe preparar a los profesionales del mañana a la práctica de ese diálogo. La globalización, lejos de poder ser considerada un simple fenómeno de asimilación u homologación, nos ha impuesto – muy al contrario – una obligada confrontación con otros sistemas de valores de los cuales el Derecho no es más que un mero reflejo. Catedrático de Derecho Privado Comparado, Università degli Studi dell’Insubria – Como. B. Pozzo – M. Timoteo, “Introduzione”, en Europa e Linguaggi giuridici, Giuffrè, Milano, 2008. 2 J. B. White, Establishing Relations between Law and other Forms of Thought and Language, in Erasmus Law Review, 2008, vol. 1, Issue 3, p. 3; S. Chatillon, “Droit et langue”, en Revue Interna tionale de Droit Comparé, n. 3, 2002, p. 687; R. Sacco, “Langue et droit”, en Les multiples langues du droit européen uniforme, Id. et L. Castellani (eds.), Torino, L’Harmattan, 1999, 163-185; tr. it. Lingua e diritto, Ars Interpretandi 5 (2000), 117-134; P. Schroth, Language and Law, (1998) 46 American Journal of Comparative Law 17. 3 Nencioni, Idealismo e realismo nella scienza del linguaggio, La Nuova Italia, Firenze, 1946; P. Fiorelli, Intorno alle parole del diritto, Milano, Giuffré, 2008; Id., Storia giuridica e storia linguistica, Giuffrè, Milano, 1957; F. Bambi, Una nuova lingua per il diritto, Milano, Giuffré, 2009. Nencioni, Idealismo e realismo nella scienza del linguaggio, La Nuova Italia, Firenze, 1946; Fiorelli, P., Intorno alle parole del diritto, Milano, Giuffré, 2008; Id., Storia giuridica e storia linguistica, Giuffrè, Milano, 1957; Bambi, F., Una nuova lingua per il diritto, Milano, Giuffré, 2009. 4 Austin, J. How To Do Things With Words - The William James Lectures delivered at Harvard University in 1955, Oxford, Clarendon Press, 1962; trad. it. Come fare cose con le parole, Marietti, Genova, 1987; Searle, J., Speech Acts: An Essay In The Philosophy Of Language, Cambridge, Cambridge University Press , 1969; tr. it. Atti linguistici. Saggio di filosofia del linguaggio, Torino, Boringhieri, 1976. 5 Bobbio, N., Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile (1950), 342-367; Scarpelli, U. – P. Di Lucia, Il linguaggio del diritto, Milano, LED, 1994. 6 Mortara Garavelli, B., Le parole e la giustizia, Torino, Einaudi, 2001; Sabatini, F., “Analisi del linguaggio giuridico”, en M. D’Antonio (ed.), Corso di studi superiori legislativi 1988-1989, Padova, Cedam, pp. 675-724; Visconti, J. (ed.), Lingua e diritto. Livelli di analisi, Milano, LED, 2010. 7 En una perspectiva de Law and Literature el problema ha sido afrontado por James Boyd White, When Words loose their Meaning, Constitutions and Reconstitutions of Language, Character and Community, The University of Chicago Press, Chicago, 1984; trad.it, Quando le parole perdono il loro significato, Milano, Giuffrè, 2010. 8 Sobre problemas prácticps de la traducción en contexto de intercambios internacionales, cfr. R. Kennedy, Much Ado About Noting: Problems In The Legal Translation Industry, in 14 Temp.Int’l & Comp.L.J. 423 (2000). 9 Sobre los problemas de la traducción jurídica y de la interpretación en sede jurídica para lo inmigrantes, cfr. De Jongh, E.M., Foreign Language Interpreters in the Courtroom: The Case for Linguistic and Cultural Proficiency, The Modern Language Journal, 75, iii (1991). 10 Language and the Law: International Outlooks, Krzysztof Kredens, Stanislaw Gozdz-Roszkowski (eds.), Frankfurt am Main - New York, Peter Lang, Internationaler Verlag der Wissenschaften, 2007. * 1 149 © Filodiritto Editore ¿Qué nos cuentan los lenguajes jurídicos? ¿Qué se entiende por lengua del derecho? El lenguaje jurídico es definido como esa particular lengua técnica de los juristas, que tiene una base en la lengua común, pero que se distingue de ella en virtud de su particular terminología y de su particular estilo11. Se ha subrayado a menudo cómo el fuerte tecnicismo del lenguaje jurídico representa un obstáculo para el lego a la comprensión y al conocimiento sustancial de las reglas. Desde la invectiva de Menocchio el molinero – que en la Italia del Siglo XVI veía en el uso del latín por parte de los miembros del tribunal de justicia una “traición a los pobres”, o sea, a la gente corriente – hasta el abogado Azzeccagarbugli, personaje creado por Manzoni que con su lenguaje erudito ponía en dificultad al pobre Renzo Tramaglino, la lengua de los juristas siempre ha sido representada – también en ámbito literario – como un insidioso código cuajado de asechanzas para la gente corriente. Efectivamente, en un primer momento, el lenguaje jurídico puede presentársenos como un lenguaje para los ya iniciados a misteriosos rituales y esotéricas fórmulas, a crípticos términos. Se habla de ‘enfiteusis’, de ‘testamento hológrafo’, de ‘anatocismo’ y aún hay quien recuerda lo que es el ‘abigeato’. Un rasgo típico de la lengua jurídica es intentar elevar el registro de la prosa con ciertos excesos que rozan, sobre todo en la lengua administrativo-burocrática, el registro áulico. A las palabras comunes se prefiere otras más pomposas, eruditas e incluso literarias, que parecen dar nobleza al discurso jurídico. El uso de fórmulas o términos rebuscados parece dar un toque de clase al mensaje jurídico y garantiza que la lengua jurídica mantenga ese estatus de lengua prestigiosa que se le atribuye. La convicción, manifestada por Wittgenstein12 en su Tractatus, de que “todo lo que se puede decir se puede decir claramente y de que de lo que no se puede hablar se debe callar”, no parece refrendarse en la lectura de los actuales textos normativos13. En años más recientes, los cambios en ámbito estilístico y léxico del lenguaje jurídico italiano se han hecho más rápidos debido sobre todo a la mayor circulación de modelos, ideas, conocimientos que se suceden bajo la influencia de la globalización. Y por tanto, no es insólito – hoy por hoy en Italia – para los abogados de los grandes bufetes con socios internacionales, que se ocupan fundamentalmente de derecho de empresa o de finanzas o, como a menudo dicen con cierta altivez, de M&M (Mergers and Adquisitions), verse completamente enfrascados – en team, claro está, no individualmente – en un meeting, o en una conference call o en la redacción del enésimo draft de un Shareholders’ Agreement, mientras implementan todo lo que pasa por sus manos14. 2. El derecho mudo Sin embargo, más allá de las críticas a la jerga para iniciados, el estudio de las lenguas de especialidad jurídica parece fascinante bajo múltiples puntos de vista y por varios aspectos. En la sociedad actual, la lengua y el derecho son fenómenos íntimamente conectados: el derecho no puede existir sin un lenguaje que le dé vida y que le sirva como medio de expresión. En particular, la evolución de la lengua jurídica extrae su linfa vital del devenir de la lengua misma y de las vicisitudes del sistema jurídico del que es medio de expresión. Las reglas jurídicas parecen inseparables de la verbalización y de la “fruición valorativa” íntimamente entrelazada en el discurso y en la sintaxis15. Sin embargo es necesario recordar que la forma Jacometti, V., Lingua del diritto e linguaggi specialistici, en Digesto delle Discipline Privatistiche – Sezione civile – Actualización dirigida por R. Sacco, Torino, UTET, 2013, p. 321 ss. 12 Wittgenstein, L. Tractatus Logico-philosophicus (1922), rist., London, Routledge & Kegan Paul, 1971, p. 2 della prefazione. 13 Pegoraro, L., “Integrazione, Globalizzazione e sfide traduttive nel diritto pubblico comparato”, en L’italiano giuridico che cambia, cit., p. 49 s. 14 De nuevo la referencia es Cavallone, B., Un idioma coriaceo: l’italiano del processo civile, cit., p. 86 ss. 15 La “sintaxis” hace referencia a las reglas sobre la forma de combinar las palabras para formar frases. Cfr., también con referencia al lenguaje jurísdico Belvedere, A., “Linguaggio giuridico”, En Digesto delle discipline privatistiche, Torino, Utet, 1994, p. 563. 11 150 © Filodiritto Editore lingüística es uno de los posibles modos de expresión y manifestación del derecho y que no siempre (y no todo) el derecho ha sido (y es) objeto de formulaciones lingüísticas. Existen, en proporción cada vez más amplia e invasiva a medida que vamos retrocediendo hacia los largos y larguísimos tiempos de la historia, fenómenos de “derecho mudo16” a los cuales es importante dedicar una referencia en la apertura de cualquier discurso sobre lenguaje jurídico. En la perspectiva de la macrohistoria, “el hombre produce derecho escrito desde hace cinco mil quinientos años y antes de eso vivió durante dos millones y medio de años sin fuentes escritas”17. La antropología nos representa ese mundo jurídico de las sociedades sin lenguaje escrito o con oralidad preponderante, como un universo poblado de reglas mudas que dictan los principios básicos para la organización de grupos sociales (desde la familia hasta las microorganizaciones de índole tribal), disponen cómo disciplinar las relaciones entre los hombres y las cosas y definen espectros de sanciones para quien viola las reglas comunes18. En tal contexto, el papel más importante, entre las fuentes del derecho, corresponde a la costumbre, fuente muda por excelencia19: “la costumbre es un hecho humano que se repite de forma duradera porque en él la consciencia colectiva encuentra un valor que merece cautela y que es digno de ser conservado. Es así como nace el derecho en los orígenes primordiales de la historia humana: no de un texto escrito, sino de un hecho que se repite con una duración que se extiende en el tiempo, de una observancia colectiva que no es obediencia pasiva sino más bien adhesión”20. De la costumbre deriva una de las razones jurídicas más antiguas, la sociedad de hecho, la cual “existe desde que el hombre empezó a procurarse alimento por medio de una actividad colectiva [...]. El hombre practica la caza colectiva desde hace mucho tiempo, ciertamente desde una época en la que no existía ninguna ley escrita”.21 En general, la presencia de elementos latentes –no verbalizados pero extremadamente incisivos– a partir de la costumbre es bastante relevante en nuestro actual derecho, si bien la percepción de tales elementos no sea siempre nítida. De otro modo, ¿cómo podría explicarse que en diferentes países leyes idénticas den lugar a soluciones aplicativas diferentes o, lo contrario, que idénticas soluciones aplicativas puedan evidenciarse a partir de distintas reglas legislativas22? Diferentes civilizaciones y diferentes épocas han producido diversas “masas de lenguaje”23. Ciertas culturas hablan menos que otras; algunas formas de sensibilidad aprecian el silencio y la elisión, mientras que otras premian la prolijidad y los ornamentos semánticos. 3. La historia de los lenguajes jurídicos Una vez declarada la premisa anterior, puesto que vivimos en sistemas de derecho verbalizado, en el que las reconstrucciones y las valoraciones de las normas jurídicas latentes transitan por un filtro lingüístico, debemos reconocer que el derecho es también un lenguaje que expresa reglas, las conceptualiza, las organiza en categorías, las explica, las interpreta. En la historia europea, este tipo particular de lengua ha emergido gradualmente con el extinguirse del solapamiento entre el sistema de la religión y el del derecho, cuando va decayendo la oralidad y Sacco, R., “Il diritto muto”, En Rivista di diritto civile, 1993, I, p. 689 ss. Sacco, R., “Le fonti non scritte e l’interpretazione”, en Trattato di diritto civile diretto da Sacco, Torino, 1999, p. 46. 18 Sacco, R., Antropologia giuridica, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 296. 19 Gilissen, J., “Consuetudine”, en Digesto IV, Disc. priv. Sez. civ., III , Torino, Utet, 1988; Pizzorusso, A., “Consuetudine”, en Enc. Giur., VIII , Roma, Istituto Treccani, 1988. 20 Grossi, Prima lezione di diritto, Bari, p. 102. 21 Sacco, R., Le fonti non scritte e l’interpretazione, cit., p. 23. Del mismo autor véase “La società di fatto”, en Rivista di diritto civile, 1995, 1, p. 59 ss. 22 Es este el fenómeno de disociación de los formatos jurídicos sobre los cuales véase la introducción de Sacco “Introduzione al diritto comparato”, en Sacco, R., (ed.) Trattato di diritto comparato diretto da Sacco, Torino, 1992, p. 43 ss. 23 Steiner, G. After Babel, Aspects of Language and Translation, Oxford, Oxfrod University Press, 1975; Dopo Babele, Aspetti del Linguaggio e della Traduzione, Milano, Garzanti, 2004, p. 61 (trad. it. a cura di R. Bianchi; 1° ed. Sansoni, Milano, 1975), p. 43. 16 17 151 © Filodiritto Editore se pasa a la forma escrita24. Es la lengua latina la que desarrolla un papel paradigmático a la hora de determinar los rasgos que caracterizan a la lengua jurídica, influyendo también en las demás lenguas antiguas, como el griego, que necesitaban traducir del latín una terminología jurídica precisa25. En el latín jurídico, el recurso a formas de abstracción terminológica y definitoria debe ser ubicado dentro de un más amplio proceso de tecnificación del que se hizo objeto el lenguaje jurídico romano hacia finales de la edad preclásica, paralelamente al desarrollarse de la ciencia del derecho y de las relaciones jurídicas26. Solo de modo gradual más tarde, a partir del Medioevo, la lengua latina – como lengua franca europea del derecho – se encuentra en situación de tener que competir con las lenguas vulgares27. La historia de las diversas lenguas jurídicas en Europa está íntimamente unida al surgimiento de la llamada Western Legal Tradition28, la Tradición Jurídica Occidental, o sea, esa peculiar expresión del fenómeno jurídico que fue tomando forma en Europa entre los siglos XI y XII, en los cuales el derecho se fue configurando como disciplina de especialidad, diversa de las pertenecientes a las esferas política, religiosa, ética29, es decir, una disciplina gestionada y alimentada por una categoría de profesionales ad hoc, la categoría de los juristas. Esos especialistas del derecho se sirven de una serie de instrumentos técnicoconceptuales que representa un “molde organizativo” fundamental del sistema30 y que se expresa a través de una lengua de especialidad: el derecho es gestionado por aparatos que funcionan sobre la base de procedimientos altamente ritualizados y está compuesto de reglas complejas, expresadas en una lengua técnica y coordinadas conceptualmente. La dimensión jurídica – aun siendo alimentada constantemente por reglas tácitas, factuales y consuetudinarias – es concebida y vivida sobre todo en su expresión especialista y profesional. En la Europa de la Baja Edad Media y de principios de la Edad Moderna, la comunidad de juristas se identificaba a través del uso del latín, consagrado como lengua docta del derecho desde la época romana. Esta tradición cosmopolita, que caracteriza intensamente al derecho continental europeo, fue erosionándose progresivamente en el contexto del proceso que conduciría al surgimiento de los estados modernos y de comunidades – en ámbito jurídico – nacionales. Un momento fundamental de tal proceso es la expansión de las lenguas romances o lenguas vulgares nacionales en el dominio del derecho a expensas del latín o de otras lenguas vulgares. El proceso de traducción del latín a otras lenguas vulgares, iniciado en el Medioevo, fue después enfatizándose a lo largo del Renacimiento, con la afirmación de los Estados nacionales y el nacimiento de una preocupación por parte de los gobiernos de promulgar las propias leyes en la lengua nacional31. Sobre la traducción en la Antigüedad, en general, véase Bertolussi, B. et al. (ed.), Traduire, transposer, transmettre dans l’Antiquité gréco-romaine, Paris, Picard, 2009. Cfr. Además Lepore, P. “Note minime su alcuni caratteri della lingua del diritto romano”, en Europa e linguaggi giuridici, Milano, Giuffrè, 2008, p. 3 ss. 25 Magie, D., De Romanorum iuris publici sacrique vocabulis sollemnibus in Graecum sermonem conversis, Neudruck der Ausgabe Leipzig 1905, Scientia Verlag Alen, 1973. 26 Sini, F. e Ortu, R., (eds.) Scientia iuris e linguaggio nel sistema giuridico romano, Milano, Giuffrè, 2001. 27 Monti, A., “Tra latino e volgare: il linguaggio giuridico in età medievale e moderna”, en Europa e linguaggi giuridici, p. 31 ss. 28 La noción de tradición jurídica según la definición que ha dado es la siguiente: “…una tradizione giuridica è un insieme di atteggiamenti profondamente radicati e condizionati dalla storia, circa la natura del diritto, circa il ruolo che il diritto deve svolgere nella società politicamente organizzata, circa il miglior modo di organizzare il funzionamento del sistema giuridico e circa il modo con cui il diritto deve essere fatto, applicato, studiato, perfezionato e pensato. La nozione di tradizione giuridica pone un sistema giuridico in relazione alla cultura di cui esso è parziale espressione. Pone un sistema giuridico in una prospettiva culturale”. Merryman, V., The Civil law Tradition. An Introduction to the Legal Systems of Western Europe and Latin America, Stanford, 1969, p. 2. La traducción italiana es de Gambaro-Sacco, “Sistemi giuridici comparati”, en Sacco (ed.) Trattato di diritto comparato, Torino, 2002, (II Ed.), p. 53, nt. 4. 29 Sobre la relativa autonomía del derecho de la política, la religión, la moral, como rasgo característico de la Western Legal Tradition véase Berman, Law and Revolution: The Formation of the Western Legal Tradition, Harvard, 1983. Para una discusión crítica véase Somma, Giochi senza frontiere. Diritto comparato e tradizione giuridica, in Ars Interpretandi, n. 8, 2003, p. 317 ss. 30 Como se observa en Gambaro-Sacco, Sistemi giuridici comparati, cit. p. 23. 31 En Francia, por ejemplo, desde 1539 la Ordenanza de Villers-Cotterets, aún en vigor hoy proclama que el francés es la lengua oficial de los Tribunales. Sobre la obbligatorietà del francés véase Manera Edelstein, E., “The Loi Tourbon: Liberté, Egalité, Fraternité: but only on France’s Terms”, en 17 Emory Int’l L. Rev. 1127 (2003); Sadat Wexler, L., Official English, Nationalism and Linguistic Terror: A French Lesson, 71 Washington Law Review 285, 368 (1996); Jacob, J.E., “Language Policy and Political Development in France”, en Language Policy and Political Development, Weinstein, B., (ed.), Norwood, NJ, Ablex Publishing Co., 1990, p. 43. 24 152 © Filodiritto Editore Desde el Siglo XVI, los humanistas han dilucidado sobre cómo cada lengua posee un propio “genio” o “espíritu” particular, celebrando las diferencias entre las lenguas vernáculas32. En época más reciente, fueron Gottfried Herder33 y William von Humboldt34 quienes subrayaron que: teniendo “cada una de las lenguas… su propio carácter nacional”, las traducciones son siempre operaciones arriesgadas. Aún más, el espíritu de una lengua se evidenciaría de la mejor de las formas precisamente en sus términos intraducibles35. En el Renacimiento el latín cede, pues, el paso a las lenguas vulgares, pero con ritmo y tiempos diversos según las diversas realidades locales. Italia constituye un lugar de vanguardia donde la supremacía del latín como lengua del saber culto es cuestionada desde la Edad Media36. En Alemania, la evolución del alemán jurídico se produce en época más reciente por lo que, sin duda hasta el Siglo XVII, el lenguaje jurídico seguía permaneciendo fiel a su doble función de lengua de los juristas y lengua de los profanos. En Francia, son las primeras décadas del Siglo XVI el periodo considerado como frontera entre el uso del latín y el uso del francés37, con la promulgación de la ordenanza de Villers-Cotterêts (1539) por parte de Francisco I38. El edicto francés se presenta como una de las tantas expresiones de una tendencia europea39 hacia la nacionalización de las lenguas que se manifiesta in primis en los dominios del derecho y de la administración y que se radicaliza en el contexto del absolutismo jurídico estatal del Siglo XVIII. Tal tendencia no significa, sin embargo, una afirmación de la lengua (nacional) común sobre la lengua de especialidad o lengua del sector40, ya que las lenguas del derecho en la Europa continental, aun habiendo salido de la precedente dimensión cosmopolita garantizada por el latín, siguen siendo deudoras de las elaboraciones conceptuales de la ciencia del derecho. Los códigos que representan una realización notable del proyecto moderno del derecho, vienen a ser de hecho –bajo el perfil del lenguaje– el punto de encuentro entre la voluntad política centralizadora y reformadora y “las nomenclaturas, las categorías, y presuposiciones conceptuales de la scientia juris europea”.41 Stankiewicz, E., “The ‘Genius’ of Language in Sixteenth-Century Linguistics”, en Jürgen Trabant (ed.), Logos Semantikos, I. Geschichte der Sprachphilosophie und der Sprachwissenschaft, Berlin-New York, De Gruyter e Madrid, Gredos, 1981. 33 Herder, J.G., Über die deutsche Literatur, Über den Ursprung der Sprache, Werke 1764-1772, ora in Frühe Schriften: 1764-1772, Ulrich Gaier (ed.), Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker, 1985. 34 Humboldt, von W.Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts, Druckerei der Königlichen Akademie, Berlin, 1836. 35 La cita “Der Geist einer Sprache offenbart sich am deutlichsten in ihren unübersetzbaren Worten”, está tomada de los Aforismos de Marie von Ebner-Eschenbach, una novelista austriaca que vivió entre 1830 y 1916, pero una serie de referencias análogas pueden encontrarse también en Salman Rushdie, que en su novela Shame, subraya cómo para complrendere una cultura es necesario concentrarse sobre todo en los términos intraducibles. 36 Fiorelli, P., “La lingua del diritto e dell’amministrazione”, en Storia della lingua italiana, L. Serianni e P. Trifone (eds.), vol. II, Scritto e parlato, Torino 1994, pp. 553-597. 37 Véase Rey, A., Duval F. y Siouffi, G., Mille ans de langue française, Histoire d’une passion, vol. I. Des origines au français moderne, p. 360, donde se nos recuerda que: En France, les années 1530-1540 semblent «faire frontière». L’événement les plus connus est sans doute la promulgation par Françoiss Ier en 1539 d’une ordonnance dite de «Villers-Cotterêts» déclarant que, dorénavant, les actes judiciaires devraient être «prononcez, enregistrez, et delivrez aux parties en langage maternel françois». Mais on pourrait tout aussi bien invoquer la création, par ce même roi en 1530, du Collège des lecteurs royaux, ancêtre du Collège de France. La date de 1530 est aussi celle de la première grammaire connue du français, parue significativement à l’étranger. 38 Carpi, A., “Il francese giuridico”, en Europa e Linguaggi giuridici, cit., p. 83, especialmente p. 89 ss. 39 Como refiere Burke, P., Lingue e comunità nell’Europa moderna, Bologna, 2006, p. 96 ss. 40 Donde al sintagma “del sector” se le quiere dar el significado de “l’attinenza del linguaggio giuridico ad un aspetto della esperienza umana e della vita sociale […], senza però enfatizzare […] una sua separatezza rispetto al linguaggio ordinario” Così Belvedere, “Linguaggio giuridico”, en Digesto delle discpline privatistiche, cit., p. 556. Sobre la derivación del lenguaje jurídico de la lengua común véase infra, par. 3. 41 Gambaro-Sacco, Sistemi giuridici comparati, cit., p. 284. 32 153 © Filodiritto Editore 4. Las peculiaridades del lenguaje de common law Discurso aparte merece la lengua del common law, con su propia historia y sus peculiaridades42. A causa de los particulares orígenes del sistema jurídico de la Inglaterra medieval, la lengua del common law tomó un camino diverso e independiente del jus común del continente, a pesar de que las recíprocas influencias hayan estado siempre presentes a lo largo de la historia43. En la lengua del common law aparecen muchos latinismos, que son sin embargo el resultado del trabajo de los eclesiásticos en la Curia Regis, quienes empleaban el latín en cuanto lengua de las personas eruditas de la época, y no necesariamente porque fuera la lengua de las fuentes del derecho romano44. Durante un largo periodo la evolución de la lengua del common law se vio además endeudada por el francés, la lengua de los conquistadores normandos, de manera que los historiadores son siempre muy precisos al recordar el papel y la importancia del French Law en la evolución del inglés jurídico actual45. Las dificultades de traducción desde el inglés hacia otras lenguas europeas continentales deriva de esta evolución autónoma del sistema jurídico de common law del resto de Europa, que hace que sus instituciones sean únicas en el contexto de common law y que algunos de sus conceptos de referencia resulten intraducibles. 5. Los nuevos fenómenos: la circulación de las lenguas jurídicas en ámbito extraeuropeo y los movimientos para uniformar el derecho a nivel supranacional Ya caducado el monopolio de la lengua latina como lengua franca del derecho europeo y una vez delimitadas las instituciones del estado moderno dentro de los respectivos confines nacionales, las diversas comunidades de juristas europeos y sus lenguas de especialidad, durante los últimos ciento cincuenta años, tienen que vérselas con vicisitudes y acontecimientos cada vez más frecuentes e intensos de circulación de modelos jurídicos, tanto en ámbito europeo como extraeuropeo, así como con la puesta en marcha de movimientos para uniformar el derecho a nivel supranacional46. 5.1 La circulación de las lenguas jurídicas en ámbito extraeuropeo Todo esto se produjo, en un primer momento, en el contexto eurocéntrico, con la expansión del dominio colonial, en la cual a menudo las dinámicas de circulación coincidían con operaciones de trasplante, fuera de Occidente, de los modelos nacionales europeos. La lengua francesa de las colonias lleva consigo el modelo jurídico francés hacia África y Asia. El español y el portugués colonizan Sudamérica. Y es a causa del pasado colonial del Imperio Británico que el sistema de common law y su lenguaje jurídico se han difundido en todo el mundo47. En esta fase el problema lingüístico era considerado un problema de carácter mecánico superable con la traducción literal de los términos de la lengua de origen del modelo que se trasplantaba, a menudo a través de la creación de neologismos que parecían las mejores garantías tanto del repudio de Mellinkoff, D., The Language of the Law (Boston: Little, Brown and Company, 1963; Tiersma, P.M., Legal Language, Chicago, University of Chicago Press, 1999; Wagner, A., La langue de la common law, Paris, L’Harmattan, 2002. 43 Caenegem, R. van, The Birth of the English Common Law, 2nd edition, Cambridge, 1988, p. 96. 44 Aunque había autores, como Bracton, que bebían de fuentes romanas, como el Diguesto. Véase Ferrari, S., “ Il linguaggio giuridico inglese”, en Europa e Linguaggi Giuridici, cit., p. 259 ss. 45 Baker, J.H., The three Languages of the Common Law, in 43 Mc Gill Law Journal, 1998, p. 5; Id., Le Brickbat que narrowly mist, in 100 Law Quarterly Review, 1984, p. 544. 46 Sobre el fenómeno de la circulación de los modelos jurídicos y sobre el sistema para dar uniformidad véase Gambaro-Sacco, Sistemi giuridici comparati, cit., p. 36 ss. 47 Lacoste, Y., «Pour une approche géopolitique de la diffusion de l’anglais», en Hérodote, n. 115, 2004, p. 5. 42 154 © Filodiritto Editore tradiciones extraeuropeas, consideradas atrasadas, como de la adhesión a modelos “desarrollados”.48 Pensemos en todo lo sucedido en China durante el último siglo y medio de historia. La afirmación del papel de China en el mundo global ha ido acompañada de una modernización tanto del derecho como de las instituciones chinas que se lleva a cabo, en gran parte, bajo el efecto de la importación de modelos occidentales, lo cual, inexorablemente, ha producido también la modernización del léxico jurídico49. No obstante, tal proceso de modernización del derecho chino hunde sus raíces en tiempos lejanos: “el léxico del derecho chino se renueva completamente a caballo entre los Siglos XIX y XX: taxonomías, construcciones normativas, conceptos, términos de los sistemas jurídicos occidentales vehiculados por la conquista imperialista del país son reproducidos en la lengua china, creando un código expresivo destinado a sostener el proceso de modernización, o sea, la fase de la transformación de la época actual, ‘xiandaihua’ 现代化, donde xian es ‘ahora’, dai es ‘época’, hua expresa la ‘transformación’, el ‘cambio de estado’”.50 La historia del vocabulario jurídico chino del último siglo es, pues, el espejo de una evolución social en China, que se produce tanto por fuerzas endógenas como por la imposición de modelos externos: “la rescritura del vocabulario del derecho ha constituido una experiencia extremadamente compleja, que ha supuesto revisar los problemas clásicos de la traducción jurídica en un contexto de reforma basado en una imitación forzada de modelos externos”.51 La modernización del derecho y de la lengua jurídica en China ha atravesado diversas fases52: desde la primera traducción de manuales extranjeros de derecho internacional (que debían introducir en la corte imperial los principios del nuevo sistema de relaciones internacionales en que se encontraba envuelta dicha institución) hasta la redacción del aparato normativo del estado moderno que había de constituirse, (redacción realizada tomando préstamos del vocabulario jurídico ya escrito por los japoneses en sus reformas), sin olvidar los injertos lingüísticos extraídos del derecho soviético tras el nacimiento de la República popular así como la repoblación léxica de los últimos cuarenta años de profundas reformas jurídicas e institucionales. 5.2 El nuevo derecho común europeo Pero ya volviendo a Europa, la reciente reflexión que se ha puesto en marcha sobre estos temas53 ha tenido como terreno propio de elección el proceso de construcción de un derecho común europeo, volviendo a proponerse la cuestión de la lengua en relación al derecho en toda su amplitud y su urgencia. Los veintiocho estados miembro de la Unión Europea hablan hoy veinticuatro lenguas oficiales que cuentan, todas ellas, con valor paritario. El multilingüismo se pone como valor que la Unión Europea hace propio54, como parte integrante de otros valores democráticos; lo cual implica una necesaria política de traducción de los postulados He podido verificar tal fenómeno en mi estudios sobre la institución del contrato en los sistemas jurídicos chino y japonés: Timoteo, Il contratto in Cina e Giappone nello specchio dei diritti occidentali, Padova, 2004, p. Sobre este tema véase también: Rossi, La lingua del diritto in Cina, Ortolani, La lingua del diritto in Giappone, entrambi en Ajani-S erafino. Timoteo, Diritto dell’Asia orientale, en Trattato di diritto comparato dirigido por Sacco, 2007, p. 10 ss. 49 M. Timoteo, Voce “Cina”, Aggiornamento del Digesto di Discipline Privatistiche, Sez. Civile, Torino, Utet, 2010, pp.181-238. 50 Véase Timoteo, M., “Il diritto per immagini-aspetti del linguaggio giuridico cinese contemporaneo”, en Pozzo, B. (ed.) Lingua e Diritto: Oltre l’Europa, Milano, Giuffrè, 2013. 51 Véase Timoteo, M., “Il diritto per immagini…”, cit., que a propósito de esto nos recuerda que el contexto en el ámbito del cual se da pie al proceso de importación de los modelos jurídicos europeos es el de los llamados ‘Tratados desiguales’, los cuales prevén una serie de cláusulas de extraterritorialidad que sustraían a China la jurisdicción de procedimientos en lo cuales estaban implicados ciudadanos extranjeros hasta que no se hubieran realizado las reformas necesarias para adecuar el sistema jurídico chino a los modelos occidentales. 52 Timoteo, M. Il diritto per immagini, (op. cit.) 53 Véase, a títolo introductorio, Beaupré, Kitamura, De Groot, Herboits, Sacco, “La traduction juridique”, en Les cahiers du droit, XXVIII, 1987, p. 733 ss.; SACCO, Traduzione giuridica, en Digesto delle discpline privatistiche, Aggiornamento, Torino, 2000, p. 722 ss. 54 Sobre los desafíos que las instituciones comunitarias han tenido que afrontar, sobre todo tras la ampliación de 2004, véase el volumen de Jacometti, V. y Pozzo, B. (eds.), Le politiche linguistiche delle Istituzioni comunitarie dopo l’allargamento – Redazione, traduzione e interpretazione degli atti giuridici comunitari e il loro impatto sull’armonizzazione del diritto europeo, Milano, Giuffrè, 2006. 48 155 © Filodiritto Editore normativos con vistas a alcanzar al ciudadano laico, no jurista y por tanto – inexorablemente – su formulación en una lengua sencilla, no técnica55. Para comprender las fuerzas que están en juego, será necesario recordar lo heterogéneas que son. Por un lado, el respeto paritario de todas la lenguas oficiales – que, como antes recordaba, son ya veinticuatro56 – aparece como expresión y concretización del principio de democracia. Por otro lado, el multilingüismo, que por una parte y en gran medida constituye una incuestionable riqueza del patrimonio cultural europeo, es al mismo tiempo fuente de innumerables problemas a la hora de redactar e interpretar los actos producidos por las instituciones comunitarias en cada una de las diversas lenguas oficiales57. Hay, de hecho, que recordar que en una Europa con veinticuatro lenguas oficiales son posibles más de quinientas cincuenta y dos combinaciones lingüísticas, lo cual complica bastante el trabajo de traducción. La cada vez mayor atención que las instituciones comunitarias dedican a la traducción jurídica se comprende también a la luz del hecho que la traducción, en un contexto multilingüe, debe perseguir los mismos fines a los que tiende la legislación multilingüe, especialmente en todo lo que atañe a la armonización del derecho. En otras palabras, la labor del legislador europeo es la de formular una norma que, una vez traducida a las otras veintitrés lenguas oficiales, produzca – cuando ya se haya adoptado en los veintiocho estados miembros – idénticos resultados. Esto parece particularmente arduo si pensamos que los conceptos jurídicos hacen referencia a términos abstractos y que tales términos están incluidos en un contexto de conceptos y reglas interrelacionados. Cuanto más abstracto es un término, tanto más implica referencias o nos reenvía a conceptos imbricados en el ámbito del sistema. En la reconstrucción de tales términos será normal recurrir a “nociones limítrofes” que definen y convalidan a los términos mismos: por ejemplo, en Italia la definición del término ‘contrato’ presupone el conocimiento de nociones como ‘voluntad’, ‘declaración’, ‘acuerdo’, etc. Los conceptos jurídicos son el resultado de una estratificación de diferentes significados que han sido desarrollados por diversas tradiciones jurídicas a lo largo del tiempo. Traducir un término o un enunciado, en un entorno interlingüístico reenvía intuitivamente a la producción de otro término o de otro enunciado equivalente en la lengua de llegada. Tal operación de traducción implica un complejo trabajo intelectual, en relación al cual se han ido desarrollando numerosas teorías, que evidencian cómo cada traducción conlleva en sí necesariamente una actividad de interpretación. La mera yuxtaposición de conceptos jurídicos en las diferentes lenguas no podría sino acabar en resultados meramente superficiales. Cuando se traduce property por propieté, propietà, Eigentum, propiedad ya se sabe que esos conceptos vienen a querer decir más o menos lo mismo. Al mismo tiempo, sin embargo, se es otrosí consciente del hecho de que cada concepto hace parte de un sistema jurídico, de una taxonomía conceptual, y del hecho de que conceptos, términos, taxonomías y sistemas podrían no corresponderse. La historia de la law of propiety inglesa es profundamente diferente de la del Sacherecht alemán: ambas han sido estructuradas de forma diversa y a esas distintas estructuras corresponden terminologías diferentes. Cuando el término property es traducido por propieté, proprietà, propiedad, Eigentum hay algo que se pierde, es inevitable. De esta manera, el carácter polisémico de los conceptos jurídicos implica que cuando se traduce haya que identificar el contexto de referencia, tanto en el sistema de origen del concepto, como en el sistema al cual se lo quiere traducir, con el fin de evitar resultados desviantes. Así pues, cotejar este tipo de palabras entre las diversas lenguas europeas significa confrontarse 55 Tema sobre el que me permito hacer referencia a Pozzo, B., “Multilinguismo, terminologie giuridiche e problemi di armonizzazione del diritto privato europeo”, en Le politiche linguistiche delle Istituzioni comunitarie dopo l’allargamento, p. 3, sobre todo p. 6 ss. 56 Las lengua oficiales son: inglés, francés, alemán, holandés, sueco, danés, portugués, español, griuego, finlandés, estonio, lituano, letón, esloveno, polaco, húngaro, checo, maltés, búlgaro, rumano, irlandés y – desde el 1 de julio de 2013 – croata. 57 Cfr. Le politiche linguistiche delle istituzioni comunitarie dopo l’allargamento – Redazione, traduzione ed interpretazione degli atti giuridici comunitari e il loro impatto sull’armonizzazione del diritto europeo, a cura di Valentina Jacometti e Barbara Pozzo, Milano, Giuffrè, 2006. 156 © Filodiritto Editore con el entorno conceptual y con la forma mentis que lo ha producido. Es esta una operación que, evidentemente, va más allá de la palabra y que conduce a adentrarse en múltiples niveles operativos – pero también culturales – en los que se despliegan las nociones jurídicas. En el acercamiento al tema de los lenguajes jurídicos, la necesidad de una actividad hermenéutica que logre individuar aquellos significados que los términos jurídicos asumen en los discursos de los juristas nacionales y que aclare también la ubicación de los términos mismos dentro las taxonomías nacionales es, en consecuencia, una necesidad general que no podemos considerar limitada a la específica categoría de términos abiertos en la que se vierten, con mayor evidencia, contenidos extraídos de la costumbre o de opciones culturales en sentido amplio, esto es, de todo eso que llamamos “términos vagos”, como pueden ser la ‘buena fe’ o el ‘sentido común’. Aunque en Europa resulte bien consolidado el valor del multilingüismo como necesario corolario de la sociedad multiétnica y multicultural que se quiere garantizar, parece por otra parte imposible ocultar el papel fundamental que desempeña el inglés, hoy en día, también en el dominio del derecho. En los últimos decenios, la difusión del inglés como lengua vehicular ha atraído la atención de diversos estudiosos de lingüística, literatura, así como de derecho y economía. Se reconocer que ya no existe un inglés único, sino diversas variedades cada una con sus propias características en Inglaterra, escocia, Irlanda, Estados Unidos, Canadá, Australia, Sudáfrica e India. A causa del pasado colonial del imperio británico, el sistema de common law y su lenguaje jurídico se han difundido por todo el mundo. Tanto, que se subraya la existencia hoy en día de diferentes World Englishes. La importancia del inglés dentro de la Unión Europea debe, por tanto, colocarse en este contexto más amplio: podrá tratarse de una nueva “variedad” diatópica, que a su vez puede contener otras variedades diafásicas, con su términología de especialidad, aun cuando la importancia del inglés como nueva lengua franca dentro de la UE esté lejos de ser reconocida. De hecho, un porcentaje considerablemente elevado de estudiosos duda sobre el hecho de que tal variedad pueda ser identificada. La adhesión del reino Unido a la Comunidad Europea en 1972 dio lugar, en cualquier caso, a una serie de importantes fenómenos que habría que observar con lupa. Por un lado ha producido el inicio de un importante paralelismo entre lenguas jurídicas: ya no podemos considerar que son lo mismo el inglés de Our lady the common law y el llamado Bruxelles English que se habla en los pasillos de las instituciones comunitarias. Al mismo tiempo, se ha evidenciado que a partir de ese momento, pero sobre todo a partir de la ampliación de la Unión Europea con la inclusión de diez nuevos estados miembro el 1 de mayo de 2004, y una vez más en 2007 con la adhesión de Rumanía y Bulgaria, se ha producido un sustancial aumento de la redacción de actos comunitarios en lengua inglesa, hasta alcanzar hoy un porcentaje del 90% de los casos. En dicha perspectiva han quedado en evidencia las características del inglés como lengua más hablada, pero al mismo tiempo como la menos apta para la expresión de los conceptos de civil law en un contexto – como el europeo – que aspiraría a ser multilingüe y armonizado. El lenguaje del common law, como se ha subrayado ya, tiene una historia específica propia y está intrínsecamente unido a sus particulares orígenes medievales, al momento en que el derecho inglés tomó un camino diverso respecto al del jus commune del continente. En el contexto europeo, caracterizado por el diálogo civil law / common law, emerge claramente que la lengua inglesa vehicula – tradicionalmente – instituciones típicas de common law. La traducción desde la variante del inglés jurídico siempre ha presentado características específicas, ya que se trata de una lengua que se refiere a una ordenación jurídica que tiene sus propias peculiaridades específicas, las cuales pueden ser muy diferentes de las de los restantes ordenamientos jurídicos europeos. Hay, pues, problemas típicos de traducción desde esta lengua que generalmente han sido afrontados en el ámbito de la traducción jurídica clásica, la cual trata de encontrar en una de las otras lenguas oficiales los términos correspondientes a los de la institución jurídica expresada en inglés. 157 © Filodiritto Editore Para llevar a cabo tal cosa es necesario verificar la posible correspondencia entre la institución de common law y la institución local con los instrumentos de trabajo puestos a punto por la traductología comparada que se ocupa específicamente de traducción jurídica. Podrá tratarse de una operación, cuajada de obstáculos, pero respecto a la cual han madurado ya una cierta experiencia y un cierto conocimiento de los problemas con los que se prevé topar. En el momento actual, sin embargo, se está viviendo un fuerte empuje hacia la armonización del derecho europeo, que ha alcanzado metas diversas dependiendo de las diferentes materias tomadas en consideración. En la perspectiva de la armonización del derecho europeo, el inglés juega de nuevo un papel bastante importante. En el contexto del multilingüismo europeo que – como se ha visto – es considerado como un verdadero valor que hay que defender, como una verdadera riqueza del patrimonio cultural europeo, el inglés es lengua oficial a la par que todas las demás, y por tanto – siempre de manera oficial – no juega un papel predominante. Si se usa el inglés es por comodidad, sin que exista una tentativa de vehicular instituciones jurídicas enlazadas a dicha lengua: es más, el inglés se forja para vehicular conceptos de civil law, o en su defecto, conceptos nuevos. De ello deriva un proceso de hibridación de la propia lengua inglesa, que ya no traspone los conceptos de common law, y – en realidad – no traspone ni siquiera los de otra ordenación específica, históricamente dada, sino más bien los de una ordenación in fieri, la europea, que se resiente en gran medida de diversas bases culturales y jurídicas. La norma jurídica comunitaria se forja en inglés, pero es pensada en alemán, o en polaco, o en francés. Raramente en italiano. El inglés asume, en consecuencia, dentro de la UE las características de una lengua “neutral o descriptiva”, asociada por lo general a una base típica de civil law, comprensible para los ciudadanos británicos, aunque no esté ligada a conceptos técnicos del derecho inglés. El inglés jurídico que nace de ello se diferencia, pues, del que expresa el sistema de common law, enriqueciéndose con toda una serie de neologismos orientados a expresar conceptos típicos de civil law. Si tal es el resultado, una vez redactada la norma en este lenguaje híbrido que se eleva a la categoría de vigésimo quinta lengua, artificial, creada con el único fin de la armonización del derecho europeo, tendrá que enfrentarse al problema de su traducción hacia todas las demás lenguas oficiales. Quizá incluso los británicos solicitarán una traducción al inglés “verdadero” de la madre patria. Todas estas problemáticas cuestiones han sido últimamente tratadas en una reciente reunión del Consejo Europeo en Bruselas donde se ha discutido la propuesta de una funcionario belga que pedía la aprobación de un chiste o una broma oficial europea que todo estudiante aprendería en la escuela, con el fin de mejorar las relaciones entre las naciones, promoviendo la autoironía sobre la propia cultura. El texto oficial de la propuesta era el siguiente: Broma oficial europea Paraíso europeo: Has sido invitado a un almuerzo oficial. Te acoge un inglés. La comida ha sido preparada por un francés; un italiano se ocupa de amenizar la velada y todo ha sido organizado por un alemán. Infierno europeo: Has sido invitado a una comida oficial. Te recibe un francés, la comida ha sido preparada por un inglés; un alemán ameniza la velada y todo ha sido organizado por un italiano. Tras haber introducido la cuestión relativa a la aprobación en la orden del día, el representante británico anunció, con expresión muy seria y sin mover un solo músculo del rostro, que el chiste era 158 © Filodiritto Editore absolutamente divertido. Tomó la palabra el francés, quien protestó porque en el chiste Francia era descrita de mala manera explicando que una broma no puede ser divertida si es contra Francia. Del mismo modo protestó Polonia cuyo representante indicó que ni siquiera se mencionaba el país. Luxemburgo preguntó inmediatamente quién sería declarado poseedor del copyright del chiste. El representante sueco no dijo una palabra, pero miró a todos con una sonrisa torcida. Dinamarca preguntó dónde estaba explícita la referencia sexual. Si era un chiste, tenía que tener alguna, de lo contrario… ¿qué diablos de chiste era? Holanda no entendió el chiste, mientras que Portugal no comprendió qué era “un chiste”. ¿Se trataba acaso de un nuevo concepto europeo? España explicó que el chiste era divertido, pero solo si se sabía que la comida oficial tenía lugar a las 13.00, hora que normalmente es la del desayuno. Grecia se lamentó de que no se le había hecho saber nada de esa comida, perdiendo entonces la ocasión de una comida gratis y añadiendo que siempre se olvidaban de ella. Rumanía preguntó qué era una “comida”. Lituania y Letonia se lamentaron porque sus traducciones habían sido invertidas, lo cual debía considerarse inaceptable, aunque sucediera la mayoría de las veces. Eslovenia les dijo a los anteriores que no se lo tomaran tan a mal porque ella ni siquiera había recibido su propia traducción, que había sido completamente olvidada. Eslovaquia anunció que, si el chiste no contenía ni un patito ni un fontanero, debía de haberse colado algún error de traducción. El representante británico dijo que la broma del patito y del fontanero era, en cualquier caso, muy divertida. El representante de Hungría aún no había terminado de leer la 120 páginas de su propia traducción. Entonces el representante belga preguntó si el belga que había propuesto el chiste era flamenco o francófono. Esto porque, en un caso, naturalmente apoyaría al compatriota, mientras que, en caso contrario, votaría en contra, independientemente de la calidad del chiste. Para cerrar la sesión, el representante alemán anunció que sin duda era hermoso quedarse en Bruselas debatiendo sobre ello, pero que era necesario tomar el último tren para Estrasburgo para poder someter la decisión al Parlamento Europeo. Pidió entonces que alguien despertara al representante italiano, a fin de no perder el tren y para que pudiera comunicarse la decisión a la prensa antes del final de la jornada. “¿Qué decisión?”, preguntó el representante irlandés. Y todos acordaron que había llegado el momento de una pausa café. 159 © Filodiritto Editore Au-delà des «modèles» de justice constitutionnelle, pour un comparatisme pragmatiste di Guillaume Tusseau* Sommaire: 1. Introduction. – 2. Le conventionnalisme dans la théorie générale des sciences. – 3. Vers un métalangage comparatiste neutre et compréhensif. – 3.1 La perspective adoptée. – 3.2 Quatre recommandations méthodologiques fondamentales – 3.2.1. Rigueur de la classification. – 3.2.2. Décisionnisme conceptuel. – 3.2.3. Descriptivisme initial. – 3.2.4. Universalisme. – 4. Une réorientation pragmatiste. – 4.1 L’objection gnoséologique. – 4.2 L’objection d’ethnocentrisme. – 5. Conclusion. 1. Introduction 1. Face au développement croissant du pouvoir des juges dans le cadre de l’Etat constitutionnel contemporain1, il n’est pas interdit de partager l’avis de Sujit Choudhry, selon lequel «la pratique du droit constitutionnel comparé a dépassé le cadre conceptuel que les acteurs et commentateurs juridiques utilisent pour lui donner sens. La nécessité d’une reconceptualisation de la discipline est pressante2». Dans un travail précédent3, j’ai tenté de démontrer à quel point l’outil méthodologique dominant dans la culture juridique française afin d’étudier les formes de justice constitutionnelle – l’opposition entre un «modèle européen» et un «modèle américain» de justice constitutionnelle – devait être rejeté. J’y voyais en effet trois inconvénients majeurs du point de vue de l’analyse juridique, que j’ai, dans des travaux subséquents, considérés comme autant de «sophismes4». Dans les termes employés par Jeremy Bentham, que son incessante «guerre des mots5» permet de présenter comme un auteur essentiel pour l’identification et la critique des «fallacies», «On désigne ordinairement du nom de ‘sophisme’ tout argument avancé ou tout sujet de discussion suggéré afin de, ou avec la probabilité de produire l’effet de tromper ou de causer quelque opinion erronée susceptible d’être admise par toute personne dont l’esprit a pu se trouver mis en présence de cet argument6». Je fais en effet crédit à la doctrine juridique qui recourt à l’opposition de deux modèles de justice constitutionnelle afin d’analyser ce qui est devenu, pour le meilleur ou pour le pire, l’institution centrale du constitutionnalisme libéral-démocratique, de savoir ce qu’elle fait et de le faire volontairement, et non par incompétence ou par inadvertance. Dès lors, ce que j’ai appelé la «thèse des modèles» n’apparait et ne se maintient ni de manière spontanée, ni de manière fortuite dans le discours juridique d’une communauté donnée. Professeur des Universités à l’Ecole de droit de Sciences Po, Membre junior de l’Institut universitaire de France. V. p. ex. Tate C.N., Vallinder T. (ed.), The Global Expansion of Judicial Power, New York, London, New York University Press, 1995, xii+556 p.; Hirschl R., «The New Constitutionalism and the Judicialization of Pure Politics Worldwide», in Fordham Law Review, Vol. 75, 2006, pp. 721-754; Sieder R., Schjolden L., Angell A. (ed.), The Judicialization of Politics in Latin America, New York, Palgrave MacMillan, 2005, xiii+305 p.; Shapiro M., Stone Sweet A., On Law, Politics, and Judicialization, Oxford, Oxford University Press, 2002, xi+417 p.; Jacob H., Blankenburg E., Kritzer H.M., Provine D.M., Sanders J., Courts, Law, and Politics in Comparative Perspective, New Haven, London, Yale UP, 1996, viii+408 p. 2 Choudhry S. (ed.), The Migration of Constitutional Ideas, Cambridge, Cambridge UP, 2006, x+448 p., p. ix. 3 Tusseau G., Contre les «modèles» de justice constitutionnelle. Essai de critique méthodologique / Modelli di giustizia costituzionale. Saggio di critica metodologica, pref. Pegoraro L., éd. bilingue, trad. it. Morandini A., Bologna, Bononia UP, coll. «Ricerche di diritto comparato», 2009, 87+106 p. 4 Tusseau G., «La falacia de los modelos de justicia constitucional en la cultura jurídica francesa», in Ferrer Beltrán J. (dir.), Control i equilibris: Els Límits del poder legislatiu i del control de constitucionalitat, à paraître. 5 Tusseau G., Jeremy Bentham. La guerre des mots, Paris, Dalloz, coll. «Les sens du droit. Essai», 2011, 185 p. 6 Bentham J., Fragment sur le gouvernement et Manuel de sophismes politiques, trad. fr. et préf. Cléro J.-P., Paris, Bruxelles, LGDJ, Bruylant, coll. «La pensée juridique moderne», 1996, 386 p., p. 183. * 1 160 © Filodiritto Editore A partir de cette définition, il est possible d’identifier trois dimensions du sophisme des modèles de justice constitutionnelle. En premier lieu, en dépit de ses prétentions scientifiques, l’opposition entre modèle européen et modèle américain ne permet pas de rendre compte de manière satisfaisante son propre objet. Elle ne donne de la justice constitutionnelle, telle qu’elle est pratiquée dans le droit positif de différents Etats, ni une présentation ni une explication convaincante, de sorte qu’elle s’avère trompeuse sur le plan empirique. En deuxième lieu, à ces difficultés s’en ajoutent d’autres, d’ordre méthodologique ou logique, qui ont trait à la manière dont est construite l’opposition entre les modèles. Il en résulte un sophisme théorique. En troisième lieu, dès lors que l’on s’interroge sur les raisons qui peuvent expliquer la persistance d’une construction doctrinale aussi décevante, il est possible d’envisager que cet état de fait tienne à des considérations non pas scientifiques, mais essentiellement idéologiques. Il s’ensuit un sophisme politique, consistant pour l’essentiel à tirer diverses formes de légitimation du Conseil constitutionnel français à partir de prémisses présentées comme essentiellement théoriques et ayant une vocation universelle. 2. Une fois cette critique formulée, le comparatiste est mis en demeure de proposer une alternative méthodologique à la construction qu’il vient de critiquer, c’est-à-dire d’associer une pars construens à la pars destruens de son entreprise. C’est pourquoi, si ce n’est pas le lieu de se livrer à la refondation méthodologique d’ensemble de la discipline comparatiste, ni même de retracer l’intense débat doctrinal qui existe aujourd’hui au sujet de la méthodologie comparative7, il reste néanmoins indispensable de clarifier quelques unes des prises de position épistémologiques qui doivent, à mon avis, guider l’analyse comparative de la justice constitutionnelle. A la suite d’autres auteurs, j’esquissai une voie consistant à associer étroitement théorie générale du droit et droit comparé. Rapidement toutefois, la manière dont je concevais alors cette entreprise en 2009 m’est apparue, de même qu’à certains des lecteurs de ce travail8, insuffisante, incomplète et à plusieurs égards naïve. Je souhaiterais donc, dans le cadre de ce qui est toujours une recherche en cours, retracer et soumettre à la discussion, peut-être de manière quelque peu immodeste, le parcours personnel qui m’a mené du «point de vue de Dieu», c’est-à-dire d’une conception totalement surplombante du métalangage que le comparatiste pouvait offrir sur son objet juridique, à un point de vue qui me semble aujourd’hui plus raisonnable et plus réaliste, qui m’amène à adopter une méthodologie inspirée de celle présentée par le pragmatisme américain9. Les germes d’une telle évolution étaient, à certains égards, déjà perceptibles. Celle-ci est désormais plus consciente et plus assumée d’un point de vue métaméthodologique. Afin de s’orienter dans le foisonnement institutionnel de la justice constitutionnelle que met en évidence l’examen de différents droits positifs, il est nécessaire de se doter de concepts pertinents, i.e. d’élaborer des grilles de lecture permettant de composer, à partir d’éléments de ce désordre, des unités significatives et relativement maniables dans une entreprise comparatiste qui prétend à la scientificité. Dans cette perspective, j’entends retenir le principe d’une forme de conventionnalisme méthodologique, qui est aujourd’hui bien enraciné dans la théorie générale des sciences (1), afin d’esquisser la stratégie scientifique conduisant asymptotiquement à l’élaboration d’un métalangage comparatiste neutre et compréhensif (2). Toutefois, je ne peux ignorer, comme je le faisais auparavant, un certain nombre d’objections, qui me conduisent à une réorientation pragmatiste de la recherche (3). V. p. ex. Legrand P., Munday R. (ed.), Comparative Legal Studies: Traditions and Transitions, Cambridge, Cambridge UP, 2003, vi+520 p.; Reimann M., Zimmermann R. (ed.), Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford, Oxford UP, 2006, xix+1430 p.; Örücü E., Nelken D. (ed.), Comparative Law. A Handbook, Oxford, Portland (Oregon), Hart Publishing, 2007, x+469 p. 8 Bagni S., Rivista di Diritto costituzionale 2009, 2011, pp. 357-360; Pointel J.-B., «Apologie pour les faiseurs de modèles», in International Journal for the Semiotics of Law, Vol. 25(1), 2012, pp. 143-152. 9 Pour des présentations d’ensemble, v. Gauchotte P., Le pragmatisme, Paris, PUF, coll. «Que sais-je?», Vol. 2688, 1992, 127 p.; Cometti J.-P., Qu’est-ce que le pragmatisme?, Paris, Gallimard, coll. «Folio Essais», Vol. 535, 2010, 436 p. 7 161 © Filodiritto Editore 2. Le conventionnalisme dans la théorie générale des sciences 3. Dans le domaine des sciences dites «dures», l’épistémologie contemporaine est dominée par une forme plus ou moins modérée de «conventionnalisme»10. Celui-ci conteste l’idée, attribuée de manière paradigmatique à Claude Bernard11, selon laquelle les théories scientifiques partent de l’observation, identifient fidèlement et objectivement les entités et les processus qui existent réellement, présentent au terme d’un examen suffisamment approfondi la réalité en soi, en tirent des lois par induction et fournissent ainsi des indications sur la nature véritable du monde. Au contraire, le conventionnalisme conçoit les théories scientifiques comme de simples instruments. Elles résultent de décisions, visant à organiser de manière intelligible des phénomènes a priori dépourvus de tout ordre intrinsèque. De ce point de vue, l’observation ne se limite pas à prendre passivement acte de l’existant. Ainsi que le note Gérard Fourez, «Il n’y a pas une information dans le monde que je recevrais comme telle […]. Observer implique une certaine organisation active de la vision. […] Je ne verrai les choses que dans la mesure où elles correspondent à un certain intérêt. […] Quand j’observe ‘quelque chose’, il me faut toujours ‘le’ décrire. Pour cela, j’utilise une série de notions que je possédais auparavant; celles-ci se réfèrent toujours à une représentation théorique, générale implicite. Sans ces notions qui me permettent d’organiser mon observation, je ne sais que dire. […] Donc, pour observer, il faut ramener ce qu’on voit à des notions possédées auparavant. Une observation, c’est une interprétation: c’est intégrer une certaine vision dans la représentation théorique que l’on se fait de la réalité12». La radicalisation des thèses conventionnalistes conduit à affirmer qu’il n’existe pas d’observation neutre, universelle et anhistorique. De plus, les concepts employés pour appréhender les phénomènes ne résultent pas de la nature des choses, i.e. de l’objet analysé, mais du sujet observateur, qui les surimpose à une masse jusque là plus ou moins informe de perceptions de natures diverses (olfactives, tactiles, visuelles, sonores, etc.). Marqués de ce fait d’une forte dépendance vis-à-vis d’un projet intéressé, lui-même solidaire de déterminants contextuels, ils s’insèrent immanquablement dans une histoire, une culture, une langue, une structure économique, etc.13. Ainsi que le relève John Dewey, bien plus que des «données» (data, givens), les objets que la science tire, découpe, isole, sélectionne, abstrait, reconstruit, etc. à partir du flux matériel informe, sont des «prises» (takens)14. 4. C’est pourquoi il existe toujours un nombre infini de théories pour rendre compte d’un nombre fini de perceptions empiriques. En fonction des concepts adoptés, des théories différentes peuvent rendre compte, de diverses manières, des mêmes données sensibles. Selon W.V.O.Quine, «si vous prenez, dans leur totalité, la portion éparpillée de l’univers spatio-temporel qui est constituée de lapins, puis celle qui est constituée de parties de lapins non détachées, puis celle qui est constituée de segments temporels de lapin, vous trouverez les trois fois la même portion éparpillée de l’univers. La seule différence réside dans la manière dont vous avez découpé en tranches cette portion de l’uniSur les différents courants épistémologiques, v. Popper K.R., «Trois conceptions de la connaissance», in Id., Conjectures et réfutations. La croissance du savoir scientifique, trad. fr. De Launay M.-I. et De Launay M.B., Paris, Payot, coll. «Bibliothèque scientifique», 1985, 610 p., pp. 150-182; Id., «Le but de la science», in Id., La connaissance objective. Une approche évolutionniste, trad. fr. et préf. Rosat J.-J., Paris, Flammarion, coll. «Champs», 1998, 578 p., pp. 295-315; Barberousse A., Kistler M., Ludwig P., La philosophie des sciences au XXe siècle, Paris, Flammarion, coll. «Champs Université», 2000, 353 p.; Laugier S., Wagner P. (dir.), Philosophie des sciences I. Théories, expériences et méthodes, Paris, Vrin, coll. «Textes clés de philosophie des sciences», 2004, 368 p.; Id., Philosophie des sciences II. Naturalismes et réalismes, Paris, Vrin, coll. «Textes clés de philosophie des sciences», 2004, 424 p. Pour un exposé clair et convaincant, v. spéc. Fourez G., La construction des sciences. Les logiques des inventions scientifiques, 4e éd., Bruxelles, De Boeck Université, coll. «Sciences, éthiques, sociétés», 2002, 382 p. Dans le domaine juridique, v. p. ex. Villa V., «La science juridique entre descriptivisme et constructivisme», in Amselek P. (dir.), Théorie du droit et science, Paris, PUF, coll. «Léviathan», 1994, 328 p., pp. 281-291; Samuel G., «Epistemology and Comparative Law: Contributions from the Sciences and Social Sciences», in Van Hoecke M. (ed.), Epistemology and Methodology of Comparative Law, Oxford, Portland, Oregon, Hart Publishing, coll. «European Academy of Legal Theory Monographs Series», 2004, x+398 p., pp. 35-77. 11 Bernard C., Introduction à l’étude de la médecine expérimentale, Paris, Londres, Madrid, New York, J.-B. Baillière, 1865, 400 p. 12 Fourez G., La construction des sciences, op. cit., pp. 32-33. 13 Ibid., passim, spéc. pp. 29-92, 143-149, 269-286; Stengers I., Schlanger J., Les concepts scientifiques. Invention et pouvoir, Paris, Gallimard, coll. «Folio Essais», 1991, 190 p. 14 Dewey J., The Quest for Certainty: A Study of the Relation of Knowledge and Action. Gifford Lectures 1929, New York, Minton, Balch & Company, 1929, 318 p., pp. 170-194, spéc. p. 178. 10 162 © Filodiritto Editore vers15». Il est donc possible d’appréhender d’au moins trois manières différentes ce même ensemble de phénomènes. Trois descriptions distinctes, aussi complètes et aussi vraies (ou fausses) les unes que les autres, peuvent en être données, selon que pour le découper, la science s’est dotée du concept de lapin, du concept de partie de lapin ou bien du concept de segment temporel de lapin16. Une telle approche ne signifie pas pour autant l’acceptation d’un relativisme absolu. En effet, toutes les ontologies ne se valent pas. Le choix est notamment guidé par la recherche d’un «pouvoir explicatif réel17» par lequel «nous réduisons la complexité du flot de nos expériences à une simplicité conceptuelle maniable18». Il dépend donc de son utilité en vue de la réalisation d’une certaine tâche. Pour les sciences empiriques traditionnelles, il s’agit notamment d’élaborer un découpage du monde qui autorise la prédiction des événements futurs. Ainsi, Quine va-t-il jusqu’à suggérer que les objets physiques eux-mêmes ne sont rien de plus que des intermédiaires commodes dans le cadre d’une science désireuse de prédire l’expérience future en fonction de l’expérience passée19. Ils sont culturellement postulés, tout comme le sont par exemple les nombres irrationnels20, et tout comme pourraient l’être d’autres entités, si elles s’avéraient utiles21. Dans une perspective pragmatiste, l’essentiel des opérations intellectuelles consiste ainsi à élaborer un ordre conceptuel qui, par ses découpages discrets, discipline en fonction de certains buts, un flux perceptuel continu22. 5. Une telle conception de la science présente certains attraits pour la recherche comparatiste en droit, et notamment pour l’analyse des formes de justice constitutionnelle. Elle conduit à aborder la démarche comparatiste comme comprenant une étape de choix de conventions par lesquelles l’objet va être délimité et appréhendé. A ce titre, dans la mesure où le droit positif se présente essentiellement sous une forme linguistique, il s’agit de déterminer le cadre conceptuel qui régit le métalangage que le comparatiste développe à propos d’un langage-objet fait d’un flux indifférencié. 3. Vers un métalangage comparatiste neutre et compréhensif 6. De la perspective générale que je me propose d’adopter (2.1) s’ensuivent plusieurs principes méthodologiques fondamentaux (2.2). 3.1 La perspective adoptée 7. Le droit comparé se propose d’offrir une vision d’ensemble d’un phénomène, tel qu’il se présente en différents lieux. Des outils méthodologiques pertinents sont nécessaires à cette fin. Dans cette entreprise de construction, il est possible de s’inspirer d’une voie empruntée par Charles Eisenmann, qui a notamment contribué à faire connaitre le système autrichien de justice constitutionnelle23, 15 Quine W.V.O., «Relativité de l’ontologie», in Id., Relativité de l’ontologie et quelques autres essais, trad. fr. Largeault J., Paris, Aubier, coll. «Analyse et raisons», 1977, 187 p., p. 44. 16 Quine W.V.O., La poursuite de la vérité, 2e éd. révisée, trad. fr. Clavelin M., Paris, Le Seuil, coll. «L’ordre philosophique», 1993, 153 p., p.60; Id., «Les deux dogmes de l’empirisme», in Jacob P. (éd.), De Vienne à Cambridge. L’héritage du positivisme logique de 1950 à nos jours, Paris, Gallimard, coll. «Nrf – Bibliothèque des Sciences humaines», 1980, 434 p., pp. 87-113; Duhem P., La théorie physique, son objet, sa structure, 2eéd., Paris, Marcel Rivière & Cie, Éditeurs, coll. «Bibliothèque de philosophie expérimentale», 1914, xvi+524 p., p. ex. p.255. 17 Quine W.V.O., «On What There Is», in Id., From a Logical Point of View. 9 Logico-Philosophical Essays, 2nded. revised, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1964, vi+184 p., p.10. 18 Ibid., p. 17. V. également ibid., pp. 15-16: «Comment allons-nous trancher entre des ontologies rivales? […] Notre acceptation d’une ontologie est, je pense, semblable en principe à notre acceptation d’une théorie scientifique, par exemple un système de physique: nous adoptons, du moins dans la mesure où nous sommes raisonnables, le schéma conceptuel le plus simple dans lequel les fragments désordonnés de l’expérience immédiate peuvent être mis en ordre». 19 Quine W.V.O., «Les deux dogmes de l’empirisme», op. cit. 20 Quine W.V.O., «On What There Is», op. cit., p. 18. 21 Quine W.V.O., «Les deux dogmes de l’empirisme», op. cit., p.110. 22 James W., Introduction à la philosophie, [1911], trad. fr. Galetic S., Paris, Les empêcheurs de penser en rond, Le Seuil, 2006, 209 p., pp. 51-72. 23 Eisenmann C., La justice constitutionnelle et la Haute Cour constitutionnelle d’Autriche, préf. Kelsen H., Paris, LGDJ, 1928, xvi+363 p. 163 © Filodiritto Editore à propos de la décentralisation des ordres juridiques24. Selon lui, «La théorie générale du droit» tend à embrasser du regard tous les systèmes – d’abord tous les systèmes réalisés, mais même (car elle peut dépasser l’expérience passée ou présente par l’imagination) les systèmes possibles; mais à chacun d’eux, elle ne demande, et elle n’en retient, que des données et idées de portée générale propres à les faire comprendre tous; sa préoccupation va seulement à leurs problèmes communs et à la constitution d’un système complet de types de règlements ou d’institutions. On pourrait dire que la ‘théorie générale’ s’élève au-dessus de chaque droit positif, non point parce qu’elle prétendrait s’élever au-dessus du droit positif, mais au contraire parce qu’elle vise à saisir et comprendre tout le droit positif, et même tout droit positif. «Mais, une fois construites dans cet esprit et selon cette méthode ‘universaliste’, les théories générales prennent figure d’introductions à l’étude des droits positifs, précisément parce qu’elles présentent sur un sujet une vue d’ensemble des problèmes qui se posent à tout législateur et des solutions entre lesquelles il peut choisir, – en un mot parce qu’elles dessinent les cadres où se situe et qui serviront à analyser n’importe quel droit positif. […] Poser les problèmes fondamentaux relatifs à la centralisation et à la décentralisation, tels qu’ils se présentent pour un système de droit public, pour une société politique quelconques; analyser le jeu de solutions qu’ils peuvent y recevoir et entre lesquelles les droits positifs se partageront ; exposer les résultats juridiques de leur application, tels sont les objectifs – et les seuls – vers lesquels ce travail voudrait aider à progresser25». Cette orientation méthodologique fondamentale, dont Eisenmann offre une formulation particulièrement nette en affirmant par exemple encore que «Le but théorique, sicentifique, d’une étude de droit comparé doit être de permettre de classer les institutions des différents pays dans les catégories qui leur conviennent à tous26», se retrouve chez d’autres auteurs tels que Jeremy Bentham27, Frantisek Eisenmann C., Centralisation et décentralisation. Esquisse d’une théorie générale, Paris, LGDJ, 1948, 331 p. Pour une tentative de mise en œuvre, v. également Tusseau G., «Le(s) concept(s) de ‘pluralisme syndical’. Esquisse analytique», in Revue de droit du travail, n° 11, 2007, pp. 636-642. 25 Eisenmann C., Centralisation et décentralisation. Esquisse d’une théorie générale, op. cit., pp. 5-6. 26 Eisenmann C., «Intervention au colloque» in Mosler H. (Hrsg.), Verfassungsgerichtsbarkeit in der Gegenwart. Länderberichte und Rechtsvergleichung. Internationales Kolloquium veranstaltet vom Max-Planck-Institut für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, Heidelberg 1961, Köln, Berlin, Carl Heymanns Verlag KG, «Beiträge zum ausländischen öffentlichen Recht und Völkerrecht», Bd. 36, 1962, xliii+1047 p., p. 875. 27 Bentham J., Fragments on Universal Grammar, in The Works of Jeremy Bentham, Bowring J. (ed.), 11 Vol., Edinburgh, W. Tait, 1838-1843, iii+600 p., p. 356: «For bestowing upon the imports respectively attached to these several mysterious parts of speech, the above-mentioned desirable properties of clearness, correctness, and completeness, the following are the logical operations which have presented themselves as requisite to be performed in relation to them: «1. Denomination; i. e. giving to them respectively, and to each separately, or to each aggregate composed of several together, an appropriate name or denomination. «2. Systematization; i. e. placing the several denominations, when so constructed, as above, in systematic order,— i. e. by a division made of the respective universal trunks, being the names of the several genera generalissima, preposition, adverb, conjunction, performed, in each instance, as far as it can be pursued with advantage, in the exhaustive or bifurcate mode, whereby their several relations of agreement and disagreement to and with each other will be brought under the eye at one view. «3. Exemplification, — i. e. exhibiting a proposition or sentence of the sort of those in common use, in the texture of which several words belonging respectively to the above-mentioned genera generalissima, shall respectively be employed. «4. Paraphrasis, — i. e. for the explanation or exposition of each such proposition, or sentence exhibiting another which shall present exactly the same import, but without containing in it a word belonging to the part of speech thus undertaken to be expounded. As in every instance in the paraphrasis, or paraphrastical proposition, or sentence thus brought to view, a more or less considerable number of words will be contained, while the word thus requiring to be expounded is but one (except in a few instances in which two are so put together as to form, as it were, but one) on this consideration the paraphrasis may be termed the development». 24 164 © Filodiritto Editore Weyr28 ou Otto Pfersmann29. Elle consiste à présenter tout d’abord une grille conceptuelle abstraite et générale, couvrant de manière exhaustive toutes les possibilités théoriques susceptibles de se présenter dans le droit positif. Ce modèle d’intelligibilité du droit, construit indépendamment de tout ordre juridique positif particulier, est ainsi complet, ordonné et systématique. Il fait état des possibles théoriques parmi lesquels le droit positif opère des choix30. Ensuite, l’étude minutieuse des institutions relevant de chaque Etat conduit à la production d’une casuistique à partir des dispositifs existants, i.e. à identifier – au moyen des concepts préalablement construits –, puis à classer les multiples éléments qui sont constitutifs de l’organisation de sa justice constitutionnelle au sein des différentes classes élaborées. 8. Dans la construction de ces catégories conceptuelles, il semble recommandable de respecter les indications méthodologiques suivantes31. 3.2 Quatre recommandations méthodologiques fondamentales 3.2.1. Rigueur de la classification 9. En premier lieu, l’élaboration des classifications abstraites destinées à offrir une présentation systématique de l’objet étudié doit répondre à deux séries d’exigences32. Face à un même ensemble d’objets, il est possible de bâtir une infinité de classifications. Soit l’ensemble des constitutions formelles. On peut les classer selon qu’elles comportent un nombre pair ou impair d’articles, instaurent un gouvernement républicain ou une monarchie, mettent en place un Etat fédéral ou non, etc. Ces considérations constituent le critère de la classification. Mais toutes les classifications ne se valent pas. Sur le plan logique, tout d’abord, une bonne classification présente deux propriétés. Les catégories qu’elle construit doivent premièrement être mutuellement exclusives. Au moyen d’un critère, il doit être possible de procéder au classement de l’ensemble des objets de sorte qu’aucun élément ne rentre simultanément dans plusieurs catégories. Ainsi, se proposer de classer les constitutions formelles en opposant celles qui instaurent un Etat fédéral, d’un côté, et celles qui établissent une monarchie, de Weyr F., «Remarques générales sur la nature juridique de la méthode comparative», trad. fr. Roubier P., Mankiewicz H., in Introduction à l’étude du droit comparé. Recueil d’études en l’honneur d’Edouard Lambert, Paris, LGDJ, 1938, t. 1, lv+735 p., pp. 311-314, spéc. p. 312: «la doctrine juridique […] doit préparer un système homogène et complet de notions générales – système qui, à notre avis, est l’instrument indispensable de la connaissance systématique du contenu concret des droits. Ces notions sont ‘générales’ parce que, comme il a été dit, elles sont ‘valables’ pour toute connaissance concrète du contenu des droits. […] C’est pour cela qu’on peut appeler ces notions, concernant la nature propre du droit, des ‘notions formelles’ et, dès lors distinguer entre le contenu (concret, individuel) et la forme (abstraite, générale) du droit.», p. 313: «[l’auteur] doit: 1° donner de ces concepts des définitions valables partout et 2° construire un système homogène des notions ainsi acquises», p. 314: «La méthode comparative traditionnelle ne réussit pas, et d’ailleurs ne peut pas réussir à construire un pareil système [homogène de notions valables partout]. Elle doit, dans ce domaine, céder la place à l’activité constructive de la théorie générale du droit, qui n’a de contact avec le contenu concret et les institutions-types des divers droits qu’en ce sens que les notions générales élaborées par elle n’ont d’autre fonction, ni d’autre but que de servir d’instruments de la connaissance systématique du contenu concret desdits systèmes juridiques». 29 Pfersmann O., «Le droit comparé comme interprétation et comme théorie du droit», in RIDC, Vol. 53, 2001, pp. 275-288, spéc. pp. 285-287: «Si l’on veut s’orienter dans l’ensemble des systèmes juridiques, il faut par conséquent des concepts suffisamment fins et suffisamment généraux en vue d’appréhender une multitude de structures possibles. Le droit comparé ne fait qu’imputer les concepts théoriques de structures possibles à des ordres juridiques actuels en ajoutant ‘en droit français’, ‘en droit communautaire’ etc. […] On pourra dès lors appeler ‘droit comparé’ la discipline qui permet de décrire les structures de n’importe quel système juridique à l’aide de concepts généraux présentant la finesse nécessaire et suffisante. Elle permet ainsi d’interpréter les énoncés de la science du droit qui n’a besoin que des concepts appropriés à chacun des systèmes qu’elle décrit et pour lequel elle développe l’ensemble des solutions possibles des cas qui s’y présentent. […] En tant qu’il décrit des structures juridiques à l’aide de concepts généraux, le comparatiste élimine les connotations extrajuridiques des énoncés non interprétés et il les identifie dans un espace continu de variantes. Si l’usage des noms de concepts par les doctrines juridiques nationales tend à naturaliser et à rationaliser les données des systèmes respectifs de référence, le droit comparé situe n’importe quelle donnée de n’importe quel droit positif national dans l’ensemble des structures possibles». 30 V. en ce sens Tur R., «The Dialectic of General Jurisprudence and Comparative Law», in Juridical Review, 1977, pp. 246, 249. 31 V. également Tusseau G., Les normes d’habilitation, préf. Troper M., Paris, Dalloz, coll. «Nouvelle bibliothèque de thèses», Vol. 60, 2006, xviii+813 p., pp. 31-35. 32 Tusseau G., «Classificazioni», in Pegoraro L. (a cura di), Glossario di Diritto pubblico comparato, Roma, Carocci, 2009, 293 p., pp. 41-42. 28 165 © Filodiritto Editore l’autre, n’est pas opératoire vis-à-vis du Canada. Cet Etat rentre aussi bien dans la première que dans la seconde catégorie. Deuxièmement, les classes élaborées doivent être conjointement exhaustives. Aucun objet à classer ne doit rester hors des catégories construites. Ainsi la classification précédente n’est-elle pas logiquement correcte à l’égard de la Constitution actuelle de la France, qui ne rentre ni dans la catégorie des constitutions fédérales, ni dans la catégorie des constitutions monarchiques. Un critère de classification des constitutions formelles tel que le fait de comporter un nombre pair ou impair d’articles répond à ces exigences logiques: il permet de classer chacune dans une catégorie et une seule ; il permet de classer toutes les constitutions formelles. Mais il est possible de douter de l’intérêt intellectuel d’un tel critère pour les juristes. Au contraire, le fait qu’une constitution instaure un gouvernement républicain ou une monarchie, ou qu’elle mette en place un Etat fédéral ou non, semble a priori plus intéressant. Il s’agit du dernier type de propriété d’une bonne classification: la pertinence. Mais alors que les deux premières propriétés sont objectives, cette dernière est subjective et dépend des buts de la recherche comparative. L’élaboration d’une classification relève donc d’une démarche de type utilitariste, visant à élaborer des concepts fonctionnels en vue de la réalisation d’objectifs intellectuels. 3.2.2. Décisionnisme conceptuel 10. En deuxième lieu, ainsi que le souligne Olivier Jouanjan, «les catégories au moyen desquelles nous cherchons à cerner et produire notre image ou représentation du Conseil constitutionnel, telles celles de ‘justice’ ou de ‘cour constitutionnelle’, ne visent aucune essence mais doivent être construites comme des ‘idéal-types’ au sens de Max Weber33». Il s’agit en effet de purs instruments intellectuels, de constructions, et non d’Idées platoniciennes ou de noumènes dont le droit positif fournirait des instanciations ou des phénomènes. Postuler de telles essences, présentes dans une autre sphère de réalité, est malaisé du point de vue d’une méthodologie empiriste. La présence de ces essences est de plus indémontrable, et s’avère donc difficilement acceptable du point de vue scientifique. Il est de ce fait hors de question de considérer que tel Etat «applique» ou «adopte» tel ou tel modèle ou telle ou telle notion. Au contraire, la thèse proposée conduit plutôt à affirmer que, configuré d’une certaine manière, tel droit positif se prête – entre autres et en fonction des objectifs du locuteur – à une analyse formulée dans les termes de ces notions. Le choix des éléments retenus hic et nunc dans la construction de ce métalangage s’avère strictement utilitariste et instrumental. Chaque système de justice constitutionnelle possédant de nombreuses propriétés, le seul moyen de caractériser celui qui existe dans un Etat donné consiste à définir a priori certains traits pertinents. De multiples critères peuvent être choisis, tels le nombre de lettres dont est composé le nom officiel de l’organe chargé du contentieux constitutionnel, le fait que le bâtiment dans lequel siègent les juges constitutionnels soit construit avec tel ou tel matériau, le fait de savoir si les juges fument ou non, la couleur du recueil des décisions, etc. Ces éléments peuvent ne pas apparaître directement pertinents pour une recherche juridique. On leur préférera plus spontanément d’autres critères, tels, à titre purement illustratif et non exhaustif, le moment auquel s’exerce le contrôle (a priori ou a posteriori), le fait qu’il vise la loi en tant que telle ou bien son application à un cas concret, l’étendue de l’autorité de la décision, le caractère facultatif ou obligatoire de la saisine, la diversité des compétences du juge constitutionnel, le statut des juges constitutionnels, les types de normes contrôlées, les normes de référence, les décisions qu’il est possible de rendre, les acteurs qui peuvent solliciter le juge constitutionnel, l’existence ou non d’un délai Jouanjan O., «Le Conseil constitutionnel est-il une institution libérale?», in Droits, n° 43, 2006, p. 75. V. également en ce sens Pasquino P., «Tipologia della giustizia costituzionale in Europa», in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2002, pp. 359-369; Pegoraro L., «Clasificaciones y modelos de justicia constitucional en la dinámica de los ordenamientos», in Revista iberoamericana de Derecho procesal constitucional. Proceso y Constitución, n° 2, 2004, pp. 131-158. 33 166 © Filodiritto Editore de recours, l’existence ou non d’un délai pour statuer, etc.34 Ces multiples considérations permettent d’établir des classifications à partir des exemplaires concrets de justice constitutionnelle. Un système est pleinement caractérisé au regard de ces critères lorsqu’on aura déterminé, pour chacun d’eux, s’il les satisfait ou non. 11. Selon le type de recherche conduite, l’objet précis et le propos de l’auteur, la pratique dans laquelle il se trouve engagé – par exemple analyser la célérité des dispositifs de justice constitutionnelle, évaluer leur efficacité, situer la justice constitutionnelle dans l’histoire du constitutionnalisme, comprendre la manière dont elle répond aux demandes de la société, l’appréhender comme un phénomène de pouvoir, etc. –, la prise en compte de chacune de ces considérations devra être justifiée. Dès lors, le fait de savoir si les juges fument ou non, qui pouvait a priori sembler farfelu, peut parfaitement s’avérer, au contraire, décisif dans l’explication, selon une perspective attitudinale35, d’une décision des juges constitutionnels relative à la constitutionnalité d’une interdiction de fumer dans les lieux publics. Il pourra également sembler nécessaire d’inclure parmi les critères pertinents des éléments tenant à l’environnement institutionnel – Etat unitaire ou composé36, Etat membre d’une organisation internationale à fort degré d’intégration ou non37, etc. –, à la configuration des forces politiques en présence – existence d’un parti largement majoritaire ou d’un multipartisme indépendant38 – ou, plus généralement, à la culture juridique39 dans laquelle le système de contrôle de constitutionnalité prend place. En la matière, l’intérêt du locuteur et son propos s’avèrent les seules considérations déterminantes. 12. Les avantages d’une telle démarche d’un point de vue scientifique tiennent notamment à ce qu’en restant ancré dans une perspective initiale théorique et analytique, elle évite de présenter comme nécessaires certaines associations conjoncturelles de caractéristiques d’un système constitutionnel. Solidaire d’un assainissement ontologique, elle permet ainsi de se garder de confusions parfois importantes entre les notions, tout en valorisant, sans la trahir ni la déformer, la variété du droit positif, et sans pour autant céder sur la volonté de mettre de l’ordre dans le foisonnement des systèmes existants. Elle souligne enfin à quel point la justice constitutionnelle résulte d’un travail contingent d’élaboration institutionnelle, et donc s’avère solidaire de décisions et donc de pouvoirs. Afin de comprendre ceux-ci elle ouvre, sans pouvoir en tant que telle se réclamer des «cultural studies», sur l’étude des cultures, environnements et mentatlités qui conditionnent l’apparition et le fonctionneV. dans le même sens, en faveur de la multiplication et de la diversification des éléments à prendre en compte, Fernández Rodríguez J.J., La justicia constitucional europea ante el siglo XXI, Madrid, Tecnos, 2002, 164 p.; Nogueira Alcalá H., «Tópicos sobre jurisdicción constitucional y tribunales constitucionales» in Revista de derecho (Valdivia), Vol. 14, 2003, pp. 43-66; Fernández Segado F., «La faillite de la bipolarité ‘modèle américain-modèle européen’ en tant que critère analytique du contrôle de la constitutionnalité et la recherche d’une nouvelle typologie explicative», in Mouvement du droit public. Du droit administratif au droit constitutionnel, du droit français aux autres droits. Mélanges en l’honneur de Franck Moderne, Paris, Dalloz, 2004, lvi+1254 p., pp. 1077-1116; Celotto A., «La justicia constitucional en el mundo: formas y modelos», in Revista Iberoamericana de Derecho Procesal Constitucional. Proceso & Constitución, n° 1, 2004, http://www.iidpc.org/pdf/doctrinar1Celotto.pdf; Pegoraro L., «Clasificaciones y modelos de justicia constitucional en la dinámica de los ordenamientos», op. cit.; Id., Giustizia costituzionale comparata, 2aed., Torino, G. Giappichelli, coll. «Le frontiere del diritto», Quaderno n. 1, nuova serie, 2007, x+262 p., pp. 203-206; Id., Derecho constitucional comparado. Itinerarios de investigación, pról. Figueroa Mejía G.A., presentación Pérez Colunga J.J., Santiago de Querétaro, Fundación universitaria de derecho, administración y política, 2011, 650 p., pp. 238-287. 35 V. spéc. Segal J.A., Spaeth H.J., The Supreme Court and the Attitudinal Model Revisited, Cambridge, New York, Cambridge UP, 2002, xix+459 p. 36 Sur l’importance de ces considérations, v. p. ex. Beaud O., «De quelques particuliarités de la justice constitutionnelle dans un système fédéral», in Grewe C., Jouanjan O., Maulin E., Wachsmann P. (dir.), La notion de «justice constitutionnelle», Paris, Dalloz, coll. «Thèmes et commentaires», 2005, ix+188 p., pp. 49-72. 37 V. p. ex. sur ce thème Szymczak D., La Convention européenne des droits de l’homme et le juge constitutionnel national, préf. Flauss J.-F., Bruxelles, Bruylant, coll. «Publications de l’Institut international des droits de l’homme», n° 7, 2006, xxi+849 p.; De Aranjo C., Justice constitutionnelle et justices européennes des droits de l’homme. Etude comparée: France-Allemagne, Bruxelles, Bruylant, coll. «Droit public comparé et européen», Vol. 3, 2009, 443 p. 38 V. p. ex. Ginsburg T., Judicial Review in New Democracies, op. cit. 39 V. p. ex. pour un aperçu suggestif Nelken D. (ed.), Comparing Legal Cultures, Aldershot, Brookfield, Vt., Dartmouth, 1997, viii+274 p.; McHugh J.T., Comparative Constitutional Traditions, New York, Washington D.C., Baltimore, Bern, Frankfurt am Main, Berlin, Bruxelles, Wien, Oxford, Peter Lang, coll. «Teaching Texts in Law and Politics», Vol. 27, 2002, vii+235 p.; Kahn P.W., The Cultural Study of Law. Reconstructing Legal Scholarship, Chicago, London, The University of Chicago Press, 1999, ix+169 p.; Sarat A., Simon J. (ed.), Cultural Analysis, Cultural Studies, and the Law. Moving Beyond Legal Realism, Durham, London, Duke University Press, 2003, iii+366 p. 34 167 © Filodiritto Editore ment de ces institutions. Cette méthode a toutefois un coût certain, notamment vis-à-vis du choix inverse consistant à offrir des présentations monographiques successives complètes de la justice constitutionnelle telle qu’elle est organisée et fonctionne dans chaque Etat. En effet, afin d’avoir une vision d’ensemble d’un système de contrôle de constitutionnalité dans un pays donné, il est nécessaire de parcourir l’ensemble des rubriques choisies et de recomposer le visage complet du droit positif en cause. Mais telle peut sembler la seule manière de procéder à une «comparaison» proprement dite. 3.2.3. Descriptivisme initial 13. En troisième lieu, ces catégories doivent, à titre initial, viser une utilisation strictement descriptive et scientifique. Elles n’ont pas vocation à servir en tant que telles de prémisses à des raisonnements d’où pourraient être tirées des conséquences normatives. Les concepts élaborés par la théorie du droit visent donc uniquement à permettre une étude systématique de certains dispositifs qui existent dans divers droit positifs. Il s’agit de mettre de l’ordre dans une étude, et non d’en inférer ensuite un «modèle» de justice constitutionnelle, auquel il serait recommandable, sur un plan politique, que les exemples concrets se conforment. Il n’est toutefois pas exclu, ensuite, que ces instruments puissent être employés dans le cadre d’une technique ou au sein de discours stricto sensu normatifs, visant, par exemple, à proposer ou justifier une réforme du système de contrôle de constitutionnalité40. Ainsi que le note Rodolfo Sacco, «Comme les autres sciences, le droit comparé demeure une science tant qu’il acquiert des connaissances et indépendamment du point de savoir si les connaissances sont ou non utilisées à d’autres fins […]. Le droit comparé est comme d’autres sciences en ce que son objectif doit être l’acquisition de connaissances. Comme les autres branches de la science juridique, il poursuit la connaissance du droit41». 3.2.4. Universalisme 14. En quatrième lieu, afin d’être largement applicables dans le temps et dans l’espace, et d’autoriser ainsi une étude qui soit susceptible de comprendre les évolutions institutionnelles et de servir une démarche comparatiste, les concepts en question devraient idéalement être construits indépendamment de toute référence au droit positif d’un Etat déterminé. La démarche consistant à tirer des concepts généraux d’un droit particulier, comme le propose par exemple Raymond Carré de Malberg42, court le risque de prendre pour l’expression de concepts théoriques ou de vérités éternelles ce qui n’est que strictement conjoncturel. Outre le platonisme qui lui est sous-jacent, l’élaboration de concepts théoriques à partir de ces données peut s’avérer dupe des idéologies dont sont hic et nunc porteurs les discours juridiques43. La doctrine peut ainsi être conduite à appauvrir la fonction critique de la science du droit44, qui consiste précisément à élucider les straté40 V. en ce sens Kelsen H., «Préface», in Eisenmann C., La justice constitutionnelle et la Haute Cour constitutionnelle d’Autriche, op. cit., pp. v-xi 41 Sacco R., «Legal Formants: A Dynamic Approach to Comparative Law», American Journal of Comparative Law, Vol. 39, 1991, p. 4. 42 V. spéc. l’énoncé intégral du titre de ses ouvrages, Carré de Malberg R., Contribution à la théorie générale de l’Etat spécialement d’après les données fournies par le Droit constitutionnel français, Paris, Sirey, t. 1, 1920, xxxvi+837 p, t. 2, 1922, xiv+642 p.; Id., Confrontation de la théorie de la formation du droit par degrés avec les idées et les institutions consacrées par le droit positif français relativement à sa formation, Paris, Sirey, 1933, vii+174 p. 43 Sur ce risque, v. p. ex. Samuel G., Epistemology and Method in Law, Aldershot, Ashgate, 2003, xxvi+384 p., pp. 18-19. 44 Sur cette fonction, sans même s’associer aux Critical Legal Studies ni invoquer, à l’instar de certains auteurs (Fletcher G.P., «Comparative Law as a Subversive Discipline», in American Journal of Comparative Law, Vol. 46, 1998, pp. 683-700; Muir-Watt H., «La fonction subversive du droit comparé», in Revue internationale de droit comparé, 2000, pp. 503-527), une fonction subversive du droit comparé, v. p. ex. Kelsen H., Reine Rechtslehre. Einleitung in die Rechtswissenschaftliche Problematik, Liepzig, Wien, Franz Deuticke, 1934, xiv+236 p., pp. 16-18, 35-38, 116-117; Id., Théorie pure du droit, 2e éd., trad. fr. Eisenmann C., Paris, Dalloz, coll. «Philosophie du droit», Vol. 7, 1962, 496 p., pp. 141-148, 372-419, 452; Troper M., «Les fonctions de la recherche en droit public interne», in La recherche juridique (Droit public), av.-prop. Dupuis G., Paris, Economica, coll. «Recherches Panthéon – Sorbonne. Université de Paris I», Série «Sciences juridiques. Administration publique», 1981, vi+120 p., p. 47. 168 © Filodiritto Editore gies et les argumentations des acteurs. En outre, cette méthode de construction des concepts théoriques s’expose à une forme d’ethnocentrisme qui rend ses outils impropres à l’étude d’autres types de régulations juridiques géographiquement, historiquement ou culturellement éloignées des énoncés dont la doctrine a tiré ses concepts. Diachroniquement, en élaborant ses concepts théoriques à partir d’un état donné d’un droit positif, la doctrine se prive de la possibilité d’effectuer un travail d’ordre historique. Rien ne garantit en effet que le concept qui a été tiré d’un état du droit donné à l’instant t soit pertinent dans le nouvel état du droit, à l’instant t+1. Synchroniquement, la doctrine qui tire ses concepts d’un droit national particulier se prive corrélativement de la possibilité d’analyser tout autre droit positif. Il est donc indispensable, de ce double point de vue, de disposer de concepts plus abstraits, susceptibles d’être appliqués à des situations évolutives ou divergentes du droit positif et d’en fournir une grille de lecture unitaire. 15. Il s’agit donc de bâtir un métalangage neutre, indépendant des langages-objets analysés, et capables de subsumer les catégories employées par chacun d’eux – qu’ils soient distincts sur le plan temporel ou spatial – sous des concepts théoriques plus généraux autorisant à les confronter sur le plan intellectuel dans une opération comparatiste. Ce métalangage offre la réponse à la question, classique dans la méthodologie du droit comparé, du tertium comparationis. La comparaison de deux objets consiste à les mettre en relation. Sur un plan intellectuel, ceci suppose la subsomption de chacun d’eux sous un modèle de référence (1) commun et (2) indépendant de l’un et de l’autre45. Ainsi que l’écrivait Gustav Radbruch, «en présence de plus de deux concepts, chacun se laisse rapporter à l’autre non directement, mais indirectement, lorsqu’il se voit rapporté au même concept tiers46». Dénommé «tertium comparationis» («le troisième élément de la comparaison»), celui-ci désigne la propriété que les éléments comparés (comparatum et comparandum) partagent, et faute de laquelle ils ne pourraient pas être mis en rapport. Ainsi pour comparer les carottes et les pommes de terre, est-il nécessaire d’avoir à l’esprit (même si on n’en est pas conscient) un concept comme celui de «légume» ou de «comestible» ou d’«ingrédient potentiel de potage» ou d’«objet qui pousse dans le sol», etc. Si l’on prend un exemple juridique, les cours constitutionnelles italienne et autrichienne ne peuvent être comparées qu’à travers l’utilisation d’un concept unique tel que celui de «cour constitutionnelle», qui permet de les saisir ensemble. Même lorsque l’opération de comparaison aboutit au constat de divergences considérables, elle implique, par sa réalisation même, une confrontation des objets qui ne peut avoir lieu qu’à l’aide d’un tertium comparationis. Pour certains auteurs, le tertium comparationis préexiste au travail du comparatiste et s’impose à lui. Il relève alors d’une forme de droit naturel ou d’éther conceptuel qui surplombe les objets comparés et se trouve «inscrit» en eux. Ainsi la propriété d’être des cours constitutionnelles serait-elle naturellement présente dans les juridictions italienne et autrichienne. D’autres auteurs considèrent au contraire le tertium comparationis comme un élément qui est choisi par l’auteur de la comparaison en fonction de ses perspectives et de ses intérêts de recherche. Diverses possibilités de tertia comparationis peuvent alors être envisagées afin de rapprocher des éléments de droit positif: leur fonction sociale, leur but, leur résultat pratique, etc. Il s’agit là de concepts théoriques que l’on peut dire «généraux», en ce qu’ils sont applicables à plusieurs droits positifs. Ils rentrent dans un métalangage que l’on peut bâtir afin de rassembler, manipuler, confronter, etc. les unités du langage-objet que sont les institutions positives. 16. Il me semblait initialement possible de me fonder sur cette représentation finalement très kelsénienne de la théorie générale du droit afin de poser les jalons d’une approche comparative renouvelée de la justice constitutionnelle. Selon cette vision de la discipline, la théorie générale du droit permet d’étudier tous les droits positifs possibles, en fournissant des instruments qui permettent au comparaConstantinesco L.-J., Traité de droit comparé, t. 2 La méthode comparative, Paris, LGDJ, 1974, 412 p., pp. 34-38, 78-79; Pegoraro L., Rinella A., Introducción al derecho público comparado, trad. cast. Astudillo C., Lima, Palestra, 2006, 141 p., pp. 60-61. 46 Radbruch G., «Über die Methode der Rechtsvergleichung», in Monatsschrift für Kriminalpsychologie und Strafrechtsreform, Bd. 2, 1905, pp. 422-425. V. de même Knapp V., «Quelques problèmes méthodologiques dans la science du droit comparé», in Revue roumaine des sciences sociales (Série de sciences juridiques), Vol. 12(1), 1968, pp. 75-85, spéc. pp. 75-78. 45 169 © Filodiritto Editore tiste de se tenir, à partir d’un posture intellectuelle stable et détachée, à équidistance des objets comparés. Toutefois, j’ai rapidement perçu un certain inconfort vis-à-vis de cette conception primitive, qui me semblait par ailleurs ne pas avoir tiré toutes les conséquences de l’adoption d’une forme de conventionnalisme méthodologique. C’est pourquoi, orientée par ces idées directrices, la démarche envisagée ne peut méconnaître la force de certaines objections. 4. Une réorientation pragmatiste 17. Deux séries de remarques liées peuvent être formulées à ce niveau, dont chacune est liée à des débats philosophiques extrêmement complexes qu’il n’est en l’occurrence possible que d’effleurer. 4.1 L’objection gnoséologique 18. La première a trait à la relation entre les éléments appréhendés par les concepts fournis par la théorie du droit et ces concepts eux-mêmes. Elle se rapporte en d’autres termes à la vaste question de la «primauté» entre le concept et le «réel». L’adoption d’une conception apparentée au conventionnalisme conduit à se rapprocher de l’attitude d’auteurs tels que Hilary Putnam. Selon sa philosophie «internaliste» ou «réaliste pragmatiste», il est radicalement impossible d’avoir un quelconque accès à la réalité brute dans toute sa pureté. Les «faits» ne sont jamais saisis qu’à travers un cadre conceptuel, et il est impossible à l’homme de sortir de lui-même pour adopter sur eux le point de vue, totalement extérieur et totalement surplombant, de Dieu47. Selon Putnam, «la question ‘De quels objets le monde est-il fait’ n’a de sens que dans une théorie ou une description48». C’est pourquoi «L’internalisme ne nie pas que le savoir reçoit des inputs de l’expérience […]. Mais l’internalisme nie qu’il y ait des inputs qui ne soient pas dans une certaine mesure influencés par nos concepts, par le vocabulaire que nous utilisons pour les rapporter et les décrire, ou qu’il y ait des inputs qui admettent une description unique, indépendante de tout choix conceptuel49». Déjà, les auteurs fondateurs du pragmatisme américain avaient établi, a l’instar de William James, que «Ce que nous disons de la réalité dépend ainsi de l’angle sous lequel nous la regardons. Qu’elle soit ne dépend que d’elle, mais ce qu’elle est dépend de l’angle choisi et ce choix dépend de nous50». Il en résulte que les éléments de droit positif appréhendés lors d’une comparaison au moyen des concepts généraux construits par la théorie du droit ne sauraient être purs. Ils ne peuvent qu’être, d’ores et déjà, médiatisés par des concepts préalables51. Aussi les concepts théoriques se limitent-ils, d’un point de vue scientifique, à réordonner ou redécouper des découpages conceptuels préexistants. De ce point de vue, l’idée d’une «expérience pure» ou de «existences brutes52» ne paraissent pouvoir être comprises que de manière asymptotique. Selon William James, «L’‘expérience pure’ est le nom que j’ai donné au flux immédiat de la vie, lequel fournit la matière première de notre réflexion ultérieure, avec ses catégories conceptuelles. Il n’y a que les nouveaux-nés, ou les hommes plongés dans Putnam H., Raison, vérité et histoire, trad. fr. Gerschenfeld A., Paris, Les éditions de Minuit, coll. «Propositions», 1994, 242 p., pp. 61-87. 48 Ibid., p. 61. 49 Ibid., p. 66. 50 James W., Le pragmatisme, trad. fr. N. Ferron, préf. et éd. S. Madelrieux, Paris, Flammarion, coll. «Champs», 2007, 350 p., p. 261. 51 Putnam H., Raison, vérité et histoire, op. cit., pp. 61-62, 66-68. V. également Id., Représentation et réalité, trad. fr. Engel-Tiercelin C., Paris, Gallimard, coll. «Nrf essais», 1990, 226 p., pp. 179-190; V. dans le même sens Davidson D., «On the Very Idea of a Conceptual Scheme», in Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, Vol. 47, 1973-1974, pp. 5-20. 52 Dewey J., Essays in Experimental Logic, Chicago, The University of Chicago Press, 1916, vii+444 p., p. ex. p. 35: «The position taken in the essays is frankly realistic in acknowledging that certain brute existences, detected or laid bare by thinking but in no way constituted out of thought or any mental process, set every problem for reflection and hence serve to test its otherwise merely speculative results. It is simply insisted that as a matter of fact these brute existences are equivalent neither to the objective content of the situations, technological or artistic or social, in which thinking originates, nor to the things to be known of the objects of knowledge. Let us take the sequence of mineral rock in place, pig iron and the manufactured article, comparing the raw material in its undisturbed place in nature to the original res of experience, compare the manufactured article to the objective and object of knowledge, and the brute datum to the metal undergoing extraction from raw ore for the sake of being wrought into a useful thing». 47 170 © Filodiritto Editore un demi-coma dû au sommeil, à des drogues, à des maladies ou à des coups, dont on peut supposer qu’ils ont une expérience pure au sens littéral d’un cela qui n’est encore aucun quoi défini, bien qu’il s’apprête à être toutes sortes de quoi […]. L’expérience pure, dans cet état, n’est qu’un autre nom pour désigner le sentiment ou la sensation. Mais son flux tend à se remplir de points d’inflexion aussitôt qu’il se produit, et ces parties saillantes se trouvent alors identifiées, fixées et abstraites, si bien que l’expérience s’écoule maintenant comme si elle était criblée d’adjectifs, de noms, de prépositions et de conjonctions. Sa pureté n’est qu’un terme relatif, désignant la proportion de sensation non encore verbalisée qu’elle renferme encore53». 19. La possibilité même de déterminer une priorité gnoséologique entre concepts et empirie peut être considérée comme douteuse, puisque les concepts apparaissent façonnés afin d’appréhender des phénomènes qui eux-mêmes ne sont accessibles qu’à travers des concepts préalables, dont la construction résulte nécessairement d’une confrontation avec les phénomènes, etc. Dans les termes de James, «Dans le monde où nous vivous, il est impossible, sauf par une rétrospection théorique, de débrouiller l’écheveau des contributions respetives de l’intellect et des sens54». Une vision cohérentiste de la connaissance conduit à renoncer à la représentation de notre connaissance comme une pyramide de justifications au sommet de laquelle se trouverait un ensemble de fondements (croyances indémontrées, évidences, données empiriques, etc.) insusceptibles d’être questionnés, au profit d’une vision selon laquelle les différentes croyances ou thèses trouvent leur justification dans leur appartenance à un ensemble cohérent, mais parfaitement faillible, contestable, ajustable et révisable, d’éléments, qu’elles contribuent soutenir tout en étant justifiées par ses autres éléments55. Elle invite, ainsi que l’affirme Enrico di Robilant, à considérer que «L’appréciation de la compréhension de la réalité ne porte pas en conséquence sur une correspondance entre les affirmations et la réalité, mais bien davantage sur la relation entre la qualification dans laquelle est exprimée la compréhension et les qualifications dont est constitué le cadre de la réalité56». Aussi sont-ce essentiellement des versions différentes de ce qui est décrit qui sont confrontées les unes aux autres57. In fine, en radicalisant cette conception et en lui offrant une formulation très générale, il semble possible d’affirmer que la valeur de la construction proposée se mesure au caractère «satisfaisant», c’est-à-dire intellectuellement ou pratiquement «payant», – chacun étant juge de ce qui lui agrée – du monde qu’elle permet de construire et de l’histoire qu’elle permet corrélativement de raconter. Aussi l’enquête scientifique, faite de paris conceptuels successifs qui sont tour à tour testés du point de vue de leurs conséquences pratiques pour celui qui les emploie, a-t-elle partie liée avec les intérêts locaux de celui qui la mène. Ainsi que le note par exemple William James, «Nous disons que telle théorie résout ce problème de façon globalement plus satisfaisante que telle autre, mais cela veut dire plus satisfaisante pour nous, et les critères de satisfaction varient selon chaque personne58». De ce point de vue, c’est donc vers une forme de pragmatisme que s’oriente la méthode proposée59. Si métalangage comparatiste il y a, celui-ci ne peut définitivement pas être neutre, mais nécessairement impliqué et solidaire d’une perspective déterminée. En insistant sur le fait qu’«il n’existe pas de point de vue absolument public et universel. Des perceptions privées et incommunicables demeurent toujours, et le pire est que ceux qui les cherchent depuis l’extérieur ne savent jamais où60», cette sensibilité conduit à faire face de manière d’autant plus pressante à une seconde objection, tout en 53 James W., «La chose et ses relations», in Id., Essais d’empirisme radical, trad. fr. et préf. Garreta G., Girel M., Marseille, Agone, coll. «Banc d’essais», 2005, 236 p., p. 90. Pour une discussion, v. p. ex. Lapoujade D., William James. Empirisme et pragmatisme, Paris, Les empêcheurs de penséer en rond, Le Seuil, 2007, 153 p., spéc. pp. 25-58. 54 James W., Introduction à la philosophie, trad. fr. Galetic S., Paris, Les empêcheurs de penser en rond, Le Seuil, 2006, 209 p., p. 100. 55 Pour une présentation, v. Dutant J., Engel P., Philosophie de la connaissance. Croyance, connaissance, justification, Paris, J. Vrin, coll. «Textes clés de philosophie de la connaissance», 2005, 448 p. 56 Di Robilant E., Modelli nella filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, coll. «Saggi», Vol. 72, 1968, 210 p., p. ex. p. 201. 57 Goodman N., Manières de faire des mondes, trad. fr. Popelard M.-D., Paris, Gallimard, coll. «Folio», 2006, 228 p., p. ex. pp. 19, 22, 131-152. 58 James W., Le pragmatisme, trad. fr. Ferron N., préf. et éd. Madelrieux S., Paris, Flammarion, coll. «Champs», 2007, 350 p., p. 125. 59 V. spéc. ibid., pp. 255-279. 60 James W., Talks to Teachers on Psychology: and to Students on Some of Life’s Ideals, New York, Henry Holt and Company, 1899, xi+196 p., p. v. 171 © Filodiritto Editore permettant de l’affronter de manière plus sereine. 4.2 L’objection d’ethnocentrisme 20. La seconde objection consiste à affirmer qu’outre sa naïveté en son principe même, l’idée d’un métalangage neutre et compréhensif dissimule mal, précisément sous couvert d’y échapper, une forme d’ethnocentrisme. Cette difficulté n’est autre qu’une version de problèmes herméneutiques très généraux, mis en évidence notamment par Hans-Georg Gadamer61. Il est impossible de comprendre un objet culturel dans ses propres termes, c’est-à-dire en se libérant de nos habitudes, croyances, préjugés, attentes, interprétations, formes de vie, etc. Tout observateur est toujours placé dans une certaine disposition intellectuelle ou situé dans des modèles et des préconceptions dans lesquelles, inévitablement, il organise ses perceptions et ses pensées, et qui les conditionnent nécessairement62. De façon très significative, Louis Assier-Andrieu rapporte la manière dont, chacun ramenant l’inconnu au connu lors de leur premier contact, les Aztèques ont assimilé les cavaliers d’Hernán Cortès à des centaures mythologiques, tandis que les conquistadors considéraient les premiers comme des bêtes63. 21. Parmi les comparatistes, Pierre Legrand est l’auteur qui défend avec le plus de vigueur la thèse selon laquelle les droits qui sont l’objet de la comparaison sont solidaires d’environnements culturels, intellectuels, linguistiques, historiques, sociaux, psychologiques, etc., qu’ils incorporent au point d’être difficilement commensurables les uns aux autres64. Il en résulte notamment que le transfert d’une règle juridique d’un système à un autre est radicalement impossible. «Un élément crucial de la qualité de règle de la règle – sa signification – ne survit pas au voyage d’un système juridique à un autre. […] A mesure que les mots traversent les frontières, une rationalité et une moralité différentes interviennent pour souscrire et réaliser les mots empruntés : la culture hôte continue d’articuler ses recherches morales selon des standards de justification traditionnels. Ainsi, la forme verbale importée se voit nécessairement attribuer une signification différente, locale, qui en fait ipso facto une règle différente65». Sur le plan méthodologique, le passage d’une culture à l’autre qu’implique toute comparaison satisfaisante ne peut jamais être opéré qu’à partir d’un point de vue déterminé, de sorte que toute prétention à concevoir une langue et une grille conceptuelle capable de surplomber plusieurs droits est illusoire. Le biais induit par la culture originelle de l’auteur, et notamment la première culture juridique dans laquelle il a été formé, paraît inévitable66. Ainsi que le souligne Legrand, «Toute altérité est recueillie par un horizon de compréhension propre au soi – une précompréhension – qui s’inscrit dans une tradition, donc qui renvoie à une prétention de vérité émanant d’un contexte vivant de convictions, d’habitudes et de jugements de valeur communs. C’est dire que ce qui est, pour le comparatiste, n’existe qu’à la mesure de la signification, en fait culturellement déterminée, que cela prend pour lui67». Telle est également la conclusion, invitant à la prudence, que suggèrent les socioépistémologues. Les constructions conceptuelles demeurent marquées par les contextes qui président à leur élaboration. Malgré sa critique de la méthode d’élaboration des concepts théoriques à partir d’un droit Gadamer H.-G., Vérité et Méthode. Les grandes lignes d’une herméneutique philosophique, éd. fr. Fruchon P., Grondin J., Merlio G., Paris, Le Seuil, coll. «L’ordre philosophique», 1996, 533 p., spéc. pp. 286-292, 312-321. 62 V. également Skinner Q., «Meaning and Understanding in the History of Ideas», in History and Theory, Vol. 8, 1969, pp. 3-53, spéc. p. 6; Dunn J., «The Identity of the History of Ideas », in Philosophy, Vol. 43, 1968, pp. 85-104. 63 Assier-Andrieu L., L’autorité du passé. Essai anthropologique sur la Common Law, Paris, Dalloz, coll. «Les sens du droit», 2011, 271 p., p. 127. 64 V. p. ex. Legrand P., Le droit comparé, 4e éd., Paris, PUF, coll. «Que sais-je?», Vol. 3478, 2011, 127 p.; Id., «La comparaison des droits expliquée à mes étudiants», in Id. (dir.), Comparer les droits, résolument, Paris, PUF, coll. «Les voies du droit», 2009, 630 p., pp. 209-244. 65 Legrand P., «The Impossibility of ‘Legal Transplants’», in Maastricht Journal of European and Comparative Law, Vol. 4, 1997, p. 117. 66 Legrand P., Le droit comparé, op. cit., p. ex. pp. 5-6, 11, 13-14, 46, 58-59, 83. V. p. ex. dans le même sens Izorche M.-L., «Propositions méthodologiques pour la comparaison», in Revue internationale de droit comparé, Vol. 53, 2001, pp. 289-325; Id., «Approches épistémologiques de la comparaison des droits», in Legrand P. (dir.), Comparer les droits, résolument, op. cit., pp. 140-141. 67 Legrand P., «Sur l’analyse différentielle des juriscultures», in Revue internationale de droit comparé, Vol. 51(4), 1999, p. 1058. 61 172 © Filodiritto Editore positif donné, qui conduit à couler la lecture des institutions étrangères dans le moule des institutions nationales, la prétention à bâtir un métalangage théorique neutre n’échapperait pas, bien que située à un niveau de langage supérieur, à son inscription dans un contexte déterminé, qui conduit à ce que «le chercheur est toujours, d’une manière ou d’une autre, partie prenante du champ d’observation; il a investi son objet ne serait-ce que par sa langue, par les catégories et les concepts qu’il utilise, par son expérience histoirique, par les savoirs préalables auxquels il se réfère, etc. Sa position est donc décentrée68». Ainsi, les catégories proposées à titre de grille de lecture n’ont aucune validité éternelle ni universelle. Surtout, elles ne peuvent être élaborées que dans une langue69, et à partir de questionnements qui, nécessairement, présentent, au moins à titre initial, un caractère local et situé. Toute grille de lecture théorique s’avère ainsi marquée par les «cryptotypes70» de son auteur. 22. Aussi, tout en se gardant de de toute forme de réification supraindividuelle des cultures qui méconnaitrait la possibilité d’interactions, d’échanges, de contacts, d’hybridations, etc.71, doit-on se résoudre à admettre consciemment, dans le domaine du droit comparé, le propos qu’Anatole France formulait au sujet de la critique littéraire: «il n’y a pas plus de critique objective qu’il n’y a d’art objectif, et tous ceux qui se flattent de mettre autre chose qu’eux-mêmes dans leur œuvre sont dupes de la plus fallacieuse philosophie. La vérité est qu’on ne sort jamais de soi-même. C’est une de nos plus grandes misères. […] Nous sommes enfermés dans notre personne comme dans une prison perpétuelle. Ce que nous avons de mieux à faire, ce me semble, c’est de reconnaître de bonne grâce cette affreuse condition et d’avouer que nous parlons de nous-mêmes, chaque fois que nous n’avons pas la force de nous taire72». C’est pourquoi la réflexion épistémologique envisagée ne peut prétendre, en l’état, échapper à ces difficultés ni envisager de parvenir miraculeusement à une situation de transcendance archimédienne vis-à-vis des attaches culturelles, sociales, linguistiques, etc. qui sont celles de l’auteur. A tout le moins un effort délibéré doit-il être réalisé afin de porter méthodiquement à la conscience ces présupposés et d’en maîtriser, autant que possible, l’impact sur le choix du sujet de recherche, l’orientation de l’étude, la construction des démonstrations, etc. Tel est précisément l’enjeu du recours à la théorie du droit. Il s’agit également, dans une perspective scientifique, de rendre aussi explicites que possibles et accessibles sur le plan intersubjectif ces présupposés et les choix qu’ils conduisent à opérer. A proprement parler inévitables, leur claire exposition doit faciliter une discussion ouverte et sans quiproquos73, et permettre à chacun d’assumer la responsabilité de ses thèses74. 23. Il ne me semble donc plus tenable ni opportun de soutenir que la théorie générale du droit est en mesure de permettre au comparatiste de se doter d’un métalangage totalement neutre. Ainsi que le note Günther Frankenberg, «la neutralité fictive stabilise l’influence et l’autorité de la perspective propre du comparatiste, et entretient la bonne conscience avec laquelle les comparatistes déploient les dichotomies, distinctions et systématisations qu’ils s’imposent à eux-mêmes75». De ce point de vue, je ne pense pas qu’il y ait une réelle perte à renoncer à cette dimension illuministe du kelsénisme au Werner M., Zimmermann B., «Penser l’histoire croisée: entre empirie et réflexivité», in Annales. Histoire, sciences sociales, Vol. 58(1), 2003, p. 11. 69 Sur cet aspect, v. spéc. Großfeld B., «Comparatists and Language», in Legrand P., Munday R. (ed.), Comparative Legal Studies: Traditions and Transitions, op. cit., pp. 154-194. 70 V. sur cette notion Sacco R., La comparaison juridique au service de la connaissance du droit, Paris, Economica, coll. «Etudes juridiques comparatives», 1991, 175 p., spéc. pp. 105-108. 71 Nuançant les thèses de P. Legrand, v. p. ex. Nelken D., «Comparatists and Transferability», in Legrand P., Munday R. (ed.), Comparative Legal Studies: Traditions and Transitions, op. cit., pp. 437-466. 72 France A., La vie littéraire, 1888-1892, 2e série, Note 19: Jules Lemaître, Impressions de théâtre. Lecène, édit., in-18, disponible sur http://fr.wikisource.org/wiki/M._Jules_Lema%C3%AEtre. 73 En ce sens, v. spéc. G. Fourez, La construction des sciences, op. cit., p. 236, invoquant «une éthique de chercheurs qui essaient de mettre en évidence les diverses possibilités et bifurcations éventuelles des développements technologiques. Leur objectif est de donner aux divers groupes intéressés suffisamment d’éléments pour que le débat, finalement politique […] puisse se faire dans une certaine rationalité partagée et selon les principes de la démocratie. On peut considérer le T.A. [Technology Assessment] comme une sorte de processus de critique idéologique». V. également ibid., p. 327. Du point de vue des comparatistes, v. spéc. Legrand P., Le droit comparé, op. cit., pp. 73-125. 74 V. en ce sens Carrette J., «Etudes religieuses comparatives et éthique de la connaissance: de la moralité des catégories», in Legrand P., (dir.), Comparer les droits, résolument, op. cit., p. 513. 75 Frankenberg G., «Critical Comparisons: Re-thinking Comparative Law», in Harvard International Law Journal, Vol. 26, 1985, p. 425. 68 173 © Filodiritto Editore profit d’une approche teintée, à nouveau, de pragmatisme. La pratique du droit comparé offre précisément, outre un champ d’application pour cette vision renouvelée, ouvertement instrumentale et relativiste de la théorie du droit, une manière de stimuler sa créativité, en développant son caractère auto-critique et réflexif. En retenant que chaque discours est dépendant de la «perspective» du locuteur, que celui-ci choisit tout autant qu’il se trouve constitué par elle, le pragmatisme fonde un pluralisme méthodologique. Il refuse tout essentialisme des catégories, et conduit à raisonner, selon une expression chère à Charles Sanders Pierce, en termes d’«enquête76», c’est-à-dire moins en termes de conventions, c’est-à-dire de décisions conceptuelles offrant des grilles de lecture du droit positif, qu’en termes de processus d’élaboration de conventions. De ce point de vue, «Le pragmatisme est une méthode d’évaluation pratique des conventions. La question propre à la méthode pragmatique peut désormais se formuler ainsi: avec quelles idées doit-on passer des conventions pour augmenter, consolider son sentiment de confiance, pour élargir son champ d’action ou son champ de pensée?77» Une telle perspective conduit de la sorte à révéler et problématiser le contexte qui structure les objets autant que la démarche qui se rapporte à eux. S’il parait impossible de s’évader de soi, l’étude comparative offre précisément un moyen précieux pour opérer un décentrement vis-à-vis de nos propres conditionnements et faire l’expérience de ceuxci. Elle permet, ainsi que le relèvent à propos de difficultés comparables les spécialistes de l’«histoire croisée», «d’en contrôler les incidences à partir d’un travail d’objectivation des rapports multiformes à l’objet – tout en sachant que cette objectivation restera toujours partielle –, afin de mieux maitriser les biais qu’ils sont susceptible d’introduire dans les réultats de l’enquête78». Les ajustements sucessifs que le processus comparatiste implique au sein de la grille d’analyse même qui est appliquée à l’objet d’étude permettent, sinon de gagner en détachement, à tout le moins de progresser dans la conscience des attachements. Selon Frankenberg, «nous pouvons transcender la perspective, nous apprenons, comprenons et éprouvons de l’empathie vis-à-vis de ce que nous trouvons ‘étrange’, ‘étranger’ ou ‘exotique’, à la condition de toujours reconnaitre que nous somme les participants d’une culture et les observateurs de toutes les autres. Transcender la perspective signifie réaliser que nous utilisons notre langage, qui est lié à notre culture, pour appréhender ce qui est nouveau et apparemment différent de nous. Alors que nous ne pouvons nous débarasser à volonté de nous-mêmes, de notre histoire cognitive et de son bagage de présuppositions et de perspective, nous pouvons néanmoins essayer d’en rendre compte honnêtement et consciemment, en les soumettant à un réexamen auto-critique79». Ainsi semble-t-il possible dans une mesure nécessairement limitée, de prendre ses distances vis-à-vis de soi, de s’observer et de se comprendre, de suspendre sa participation et son engagement dans une pratique en développant des métapratiques tendanciellement critiques80. 5. Conclusion 24. Me semblent ainsi jetés, plus précisément que je ne l’avais fait auparavant, les fondements méthodologiques de la recherche et les précautions dont elle devra s’entourer, afin d’éviter deux écueils identifiés par Mark van Hoecke. Selon lui, «la plupart des recherches comparatives ont fait preuve d’un remarkable optimisme épistémologique naïf, procédant à des comparaisons comme si comparer des systèmes juridiques n’impliquait aucun problème épistémologique spécifique, ou comme si la réalisation de ces études pouvait être isolée de ces problèmes plus théoriques qui pouvaient être laissés aux théoriciens du droit. […] D’un autre côté, en réaction à ces problèmes, un pessimisme épistémologique fort a conduit à la pure et simple négation de toute possibilité de comparer les systèmes Pierce C.S., «The Fixation of Belief», in Popular Science Monthly, Vol. 12, November 1877, pp. 1-15. Lapoujade D., William James. Empirisme et pragmatisme, op. cit., p. 122. 78 Werner M., Zimmermann B., «Penser l’histoire croisée: entre empirie et réflexivité», in Annales. Histoire, sciences sociales, Vol. 58(1), 2003, pp. 20-21. 79 Frankenberg G., «Critical Comparisons: Re-thinking Comparative Law», in Harvard International Law Journal, Vol. 26, 1985, pp. 442-443. 80 V., quoique de manière moins nuancée, Kahn P.W., The Cultural Study of Law. Reconstructing Legal Scholarship, op. cit., pp. 31-40. 76 77 174 © Filodiritto Editore juridiques, et à plus forte raison de les harmoniser81». L’un des avantages notables d’une approche ouvertement pragmatiste me semble notamment tenir dans la conscience qu’elle impose du caractère finalisé, et de ce fait impliqué et relatif de nos entreprises, qui ne sont rien d’autres que des pratiques sociales, à la fois conditionnées et finalisées. Elle leur confère ainsi le caractère de tentatives pour, modestement, dire des choses intéressantes aux autres, ou plus exactement les leur soumettre afin qu’ils les discutent, dans le cadre d’une entreprise intellectuelle intrinsèquement collective autant qu’individuelle82. Van Hoecke M., «Deep Level Comparative Law», in Id. (ed.), Epistemology and Methodology of Comparative Law, Oxford, Portland (Oregon), Hart Publishing, coll. «European Academy of Legal Theory Monographs Series», 2004, x+398 p., pp. 172-173. 82 Sur l’importance de la communauté dans la pensée pragmatiste, v. p. ex. Lapoujade D., William James. Empirisme et pragmatisme, op. cit., pp. 130-145. 81 175 © Filodiritto Editore Organizzazione e funzionamento della giustizia ordinaria di Carlo Guarnieri Sommario: 1. Premessa. – 2. Il ruolo del giudice. – 3. Le garanzie di indipendenza. – 4. Lo status del giudice nei paesi di common law: Inghilterra e Stati Uniti. – 5. Lo status del giudice nei paesi di civil law: Germania e Svezia. – 6. Lo status del giudice nell’Europa latina. – 7. Le magistrature di common e civil law: un confronto. – 8. L’indipendenza del pubblico ministero. – 9. Tendenze attuali e prospettive. 1. Premessa I sistemi politici moderni affidano di norma ai giudici la funzione di risolvere le controversie che sorgono dall’applicazione di norme riconosciute. I giudici svolgono quindi un ruolo cruciale all’interno del sistema giudiziario, cioè di quell’insieme di strutture preposto appunto alla risoluzione della controversie: «nessuna giustizia può essere migliore dei giudici che la amministrano».1 Nelle democrazie costituzionali i giudici godono di maggiori garanzie, regolate da leggi ordinarie o da norme costituzionali e spesso sostenute da prassi condivise e stabili. 2. Il ruolo del giudice Per analizzare correttamente lo status del giudice è necessario prendere in considerazione la sua funzione istituzionale: rendere giustizia. Rendere giustizia è un tipo di risoluzione delle controversie che si basa sull’intervento di un terzo - il giudice - ma in cui la libertà di azione delle parti è limitata.2 Infatti, le parti devono obbedire alla decisione del giudice, anche se non possono sceglierlo, dato che è lo Stato a designarlo. In generale, il procedimento giudiziario è molto più efficace di altri tipi di procedimento triadico – come ad esempio la mediazione o l’arbitrato – perché non richiede il consenso di entrambe le parti per arrivare ad una risoluzione della controversia. D’altra parte, bisogna considerare che questa maggiore efficacia è accompagnata dal rischio che le parti si assumono, dato che qui possono esercitare un’influenza molto minore che negli altri procedimenti. In alcuni casi, ad esempio nel processo penale, il procedimento giudiziario può essere iniziato da un pubblico ministero che agisce in nome dello Stato non solo contro la volontà dell’accusato, ma anche in talune circostanze senza il consenso della vittima. Per queste ragioni i giudici si trovano di necessità in una posizione difficile. Devono infatti risolvere controversie in assenza di una delle principali condizioni che rende i procedimenti triadici uno strumento efficace di risoluzione delle controversie: la volontà delle parti di partecipare al procedimento e soprattutto di accettare la decisione del terzo. Questa mancanza di consenso è un elemento di debolezza sempre potenzialmente presente. Per cercare di ovviarla il procedimento giudiziario tende a incorporare diversi principi che mirano soprattutto a rafforzare l’imparzialità del giudice o almeno la sua apparenza. Fra questi i più importanti sono: 1) la proibizione di giudici ad hoc, e cioè che la controversia va risolta da un giudice dotato di giurisdizione sul caso, sulla base di norme preesistenti al giudizio; 2) il principio del contraddittorio (et audi alteram partem) e cioè che entrambe le parti Professore ordinario di Scienza politica, Dipartimento di Scienze politiche e sociale, Università degli studi di Bologna. Una versione precedente di questo saggio è stata pubblicata in D. Cavallini (a cura di), Argomenti di ordinamento giudiziario, Bononia University Press, Bologna, 2014, pp. 25-46. 1 A. Vanderbilt, Judges and Jurors, their Functions, Qualifications and Selection, Boston University Press, Boston, 1956, p.3. 2 M. Shapiro, Courts: A Comparative and Political Analysis, University of Chicago Press, Chicago, 1981, pp. 1 ss. * 176 © Filodiritto Editore hanno il diritto di essere ascoltate dal giudice; e 3) il principio della passività del giudice (ne procedat judex ex officio) che impedisce al giudice di iniziare di sua volontà il procedimento.3 Altro elemento che rafforza l’apparenza di imparzialità del giudice è il fatto che le sue decisioni sono basate su un sistema di norme giuridiche e, in certi casi, di precedenti giurisprudenziali. Basarsi su norme o decisioni preesistenti tende a ridurre il disappunto della parte che soccombe ed a impedire che il giudice appaia come personalmente responsabile per la decisione avversa. Da queste considerazioni deriva che la necessità di garantire l’imparzialità del giudice implica la sua indipendenza dalle parti in causa: il giudice deve essere protetto dalle loro eventuali interferenze. L’indipendenza è condizione necessaria per garantire almeno l’apparenza di imparzialità, dal momento che è evidente che un giudice che dipende in qualche modo da una delle parti non può essere – e soprattutto non può apparire – indipendente. Nello sviluppo politico degli stati europei, l’inserimento dei giudici nell’apparato dello stato – con la conseguente superiorità dei giudici nominati dal sovrano rispetto ad altri tipi di giudice, ad esempio quelli feudali o municipali – ha in buona parte garantito l’indipendenza del giudice dalle parti, almeno nel caso di parti private. L’inserimento del giudice nell’organizzazione dello stato rende però necessario ridefinire i termini della sua imparzialità nel caso in cui una delle parti sia lo stesso stato o uno dei suoi rappresentanti. Infatti, solo se si definisce l’indipendenza anche nei confronti dello stato4 il giudice può agire come terzo imparziale in controversie fra lo stato e i cittadini: ad esempio, in campo penale o amministrativo. Solo così i giudici possono svolgere un controllo efficace sul modo con cui le funzioni pubbliche sono svolte, dal momento che le garanzie di indipendenza permettono loro di risolvere quel tipo di controversie – e di interpretare le norme rilevanti per questi casi – senza essere sottoposti a pressioni da parte dello stato. Questa ultima considerazione spiega perché la protezione dell’indipendenza del giudice sia diventata uno dei tratti caratteristici del costituzionalismo moderno. Infatti, dal momento che uno dei principali obiettivi del costituzionalismo è limitare l’esercizio arbitrario del potere politico vincolandolo all’osservanza di norme giuridiche5, sottoporre lo svolgimento di funzioni pubbliche al giudizio di un organo indipendente diventa un efficace strumento di controllo, che assicura così la supremazia del diritto: un passo necessario nella costruzione dello stato costituzionale. Un certo livello di indipendenza istituzionale caratterizza tutti i regimi costituzionali. Vi sono però delle significative differenze, soprattutto fra paesi a tradizione di common law e quelli di civil law.6 Tradizionalmente, i giudici dei paesi di civil law – cioè dell’Europa continentale, ma per certi aspetti anche quelli dell’America Latina – hanno goduto di garanzie di indipendenza minori ed il loro ruolo nel sistema politico è stato meno significativo. In quei paesi è stata la monarchia a portare a compimento il processo di centralizzazione del potere politico, comprendendovi la funzione giudiziaria, con una conseguente subordinazione dei giudici. In seguito, la costituzionalizzazione del potere politico – e quindi lo sviluppo di garanzie di indipendenza – hanno indebolito questo legame, ma l’integrazione organizzativa della magistratura nella pubblica amministrazione è rimasta e in certi casi si è anche rafforzata. Il declino della monarchia nel secolo diciannovesimo non ha mutato radicalmente la situazione: si limitò a trasferire il potere di influenzare la magistratura dal sovrano ad un esecutivo direttamente o indirettamente responsabile verso la comunità politica. La situazione nei paesi anglosassoni è differente. In Inghilterra, dopo la caduta degli Stuart, la centralizzazione del potere politico è stata diretta dall’istituzione parlamentare. Il contesto in cui è avvenuta è stato relativamente policentrico: le istituzioni politico-rappresentative non sono mai state in grado di monopolizzare il processo di creazione di norme giuridiche, dato che un ruolo importante è sempre stato svolto dai precedenti giurisprudenziali. Di conseguenza, i giudici inglesi sono stati in grado di mantenere un certo grado di autonomia nei confronti delle leggi votate dal parlamento: ancora oggi, i principi del common law sviluppati dai giudici restano fra le fonti principali del diritto M. Cappelletti, The Judicial Process in Comparative Perspective, Oxford, 1989, pp. 30-35. Per l’attuazione di questi principi nel processo penale italiano vedi C. Guarnieri e F. Zannotti (a cura di), Giusto processo?, CEDAM, Padova, 2006. 4 M. Shapiro, op.cit., pp. 19-20. 5 G. Sartori, The Theory of Democracy Revisited,Chatham House, Londra, 1987. 6 J.H. Merryman e R. Perdomo, The Civil law Tradition, Stanford University Press, Stanford, 2007; e R.C. Van Caenegem, I signori del diritto. Giudici, legislatori e professori nella storia europea, Giuffré, Milano, 1991. 3 177 © Filodiritto Editore inglese. Negli Stati Uniti, una costituzione scritta e il controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi hanno fatto sì che in quel sistema politico fin dagli inizi la magistratura non fosse subordinata alle istituzioni politico-rappresentative. Al contrario, grazie all’assetto disegnato dalla costituzione del 1787, la magistratura americana è emersa come un potere collocato sullo stesso piano del legislativo e dell’esecutivo ed il suo compito principale è stato generalmente individuato come quello di bilanciare il potere legislativo all’interno di un sistema costituzionale di pesi e contrappesi. Per riassumere, in uno stato costituzionale – un regime che si distingue per la preoccupazione di proteggere adeguatamente i diritti dei cittadini – il ruolo del giudice è quello di risolvere imparzialmente le controversie, specie quelle fra stato e cittadino. Quindi, la sua indipendenza ha come primo obiettivo quello di garantirne l’imparzialità all’interno del procedimento giudiziario. Perciò, i suoi principali punti di riferimento sono lo stato e le sue istituzioni, in particolare l’esecutivo, che direttamente o meno è spesso parte nel processo. Con l’introduzione del controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi anche il legislativo diventa una punto di riferimento dell’indipendenza del giudice. Il giudiziario viene così ad essere considerato un potere allo stesso modo del legislativo e dell’esecutivo: diventa un vero Terzo Potere, come spesso viene definito negli Stati Uniti7. 3. Le garanzie di indipendenza Anche se le garanzie di indipendenza – o, in altre parole, l’indipendenza istituzionale – hanno come obiettivo di proteggere i giudici da pressioni indebite, non sono però in grado, da sole, di garantire un comportamento indipendente e imparziale. In realtà, un’autonomia assoluta dei giudici difficilmente può essere raggiunta, dato che non è possibile isolarli del tutto dal loro ambiente. Bisogna quindi distinguere fra indipendenza istituzionale e comportamento indipendente e imparziale. La prima può essere considerata condizione necessaria del secondo, ma non vi coincide necessariamente.8 A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, anche il tema dell’indipendenza del giudice è stato sempre più influenzato dall’ambiente internazionale. L’indipendenza giudiziaria è ormai considerata un elemento indispensabile del diritto al giusto processo, che a sua volta è considerato una componente essenziale del Rule of Law, garantito da tutte le principali convenzioni internazionali dei diritti civili e politici. La giurisprudenza dei tribunali che queste convenzioni di solito stabiliscono ha avuto un impatto significativo sull’assetto istituzionale delle magistrature nazionali.9 Inoltre, altri strumenti, anche se tecnicamente non vincolanti, hanno ricevuto un forte sostegno ed hanno favorito in modo meno formale ma non meno efficace un rafforzamento delle garanzie di indipendenza dei giudici. Negli ultimi 25 anni le Nazioni Unite ed il Consiglio d’Europa sono stati fra i più attivi in questo campo. Ad esempio, il principio n. 5 dei «Basic Principles on the Independence of the Judiciary» approvati nel 1985 dalle Nazioni Unite stabilisce in modo netto che «la magistratura deciderà i casi che le vengono presentati in modo imparziale, sulla base dei fatti e secondo la legge, senza nessuna limitazione e senza essere oggetto di influenze, incitamenti, pressioni, minacce o interventi impropri, diretti o indiretti da parte di chiunque e per qualunque ragione».10 Simili prescrizioni sono presenti anche nella Raccomandazione emanata nel 2010 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa su «Giudici: indipendenza, efficienza e responsabilità».11 In generale, tutte le democrazie costituzionali affrontano il tema dell’indipendenza del giudice in termini simili: in linea di principio, il giudice è soggetto solo alla legge. Esistono invece significative differenze quando si considera lo status del giudice e il modo con cui sono concretamente realizzate le sue garanzie di indipendenza. Da questo punto di vista gli elementi più importanti sono la nomina, il P. Pasquino, Uno e trino: indipendenza della magistratura e separazione dei poteri, Anabasi, Milano, 1994. P. Russell, Toward a General Theory of Judicial Independence, in P. Russell e D. O’Brien (a cura di), Judicial Independence in the Age of Democracy, The University of Virginia Press, Charlottesville, 2001, pp. 1 ss. 9 G. Canivet, M. Andenas e D. Fairgrieve (a cura di), Independence, Accountability, and the Judiciary, British Institute of International and Comparative Law, London, 2006. 10 Risoluzioni dell’assemblea generale delle Nazioni Unite n. 40/32 del 29 Novembre 1985 e 40/146 del 13 Dicembre 1985. 11 Raccomandazione CM/Rec(2010)12. 7 8 178 © Filodiritto Editore trattamento economico, i procedimenti disciplinari e la carriera. Quest’ultimo è poi il fattore di maggior rilievo nel determinare il carattere della struttura organizzativa della magistratura. In ogni caso, tutti questi elementi influenzano la posizione del singolo giudice rispetto ai suoi colleghi ed, in generale, rispetto a coloro che sono responsabili per le decisioni che incidono sulla sua vita professionale e, nel loro insieme, sono in grado di determinare il grado di indipendenza interna ed esterna. Va infatti introdotta la distinzione fra due dimensioni dell’indipendenza: mentre quella esterna si riferisce alle relazioni fra la magistratura e gli altri poteri dello stato, quella interna riguarda le garanzie volte a proteggere il giudice da indebite pressioni che provengano dall’interno del corpo: da parte di colleghi e soprattutto di giudici di rango più elevato.12 Sebbene non sempre venga considerato adeguatamente, il ruolo svolto dalle gerarchie organizzative è cruciale per comprendere la dinamica interna della magistratura, che a sua volta influenza il livello effettivo di autonomia del giudice. Qui è ancora rilevante la distinzione fra le due tradizioni di civil e common law, dal momento che sono caratterizzate da due tipi diversi di organizzazione giudiziaria. 4. Lo status del giudice nei paesi di common law: Inghilterra e Stati Uniti Il sistema giudiziario inglese si basa su uno stretto legame fra le varie professioni giuridiche.13 In particolare, i giudici vengono selezionati ancora oggi in prevalenza fra i barrister – cioè gli avvocati abilitati a stare in giudizio davanti ai tribunali superiori – con una buona anzianità di pratica professionale. Il passaggio dall’avvocatura alla magistratura rappresenta infatti il tipico percorso di carriera del giurista inglese. Questo tratto istituzionale si è trapiantato negli Stati Uniti e negli altri paesi di common law e costituisce una forma di mobilità professionale che è quasi del tutto assente nell’Europa continentale.14 Il Regno Unito non presenta un sistema giuridico unitario. Inoltre, a partire dal 1998, ci sono stati notevoli sforzi per assegnare poteri a unità subnazionali. Così, per quanto qui interessa, l’Inghilterra ed il Galles costituiscono un sistema giudiziario, la Scozia ne forma un altro e l’Irlanda del Nord un terzo: al di sopra di questi sistemi giudiziari è comunque collocata una Corte Suprema unica. Il potere formale di nominare i giudici risiede nella Corona. Un tempo era il Lord Cancelliere a svolgere un ruolo cruciale nel processo di nomina, ma di recente il Parlamento ha introdotto delle profonde riforme.15 Il Constitutional Reform Act 2005 ha introdotto un significativo numero di mutamenti nel modo con cui i giudici sono reclutati e valutati, ridimensionando il ruolo del Lord Cancelliere. La riforma ha creato una Judicial Appointment Commission, il cui compito è di proporre candidati al Lord Cancelliere e di fatto di nominare tutti i giudici dell’Inghilterra e del Galles, ad eccezione di quelli di pace. La Commissione, di 15 membri, è un organo indipendente, presieduto da un non giurista e composto da cinque giudici – provenienti dai differenti tribunali – un solicitor, un barrister, un giudice di pace, un giudice amministrativo e cinque non giuristi. I membri della Commissione sono scelti con una procedura complicata che vede coinvolti, fra gli altri, il Lord Cancelliere e il Lord Chief Justice – che è a capo della Corte d’appello ed è considerato il capo della magistratura inglese. Il Lord Cancelliere può accettare la proposta della Commissione, respingerla o chiedere una nuova deliberazione, ma non può nominare un giudice che non sia stato proposto dalla Commissione. Tradizionalmente i giudici di carriera erano reclutati solo fra lo strato superiore della professione legale, i barrister (o gli advocate in Scozia). Anche per questo motivo il loro trattamento economico è sempre stato considerato in grado di attrarre professionisti con elevate qualificazione. Quindi, la magistratura proveniva da un gruppo elitario, formato attualmente da circa 12.000 legali in Inghilterra e Galles. Negli anni ’70 la magistratura ha iniziato progressivamente ad aprirsi anche ad altri profes12 S. Shetreet, Judicial Independence: New Conceptual Dimensions and Contemporary Challenges, in S. Shetreet e J. Dechênes (a cura di), Judicial Independence: The Contemporary Debate, Nijhoff, Dordrecht, 1985, pp. 637-38. 13 J. Bell, Judiciaries within Europe: A Comparative Review, Cambridge University Press, Cambridge, 2006, pp. 298-349. 14 Va aggiunto che nel Regno Unito è anche presente un numero consistente di giudici di pace, non di professione, sprovvisti di formazione giuridica: in Inghilterra e Galles sono attualmente circa 30.000. 15 J. Bell, op. cit., pp. 298-349; M. Tabarelli, Le politiche giudiziarie inglesi negli anni 2000, in Riv. It. Pol. Pub., 2010, pp. 115 ss. 179 © Filodiritto Editore sionisti del diritto, cioè ai solicitor, molto più numerosi – attualmente circa 100000 – dei barrister. Comunque, ancora oggi, i solicitor formano solo una minoranza dei giudici di carriera e sono per lo più confinati ai livelli inferiori. Infatti, solo a partire dal 1990 è stato reso possibile, a certe condizioni, anche per i solicitor agire davanti alle corti superiori. Così, in linea di principio oggi i solicitor possono arrivare ai livelli più elevati della magistratura, ma il numero di solicitor ammessi alle corti superiori è cresciuto molto lentamente e lo stesso è vero per la loro nomina a giudice. La cosa è in parte dovuta al fatto che per essere nominati giudici è necessario un lungo periodo di pratica davanti ai tribunali: a seconda delle posizioni, fra i sette e i dieci anni. Di conseguenza, l’età media di nomina dei giudici professionali inglesi è di circa 50 anni, molto più elevata di quelli dell’Europa continentale. Quanto al futuro, anche se è ancora troppo presto per valutare appieno l’impatto della riforma del 2005, la magistratura inglese sembra comunque avviata a presentare un maggiore pluralismo sociale. Storicamente, la magistratura inglese non presentava una struttura di carriera formalizzata e la stessa nozione di carriera giudiziaria era in pratica sconosciuta. Quando si presentavano delle posizioni da ricoprire, la Corona operava la nomina – su proposta di fatto vincolante del Lord Cancelliere – sulla base delle capacità necessarie per ricoprire con successo la posizione. Trasferimenti da una posizione ad un’altra erano possibili, ma il sistema non incoraggiava i singoli a ricercare promozioni. A partire dagli anni ’70, una carriera ha però iniziato lentamente a prendere forma. È emerso il principio secondo il quale i giudici delle corti inferiori possono essere nominati alle corti superiori. Inoltre, i giudici professionali tendono sempre più ad essere scelti fra quelli che esercitano le funzioni giudiziarie part-time. Quindi, il sistema britannico sembra muoversi in direzione di quello continentale, anche se restano alcune differenze significative. Le promozioni avvengono con le stesse modalità con cui avvengono le nomine e non seguono procedure particolari. Soprattutto, i giudici non sono soggetti a valutazioni sistematiche, come invece avviene in Continente. E’ quindi presente solo una forma rudimentale di gerarchia. Inoltre, al contrario di quanto avviene in Francia e Germania, il prestigio che circonda l’esercizio di funzioni giudiziarie nel Regno Unito non è necessariamente legato al rango o alla specifica funzione esercitata. Qualunque sia la posizione ricoperta, i giudici inglesi – anzi, britannici - godono di uno status sociale relativamente elevato. I giudici inglesi non possono certo essere rimossi facilmente. Una volta nominati, occupano la loro carica con la clausola during good behaviour, che di fatto significa fino alla pensione. Le regole per la rimozione e la disciplina dei giudici non sono così dettagliate come in Europa continentale o anche negli Stati Uniti. Con l’eccezione della procedura di impeachment – caduta in disuso già nel secolo diciannovesimo – la sola sanzione formale nei confronti dei giudici dell’Alta Corte e della Corte d’Appello consiste nella rimozione disposta dalla Corona sulla base di una delibera di entrambi i rami del Parlamento. Introdotta nel 1701 dall’Act of Settlement, questa procedura piuttosto complessa è stata utilizzata una volta sola, nel 1830. In pratica, l’ambiente professionale – e cioè la magistratura e l’avvocatura – controllano l’osservanza delle norme etiche, anche se poteva accadere che il Lord Cancelliere convocasse un giudice per «un incontro informale”. I poteri assegnati al Lord Cancelliere nei confronti dei giudici part-time e di quelli laici erano più ampi, dato che poteva rimuoverli per incompetenza o cattivo comportamento. La riforma del 2005 ha però trasferito tutti questi poteri al Lord Chief Justice. Al contrario del Regno Unito, negli Stati Uniti la professione legale presenta una struttura unitaria, anche se si possono avere diverse aree di specializzazione. I professionisti del diritto tendono quindi ad avere un’identità comune. I modi di reclutamento sono però molto più diversificati che nel Regno Unito, a causa della struttura federale degli Stati Uniti e dei poteri che gli stati mantengono nel settore dell’amministrazione della giustizia. Riforme a livello statale hanno col tempo sempre più differenziato le modalità di reclutamento, creando una situazione piuttosto complessa. Anche se ogni stato ha le sue particolarità, esistono tre grandi forme di reclutamento: 1) la nomina ad opera di un’istituzione politico-rappresentativa; 2) l’elezione diretta (nelle forme partisan o non-partisan); e 3) quella che è di solito chiamata selezione per merito o Missouri Plan, il cui principale obiettivo sta nel bilanciare considerazioni politiche e professionali. 180 © Filodiritto Editore A livello federale, i giudici vengono reclutati attraverso una procedura abbastanza complessa che consiste di tre fasi: nomina da parte del presidente, valutazione dei candidati da parte della Commissione Giustizia del Senato e voto finale del Senato a maggioranza semplice. Basandosi sulla partecipazione congiunta dell’esecutivo e del legislativo il procedimento è un buon esempio pratico del principio dei “pesi e contrappesi”. La vasta discrezionalità del presidente nella scelta dei candidati, specie di quelli alle corti superiori, è infatti soggetta a vincoli. Storicamente non sono infatti mancate le bocciature: ad esempio, in circa due secoli il Senato si è rifiutato di approvare ben 27 dei 147 candidati alla Corte suprema presentati dal presidente.16 Il processo di nomina è fortemente influenzato dalle relazioni fra presidente e Senato: quando appartengono alla stessa maggioranza, le cose sono più semplici. Al contrario, quando fanno capo a partiti diversi, sono spesso necessarie lunghe contrattazioni. In realtà, il numero degli attori che partecipano al processo è molto più ampio. Il ministero della Giustizia svolge un ruolo cruciale nella scelta dei candidati, dato che ne stila una prima lista. La stessa magistratura partecipa alle fasi preliminari, dato che il presidente ed il ministero di solito chiedono il parere dei giudici federali e statali più stimati. Anche l’ABA – American Bar Association – interviene con una valutazione dei candidati. I senatori dello stato in cui il posto è collocato svolgono un ruolo cruciale: se appartengono allo stesso partito del presidente godono di fatto di un potere di veto. Il presidente può consultare anche altri politici dello stato, ad esempio i sindaci delle città più importanti. I gruppi di interesse non mancano poi di esercitare la loro influenza. Quindi, l’esecutivo ed il legislativo non sono gli unici attori rilevanti nel processo di nomina. Negli anni più recenti sembra essere cresciuta l’importanza dell’orientamento politico dei candidati. La cosa è evidente nel caso della Corte suprema: quasi il 90% dei giudici appartengono al partito del presidente che li ha nominati.17 Del resto, la politicizzazione del processo di nomina è legata al forte ruolo politico della magistratura federale. Grazie però alle forti garanzie di indipendenza, l’influenza politica si esercita – e si esaurisce – solo al momento della nomina. Anche se l’orientamento politico è senz’altro rilevante, le qualificazioni professionali non lo sono meno. Del resto, se il presidente vuole lasciare un’impronta sulla Corte, deve scegliere giuristi di sicuro valore, in grado di influire sulle decisioni del collegio.18 L’area dei potenziali candidati è più ampia che in Gran Bretagna, ma si indirizza a professionisti non privi di esperienza politica. Ai tribunali federali sono per lo più nominati avvocati con buona esperienza – e una laurea delle migliori università – professori di diritto, amministratori pubblici e sempre più spesso giudici delle alte corti statali. Tutti sono quasi sempre stati in qualche modo attivi politicamente prima della loro nomina. A livello degli stati, l’elezione diretta è molto praticata, anche se con modalità diverse. Ad esempio, la distinzione fra elezioni partisan e non-partisan si basa sulla possibilità o meno dei candidati di essere pubblicamente sostenuti da un partito, anche se l’attività politica svolta in precedenza è comunque rilevante.19 Particolare importanza ha assunto il cosiddetto Missouri plan, che mira a combinare l’elezione con una valutazione professionale. In questo caso, infatti, il processo di nomina consiste in tre fasi. Innanzitutto, una commissione di esperti seleziona un numero di candidati, di solito da tre a cinque. Fra questi il governatore ne sceglie uno che esercita le funzioni per un periodo di prova. Al termine, il giudice viene sottoposto a referendum e, se approvato, è nominato in pianta stabile per il periodo previsto dalle leggi dello stato, periodo che può arrivare a 15 anni. Nella maggior parte dei casi, i candidati nominati dal governatore vengono confermati.20 Negli Stati Uniti il passaggio da una ad un’altra posizione è abbastanza frequente: più di metà dei giudici federali provengono dai livelli superiori delle magistrature statali.21 Così, anche se queste “promozioni” seguono le procedure che abbiamo già illustrato, la mobilità giudiziaria sembra essere L. Epstein e J. Segal, Advice and Consent: The Politics of Judicial Appointments, Oxford University Press, Oxford, 2005, pp. 20-21. Epstein and Segal, op. cit., p.26. 18 Epstein and Segal, op. cit., p.69. 19 H.J. Abraham, The Judicial Process, Oxford University Press, Oxford, 1998, p. 34. 20 Abraham, op. cit., pp. 36-39. 21 Epstein e Segal, op. cit., p. 63. 16 17 181 © Filodiritto Editore più elevata negli Stati Uniti che in Inghilterra, fatto che offre maggiore possibilità di influenza alla politica, dato che è la politica che decide della nomina ad un’altra posizione. L’indipendenza dei giudici federali è protetta dalla clausola del during good behaviour prevista nella Costituzione, che in pratica significa la nomina a vita. Infatti, i giudici possono essere rimossi solo con la procedura di impeachment: la camera dei rappresentanti può infatti mettere un giudice in stato d’accusa con un voto a maggioranza semplice, ma a decidere è il Senato che può rimuovere solo con una maggioranza di due terzi dei componenti. Fino ad oggi, vi sono state solo 15 procedure di impeachment di giudici, ma solo in sette casi ci sono state delle condanne, anche se spesso il giudice sotto indagine si dimette prima che la procedura compia faccia il suo corso. Esistono anche delle procedure disciplinari, che a livello federale vengono amministrate dai consigli giudiziari istituiti nelle corti d’appello. Nel complesso, i giudici federali godono di garanzie di indipendenza piuttosto forti, che li mettono al riparo da pressioni politiche. Negli stati è diffusa la rimozione tramite impeachment, anche se esistono altri metodi come l’address – un voto di entrambe le camere che chiede al governatore la rimozione – e il recall, una richiesta popolare di rimozione approvata da un referendum. Inoltre, esistono codici disciplinari ed etici anche molto dettagliati, che prescrivono i comportamenti che i giudici devono o non devono tenere, amministrati da specifiche istituzioni, composte di solito da giuristi e altre personalità. Anche se questi organi possono imporre solo sanzioni limitate, spesso possono arrivare a raccomandare la rimozione di un giudice. Nel complesso, l’influenza politica sui giudici statali sembra maggiore, se non altro perché raramente vengono nominati a vita. Infatti, come abbiamo accennato, il periodo di nomina oscilla in generale fra i sette e i quindici anni. Riassumendo, i giudici di common law22 sono nominati solo dopo aver acquisito una solida esperienza professionale, di solito come avvocati. Non esistono procedure formalizzate di promozione, anche se promozioni sono possibili. In generale, i controlli sui giudici da parte dei loro colleghi di rango più elevato sono scarsi e comunque piuttosto deboli. Dopo la nomina – in cui la politica gioca sempre un ruolo – sono presenti forti garanzie di indipendenza esterna ed interna (o almeno è così per i giudici inglesi e per quelli federali americani). Infatti, dato che i giudici posseggono quasi sempre una buona esperienza professionale, si ritiene che non siano necessarie particolari verifiche interne. Quanto al gruppo di riferimento – cioè coloro il cui giudizio i giudici tendono a tenere in conto nei loro comportamenti – è collocato per lo più al di fuori della magistratura. Ma mentre in Gran Bretagna consiste in un gruppo abbastanza ridotto – fino ad oggi soprattutto il Bar – negli Stati Uniti è molto più diversificato. 5. Lo status del giudice nei paesi di civil law: Germania e Svezia Nella maggior parte dei paesi di civil law i giudici sono per lo più reclutati subito dopo gli studi universitari – talvolta seguiti da un periodo di tirocinio – attraverso concorsi pubblici, spesso senza precedenti esperienze professionali. I candidati che superano il concorso sono collocati ai gradi inferiori della carriera. La socializzazione professionale avviene quindi quasi esclusivamente all’interno del corpo giudiziario, di solito sotto la guida dei giudici più anziani. Esistono però momenti istituzionali di formazione, che sono diventati col tempo sempre più frequenti. Il concorso pubblico è considerato lo strumento più efficace per garantire sia la professionalità sia l’indipendenza del giudice. Dato che i candidati sono di solito privi di esperienze professionali, le prove si basano essenzialmente sulla conoscenza teorica del diritto. I giovani così reclutati sono però considerati in grado di svolgere una serie piuttosto ampia di funzioni giudiziarie: penali, civili, della famiglia, dei minori o, in certi casi, anche requirenti. La mancanza di esperienze professionali esterne al corpo tende ad incoraggiare lo sviluppo di un forte spirito di corpo e una certa distanza dall’avvocatura, con la conseguenza che le relazioni fra magistrati e avvocati sono spesso caratterizzate da L’assetto istituzionale delle magistrature degli altri paesi di common law è tutto sommato simile a quello di Inghilterra e Stati Uniti. Vedi Russell e O’Brien, op. cit. 22 182 © Filodiritto Editore tensioni.23 Negli ultimi anni, in parecchi paesi dell’Europa continentale il reclutamento ha conosciuto delle riforme. È aumentato il ricorso al reclutamento laterale – rivolto a giuristi di esperienza – anche per evitare lo sviluppo di atteggiamenti eccessivamente “corporativi”. Sono state anche istituite Scuole di formazione per cercare così di colmare la distanza fra studi universitari e pratica professionale.24 Come vedremo, alcune di queste, come quella francese, hanno ormai un ruolo di assoluto rilievo nella preparazione professionale dei magistrati e tendono a diventare un vero e proprio modello di riferimento per paesi con un processo di transizione o di consolidamento democratici in corso. Le magistrature dell’Europa continentale sono in genere ancora caratterizzate da un assetto organizzativo di tipo gerarchico.25 Il trattamento economico, il prestigio e l’influenza personale dipendono dalla posizione del giudice nella scala gerarchica e possono essere migliorati solo con le promozioni, che consistono di solito in valutazioni competitive basate su anzianità e merito, quest’ultimo giudicato dai giudici più anziani. La procedura infatti si fonda sul presupposto che i giudici di grado più elevato siano in grado di valutare senza problemi tutte le funzioni svolte dai giudici di grado inferiore. In certi casi, il procedimento di promozione coinvolge anche degli esterni. Tradizionalmente, era l’esecutivo – e cioè il ministero della Giustizia – a rappresentare il canale istituzionale più importante di connessione della magistratura con il sistema politico. Infatti, le promozioni alle posizioni più elevate erano opera del governo, anche se i candidati dovevano rispettare requisiti di professionalità – o di carriera - abbastanza stringenti. Negli ultimi tempi però il ruolo svolto dall’esecutivo è stato indebolito dalla creazione di nuove istituzioni – dette consigli superiori della magistratura o consigli di giustizia – che come principale obiettivo hanno proprio quello di rafforzare l’indipendenza della magistratura. La Germania resta un buon esempio dell’assetto tradizionale di civil law. Tutti i giuristi tedeschi condividono la stessa formazione che porta a conseguire l’ «abilitazione a svolgere le funzioni di giudice», necessaria per svolgere qualunque professione giuridica e anche per ricoprire funzioni di vertice nella pubblica amministrazione. Quindi, giudici, pubblici ministeri, avvocati, notai e funzionari amministrativi sono formati nello stesso modo, tendono ad identificarsi con lo stesso gruppo – i giuristi – e mostrano un discreto grado di mobilità interprofessionale. Infatti, la comune esperienza di formazione sembra creare una forte connessione fra le varie professioni giuridiche. La formazione del giudice è organizzata in due fasi:26 una prima, di tipo teorico, avviene nelle facoltà universitarie di diritto; la seconda, più pratica, consiste soprattutto in un tirocinio. Così, dopo l’università, è previsto il primo esame di Stato, il cui superamento apre la strada al tirocinio. In questa seconda fase si viene familiarizzati ad un insieme molto ampio di funzioni: giudice – civile e penale – avvocato, funzionario amministrativo e pubblico ministero. Questa fase si chiude con un secondo esame di Stato, sugli stessi temi del primo ma con un orientamento più concreto. L’intero processo dura di fatto circa dieci anni e presenta un tasso di riuscita piuttosto basso. Comunque, è solo dopo che si è superato il secondo esame di Stato che si può partecipare ai concorsi per diventare giudice. La nomina a giudice dipende in Germania soprattutto da due criteri: i voti ottenuti nel secondo esame di Stato – elemento più importante - e le informazioni sulle attitudini del candidato così come emerse durante il periodo di tirocinio. È sulla base di questi elementi che i ministeri della giustizia regionali operano la selezione. Il neo-giudice è nominato per un periodo di prova che va dai tre ai cinque anni, durante il quale gode di garanzie di indipendenza ridotte. Può infatti essere trasferito da una posizione ad un’altra ed è sottoposto a ulteriori valutazioni che, se positive, ne permettono la nomina a giudice a vita (Richter auf Lebenszeit). L’influenza dell’esecutivo sulla magistratura resta forte in Germania.27 All’interno dei limiti generali stabiliti dalla legislazione federale il potere di nomina e di promozione è sempre affidato ai G. Di Federico, Recruitment, Professional Evaluation and Career of Judges and Prosecutors in Europe, IRSIG, Bologna, 2005; Merryman e Pérez-Perdomo, op. cit. 24 J. Bell, op. cit., pp. 360-365. 25 G. Di Federico, op. cit. ; C. Guarnieri e P. Pederzoli, La magistratura nelle democrazie contemporanee, Laterza, Bari, 2002. 26 P. Pederzoli, Selezione e formazione delle professioni legali in Germania, CEDAM, Padova, 1992. 27 G. Di Federico, op. cit.; J. Bell, op. cit. 23 183 © Filodiritto Editore ministeri regionali della Giustizia, anche se in otto regioni – su sedici – sono presenti dei comitati (Richterwahlauschüsse), formati da rappresentanti dell’esecutivo, del legislativo, dell’avvocatura e della magistratura. Anche se le proporzioni variano, i laici sono di solito in maggioranza. Il ministro della Giustizia presiede il comitato senza diritto di voto, anche se possiede un veto sulle sue decisioni. In tutti i casi è poi previsto un parere del consiglio giudiziario, un organo presente in tutti gli uffici giudiziari e composto interamente da giudici, la metà dei quali eletti dai propri colleghi. Le promozioni si basano su rapporti stilati ogni quattro o cinque anni dai superiori. Quanto al giudizio disciplinare è affidato a tribunali specializzati presenti in ogni regione (Dienstgerichte) e composti da giudici di carriera: solo questi tribunali possono irrogare sanzioni ai giudici. I giudici delle corti supreme federali sono nominati con una procedura simile. In questo caso però il comitato di selezione è composto dai sedici ministri regionali della Giustizia e da sedici rappresentanti della Camera bassa (Bundestag). Il ministro federale della Giustizia presiede il comitato senza diritto di voto ma, anche qui, con la possibilità di esercitare il veto. Il comitato tende a decidere sulla base delle qualificazioni professionali dei candidati, ma contano anche le origini geografiche, in modo da assicurare un certo grado di rappresentatività dei tribunali federali. Questo non vuole dire che considerazioni politiche non giochino anch’esse un ruolo, vista l’appartenenza partitica dei componenti del comitato. Le promozioni sono poi decise solo dal ministro federale, anche se un parere viene sempre chiesto al consiglio giudiziario competente. L’assetto tradizionale è presente in misura anche maggiore in Svezia.28 Come in Germania, anche il Svezia il reclutamento dei giudici viene effettuato tramite un concorso pubblico rivolto a laureati in diritto che abbiano svolto in precedenza un periodo di tirocinio. Infatti, dopo l’università il giovane giurista può essere ammesso ad un periodo di tirocinio presso vari uffici giudiziari e amministrativi della durata di circa tre anni. Dopodichè può essere reclutato nella magistratura come giudice in prova per altri tre anni: non può giudicare da solo, ma solo partecipare a giudizi collegiali. Il passo successivo consiste nella nomina ad assessore: viene così assegnato a varie posizioni, in modo da acquisire un’esperienza diversificata, per un periodo che va dai sei agli otto anni. Al termine può arrivare la nomina a giudice a vita. Il sistema giudiziario svedese è governato da due agenzie semi-indipendenti. La Domstolsverket (DV) gestisce l’organizzazione dei tribunali in tutti i suoi aspetti. È separata dal ministero della Giustizia, ma il suo comitato direttivo è composto da dieci membri – giudici, avvocati, membri del parlamento e degli enti locali – nominati dal governo. Un’altra agenzia – Domarnämnden (DA) – si occupa del reclutamento dei giudici e delle promozioni. A partire dal 2011, è diretta da un comitato di cinque giudici e due giuristi – tutti nominati dal governo dopo aver consultato le relative associazioni professionali – e da due laici nominati dal parlamento. Anche se la DA può solo fare proposte, è raro che il governo le respinga. Comunque, è frequente l’inserimento di giuristi esterni nella magistratura. Una volta nominati, i giudici godono dell’inamovibilità: possono essere rimossi o trasferiti solo a seguito di una procedimento di tipo giudiziario. Quindi, i giudici svedesi sono reclutati attraverso una procedura di tipo meritocratico e dopo un lungo periodo di tirocinio. Il loro status è garantito, ma i giudici di grado più elevato giocano un ruolo nelle promozioni. Inoltre, la promozione alle posizioni più elevate è opera del governo, che comunque deve scegliere fra candidati professionalmente qualificati. Ne consegue che il versante interno dell’indipendenza non sembra particolarmente garantito e che l’esecutivo è in grado di influire sull’elite giudiziaria e così indirettamente sull’intero corpo. 6. Lo status del giudice nell’Europa latina Fra i paesi di civil law sono quelli dell’Europa latina ad aver conosciuto negli ultimi decenni i mutamenti più radicali nell’assetto della magistratura. Riforme infatti hanno interessato il reclutamento 28 J. Bell, op. cit., pp. 240-249; M. Tabarelli, Magistratura e politica nelle democrazie scandinave (relazione non pubblicata). 184 © Filodiritto Editore – con la creazione di forme di addestramento specializzato – e la gestione del corpo giudiziario, con l’istituzione di organi collegiali e l’erosione dei poteri tradizionalmente esercitati dall’esecutivo. Anche se ridotto, il potere esecutivo in Francia continua a godere di una discreta influenza sulla magistratura. Importanti sono state però le riforme della formazione e del reclutamento di giudici e pubblici ministeri, oggi affidati all’Ecole Nationale de la Magistrature (ENM), un’istituzione governata da magistrati, ma sotto la direzione del ministero della Giustizia. 29 La ENM ha rappresentato un modello da imitare per diversi paesi, ad esempio per Portogallo, Spagna, Italia e anche per diversi paesi dell’Europa centro-orientale. Il concorso riservato ai giovani laureati resta comunque il canale di reclutamento più importante, anche se esistono altre modalità di immissione nel corpo giudiziario, aperte a candidati con esperienze professionali diverse. Il concorso per giovani laureati – con meno di 31 anni di età – consiste in una serie di prove scritte e orali, il cui superamento porta alla nomina a uditore giudiziario. Gli uditori seguono un periodo di formazione presso la ENM della durata di 31 mesi, che consiste in una prima fase, a carattere generale, che alterna periodi presso la Scuola e presso i vari uffici giudiziari, e in una seconda in cui il giovane magistrato svolge un tirocinio nelle funzioni cui verrà assegnato in seguito. Gli uditori sono continuamente valutati e la loro collocazione nella graduatoria finale determina anche le loro possibilità di scegliere una destinazione più o meno gradita. Anche se il ministero svolge ancora un discreto ruolo nella gestione dell’organizzazione giudiziaria, notevoli poteri sono ormai affidati al Consiglio superiore della magistratura. Creato inizialmente nel 1946 per proteggere l’indipendenza dei giudici, ha conosciuto diverse riforme. Dopo l’ultimo intervento, nel 2008, è costituito da due formazioni diverse: una competente per i giudici ed un’altra per i pubblici ministeri. Ne fanno parte 15 membri: un consigliere di Stato, eletto dai propri colleghi, un rappresentante dell’avvocatura, sei laici nominati – due ciascuno – dal presidente della Repubblica e dai presidenti del Senato e dell’Assemblea Nazionale, e sette magistrati che rappresentano i vari gradi del corpo. La componente giudiziaria varia però a seconda della materia. Quando la decisione riguarda un giudice, è composta dal presidente della Corte di cassazione, cinque giudici e un pubblico ministero. Quando si tratta di un pubblico ministero le proporzioni sono invertite ed il procuratore generale della Corte di cassazione sostituisce il presidente. Le decisioni della formazione giudicante del Consiglio – in tema di disciplina, trasferimenti e promozioni – sono vincolanti, mentre quelle della formazione requirente sono dei semplici pareri, che però di fatto non è facile per il ministro respingere. La carriera giudiziaria in Francia è ancora molto simile a quella della tradizione di civil law. La piramide giudiziaria prevede però oggi solo due gradi, anche se al di sopra sono collocate le posizioni più importanti, definite «fuori gerarchia». Le promozioni hanno effetto sulla retribuzione e sulle funzioni esercitate, nonché sul prestigio del magistrato. Dipendono dall’anzianità di servizio ma anche dal merito. I magistrati vengono infatti valutati accuratamente ogni due anni dai propri superiori. Ogni anno la commissione per le promozioni stila una lista dei magistrati promuovibili. Dato che l’inserimento nella lista è condizione necessaria per essere promossi, la commissione svolge un ruolo di rilievo: oggi è composta in gran parte – 16 su 20 – da magistrati eletti dai propri colleghi. Quindi le proposte di promozione che il ministero può avanzare sono sottoposte ad un duplice vaglio: quello della commissione e quello del Consiglio superiore. Il reclutamento dei magistrati italiani riflette ancora la tradizione europea continentale. Il concorso pubblico resta in pratica l’unico modo per essere ammessi alla magistratura, che come in Francia comprende giudici e pubblici ministeri. Si tratta di un concorso rivolto a giovani giuristi, privi di esperienze professionali, che consiste in una serie di prove scritte e orali tese a verificare la conoscenza teorica del diritto. Una volta superato il concorso il giovane magistrato deve seguire un periodo di formazione, di circa 18 mesi, che dal 2012 si svolge presso la neonata Scuola superiore della magistratura. In precedenza, la formazione era gestita dal Consiglio superiore della magistratura. Ad ogni modo, le valutazioni del periodo di formazione sono state fino ad oggi quasi sempre positive così 29 A. Mestitz, Selezione e formazione professionale dei magistrati e degli avvocati in Francia, CEDAM, Padova, 1990. 185 © Filodiritto Editore come le successive valutazioni operate dal Consiglio superiore. Perciò, il voto ottenuto nel concorso iniziale è stato, almeno fino ad oggi, l’unico effettivo strumento di selezione.30 Fra i paesi europei di civil law l’Italia è stato, senza dubbio, quello che ha conosciuto la trasformazione più profonda dell’assetto della magistratura. È infatti forse l’unico paese ad aver raggiunto una situazione di pieno “autogoverno” della magistratura. Storicamente, l’assetto italiano era molto simile a quello francese, grazie all’influenza esercitata dal modello napoleonico. A partire però dagli anni ’60 del Novecento l’assetto tradizionale è stato profondamente riformato. Il Consiglio superiore della magistratura, previsto dalla Costituzione del 1948, inizia a funzionare, assumendo la competenza su tutte le decisioni che toccano lo status di giudici e pubblici ministeri. Così, il reclutamento, i trasferimenti, le promozioni e la disciplina sono state sottratte al potere del ministero della Giustizia. La composizione del Consiglio rende poi effettivo l’autogoverno della magistratura. Dopo la riforma del 2002, è infatti composto da 16 magistrati eletti direttamente dal corpo, 8 giuristi eletti dal Parlamento e tre membri ex-officio: il presidente della Repubblica, il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione. Nella prassi, i membri laici sono scelti dai gruppi parlamentari. I membri togati fanno invece riferimento alle varie correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati, caratterizzate da diversi profili politico-programmatici. Una serie di riforme ha infatti demolito la tradizionale influenza dell’elite giudiziaria e l’introduzione della proporzionale per l’elezione dei togati ha fatto sì che essi riflettano la forza delle correnti. La composizione del Consiglio ha avuto importanti conseguenze per il modo con cui sono state gestite le promozioni ed in generale per l’organizzazione della magistratura.31 Le riforme varate a partire dagli anni ’60 hanno smantellato il tradizionale sistema di promozione, basato su valutazioni del lavoro del magistrato ad opera dei magistrati di grado più elevato. Dopo la riforma del 2006 sono state introdotte delle valutazioni di professionalità – sette, una ogni quattro anni – che hanno un riflesso sul trattamento economico e sulla possibilità per il magistrato di ricoprire posizioni più “prestigiose”. Queste valutazioni avvengono sostanzialmente sulla base dei due criteri tradizionali, anzianità di servizio e merito, quest’ultimo valutato però dal Consiglio superiore. In realtà, il superamento delle valutazioni dipende prevalentemente dall’anzianità, dato che le valutazioni del merito sono quasi sempre positive.32 Quindi, coloro che raggiungono una certa anzianità vengono promossi e ottengono il migliore trattamento economico legato al nuovo livello di professionalità, anche se continuano a svolgere le funzioni esercitate in precedenza. Così, con il trascorrere del tempo, quasi tutti i magistrati riescono a raggiungere il trattamento economico più elevato. Dato poi che le valutazioni sono quasi sempre positive, il Consiglio non dispone di sufficienti informazioni quando deve decidere dell’assegnazione di una determinata posizione: quasi tutti i candidati risultano egualmente qualificati. In queste circostanze, l’appoggio di una o più delle correnti presenti nel Consiglio non può non giovare, fatto che spiega la tendenza dei magistrati ad aderire a una o ad un’altra corrente. Tutti questi mutamenti hanno influito sul gruppo di riferimento del magistrato. Un tempo, i magistrati italiani guardavano soprattutto alla Corte di cassazione e alla dottrina accademica, anche per via del ruolo che direttamente o indirettamente questi attori svolgevano nelle promozioni. Oggi, i riferimenti del magistrato sono sempre più il mondo politico – locale o nazionale – e i media. Così, il caso italiano è caratterizzato da un apparente paradosso: le garanzie di indipendenza – interna ed esterna- sono state fortemente aumentate, ma questa situazione ha favorito lo sviluppo di legami – spesso poco visibili – con l’ambiente politico e sociale che di fatto può mettere a rischio la reale indipendenza della magistratura.33 Per un’analisi approfondita del caso italiano si veda G. Di Federico, Organico, reclutamento, valutazioni della professionalità, carriera, tramutamenti e attribuzione delle funzioni giudiziarie, trattamento economico, in G. Di Federico (a cura di), Ordinamento giudiziario: uffici giudiziari, CSM e governo della magistratura, CEDAM, Padova, 2012, pp. 181-288. 31 G. Di Federico, Organico, cit.; D. Piana e A. Vauchez, Il consiglio superiore della magistratura, Il Mulino, Bologna, 2012. 32 Solo di recente il Consiglio sembra mostrare una relativa maggiore severità nelle sue valutazioni. 33 C. Guarnieri, Giustizia e politica. I nodi della Seconda Repubblica, Il Mulino, Bologna, 2003. 30 186 © Filodiritto Editore 7. Le magistrature di common e civil law: un confronto Le magistrature dell’Europa continentale presentano nel complesso alcuni tratti comuni. Innanzitutto, il reclutamento avviene in età molto più giovane che negli Stati Uniti o Gran Bretagna. La mancanza di esperienze professionali che da ciò deriva viene in parte compensata dalla presenza di istituzioni specializzate – come in Francia – o da un periodo abbastanza lungo di tirocinio – come in Germania e ancora di più in Svezia. In ogni caso però la socializzazione professionale del magistrato si svolge prevalentemente all’interno del corpo, che è quindi destinato a diventare un punto di riferimento cruciale. Il reclutamento avviene quasi esclusivamente sulla base di criteri di merito e non vi giocano alcun ruolo considerazioni politiche. Tuttavia, con l’eccezione dell’Italia, dove è il reclutamento completamente controllato dalla magistratura, i ministeri della giustizia esercitano una supervisione generale su tutto il processo. Per quanto poi riguarda le garanzie di indipendenza, la Germania e gli altri paesi dell’area germano-scandinava mantengono nella sostanza l’assetto tradizionale che affida le promozioni ai giudici di grado più elevato, nella cui nomina non sono assenti considerazioni politiche. In questi paesi il ruolo delle associazioni giudiziarie è limitato. Invece, un assetto diverso tende a prevalere nei paesi dell’Europa latina che hanno istituito dei consigli superiori o di giustizia con il compito di proteggere l’indipendenza della magistratura.34 In tutte le loro versioni questi consigli presentano un’importante caratteristica comune: vi sono sempre presenti, anche se in differente proporzione, dei rappresentanti della magistratura. Naturalmente, il livello di indipendenza tenderà ad essere più elevato là dove i magistrati sono in maggioranza e vengono eletti direttamente dal corpo e dove i poteri affidati a questi consigli sono più ampi. L’esempio dell’Europa latina ha esercitato una certa influenza nei confronti di buona parte dei nuovi membri della UE, gli stati dell’Europa centro-orientale entrati fra il 2004 ed il 2013. Infatti, consigli di giustizia più o meno aderenti al modello latino sono stati creati in Bulgaria, Croazia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia e Ungheria. Per ora, i risultati non sono sempre stati soddisfacenti.35 Comunque, sia le magistrature di civil law sia quelle di common law non sono mai del tutto isolate dal sistema politico in cui operano. Nelle magistrature anglosassoni l’influenza del sistema politico viene esercitata soprattutto al momento del reclutamento, mentre in una magistratura del tipo europeo-continentale l’influenza politica filtra attraverso la struttura gerarchica e la carriera. Infatti, il modo con cui sono organizzate le promozioni rappresenta il punto critico di questo assetto. Il reclutamento tramite nomina o elezione diretta tende in modo esplicito ad allineare i valori dei giudici a quelli della comunità politica. Al contrario, la struttura gerarchica induce dei condizionamenti meno visibili ma forse più invasivi. Il desiderio di essere promossi produce probabilmente un incentivo più forte a soddisfare le pressioni o anche le sole aspettative di un ministro della Giustizia, dei superiori gerarchici o anche di un organo di “autogoverno”.36 8. L’indipendenza del pubblico ministero I pubblici ministeri, anche se di solito godono di garanzie maggiori di quelle dei funzionari pubblici, sono spesso considerati parte del potere esecutivo e posti pertanto alle dipendenze del ministro della Giustizia. Comunque, almeno nell’Europa latina, il rafforzamento delle garanzie di indipendenza ha coinvolto in una certa misura anche il pubblico ministero.37 Questa tendenza è stata più Nell’Unione Europea consigli superiori della magistratura esistono oggi in Belgio, Francia, Italia, Portogallo e Spagna ed in alcune dei paesi entrati di recente, come Bulgaria, Polonia e Romania. Vedi D. Piana, Judicial Accountabilities in New Europe, Ashgate, Farnham, 2010. Altri paesi, come Danimarca e Paesi Bassi, hanno istituito dei consigli il cui compito principale è però la gestione degli uffici giudiziari. 35 R. Coman, Quo Vadis Judicial Reforms? The Quest for Judicial Independence in Central and Eastern Europe, in Europe-Asia Studies, 2014, pp. 1ss. 36 C. Guarnieri, op. cit. 37 G. Di Federico, Il pubblico ministero italiano in prospettiva comparata, in G. Di Federico (a cura di), Ordinamento giudiziario: uffici giudiziari, CSM e governo della magistratura, CEDAM, Padova, 2012, pp. 335-354. 34 187 © Filodiritto Editore forte in quei paesi in cui i pubblici ministeri sono considerati magistrati, al pari dei giudici, e con questi formano un unico corpo. In Italia i pubblici ministeri godono delle stesse garanzie dei giudici e quindi la loro autonomia è elevata: l’esecutivo non è in grado di dare loro alcun tipo di indicazione. Inoltre, i pubblici ministeri insieme ai giudici eleggono la maggioranza dei componenti del Consiglio superiore della magistratura. Anche in Francia, dove il ministro della Giustizia è stato in grado, fino ad oggi, di mantenere buona parte dei suoi tradizionali poteri, l’autonomia dei pubblici ministeri sta aumentando: come abbiamo visto, godono infatti almeno di alcune delle garanzie dei giudici. Simili tendenze sono all’opera anche in Spagna, dove un Fiscal General, nominato dal governo al vertice della magistratura requirente, deve confrontarsi con un corpo – ed un’associazione professionale – sempre più autonomo nei suoi comportamenti. Quanto al Portogallo, il suo assetto è vicino a quello italiano. Anche se i pubblici ministeri formano un corpo separato da quello dei giudici, godono di un elevato livello di autonomia, dato che tutte le decisioni che li riguardano sono prese da un consiglio superiore in cui sono in maggioranza. Per quanto riguarda i paesi di common law, dopo lo scandalo del Watergate, gli Stati Uniti avevano creato un procuratore speciale indipendente nominato da un tribunale, con il compito di indagare i casi in cui membri del potere esecutivo erano coinvolti. Tuttavia, l’esperimento è terminato nel 1999, anche per via dell’insoddisfazione causata dall’azione del procuratore speciale nel caso che ha visto il presidente Clinton sottoposto, senza successo, ad impeachment. Perciò, a livello federale, i capi degli uffici requirenti sono nominati dal presidente, con il consenso del Senato, mentre negli stati è molto diffusa l’elezione diretta. In Inghilterra l’assetto tradizionale affidava un ruolo importante alla polizia. Nel 1985 è stata però creata una struttura requirente apposita: il Crown Prosecution Service. Anche se è diretta dal Director of Public Prosecutions – nominato dal governo e soggetto alle istruzioni dell’Attorney General, una figura simile per certi versi al ministro della Giustizia – il pubblico ministero inglese gode di fatto di un buon margine di autonomia. Le istituzioni internazionali hanno sostenuto questa tendenza a rafforzare l’autonomia del pubblico ministero. Ad esempio, le «Linee guida sul ruolo del pubblico ministero», emanate dalle Nazioni Unite nel 1990, richiedono, fra l’altro: garanzie nei confronti di nomine basate su partigianeria o pregiudizi; condizioni di servizio ragionevoli; promozioni basate su elementi oggettivi. L’autonomia del pubblico ministero è sostenuta in modo anche più forte dalla «Raccomandazione sul ruolo del pubblico ministero nel sistema giudiziario penale», emanata nel 2000 dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. La Raccomandazione sottolinea la necessità che «il reclutamento, le promozioni ed i trasferimenti dei pubblici ministeri siano effettuati secondo procedure corrette ed imparziali», che le carriere e le promozioni siano «regolate da criteri conosciuti ed oggettivi, come la competenza e l’esperienza» e che le procedure disciplinari siano «regolate dalla legge e garantiscano una valutazione corretta ed oggettiva e una decisione che possa essere soggetta ad un controllo indipendente ed imparziale». 9. Tendenze attuali e prospettive Si tende spesso a considerare l’indipendenza istituzionale condizione necessaria di un comportamento indipendente del giudice, anche se in realtà la relazione diretta fra i due aspetti non è lineare: ad un aumento dell’indipendenza istituzionale non sempre corrispondono comportamenti più indipendenti. Ad ogni modo, nella seconda parte del XX secolo nella maggior parte dei regimi democratici si è assistito ad un rafforzamento delle garanzie di indipendenza e a comportamenti giudiziari sempre più indipendenti. La crescente indipendenza dei giudici – e del rilievo politico delle loro azioni – ha prodotto una generale espansione del potere giudiziario, un fenomeno efficacemente etichettato come la «giudiziarizzazione della politica», cioè «l’espansione delle competenze del giudiziario a spese dei politici e degli amministratori».38 La crescita del potere giudiziario ha interessato entrambe le tradi38 C.N. Tate e T. Vallinder (a cura di), The Global Expansion of Judicial Power, New York Universiy Press, New York, 1995. 188 © Filodiritto Editore zioni giuridiche, anche se è stata più forte in certi paesi piuttosto che in altri, spesso ad opera non solo dei giudici costituzionali ma anche di quelli ordinari, che del resto partecipano in misura crescente al controllo giudiziario di costituzionalità. Qualche dubbio ha però iniziato ad emergere circa il livello adeguato delle garanzie di indipendenza. La crescente visibilità del potere giudiziario ha stimolato la richiesta di forme di responsabilità: dal momento che i giudici prendono sempre più di frequente decisioni con importanti implicazioni politiche non devono essere responsabili? E se sì, in che modo? Come si possono bilanciare esigenze in potenziale conflitto come l’indipendenza e la responsabilità? Sono sufficienti gli strumenti esistenti? Oppure è necessario introdurre qualche forma di responsabilità politica? E se la risposta è positiva, come va organizzata? Più precisamente, verso chi i giudici devono essere responsabili? Gli altri giudici, gli altri giuristi, la classe politica o l’opinione pubblica (in qualunque modo quest’ultima venga definita)? Vi sono modi differenti di trattare queste questioni.39 In generale, è possibile distinguere tre punti di vista. Per alcuni i giudici possono essere resi responsabili con gli strumenti già esistenti, come gli appelli, la collegialità, la disciplina e così via: è solo necessario migliorarli per renderli adeguati alla nuova situazione. Per altri, per rendere i giudici davvero responsabili bisogna introdurre qualche forma di responsabilità politica, cioè degli strumenti istituzionali che permettano al sistema politico di influire sul sistema giudiziario, ad esempio intervenendo su nomine e promozioni o anche, in casi estremi, provocando la rimozione di un giudice. Infine, altri ancora ritengono che i giudici possano essere resi responsabili, in modo forse più efficace e senza mettere a repentaglio la loro indipendenza, aumentando le probabilità che si comportino in modo responsabile, cioè in modo efficiente ed imparziale: obiettivo che può essere raggiunto migliorando la selettività del reclutamento e la qualità della formazione sia prima sia dopo la nomina e con un forte accento sulla disciplina e l’etica giudiziaria. 39 M. Cappelletti, op. cit.; G. Canivet et al., op. cit. 189 © Filodiritto Editore Le collane di Filodiritto Editore Al momento dell’uscita di questo volume, il catalogo di Filodiritto Editore è composto dalle seguenti collane: Prontuari Opere dedicate all’approfondimento di tematiche giuridiche e/o economiche, con valenze spiccatamente operative, essendo dedicate prevalentemente al mondo imprenditoriale e professionale Serena de Palma, Dizionario di inglese legale applicato, giugno 2012 (cartaceo) Giovambattista Palumbo, La voluntary disclosure e il rimpatrio di capitali dall’estero, febbraio 2014 (.pdf) Mario Tocci (a cura di), Prontuario di atti e pareri scelti per l’esame d’avvocato, ottobre 2013 (.pdf) Maurizio Villani - Paola Rizzelli, Il giudizio di ottemperanza nel processo tributario, settembre 2013 (.pdf) Mario Tocci - Ilaria Patta, La mediazione nelle controversie da danno iatrogeno, maggio 2013 (.pdf) Lucia Ripa, Nuova fatturazione IVA, marzo 2013 (.pdf) Lucia Ripa, Ristorazione: guida all’emissione dei documenti fiscali, ottobre 2012 (.pdf) Lucia Ripa, Guida alla fatturazione dei professionisti, settembre 2012 (.pdf - .mobi - .epub) Maria Antonietta Ferro, Asseverazioni in Italia, aprile 2012 (.pdf - .mobi - .epub) Carlo Alberto Calcagno, La mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, marzo 2011 (.pdf) Mario Tocci, Illecito stradale: contenzioso da sanzione amministrativa, commento e formule, febbraio 2011 (.pdf) Riccardo Girotto, Gestire il personale in tempo di crisi: quali ammortizzatori?, luglio 2010 (.pdf) Francesco Rubino, Il trust nel passaggio generazionale nelle imprese di famiglia, gennaio 2010 (.pdf) Mario Petrulli - Antonella Mafrica, Accesso al credito, gennaio 2010 (.pdf) Atti Opere destinate ad ospitare i materiali e gli atti relativi a convegni e seminari Luca Mezzetti - Calogero Pizzolo (a cura di), Diritto costituzionale transnazionale, febbraio 2013 (cartaceo) Cesare Galli, Guida alle garanzie sui diritti di proprietà industriale e intellettuale, ottobre 2011 (cartaceo) Monografie Opere dedicate all’approfondimento di una singola tematica con implicazioni di carattere giuridico, rivolte prevalentemente al pubblico degli operatori del diritto Giovambattista Palumbo - Ranieri Razzante, Le nuove frontiere della criminalità finanziaria. Evasione fiscale, frodi e riciclaggio, marzo 2014 (cartaceo) Antonella Trentini, L’avvocato degli enti pubblici. Commentario ragionato di legislazione, giurisprudenza e prassi, ottobre 2013 (cartaceo) Mara Chilosi (a cura di), 231 e ambiente. Spunti operativi e casistica, settembre 2013 (cartaceo) Antonello Gustapane, SCIA edilizia e responsabilità penale dei funzionari comunali, maggio 2013 (.pdf) Antonella Trentini, Perequazione urbanistica, aprile 2013 (.pdf) Ranieri Razzante, Compro oro, finanza e legalità, febbraio 2013 (cartaceo) Antonio Lo Presti - Antonella Trentini, Competenze dei geometri e normativa antisismica, gennaio 2013 (.pdf) Antonio Leggiero, Pedofilia, novembre 2012 (.pdf) Maurizio Arena - Marcello Presilla, Giochi, scommesse e normativa antiriciclaggio, luglio 2012 (cartaceo) Alfredo de Francesco, Il giusto processo criminale come teatro di verità e giustizia, febbraio 2011 (.pdf) 190 © Filodiritto Editore Maurizio Arena, La prevenzione della corruzione nelle aziende farmaceutiche, aprile 2011 (cartaceo) Nicola Monfreda - Serena Aveta, Il contrasto dell’immigrazione clandestina, settembre 2010 (.pdf) Giuseppe Febbo, La giustizia sportiva, gennaio 2011 (.pdf) Confronti Opere che presentano interventi di diversi autori in merito a un medesimo tema, destinate prevalentemente ad un pubblico di esperti nella materia trattata Cesare Galli - Antonio Zama, STAMPA 3D, una rivoluzione che cambierà il mondo? novembre 2014 (cartaceo, .pdf)) Scintille Opere di carattere divulgativo riguardanti temi di attualità e/o di interesse generale Rocco Gianluca Massa, La dura regola di eBay, dicembre 2012 (.pdf) Maurizio Arena, La corruzione tra privati, novembre 2012 (.pdf) Esportare Informati Opere dedicate principalmente al mondo dell’imprenditoria incentrate su problematiche di natura legale attinenti all’esportazione, oppure dedicate integralmente allo studio di ordinamenti esteri Clares de Cruz, Singapore, aprile 2013 (.pdf) Collana Universitaria Opere di taglio manualistico, destinate prevalentemente al mondo dell’Università e dei concorsi Silvia Bagni - Giorgia Pavani (a cura di), Materiali essenziali per un corso di Diritto pubblico comparato, settembre 2013 (cartaceo) Luciano Butti, Diventare giurista, ottobre 2012 (II ed. cartacea) Sotto collana Universitaria “Oltre Finisterrae” diretta dal Prof. Lucio Pegoraro e dal Prof. Angelo Rinella Serena Baldin - Moreno Zago, Le sfide della sostenibilità. Il buen vivir andino dalla prospettiva europea, ottobre 2014 (cartaceo) Mauro Mazza, Aurora borealis. Diritto polare e comparazione giuridica, luglio 2014 (cartaceo) Mario Tocci, Il danno punitivo in prospettiva comparatistica, giugno 2014 (cartaceo) Silvia Bagni (a cura di), Dallo Stato del bienestar allo Stato del buen vivir, settembre 2013 (cartaceo) Le Guide di Filodiritto Opere scaricabili gratuitamente, snelle e di agevole consultazione, in formato .pdf, di interesse generale o riguardanti discipline particolari del mondo del diritto Antonello Gustapane, Il Pubblico Ministero nel regime fascista, luglio 2014 (.pdf) Lucia Ripa, Guida alla tassazione degli atti giudiziari, giugno 2014 (.pdf) Corrado Mandirola - Camilla Siess, La cessione della clientela negli studi professionali, maggio 2014 (.pdf) Maurizio Villani - Iolanda Pansardi, Guida pratica alle novità sulle società di comodo, aprile 2014 (.pdf) Mario Alberto Catarozzo, Guida pratica al sito internet per lo studio professionale, febbraio 2014 (.pdf) Mario Alberto Catarozzo, Guida pratica al public speaking per professionisti dell’area legale, febbraio 2014 (.pdf) Vittorio Mirra, Equity Crowdfunding: la guida pratica, gennaio 2014 (.pdf) 191 © Filodiritto Editore Fuori Collana Lucio Pegoraro, Libere traduzioni in libero stato (.pdf) Di prossima uscita (titoli provvisori) Antonio Zama (a cura di), La disciplina del crowdfunding: aspetti pratici e potenzialità 192