AVVENTO - Basilica di Sant`Eustachio – Roma
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AVVENTO - Basilica di Sant`Eustachio – Roma
Q QU UA AD DEERRN NII D DII SSA AN NTT’’EEU USSTTA AC CH HIIO O N N.. 1111 AVVENTO LLA AG GIIO OIIO OSSA A SSPPEERRA AN NZZA AD DII U UN N IIN NIIZZIIO O CAPPELLA DI NEFTA con Icona della TRASFIGURAZIONE (di Silvia Polizzi) 6 AGOSTO: FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE Ogni anno inizio a scrivere questi quaderni nella piccola cappella di NEFTA, a 30 chilometri dall’Algeria, collocata tra i miraggi dello Shott-el-Jerid e un’oasi immensa che, unendosi a quella di Tozeur, allinea circa un milione di palme scintillanti al sole impietoso di agosto. Sulla parete di fondo, incastonata in un affresco artigianale che riproduce i colori surreali del lago salato al tramonto, c’è L’ICONA DELLA TRASFIGURAZIONE. Silvia Polizzi ha dipinto questa icona proprio per la cappella di Nefta, alternando preghiera, contemplazione e lavoro come ogni vero iconografo. Al centro Gesù, con le sue vesti splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche (Mc 9,2); ai lati, protesi verso di lui, Mosè ed Elia e, prostrati ai piedi del monte, i tre apostoli, dei quali solo Pietro ha la forza di sollevare lo sguardo verso il Signore. Egli VEDE e ASCOLTA come dirà nella sua prima lettera. La Trasfigurazione è per Pietro solo un anticipo di quello che dopo pochi giorni VEDRÀ e ASCOLTERÀ nel cortile di Caifa dopo aver rinnegato tre volte. VEDE di essere guardato dal Signore e, uscito, pianse amaramente. Sul lago di Tiberiade ASCOLTERÀ il Signore Risorto che, senza ombra di rimprovero, gli chiederà: “Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?”. (Giov 21, 15-19). Lo chiama proprio come al capo 16 di Matteo (Mt 16,17): “Beato te, Simone, figlio di Giovanni”. Pietro è il Pastore e il Vescovo di un popolo che ha avuto un dono, come lui: la Misericordia, gratuita, totale, senza ombra di incrinatura per il rinnegamento reiterato. Per questa terza serie dei Quaderni di S. Eustachio il tema della riflessione ce lo ha indicato papa Francesco: “LA MISERICORDIA”. Chi ci ha seguito nel passato conosce che il ritmo dei Quaderni segue i cinque tempi dell’Anno Liturgico: Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Tempo ordinario. I Quaderni proporranno spunti di riflessione legati più a fatti concreti che a riflessioni teologiche esegetiche e dottrinali. Desiderano aiutare chi legge a recuperare, ogni giorno, un momento personale per trovare, sempre alla luce del Vangelo, LA GIOIA DI VIVERE, quella gioia, frutto della misericordia, che ci è donata gratuitamente (Giov 16, 23). TEMPO DI AVVENTO 2015 Inizieremo tra pochi giorni il “Giubileo della misericordia”. Non avevo mai riflettuto su quante volte nei salmi ci è messa sulle labbra, sperando che ci conquisti il cuore, la Misericordia. Ne cito solo alcuni. “Venga su di me, Signore, la tua misericordia e avrò la vita” (Salmo 118 [119], 77). “O mia forza, a Te voglio cantare, perché tu sei il Dio della mia difesa, mio Dio, tu sei la mia misericordia” (Salmo 58 [59], 18) “Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso, ero misero e mi ha salvato” (Salmo 116, 5-6) “Può Dio aver dimenticato la misericordia? […] Questo è il mio tormento” (Salmo 76 [77], 10s). Potremmo continuare all’infinito e scopriremmo un fatto sorprendente: che, per i salmi, la sorgente della vita di ciascuno è “LA MISERICORDIA”. Per questo, quando afferma che Dio è misericordioso, usa il termine “rahamim” che, letteralmente, vuol dire: “Dio con viscere materne di misericordia”: rahamim suggerisce l’amore viscerale della madre (rehem = seno [utero] materno). A questo proposito permettetemi di ricordare un momento importante della mia vita. Avevo terminato di presiedere l'Eucaristia del matrimonio di mio nipote; durante il banchetto nuziale sentivo di non stare bene e chiesi ad un amico di accompagnarmi in Parrocchia. Durante la notte il malessere aumentava, era ormai insopportabile. Mi feci forza, chiamai un taxi che mi portò all'accettazione del San Giovanni. Messo sulla lettiga persi conoscenza; mi dissero che era entrato in coma per un blocco renale e per quattro giorni lottai tra la vita e la morte. Di quel periodo di totale incoscienza ricordo solo che mi si riproponeva a ritmi martellanti la Parola di Gesù ai farisei: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 12,7). Trasportato in terapia intensiva ricordo che ripetevo infinite volte “Salve Regina, Madre di Misericordia”. Solo molto tempo dopo, ripresomi completamente, compresi che «MISERICORDIA» vuol dire “Generare, Risuscitare, Mantenere in vita”. Tra le “continue morti” della nostra storia sento che è la misericordia a “tenerci in vita, ridarci speranza e farci camminare”. Penso che papa Francesco, interpretando il bisogno di una palingenesi, di “UNA NUOVA NASCITA” che accompagni la vita di ciascuno, ha proclamato, oltre ogni protocollo, il “GIUBILEO DELLA MISERICORDIA”. LA META DELLA NOSTRA SPERANZA Ho trovato una difficoltà che mi è parsa insormontabile iniziare a proporvi questa riflessione sull'Avvento. Mi chiedevo: Avvento di cosa? di chi?. L'attesa di qualcosa o di qualcuno è vanificata dalla frenesia del “Tutto e subito”. A cosa serve attendere «domani» se non sfrutto l' «oggi»? Solo un pazzo lascia l'oggi certo per un domani assolutamente incerto. La riflessione personale e la preghiera non mi sono state di aiuto per dare un senso al tempo di avvento, di “attesa”. Ho allora sentito il bisogno, come in altre circostanze, di confondermi con la gente comune e ascoltare. Ero a Nefta, ogni mattina sentivo il cigolio dei carretti che trasportavano gli operai nell'oasi. Li ho raggiunti. Ad Agosto inoltrato si mondano e si proteggono i caschi di datteri; da come sono curati in questo tempo di grande caldo dipende la loro maturazione. Ho trovato al lavoro tanti giovani, capaci di scalare, a piedi nudi e senza alcuna protezione, le palme altissime. L'incontro è iniziato nel silenzio totale. Ci guardavamo. Comprendevano la mia meraviglia per la loro agilità nel passare da un casco all'altro, nel salire e discendere da una palma all'altra. Davanti alla prodezza di uno di loro mi scappò spontaneo un applauso che dette inizio alla nostra conversazione. Rimasi sorpreso: tutti giovani, ma tutti annoiati. Continuano a fare quello che avevano fatto gli “anziani” senza però un progetto, una speranza che il loro lavoro sia certezza di un domani sicuro. L'unico desiderio è scappare senza sapere né perché né dove. La sera ammazzano il loro tempo libero davanti ad un piccolo bicchiere di caffè sorseggiato tra lunghissimi silenzi; i più trasgressivi affogano ogni speranza nella birra. Vedendoli mi si presentava lo spettacolo delle persone sedute nei caffè di Piazza Sant'Eustachio. C'è una unica differenza: ai caffè di Nefta non si parla né di donne né di affari. Una sera, prima di partire per il deserto, mi ha impressionato un ragazzotto con l'aria di chi “sa come si vive”. Per circa un'ora ha raccontato ad una ragazza tutte le sue avventure con “le donne”. Il tema del suo monologo era sempre lo stesso: “Me le son fatte tutte e poi le ho mollate” (mi scuso, ma ripeto le sue parole). A suggello di ogni bravata, una risata di autocompiacimento. La ragazza ascoltava divertita, certa che lei sarebbe stata l'ultima, la definitiva, quella scelta per sempre. Riflettevo: ma cosa ci può essere di definitivo in un “prendi e getta”? Ad altri tavoli spesso sento parlare di affari; i politici si confidano le ultime manovre per salvare se stessi. Potrei continuare, perché la strada è la mia grande maestra. È POSSIBILE USCIRE DALLA “GABBIA DELL'OGGI”?. Un regista americano ha segregato Piazza Sant'Eustachio isolandola per una settimana dal resto del Rione, per girare la scena di un film a sfondo poliziesco. Per un incontro fuori zona sono stato costretto a prendere un taxi. Senza alcuna mia provocazione il tassista inizia le sue riflessioni: “Ma guarda che scemi! Hanno messo in galera un quartiere che vive di turismo per le loro bravate”. Silenzio. Poi, come la persona più certa di questo mondo, continua: “Ma non leggono su Internet che, tanto manca poco e tutto finisce. Io me guadagno 'sti quattro soldi giorno per giorno, provvedo alla famiglia, non metto da parte per il domani; tanto il domani è finito”. Lo guardo scettico, ma incuriosito. “Padre, ma lei non usa Internet, non legge che semo alla fine? Lei è un prete e predica l'aldilà, ma tanto non esiste e lo sapete anche voi, altrimenti non vivreste come tutti noi. Se ci fosse un domani la vostra vita dovrebbe essere diversa. Lo dovete di', perché altrimenti a che servite? Tutto finisce e non troppo tardi”. Non riuscivo ad intervenire; parlava senza la possibilità di ascoltare. Scesi, pagai. Dissi solo: “Speriamo di vederci ancora, per molto tempo”. Andando verso il luogo dell'incontro mi ricordai di un altro tassista. Sceso dall'aereo a Tozeur presi un taxi per arrivare a Nefta (sono 22 Km). In un buon francese il tassista mi salutò. “Tu sei Pedro, tu abiti dove c'è Kenisa (la chiesa), noi la chiamiamo “MANZEL-ISA” (casa di Gesù). Tu sei un imam cristiano. Voglio farti una domanda: ci credi a quello che scrivono su Internet? C'è un sito che parla solo della fine del mondo e dice che tutto finisce, non c'è il Paradiso e non c'è l'Inferno; presto tutto finisce e basta! Vuoi conoscere cosa penso io? Certo tutti moriamo ma non tutto finisce. Il Corano dice che quando saremo tutti morti, ritornerà Isa (Gesù). Ora non sappiamo dove sta, ma ritornerà e porterà i buoni in Paradiso, i cattivi invece andranno all'Inferno. Non è vero che tutto finisce. Io vivo e aspetto Gesù che mi porta in Paradiso, speriamo con tutti”. Il raffronto tra i due appassionati di Internet lo lascio a voi. Per me la differenza tra i due è l'AVVENTO. Per uno tutto finisce, per l'altro tutto attende un ritorno. Persone semplici, direte. Ma i cosiddetti sapienti, vi assicuro che non pensano in maniera diversa. Ero a cena con un gruppo di amici. Uno, primario chirurgo, tentava di convincerci che tra cento anni tutto sarà curato con le pasticche. Ci sarà una pasticca miracolosa per ogni malattia; anzi, tra poco non moriremo più. La chirurgia plastica sta facendo passi da gigante e tra qualche decennio sostituiremo gli organi non funzionanti con apparati nuovi, già in sperimentazione. Tentai di dire che da millenni il problema di ogni persona è ciò che pensa e chi ama. Non ci fu verso di dialogare. Tutto sarà risolto dalla scienza era una affermazione dogmatica senza ombra di dubbio. Ho passato i primi venti giorni di luglio con un gruppo di amici in Val di Sole. C'era con noi anche un astronomo, un vero scienziato. Parlava di galassie, di corpi celesti con una competenza e una passione che, sentirlo, entusiasmava. Si professava ateo; non partecipava ai nostri incontri, tanto meno all'Eucarestia. Per l'amicizia e la stima vicendevole avevamo preso posto a tavola uno accanto all'altro. Si parlava dell'ultimo corpo celeste scoperto distante dalla terra non so a quanti milioni di anni luce. Il suo commento a questa ultima scoperta lo avvertii come un sospiro che cercava di armonizzare mente e cuore. “Sa, don Pietro, la scienza è piena di misteri, come la Fede. Ci sarà sempre qualcosa che ci sfugge. Tante volte sento il bisogno di qualcosa, lei direbbe di qualcuno, oltre la Scienza. Siamo in continua ricerca”. Anche in questo caso i due “scienziati” sono divisi e contrapposti dall'«Avvento». L'oggi è chiuso e blindato in se stesso o è proteso verso un domani che lo realizza pienamente? Assillato da questo interrogativo, che percepisco molto concreto, l'affermazione del primo tassista mi si ripropone con insistenza: “Se ci fosse un domani (un avvento) la vostra vita dovrebbe essere diversa”. Avvento è una dimensione cosmica, animata dalla vita personale e dalle scelte dei credenti. Ogni anno la liturgia della Chiesa ci "riorienta". I fatti, gli incontri quotidiani o occasionali, il susseguirsi drammatico di momenti di sofferenza e di serenità, il tempo che passa e che in alcuni momenti, guardandoci allo specchio o sentendo l'affievolirsi della memoria e delle forze, percepiamo. CI DISORIENTANO. Non sappiamo più rispondere al grande interrogativo che attraversa l'esistenza di ognuno: da dove vengo e verso dove vado? Abbiamo un bisogno esistenziale di fermarci: dare un po' di sosta ai nostri pensieri tumultuosi, calmare il dubbio e la paura che ci trafigge il cuore. Fermarci per RITROVARE l'orientamento. Basta un po' di concretezza e facilmente avvertiamo che il senso di marcia dell'esistenza ha due direzioni che esigono una scelta. - Ruotare su se stessi fino a cadere a terra sfiniti. - Camminare, certi che "il nostro Dio viene a salvarci" e ci porterà con sé. L'Avvento non è l'attesa tragica della fine, ma la gioiosa speranza di un inizio.