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81 CULTURA.qxp 14-07-2010 11:48 Pagina 145 REVIEWS Cultura Fermi tutti, mani in alto Gran romanzo sui 203mila dollari rubati (sul serio!) dalle casse degli Zep Jason Buhrmester La grande rapina ai Led Zeppelin FOTO CHARLES BONNAY Fanucci, pp. 224, euro 16,00 leggendo questa storia di jason Buhrmester, un romanzo che si inventa la vera storia della più grande rapina del rock, i 203mila dollari rubati ai Led Zeppelin nel 1973 durante un concerto, la prima persona cui mi viene in mente di paragonare l’autore è David Wasco: lo scenografo di film come Pulp Fiction e I Tenenbaum, titoli che devono una bella parte del loro successo all’opera di ricostruzione di mondi tra fumetto, storia sociale ed eterno presente. Perché per il postmoderno ciò che serve davvero è un rapporto creativo tra affabulazione da bar e precisione dei dettagli. Il cazzaro che amiamo è quello le cui storie paradossali potrebbero essere vere perché i dettagli, i diamanti della narrazione, sono veri e luminosi. Un mangianastri Sony Superscope per ascoltare album di Tony Orlando and Dawn. Un furgone con alto- parlanti JBL, subwoofer e stereo 8 Pioneer. Una mamma in vestaglia rosa coi capelli schiariti. Una bottiglia di vino rosso che cade su un tappeto color crema. Qualcuno ha definito Jason Buhrmester l’Elmore Leonard della nostra generazione e io direi che, siccome David Wasco ha fatto le scenografie di Jackie Brown, film di Tarantino tratto da Leonard, tutto torna. Jason ha fatto molte ricerche: «L’ultima cosa che volevo è che qualche coglione maniaco dei Led Zeppelin mi scrivesse per dire che Jimmy Page non portava pantaloni di un certo colore». Ma ci tiene anche a dire che conosce bene ciò di cui scrive: la piccola criminalità sfigata è il suo mondo. È cresciuto a Kankakee, Illinois, «Peggiore città americana» secondo il Places Rated Almanac: crimine, disoccupazione e violenza. «Sono cresciuto fra criminali mezze tacche. I personaggi del libro sono tutti basati su persone che conosco ed esperienze che ho fatto. Tranne, beh, rapinare i Led Zeppelin». Gli piace frequentare banchi dei pegni, negozi d’armi, palestre di pugi- lato. «Volevo che baristi, tatuatori e criminali leggessero il libro e pensassero che avevo colto quelle vibrazioni». L’altra colonna del libro è la musica: le scelte musicali dei personaggi, da Al Green agli Stones, da Bowie ad Alice Cooper, dai Black Sabbath a Iggy. Jason ha incontrato un membro dei Led Zeppelin solo una volta, a una festa per l’uscita di un disco bluegrass: «Appena arrivati, l’ufficio stampa ci portò a conoscere il produttore, un tipo avanti con gli anni in piedi in un ango- lo con un mandolino a tracolla. L’ufficio stampa ci fa: “Lui è John Paul Jones dei Led Zeppelin. Ha prodotto il disco”. Non sapevo cosa dire. Abbiamo parlato di bluegrass e di New York e poi qualcuno gli ha chiesto di suonare qualche pezzo con la band. Dopodiché se n’è andato. Potevo chiedergli della rapina, ma non ce l’ho fatta. Va bene così. Non volevo fare la figura del coglione che ci parla 5 minuti e gli fa: “Mi dici di quella volta. Che vi hanno rubato FRANCESCO PACIFICO 203mila dollari?”». SulComodino Per Patrick Sullivan, il 19enne protagonista di La grande rapina ai Led Zeppelin, portar via quella valigetta nel backstage della band inglese può essere una grande prova di riscatto. Riscatto per una vita già un po’ così nella sua Baltimora, dalla quale è fuggito per immergersi nella Grande Mela. Si ride (e si piange?) grazie anche alla bella traduzione di Tommaso Pincio. Presto arriverà anche il film. ROLLING STONE, LUGLIO 2010 1 4 5 81 CULTURA.qxp 14-07-2010 11:48 Pagina 146 REVIEWS CULTURA L’Intervista Il ruolo del performer Codice Ivan in tour con due spettacoli. Pronti a provocare Codice Ivan W.room-visitors(space) 16-18 luglio, Santarcangelo dei Teatri GMGS/lasci(AMO TUTTO) 30-31 luglio, Drodesera Fies Buttarsi Marcos y Marcos, pp. 269, euro 16,50 Vuole fare il cattivo, ma non sono sicura che lo sia. Ha un fantasma pesante da digerire ed è il suo geniale e irritabile padre. Dan, il secondogenito di John Fante, è stato descritto come un autentico fuorilegge letterario. Così appare anche Bruno Dante, il protagonista del suo ultimo romanzo: bukowskiano, bizzarro, amaro e triste, uno scrittore alcolizzato che dopo aver perso il lavoro per l'ennesima volta, inizia a fare lo chauffeur a un unico patto: restare sobrio. Intanto attende trepido e nervoso la pubblicazione del suo libro di racconti. Della tua scrittura dicono sia “intrisa di vodka” ma anche sentimentale. «Scrivo la verità della mia esperienza personale, e lo faccio attraverso gli occhi di Bruno Dante. Non ho alcun interesse a essere dolce o politicamente corretto. Credo che i lettori ogni giorno anneghino abbastanza nella cattiva tv, per cui apprezzano l’onestà e il coraggio di un buon romanzo». Domanda d'obbligo: come hai gestito l’eredità paterna? «Mio padre era un grande scrittore e uno sceneggiatore infelice. Sono cresciuto conoscendolo solo come sceneggiatore. La maggior parte della sua vita l’ha passata facendo un lavoro che detestava. Solo in seguito è tornato a fare quello che amava. La mia eredità è stata un regalo: la gran classe di mio padre come scrittore». Hai fatto il venditore porta a porta, il tassista e il lavavetri... Stai cambiando lavoro ancora? «No, no, non cambio più lavoro. Tutto ciò che faccio ultimamente è scrivere e chiedere perdono a mia moglie». Due righe per descrivere la “tua” Los Angeles. «Quando morirò, ho detto a mia moglie di cremarmi. E poi di noleggiare un aereo per volare su Los Angeles. Voglio che la mia cenere mista a merda di maiale ricopra gli Studios Universal e FLORINDA FIAMMA Disneyland». 1 4 6 ROLLING STONE, LUGLIO 2010 il pubblico, suscitando differenti reazioni tra l'imbarazzo e l'irritazione. La messa a nudo del making off arriva all'estremo di GMGS in cui annunciano ogni azione prima di realizzarla, con tono monocorde. Generati da una profonda riflessione sulla scena e sul ruolo del performer, i loro spettacoli obbligano a usare il pensiero non per capire, ma per porsi domande senza cercare risposte. Una riflessione sul teatro la loro che si allar- ga a tutto l'ambito del processo di produzione artistica in un percorso che li porta ad agire anche in gallerie d'arte e con mezzi artistici disparati. Di loro si sono accorti i centri di produzione artistica italiani di qualità e questa estate saranno sia a Santarcangelo, con un progetto ad hoc per il quarantennale del festival, sia a Dro con l'esito della loro produzione in corso. Tenete d'occhio Benno CARLO ORSINI Steinegger: è un grande! ALTRI SCAFFALI Megan Abbott Patrizia Wächter Edizioni BD, pp. 198, euro 14,00 Bompiani, pp. 232, euro 16,50 Queenpin È improprio utilizzare il verbo “leggere” per questo romanzo. Come nelle migliori trappole, basta scorrere le prime righe per caderci dentro e non uscirne più. Ha stile, e molto, molto ritmo, Megan Abbott. L'ambientazione è la classica da thriller: anni ’50, Las Vegas, una protagonista (senza nome) che passa dal ruolo onesto di segretaria contabile a quello, rischioso e inebriante, di corriere criminale. Diventa l’emissaria di una “Queenpin”, la burattinaia che regge i fili del malaffare in città. C'è tutto quello che ti aspetteresti: inseguimenti, truffe, omicidi violentissimi, ma stavolta a osservare è una ragazza, con una sensibilità inedita per il genere. Inevitabile che si innamori di un pericoloso bellimbusto, ma chi sia la vittima e chi il carnefice è tutto da stabilire. Se adorate il James Ellroy degli inizi, avete trovato la vostra donna ideale. MATTEO B. BIANCHI Papà Leo C’era una volta, a Milano, il cinema teatro Ciak. Lo dirigeva Leo Wächter: polacco, ebreo, socialista, partigiano. Sfuggito da Dachau, rifugiato a Milano. Adrenalinico, passionale impresario che credeva nel rischio individuale, nel jazz e col rimpianto di non aver mai scritturato Barbra Streisand e mai lavorato con Sanremo. Mise sotto contratto i Beatles nel ’65 (e due anni dopo, gli Stones), portò in Italia jazzisti, circensi, campioni di scacchi, giocatori di basket, la balena Jonas. A 10 anni dalla scomparsa, la figlia, tenace ufficio stampa, ne racconta la parabola umana e professionale con un linguaggio diretto e pragmatico, che talvolta lascia correre a briglia sciolta l’emotività. Ad arricchire questa biografia particolare è anche il senso perduto di una socialità partecipata, di anni pre-ripiegamento individualistico e narcotizzazione televisiva. RAFFAELLA GIANCRISTOFARO Alberto Bracci Testasecca Volevo essere Moccia La Lepreedizioni, pp. 167,euro 16,00 Una esce dal coma, l’altro ci è entrato, artisticamente parlando. Marilù era una ragazzina tossica, si è impiantata con il motorino ed è rimasta 12 anni bella addormentata per poi risvegliarsi e scoprire, senza drammi, con curiosità, che tutto intorno a lei è cambiato. Luciano ha vinto il premio Strega con l’opera prima poi più niente, crisi d’ispirazione. Tutti e due incrociano i libri di Moccia: a lei risvegliano la voglia d’amore, a lui fanno montare la rogna (per il successo). E le loro vite s’incrociano. Il libro è meno cretino di come ve lo racconto, perché è brillante e tenero e l’autore, pure traduttore della Politkovskaja, deve essere di grande simpatia. E coraggio: guardate il ritratto che si è fatto fare per la copertina. Lettura perfetta sotto l’ombrellone. E gratificante: agli stronzi vite mediocri, vite buone a chi sbanda. Tiè. FRANCO CAPACCHIONE F.T. Sandman Jim Carroll Voices, pp. 240, euro 13,00 Fa piacere doversi occupare di un libro del genere. L’anno scorso, alla notizia della morte di Jim Carroll, quotidiani e riviste specializzate non erano andate oltre uno stringato comunicato stampa, il genere di trattamento che si riserva ai personaggi di secondo piano. Il libro di Sandman restituisce finalmente alla figura Carroll lo spessore dovuto. Poeta, narratore e musicista, più di una generazione si è dissetata alla fonte della sua arte, colta e viscerale al tempo stesso. Il ritratto che esce fuori da questa biografia corale, piena di testimonianze illustri (Patti Smith, Leonardo DiCaprio, Lenny Kaye e persino Jack Kerouac) è meno torbido dell’immagine pubblica che ha sempre accompagnato il personaggio Carroll. Ma il testo è soprattutto utile per avvicinare nuovi lettori (e ascoltatori) a uno dei poeti più ispirati che l’America abbia mai avuto. EMIDIO CLEMENTI FOTO DA SINISTRA NICOLAS GUERBE E SIMONE RIDI Dan Fante dicono di essere rimasti imprigionati nel teatro volontariamente e lo stesso cercano di fare con i loro spettatori. Se con Pink Me & the Roses, spettacolo con cui hanno vinto il premio Scenario 2009, quelli di Codice Ivan scarnificavano i meccanismi della rappresentazione esaustendo il rapporto tra realtà e rappresentazione, in Give Me Money, Give Me Sex, Give Me Coffe and Cigarettes, nuovo spettacolo in corso di costruzione, chiedono allo spettatore di azzerare le aspettative e di interrogarsi su ciò che si sta vedendo e di come si esperisca e si immagini la felicità. Posizionandosi nell'ambito del performativo concettuale processuale, superano l'aspetto liturgico (ti dico cosa pensare) per entrare nell'ambito ecumenico (pensiamolo insieme) coinvolgendo provocatoriamente il pubblico. Come al termine del loro primo spettacolo in cui per quattro (4!) minuti si portano sul limitare della scena e “guardano” 81 CULTURA.qxp 14-07-2010 11:48 Pagina 147 REVIEWS CULTURA PLAYBACK Alain Mabanckou Black Bazar 66thA2ND, pp. 236, euro 16,00 è considerato il bret Easton Ellis francese per la sua capacità di scagliarsi contro l’essenza dell’apparenza. Alain Mabanckou, nato nel 1966 in Congo ed emigrato appena ventenne in Francia per poi trasferirsi a Los Angeles, è una tra le nuove voci più graffianti e ironiche della narrativa contemporanea. In questo Black Bazar, riuscitissima commedia “nera” degli equivoci, Mabanckou non manca di lanciare invettive contro i l(u)oghi comuni di un mondo dove le griffe sembrano aver sostituito le parole. Protagonista è un raffinato dandy che vive tra “la spazzatura” della periferia parigina più estrema. Cultore dell’arte di fare il nodo alla cravatta, impeccabile nel vestire, è talmente ossessionato dall’essere fashion da essere stato abbandonato perfino dalla moglie, fuggita con un improbabile suonatore di tam tam di un gruppo rock. Sullo sfondo immigrati africani che rinnegano il loro essere “neri” cercando di integrarsi in una città che non è razzista: è soltanto abitata da «piccoli bianchi cresciuti all’ombra dell’ipocrisia GIAN PAOLO SERINO medio borghese». Pietro Grossi Martini FOTO CENTRALE LINDA NYLIND Sellerio, pp. 64, euro 9,00 martini il grande. grande come è stato Gatsby sotto la penna di Scott Fitzgerald, grande come solo i disperati che potrebbero avere tutto e restano sempre in attesa di qualcosa che non arriva mai possono essere. Jay Martini è «tutto ciò che ognuno di noi vorrebbe essere»: è uno scrittore americano di romanzi pieno di fascino, idolatrato da pubblico e critica e vede cose che altri non colgono. Ma è innamorato della donna sbagliata. È schiacciato dall’amore impossibile, lacerante. E a un certo punto sparisce nel nulla, oltre i riflettori e le paillettes. È Frank, giornalista in ascesa che con Jay intesse anche nei silenzi e nella distanza fisica un rapporto profondo, la voce narrante che rende Martini immortale, sono la curiosità e l’attaccamento a una figura troppo carismatica per essere taciuta a fare dell’ultima prova di Grossi un gioiello narrativo perfetto. Sullo sfondo si agita l’Industria in senso lato, mostro che tritura chi ha lanciato in orbita, sbattendolo nell’oblio. Un racconto lungo, preciso e tagliente, sul senso del successo che si fa declino, sull’imperfezione del vivere, sui sogni infranti e sulla fragilità CARLOTTA VISSANI delle relazioni. James Frazer Il ramo d’oro (edizione minor) Boringhieri o Newton Compton Ricordi talismani Raccolta di scritti del magnifico regista. Aspettando nuove visioni roma, esterno giorno, primavera 1961, davanti a un portone Pier Paolo Pasolini incontra il suo vicino di casa, gli dice che dirigerà un film e aggiunge: : «Mi dici sempre che ti piace tanto il cinema, sarai il mio aiuto regista». Il vicino, che ha quasi vent’anni, risponde: «Non so se sono capace, non ho mai fatto l’aiuto». «Neanch’io ho mai fatto un film», risponde Pasolini. Quel ragazzo è Bernardo Bertolucci, assistente di Pasolini sul set di Accattone, che racconta l’episodio in Bernardo La mia magnifica ossessione: Scritti, ricordi, interventi (1962-2010), curato da Fabio Francione e Piero Spila, Bertolucci La mia magnifica che si legge come un sogno cinéphile. Se un grande critico e amico del regista di Parma, ossessione Garzanti, pp. 236, Enzo Ungari, dedicò un libro alle Scene madri di Bernardo euro 18,00 Bertolucci nel cinema (Ubulibri), questa, fuori dal grande schermo, è una delle migliori della sua vita, senza dubbio quella che lo spedì su un set e di lì a poco, in una capitale in fermento, a dirigere La commare secca, il suo esordio. Si tratta solo di un ricordo tra i tanti di un libro dove gli aneddoti ritornano, ripetuti come punti fermi e talismani: dalla “rosa bianca” di un verso del padre, il poeta Attilio Bertolucci, che il piccolo Bernardo ritrova in giardino come prova tangibile dell’esistenza della poesia, alla visita illuminante a un vecchio Jean Renoir nel suo giardino hollywoodiano. Poca, ma chiarissima teoria percorre le pagine: se il cinema è «la possibilità di utilizzare le immagini per fare della poesia, fotografare in versi», Bertolucci la realizza su set sempre più impegnativi che una sezione del libro ripercorre con commenti e conversazioni, da Ultimo tango a Parigi al grande Novecento, alla gioia esotica di Il tè nel deserto. Fuori dal set, invece, il cinema era andare a cena con Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia come fosse andare in università, era dichiarare: «Mi sarei fatto uccidere per un’inquadratura di Godard», e fare il pendolare su Parigi per incontrarlo, era un’avventura. L’educazione sentimentale di Bertolucci è un’occasione per pensare al recente passato della cultura: per farla oggi, bisogna essere i The Dreamers di domani, pieni dei propri sogni. Come quello spontaneo di un lettore: dare un abbraccio a Bernardo Bertolucci, ragazALESSANDRO BERETTA zo di una dolce vita che fa vivere il cinema. «Aprile è il più crudele dei mesi, genera lillà da terra morta...» è l’incipit con cui Thomas S. Eliot annunciava Terra desolata. Un poema innovativo anche per l’uso inedito di note esplicative, che rimandavano a uno dei grandi successi editoriali dell’epoca: l’edizione “minor” di Il ramo d’oro di sir James Frazer e ai riti, terribili e quasi disumani, officiati per gli dei della vegetazione, celebrati per la prima volta a Roma quando Annibale rappresentò una concreta minaccia alla Città eterna, arrivandone fin quasi alle porte. A quel punto si aprì il tempio, si fecero sacrifici umani e il pericolo si allontanò, confermando per sempre l’efficacia e la forza primigenia di quei riti. Da allora ogni 22 marzo si tagliava un pino per trasportarlo nel tempio di Cibele (Dea Madre o Signora degli animali). Toccava a tre portatori recare l’albero sacro, che veniva poi avvolto come un cadavere, con bende di lana, e ornato di ghirlande di viole sacre ad Attis. Poi nel terzo giorno, il 24, nel “giorno del sangue”, l’Arcigallo, o sommo sacerdote, si incideva le braccia, offrendo il proprio sangue in sacrificio. Trascinati dal frastuono della barbarica musica dei cembali, dal rullio dei tamburi, dal bordone dei corni, dal lamento dei flauti, anche i sacerdoti di rango inferiore si univano al grande rito, agitandosi nella danza vorticosa coi capelli al vento finché, rapiti da un’eccitazione frenetica, insensibili al dolore, si tagliavano il corpo con pezzi di coccio, e si ferivano con i pugnali per spargere sull’altare e sull’albero sacro il sangue che sgorgava a fiotti. Mutatis mutandis, se i tifosi dell’Inter festeggiano paganamente a Madrid nella fontana di Cibele (foto sotto) l’attesa Champion, perché lamentarsi poi se il corpo della squadra viene strappato a morsi vivi da cruente lotte intestine? Spesso il miracolo di una vittoria inattesa si paga, soprattutto se si supplica proprio la Grande Dea di RAF VALVOLA fissarne il prezzo. ROLLING STONE, LUGLIO 2010 1 4 7