12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano

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12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
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1 marzo 2016
Sanluri. Nuovo centro sanitario
Il Medio Campidano si arricchisce di un Centro riabilitativo di fisioterapia, denominato
Sanitas sas. Si tratta di una Fisioterapia che viene cucita sul
caso specifico del paziente,
ovvero completamente personalizzata. Titolare della struttura è Sabrina Uccheddu, 39 anni,
di Gonnosfanadiga. «È il sogno
della mia vita», racconta, «Avevo 18 anni quando ho iniziato a
studiare ed impegnarmi nel settore della sanità. Tanti sacrifici
ed un solo obiettivo: evitare la
valige in mano e crearmi un lavoro nel Campidano. La terra
che sento vicina. La mia terra.
Finalmente eccomi qui. Con me
altre figure per soddisfare le esigenze dei nostri pazienti. Siamo
pronti a raggiungerli nelle loro
case». Ricorda tre anni di lunga burocrazia prima che la struttura potesse vedere la luce del
sole. Un impianto a 360 gradi,
dove le figure che opereranno
saranno impegnate nel panorama riabilitativo della logopedia,
psicoterapia, ortopedia, neurologia e fisiatria. Tutte le attività
ambulatoriali del Centro si svol-
Fisioterapia: “La soluzione più personalizzata”
geranno in un nuovo spazio,
con palestra e ambulatori, in
via Matteotti. Un progetto
completo e che provvederà a
svolgere dei servizi dall’ospedale alla struttura con
la totale presa in carico del paziente.
«Sono notevoli le richieste e
le prenotazioni smaltite dai
medici specialisti, per l’abbattimento delle liste d’atte-
sa e del turismo sanitario, un
grande vantaggio per il Medio Campidano. Con orgoglio possiamo dire di aver ricevuto i complimenti dalla
Regione e dalla Asl di Sanluri
Villacidro. Assemblea del Gal Linas Campidano
per i servizi specifici, dettagliati e trasparenti. Un passo
avanti perché abbiamo presentato un piano di rientro sanitario su una base universitaria europea all’avanguar-
dia, con strumenti e attrezzature di elevata tecnologia che
migliorano i quadri clinici,
non trascurano i pazienti, riducono le liste d’attesa».
Santina Ravì
San Gavino Monreale
Il viaggio in treno?
Un’odissea in piedi
Nuove opportunità di finanziamenti
per l’area del Linas
Si è svolta il 18 febbraio l’assemblea pubblica del Gal Linas
Campidano finalizzata alla presentazione del nuovo bando
per il finanziamento dei gruppi di azione locale della Sardegna. Davanti ad oltre 150 persone giunte dai sei comuni
che compongono l’attuale Gal Linas e da quelli adiacenti,
il presidente Antonio Marrocu ha messo in evidenza le nuove opportunità di finanziamento per l’area del Linas. «Nonostante le comlipazioni burocratiche sorte nel corso dell’attuazione del precedente programma, legate prevalentemente alla partecipazione di numerosi enti per l’attuazione
del programma, (agea, agecontrol, caa, ecc,), siamo riusciti a spendere quasi tutte le risorse disponibili per il territorio. Oltre il 96% di quanto contenuto nella dotazione finanziaria del programma 2007-2013. pari a oltre 8.050.000
di euro. Oltre 150 i decreti emessi dal Gal con altrettanti
progetti portati a termine. Un grande lavoro svolto grazie
alla struttura tecnica e a tutti quelli che hanno collaborato
con il Gal».
Determinante l’impegno dell’assessorato all’agricoltura
della RAS. L’assesore Falchi ha concentrato la sua attenzione sui Gal e sull’intero programma di sviluppo rurale
consentendo il raggiungimento di un eccellente livello di
spesa per la Sardegna e scongiurando la perdita delle risorse.
Tra le novità approvate dall’Assemblea del Gal, la riduzione della quota associativa da 1000 a 250 euro per l ingresso di uovi soci. Le altre novità riguardano la possibilità di
ingresso di nuovi territori, quali i comun di San Gavino,
Serrenti, Serramanna e Villasor, che sono stati inseriti tra
quelli definiti eleggibili, suscettibili cioè di ricevere
finanziamenti finalizzati ad investimenti nel territorio.
Nel suo intervento il direttore del Gal Antonello Ecca ha
parlato del nuovo bando di accesso per i Gal. La dotazione
finanziaria del bando è di 64.000.000 di euro per la Sardegna con un massimo di 15 Gal finaziabili. «Il nostro territorio - ha dichiarato - ha la possibilità di ricevere, se finanziato, oltre 4,5 milioni di euro corrispondenti a investimenti
per circa 8 milioni. Il bando si articola in due fasi: una che
scadrà il 31 di marzo, durante la quale dovra candidarsi il
territorio attraverso una buona adesione di soci e la partecipazione di un ampio territorio.La seconda vede determinante la presentazione di un Piano di Azione, che contenga le
strategie di sviluppo e le indicazioni dei tre indirizzi base,
scelti dal territorio per programmare le risorse».
Il piano verrà costruito con il contributo di tutti gli attori del
territorio. Possono accedere le imprese, le associazioni e tutti
i cittadini. Tutti devono partecipare alla nuova programmazione dando il proprio contributo di idee per lo sviluppo.
«A tal fine - ha concluso il presidente - a breve verrà reso
noto un calendario di incontri da tenersi in ciascuno dei comuni che compongono il partenariato.Una grande opportunità che il nostro territorio non può e non deve perdere. Al termine dell’assemblea sono stati numerosi quelli che hanno
sottoscritto l’adesione al Gal Linas Campidano». (r. m. c.)
Viaggiatori come sardine. Non è il titolo di un film o uno slogan
pubblicitario, ma ormai quanto accade alle tante persone che
prendono i treni da Cagliari a San Gavino e viceversa (nella foto
di Renato Sechi). Lo denunciano con forza i pendolari che ogni
giorno viaggiano in piedi e in condizioni di estremo disagio come
ricordano alcuni pendolari: «Il convoglio che parte ogni giorno
dal capoluogo - denunciano - è sempre pieno. Alcuni giorni fa
non era possibile neppure
muoversi. Viaggiare in questo modo non è dignitoso: il
treno Minuetto è insufficiente in questi orari. L’assessore
regionale ai trasporti dovrebbe subito intervenire: è una
vergogna che si ripete ogni
giorno». Ora le ferrovie sono
corse ai ripari e il treno che
parte alle 14.25 da Cagliari è
più capiente.
Tuttavia il paradosso è che ci
sono treni strapieni oppure
vuoti, come ricorda Barbara
Marongiu, reggente della segreteria Ugl telecomunicazioni: «Spesso si viaggia in piedi come
succede per il bestiame. I treni negli orari di punta hanno pochissimi vagoni anche se è notevole la presenza di studenti e
lavoratori. Eppure basterebbe fare una stima di quante persone
prendono il treno da Oristano a Cagliari, negli orari di punta. A
San Gavino il treno delle 7.10 è vuoto ed è lunghissimo mentre
il convoglio precedente che arriva alle 6.58 è strapieno con le
persone che non trovano un posto. I viaggi si fanno in piedi anche per le tratte lunghe con anziani che non trovano un posto. In
più non vi è una taratura nell’aria condizionata e fa davvero troppo
caldo. Il nuovo treno? Spesso si guasta e si ferma ed è sistematicamente vuoto». Mancano poi le coincidenze soprattutto la sera,
ma non solo: «Di sera in partenza da Cagliari dopo il treno delle
20.35 – conclude Barbara Marongiu – non c’è niente se non il
bus delle 22 che è sempre pieno: basterebbe mettere un convoglio tra le 20.35 e le 22. Inoltre non era proprio il caso di chiudere stazioni come quella di Sanluri Stato, rimessa a nuovo: è una
vergogna con il conseguente sperpero di soldi pubblici».
Gian Luigi Pittau
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San Gavino
Samassi
Al via la 29a Sagra del carciofo
Gianluigi Inconis
titolare del centro
Aperto un centro Permaflex
La Sagra del Carciofo di
Samassi giunge nel 2016
alla 29° edizione e si svolgerà sulla falsa riga di come
è avvenuta l’anno scorso. Il
tutto partirà giovedì 10 e
venerdì 11 marzo con i convegni organizzati dall’Agenzia Laore; a seguire
sabato 12 ci sarà l’inaugurazione della XXIX Sagra
del Carciofo e XVIII Fiera
Agroalimentare e, in concomitanza, visto il successo
dell’anno precedente, si ripeteranno le visite alle domus e lollas, organizzate insieme ai laboratori dall’Associazione Terra Cruda. Il
tutto continuerà fino a domenica 13, giornata che la
mattina sarà caratterizzata
dalla XXXVIII Marcialonga del Carciofo.
La manifestazione è organizzata dall’ U.S. Acli Mariano Scano, col patrocinio
del comune di Samassi, e
con l’approvazione della
FIDAL Sardegna e dell’ US
ACLI provinciale, regiona-
le e nazionale.
La gara di corsa su strada
partirà dalla centralissima
Piazza Italia e attraverserà
le vie del paese fino ad addentrarsi per una buona parte nelle campagne prossime
all’abitato, riproponendo
un percorso di gara identico a quello della passata
edizione, memore degli storici tracciati delle prime
edizioni. Il circuito di gara
ha una lunghezza di circa
3300 metri, e verrà ripetuto
per 3 volte per un totale di
9900 metri.
Alla Marcialonga è abbinato il 30° Memorial Giovani
Val Di Fiemme, nell’ambito del quale verrà assegnato il 29°
Trofeo Mariano Scano. È
prevista la ormai tradizionale camminata non competitiva aperta a tutti, su un
percorso di 3300 metri (un
giro del circuito), inserita
nel progetto Nazionale U.S.
Acli “Walking Together
for Life”, che ha lo scopo
di sensibilizzare tutti i cittadini sull’utilità del movimento e della corsa in genere.
Le iscrizioni alla camminata saranno chiuse mezz’ora
prima della partenza prevista per le ore 10.30. A tutti
gli iscritti della camminata
verrà consegnata una medaglia ricordo e un buono ristoro.
Alla gara competitiva verranno premiati i primi 10
classificati maschili e femminili in classifica assoluta
e i primi 3 classificati maschili e femminili per fasce
di età (dagli over 35 in su).
La camminata non ha ordine d’arrivo pertanto non
sono previste premiazioni,
ma verranno estratti 10 numeri vincenti corrispondenti al numero di gara di 10
fortunati iscritti.
Carola Onnis
Mettersi in proprio, dopo aver lavorato per
decenni alle dipendenze, non è mai una scelta
facile. Ma quando il 53enne Gianluigi Inconis,
noto Gigi, si è ritrovato disoccupato, non si è
perso d’animo e, facendo leva sui 20 anni di
esperienza nel settore, lo scorso maggio ha
avviato una nuova attività a San Gavino, un
centro esclusivo Permaflex nel Medio
Campidano. E, seppur il commercio sia in crisi, soprattutto per i negozi al dettaglio, a San
Gavino sembra vigere un vivace spirito imprenditoriale.
Lei non è l’unico ad aver sollevato una saracinesca in via Dante, rendendo la strada
ancora più trafficata. Qual è il segreto di
tale atteggiamento propositivo?
«Nel mio caso mi ha agevolato l’unicità del
prodotto. Essere specializzati in un prodotto
garantito dal marchio “eccellenza del materasso italiano nel mondo”. Questa è un’impresa commerciale innovativa, nata nel 1953
e in continua crescita. Quindi non posso non
vedere al futuro in modo positivo e
propositivo. Mi sento al sicuro per l’azienda
che rappresento». Oltre a casalinghe, pensionati e giovani coppie che intendono arredare
l’appartamento, al centro sangavinese si rivolgono molti ragazzi che desiderano cambiare i
materassi tradizionali con nuovi modelli componibili, ergonomici, anatomici, ortopedici, a
zone differenziate, anallergici o climatizzati
e in lattice naturale come quello con aloe vera.
VILLAMAR
Prodotti che riguardano tutto il sistema di
riposo: materassi, reti a doghe e elettriche,
letti, guanciali e accessori come coprirete
trapuntati o coprimaterassi. «Oltre alle garanzie Permaflex - aggiunge Gigi - metto a
disposizione anche la mia esperienza nel
campo, dando indicazioni personalizzate su
come scegliere la portanza ideale, il materasso più adatto ad esempio per un bambino, per chi soffre il freddo, il caldo o d’insonnia».
Anche per le agevolazioni fiscali?
«Certo. Assistiamo anche per pagare a rate
o con l’Iva agevolata al quattro per cento,
secondo la legge 104, per chi deve acquistare un materasso sanitario con dispositivo medico CE (ortopedico antidecubito)».
Quanto è importante la competizione e
la collaborazione con gli altri imprenditori del territorio?
«La vedrei bene, se ci fosse. Ma mi accorgo
che non siamo mai riusciti davvero a
consorziarci. Dovremmo cambiare mentalità. Personalmente vorrei diventare punto di
riferimento per la vendita del sistema di riposo nel Medio Campidano ma so che, per
la crescita economica, occorre anche competizione e collaborazione con gli altri. Per
ora, sono fiero di essere l’unico a rappresentare lo slogan “Idee da sogno, nuovi modi
di riposare”».
Marisa Putzolu
BARUMINI
Associazione Noa: una nuova alternativa
per l’assistenza alle persone fragili
A causa del progressivo invecchiamento della popolazione
aumenta il bisogno di attività e servizi a sostegno delle famiglie al cui interno sono presenti componenti “deboli” (persone anziane e/o diversamente abili). Quali le soluzioni? Il ricovero in strutture di tipo residenziale (comunità alloggio,
strutture protette, RSA ecc.) rappresenta una delle possibilità; tuttavia spesso c’è chi, per diversi motivi, non ama allontanarsi dalla propria casa e dal suo ambiente di vita. L’alternativa sono dunque le cure e l’assistenza a domicilio. Per
contribuire allo sviluppo di queste ultime attività è nata, nel
luglio del 2015 a Villamar, un’associazione che è stata denominata Noa. «’Noa’ - ci spiega la presidente Paola Medda significa ‘nuovo’ non a caso: vorremmo infatti proporci come
associazione innovativa in alcuni punti chiave. Fra i nostri
intenti, oltre alle normali attività di assistenza domiciliare, vi
è anche quella di svolgere tutta una serie di attività: segretariato sociale, disbrigo di pratiche e commissioni, protezione
giuridica per le persone non autonome, attività di socializzazione e di aggregazione, turismo sociale e trasporto speciale».
L’associazione già si giova di alcune collaborazioni esterne
garantite da professionisti del settore e chi ha bisogno di avvalersi dei suoi servizi non entra in qualità di cliente bensì di
socio. «Ci proponiamo inoltre - spiega la vicepresidente Francesca Pisano - di formare in maniera continua le persone che
devono sostenere i propri assistiti, per esempio i familiari.
Ad essi l’associazione dedica iniziative di informazione e di
formazione sul come affrontare e gestire al meglio le situazioni e le possibili problematiche che l’assistenza comporta».
Al momento l’associazione Noa conta quindici soci, alcuni
dei quali stanno completando la loro preparazione attraverso
un corso interno che migliorerà le loro competenze soprattutto in materia di legislazione socio-sanitaria. «La conoscenza
Secondo Expo
sui beni culturali
della parte legislativa - come spiega una delle socie, Ina Tusaè di estrema importanza; esitono infatti canali di finanziamento (dal proprio Comune, dalla Regione o dalle Asl) spesso sconosciuti. Una fetta importante della popolazione ha
difficoltà a districarsi in questo ambito a causa delle molte
leggi e iter burocratici che, talvolta, scoraggiano spesso anche i più audaci».
Noa, ovviamente, non è un’associazione di volontariato e
quindi i suoi servizi hanno un costo per gli utenti. «In base al
tipo di progetto assistenziale condiviso dall’assistito - conclude la presidente Paola Medda - formuliamo una proposta
economica che ovviamente si è liberi di accettare o meno. È
nostro obiettivo far crescere questo nuovo canale perché gli
anziani e i disabili sono una realtà presente e molto diffusa
nel territorio e pertanto crediamo che migliorare le loro condizioni di vita, oltre che una necessità, è prima di tutto un
dovere della società in cui viviamo».
Simone Muscas
In mostra le eccellenze del turismo culturale nell’Isola: artigianato, degustazioni, enogastronomia, spettacoli, convegni,
siti culturali, workshop e laboratori. È il programma del “Secondo Expo turismo culturale in Sardegna”, che si svolgerà
al Centro culturale Giovanni Lilliu di Barumini l’11, 12 e 13
marzo prossimi. La manifestazione ha lo scopo di rilanciare
l’economia e sarà un’importante occasione di promozione
dei principali siti archeologici, dei produttori del settore enogastronomico e dell’artigianato artistico dell’intera Sardegna,
che saranno accolti in tremila metri quadrati di stand e spazi
espositivi allestiti per l’occasione. Inoltre, vi sarà approfondimento, dibattito, ricerca e intrattenimento, grazie ai convegni, momenti di spettacolo, laboratori didattici dedicati a studenti e pubblico adulto. «Un appuntamento importante per
gli espositori e le eccellenze sarde. L’obiettivo è anche quello di attirare i turisti, che chiedono qualcosa di diverso otre il
mare e le spiagge», spiega il sindaco Emanuele Lilliu. Infatti, ci sarà la possibilità d’incontro tra tour operator e aziende
sarde del settore. Tra l’altro, nei tre giorni del secondo Expo
baruminese organizzato dalla Fondazione Barumini Sistema
Cultura e dal Comune, sarà inaugurata la mostra sull’abito
tradizionale della Sardegna, e una sfilata di Modolo con le
migliori sartorie dell’Isola. L’evento rientra nell’ambito delle manifestazioni di grande interesse turistico, promosse e
finanziate dalla Regione attraverso l’assessorato del Turismo.
Carlo Fadda
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Gonnosfanadiga 17 Febbraio 1943:
Ancora ignoto il perché
del bombardamento
R
icorre il 73° anniversario dal giorno in cui gli americani portarono la morte a Gonnosfanadiga a bordo
delle loro potenti macchine da guerra con un micidiale carico di bombe, che il 17 febbraio 1943 furono sganciate senza pietà contro la popolazione civile. È finora rimasta ignota la motivazione che spinse la più grande potenza
militare a compiere un crimine di così vaste proporzioni, scrivendo con sangue innocente la nuova storia di
Gonnosfanadiga, una pagina che nessuno avrebbe voluto né
vedere né leggere. All’epoca il paese ubicato ai piedi del
Monte Linas contava su circa 5000 abitanti, gente laboriosa
impegnata nell’agricoltura e nella pastorizia da cui traeva il
necessario sostentamento, persone favorite da un territorio
fertile e ricco d’acqua. Il micidiale bombardamento lasciò
sul terreno 119 morti e circa 350 feriti, oltre evidentemente
alla distruzione di numerosi edifici i cui segni sono ancora
oggi visibili. Un diario scritto da monsignor Severino Tomasi,
allora parroco del paese, descrive dettagliatamente le fasi della
sanguinosa incursione aerea americana.
La cerimonia commemorativa ha avuto inizio nella parrocchia del Sacro Cuore, dove il parroco don Giorgio Lisci durante l’omelia ha parlato delle due incursioni aere del 17 febbraio 1943, e del 26 agosto 1943, e della tragedia di” S’Acqua Durci”, avvenuta il 3 agosto 1945. Il sacerdote ha sottolineato l’importanza del fare memoria e del curare il ricordo
che diventa storia, quella a cui deve guardare la vita. Alle
fine della cerimonia religiosa, il corteo guidato dalla
prestigiosa banda musicale delle Brigata Sassari ha raggiunto piazza XVII febbraio ove si trova il monumento ai caduti.
Il sindaco Fausto Orrù ha deposto una corona di fiori ai piedi
del monumento e la Banda della Brigata Sassari ha reso omaggio ai caduti dedicando loro gli onori militari e suonando
l’inno di Mameli, il Silenzio e l’inno della stessa Brigata. Poi
il capo gruppo in consiglio comunale Davide Sardu ha ringraziato le autorità politiche, militari, civili e religiose presenti, in particolare il capitano Valerio Cadeddu, comandante della Compagnia di Villacidro, il generale Giorgio Zucca,
il maresciallo Capo Banda Andrea Atzeni, il generale Sciola,
gli avvocati Doglio e Frongia. Il sindaco Orrù ha letto il suo
discorso, durante il quale, con commozione, definisce, testualmente, “i caduti per mano Americana “Eroi Semplici”
che oggi abbiamo l’onore di ricordare uniti nel dolore e nell’orgoglio, riconoscendo che la nostra comunità ha pagato
un prezzo troppo alto per gli orrori della seconda guerra
mondiale; fra tutti i paesi d’Italia, Gonnosfanadiga ha dovuto subire il più alto numero di vittime in rapporto al numero degli abitanti. Ancora a distanza di 73 anni, quel funesto e
terribile 17 febbraio del 1943 resta per la nostra comunità
cittadina il simbolo per eccellenza del dolore e della sofferenza della guerra.
Non ci sono spiegazioni ragionevoli per quanto accadde in
quel tragico pomeriggio prima di conoscere la verità su quello che avvenne. Le uniche spiegazioni, di cui ancora i familiari delle vittime e tutta la nostra comunità sono creditrici,
giacciono conservate negli archivi di guerra degli Stati Uniti d’America in qualche faldone ingiallito - su un vecchio
schedario impolverato. I familiari delle vittime hanno il diritto di sapere, i nostri figli hanno il diritto di conoscere la
realtà di ciò che avvenne. I bambini smisero di giocare per
vedere l’acciaio luccicare al riflesso del sole sul cielo blu di
un inizio di primavera. Chi di noi, anche oggi, non avrebbe
fatto lo stesso? Quelle urla di meraviglia nel vedere così da
vicino gli aerei americani, le cosiddette “fortezze volanti”,
si trasformarono però quasi subito in urla di dolore e pianto.
Gonnosfanadiga conobbe in quel preciso momento la guerra nella maniera più vigliacca che un conflitto possa esprimere.” L’avvocato Raffaele Melis sostiene che il bombardamento del 17 febbraio 1943 non fu un errore ma un’azione
voluta con lo scopo di uccidere deliberatamente e senza pietà, e a tal proposito ricorda il pastorello di 15 anni che perse
la vita mentre ignaro sventolava la propria giacchetta in segno di saluto agli aerei. Secondo l’avvocato il bombardamento
in Sardegna fu una strategia americana per nascondere il vero
obiettivo, lo sbarco in Sicilia, punto strategico per invadere
l’Italia e poi l’Europa.
Francesco Zurru
Marmilla
8 maggio 1943: quattro morti a Villanovafranca
N
el maggio del 1943 furono trasferite in Sardegna diverse
divisioni paracadutisti con il compito di rafforzare la difesa dell’Isola. Alcuni reggimenti furono dislocati nel Medio
Campidano, con comando a Sanluri. Per la felice posizione
del paese, al centro della Marmilla, la Divisione “Folgore” si
stabilì a Villanovaforru, dove già si era fermato il grosso della
novantesima Divisione Corazzata tedesca, comandata dal generale Carl Hans Lungerhausen. I tedeschi utilizzavano
come magazzino una chiesa campestre, alloggiavano nelle case
e disponevano di mense. Avevano sistemato persino uno schermo gigante sul quale proiettavano i film. Agli spettacoli poteva partecipare anche la popolazione. Per alloggiare i paracadutisti italiani erano stati smontati i casotti in legno della spiaggia del Poetto e rimontati in modo da assicurare un alloggio.
Con l’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre, sia i tedeschi
sia gli italiani evacuarono il paese. Prima della partenza i paracadutisti furono radunati nella piazza della chiesa e il comandante della divisione il colonnello Bechi Luserna, esortò i
militari ad essere fedeli agli ordini del Re e di Badoglio.
Anche a Villanovafranca c’era un grosso contingente di militari tedeschi, erano circa 10.000 accampati nel bosco, il loro
campo arrivava sino al fiume dove avevano costruito alcune
gallerie. La presenza di tanti militari tedeschi fece di
Villanovafranca un obiettivo dei bombardamenti americani.
L’8 maggio sul paese furono lanciare alcune bombe
dirompenti e spezzoni incendiari. Ci furono quattro morti e
due feriti tra i civili, nessuna vittima tra i militari. Quel giorno furono lanciate delle bombe anche su Furtei, causando
lievi danni.
Gian Paolo Pusceddu
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un giorno d’inferno
L’incursione aerea: un’inutile strage
D
ell’ecatombe scatenata ex abrupto dall’aviazione degli americani “liberatori” sulla innocente e
innocua cittadina di Gonnosfanadiga, la piccola
Guernica della Sardegna, quel tragico solatio pomeriggio invernale, con quasi novanta vittime e numerosi feriti, dei quali qualcuno vivo ancora oggi, è stato
negli anni scritto e riscritto tutto il possibile, anche
una curatissima tesi di laurea con la doviziosa acribia
laureanda di Massimiliano Ortu: “Bombardamento per
errore?”
Lascio quindi ad altri la rievocazione di quella “inutile strage” e mi limito ad alcune meditazioni personali.
Io nacqui tre anni dopo, i miei si sposarono giusto
quell’anno, quindi non posso per fortuna dire “quaeque
ipse miserrima vidi et quorum pars magna fui”, ma
cito i versi epici dell’Eneide non a caso riferite alla
caduta di Troia nell’Iliade: chi invece poteva ripetere
i celebri esametri di Virgilio fu il mio professore di
latino e greco nelle scuole medie, il reverendo
monsignor Severino Tomasi, un vero gigante nel corpo di un nano, che in quei giorni reggeva la parrocchia di Gonnos e fu lui da “pius Aeneas” testimone
oculare a prestare soccorso e conforto materiale e spirituale ai suoi compaesani terrorizzati e a redigere il
funesto elenco delle vittime, tramandando poi da “storico” le sue testimonianze nelle voluminose “Memorie del Passato” sulla storia della diocesi di Ales. Ai
tempi in cui imparavamo a memoria i versi dl pacifista Tibullo “quis fuit horrendos primus qui protulit
enses?”, quando ci leggeva in classe e commentava la
vecchia e gloriosa Iliade tradotta da Vincenzo Monti,
io, che già da allora tifavo per i più deboli e quindi ero
filo troiano, fremevo di rabbia e di dolore al racconto
della morte di Ettore e allo strazio del suo cadavere
per opera di Achille intorno alle mura della città in
fiamme; ma non capivo perché il minuto e anziano
canonico Tomasi leggesse con la voce tremula tenendo il libro tra le mani più tremule ancora e gli occhi
lucidi di pianto. L’ho capito dopo, molti anni dopo,
ripensando al suo lutto “troiano” del 17 Febbraio 1943
di cui ipse miserrima vidit et quorum pars magna fuit.
L’ho capito meglio ancora quando ho “capito” le leggi inesorabili della Storia, studiando Tucidide e il fiorentino Machiavelli all’Università proprio nella sua
Firenze medicea: “Uno Principe deve essere più temuto che amato, col pugno di ferro in guanto di vellu-
to” (il Piano Marshall dopo le due bombe atomiche
dell’agosto 1945), perché cosi deve andare da sempre
e per sempre la tragedia della Storia fur ewig, for ever,
es aiéi diceva Tucidide appunto. Il quale racconta il
celebre e cinico episodio della strage dell’Isola egea
dei Meli (416 a.C.) che si erano ribellati ad Atene passando dalla parte degli Spartani ai tempi di Pericle il
Grande, morto durante la terribile peste. Arrésisi implorarono pietà e perdono, ma Atene “culla della Democrazia” come la “democratica”America, rispose che
doveva sterminarli comunque perché servissero da
“esempio” (exemplum, da cui deriva la parola e-scempio) dato che tre sono le ragioni inesorabili di ogni vincitore che si rispetti e che voglia farsi rispettare perpetuando il suo dominio nella logica della mors tua vita
mea: il Prèpon, la Bia e il Dèos cioè l’Interesse, la Forza e il Terrore. Cosi farà Roma con Cartagine nel 146
a.C. e con Gerusalemme nel 70 d.C.: “Pàrcere subiectis,
debellare superbos” dice il “pius” Virgilio nel VI Libro
dell’Eneide; a.C. e d.C. non sono angoli e cateti di una
figura geometrica, ma prima e dopo Cristo, a dimostrazione tucididea che il Messia non ha mutato assolutamente nulla in questo irredento e irredimibile “atomo opaco del male, l’aiuola che ci fa tanto feroci” in
cui bisogna considerare “tutti li homini rei”.
Un altro testimone oculare gonnese allora tredicenne
sfollato per cautela dal Collegio Francescano di Cagliari e che oggi vive nella lontana Australia, il poeta
Lino Concas, l’ho sentito più volte raccontare e raccontarmi quei momenti tragici dell’incursione aerea,
avvenuta mentre egli saliva in quella via Marconi proprio all’altezza delle case dei Pinna dove permangono
a futura memoria i segni dello spezzonamento giusto
nel momento in cui il ragazzino rientrava a Gonnesùsu
da Gonnebàsciu alla fine della ripetizione di latino impartitale dal giovane dottore di teologia morale dottor
Casti, e riuscì a salvarsi gettandosi a terra perché gli
spezzoni schizzavano da ogni lato verso l’alto, e gli
altri passanti in fuga furono falcidiati.
Quel ricordo gli è rimasto indelebile e in uno dei suoi
volumi italo-sardo-australiani di liriche ha scritto questa poesia “Paura ho della guerra”: Io che sono nato e
vissuto in epoca “postbellica” (si fa per dire)
nell’utopica speranza di una perpetua pace Kantiana
gliela ho doverosamente tradotta nella sua lingua natìa.
Toto Putzu
Paura della guerra
Paura ho della guerra,
paura dei miei occhi
che in un fosso
videro i morti.
Paura ho della guerra,
nella soglia di casa
sono morte le donne,
nel cortile di scuola
sono morti dei bimbi,
dei vecchi
nel prendere il sole.
Tìrriu a morti sa guerra
timu in ògus su spantu
chi hat bìu sa mortalla
e sànguini calla calla
fossas in campusantu.
Dèu sa guerra idda tìrriu
spérdias in s’enna issòru
feminas in delìriu
e ingòrtus a su coru
pippìus in platza’e scholla
e anziànus in sa lolla
a s’ultimu ògu’e soli.
Paura ho della guerra
che calò dal cielo la morte
e riempì il fiume di sangue.
Tìrriu sa guerra dèu
ca pàrrit herisèu,
insanguentàu s’arrìu
tra bòmbas a passìu.
Ci sono ancora brandelli
di quell’abito nero,
c’è ancora il sangue che
ha macchiato l’asfalto
di un paese vestito di nero.
Apustis tantus annus
c’est sempri sinnu’ e is dannus
arrogàlla’e su luttu,
in bidda mia sas stràdas
de sànguini amragàdas
e un populu in corrùttu.
Lino Concas
Toto Putzu gonnensis
Il racconto di Antonio Garau
“Quel giorno fu un inferno, c’era
sangue dappertutto. Persi mia sorella”
Gonnosfanadiga ha il suo Olocausto, una grande tragedia
che nessuno mai potrà mai dimenticare. Rimarrà nella memoria di tutti il terribile 17 febbraio 1943 quando si scatenò
l’inferno con una pioggia di bombe arrivata dal cielo nel
primo pomeriggio intorno alle 15.
Il ricordo è sempre vivo nei testimoni come se il tempo si
fosse fermato e lo ha raccontato agli studenti dei licei delle
scienze umane, linguistico e scientifico di San Gavino
Monreale il maestro Antonio Garau che all’epoca aveva appena nove anni. Cadaveri dappertutto. Spesso mutilati e feriti che urlavano e invocavano aiuto.
IL RACCONTO DEL MAESTRO ANTONIO GARAU
Una scena agghiacciante che si è presentata in via Porru
Bonelli, in altre strade del paese e nelle periferie come ricorda il maestro Antonio Garau: «Si sentì come uno scoppio:
erano le 15 del pomeriggio, erano le bombe che cadevano
alla spicciolata. I ragazzi che giocavano sulla strada vennero
colpiti da tante schegge. Subito non mi resi conto di che cosa
ero successo; c’era sangue dappertutto ed anche la mia unica
sorella venne uccisa dalle bombe mentre un altro fratello era
rimasto ferito e poi portato via dai militari. Siamo stati portati nelle casermette dove ci hanno prestato le prime cure. Mia
sorella si era accorta che non ce l’avrebbe fatta: aveva chiesto a mia madre un coltello per mettere fine alle sue sofferenze».
FERITE MORTALI E ORRORE Gli studenti ascoltano
con emozione e il maestro Garau racconta con grande lucidità: «Altri miei fratelli - continua - furono tutti colpiti da numerose schegge e non vi dico le condizioni delle persone ferite mortalmente. Mia cugina era stata colpita mentre stava
entrando nell’uscio di casa: una bomba le aveva fatto scoppiare la testa. Immaginate la situazione e il dolore della mamma quando aveva visto dei pezzi d testa della figlia. Una scheggia di una bomba mi aveva colpito il braccio e fui trasportato
a Cagliari nella barella di un altro ferito. Poi sono finito all’ospedale civile e il mio braccio doveva essere tagliato. Non
ci fu bisogno di nessuna anestesia: il medico mi aveva dato
un paio di ceffoni e mi avevano addormentato in questo modo.
Il medico curante era bravo, ma per me rimase sempre un
ricordo impressionante. Anche Cagliari venne colpita dalle
bombe durante il periodo del mio ricovero. Avevo molta paure: il rumore di un carro per strada mi sembrava quello degli
aerei».
GLI STUDI E I RICORDI DELLA GUERRA. Antonio
Garau frequenta le elementari, poi prosegue gli studi in una
scuola a Castellamare dove le porzioni di cibo non erano certo abbondanti: «Avevo solo una piccola razione di pane, poi
ho dato l’esame e in seguito - racconta Garau - ho frequentato il liceo ad Oristano e sono diventato insegnante elementare. Prima sono stato maestro in una scuola pluriclasse, poi a
Cagliari ed infine ho chiesto il trasferimento fino ad arrivare
a Gonnosfanadiga».
L’APPELLO PER LA PACE I ricordi di quella tragedia
non si cancelleranno mai: «Milioni di cittadini ebrei - conclude Antonio Garau - sono stati uccisi nei campi di concentramento e di sterminio. Ricordo che a Gonnosfanadiga due
marescialli tedeschi erano venuti per comprare patate nell’orto. Poi questi due marescialli si misero a piangere, dicevano: ‘ormai Germania caput’. Sono gli anziani che in genere muovono le guerre, voi giovani dovete cercare di vivere in
pace. Le guerre continuano ad esistere e ci sono dappertutto.
C’è la guerra e tutti cercano di scappare dalla distruzione. La
guerra non ha mai portato nessun beneficio e voi giovani
dovete cercare di mantenere la pace».
Gian Luigi Pittau
PDF Compressor Pro
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1 marzo 2016
Carnevale 2016 : ch
c
nel Medio C
Guspini: Carnevalinas - Cambalonga
Tempo di bilanci per il Carnevale guspinese, una manifestazione che da ventisei anni trova la chiave del suo
successo nella capacità di sapersi reinventare. Ad aprire il tripudio di folla e colore del Carnevalinas, che sabato 13 febbraio ha dato alla cittadina il consueto appuntamento al prossimo anno con il rogo del fantoccio Gambetta
in piazza Togliatti, i cento artisti di “Cambalonga”, primo raduno di trampolieri sardi organizzato dall’associazione “Circo Mano a Mano” in collaborazione con il gruppo “Cambas de Linna” e il patrocinio di Regione,
Comune e Pro Loco. «L’intento? Rendere il raduno un appuntamento annuale di rilievo - puntualizzano dall’associazione - con presenze nazionali, europee e provenienti dal resto del mondo, a dimostrazione di come le
tradizioni popolari costituiscano un valido supporto alla realizzazione di progetti culturali ad ampio respiro».
In mille all’appello, dai candidi “Orbs”sassarini degli “Shedan FireTheater” ai vivaci Emoyeni, giovanissimi
saltimbanchi cagliaritani, su fino alle poetiche esibizioni del Teatro del Sottosuolo di Carbonia e degli autoctoni
Cambas de Linna, nella parata che da via Anna Frank, tra infiniti decibel e mille mascherine, ha accompagnato
i carri allegorici di Guspini, Terralba, Sanluri, Marrubiu, Sardara, Gonnosfanadiga, San Gavino Monreale,
Samassi, Collinas. Incetta di premi per il gruppo”Is Casermettas”, che oltre ad aggiudicarsi per il secondo anno
di fila il primo posto al Carnevalinas, con “Caro Vecchio Carnevale” ha trionfato anche a “Su Marrulleri” di
Marrubiu e al raduno provinciale di Gonnos.
Francesca Virdis
Sanluri
Neppure l’intensa pioggia ha fermato la 65esima edizione del Carnevale Sanlurese
che ha visto sfilare carri allegorici e gruppi in maschera provenienti da tutto il
territorio provinciale, senza alcuna premiazione finale. Tutti vincitori all’evento,
organizzato dalla Proloco di Sanluri in collaborazione con l’amministrazione
comunale e la Regione, che si è concluso con i festeggiamenti in piazza Porta
Nuova e “pai arridau e chiacchiere a volontà”. «Quest’anno abbiamo migliorato
con la cartapesta e fatto il botto con la gente al seguito - ha detto il presidente
dell’associazione locale Rebus Group Alessandro Melas. - Il primo premio a
Sardara ne è la dimostrazione. Il nostro è un gruppo di carristi giovane, costituito
da una ventina di soci, tra cui Jordan Cocco, Alberto Congia e Andrea Usai. Una
squadra con le carte in regola per coinvolgere tutti, non solo i bambini, nel desiderio di fare carnevale e diventare come il glorioso 3D o il Revolution Crew. Per
raggiungere l’obiettivo e salvare il carnevale sanlurese, mi piacerebbe però che
si iscrivessero più figuranti, più persone che diano un piccolo contributo, come
preparare costumi, o mettendo i soldini da parte già da ora».
Marisa Putzolu
PDF Compressor Pro
1 marzo 2016
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Gonnosfanadiga
Sfilata con 11 Carri
hiusura in bellezza
Campidano
Lunamatrona
La manifestazione, organizzata dall’amministrazione comunale in collaborazione con la Pro Loco e l’Associazione Il Coriandolo, con lo
scopo di risollevare le sorti del Carnevale Gonnese, ha avuto un buon
successo in una colorata cornice di pubblico. Il raduno provinciale
con ben 11 carri ha avuto l’effetto rigenerante di una manifestazione
tradizionale che riesce a coinvolgere un numero consistente di giovani con considerevoli finalità sociali. Davanti alla giuria, presieduta da
Giuseppe Marras, hanno sfilato i Sweet Garden di Gonnosfanadiga, Is
Amigus di Pabillonis, Il Coriandolo di Gonnosfanadiga, Gps 4 di Gonnosfanadiga, la Pernacchia di Guspini, Rebus Group di
Sanluri, Music Express di San Gavino, Fibra Ottica di San Gavino, Caution Group di Gonnosfanadiga, Is Casermetas di
Guspini, Storpions di Terralba. Il primo premio è stato assegnato al gruppo “Is Casermettas” di Guspini con “Caro, vecchio
Carnevale”, al secondo posto “la Pernacchia” di Guspini e terzi classificati, nonché vincitori per il miglior carro di
Gonnosfanadiga, il “Caution Group”. «Dopo tanto tempo a Gonnosfanadiga il carnevale torna in grande -, ha affermato
Martina Zurru del 1996. - È stato bello vedere anche carri dedicati appositamente ai bambini, che hanno bisogno di vivere
il carnevale, come succedeva qualche anno fa. Il divertimento vien da sé quando si è in compagnia e quando si ha voglia di
far sorridere gli altri. Invito a chi ha messo anima e corpo per realizzare questa festa a continuare, affinché il carnevale ogni
anno sia sempre più ricco e sentito». «Il proposito che ci siamo prefissati è riuscito in pieno», ha detto il consigliere comunale Federico Isu, «la partecipazione dei carristi, dei figuranti e della cittadinanza Gonnese e non solo è stata ottima e
vedere nei ragazzi, nei bambini e nelle famiglie un sorriso di soddisfazione è stata la nostra vittoria più grande, che ripaga
ogni sacrificio. Vogliamo che Gonnosfanadiga viva nei suoi giovani, e incentivare il Carnevale Gonnese è stato possibile
grazie alla collaborazione di tante persone. La manifestazione è stata pulita, ci dissociamo dall’episodio dell’accoltellamento,
che ben poco ha a che fare con una festa carnevalesca. Gonnosfanadiga ha dimostrato quanto può dare: il paese merita
tante di queste opportunità».
Francesco Zurru
Nell’ultima settimana del carnevale, tutta Lunamatrona si è colorata a festa. Le numerose associazioni presenti nel paese hanno unito le loro forze dando vita
ad un calendario carnevalesco
ricco di eventi. Lunedì 8 febbraio è la volta dei festeggiamenti
presso le scuole del paese: la mattinata si è trasformata in un bello
spettacolo di tanti bambini in maschera presso la scuola dell’infanzia e quella primaria.
Uno degli avvenimenti più importanti c’è però il giorno successivo quando, in onore del
martedì grasso, la Pro Loco
ha organizzato una sfilata
svoltasi nel pomeriggio nelle vie del paese alla quale
hanno preso parte numerose
persone, fra cui tanti bambini e ragazzi. Per l’occasione
i soci della casa dell’anziano
e dell’oratorio Don Milani
hanno organizzato maschere
a tema molto apprezzate dai
presenti. Il percorso è iniziato da Corso Italia e poi proseguito sino alla Piazza Regina Elena dov’è stato organizzato, fra balli e canti, uno stand dove sono stati distribuiti i classici dolci carnevaleschi. La
festa è proseguita sino al tardo pomeriggio.
Sabato 13 febbraio è invece la volta della festa che è stata denominata “Soul Side
Carnival”, organizzata rispettivamente dal comitato San Giovanni Battista 2016, il Tennis club Lunamatrona e l’oratorio Don Milani. L’evento, svoltosi presso il circolo
bocciofilo, ha avuto inizio alle 18 con musica e balli per i bambini ed è poi proseguito
dalle 23 sino alle prime luci dell’alba con la festa in maschera per ragazzi e adulti.
Chiude la full immersion carnevalesca la giornata di domenica 14 febbraio. All’oratorio
Don Milani è stata organizzata per i bambini la festa della pentolaccia durante la quale a
tutti i presenti sono state distribuite le zeppole, preparate per l’occasione nei locali dell’oratorio da gruppi di volontarie che si sono adoperate con molto impegno. Tutte le
giornate si sono svolte in un clima di festa fra tante risate e divertimento. Ancora una
volta il paese si è distinto per la collaborazione fra diverse associazioni, unite per l’occasione al fine di allestire gli eventi con le maggiori risorse disponibili: umane, economiche e creative.
Un bell’esempio, semmai ci fosse il bisogno di sottolinearlo, di quando l’unione fa la
forza.
Simone Muscas
Samassi
Con la sfilata di martedì 9 febbraio si è conclusa la 63° edizione del Carnevale Samassese. Il corteo ha
preso il via da Piazza Italia. Due maschere singole, sei gruppi mascherati e sei carri allegorici hanno
contribuito ad animare le strade del paese. È andata piuttosto bene. Partecipanti e spettatori sono
rimasti molto contenti della buona riuscita della manifestazione. Grande soddisfazione soprattutto da
parte dei volontari della Pro Loco nonostante le difficoltà incontrate nell’organizzazione. «Era stata
richiesta la collaborazione dei cittadini», afferma Francesco Ibba, presidente della Pro loco, «ma viste
le poche adesioni non ci è rimasto altro da fare che rimboccarci le maniche e organizzare il carnevale
anche se non in grande come nelle scorse edizioni». La vera festa è iniziata a conclusione sfilata. Tra
musica e cascate di coriandoli, la Pro loco ha offerto zeppole, chiacchiere e malvasia. È stato un
carnevale per tutti. La sfilata non è stata la festa dei portoghesi, come ormai avveniva gli altri anni,
ma delle famiglie con i loro bambini che ballavano e si divertivano insieme ai giovani figuranti. Tutto
all’insegna del sano divertimento. Questo era l’obiettivo che si era prefissata la Pro Loco e che ha
ottenuto, grazie all’impegno costante dei soci che si impegnano per non far morire una tradizione
fondamentale per Samassi.
Carola Onnis
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1 marzo 2016
Pabillonis
Igor Lampis
Villanovaforru. Gruppo musicale Hyksos
Gianni Maroccolo
Igor Lampis dei Punkillonis
aprirà il concerto dei fondatori dei Litfiba
M
usica di qualità giovedì 3 marzo al Fabrik di
via Mameli a Cagliari. I fondatori dei Litfiba, Gianni Maroccolo, bassista, e Antonio
Aiazzi, tastierista, si esibiranno a tarda serata, in un concerto di grande spessore musicale. Promotore del Tour in
Sardegna è Pasquale De Vita
di Oristano, già organizzatore di altri grossissimi eventi
come Rock in Sardegna.
Quello di Cagliari sarà uno
dei tre concerti del tour previsto in Sardegna che vedrà
Maroccolo e Aiazzi protagonisti il 4 marzo ad Oristano
nell’Auditorium dell’Istituto
tecnico Sergio Atzeni e il 5
marzo a Sassari al teatro
Smeraldo. Uno spettacolo da
non perdere per gli amanti
della musica che Maroccolo
e Aiazzi hanno prodotto nel
corso di alcuni decenni (dal
lontano 8 dicembre 1980 in-
sieme a Piero Pelù, Francesco Calamai,e Federico
“Ghigo” Renzulli), tra scissioni, unioni, ancora scissioni e di nuovo unioni che hanno caratterizzato la storia
della band fiorentina. Un
percorso artistico tormentato, ma di grande spessore,
quello dei Litfiba che li ha
visti protagonisti in campo
musicale nel genere che ha
spaziato dal punk al rock e
al new wave. C’è grande attesa in Sardegna per queste
tre date storiche, dove si potrà apprezzare un Maroccolo, bassista, session man,
produttore discografico, fondatore dei Litfiba prima, poi
dei CCCP, poi dei CSI! “Nulla è Andato Perso” il nome
del Tour che rappresenta un
vero e proprio viaggio nel
viaggio: da Via de Bardi 32,
la storica cantina fiorentina
dei Litfiba dove tutto ebbe
inizio fino a vdb23, l’ultimo
lavoro condiviso con il compianto Claudio Rocchi. Il 3
marzo ad aprire il concerto al
Fabrik di via Mameli, in sintonia con il genere dei Litfiba, sarà Igor Lampis di Pabillonis, il chitarrista dei
Punkillonis, una band che ha
raggiunto un particolare successo in questi anni. Igor
Lampis fondatore del gruppo dei Punkillonis, dal 2012
ha intrapreso, parallelamente, la carriera solista, come
necessità rivolta soprattutto
ad accompagnare con musica e canto la sua attività di
autore di romanzi, racconti e
poesie durante i reading di
presentazione. Per il 2016 è
prevista l’uscita del suo primo disco solista che vanta la
partecipazione di artisti autorevoli sia della scena sarda
che di quella nazionale.
Dario Frau
“Stella”: una canzone d’amore
dedicata agli emigrati sardi
Sta riscontrando grande successo la nuova canzone del
gruppo musicale di Villanovaforru “Hyksos” intitolata
“Stella” che parla di una storia d’amore impossibile, non
corrisposto. La band è composta da quattro villanovesi:
il cantante Cesare Pilloni, il
bassista Giorgio Locci, il chitarrista accompagnatore Luca
Piras e il chitarrista solista
Federico Leonardi. Il testo è
scritto da Giuseppe Murranca di Masullas; la melodia è
stata sviluppata da Federico e
Cesare e alla musica ci ha
pensato Federico. Stella, la
protagonista, nella clip è impersonata dall’attrice Alessandra Pusceddu, anche lei di
Villanovaforru.
«Il tutto nasce per caso - spiega la band - oltre a voler lasciare qualcosa al paese e a
voler parlare d’amore, la canzone è dedicata agli emigrati
del nostro paese e di tutta la
Sardegna. Sappiamo cosa vuol
dire stare lontano e crediamo
che sia arrivato il momento di
reagire, di non abbandonare
più la nostra terra. Di tornare.
È arrivato il momento di provare, più che mai, a creare
qualcosa qui. A resistere. Oggi
con le tecnologie informatiche
è possibile avere un mercato
internazionale e dunque bisogna lottare, provare a costruire qui. La frase “vieni via con
me” è voluta. Vuole essere un
richiamo per gli emigrati».
L’intento della band è dunque
anche quello di dare un messaggio di fiducia alle tante
persone in difficoltà che stanno pensando di partire per necessità. Fare qualcosa è ancora possibile: bisogna provarci e crederci.
Il video, realizzato dalla
“crew” de “Subiddanoesu” è
arricchito da sfondi e luoghi
caratteristici del paese. La
band sta lavorando ad altri
progetti che presto si sentiranno in giro. Stella si può ascoltare sul sito subiddanoesu.it.
Saimen Piroddi
Serramanna
Arbus
Olga Frau,
un’artista
che coinvolge
Olga Frau è un’artista che ti accoglie col sorriso, con i suoi modi gentili, semplici e umili,
e che ha deciso di raccontare la sua vita attraverso un museo realizzato a casa sua. Ogni
parte importante della sua vita è rappresentata in un quadro. Si inizia da quello che rappresenta i genitori e le altre due sorelle e la
cittadina di Arborea, dove si trasferisce con
la famiglia da Lunamatrona, dove è nata, un
altro quadro ricorda la sua breve fuga e permanenza in un collegio ad Assisi dai 16 ai 18
anni, per poi continuare con una serie di rappresentazioni del suo fidanzamento, del suo
matrimonio e di Arbus, paese dove ora vive
con la famiglia.
Fin dai primi anni della sua vita comincia
spontaneamente a disegnare e a usare acquerelli e gessetti per realizzare soprattutto ritratti.
In seguito utilizza anche colori ad olio, riuscendo senza nessuna conoscenza teorica o
pratica ad abbinarli e a creare immagini di
grande effetto. Tante le raffigurazioni, dai
paesaggi alle figure religiose e non. Il periodo di permanenza ad Assisi influenza la sua
scelta sui soggetti da rappresentare maggiormente. Una caratteristica presente in tutte le
sue opere sono le figure umane dignitose e
signorili, ma quasi sempre con espressioni
sofferenti. Per un paio d’anni ha realizzato
modelli di abiti femminili per diverse occasioni, presentati anche con le bambole che
racchiude in una vetrina tenuta in casa. Tra le
sue opere anche alcune di grandi dimensioni,
Con “Falene” di Francesco Mastino
si concludono gli incontri di Aperitivo d’Autore
che ha donato a chiese e conventi, come le
tre raffigurazioni realizzate negli anni ‘80
che tuttora si trovano nella parrocchia di San
Sebastiano, o come i quadri rappresentanti
la Via Crucis donati poi a una chiesa
argentina. Tante le mostre in Sardegna e in
altre parti d’Italia. Insomma un’artista che
oltre a curare la sua famiglia e la sua casa
continua a occuparsi della sua grande passione. Il percorso nel suo museo poi è qualcosa di emozionante che ti lascia senza fiato e che suscita la voglia di conoscere tutta
la sua storia ed è come avere la sensazione
di vivere in qualche modo la sua vita.
Adele Frau
L’11 febbraio 2016, presso la biblioteca comunale “Giovanni Solinas” a Serramanna,
con la presentazione del libro “Falene” di
Francesco Mastinu, si sono conclusi gli incontri letterari di “Aperitivo d’Autore”. Il
pubblico presente in sala ha avuto il privilegio di assistere ad un incontro indimenticabile dedicato a temi attuali sui quali c’è purtroppo molta confusione e pregiudizio: unioni civili, famiglie omogenitoriali, amore per
partner dello stesso sesso. “Il Mito dell’androgino” di Platone e alcune letture tratte da
“Falene” - recitati in maniera eccellente dal
bravissimo Nicola Cireddu - e l’interessante
intervento del Dottor Cristian Angius, che ha
chiarito alcuni punti sul DDL Cirinnà ed ha
fornito dati scientifici sull’argomento, sono
solo due dei momenti che hanno coinvolto
ed emozionato i presenti. Il sindaco di Serramanna, Sergio Murgia, intervenendo a nome
dell’Amministrazione Comunale, ha espresso gratitudine alle dott.sse Federica Assorgia
e Michela Arisci, al dott. Ignazio Curreli dell’
associazione Aletheia, alla dott.ssa Debora
Succa, agli artisti Maria Antonietta Tocco e
Nicola Cireddu, alla bibliotecaria, la dott.ssa
Fabiola Onnis e a tutti coloro che si sono impegnati per la riuscita della manifestazione
che ha ottenuto ottimi risultati di affluenza di
pubblico. “I libri, le storie, l’immaginazione,
la fantasia e la creatività, sono grandi risor-
se che, se sapute coltivare e valorizzare, possono farci crescere tutti, sia come individui
che come comunità.” ha dichiarato “Le consultazioni, rispetto all’anno scorso, sono più
che raddoppiate e i prestiti e gli utenti hanno registrato anch’essi una crescita sostanziale. La nostra biblioteca ha dunque rincominciato ad essere un punto di riferimento
per tutta la cittadinanza, offrendo un servizio efficiente, moderno e aperto a tutti.”
Da parte sua, calde parole di elogio anche
per il consigliere Guido Carcangiu e la consigliera Maristella Pisano “Hanno creduto da
subito nell’importanza della nostra biblioteca, e si sono adoperati fattivamente per il
suo rilancio con interventi, anche eseguiti
personalmente, che hanno permesso di renderla sicuramente più funzionale, ma anche
più gradevole.”
Gli utenti, anche se per ora “Aperitivo d’Autore” è terminato, possono quindi continuare a frequentare la biblioteca rinnovata, usufruire dei numerosi posti internet gratuiti, scegliere tra i fornitissimi e aggiornati scaffali i
libri da prendere in prestito (tra i quali anche
quelli dei sei aperitivi, donati dai loro autori) e usufruire del neonato servizio di prestito domiciliare di E-book Readers. A Serramanna, la cultura e l’innovazione sono patrimonio di cui usufruirne: approfittiamone!
Francesca Murgia
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1 marzo 2016
AMBIENTI E SEGURESA
19
Andrea Alessandro MUNTONI
dottori ingegneri pro s’ambienti a Casteddu
SA CHISTIONE DE IS REFUDUS DE TRATTAI
ME IS IMPIANTUS DE SA SARDIGNA
Sa chistiòne de su trattamentu de is refùdus cun impiantos de
trattamentu pro sa produzione de energhia, est meda dibattidu
in Sardìgna. Po’ immoi ci vunti scetti duus impiantus de
termovalorizzazioni autorizzadusu; su primu s’agattara a
Macchiareddu, in su Comunu de Assemini, in Provincia de
Casteddu e s’àteru s’agattara a Macomere, in Provincia de
Nugoro. C’est pro finzas una pedida po ndi realizzai unu àteru
a Sassari. Po’ immoi in Sardigna su Pranu Regionalli pro sa
Gestioni de is Arrefudus prevediri scetti duus impiantus de
trattamentu. In su segundu, cussu de Macomere, in sa zona
industrialli de Tossilo, sa Regioni e sa Provincia de Nugoro,
anti approvau su progettu definitivu e sa Provincia competenti ari emittiu s’Autorizzazioni Integrada Ambientalli (AIA),
‘ca prevediri sa realizzazioni de un ateru impiantu pro su
trattamentu de is refudus.
Su problema prus mannu est depidu a is emissionis in s’atmosfera dae s’inceneridori; chi no funti trattadas beni,
segundu sa ley, podint produxidi sostantzias perigullosas pro
s’ambienti e sa genti. In particulàri, s’impiantu po’ trattai
custas emissionis in s’ària depinti garantiri unu callentamentu
T
zia Rosaria, ma totus in bidda dda tzerriànt tzia Rosa,
biviàt in su bixinau de pratza de iscola, conotu puru
comenti de “su bixinau de su grifoni”. Fiat fiuda de
trint’annus de tziu Luiginu Bellocci, nominigiau Tassa, e su
motivu de custu nòmini est fàcili a cumprendi. Sa vida de tzia
Rosa no fiat istètia tropu bella e fortunada, s’ùnicu fillu chi iat
tentu si fiat mortu candu teniàt cincu mesis po culpa de una
callentura Maltese, aici dd’iant nau is dotoris. Su pobiddu, tziu
Luiginu, chi traballàt comenti de serbidori, pascendi is brebeis
de sa famìlia Punteddu, po nexi de una maladia chi iat atacau
su tallu, iat pèrdiu su postu, e no sciendi fai atru che su pastori,
fiat abarrau disocupau, e po su dispraxeri si fiat ghetau a bufai
e a s’imbriagai. Mancu mali ca fiat de binu bonu, e candu si
pigàt sa coghera ddi pigàt a arriri e a cantai batorinas. Dònnia
tanti ddi capitàt de si fai calincuna giornada de traballu, andendi
a agiudai a mùlliri o a pàsciri a calincunu pastori malàdiu o chi
teniàt problemas, e aici si guadangiàt unu pagu de lati o
calincuna piscedda de casu chi issu puru agiudàt a fai, o mancai un’arrogu de petza de brebei, candu ndi macellànt. De certu
perou totu custu no bastàt po tirai ananti sa famìlia, e po cussu
ci pensàt tzia Rosa, datu chi s’arrangiàt a cosiri e a fai mìgias
de lana, chi bendiàt a sa genti, e no mancàt puru de fai lissias,
sciacuendi is pannus ne is arrius de bidda, in sa “Spèndula”, ne
“is Molinus”, o in “s’arriu de is istrigas”, insoma eis
cumprèndiu, ca si donàt de fai de totu, po fai una vida onesta e
decorosa e chene pediri nudda a nemus. S’ùnicu lussu chi tzia
Rosa si permitiàt, fiat cussu de is pisitus, fiant sa passioni sua.
De candu fiat piciochedda no ndi fiat mai mancau unu pisitu in
domu. Su primu chi iat tentu, fiat istètiu unu pisiteddu chi dd’iat
arregalau una tzia, sa dì chi iat fatu sa prima comunioni. Fiat
unu bellu pisitu mascu, de colori nieddu, a piu lùcidu e grandu
cassadori de topis e de cabixetas. A custu pisiteddu de nòmini
dd’iat tzerriau Musu, dda sighiàt a dònnia logu po fintzas candu
andàt a agiudai a su babbu a segai canna, chi poi bendiànt a
chini depiàt furriai parti a sa crobetura, po fai sa cannitzada, in
su mentris chi issa agiudàt a afasciai sa canna, su pisiteddu
abarràt in giru circhendi de si cassai calincuna cabixeta, e mancai calincunu pilloneddu Papamusca o Cadrallina chi andàt a
bufai àcua a s’arriu. Tzia Rosa s’arregordàt ancora de cussa
cadrallinedda chi Musu iat aciapau, e chi ancora bia, ma ferida,
c’iat portau a domu, dd’iat curada e po medas annus dd’iat
tenta aintru de una gabiedda. Una grandu amicìtzia fiat nàscia
tra Musu e sa cadrallinedda, e medas nottis candu no fiat tempus
de currera, Musu si crocàt acanta de sa gàbia, parriàt fendi sa
guàrdia. Sa passioni po is pisitus fiat nàscia aici, e no dd’iat
mai abandonada. Si depit nai ca is pisitus, in cussus tempus no
serbiant scèti po fai cumpangia, ma serbiànt puru po cassai
topis, chi in dònnia domu no mancànt, e po sa genti de
campànnia a tèniri unu pisitu fiat unu òbligu, poita arreguànt
su trigu, sa fà o su cìxiri ne is sobàrius, e is topis fiant is nemigus
prus perigulosus. S’ùltimu pisitu chi a tzia Rosa fadiàt
cumpangia, fiat una bella pisita niedda, cun dd’una mància
bianca in conca, de nòmini dd’iat postu Mòngia, poita fiat
niedda comenti de su bistiri de is mòngias, e de is mòngias
teniàt puru sa seriedadi. Fiat una pisita calma e pagu bandulera,
s’ùnica borta chi fiat abarrada gràvida iat fatu duus pisiteddus
chi perou fiant nàscius mortus, e de cussa borta no fiat prus
sucèdiu. Si fiat aici cumprèndiu ca Mòngia fiat bessida istèrili,
e non andàt ni mancu in calori, poita cussas bortas chi is pisitus
mascus de su bixinau circànt de alluntzai pramu, issa si furriàt
a sa temperadura de 850 °C pro eliminai is diossinas (PCDD),
‘ca podint provocai is tumoris. Is ateras sustantzias prodixidas
dae unu inceneritori de refudus funti sa prui (Ptot), is
cumpustus dae s’azotu (NOx), dae su zùlfuru (SOx) e meda
ateras (CO, HCl, Cd, Ti, Hg, idrocarburos, COV), ‘ca su gestori dae s’impiantu deppiri monitorai d’ogna die o una o
prus bortas a s’annu sighendi precisas normas de ley o
tecnicas. Su problema dae sa seguresa de ‘impiantu est depida,
in massima parti, a is controllus chi deppinti effettuai s’ARPA (Agentzia Regionalli pro sa Protetzione dae s’Ambienti),
sa Provincia cumpetenti, is Comunus, su CFVA ‘e is ateros
ufficios. Bisongiara ‘ca is resultados dae su monitoraggiu
ambientalli dae s’aria, dae is acquas, dae is alimentos
produxidos in sa zona sianta rendidus publicos; sa
trasparentzia in sa gestioni de qualidadi dae unu impiantu
po’ abbruxiai refudus est una de is cosas prus importantis pro
garantire sa salludi dae su pobulu.
In su Marghine, in sa zona de Macomere, Bortigale e ateros
Comunes, s’incidentzia tumoralli est meda atta, a cummenti
demonstrant is istudios conoscidos y pubblicados dae sa ASL
MONGIA
di Gigi Tatti
a mossiai e a scarrafiai, e is pretendentis cumprendiànt luegu
ca no nci fiat nudda de spigai e si nci andànt cun sa coa abasciàda
e delùdius de s’aventura fallida. A nudda serbiànt puru is cantus
de invitu notturnus de asuba de is crobeturas chi is pisitus
innamoraus ddi fadiànt. Forsis fiat puru po cussu chi Mòngia
cun s’edadi fiat bessida sèmpri prus bella, prus niedda e prus
lùcida, passàt merìs interus a si lucidai su piu, certas dis cun su
reflessu de su soli, parriàt ca dd’iant passau asuba “Nero Diavolo.” In s’istadi si poniàt asuta de su scannixeddu de tzia Rosa,
a s’umbra, po tèniri friscura, in s’ierru inveci fiat sempri acanta
de sa forredda, o puru, fata a cocoi si poniàt asuba de is genugus
de tzia Rosa, chi in su mentris fadiàt mìgias, chi mancai
pensionada cun sa minima sighiàt a fai, no po dd’as bèndiri,
ma po acuntentai calincunu de su bixinau, o calincunu conoscenti. Aici Mòngia e tzia Rosa si fadiànt cumpangia e calenti
una cun s’atra, e aici su tempus passàt . In cussu tempus Mòngia
teniàt doxi annus, e sigumenti si narat ca dònnia annu de unu
pisitu ballit seti annus de unu cristianu, boliàt nai ca Mòngia
teniàt otantaquatrannus, teniàt insoma sa pròpia edadi de tzia
Rosa, e forsis fiat puru po cussu chi andànt aici de acòrdiu e si
cumprendiànt mancai chene fueddai.
Su tempus passàt in tranquilidadi, e cun cussu andatzu, ma
cuss’annu su dixannoi de Gennàrgiu no si dd’iat ai scarèsciu
mai.
In bidda, in cussa dì si faint is fogadonis de Santu Sebastianu,
chi est puru su patronu de sa bidda, e sa Crèsia manna a issu
est dedicada. In dònnia bixinau fiat de moda a fai su fogadoni
e a fai sa isfida a chini ddu fadiàt prus mannu, e candu calàt sa
prima braxa, fiat in usu a si riunì tra bixinus po festegiai in
cumpangia, bufendi binu nou, o arrustendi calincunu arrogu
de petza de angioni o de proceddu, calincunu conillu, una
schidonada de anguidda, sogas de sartitzu friscu, castàngia o
mancai calincunu pisitu, chi in cussu mesi funt bellus e grassus.
A pustis cassaus si bocìant e si sciacuànt cun axedu e si poniànt
a cunfetai cun allu sali e perdusèmini totu sa notti in foras in su
serenu. Chini at tentu sa gana e su coràgiu de tastai cussa petza,
narat ca aici saboria no nci nd’est atra. In su bixinau de tzia
Rosa su fogadoni si fadiàt in su spiatzu de aundi fiat su grifoni
de s’àcua. S’annu puru, is giòvunus iant circau de domu in
domu, sa linna po pòdiri fai una bella figura e fai unu fogadoni
comenti sa traditzioni cumandàt, mannu, cun asuba fascinas
de murdegu e cun asuta cotzinas de matas de mèndula e de
ciurexu, truncus de oioni, modditzi e ùvara, in su pinnatzu fiat
òbligu a pòniri una nai de aràngiu, totu po arrespetai sa stòria
chi narat ca a Santu Sebastianu dd’iant martirizau acapiau a
una mata de aràngiu. Cussas dis iat fatu unu tempus fridu, cun
bentu fastidiosu de tramuntana e stranamenti Mòngia iat
abandonau su calenti de sa ziminera e si fiat torràt a pòniri su
vitziu de giretai in is crobeturas de su bixinau. Tzia Rosa iat
pensau ca forsis Mòngia iat disigiau de fai sa conoscentza cun
cussus pisitus giòvunus e pimpantis chi currulànt a tressu in su
bixinau, ma no fiat aici.
Su merì a scurigadroxu, candu iant allutu giai su fogadoni, tzia
Rosa si fiat acruziàt po biri e po si calentai acanta de su fogu, e
(Azienda Sanitaria Locàle) de Nugoro po’ su distrittu sanitariu
de Macomere. Sa preoccupazione dae sa genti po’ sa salludi
de is pippius e de is mannos est giustificada.
Is Comunus de s’Isola anti ammeliorau meda su sistema de
sa raccolta differenziada de is refudus; sa ley no si nardada
‘ca toccada produìre prus pagus refudus in domu propria,
mancai sianta giai diminuius a causa de sa crisi economica…
Insara no si cumprendiri diadèru poitta sa Regioni (Autonoma) de sa Sardìgna appara approvau s’impiantu nou de
Tossilo, ‘ca ara essi prus potenti de su ‘ca est funtzionendi
immou; toccara diaderus a timmiri ‘ca pro alimentai
s’impiantu de Macomere, cummenti iara bolli s’Istadu
italianu, ara toccai a arriccidi refudus de ateras regionis de
Italia.
Sa zona de Bortigale e de su Marghine iara deppi essi
valorizzada y tutelàda cun ateras politicas de isviluppu de su
territoriu; a sa fini diaderu no si cumprendinti is arrexionis
de sa Regioni de sa Sardìgna, ancora una borta meda attesu
de essi Autonoma y capàzzi de esprimi una seria, arrejonàda
e coerenti politica ambientalli.
po scambiai quatru fueddus cun is bixinus e po si papai mancai
un’aràngiu, poita narànt ca portàt saludi e fortuna. Aici iat pòtziu
notai una pariga de giòvunus, de cussus chi iat donau medas
bortas mìgias, o cosiu o incurtzau pantalonis o giacas, ca teniànt
postu a parti una bella schidonada de tratalia de angioni e poi
un’atru schidoni cun dd’unu animali infrissiu chi parriàt unu
conillu, ma tzia Rosa castiendi mellus, iat biu ca sa conca fiat
tropu tunda po essiri de conillu, e poi unu de cussus piciocus a
pena iat apubau a tzia Rosa, iat cumentzau a fai cun sa buca
“miao miao” e totus is amigus iant cumentzau a arriri che macus.
Cussa chi perou non iat arrìsiu meda fiat tzia Rosa, poita iat
cumprèndiu totu, e su sànguni ddi fiat sicau ne is venas e ddi
fiat bessiu marigosu che velenu. Chene saludai nisciunus, ci
fiat torrada a intrai a domu chene ni mancu tastai s’aràngiu, e
custa fiat sa prima borta chi ddi capitàt in sa vida. Sa domu
dd’iat intèndia prus frida e prus buida, su cuebi de Mòngia acanta
de sa ziminera parriàt ancora calenti, e castiendi cussu, ddi fiant
caladas duas làgrimas calentis comenti de s’arregordu de
Mòngia. Is piciocus de “su bixinau de su grifoni” chi prima iant
arrìsiu in faci a zia Rosa, a pena dd’iant bia torrendi a domu
sua, trista e afligia, iant cumprèndiu sa tontidadi chi iant fatu, e
su pentimentu dd’is iat arrovinau sa cena, e sa notti de scialla e
de baldòria programada fiat finia mali, e sa petza de Mòngia
fiat abarràt a si sicai in su schidoni. Tocàt a circai un soluzioni,
po pòdiri arrimediai a custu sbàliu. A pustis una pariga de dis, a
scurigadroxu, tzia Rosa iat intèndiu unu bussu a sa porta,
aberrendi iat agatau apogiau a unu gradinu una scàtula cun
dd’unu billetu atacau cun iscritu “per zia Rosa”. Incuriosida po
sa cosa, e no cumprendendi chi podiàt èssiri su mandatàriu, ci
fiat intràt a domu, e aberrendi sa scàtula iat agatau una bella
peddi niedda conciada, chi iat conotu a su tocu ca fiat sa peddi
de Mòngia, a intru de una scàtula prus pitica, ddoi fiat unu bellu
pisitedddu nieddu comenti de Mòngia, e unu billetu scritu chi
domandàt iscusa e pediàt perdonu po su chi iant fatu, cun sa
sperantza de ai postu unu mìnimu de arrimèdiu a su chi iant
cumbinau. Su billetu fiat firmau “Is piciocus de su grifoni”.
Tzia Rosa iat pigau su pisiteddu in manus e ddi fiat torrau s’arrisu
e su prexu, is pisitus comenti de sempri dd’iant fata prexada.
Chene mancu ddu castiai asuta, iat cumprèndiu ca su pisiteddu
fiat mascu, e castiendiddu beni ddi parriàt de torrai a bit su primu
pisiteddu chi iat tentu de piciochedda, fiat sìmili a Musu e cussu
nòmini dd’iat torrau a pòniri. Iat luegu pensau ca Musu fiat su
primu pisitu chi iat tentu, e forsis biendi s’edadi chi issa teniàt,
iat èssiri puru s’ùltimu. De sa dì Musu iat cumentzau a crèsciri
acanta de tzia Rosa. Sa peddi conciada de Mòngia asuba de is
genugus in s’ierru ddi fadiàt calenti e praxeri, e passendiddi sa
manu caritziendidda, ddi parriàt ancora de intendi su suidu de
Mòngia. Si, a cussus piciocus ddu s’iat perdonaus. De cussu
annu in su fogadoni de “su bixinau de su grifoni” pisitus
schidonaus no si fiant torraus a biri, e Musu iat pòtziu bìviri in
tranquilidadi, passilendi prexau asuba de is crobeturas de is
domus. Ancora oi, si castiais beni si podint biri is nebodis de is
nebodis de Musu passilendi chene nisciuna timoria, po fintzas
in su mesi de Santu Sebastianu. Tzia Rosa iat bìviu ancora medas
annus cun saludi, e ancora calincunu po arregordu tenit is mìgias
de lana fatas de issa. Sa peddi conciada de Mòngia dda tengu
deu, e mi fait arregordai custu contu de Mòngia, de is pisitus de
tzia Rosa, e su fogadoni de “su bixinau de su grifoni”. Oindì, su
grifoni no nc’est prus, est abarrau sceti su nòmini, su fogadoni
non si fai prus poita sa strada est istètia asfaltada. Pecau.
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20
1 marzo 2016
Su sadru chi seus pedrendu
Sa mitza de su cãi
Scracàlius
di Gigi Tatti
Contixeddu de Venanziu Tuveri furriau in sadru de tziu Arremundicu
I
n tempus passau in su
padenti nci fut prus paxi e
mudori, strobau, de su cantu
de pilloneddus, apataus me in
is fundus de mudegu, de
modditzi, de muta, me in is
nais àtas de oiõi, ciuexu,
lionarxu e ollastu ca fiant
sempiri bidris e, frozis,
batallànt scambillendusì
penzamentus e arrexõis. No
fut u padenti chi no fadìat a
ddoi intrai nou, ma u padenti
chi presentat màtas e prãus
cun crachiris, ma su ‘mprus
erba frisca pascia de cuncua craba aresti. No ddoi adìat moris, ma arrastus lassaus de animabis
chi andant a s’acuai in d’u arrieddu pagu fungudu chi arribàt finas a mari. Cunc’uota si biat
anguidda chi pesàt in s’arrieddu po cicài, bai e cica ita. Acua, cussa cosa chi donàt e dònat
vida a is animabis e a is cristiãus e chi, sen’e cussa no iant a bivi. Andàt po chilometrus mèda
e nascìat in su sàtu acant’e sa ‘idda. Sa mitza, abì nascìat, crocobàt aziendindi s’anei fini fini
chi s’aposentat in su fundu, ua pàti nce dda tiràt s’arrieddu, chi ingúi nascìat. De sa ‘idda a sa
mitza ddoi fut u mori abì passant cristiãus, animabis, carrus e totus si frimant a bufai o si préi
is burracias o fraschitus, acua po sa dì de traballu in su sàtu. Fut ligera e frisca e parrìat chi
donessat frotza a chi ndi bufàt cument ua benediziõi de su xeu, po cussu sa mitza fut arrispetàda.
Is annus si fiant contaus a dexinas e a dusías, medas padentis e crachiris de linna fiant sparessius,
lassendu su logu a cungiaus po arai e a ua bia prus lada po fai passai machinas e tratoris, ma
sa mitza sighìat a donài acua a chi tenìat sidi e sighìat a si tzerriai cumenti totus dd’iant
connota: Sa mitza de su cãi. Adella, sa dì, iat pedìu a sa mama de d’acumpangiài a fai ua
passillada in su sàtu po provai sa bricicheta chi dd’iant arregallau is aiaius, issa nce dd’iat
potada in cussa ìa bella e sen’e su perigulu de is machinas. Si fiant frimadas, cumenti fadìant
candu andant a pei, anant’e sa mitza. Adella iat acotzau sa bricicheta a sa cresura e si fut
incrubada a bufai duus o tres ‘uncõis de acua bella e frisca. Torrendu acou si fut acatada de
cussu piciocheddu setziu in terra acotzau a ua màta, chi fiat castiendiddas citìu. «Ita ses
fadendu?» dd’iat pedìu, su piciocheddu iat atziau de coddus cument’e nai ca no fiat fadendu
nudda. Marieddu fut setziu ingui po cumprendi, poita ca ua fabula contàt ca uota, in tempus
atès’atesu de nosu, ua cãi, acant’e angiai, si fiat frimada po si pasiài u pagheddu, ma su
‘mprusu po sa basca mèda e su sidi. Potat sa buca sciuga, iat’essi ofiu u tzichedd’e acua, ma
ingúi no nd’adìat. Si fus crocada in s’umbra de
u crachiri de modditzi, fiat tropu su sidi e no
tenìat sa frotza mancu de giannitai, scèti cun su
penzamentu pedìat acua. Sa ligenda nàrat ca si
fiat intendiu u stragatzu e sa terra si fut apeta
lassendu bessì ua schissietad’e acua, spaíendusì
in terra acant’e sa cãi, chi iat potziu bufai. Sa
genti, passendu in su mòri, iat biu cussa mitza
po sa prim’ota e si domandant cumenti mai fut
cumpàta ingúi fadendu nasci cussa cora. E biant
sa cãi cun is callelleddus acanta e dda fueddanta
e ddi lassant cos’e papai: pãi, ossus… Finas a
candu cuncunu no nd’eddus’iat pigaus a “fill’e
anima”. Po cussu iant nomenàu cussa mitza: Sa mitza de su cãi. Si dd’iat contau s’aiaiu u
mericeddu de ierru papendusì u mossi’e pãi cun satitzu acant’e sa ziminèra. E imou Marieddu
andàt a si setzi ingúi cun sa spera de bì arribendu su cãi suu, sparessiu de ua xida. Sparessiu,
sen’e lassai arrastu. No cumprendìat, s’iat’essi pedriu, ma totus narant ca u cãi no scarescit
mai sa ìa de domu; speràt chi no nd’edd’essat cassau cuncua machina.
A sa cabad’e su sobi fiat torrau a domu sua. E fiat torrau ancora is dìis apustis, e si fut setziu,
pabas a sa mata. Totus ddi domandant ita fiat fadendu e cussu arrespondìat a totus cun d’ua
arziad’e coddus. Scèti a Adella ua dì dd’iat nau: «Seu abetendu su cãi miu.» «Téis u cãi?»
«Est sparessiu cida passada…» «E dd’aspetas acant’e sa mitza?» Insaras Marieddu dd’iat
contau sa fabula de sa mitza e de sa spera sua chi Cafèi, aici dd’iat tzerriau de nomini poita ca
s’amachiàt a su fragu de su cafèi, intendessat su fragu de s’acua e curressat a ingúi. E iat
contau a Adella de totus is giogus chi fadìant impari. Adella e sa mama dd’iant saludau e iant
sighìu sa passillada, Marieddu fut abarrau innì cun sa spera chi sa mitza de su cãi essat fatu su
meraculu de fai torrai a Cafèi suu stimau. No nci fut stetiu nisciunu meraculu e, a sa cabad’e
su sobi, fut torrau a domu.
Fut torrau a s’incrasi e apustis, onnia dì. Finas a candu ddi fut pàtu de intendi u stragatzu, giai
u ntzunchiu. Su ntzunchiu de su cãi suu chi, atzopiendu e cichendu de cuetai benìat a
dd’atobiài... Ecus! fiat propriu cussu Cafèi! Marieddu si ndi fut strantasciàu cument’e u scuètu
fiat cùtu a dd’atobiài. Dd’iat imprassau a strintu cument’e u fradi. Cafèi fiat torrau! Potat u
arrogh’e fúi a su tzugu chi depit’ai segau a mossius, e u scorriu in sa camba chi coberrìat sa
petza bia. Su piciocheddu iat scapiàu sa fúi e acostau su cãi a sa mitza po ddi sciacuai sa
camba e su bruncu, pois dd’iat pigau in bratzus e fiat andau a domu sua prexau, no tristu
cument’e is disi passadas. De sa ìa e totu iat tzerriau sa mama chi fiat cùta luegus. Biendu sa
ferida «Lassa fai a mimi - dd’iat nau- s’at fàtu penetenziai cichendudì, ma imou ses torra cun
nosu. Tui Marieddu cicaddi cos’e papai e u tzichedd’e acua.» Cafèi, mot’e famini, iat sgalubiàu
luegus su chi dd’iat donau Marieddu. In pagu tempus fut sanàu e torrat a curri e satài cun su
merixeddu cument’e primas.
Ua dì, Marieddu, iat penzau ca fut tempus de ddu potai a sa mitza po dd’arringraziai de dd’ai
fat’agatai su cãi. In sa mitza, in su mentris chi donàt a bufai a su cãi, fut arribada Adella cun
sa mama, «As torrau a agatai su cãi?» dd’iat pedìu sa pipia, «Bisi - dd’iat arrespostu - potat su
simbiu de su cabori de is pius tuus, est bellu mèda. Béi Cafei, custa est ua amiga mia bella
mèda issa puru…» Sa mama iat arrisu asuta asuta a cussus fueddus, frozis fut nascia ua
amistadi noba!
A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu.
Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus
“scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus
passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu
pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca
cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni
scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia.
Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a
ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus.
Unu tipu nudu intrat in dd’un bar
Su Tipu Spollau: Ghetimì un bella tassa de birra frisca.
Su Barista: Si. Ma prima fatzimì biri aundi portat arreguau su dinai po pagai!
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Tzia Clodovea cun su Dermatòlogu
Su Dermatòlogu: De ita problemas sunfrit?
Tzia Clodovea: Pobiddu miu, mi narat sempri ca portu sa peddi chi tenit fragu malu.
Su Dermatòlogu: At provau a si sciacuai?
Tzia Clodovea: Sissi. Ma a pustis de unu mesi, sa peddi torrat a fragai coment’e prima.
Su Dermatòlogu: Ma s’àcua a su mancu dda càmbiat?
Tzia Clodovea: Miga sempri. Ge ddu scit ca s’àcua costat tropu cara!
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Duus imbriagus funti buffendi in dd’unu bar
Su primu imbriagu: Ma ita ti narat pobidda tua, candu pinnicas a domu imbriagu?
Su segundu imbriagu: Ma là ca deu no seu coiau!
Su primu imbriagu: Ma insandus poita t’imbriagas!
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Marieddu est cun su babbu Venanziu
Marieddu: O babbu, fostei ca scit sempri totu, ddi potzu domandai una cosa?
Venanziu: Certu! O Marieddu, no po mi bantai ma cosas ge ndi sciu abastantza. Naramì ita
bolis sciri
Marieddu: M’ia a praxi a sciri po cali motivu, candu a mangianu mi lùngiu sa marmellada in
dd’una fita de pani, chi mi nci arruit a terra su pani pigigat a terra sempri sa parti aundi apu
luntu sa marmellata.
Venanziu: Est meda sèmplici fillu miu.
Marieddu: E insandus babbu spiegamiddu.
Venanziu: Poita tui, fillu miu, lungis sa marmellada sempri a sa parti sbaliada!
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Mariuccia cun Severina
Severina: Candu fatzu is annus, pobiddu miu mi fait de cussus bellus arregallus chi mi faint
sempri prangi.
Mariuccia: Biada tui! E ita t’arregallat de aici bellu e comoventi?
Severina: Unu bellu matzu de cibudda!
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Tzia Margheritedda fueddendi cun dd’unu Carabinieri
Su Carabinieri: Poita at fatu sa denùntzia e m’at tzerriau?
Tzia Margheritedda: Poita c’est unu piciocu chi dònnia dì, si fait su bànniu spollincu in su
flùmini, e si bit atesu totu sa mercantzia. Est un scàndulu. Castit fostei puru ca ddoi est imoi
puru
Su Carabinieri: Ma o Tzia Margheritedda, ma chi su flùmini est a tre kilometrus de innoi,
comenti fait a ddu biri?
Tzia Margheritedda: Poita deu ddu càstiu cun su binòculu. Castit fostei puru ca si bit craru
craru.
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In dd’unu giornali si ligit ca funt circhendi un volontàriu coragiosu po su collaudu de un
Aereo Supersonicu. Si presentat un Sardu unu certu Balducciu.
Su Pilota: Se la sente per fare il triplo giro della morte?
Balducciu: Certu, che me la sento! Deu seu unu Sardu coragiosu. No timo niente!
Su Pilota: Allora partiamo.
MENTRE VOLANO
Su Pilota: Adesso facciamo il primo giro della morte. Se la sente?
Balducciu: Certu, che me la sento. Fatzat puru: sono tranquillo. Deu seu Sardu coragiosu.
Su Pilota: Bene. Allora facciamo il secondo giro della morte. Se la sente?
Balducciu: E certo che me la sento: Fatzat, ca io no timo nudda. Deu seu Sardu coragiosu
Su Pilota: OK. A questo puo facciamo il più difficile, il triplo giro della morte Se la sente?
Balducciu: OK. Certo che me la sento. Faccia, seu Sardu e coragiosu. come lo devo dire in
Italiano?
Su Pilota: Sì, me lo dica in italiano che capisco meglio. Se la sente?
Balducciu: Allora basta così. Ma la sento, che mi sta uscendo la cacca nel colletto della
camicia!
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Tziu Albericu est in vìsita aundi de su Neurologu.
Su Neuròlogu: Ita problemas tenit?
Tziu Albericu: Mi scarèsciu de totu. No m’arregordu de nudda.
Su Neuròlogu: A pustis cantu tempus ddi sucedit custa amnesia?
Tziu Albericu: Luegus. Mi bastant tres minutus, po mi scaresci de totu.
Su Neuròlogu: Ah, insandus chi est aici, paghimì prima e imediatamenti sa vìsita!
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Giasoni est fueddendi cun Piercarlo
Piercarlu: Oi apu scrobetu poita sa chiusura de sa bragheta de is pantalonis si tzèrriat “chiusura lampo”.
Giasoni: E comenti ddas fata custa scrobeta?
Piercarlu: Fia pisciendi a palas de una mata de ocalitu, e est passada una bella picioca.
Giasoni: E t’at biu sa pitzillota?
Piercarlu: Ellu, m’at biu totu. Fia scratzonau a bragheta aberta e at nau a boxi alta “Lampu!”
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1 marzo 2016
LA SARDEGNA NEL CUORE
21
di Sergio Portas
“Maskaras” di Bandinu e Sanna,
un documentario senza tempo
sui riti del carrasegare
e ciò che si cela dietro una maschera
T
empo di Carnevale e di mascheramenti, non fosse altro che per rimarcare che il Carnevale sardo è altra
cosa di quello ambrosiano, il circolo culturale milanese, presiede Pierangela Abis, invita due intellettuali isolani, il bittese Bachisio Bandinu e Piero Sanna di Benetutti
a presentare un loro lavoro datato 1983, un video in bianco
e nero a titolo: “Maskaras”. Sanna ne è il regista ovviamente, che è il mestiere portato avanti con tenacia pur nella contemporanea militanza nell’arma dei carabinieri, quando
l’avevo cercato per un’intervista nella caserma di via
Solferino a Milano avevo dovuto chiedere del “maresciallo
Sanna”, suo il lungometraggio “La destinazione” del 2002
che ha vinto numerosi premi e ha avuto critiche lusinghiere
(si può vedere integralmente su You Tube). Bachisio
Bandinu è scrittore e giornalista, è stato direttore de “L’Unione Sarda”, dirlo antropologo è chiuderlo in una definizione
troppo stretta, si interessa da sempre della cultura tradizionale della Sardegna (specie quella interna, barbaricina), della
sua repentina trasformazione negli ultimi anni, si occupa in
particolare di questioni d’identità culturale e politica.
Esordisce nella saggistica con un libro scritto assieme a
Gaspare Barbiellini Amidei: “Il re è un feticcio” (è del 1976,
la Ilisso di Nuoro lo riproporrà nel 2003), anche lì venivano analizzati i rapporti tra il mondo tradizionale della pastorizia e la società dei consumi che faceva il suo timido
ingresso in Sardegna. Bachisio è uno di quelli che teorizzano
che non basti nascere in Sardegna per potersi definire sardo. Sia lui che Sanna hanno avuto la ventura di costruirsi
una carriera professionale in continente, Bandinu è stato
insegnante per diversi anni tra Varese e provincia, Sanna
che si è diplomato alla Scuola Civica di Cinema di Milano
ha collaborato per anni con Ermanno Olmi. Ambedue godono di quel privilegio, parafrasando Husserl, che consiste
di poter “mettere tra parentesi” ciò che si conosce della
Sardegna (ovvero sospendere il giudizio, atto da lui definito in greco epochè), ne consegue una libertà di critica nel
senso più alto del termine, in cui i processi di riflessione
hanno l’intento di formare giudizi solidi mediante osservazione, esperienza, ragionamento e comunicazione. Bandinu
ad esempio ama spendere la sua acquisita professionalità
nei campi più disparati, è direttore responsabile del notiziario dell’associazione “Cresia” (Cresia.net), nato nel quartiere cagliaritano della Marina dopo la sollevazione dell’incarico al parroco don Mario Cugusi.
Ma torniamo a “Maskaras”, un documentario senza tempo,
lo dice Bandinu, il film si giustifica di per sé, è pura
gestualità, e il mio testo che intercala le varie sequenze è
sempre interpretazione. Girato com’è ai primi degli anni
’80 ha un valore documentario quasi di pura testimonianza,
che trent’anni sono un tempo sufficiente per poter fare dei
confronti, poter dire “come eravamo” e se da allora qualcosa è cambiato e in quale direzione. Sfilano i Mamuthones a
Mamoiada (Bandinu è stato mamuthone ad honorem nel
2012, quest’anno l’onore è per Caterina Murino, mooolto
più carina), le maschere di pero selvatico squadrano nasi e
occhi incavati. “La maschera non è una roba che ti metti e ti
togli. No. La maschera sarda è tragica. Nel “Carrasegare” si
sacrifica qualcosa, o qualcuno, qualche animale, si taglia
della carne. Col mascheramento si opera una vera e propria
metamorfosi: tu cambi completamente, magari diventi bove.
Chi è la maschera e chi è l’uomo? Bisognerebbe avere l’avventura di guardare, attraverso quei solchi che sono occhi,
dall’interno della maschera per avere una percezione del
reale più vera. Trent’anni fa in corso Buenos Aires, a Milano, sfilarono maschere provenienti da tutto il mondo, ebbene c’erano anche i Mamuthones: essi non erano nello spirito delle altre. Erano altra cosa. Questi sonagli dal suono
inquietante, ad Austis al loro posto le maschere scuotono le
ossa, in testa ramoscelli di corbezzolo, c’è la vita, morte e
rinascita. I Turpos di Orotelli diventano ciechi per parlare
con gli Dei.
Perché il sardo si maschera e da quando? Documentazione
storica non ne esiste, Agostino nel 3° secolo dopo Cristo
scrive che i sardi amano travestirsi, c’è un processo di
cristianizzazione del rito, a Mamoiada l’inizio è per “Santu
Antoi ‘e su focu”. Queste maschere sono Dei. Scorrono i
fotogrammi, ognuno dei quali, nella sua fissità, è un quadro
di per sé: Merdùles e Boes, sa Filonzana. Pastrano nero
d’orbace e gambali. Campanacci col loro peso di schiavitù.
Escono dal loro tempo storico per entrare in quello mitico.
Si rinuncia alla propria identità. Il tempo avvertito come
ingovernabile, come 4.000 anni fa. La vestizione è un vero
e proprio rito sacro. Mastruca, la berretta sarda, su
muccadori. Il travestimento violenta il corpo umano. I legacci di pelle cruda sono stretti. La maschera non rivela
uno stato d’animo.
Gli Hissocadores con “sa veste de turco” hanno corpetti colorati di rosso vivo, è possibile che mimino una situazione in
cui dei prigionieri mussulmani venivano fatti sfilare legati. È
la narrazione di un destino. Non c’è una recita, è un’esperienza diretta. Inedita, indecifrabile. Tutto il corpo è mascherato. Il rito è di propiziazione e salvezza. Tutto è naturalezza
e improvvisazione. Solo in Sardegna ci si può trasformare,
non mascherare, in bue. Ci si getta a terra, pancia in giù,
nell’atto di farla procreare. Anche i bimbi partecipano da protagonisti. La Filonzana, vera e propria “accabadora”, torce il
filo della vita. E può tagliarlo a suo capriccio, nerovestita,
maschera nera che notte senza luna. A Orotelli i Turpos, i
ciechi, calano il cappuccio sui volti neri di sughero affumicato. Mascherarsi è un destino. Il giogo cala sul dorso e un aratro di legno attende la loro metamorfosi. Il ritmo lento è scandito dagli scarponi. Gli uomini-buoi tirano l’aratro. Sacerdoti di un rito senza tempo. La violenza si sprigiona terribile,
improvvisa. Il bovaro tira la fune e ha in mano il pungolo che
usa spesso, ordine del potere. Picchiano, urlano, aggrediscono. È un essere posseduti dallo Spirito. Il ballo ricompone
l’umanità di uomini e
buoi. È la storia del
gruppo sociale, il ballu tundu, che si stringe e si allarga come
fosse un respiro. A Mamoiada il mamuthone incede quasi di
inciampo, un colpo di spalla e una battuta del piede contrario. Gli Hissocadores hanno balzi più agili, ogni tanto il loro
lazo, la soca, imprigiona uno degli astanti, per essere liberati
tocca pagare da bere. Nessuno comunque parla durante la
sfilata, Solo l’unisono dei campanacci scandisce l’incedere
del gruppo. Sono 30/40 chili di campanacci che fanno entrare in uno stato di trans e di estraneamento, anche perché i
legacci che stringono il torace comprimono il respiro. Gli
indumenti sono, alla fine, religiosamente custoditi per l’anno
dopo.
Se c’è stato un tempo in cui gli uomini, tutti, credevano
nelle maschere, in Sardegna quel tempo è ancora nostro.
Che questa è una terra di tradizioni religiose in senso lato,
Marisa Iamundo De Cumis, di Dualchi (il paese di mio nonno
Cherchi) ha pubblicato da poco un libro con l’editore Delfino dedicandolo ai pani della panificazione tradizionale sarda: “La sacralità del pane in Sardegna”, 440 pagine, 1.000
fotografie a colori, schede dettagliate dei singoli pani. Non
c’è regione italiana che possa vantarsi di una simile diversità e ricchezza. Ma perché la donna non si maschera in Sardegna? Risponde Bachisio Bandinu: “Perchè essa è la maschera per eccellenza. La donna è capra. Non è pecora che
trotta seguendo il gregge passivamente. È una capra che salta
dove le pare, con scarti improvvisi, la maschera non si addice alla donna, “non dechet a sa femina”, essa è già animaledio, bestia da salto, da una sponda all’altra, da una rupe all’altra (Bachisio Bandinu: “La Maschera la Donna lo Specchio, Spirali editore 2004) pag. 119. In lei “è sempre in atto
una ipertrofia dei sensi: sente rumori non verificabili, capta
odori particolari, avverte sapori non decifrabili, ha le voglie,
le doglie e le visioni, col tatto recepisce ogni messaggio, ha
timori inspiegabili, rivela ciò che è assente e anticipa ciò che
sta per accadere. Recepisce gli influssi della luna, è acquatica”
(pag.120).
E il carnevale sardo? È un desiderio di idearsi, di farsi dio,
un desiderio d’eternità. La protome taurina che è così presente nel paesaggio dei nostri avi, domus de janas e tombe
dei giganti, dicono di un dio Dioniso che qui entra in gioco,
un dio giocoso e ubriacone che viene dalla Tracia (leggi Libano) non dalla Grecia. Il sardo tende sempre a mascherarsi,
specie nel linguaggio, la limba è usata spesso per intendersi
per camuffamento. Meglio sempre negare. Il sardo è a identità debole. Soffre la critica del paese, la critica ti denuda, ti
riduce a maschera (meglio che non fossi mai nato). E le maschere della Sardegna del sud? Fermiamoci ad Oristano: Su
Componidori è un vero e proprio sacerdote, non deve toccare terra dopo la vestizione, benedice la folla con sa “pippia ‘e
maju”. Un aspersorio di duemila viole che effonde echi di
primavera.