12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
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PDF Compressor Pro 12 1 marzo 2016 Sanluri. Nuovo centro sanitario Il Medio Campidano si arricchisce di un Centro riabilitativo di fisioterapia, denominato Sanitas sas. Si tratta di una Fisioterapia che viene cucita sul caso specifico del paziente, ovvero completamente personalizzata. Titolare della struttura è Sabrina Uccheddu, 39 anni, di Gonnosfanadiga. «È il sogno della mia vita», racconta, «Avevo 18 anni quando ho iniziato a studiare ed impegnarmi nel settore della sanità. Tanti sacrifici ed un solo obiettivo: evitare la valige in mano e crearmi un lavoro nel Campidano. La terra che sento vicina. La mia terra. Finalmente eccomi qui. Con me altre figure per soddisfare le esigenze dei nostri pazienti. Siamo pronti a raggiungerli nelle loro case». Ricorda tre anni di lunga burocrazia prima che la struttura potesse vedere la luce del sole. Un impianto a 360 gradi, dove le figure che opereranno saranno impegnate nel panorama riabilitativo della logopedia, psicoterapia, ortopedia, neurologia e fisiatria. Tutte le attività ambulatoriali del Centro si svol- Fisioterapia: “La soluzione più personalizzata” geranno in un nuovo spazio, con palestra e ambulatori, in via Matteotti. Un progetto completo e che provvederà a svolgere dei servizi dall’ospedale alla struttura con la totale presa in carico del paziente. «Sono notevoli le richieste e le prenotazioni smaltite dai medici specialisti, per l’abbattimento delle liste d’atte- sa e del turismo sanitario, un grande vantaggio per il Medio Campidano. Con orgoglio possiamo dire di aver ricevuto i complimenti dalla Regione e dalla Asl di Sanluri Villacidro. Assemblea del Gal Linas Campidano per i servizi specifici, dettagliati e trasparenti. Un passo avanti perché abbiamo presentato un piano di rientro sanitario su una base universitaria europea all’avanguar- dia, con strumenti e attrezzature di elevata tecnologia che migliorano i quadri clinici, non trascurano i pazienti, riducono le liste d’attesa». Santina Ravì San Gavino Monreale Il viaggio in treno? Un’odissea in piedi Nuove opportunità di finanziamenti per l’area del Linas Si è svolta il 18 febbraio l’assemblea pubblica del Gal Linas Campidano finalizzata alla presentazione del nuovo bando per il finanziamento dei gruppi di azione locale della Sardegna. Davanti ad oltre 150 persone giunte dai sei comuni che compongono l’attuale Gal Linas e da quelli adiacenti, il presidente Antonio Marrocu ha messo in evidenza le nuove opportunità di finanziamento per l’area del Linas. «Nonostante le comlipazioni burocratiche sorte nel corso dell’attuazione del precedente programma, legate prevalentemente alla partecipazione di numerosi enti per l’attuazione del programma, (agea, agecontrol, caa, ecc,), siamo riusciti a spendere quasi tutte le risorse disponibili per il territorio. Oltre il 96% di quanto contenuto nella dotazione finanziaria del programma 2007-2013. pari a oltre 8.050.000 di euro. Oltre 150 i decreti emessi dal Gal con altrettanti progetti portati a termine. Un grande lavoro svolto grazie alla struttura tecnica e a tutti quelli che hanno collaborato con il Gal». Determinante l’impegno dell’assessorato all’agricoltura della RAS. L’assesore Falchi ha concentrato la sua attenzione sui Gal e sull’intero programma di sviluppo rurale consentendo il raggiungimento di un eccellente livello di spesa per la Sardegna e scongiurando la perdita delle risorse. Tra le novità approvate dall’Assemblea del Gal, la riduzione della quota associativa da 1000 a 250 euro per l ingresso di uovi soci. Le altre novità riguardano la possibilità di ingresso di nuovi territori, quali i comun di San Gavino, Serrenti, Serramanna e Villasor, che sono stati inseriti tra quelli definiti eleggibili, suscettibili cioè di ricevere finanziamenti finalizzati ad investimenti nel territorio. Nel suo intervento il direttore del Gal Antonello Ecca ha parlato del nuovo bando di accesso per i Gal. La dotazione finanziaria del bando è di 64.000.000 di euro per la Sardegna con un massimo di 15 Gal finaziabili. «Il nostro territorio - ha dichiarato - ha la possibilità di ricevere, se finanziato, oltre 4,5 milioni di euro corrispondenti a investimenti per circa 8 milioni. Il bando si articola in due fasi: una che scadrà il 31 di marzo, durante la quale dovra candidarsi il territorio attraverso una buona adesione di soci e la partecipazione di un ampio territorio.La seconda vede determinante la presentazione di un Piano di Azione, che contenga le strategie di sviluppo e le indicazioni dei tre indirizzi base, scelti dal territorio per programmare le risorse». Il piano verrà costruito con il contributo di tutti gli attori del territorio. Possono accedere le imprese, le associazioni e tutti i cittadini. Tutti devono partecipare alla nuova programmazione dando il proprio contributo di idee per lo sviluppo. «A tal fine - ha concluso il presidente - a breve verrà reso noto un calendario di incontri da tenersi in ciascuno dei comuni che compongono il partenariato.Una grande opportunità che il nostro territorio non può e non deve perdere. Al termine dell’assemblea sono stati numerosi quelli che hanno sottoscritto l’adesione al Gal Linas Campidano». (r. m. c.) Viaggiatori come sardine. Non è il titolo di un film o uno slogan pubblicitario, ma ormai quanto accade alle tante persone che prendono i treni da Cagliari a San Gavino e viceversa (nella foto di Renato Sechi). Lo denunciano con forza i pendolari che ogni giorno viaggiano in piedi e in condizioni di estremo disagio come ricordano alcuni pendolari: «Il convoglio che parte ogni giorno dal capoluogo - denunciano - è sempre pieno. Alcuni giorni fa non era possibile neppure muoversi. Viaggiare in questo modo non è dignitoso: il treno Minuetto è insufficiente in questi orari. L’assessore regionale ai trasporti dovrebbe subito intervenire: è una vergogna che si ripete ogni giorno». Ora le ferrovie sono corse ai ripari e il treno che parte alle 14.25 da Cagliari è più capiente. Tuttavia il paradosso è che ci sono treni strapieni oppure vuoti, come ricorda Barbara Marongiu, reggente della segreteria Ugl telecomunicazioni: «Spesso si viaggia in piedi come succede per il bestiame. I treni negli orari di punta hanno pochissimi vagoni anche se è notevole la presenza di studenti e lavoratori. Eppure basterebbe fare una stima di quante persone prendono il treno da Oristano a Cagliari, negli orari di punta. A San Gavino il treno delle 7.10 è vuoto ed è lunghissimo mentre il convoglio precedente che arriva alle 6.58 è strapieno con le persone che non trovano un posto. I viaggi si fanno in piedi anche per le tratte lunghe con anziani che non trovano un posto. In più non vi è una taratura nell’aria condizionata e fa davvero troppo caldo. Il nuovo treno? Spesso si guasta e si ferma ed è sistematicamente vuoto». Mancano poi le coincidenze soprattutto la sera, ma non solo: «Di sera in partenza da Cagliari dopo il treno delle 20.35 – conclude Barbara Marongiu – non c’è niente se non il bus delle 22 che è sempre pieno: basterebbe mettere un convoglio tra le 20.35 e le 22. Inoltre non era proprio il caso di chiudere stazioni come quella di Sanluri Stato, rimessa a nuovo: è una vergogna con il conseguente sperpero di soldi pubblici». Gian Luigi Pittau PDF Compressor Pro 1 marzo 2016 13 San Gavino Samassi Al via la 29a Sagra del carciofo Gianluigi Inconis titolare del centro Aperto un centro Permaflex La Sagra del Carciofo di Samassi giunge nel 2016 alla 29° edizione e si svolgerà sulla falsa riga di come è avvenuta l’anno scorso. Il tutto partirà giovedì 10 e venerdì 11 marzo con i convegni organizzati dall’Agenzia Laore; a seguire sabato 12 ci sarà l’inaugurazione della XXIX Sagra del Carciofo e XVIII Fiera Agroalimentare e, in concomitanza, visto il successo dell’anno precedente, si ripeteranno le visite alle domus e lollas, organizzate insieme ai laboratori dall’Associazione Terra Cruda. Il tutto continuerà fino a domenica 13, giornata che la mattina sarà caratterizzata dalla XXXVIII Marcialonga del Carciofo. La manifestazione è organizzata dall’ U.S. Acli Mariano Scano, col patrocinio del comune di Samassi, e con l’approvazione della FIDAL Sardegna e dell’ US ACLI provinciale, regiona- le e nazionale. La gara di corsa su strada partirà dalla centralissima Piazza Italia e attraverserà le vie del paese fino ad addentrarsi per una buona parte nelle campagne prossime all’abitato, riproponendo un percorso di gara identico a quello della passata edizione, memore degli storici tracciati delle prime edizioni. Il circuito di gara ha una lunghezza di circa 3300 metri, e verrà ripetuto per 3 volte per un totale di 9900 metri. Alla Marcialonga è abbinato il 30° Memorial Giovani Val Di Fiemme, nell’ambito del quale verrà assegnato il 29° Trofeo Mariano Scano. È prevista la ormai tradizionale camminata non competitiva aperta a tutti, su un percorso di 3300 metri (un giro del circuito), inserita nel progetto Nazionale U.S. Acli “Walking Together for Life”, che ha lo scopo di sensibilizzare tutti i cittadini sull’utilità del movimento e della corsa in genere. Le iscrizioni alla camminata saranno chiuse mezz’ora prima della partenza prevista per le ore 10.30. A tutti gli iscritti della camminata verrà consegnata una medaglia ricordo e un buono ristoro. Alla gara competitiva verranno premiati i primi 10 classificati maschili e femminili in classifica assoluta e i primi 3 classificati maschili e femminili per fasce di età (dagli over 35 in su). La camminata non ha ordine d’arrivo pertanto non sono previste premiazioni, ma verranno estratti 10 numeri vincenti corrispondenti al numero di gara di 10 fortunati iscritti. Carola Onnis Mettersi in proprio, dopo aver lavorato per decenni alle dipendenze, non è mai una scelta facile. Ma quando il 53enne Gianluigi Inconis, noto Gigi, si è ritrovato disoccupato, non si è perso d’animo e, facendo leva sui 20 anni di esperienza nel settore, lo scorso maggio ha avviato una nuova attività a San Gavino, un centro esclusivo Permaflex nel Medio Campidano. E, seppur il commercio sia in crisi, soprattutto per i negozi al dettaglio, a San Gavino sembra vigere un vivace spirito imprenditoriale. Lei non è l’unico ad aver sollevato una saracinesca in via Dante, rendendo la strada ancora più trafficata. Qual è il segreto di tale atteggiamento propositivo? «Nel mio caso mi ha agevolato l’unicità del prodotto. Essere specializzati in un prodotto garantito dal marchio “eccellenza del materasso italiano nel mondo”. Questa è un’impresa commerciale innovativa, nata nel 1953 e in continua crescita. Quindi non posso non vedere al futuro in modo positivo e propositivo. Mi sento al sicuro per l’azienda che rappresento». Oltre a casalinghe, pensionati e giovani coppie che intendono arredare l’appartamento, al centro sangavinese si rivolgono molti ragazzi che desiderano cambiare i materassi tradizionali con nuovi modelli componibili, ergonomici, anatomici, ortopedici, a zone differenziate, anallergici o climatizzati e in lattice naturale come quello con aloe vera. VILLAMAR Prodotti che riguardano tutto il sistema di riposo: materassi, reti a doghe e elettriche, letti, guanciali e accessori come coprirete trapuntati o coprimaterassi. «Oltre alle garanzie Permaflex - aggiunge Gigi - metto a disposizione anche la mia esperienza nel campo, dando indicazioni personalizzate su come scegliere la portanza ideale, il materasso più adatto ad esempio per un bambino, per chi soffre il freddo, il caldo o d’insonnia». Anche per le agevolazioni fiscali? «Certo. Assistiamo anche per pagare a rate o con l’Iva agevolata al quattro per cento, secondo la legge 104, per chi deve acquistare un materasso sanitario con dispositivo medico CE (ortopedico antidecubito)». Quanto è importante la competizione e la collaborazione con gli altri imprenditori del territorio? «La vedrei bene, se ci fosse. Ma mi accorgo che non siamo mai riusciti davvero a consorziarci. Dovremmo cambiare mentalità. Personalmente vorrei diventare punto di riferimento per la vendita del sistema di riposo nel Medio Campidano ma so che, per la crescita economica, occorre anche competizione e collaborazione con gli altri. Per ora, sono fiero di essere l’unico a rappresentare lo slogan “Idee da sogno, nuovi modi di riposare”». Marisa Putzolu BARUMINI Associazione Noa: una nuova alternativa per l’assistenza alle persone fragili A causa del progressivo invecchiamento della popolazione aumenta il bisogno di attività e servizi a sostegno delle famiglie al cui interno sono presenti componenti “deboli” (persone anziane e/o diversamente abili). Quali le soluzioni? Il ricovero in strutture di tipo residenziale (comunità alloggio, strutture protette, RSA ecc.) rappresenta una delle possibilità; tuttavia spesso c’è chi, per diversi motivi, non ama allontanarsi dalla propria casa e dal suo ambiente di vita. L’alternativa sono dunque le cure e l’assistenza a domicilio. Per contribuire allo sviluppo di queste ultime attività è nata, nel luglio del 2015 a Villamar, un’associazione che è stata denominata Noa. «’Noa’ - ci spiega la presidente Paola Medda significa ‘nuovo’ non a caso: vorremmo infatti proporci come associazione innovativa in alcuni punti chiave. Fra i nostri intenti, oltre alle normali attività di assistenza domiciliare, vi è anche quella di svolgere tutta una serie di attività: segretariato sociale, disbrigo di pratiche e commissioni, protezione giuridica per le persone non autonome, attività di socializzazione e di aggregazione, turismo sociale e trasporto speciale». L’associazione già si giova di alcune collaborazioni esterne garantite da professionisti del settore e chi ha bisogno di avvalersi dei suoi servizi non entra in qualità di cliente bensì di socio. «Ci proponiamo inoltre - spiega la vicepresidente Francesca Pisano - di formare in maniera continua le persone che devono sostenere i propri assistiti, per esempio i familiari. Ad essi l’associazione dedica iniziative di informazione e di formazione sul come affrontare e gestire al meglio le situazioni e le possibili problematiche che l’assistenza comporta». Al momento l’associazione Noa conta quindici soci, alcuni dei quali stanno completando la loro preparazione attraverso un corso interno che migliorerà le loro competenze soprattutto in materia di legislazione socio-sanitaria. «La conoscenza Secondo Expo sui beni culturali della parte legislativa - come spiega una delle socie, Ina Tusaè di estrema importanza; esitono infatti canali di finanziamento (dal proprio Comune, dalla Regione o dalle Asl) spesso sconosciuti. Una fetta importante della popolazione ha difficoltà a districarsi in questo ambito a causa delle molte leggi e iter burocratici che, talvolta, scoraggiano spesso anche i più audaci». Noa, ovviamente, non è un’associazione di volontariato e quindi i suoi servizi hanno un costo per gli utenti. «In base al tipo di progetto assistenziale condiviso dall’assistito - conclude la presidente Paola Medda - formuliamo una proposta economica che ovviamente si è liberi di accettare o meno. È nostro obiettivo far crescere questo nuovo canale perché gli anziani e i disabili sono una realtà presente e molto diffusa nel territorio e pertanto crediamo che migliorare le loro condizioni di vita, oltre che una necessità, è prima di tutto un dovere della società in cui viviamo». Simone Muscas In mostra le eccellenze del turismo culturale nell’Isola: artigianato, degustazioni, enogastronomia, spettacoli, convegni, siti culturali, workshop e laboratori. È il programma del “Secondo Expo turismo culturale in Sardegna”, che si svolgerà al Centro culturale Giovanni Lilliu di Barumini l’11, 12 e 13 marzo prossimi. La manifestazione ha lo scopo di rilanciare l’economia e sarà un’importante occasione di promozione dei principali siti archeologici, dei produttori del settore enogastronomico e dell’artigianato artistico dell’intera Sardegna, che saranno accolti in tremila metri quadrati di stand e spazi espositivi allestiti per l’occasione. Inoltre, vi sarà approfondimento, dibattito, ricerca e intrattenimento, grazie ai convegni, momenti di spettacolo, laboratori didattici dedicati a studenti e pubblico adulto. «Un appuntamento importante per gli espositori e le eccellenze sarde. L’obiettivo è anche quello di attirare i turisti, che chiedono qualcosa di diverso otre il mare e le spiagge», spiega il sindaco Emanuele Lilliu. Infatti, ci sarà la possibilità d’incontro tra tour operator e aziende sarde del settore. Tra l’altro, nei tre giorni del secondo Expo baruminese organizzato dalla Fondazione Barumini Sistema Cultura e dal Comune, sarà inaugurata la mostra sull’abito tradizionale della Sardegna, e una sfilata di Modolo con le migliori sartorie dell’Isola. L’evento rientra nell’ambito delle manifestazioni di grande interesse turistico, promosse e finanziate dalla Regione attraverso l’assessorato del Turismo. Carlo Fadda PDF Compressor Pro 14 1 marzo 2016 Gonnosfanadiga 17 Febbraio 1943: Ancora ignoto il perché del bombardamento R icorre il 73° anniversario dal giorno in cui gli americani portarono la morte a Gonnosfanadiga a bordo delle loro potenti macchine da guerra con un micidiale carico di bombe, che il 17 febbraio 1943 furono sganciate senza pietà contro la popolazione civile. È finora rimasta ignota la motivazione che spinse la più grande potenza militare a compiere un crimine di così vaste proporzioni, scrivendo con sangue innocente la nuova storia di Gonnosfanadiga, una pagina che nessuno avrebbe voluto né vedere né leggere. All’epoca il paese ubicato ai piedi del Monte Linas contava su circa 5000 abitanti, gente laboriosa impegnata nell’agricoltura e nella pastorizia da cui traeva il necessario sostentamento, persone favorite da un territorio fertile e ricco d’acqua. Il micidiale bombardamento lasciò sul terreno 119 morti e circa 350 feriti, oltre evidentemente alla distruzione di numerosi edifici i cui segni sono ancora oggi visibili. Un diario scritto da monsignor Severino Tomasi, allora parroco del paese, descrive dettagliatamente le fasi della sanguinosa incursione aerea americana. La cerimonia commemorativa ha avuto inizio nella parrocchia del Sacro Cuore, dove il parroco don Giorgio Lisci durante l’omelia ha parlato delle due incursioni aere del 17 febbraio 1943, e del 26 agosto 1943, e della tragedia di” S’Acqua Durci”, avvenuta il 3 agosto 1945. Il sacerdote ha sottolineato l’importanza del fare memoria e del curare il ricordo che diventa storia, quella a cui deve guardare la vita. Alle fine della cerimonia religiosa, il corteo guidato dalla prestigiosa banda musicale delle Brigata Sassari ha raggiunto piazza XVII febbraio ove si trova il monumento ai caduti. Il sindaco Fausto Orrù ha deposto una corona di fiori ai piedi del monumento e la Banda della Brigata Sassari ha reso omaggio ai caduti dedicando loro gli onori militari e suonando l’inno di Mameli, il Silenzio e l’inno della stessa Brigata. Poi il capo gruppo in consiglio comunale Davide Sardu ha ringraziato le autorità politiche, militari, civili e religiose presenti, in particolare il capitano Valerio Cadeddu, comandante della Compagnia di Villacidro, il generale Giorgio Zucca, il maresciallo Capo Banda Andrea Atzeni, il generale Sciola, gli avvocati Doglio e Frongia. Il sindaco Orrù ha letto il suo discorso, durante il quale, con commozione, definisce, testualmente, “i caduti per mano Americana “Eroi Semplici” che oggi abbiamo l’onore di ricordare uniti nel dolore e nell’orgoglio, riconoscendo che la nostra comunità ha pagato un prezzo troppo alto per gli orrori della seconda guerra mondiale; fra tutti i paesi d’Italia, Gonnosfanadiga ha dovuto subire il più alto numero di vittime in rapporto al numero degli abitanti. Ancora a distanza di 73 anni, quel funesto e terribile 17 febbraio del 1943 resta per la nostra comunità cittadina il simbolo per eccellenza del dolore e della sofferenza della guerra. Non ci sono spiegazioni ragionevoli per quanto accadde in quel tragico pomeriggio prima di conoscere la verità su quello che avvenne. Le uniche spiegazioni, di cui ancora i familiari delle vittime e tutta la nostra comunità sono creditrici, giacciono conservate negli archivi di guerra degli Stati Uniti d’America in qualche faldone ingiallito - su un vecchio schedario impolverato. I familiari delle vittime hanno il diritto di sapere, i nostri figli hanno il diritto di conoscere la realtà di ciò che avvenne. I bambini smisero di giocare per vedere l’acciaio luccicare al riflesso del sole sul cielo blu di un inizio di primavera. Chi di noi, anche oggi, non avrebbe fatto lo stesso? Quelle urla di meraviglia nel vedere così da vicino gli aerei americani, le cosiddette “fortezze volanti”, si trasformarono però quasi subito in urla di dolore e pianto. Gonnosfanadiga conobbe in quel preciso momento la guerra nella maniera più vigliacca che un conflitto possa esprimere.” L’avvocato Raffaele Melis sostiene che il bombardamento del 17 febbraio 1943 non fu un errore ma un’azione voluta con lo scopo di uccidere deliberatamente e senza pietà, e a tal proposito ricorda il pastorello di 15 anni che perse la vita mentre ignaro sventolava la propria giacchetta in segno di saluto agli aerei. Secondo l’avvocato il bombardamento in Sardegna fu una strategia americana per nascondere il vero obiettivo, lo sbarco in Sicilia, punto strategico per invadere l’Italia e poi l’Europa. Francesco Zurru Marmilla 8 maggio 1943: quattro morti a Villanovafranca N el maggio del 1943 furono trasferite in Sardegna diverse divisioni paracadutisti con il compito di rafforzare la difesa dell’Isola. Alcuni reggimenti furono dislocati nel Medio Campidano, con comando a Sanluri. Per la felice posizione del paese, al centro della Marmilla, la Divisione “Folgore” si stabilì a Villanovaforru, dove già si era fermato il grosso della novantesima Divisione Corazzata tedesca, comandata dal generale Carl Hans Lungerhausen. I tedeschi utilizzavano come magazzino una chiesa campestre, alloggiavano nelle case e disponevano di mense. Avevano sistemato persino uno schermo gigante sul quale proiettavano i film. Agli spettacoli poteva partecipare anche la popolazione. Per alloggiare i paracadutisti italiani erano stati smontati i casotti in legno della spiaggia del Poetto e rimontati in modo da assicurare un alloggio. Con l’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre, sia i tedeschi sia gli italiani evacuarono il paese. Prima della partenza i paracadutisti furono radunati nella piazza della chiesa e il comandante della divisione il colonnello Bechi Luserna, esortò i militari ad essere fedeli agli ordini del Re e di Badoglio. Anche a Villanovafranca c’era un grosso contingente di militari tedeschi, erano circa 10.000 accampati nel bosco, il loro campo arrivava sino al fiume dove avevano costruito alcune gallerie. La presenza di tanti militari tedeschi fece di Villanovafranca un obiettivo dei bombardamenti americani. L’8 maggio sul paese furono lanciare alcune bombe dirompenti e spezzoni incendiari. Ci furono quattro morti e due feriti tra i civili, nessuna vittima tra i militari. Quel giorno furono lanciate delle bombe anche su Furtei, causando lievi danni. Gian Paolo Pusceddu PDF Compressor Pro 1 marzo 2016 15 un giorno d’inferno L’incursione aerea: un’inutile strage D ell’ecatombe scatenata ex abrupto dall’aviazione degli americani “liberatori” sulla innocente e innocua cittadina di Gonnosfanadiga, la piccola Guernica della Sardegna, quel tragico solatio pomeriggio invernale, con quasi novanta vittime e numerosi feriti, dei quali qualcuno vivo ancora oggi, è stato negli anni scritto e riscritto tutto il possibile, anche una curatissima tesi di laurea con la doviziosa acribia laureanda di Massimiliano Ortu: “Bombardamento per errore?” Lascio quindi ad altri la rievocazione di quella “inutile strage” e mi limito ad alcune meditazioni personali. Io nacqui tre anni dopo, i miei si sposarono giusto quell’anno, quindi non posso per fortuna dire “quaeque ipse miserrima vidi et quorum pars magna fui”, ma cito i versi epici dell’Eneide non a caso riferite alla caduta di Troia nell’Iliade: chi invece poteva ripetere i celebri esametri di Virgilio fu il mio professore di latino e greco nelle scuole medie, il reverendo monsignor Severino Tomasi, un vero gigante nel corpo di un nano, che in quei giorni reggeva la parrocchia di Gonnos e fu lui da “pius Aeneas” testimone oculare a prestare soccorso e conforto materiale e spirituale ai suoi compaesani terrorizzati e a redigere il funesto elenco delle vittime, tramandando poi da “storico” le sue testimonianze nelle voluminose “Memorie del Passato” sulla storia della diocesi di Ales. Ai tempi in cui imparavamo a memoria i versi dl pacifista Tibullo “quis fuit horrendos primus qui protulit enses?”, quando ci leggeva in classe e commentava la vecchia e gloriosa Iliade tradotta da Vincenzo Monti, io, che già da allora tifavo per i più deboli e quindi ero filo troiano, fremevo di rabbia e di dolore al racconto della morte di Ettore e allo strazio del suo cadavere per opera di Achille intorno alle mura della città in fiamme; ma non capivo perché il minuto e anziano canonico Tomasi leggesse con la voce tremula tenendo il libro tra le mani più tremule ancora e gli occhi lucidi di pianto. L’ho capito dopo, molti anni dopo, ripensando al suo lutto “troiano” del 17 Febbraio 1943 di cui ipse miserrima vidit et quorum pars magna fuit. L’ho capito meglio ancora quando ho “capito” le leggi inesorabili della Storia, studiando Tucidide e il fiorentino Machiavelli all’Università proprio nella sua Firenze medicea: “Uno Principe deve essere più temuto che amato, col pugno di ferro in guanto di vellu- to” (il Piano Marshall dopo le due bombe atomiche dell’agosto 1945), perché cosi deve andare da sempre e per sempre la tragedia della Storia fur ewig, for ever, es aiéi diceva Tucidide appunto. Il quale racconta il celebre e cinico episodio della strage dell’Isola egea dei Meli (416 a.C.) che si erano ribellati ad Atene passando dalla parte degli Spartani ai tempi di Pericle il Grande, morto durante la terribile peste. Arrésisi implorarono pietà e perdono, ma Atene “culla della Democrazia” come la “democratica”America, rispose che doveva sterminarli comunque perché servissero da “esempio” (exemplum, da cui deriva la parola e-scempio) dato che tre sono le ragioni inesorabili di ogni vincitore che si rispetti e che voglia farsi rispettare perpetuando il suo dominio nella logica della mors tua vita mea: il Prèpon, la Bia e il Dèos cioè l’Interesse, la Forza e il Terrore. Cosi farà Roma con Cartagine nel 146 a.C. e con Gerusalemme nel 70 d.C.: “Pàrcere subiectis, debellare superbos” dice il “pius” Virgilio nel VI Libro dell’Eneide; a.C. e d.C. non sono angoli e cateti di una figura geometrica, ma prima e dopo Cristo, a dimostrazione tucididea che il Messia non ha mutato assolutamente nulla in questo irredento e irredimibile “atomo opaco del male, l’aiuola che ci fa tanto feroci” in cui bisogna considerare “tutti li homini rei”. Un altro testimone oculare gonnese allora tredicenne sfollato per cautela dal Collegio Francescano di Cagliari e che oggi vive nella lontana Australia, il poeta Lino Concas, l’ho sentito più volte raccontare e raccontarmi quei momenti tragici dell’incursione aerea, avvenuta mentre egli saliva in quella via Marconi proprio all’altezza delle case dei Pinna dove permangono a futura memoria i segni dello spezzonamento giusto nel momento in cui il ragazzino rientrava a Gonnesùsu da Gonnebàsciu alla fine della ripetizione di latino impartitale dal giovane dottore di teologia morale dottor Casti, e riuscì a salvarsi gettandosi a terra perché gli spezzoni schizzavano da ogni lato verso l’alto, e gli altri passanti in fuga furono falcidiati. Quel ricordo gli è rimasto indelebile e in uno dei suoi volumi italo-sardo-australiani di liriche ha scritto questa poesia “Paura ho della guerra”: Io che sono nato e vissuto in epoca “postbellica” (si fa per dire) nell’utopica speranza di una perpetua pace Kantiana gliela ho doverosamente tradotta nella sua lingua natìa. Toto Putzu Paura della guerra Paura ho della guerra, paura dei miei occhi che in un fosso videro i morti. Paura ho della guerra, nella soglia di casa sono morte le donne, nel cortile di scuola sono morti dei bimbi, dei vecchi nel prendere il sole. Tìrriu a morti sa guerra timu in ògus su spantu chi hat bìu sa mortalla e sànguini calla calla fossas in campusantu. Dèu sa guerra idda tìrriu spérdias in s’enna issòru feminas in delìriu e ingòrtus a su coru pippìus in platza’e scholla e anziànus in sa lolla a s’ultimu ògu’e soli. Paura ho della guerra che calò dal cielo la morte e riempì il fiume di sangue. Tìrriu sa guerra dèu ca pàrrit herisèu, insanguentàu s’arrìu tra bòmbas a passìu. Ci sono ancora brandelli di quell’abito nero, c’è ancora il sangue che ha macchiato l’asfalto di un paese vestito di nero. Apustis tantus annus c’est sempri sinnu’ e is dannus arrogàlla’e su luttu, in bidda mia sas stràdas de sànguini amragàdas e un populu in corrùttu. Lino Concas Toto Putzu gonnensis Il racconto di Antonio Garau “Quel giorno fu un inferno, c’era sangue dappertutto. Persi mia sorella” Gonnosfanadiga ha il suo Olocausto, una grande tragedia che nessuno mai potrà mai dimenticare. Rimarrà nella memoria di tutti il terribile 17 febbraio 1943 quando si scatenò l’inferno con una pioggia di bombe arrivata dal cielo nel primo pomeriggio intorno alle 15. Il ricordo è sempre vivo nei testimoni come se il tempo si fosse fermato e lo ha raccontato agli studenti dei licei delle scienze umane, linguistico e scientifico di San Gavino Monreale il maestro Antonio Garau che all’epoca aveva appena nove anni. Cadaveri dappertutto. Spesso mutilati e feriti che urlavano e invocavano aiuto. IL RACCONTO DEL MAESTRO ANTONIO GARAU Una scena agghiacciante che si è presentata in via Porru Bonelli, in altre strade del paese e nelle periferie come ricorda il maestro Antonio Garau: «Si sentì come uno scoppio: erano le 15 del pomeriggio, erano le bombe che cadevano alla spicciolata. I ragazzi che giocavano sulla strada vennero colpiti da tante schegge. Subito non mi resi conto di che cosa ero successo; c’era sangue dappertutto ed anche la mia unica sorella venne uccisa dalle bombe mentre un altro fratello era rimasto ferito e poi portato via dai militari. Siamo stati portati nelle casermette dove ci hanno prestato le prime cure. Mia sorella si era accorta che non ce l’avrebbe fatta: aveva chiesto a mia madre un coltello per mettere fine alle sue sofferenze». FERITE MORTALI E ORRORE Gli studenti ascoltano con emozione e il maestro Garau racconta con grande lucidità: «Altri miei fratelli - continua - furono tutti colpiti da numerose schegge e non vi dico le condizioni delle persone ferite mortalmente. Mia cugina era stata colpita mentre stava entrando nell’uscio di casa: una bomba le aveva fatto scoppiare la testa. Immaginate la situazione e il dolore della mamma quando aveva visto dei pezzi d testa della figlia. Una scheggia di una bomba mi aveva colpito il braccio e fui trasportato a Cagliari nella barella di un altro ferito. Poi sono finito all’ospedale civile e il mio braccio doveva essere tagliato. Non ci fu bisogno di nessuna anestesia: il medico mi aveva dato un paio di ceffoni e mi avevano addormentato in questo modo. Il medico curante era bravo, ma per me rimase sempre un ricordo impressionante. Anche Cagliari venne colpita dalle bombe durante il periodo del mio ricovero. Avevo molta paure: il rumore di un carro per strada mi sembrava quello degli aerei». GLI STUDI E I RICORDI DELLA GUERRA. Antonio Garau frequenta le elementari, poi prosegue gli studi in una scuola a Castellamare dove le porzioni di cibo non erano certo abbondanti: «Avevo solo una piccola razione di pane, poi ho dato l’esame e in seguito - racconta Garau - ho frequentato il liceo ad Oristano e sono diventato insegnante elementare. Prima sono stato maestro in una scuola pluriclasse, poi a Cagliari ed infine ho chiesto il trasferimento fino ad arrivare a Gonnosfanadiga». L’APPELLO PER LA PACE I ricordi di quella tragedia non si cancelleranno mai: «Milioni di cittadini ebrei - conclude Antonio Garau - sono stati uccisi nei campi di concentramento e di sterminio. Ricordo che a Gonnosfanadiga due marescialli tedeschi erano venuti per comprare patate nell’orto. Poi questi due marescialli si misero a piangere, dicevano: ‘ormai Germania caput’. Sono gli anziani che in genere muovono le guerre, voi giovani dovete cercare di vivere in pace. Le guerre continuano ad esistere e ci sono dappertutto. C’è la guerra e tutti cercano di scappare dalla distruzione. La guerra non ha mai portato nessun beneficio e voi giovani dovete cercare di mantenere la pace». Gian Luigi Pittau PDF Compressor Pro 16 1 marzo 2016 Carnevale 2016 : ch c nel Medio C Guspini: Carnevalinas - Cambalonga Tempo di bilanci per il Carnevale guspinese, una manifestazione che da ventisei anni trova la chiave del suo successo nella capacità di sapersi reinventare. Ad aprire il tripudio di folla e colore del Carnevalinas, che sabato 13 febbraio ha dato alla cittadina il consueto appuntamento al prossimo anno con il rogo del fantoccio Gambetta in piazza Togliatti, i cento artisti di “Cambalonga”, primo raduno di trampolieri sardi organizzato dall’associazione “Circo Mano a Mano” in collaborazione con il gruppo “Cambas de Linna” e il patrocinio di Regione, Comune e Pro Loco. «L’intento? Rendere il raduno un appuntamento annuale di rilievo - puntualizzano dall’associazione - con presenze nazionali, europee e provenienti dal resto del mondo, a dimostrazione di come le tradizioni popolari costituiscano un valido supporto alla realizzazione di progetti culturali ad ampio respiro». In mille all’appello, dai candidi “Orbs”sassarini degli “Shedan FireTheater” ai vivaci Emoyeni, giovanissimi saltimbanchi cagliaritani, su fino alle poetiche esibizioni del Teatro del Sottosuolo di Carbonia e degli autoctoni Cambas de Linna, nella parata che da via Anna Frank, tra infiniti decibel e mille mascherine, ha accompagnato i carri allegorici di Guspini, Terralba, Sanluri, Marrubiu, Sardara, Gonnosfanadiga, San Gavino Monreale, Samassi, Collinas. Incetta di premi per il gruppo”Is Casermettas”, che oltre ad aggiudicarsi per il secondo anno di fila il primo posto al Carnevalinas, con “Caro Vecchio Carnevale” ha trionfato anche a “Su Marrulleri” di Marrubiu e al raduno provinciale di Gonnos. Francesca Virdis Sanluri Neppure l’intensa pioggia ha fermato la 65esima edizione del Carnevale Sanlurese che ha visto sfilare carri allegorici e gruppi in maschera provenienti da tutto il territorio provinciale, senza alcuna premiazione finale. Tutti vincitori all’evento, organizzato dalla Proloco di Sanluri in collaborazione con l’amministrazione comunale e la Regione, che si è concluso con i festeggiamenti in piazza Porta Nuova e “pai arridau e chiacchiere a volontà”. «Quest’anno abbiamo migliorato con la cartapesta e fatto il botto con la gente al seguito - ha detto il presidente dell’associazione locale Rebus Group Alessandro Melas. - Il primo premio a Sardara ne è la dimostrazione. Il nostro è un gruppo di carristi giovane, costituito da una ventina di soci, tra cui Jordan Cocco, Alberto Congia e Andrea Usai. Una squadra con le carte in regola per coinvolgere tutti, non solo i bambini, nel desiderio di fare carnevale e diventare come il glorioso 3D o il Revolution Crew. Per raggiungere l’obiettivo e salvare il carnevale sanlurese, mi piacerebbe però che si iscrivessero più figuranti, più persone che diano un piccolo contributo, come preparare costumi, o mettendo i soldini da parte già da ora». Marisa Putzolu PDF Compressor Pro 1 marzo 2016 17 Gonnosfanadiga Sfilata con 11 Carri hiusura in bellezza Campidano Lunamatrona La manifestazione, organizzata dall’amministrazione comunale in collaborazione con la Pro Loco e l’Associazione Il Coriandolo, con lo scopo di risollevare le sorti del Carnevale Gonnese, ha avuto un buon successo in una colorata cornice di pubblico. Il raduno provinciale con ben 11 carri ha avuto l’effetto rigenerante di una manifestazione tradizionale che riesce a coinvolgere un numero consistente di giovani con considerevoli finalità sociali. Davanti alla giuria, presieduta da Giuseppe Marras, hanno sfilato i Sweet Garden di Gonnosfanadiga, Is Amigus di Pabillonis, Il Coriandolo di Gonnosfanadiga, Gps 4 di Gonnosfanadiga, la Pernacchia di Guspini, Rebus Group di Sanluri, Music Express di San Gavino, Fibra Ottica di San Gavino, Caution Group di Gonnosfanadiga, Is Casermetas di Guspini, Storpions di Terralba. Il primo premio è stato assegnato al gruppo “Is Casermettas” di Guspini con “Caro, vecchio Carnevale”, al secondo posto “la Pernacchia” di Guspini e terzi classificati, nonché vincitori per il miglior carro di Gonnosfanadiga, il “Caution Group”. «Dopo tanto tempo a Gonnosfanadiga il carnevale torna in grande -, ha affermato Martina Zurru del 1996. - È stato bello vedere anche carri dedicati appositamente ai bambini, che hanno bisogno di vivere il carnevale, come succedeva qualche anno fa. Il divertimento vien da sé quando si è in compagnia e quando si ha voglia di far sorridere gli altri. Invito a chi ha messo anima e corpo per realizzare questa festa a continuare, affinché il carnevale ogni anno sia sempre più ricco e sentito». «Il proposito che ci siamo prefissati è riuscito in pieno», ha detto il consigliere comunale Federico Isu, «la partecipazione dei carristi, dei figuranti e della cittadinanza Gonnese e non solo è stata ottima e vedere nei ragazzi, nei bambini e nelle famiglie un sorriso di soddisfazione è stata la nostra vittoria più grande, che ripaga ogni sacrificio. Vogliamo che Gonnosfanadiga viva nei suoi giovani, e incentivare il Carnevale Gonnese è stato possibile grazie alla collaborazione di tante persone. La manifestazione è stata pulita, ci dissociamo dall’episodio dell’accoltellamento, che ben poco ha a che fare con una festa carnevalesca. Gonnosfanadiga ha dimostrato quanto può dare: il paese merita tante di queste opportunità». Francesco Zurru Nell’ultima settimana del carnevale, tutta Lunamatrona si è colorata a festa. Le numerose associazioni presenti nel paese hanno unito le loro forze dando vita ad un calendario carnevalesco ricco di eventi. Lunedì 8 febbraio è la volta dei festeggiamenti presso le scuole del paese: la mattinata si è trasformata in un bello spettacolo di tanti bambini in maschera presso la scuola dell’infanzia e quella primaria. Uno degli avvenimenti più importanti c’è però il giorno successivo quando, in onore del martedì grasso, la Pro Loco ha organizzato una sfilata svoltasi nel pomeriggio nelle vie del paese alla quale hanno preso parte numerose persone, fra cui tanti bambini e ragazzi. Per l’occasione i soci della casa dell’anziano e dell’oratorio Don Milani hanno organizzato maschere a tema molto apprezzate dai presenti. Il percorso è iniziato da Corso Italia e poi proseguito sino alla Piazza Regina Elena dov’è stato organizzato, fra balli e canti, uno stand dove sono stati distribuiti i classici dolci carnevaleschi. La festa è proseguita sino al tardo pomeriggio. Sabato 13 febbraio è invece la volta della festa che è stata denominata “Soul Side Carnival”, organizzata rispettivamente dal comitato San Giovanni Battista 2016, il Tennis club Lunamatrona e l’oratorio Don Milani. L’evento, svoltosi presso il circolo bocciofilo, ha avuto inizio alle 18 con musica e balli per i bambini ed è poi proseguito dalle 23 sino alle prime luci dell’alba con la festa in maschera per ragazzi e adulti. Chiude la full immersion carnevalesca la giornata di domenica 14 febbraio. All’oratorio Don Milani è stata organizzata per i bambini la festa della pentolaccia durante la quale a tutti i presenti sono state distribuite le zeppole, preparate per l’occasione nei locali dell’oratorio da gruppi di volontarie che si sono adoperate con molto impegno. Tutte le giornate si sono svolte in un clima di festa fra tante risate e divertimento. Ancora una volta il paese si è distinto per la collaborazione fra diverse associazioni, unite per l’occasione al fine di allestire gli eventi con le maggiori risorse disponibili: umane, economiche e creative. Un bell’esempio, semmai ci fosse il bisogno di sottolinearlo, di quando l’unione fa la forza. Simone Muscas Samassi Con la sfilata di martedì 9 febbraio si è conclusa la 63° edizione del Carnevale Samassese. Il corteo ha preso il via da Piazza Italia. Due maschere singole, sei gruppi mascherati e sei carri allegorici hanno contribuito ad animare le strade del paese. È andata piuttosto bene. Partecipanti e spettatori sono rimasti molto contenti della buona riuscita della manifestazione. Grande soddisfazione soprattutto da parte dei volontari della Pro Loco nonostante le difficoltà incontrate nell’organizzazione. «Era stata richiesta la collaborazione dei cittadini», afferma Francesco Ibba, presidente della Pro loco, «ma viste le poche adesioni non ci è rimasto altro da fare che rimboccarci le maniche e organizzare il carnevale anche se non in grande come nelle scorse edizioni». La vera festa è iniziata a conclusione sfilata. Tra musica e cascate di coriandoli, la Pro loco ha offerto zeppole, chiacchiere e malvasia. È stato un carnevale per tutti. La sfilata non è stata la festa dei portoghesi, come ormai avveniva gli altri anni, ma delle famiglie con i loro bambini che ballavano e si divertivano insieme ai giovani figuranti. Tutto all’insegna del sano divertimento. Questo era l’obiettivo che si era prefissata la Pro Loco e che ha ottenuto, grazie all’impegno costante dei soci che si impegnano per non far morire una tradizione fondamentale per Samassi. Carola Onnis PDF Compressor Pro 18 1 marzo 2016 Pabillonis Igor Lampis Villanovaforru. Gruppo musicale Hyksos Gianni Maroccolo Igor Lampis dei Punkillonis aprirà il concerto dei fondatori dei Litfiba M usica di qualità giovedì 3 marzo al Fabrik di via Mameli a Cagliari. I fondatori dei Litfiba, Gianni Maroccolo, bassista, e Antonio Aiazzi, tastierista, si esibiranno a tarda serata, in un concerto di grande spessore musicale. Promotore del Tour in Sardegna è Pasquale De Vita di Oristano, già organizzatore di altri grossissimi eventi come Rock in Sardegna. Quello di Cagliari sarà uno dei tre concerti del tour previsto in Sardegna che vedrà Maroccolo e Aiazzi protagonisti il 4 marzo ad Oristano nell’Auditorium dell’Istituto tecnico Sergio Atzeni e il 5 marzo a Sassari al teatro Smeraldo. Uno spettacolo da non perdere per gli amanti della musica che Maroccolo e Aiazzi hanno prodotto nel corso di alcuni decenni (dal lontano 8 dicembre 1980 in- sieme a Piero Pelù, Francesco Calamai,e Federico “Ghigo” Renzulli), tra scissioni, unioni, ancora scissioni e di nuovo unioni che hanno caratterizzato la storia della band fiorentina. Un percorso artistico tormentato, ma di grande spessore, quello dei Litfiba che li ha visti protagonisti in campo musicale nel genere che ha spaziato dal punk al rock e al new wave. C’è grande attesa in Sardegna per queste tre date storiche, dove si potrà apprezzare un Maroccolo, bassista, session man, produttore discografico, fondatore dei Litfiba prima, poi dei CCCP, poi dei CSI! “Nulla è Andato Perso” il nome del Tour che rappresenta un vero e proprio viaggio nel viaggio: da Via de Bardi 32, la storica cantina fiorentina dei Litfiba dove tutto ebbe inizio fino a vdb23, l’ultimo lavoro condiviso con il compianto Claudio Rocchi. Il 3 marzo ad aprire il concerto al Fabrik di via Mameli, in sintonia con il genere dei Litfiba, sarà Igor Lampis di Pabillonis, il chitarrista dei Punkillonis, una band che ha raggiunto un particolare successo in questi anni. Igor Lampis fondatore del gruppo dei Punkillonis, dal 2012 ha intrapreso, parallelamente, la carriera solista, come necessità rivolta soprattutto ad accompagnare con musica e canto la sua attività di autore di romanzi, racconti e poesie durante i reading di presentazione. Per il 2016 è prevista l’uscita del suo primo disco solista che vanta la partecipazione di artisti autorevoli sia della scena sarda che di quella nazionale. Dario Frau “Stella”: una canzone d’amore dedicata agli emigrati sardi Sta riscontrando grande successo la nuova canzone del gruppo musicale di Villanovaforru “Hyksos” intitolata “Stella” che parla di una storia d’amore impossibile, non corrisposto. La band è composta da quattro villanovesi: il cantante Cesare Pilloni, il bassista Giorgio Locci, il chitarrista accompagnatore Luca Piras e il chitarrista solista Federico Leonardi. Il testo è scritto da Giuseppe Murranca di Masullas; la melodia è stata sviluppata da Federico e Cesare e alla musica ci ha pensato Federico. Stella, la protagonista, nella clip è impersonata dall’attrice Alessandra Pusceddu, anche lei di Villanovaforru. «Il tutto nasce per caso - spiega la band - oltre a voler lasciare qualcosa al paese e a voler parlare d’amore, la canzone è dedicata agli emigrati del nostro paese e di tutta la Sardegna. Sappiamo cosa vuol dire stare lontano e crediamo che sia arrivato il momento di reagire, di non abbandonare più la nostra terra. Di tornare. È arrivato il momento di provare, più che mai, a creare qualcosa qui. A resistere. Oggi con le tecnologie informatiche è possibile avere un mercato internazionale e dunque bisogna lottare, provare a costruire qui. La frase “vieni via con me” è voluta. Vuole essere un richiamo per gli emigrati». L’intento della band è dunque anche quello di dare un messaggio di fiducia alle tante persone in difficoltà che stanno pensando di partire per necessità. Fare qualcosa è ancora possibile: bisogna provarci e crederci. Il video, realizzato dalla “crew” de “Subiddanoesu” è arricchito da sfondi e luoghi caratteristici del paese. La band sta lavorando ad altri progetti che presto si sentiranno in giro. Stella si può ascoltare sul sito subiddanoesu.it. Saimen Piroddi Serramanna Arbus Olga Frau, un’artista che coinvolge Olga Frau è un’artista che ti accoglie col sorriso, con i suoi modi gentili, semplici e umili, e che ha deciso di raccontare la sua vita attraverso un museo realizzato a casa sua. Ogni parte importante della sua vita è rappresentata in un quadro. Si inizia da quello che rappresenta i genitori e le altre due sorelle e la cittadina di Arborea, dove si trasferisce con la famiglia da Lunamatrona, dove è nata, un altro quadro ricorda la sua breve fuga e permanenza in un collegio ad Assisi dai 16 ai 18 anni, per poi continuare con una serie di rappresentazioni del suo fidanzamento, del suo matrimonio e di Arbus, paese dove ora vive con la famiglia. Fin dai primi anni della sua vita comincia spontaneamente a disegnare e a usare acquerelli e gessetti per realizzare soprattutto ritratti. In seguito utilizza anche colori ad olio, riuscendo senza nessuna conoscenza teorica o pratica ad abbinarli e a creare immagini di grande effetto. Tante le raffigurazioni, dai paesaggi alle figure religiose e non. Il periodo di permanenza ad Assisi influenza la sua scelta sui soggetti da rappresentare maggiormente. Una caratteristica presente in tutte le sue opere sono le figure umane dignitose e signorili, ma quasi sempre con espressioni sofferenti. Per un paio d’anni ha realizzato modelli di abiti femminili per diverse occasioni, presentati anche con le bambole che racchiude in una vetrina tenuta in casa. Tra le sue opere anche alcune di grandi dimensioni, Con “Falene” di Francesco Mastino si concludono gli incontri di Aperitivo d’Autore che ha donato a chiese e conventi, come le tre raffigurazioni realizzate negli anni ‘80 che tuttora si trovano nella parrocchia di San Sebastiano, o come i quadri rappresentanti la Via Crucis donati poi a una chiesa argentina. Tante le mostre in Sardegna e in altre parti d’Italia. Insomma un’artista che oltre a curare la sua famiglia e la sua casa continua a occuparsi della sua grande passione. Il percorso nel suo museo poi è qualcosa di emozionante che ti lascia senza fiato e che suscita la voglia di conoscere tutta la sua storia ed è come avere la sensazione di vivere in qualche modo la sua vita. Adele Frau L’11 febbraio 2016, presso la biblioteca comunale “Giovanni Solinas” a Serramanna, con la presentazione del libro “Falene” di Francesco Mastinu, si sono conclusi gli incontri letterari di “Aperitivo d’Autore”. Il pubblico presente in sala ha avuto il privilegio di assistere ad un incontro indimenticabile dedicato a temi attuali sui quali c’è purtroppo molta confusione e pregiudizio: unioni civili, famiglie omogenitoriali, amore per partner dello stesso sesso. “Il Mito dell’androgino” di Platone e alcune letture tratte da “Falene” - recitati in maniera eccellente dal bravissimo Nicola Cireddu - e l’interessante intervento del Dottor Cristian Angius, che ha chiarito alcuni punti sul DDL Cirinnà ed ha fornito dati scientifici sull’argomento, sono solo due dei momenti che hanno coinvolto ed emozionato i presenti. Il sindaco di Serramanna, Sergio Murgia, intervenendo a nome dell’Amministrazione Comunale, ha espresso gratitudine alle dott.sse Federica Assorgia e Michela Arisci, al dott. Ignazio Curreli dell’ associazione Aletheia, alla dott.ssa Debora Succa, agli artisti Maria Antonietta Tocco e Nicola Cireddu, alla bibliotecaria, la dott.ssa Fabiola Onnis e a tutti coloro che si sono impegnati per la riuscita della manifestazione che ha ottenuto ottimi risultati di affluenza di pubblico. “I libri, le storie, l’immaginazione, la fantasia e la creatività, sono grandi risor- se che, se sapute coltivare e valorizzare, possono farci crescere tutti, sia come individui che come comunità.” ha dichiarato “Le consultazioni, rispetto all’anno scorso, sono più che raddoppiate e i prestiti e gli utenti hanno registrato anch’essi una crescita sostanziale. La nostra biblioteca ha dunque rincominciato ad essere un punto di riferimento per tutta la cittadinanza, offrendo un servizio efficiente, moderno e aperto a tutti.” Da parte sua, calde parole di elogio anche per il consigliere Guido Carcangiu e la consigliera Maristella Pisano “Hanno creduto da subito nell’importanza della nostra biblioteca, e si sono adoperati fattivamente per il suo rilancio con interventi, anche eseguiti personalmente, che hanno permesso di renderla sicuramente più funzionale, ma anche più gradevole.” Gli utenti, anche se per ora “Aperitivo d’Autore” è terminato, possono quindi continuare a frequentare la biblioteca rinnovata, usufruire dei numerosi posti internet gratuiti, scegliere tra i fornitissimi e aggiornati scaffali i libri da prendere in prestito (tra i quali anche quelli dei sei aperitivi, donati dai loro autori) e usufruire del neonato servizio di prestito domiciliare di E-book Readers. A Serramanna, la cultura e l’innovazione sono patrimonio di cui usufruirne: approfittiamone! Francesca Murgia PDF Compressor Pro 1 marzo 2016 AMBIENTI E SEGURESA 19 Andrea Alessandro MUNTONI dottori ingegneri pro s’ambienti a Casteddu SA CHISTIONE DE IS REFUDUS DE TRATTAI ME IS IMPIANTUS DE SA SARDIGNA Sa chistiòne de su trattamentu de is refùdus cun impiantos de trattamentu pro sa produzione de energhia, est meda dibattidu in Sardìgna. Po’ immoi ci vunti scetti duus impiantus de termovalorizzazioni autorizzadusu; su primu s’agattara a Macchiareddu, in su Comunu de Assemini, in Provincia de Casteddu e s’àteru s’agattara a Macomere, in Provincia de Nugoro. C’est pro finzas una pedida po ndi realizzai unu àteru a Sassari. Po’ immoi in Sardigna su Pranu Regionalli pro sa Gestioni de is Arrefudus prevediri scetti duus impiantus de trattamentu. In su segundu, cussu de Macomere, in sa zona industrialli de Tossilo, sa Regioni e sa Provincia de Nugoro, anti approvau su progettu definitivu e sa Provincia competenti ari emittiu s’Autorizzazioni Integrada Ambientalli (AIA), ‘ca prevediri sa realizzazioni de un ateru impiantu pro su trattamentu de is refudus. Su problema prus mannu est depidu a is emissionis in s’atmosfera dae s’inceneridori; chi no funti trattadas beni, segundu sa ley, podint produxidi sostantzias perigullosas pro s’ambienti e sa genti. In particulàri, s’impiantu po’ trattai custas emissionis in s’ària depinti garantiri unu callentamentu T zia Rosaria, ma totus in bidda dda tzerriànt tzia Rosa, biviàt in su bixinau de pratza de iscola, conotu puru comenti de “su bixinau de su grifoni”. Fiat fiuda de trint’annus de tziu Luiginu Bellocci, nominigiau Tassa, e su motivu de custu nòmini est fàcili a cumprendi. Sa vida de tzia Rosa no fiat istètia tropu bella e fortunada, s’ùnicu fillu chi iat tentu si fiat mortu candu teniàt cincu mesis po culpa de una callentura Maltese, aici dd’iant nau is dotoris. Su pobiddu, tziu Luiginu, chi traballàt comenti de serbidori, pascendi is brebeis de sa famìlia Punteddu, po nexi de una maladia chi iat atacau su tallu, iat pèrdiu su postu, e no sciendi fai atru che su pastori, fiat abarrau disocupau, e po su dispraxeri si fiat ghetau a bufai e a s’imbriagai. Mancu mali ca fiat de binu bonu, e candu si pigàt sa coghera ddi pigàt a arriri e a cantai batorinas. Dònnia tanti ddi capitàt de si fai calincuna giornada de traballu, andendi a agiudai a mùlliri o a pàsciri a calincunu pastori malàdiu o chi teniàt problemas, e aici si guadangiàt unu pagu de lati o calincuna piscedda de casu chi issu puru agiudàt a fai, o mancai un’arrogu de petza de brebei, candu ndi macellànt. De certu perou totu custu no bastàt po tirai ananti sa famìlia, e po cussu ci pensàt tzia Rosa, datu chi s’arrangiàt a cosiri e a fai mìgias de lana, chi bendiàt a sa genti, e no mancàt puru de fai lissias, sciacuendi is pannus ne is arrius de bidda, in sa “Spèndula”, ne “is Molinus”, o in “s’arriu de is istrigas”, insoma eis cumprèndiu, ca si donàt de fai de totu, po fai una vida onesta e decorosa e chene pediri nudda a nemus. S’ùnicu lussu chi tzia Rosa si permitiàt, fiat cussu de is pisitus, fiant sa passioni sua. De candu fiat piciochedda no ndi fiat mai mancau unu pisitu in domu. Su primu chi iat tentu, fiat istètiu unu pisiteddu chi dd’iat arregalau una tzia, sa dì chi iat fatu sa prima comunioni. Fiat unu bellu pisitu mascu, de colori nieddu, a piu lùcidu e grandu cassadori de topis e de cabixetas. A custu pisiteddu de nòmini dd’iat tzerriau Musu, dda sighiàt a dònnia logu po fintzas candu andàt a agiudai a su babbu a segai canna, chi poi bendiànt a chini depiàt furriai parti a sa crobetura, po fai sa cannitzada, in su mentris chi issa agiudàt a afasciai sa canna, su pisiteddu abarràt in giru circhendi de si cassai calincuna cabixeta, e mancai calincunu pilloneddu Papamusca o Cadrallina chi andàt a bufai àcua a s’arriu. Tzia Rosa s’arregordàt ancora de cussa cadrallinedda chi Musu iat aciapau, e chi ancora bia, ma ferida, c’iat portau a domu, dd’iat curada e po medas annus dd’iat tenta aintru de una gabiedda. Una grandu amicìtzia fiat nàscia tra Musu e sa cadrallinedda, e medas nottis candu no fiat tempus de currera, Musu si crocàt acanta de sa gàbia, parriàt fendi sa guàrdia. Sa passioni po is pisitus fiat nàscia aici, e no dd’iat mai abandonada. Si depit nai ca is pisitus, in cussus tempus no serbiant scèti po fai cumpangia, ma serbiànt puru po cassai topis, chi in dònnia domu no mancànt, e po sa genti de campànnia a tèniri unu pisitu fiat unu òbligu, poita arreguànt su trigu, sa fà o su cìxiri ne is sobàrius, e is topis fiant is nemigus prus perigulosus. S’ùltimu pisitu chi a tzia Rosa fadiàt cumpangia, fiat una bella pisita niedda, cun dd’una mància bianca in conca, de nòmini dd’iat postu Mòngia, poita fiat niedda comenti de su bistiri de is mòngias, e de is mòngias teniàt puru sa seriedadi. Fiat una pisita calma e pagu bandulera, s’ùnica borta chi fiat abarrada gràvida iat fatu duus pisiteddus chi perou fiant nàscius mortus, e de cussa borta no fiat prus sucèdiu. Si fiat aici cumprèndiu ca Mòngia fiat bessida istèrili, e non andàt ni mancu in calori, poita cussas bortas chi is pisitus mascus de su bixinau circànt de alluntzai pramu, issa si furriàt a sa temperadura de 850 °C pro eliminai is diossinas (PCDD), ‘ca podint provocai is tumoris. Is ateras sustantzias prodixidas dae unu inceneritori de refudus funti sa prui (Ptot), is cumpustus dae s’azotu (NOx), dae su zùlfuru (SOx) e meda ateras (CO, HCl, Cd, Ti, Hg, idrocarburos, COV), ‘ca su gestori dae s’impiantu deppiri monitorai d’ogna die o una o prus bortas a s’annu sighendi precisas normas de ley o tecnicas. Su problema dae sa seguresa de ‘impiantu est depida, in massima parti, a is controllus chi deppinti effettuai s’ARPA (Agentzia Regionalli pro sa Protetzione dae s’Ambienti), sa Provincia cumpetenti, is Comunus, su CFVA ‘e is ateros ufficios. Bisongiara ‘ca is resultados dae su monitoraggiu ambientalli dae s’aria, dae is acquas, dae is alimentos produxidos in sa zona sianta rendidus publicos; sa trasparentzia in sa gestioni de qualidadi dae unu impiantu po’ abbruxiai refudus est una de is cosas prus importantis pro garantire sa salludi dae su pobulu. In su Marghine, in sa zona de Macomere, Bortigale e ateros Comunes, s’incidentzia tumoralli est meda atta, a cummenti demonstrant is istudios conoscidos y pubblicados dae sa ASL MONGIA di Gigi Tatti a mossiai e a scarrafiai, e is pretendentis cumprendiànt luegu ca no nci fiat nudda de spigai e si nci andànt cun sa coa abasciàda e delùdius de s’aventura fallida. A nudda serbiànt puru is cantus de invitu notturnus de asuba de is crobeturas chi is pisitus innamoraus ddi fadiànt. Forsis fiat puru po cussu chi Mòngia cun s’edadi fiat bessida sèmpri prus bella, prus niedda e prus lùcida, passàt merìs interus a si lucidai su piu, certas dis cun su reflessu de su soli, parriàt ca dd’iant passau asuba “Nero Diavolo.” In s’istadi si poniàt asuta de su scannixeddu de tzia Rosa, a s’umbra, po tèniri friscura, in s’ierru inveci fiat sempri acanta de sa forredda, o puru, fata a cocoi si poniàt asuba de is genugus de tzia Rosa, chi in su mentris fadiàt mìgias, chi mancai pensionada cun sa minima sighiàt a fai, no po dd’as bèndiri, ma po acuntentai calincunu de su bixinau, o calincunu conoscenti. Aici Mòngia e tzia Rosa si fadiànt cumpangia e calenti una cun s’atra, e aici su tempus passàt . In cussu tempus Mòngia teniàt doxi annus, e sigumenti si narat ca dònnia annu de unu pisitu ballit seti annus de unu cristianu, boliàt nai ca Mòngia teniàt otantaquatrannus, teniàt insoma sa pròpia edadi de tzia Rosa, e forsis fiat puru po cussu chi andànt aici de acòrdiu e si cumprendiànt mancai chene fueddai. Su tempus passàt in tranquilidadi, e cun cussu andatzu, ma cuss’annu su dixannoi de Gennàrgiu no si dd’iat ai scarèsciu mai. In bidda, in cussa dì si faint is fogadonis de Santu Sebastianu, chi est puru su patronu de sa bidda, e sa Crèsia manna a issu est dedicada. In dònnia bixinau fiat de moda a fai su fogadoni e a fai sa isfida a chini ddu fadiàt prus mannu, e candu calàt sa prima braxa, fiat in usu a si riunì tra bixinus po festegiai in cumpangia, bufendi binu nou, o arrustendi calincunu arrogu de petza de angioni o de proceddu, calincunu conillu, una schidonada de anguidda, sogas de sartitzu friscu, castàngia o mancai calincunu pisitu, chi in cussu mesi funt bellus e grassus. A pustis cassaus si bocìant e si sciacuànt cun axedu e si poniànt a cunfetai cun allu sali e perdusèmini totu sa notti in foras in su serenu. Chini at tentu sa gana e su coràgiu de tastai cussa petza, narat ca aici saboria no nci nd’est atra. In su bixinau de tzia Rosa su fogadoni si fadiàt in su spiatzu de aundi fiat su grifoni de s’àcua. S’annu puru, is giòvunus iant circau de domu in domu, sa linna po pòdiri fai una bella figura e fai unu fogadoni comenti sa traditzioni cumandàt, mannu, cun asuba fascinas de murdegu e cun asuta cotzinas de matas de mèndula e de ciurexu, truncus de oioni, modditzi e ùvara, in su pinnatzu fiat òbligu a pòniri una nai de aràngiu, totu po arrespetai sa stòria chi narat ca a Santu Sebastianu dd’iant martirizau acapiau a una mata de aràngiu. Cussas dis iat fatu unu tempus fridu, cun bentu fastidiosu de tramuntana e stranamenti Mòngia iat abandonau su calenti de sa ziminera e si fiat torràt a pòniri su vitziu de giretai in is crobeturas de su bixinau. Tzia Rosa iat pensau ca forsis Mòngia iat disigiau de fai sa conoscentza cun cussus pisitus giòvunus e pimpantis chi currulànt a tressu in su bixinau, ma no fiat aici. Su merì a scurigadroxu, candu iant allutu giai su fogadoni, tzia Rosa si fiat acruziàt po biri e po si calentai acanta de su fogu, e (Azienda Sanitaria Locàle) de Nugoro po’ su distrittu sanitariu de Macomere. Sa preoccupazione dae sa genti po’ sa salludi de is pippius e de is mannos est giustificada. Is Comunus de s’Isola anti ammeliorau meda su sistema de sa raccolta differenziada de is refudus; sa ley no si nardada ‘ca toccada produìre prus pagus refudus in domu propria, mancai sianta giai diminuius a causa de sa crisi economica… Insara no si cumprendiri diadèru poitta sa Regioni (Autonoma) de sa Sardìgna appara approvau s’impiantu nou de Tossilo, ‘ca ara essi prus potenti de su ‘ca est funtzionendi immou; toccara diaderus a timmiri ‘ca pro alimentai s’impiantu de Macomere, cummenti iara bolli s’Istadu italianu, ara toccai a arriccidi refudus de ateras regionis de Italia. Sa zona de Bortigale e de su Marghine iara deppi essi valorizzada y tutelàda cun ateras politicas de isviluppu de su territoriu; a sa fini diaderu no si cumprendinti is arrexionis de sa Regioni de sa Sardìgna, ancora una borta meda attesu de essi Autonoma y capàzzi de esprimi una seria, arrejonàda e coerenti politica ambientalli. po scambiai quatru fueddus cun is bixinus e po si papai mancai un’aràngiu, poita narànt ca portàt saludi e fortuna. Aici iat pòtziu notai una pariga de giòvunus, de cussus chi iat donau medas bortas mìgias, o cosiu o incurtzau pantalonis o giacas, ca teniànt postu a parti una bella schidonada de tratalia de angioni e poi un’atru schidoni cun dd’unu animali infrissiu chi parriàt unu conillu, ma tzia Rosa castiendi mellus, iat biu ca sa conca fiat tropu tunda po essiri de conillu, e poi unu de cussus piciocus a pena iat apubau a tzia Rosa, iat cumentzau a fai cun sa buca “miao miao” e totus is amigus iant cumentzau a arriri che macus. Cussa chi perou non iat arrìsiu meda fiat tzia Rosa, poita iat cumprèndiu totu, e su sànguni ddi fiat sicau ne is venas e ddi fiat bessiu marigosu che velenu. Chene saludai nisciunus, ci fiat torrada a intrai a domu chene ni mancu tastai s’aràngiu, e custa fiat sa prima borta chi ddi capitàt in sa vida. Sa domu dd’iat intèndia prus frida e prus buida, su cuebi de Mòngia acanta de sa ziminera parriàt ancora calenti, e castiendi cussu, ddi fiant caladas duas làgrimas calentis comenti de s’arregordu de Mòngia. Is piciocus de “su bixinau de su grifoni” chi prima iant arrìsiu in faci a zia Rosa, a pena dd’iant bia torrendi a domu sua, trista e afligia, iant cumprèndiu sa tontidadi chi iant fatu, e su pentimentu dd’is iat arrovinau sa cena, e sa notti de scialla e de baldòria programada fiat finia mali, e sa petza de Mòngia fiat abarràt a si sicai in su schidoni. Tocàt a circai un soluzioni, po pòdiri arrimediai a custu sbàliu. A pustis una pariga de dis, a scurigadroxu, tzia Rosa iat intèndiu unu bussu a sa porta, aberrendi iat agatau apogiau a unu gradinu una scàtula cun dd’unu billetu atacau cun iscritu “per zia Rosa”. Incuriosida po sa cosa, e no cumprendendi chi podiàt èssiri su mandatàriu, ci fiat intràt a domu, e aberrendi sa scàtula iat agatau una bella peddi niedda conciada, chi iat conotu a su tocu ca fiat sa peddi de Mòngia, a intru de una scàtula prus pitica, ddoi fiat unu bellu pisitedddu nieddu comenti de Mòngia, e unu billetu scritu chi domandàt iscusa e pediàt perdonu po su chi iant fatu, cun sa sperantza de ai postu unu mìnimu de arrimèdiu a su chi iant cumbinau. Su billetu fiat firmau “Is piciocus de su grifoni”. Tzia Rosa iat pigau su pisiteddu in manus e ddi fiat torrau s’arrisu e su prexu, is pisitus comenti de sempri dd’iant fata prexada. Chene mancu ddu castiai asuta, iat cumprèndiu ca su pisiteddu fiat mascu, e castiendiddu beni ddi parriàt de torrai a bit su primu pisiteddu chi iat tentu de piciochedda, fiat sìmili a Musu e cussu nòmini dd’iat torrau a pòniri. Iat luegu pensau ca Musu fiat su primu pisitu chi iat tentu, e forsis biendi s’edadi chi issa teniàt, iat èssiri puru s’ùltimu. De sa dì Musu iat cumentzau a crèsciri acanta de tzia Rosa. Sa peddi conciada de Mòngia asuba de is genugus in s’ierru ddi fadiàt calenti e praxeri, e passendiddi sa manu caritziendidda, ddi parriàt ancora de intendi su suidu de Mòngia. Si, a cussus piciocus ddu s’iat perdonaus. De cussu annu in su fogadoni de “su bixinau de su grifoni” pisitus schidonaus no si fiant torraus a biri, e Musu iat pòtziu bìviri in tranquilidadi, passilendi prexau asuba de is crobeturas de is domus. Ancora oi, si castiais beni si podint biri is nebodis de is nebodis de Musu passilendi chene nisciuna timoria, po fintzas in su mesi de Santu Sebastianu. Tzia Rosa iat bìviu ancora medas annus cun saludi, e ancora calincunu po arregordu tenit is mìgias de lana fatas de issa. Sa peddi conciada de Mòngia dda tengu deu, e mi fait arregordai custu contu de Mòngia, de is pisitus de tzia Rosa, e su fogadoni de “su bixinau de su grifoni”. Oindì, su grifoni no nc’est prus, est abarrau sceti su nòmini, su fogadoni non si fai prus poita sa strada est istètia asfaltada. Pecau. PDF Compressor Pro 20 1 marzo 2016 Su sadru chi seus pedrendu Sa mitza de su cãi Scracàlius di Gigi Tatti Contixeddu de Venanziu Tuveri furriau in sadru de tziu Arremundicu I n tempus passau in su padenti nci fut prus paxi e mudori, strobau, de su cantu de pilloneddus, apataus me in is fundus de mudegu, de modditzi, de muta, me in is nais àtas de oiõi, ciuexu, lionarxu e ollastu ca fiant sempiri bidris e, frozis, batallànt scambillendusì penzamentus e arrexõis. No fut u padenti chi no fadìat a ddoi intrai nou, ma u padenti chi presentat màtas e prãus cun crachiris, ma su ‘mprus erba frisca pascia de cuncua craba aresti. No ddoi adìat moris, ma arrastus lassaus de animabis chi andant a s’acuai in d’u arrieddu pagu fungudu chi arribàt finas a mari. Cunc’uota si biat anguidda chi pesàt in s’arrieddu po cicài, bai e cica ita. Acua, cussa cosa chi donàt e dònat vida a is animabis e a is cristiãus e chi, sen’e cussa no iant a bivi. Andàt po chilometrus mèda e nascìat in su sàtu acant’e sa ‘idda. Sa mitza, abì nascìat, crocobàt aziendindi s’anei fini fini chi s’aposentat in su fundu, ua pàti nce dda tiràt s’arrieddu, chi ingúi nascìat. De sa ‘idda a sa mitza ddoi fut u mori abì passant cristiãus, animabis, carrus e totus si frimant a bufai o si préi is burracias o fraschitus, acua po sa dì de traballu in su sàtu. Fut ligera e frisca e parrìat chi donessat frotza a chi ndi bufàt cument ua benediziõi de su xeu, po cussu sa mitza fut arrispetàda. Is annus si fiant contaus a dexinas e a dusías, medas padentis e crachiris de linna fiant sparessius, lassendu su logu a cungiaus po arai e a ua bia prus lada po fai passai machinas e tratoris, ma sa mitza sighìat a donài acua a chi tenìat sidi e sighìat a si tzerriai cumenti totus dd’iant connota: Sa mitza de su cãi. Adella, sa dì, iat pedìu a sa mama de d’acumpangiài a fai ua passillada in su sàtu po provai sa bricicheta chi dd’iant arregallau is aiaius, issa nce dd’iat potada in cussa ìa bella e sen’e su perigulu de is machinas. Si fiant frimadas, cumenti fadìant candu andant a pei, anant’e sa mitza. Adella iat acotzau sa bricicheta a sa cresura e si fut incrubada a bufai duus o tres ‘uncõis de acua bella e frisca. Torrendu acou si fut acatada de cussu piciocheddu setziu in terra acotzau a ua màta, chi fiat castiendiddas citìu. «Ita ses fadendu?» dd’iat pedìu, su piciocheddu iat atziau de coddus cument’e nai ca no fiat fadendu nudda. Marieddu fut setziu ingui po cumprendi, poita ca ua fabula contàt ca uota, in tempus atès’atesu de nosu, ua cãi, acant’e angiai, si fiat frimada po si pasiài u pagheddu, ma su ‘mprusu po sa basca mèda e su sidi. Potat sa buca sciuga, iat’essi ofiu u tzichedd’e acua, ma ingúi no nd’adìat. Si fus crocada in s’umbra de u crachiri de modditzi, fiat tropu su sidi e no tenìat sa frotza mancu de giannitai, scèti cun su penzamentu pedìat acua. Sa ligenda nàrat ca si fiat intendiu u stragatzu e sa terra si fut apeta lassendu bessì ua schissietad’e acua, spaíendusì in terra acant’e sa cãi, chi iat potziu bufai. Sa genti, passendu in su mòri, iat biu cussa mitza po sa prim’ota e si domandant cumenti mai fut cumpàta ingúi fadendu nasci cussa cora. E biant sa cãi cun is callelleddus acanta e dda fueddanta e ddi lassant cos’e papai: pãi, ossus… Finas a candu cuncunu no nd’eddus’iat pigaus a “fill’e anima”. Po cussu iant nomenàu cussa mitza: Sa mitza de su cãi. Si dd’iat contau s’aiaiu u mericeddu de ierru papendusì u mossi’e pãi cun satitzu acant’e sa ziminèra. E imou Marieddu andàt a si setzi ingúi cun sa spera de bì arribendu su cãi suu, sparessiu de ua xida. Sparessiu, sen’e lassai arrastu. No cumprendìat, s’iat’essi pedriu, ma totus narant ca u cãi no scarescit mai sa ìa de domu; speràt chi no nd’edd’essat cassau cuncua machina. A sa cabad’e su sobi fiat torrau a domu sua. E fiat torrau ancora is dìis apustis, e si fut setziu, pabas a sa mata. Totus ddi domandant ita fiat fadendu e cussu arrespondìat a totus cun d’ua arziad’e coddus. Scèti a Adella ua dì dd’iat nau: «Seu abetendu su cãi miu.» «Téis u cãi?» «Est sparessiu cida passada…» «E dd’aspetas acant’e sa mitza?» Insaras Marieddu dd’iat contau sa fabula de sa mitza e de sa spera sua chi Cafèi, aici dd’iat tzerriau de nomini poita ca s’amachiàt a su fragu de su cafèi, intendessat su fragu de s’acua e curressat a ingúi. E iat contau a Adella de totus is giogus chi fadìant impari. Adella e sa mama dd’iant saludau e iant sighìu sa passillada, Marieddu fut abarrau innì cun sa spera chi sa mitza de su cãi essat fatu su meraculu de fai torrai a Cafèi suu stimau. No nci fut stetiu nisciunu meraculu e, a sa cabad’e su sobi, fut torrau a domu. Fut torrau a s’incrasi e apustis, onnia dì. Finas a candu ddi fut pàtu de intendi u stragatzu, giai u ntzunchiu. Su ntzunchiu de su cãi suu chi, atzopiendu e cichendu de cuetai benìat a dd’atobiài... Ecus! fiat propriu cussu Cafèi! Marieddu si ndi fut strantasciàu cument’e u scuètu fiat cùtu a dd’atobiài. Dd’iat imprassau a strintu cument’e u fradi. Cafèi fiat torrau! Potat u arrogh’e fúi a su tzugu chi depit’ai segau a mossius, e u scorriu in sa camba chi coberrìat sa petza bia. Su piciocheddu iat scapiàu sa fúi e acostau su cãi a sa mitza po ddi sciacuai sa camba e su bruncu, pois dd’iat pigau in bratzus e fiat andau a domu sua prexau, no tristu cument’e is disi passadas. De sa ìa e totu iat tzerriau sa mama chi fiat cùta luegus. Biendu sa ferida «Lassa fai a mimi - dd’iat nau- s’at fàtu penetenziai cichendudì, ma imou ses torra cun nosu. Tui Marieddu cicaddi cos’e papai e u tzichedd’e acua.» Cafèi, mot’e famini, iat sgalubiàu luegus su chi dd’iat donau Marieddu. In pagu tempus fut sanàu e torrat a curri e satài cun su merixeddu cument’e primas. Ua dì, Marieddu, iat penzau ca fut tempus de ddu potai a sa mitza po dd’arringraziai de dd’ai fat’agatai su cãi. In sa mitza, in su mentris chi donàt a bufai a su cãi, fut arribada Adella cun sa mama, «As torrau a agatai su cãi?» dd’iat pedìu sa pipia, «Bisi - dd’iat arrespostu - potat su simbiu de su cabori de is pius tuus, est bellu mèda. Béi Cafei, custa est ua amiga mia bella mèda issa puru…» Sa mama iat arrisu asuta asuta a cussus fueddus, frozis fut nascia ua amistadi noba! A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu. Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus “scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia. Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus. Unu tipu nudu intrat in dd’un bar Su Tipu Spollau: Ghetimì un bella tassa de birra frisca. Su Barista: Si. Ma prima fatzimì biri aundi portat arreguau su dinai po pagai! ................................................................................................................................................. Tzia Clodovea cun su Dermatòlogu Su Dermatòlogu: De ita problemas sunfrit? Tzia Clodovea: Pobiddu miu, mi narat sempri ca portu sa peddi chi tenit fragu malu. Su Dermatòlogu: At provau a si sciacuai? Tzia Clodovea: Sissi. Ma a pustis de unu mesi, sa peddi torrat a fragai coment’e prima. Su Dermatòlogu: Ma s’àcua a su mancu dda càmbiat? Tzia Clodovea: Miga sempri. Ge ddu scit ca s’àcua costat tropu cara! ........................................................................................................................................................... Duus imbriagus funti buffendi in dd’unu bar Su primu imbriagu: Ma ita ti narat pobidda tua, candu pinnicas a domu imbriagu? Su segundu imbriagu: Ma là ca deu no seu coiau! Su primu imbriagu: Ma insandus poita t’imbriagas! ............................................................................................................................................................... Marieddu est cun su babbu Venanziu Marieddu: O babbu, fostei ca scit sempri totu, ddi potzu domandai una cosa? Venanziu: Certu! O Marieddu, no po mi bantai ma cosas ge ndi sciu abastantza. Naramì ita bolis sciri Marieddu: M’ia a praxi a sciri po cali motivu, candu a mangianu mi lùngiu sa marmellada in dd’una fita de pani, chi mi nci arruit a terra su pani pigigat a terra sempri sa parti aundi apu luntu sa marmellata. Venanziu: Est meda sèmplici fillu miu. Marieddu: E insandus babbu spiegamiddu. Venanziu: Poita tui, fillu miu, lungis sa marmellada sempri a sa parti sbaliada! ................................................................................................................................................. Mariuccia cun Severina Severina: Candu fatzu is annus, pobiddu miu mi fait de cussus bellus arregallus chi mi faint sempri prangi. Mariuccia: Biada tui! E ita t’arregallat de aici bellu e comoventi? Severina: Unu bellu matzu de cibudda! .............................................................................................................................................................. Tzia Margheritedda fueddendi cun dd’unu Carabinieri Su Carabinieri: Poita at fatu sa denùntzia e m’at tzerriau? Tzia Margheritedda: Poita c’est unu piciocu chi dònnia dì, si fait su bànniu spollincu in su flùmini, e si bit atesu totu sa mercantzia. Est un scàndulu. Castit fostei puru ca ddoi est imoi puru Su Carabinieri: Ma o Tzia Margheritedda, ma chi su flùmini est a tre kilometrus de innoi, comenti fait a ddu biri? Tzia Margheritedda: Poita deu ddu càstiu cun su binòculu. Castit fostei puru ca si bit craru craru. ................................................................................................................................................................ In dd’unu giornali si ligit ca funt circhendi un volontàriu coragiosu po su collaudu de un Aereo Supersonicu. Si presentat un Sardu unu certu Balducciu. Su Pilota: Se la sente per fare il triplo giro della morte? Balducciu: Certu, che me la sento! Deu seu unu Sardu coragiosu. No timo niente! Su Pilota: Allora partiamo. MENTRE VOLANO Su Pilota: Adesso facciamo il primo giro della morte. Se la sente? Balducciu: Certu, che me la sento. Fatzat puru: sono tranquillo. Deu seu Sardu coragiosu. Su Pilota: Bene. Allora facciamo il secondo giro della morte. Se la sente? Balducciu: E certo che me la sento: Fatzat, ca io no timo nudda. Deu seu Sardu coragiosu Su Pilota: OK. A questo puo facciamo il più difficile, il triplo giro della morte Se la sente? Balducciu: OK. Certo che me la sento. Faccia, seu Sardu e coragiosu. come lo devo dire in Italiano? Su Pilota: Sì, me lo dica in italiano che capisco meglio. Se la sente? Balducciu: Allora basta così. Ma la sento, che mi sta uscendo la cacca nel colletto della camicia! ......................................................................................................................................................... Tziu Albericu est in vìsita aundi de su Neurologu. Su Neuròlogu: Ita problemas tenit? Tziu Albericu: Mi scarèsciu de totu. No m’arregordu de nudda. Su Neuròlogu: A pustis cantu tempus ddi sucedit custa amnesia? Tziu Albericu: Luegus. Mi bastant tres minutus, po mi scaresci de totu. Su Neuròlogu: Ah, insandus chi est aici, paghimì prima e imediatamenti sa vìsita! ................................................................................................................................ Giasoni est fueddendi cun Piercarlo Piercarlu: Oi apu scrobetu poita sa chiusura de sa bragheta de is pantalonis si tzèrriat “chiusura lampo”. Giasoni: E comenti ddas fata custa scrobeta? Piercarlu: Fia pisciendi a palas de una mata de ocalitu, e est passada una bella picioca. Giasoni: E t’at biu sa pitzillota? Piercarlu: Ellu, m’at biu totu. Fia scratzonau a bragheta aberta e at nau a boxi alta “Lampu!” PDF Compressor Pro 1 marzo 2016 LA SARDEGNA NEL CUORE 21 di Sergio Portas “Maskaras” di Bandinu e Sanna, un documentario senza tempo sui riti del carrasegare e ciò che si cela dietro una maschera T empo di Carnevale e di mascheramenti, non fosse altro che per rimarcare che il Carnevale sardo è altra cosa di quello ambrosiano, il circolo culturale milanese, presiede Pierangela Abis, invita due intellettuali isolani, il bittese Bachisio Bandinu e Piero Sanna di Benetutti a presentare un loro lavoro datato 1983, un video in bianco e nero a titolo: “Maskaras”. Sanna ne è il regista ovviamente, che è il mestiere portato avanti con tenacia pur nella contemporanea militanza nell’arma dei carabinieri, quando l’avevo cercato per un’intervista nella caserma di via Solferino a Milano avevo dovuto chiedere del “maresciallo Sanna”, suo il lungometraggio “La destinazione” del 2002 che ha vinto numerosi premi e ha avuto critiche lusinghiere (si può vedere integralmente su You Tube). Bachisio Bandinu è scrittore e giornalista, è stato direttore de “L’Unione Sarda”, dirlo antropologo è chiuderlo in una definizione troppo stretta, si interessa da sempre della cultura tradizionale della Sardegna (specie quella interna, barbaricina), della sua repentina trasformazione negli ultimi anni, si occupa in particolare di questioni d’identità culturale e politica. Esordisce nella saggistica con un libro scritto assieme a Gaspare Barbiellini Amidei: “Il re è un feticcio” (è del 1976, la Ilisso di Nuoro lo riproporrà nel 2003), anche lì venivano analizzati i rapporti tra il mondo tradizionale della pastorizia e la società dei consumi che faceva il suo timido ingresso in Sardegna. Bachisio è uno di quelli che teorizzano che non basti nascere in Sardegna per potersi definire sardo. Sia lui che Sanna hanno avuto la ventura di costruirsi una carriera professionale in continente, Bandinu è stato insegnante per diversi anni tra Varese e provincia, Sanna che si è diplomato alla Scuola Civica di Cinema di Milano ha collaborato per anni con Ermanno Olmi. Ambedue godono di quel privilegio, parafrasando Husserl, che consiste di poter “mettere tra parentesi” ciò che si conosce della Sardegna (ovvero sospendere il giudizio, atto da lui definito in greco epochè), ne consegue una libertà di critica nel senso più alto del termine, in cui i processi di riflessione hanno l’intento di formare giudizi solidi mediante osservazione, esperienza, ragionamento e comunicazione. Bandinu ad esempio ama spendere la sua acquisita professionalità nei campi più disparati, è direttore responsabile del notiziario dell’associazione “Cresia” (Cresia.net), nato nel quartiere cagliaritano della Marina dopo la sollevazione dell’incarico al parroco don Mario Cugusi. Ma torniamo a “Maskaras”, un documentario senza tempo, lo dice Bandinu, il film si giustifica di per sé, è pura gestualità, e il mio testo che intercala le varie sequenze è sempre interpretazione. Girato com’è ai primi degli anni ’80 ha un valore documentario quasi di pura testimonianza, che trent’anni sono un tempo sufficiente per poter fare dei confronti, poter dire “come eravamo” e se da allora qualcosa è cambiato e in quale direzione. Sfilano i Mamuthones a Mamoiada (Bandinu è stato mamuthone ad honorem nel 2012, quest’anno l’onore è per Caterina Murino, mooolto più carina), le maschere di pero selvatico squadrano nasi e occhi incavati. “La maschera non è una roba che ti metti e ti togli. No. La maschera sarda è tragica. Nel “Carrasegare” si sacrifica qualcosa, o qualcuno, qualche animale, si taglia della carne. Col mascheramento si opera una vera e propria metamorfosi: tu cambi completamente, magari diventi bove. Chi è la maschera e chi è l’uomo? Bisognerebbe avere l’avventura di guardare, attraverso quei solchi che sono occhi, dall’interno della maschera per avere una percezione del reale più vera. Trent’anni fa in corso Buenos Aires, a Milano, sfilarono maschere provenienti da tutto il mondo, ebbene c’erano anche i Mamuthones: essi non erano nello spirito delle altre. Erano altra cosa. Questi sonagli dal suono inquietante, ad Austis al loro posto le maschere scuotono le ossa, in testa ramoscelli di corbezzolo, c’è la vita, morte e rinascita. I Turpos di Orotelli diventano ciechi per parlare con gli Dei. Perché il sardo si maschera e da quando? Documentazione storica non ne esiste, Agostino nel 3° secolo dopo Cristo scrive che i sardi amano travestirsi, c’è un processo di cristianizzazione del rito, a Mamoiada l’inizio è per “Santu Antoi ‘e su focu”. Queste maschere sono Dei. Scorrono i fotogrammi, ognuno dei quali, nella sua fissità, è un quadro di per sé: Merdùles e Boes, sa Filonzana. Pastrano nero d’orbace e gambali. Campanacci col loro peso di schiavitù. Escono dal loro tempo storico per entrare in quello mitico. Si rinuncia alla propria identità. Il tempo avvertito come ingovernabile, come 4.000 anni fa. La vestizione è un vero e proprio rito sacro. Mastruca, la berretta sarda, su muccadori. Il travestimento violenta il corpo umano. I legacci di pelle cruda sono stretti. La maschera non rivela uno stato d’animo. Gli Hissocadores con “sa veste de turco” hanno corpetti colorati di rosso vivo, è possibile che mimino una situazione in cui dei prigionieri mussulmani venivano fatti sfilare legati. È la narrazione di un destino. Non c’è una recita, è un’esperienza diretta. Inedita, indecifrabile. Tutto il corpo è mascherato. Il rito è di propiziazione e salvezza. Tutto è naturalezza e improvvisazione. Solo in Sardegna ci si può trasformare, non mascherare, in bue. Ci si getta a terra, pancia in giù, nell’atto di farla procreare. Anche i bimbi partecipano da protagonisti. La Filonzana, vera e propria “accabadora”, torce il filo della vita. E può tagliarlo a suo capriccio, nerovestita, maschera nera che notte senza luna. A Orotelli i Turpos, i ciechi, calano il cappuccio sui volti neri di sughero affumicato. Mascherarsi è un destino. Il giogo cala sul dorso e un aratro di legno attende la loro metamorfosi. Il ritmo lento è scandito dagli scarponi. Gli uomini-buoi tirano l’aratro. Sacerdoti di un rito senza tempo. La violenza si sprigiona terribile, improvvisa. Il bovaro tira la fune e ha in mano il pungolo che usa spesso, ordine del potere. Picchiano, urlano, aggrediscono. È un essere posseduti dallo Spirito. Il ballo ricompone l’umanità di uomini e buoi. È la storia del gruppo sociale, il ballu tundu, che si stringe e si allarga come fosse un respiro. A Mamoiada il mamuthone incede quasi di inciampo, un colpo di spalla e una battuta del piede contrario. Gli Hissocadores hanno balzi più agili, ogni tanto il loro lazo, la soca, imprigiona uno degli astanti, per essere liberati tocca pagare da bere. Nessuno comunque parla durante la sfilata, Solo l’unisono dei campanacci scandisce l’incedere del gruppo. Sono 30/40 chili di campanacci che fanno entrare in uno stato di trans e di estraneamento, anche perché i legacci che stringono il torace comprimono il respiro. Gli indumenti sono, alla fine, religiosamente custoditi per l’anno dopo. Se c’è stato un tempo in cui gli uomini, tutti, credevano nelle maschere, in Sardegna quel tempo è ancora nostro. Che questa è una terra di tradizioni religiose in senso lato, Marisa Iamundo De Cumis, di Dualchi (il paese di mio nonno Cherchi) ha pubblicato da poco un libro con l’editore Delfino dedicandolo ai pani della panificazione tradizionale sarda: “La sacralità del pane in Sardegna”, 440 pagine, 1.000 fotografie a colori, schede dettagliate dei singoli pani. Non c’è regione italiana che possa vantarsi di una simile diversità e ricchezza. Ma perché la donna non si maschera in Sardegna? Risponde Bachisio Bandinu: “Perchè essa è la maschera per eccellenza. La donna è capra. Non è pecora che trotta seguendo il gregge passivamente. È una capra che salta dove le pare, con scarti improvvisi, la maschera non si addice alla donna, “non dechet a sa femina”, essa è già animaledio, bestia da salto, da una sponda all’altra, da una rupe all’altra (Bachisio Bandinu: “La Maschera la Donna lo Specchio, Spirali editore 2004) pag. 119. In lei “è sempre in atto una ipertrofia dei sensi: sente rumori non verificabili, capta odori particolari, avverte sapori non decifrabili, ha le voglie, le doglie e le visioni, col tatto recepisce ogni messaggio, ha timori inspiegabili, rivela ciò che è assente e anticipa ciò che sta per accadere. Recepisce gli influssi della luna, è acquatica” (pag.120). E il carnevale sardo? È un desiderio di idearsi, di farsi dio, un desiderio d’eternità. La protome taurina che è così presente nel paesaggio dei nostri avi, domus de janas e tombe dei giganti, dicono di un dio Dioniso che qui entra in gioco, un dio giocoso e ubriacone che viene dalla Tracia (leggi Libano) non dalla Grecia. Il sardo tende sempre a mascherarsi, specie nel linguaggio, la limba è usata spesso per intendersi per camuffamento. Meglio sempre negare. Il sardo è a identità debole. Soffre la critica del paese, la critica ti denuda, ti riduce a maschera (meglio che non fossi mai nato). E le maschere della Sardegna del sud? Fermiamoci ad Oristano: Su Componidori è un vero e proprio sacerdote, non deve toccare terra dopo la vestizione, benedice la folla con sa “pippia ‘e maju”. Un aspersorio di duemila viole che effonde echi di primavera.