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C.R.A.Z.Y.
Sito: www.crazyfilm.it
Anno: 2005
Data di uscita: 3/3/2006
Durata: 125
Origine: CANADA
Genere: COMMEDIA
Produzione: PIERRE EVEN PER CIRRUS PRODUCTIONS INC. & JEAN-MARC VALLEE PER CRAZY FILMS
Distribuzione: ISTITUTO LUCE (2006)
Regia: JEAN-MARC VALLEE
Attori:
MICHEL COTE'
GERVAIS BEAULIEU, IL PADRE
MARC-ANDRE' GRONDIN
ZACHARY BEAULIEU (15-21 ANNI)
DANIELLE PROULX
LAURIANNE BEAULIEU, LA MADRE
EMILE VALLE
ZACHARY DA BAMBINO (6/8 ANNI)
MAXIME TREMBLAY
CHRISTIAN BEAULIEU (21-27 ANNI)
PIERRE-LUC BRILLANT
RAYMOND BEAULIEU (22-28 ANNI)
ALEX GRAVEL
ANTOINE (21/27 ANNI)
FELIX-ANTOINE DESPATIE
YVAN BEAULIEU (15/16 ANNI)
MARILOUP WOLFE
BRIGITTE (14-18 ANNI)
JEAN-LOUIS ROUX
VECCHIO PRETE
FRANCIS DUCHARME
PAUL (16-22 ANNI)
SEBASTIEN BLOUIN
ANTOINE BEAULIEU (12-14 ANNI)
HELENE GREGOIRE
MADAME CHOSE
JOHANNE LEBRUN
DORIS (21-29 ANNI)
JEAN-MARC VALLEE
GIOVANE PRETE
ANIK VERMETTE
Sceneggiatura: JEAN-MARC VALLE - FRANCOIS BOULAY
Fotografia: PIERRE MIGNOT
Musiche: DAVID BOWIE
Montaggio: PAUL JUTRAS
Scenografia: PATRICE VERMETTE
Effetti: MARC COTE' - MARTIN WILLIAMS - FAKE STUDIOS
Costumi: GINETTE MAGNY
Trama:
Storie straordinarie di gente ordinaria in cerca d'amore e felicità. Un dramma familiare diverso da tutti. Due storie d'amore
s'intrecciano, l'amore di un padre per i suoi cinque figli e l'amore di uno dei figli per suo padre, un amore così forte che lo
costringe a vivere nella menzogna. Quel figlio si chiama Zac Beaulieu che, nato il 25 dicembre 1960 diverso dai suoi fratelli,
cerca a lungo con ostinazione di integrarsi con loro. Nel corso dei successivi 20 anni di vita percorre un cammino
sorprendente che lo porta a comprendere la sua vera natura e, cosa ancora più importante, lo spinge a tentare di farsi accettare
da suo padre così come veramente è.
Critica:
Nel nome di Patsy Cline e altre star del rock graffiti, la commedia dolce amara di alcune incomprensioni familiari che è
piaciuta ai festival e dimostra quanto il canadese Jean-Marc Vallèe ami il cinema di protesta del ' 68 e dintorni. Scontro
generazionale, tensioni casalinghe con 4 fratelli maschi per l' unico diverso di casa, che impara il controllo degli omo istinti:
dopo un outing a Gerusalemme si dimostra contrito per il futuro borghese. Una specie di Donnie Darko in versione gay da tè e
simpatia, repressione et ipocrisia come da copione: furba parata di mutazioni psico-socio-musicali con qualche buon momento
di energetica sincerità che si perde però nel meccanismo un po' ripetitivo di droga, sesso e rock ' n' roll. Attori in versione
famiglia che si amano e odiano con passione, ma il messaggio è ambiguo: che posto avrà nell' innovativo libro di Bocchi sulla
cultura queer? (Maurizio Porro, Il Corriere della Sera - 28/08/2006)
Crazy è la parola che vuol dire matto in inglese, è una canzone di Willie Nelson cantata da Patsy Cime, è il titolo di questo
film di Jean-Marc Vallée su una famiglia canadese di maschi. Nel dicembre del 1960 nasce il quinto figlio, Zachary: ha
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un’infanzia felice, tra feste di Natale, carrozzine e bambole che ama. Poi il ragazzino diventa ragazzo e il padre, un
appassionato di canzoni di Charles Aznayour, ha dubbi su di lui: «Non è normale», dice alla moglie.
I fratelli lo pensano già, e come omosessuale lo scherniscono, lo picchiano. Ma è soprattutto il disamore del padre che ferisce
il protagonista. Fino agli ‘80 cerca di consolarsi con la musica (Pink Floyd, David Bowie, Rolling Stones), con la pulsione di
ribellione e alla fine se ne va di casa, raggiunge Gerusalemme: è un viaggio mistico, che lo convince a farsi accettare dal padre
per quello che è. Al suo ritorno, uno dei fratelli è morente; l’addio tra loro è affettuoso, al funerale riabbraccia il padre, al
cimitero ritrova una dolce calma, una speranza di futuro.
La storia della famiglia è raccontata senza risparmiare neppure uno dei luoghi comuni relativi, eppure ha qualcosa di vitale,
violento, commovente. La storia d’una adolescenza gay sembra d’averla ascoltata narrare mille volte proprio nello stesso
modo: eppure resta toccante soprattutto nel rapporto del protagonista col padre e con la musica (risentire alcune canzoni porta
indietro nel tempo, provoca una nostalgia struggente e fa venire da piangere), il padre è uno degli attori più illustri del Québec,
Michel Coté. Evidentemente non è tanto la bravura cinematografica quanto la sensibilità umana del regista a dare al film una
profondità di sentimenti, una speciale rarità. (Lietta Tornabuoni, La Stampa - 29/08/2006)
Ancora David Bowie. Quante volte la geniale rockstar è stata utilizzata dal cinema per la presa di coscienza gay, o bisessuale,
di un personaggio? Capitò già al Christian Bale di Velvet Goldmine ma anche a molti eroi di sceneggiature e romanzi di Hanif
Kureishi per non parlare dell'inizio del recente Kinky Boots in cui il protagonista, futuro travestito, balla sulle note di Bowie.
Non fa eccezione Zach, il protagonista di Crazy, giovane rockettaro nel Canada dei '70 alle prese con un padre dannatamente
omofobo. Mentre il figlio si commuove ascoltando Space Oddity , il papà canta solo la dea del country Patsy Cline o Charles
Aznavour. I due si scontrano per tutto l'agrodolce film di Vallée. Intorno una famiglia passaguai con madre credulona (pensa
che il figlio faccia i miracoli) e fratelli coltelli divisi tra l'intellettuale che legge sempre (anche le etichette dei cibi), lo sportivo
demente e il criminale senza cuore. Noi facciamo il tifo per Zach e anche per il carismatico padre-padrone. Sono loro due i
pistoni che animano questo motore scoppiettante dal titolo Crazy. Colonna sonora struggente con Bowie, Rolling Stones, Pink
Floyd e Jefferson Airplaine. (Francesco Alò, Il Messaggero - 25/08/2006)
Un lungo cammino per accettarsi (e farsi accettare). Lo percorre, dagli anni Sessanta agli Ottanta, un ragazzo canadese, con
quattro fratelli, una madre dolce e un padre maschilista, quando via via si scopre delle inclinazioni omosessuali. Le reprime in
tutti i modi, e non solo perché, attorno, in famiglia e fuori, sente un ambiente ostile; alla lunga, però dopo peripezie
numerosissime e scontri anche violenti con il padre, smetterà di lottare e seguirà le proprie tendenze. Senza più opposizioni.
Ci ha raccontato questo cammino un regista canadese, Jean-Marc Vallée, che, pur arrivato a un quarto film, nè mi risulta
conosciuto da noi. Non so quanto possa convincere. La sua storia è abbastanza pasticciata. Per indicare il trascorrere degli
anni fa tappa, ogni volta, al cenone di Natale che, sempre per precisare certe date, fa commentare da note canzoni dei Rolling
Stones e di David Bowie, intercalate da esibizioni canore del padre che, patito di Aznavour, ne canta via via i successi senza
però coprire mai la celebre voce dell’altro. Un espediente che un suo peso ce l’ha, anche perché, sempre per far capire le
evoluzioni sociali e di costume di quei vent’anni, il giovane protagonista e i suoi fratelli si propongono secondo i vari
mutamenti degli atteggiamenti e delle mode, non trascurando quelli che, anche in Canada, segnarono il trapasso dal rigore ad
una certa scapigliatura sessuale. Scelto tutto questo come cornice, però, in mezzo Vallée si è diluito in una esposizione
prolissa delle varie contraddizioni del protagonista, spedendolo addirittura in Medio Oriente, facendolo perdere nel deserto e
animandogli attorno una serie di personaggi spesso incongrui che stentano a trovare gli spazi giusti all’interno di un’azienda in
qualche passaggio non priva di una sua logica ma, in genere, più spesso disordinata e confusa. Anche dal punto di vista del
linguaggio (non lo definirei stile). Ora incline alla cronaca, ora indulgente con dei tentativi di visionarietà che sfociano però
quasi sempre nella retorica: senza che davvero ne riscatti le contraddizioni la voce narrante del protagonista intento, in modo
realistico, a confidarsi e a confessarsi: spesso anche in chiesa... Gli dà volto un attore che in Canada sembra noto, Marc-André
Grondin, intento spesso a cantare dal vivo delle canzoni di David Bowie. Per non essere da meno dell’interprete del
personaggio del padre, Michel Côté, che riesce sempre a unire la sua voce a quella di Aznavour. In modo gradevole, certo, ma
ai limiti del giochetto. Venti anni di lotta in famiglia tra rock e diversità (Gian Luigi Rondi, Il Tempo)
La calaverna è arrivata di colpo. Salite sui car, abbiamo dieci minuti di strada. Oggi non vi ammazziamo l'anima a travagliare.
Solo una piccola ricognizione». Ecco come la traduttrice Yasmina Melaouah ha tentato di rendere in italiano il francese del
Québec (per come ovviamente lo percepisce un francese). Se leggete Sotto i venti di Nettuno di Fred Vargas (Einaudi)
scoprirete una sorta di neolingua fatta di bizzarri modi di dire e strambi cognomi (diffusissimi Laliberté, Louisseize, Lafrance
e Legalité: sembra Asterix!). Abbastanza comprensibile, ma con una sintassi tutta sua. Anche da un punto di vista
cinematografico i canadesi francofoni sono fieri della propria tradizione, peraltro rilanciata recentemente da non pochi titoli di
pregio. Siamo abituati a ricordare solo Denys Arcand (Il destino dell'impero americano, Le invasioni barbariche) per le sue
partecipazioni frequenti ai festival europei, mentre parliamo di una produzione nazionale davvero interessante. Per farvi
capire: era in concorso a Locarno Black Eyed Dog di Pierre Gang, storia cupa di una donna il cui sogno di diventare
folksinger è stato mortificato dagli eventi, e adesso cerca di andarsene dalla sua small-town mentre si scatena la caccia a un
pericoloso evaso. Una trama alla David Peace (dato che l'evaso è un serial killer) e un'attrice protagonista, Sonya Salomaa,
che in patria ha molto impressionato.
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Alla prossima Mostra di Venezia invece - e precisamente alla Settimana della critica - vedremo Sur la trace d'Igor Rizzi di
Noel Mitrani, storia di un calciatore francese decaduto, interpretato dal bravo Laurent Lucas (Lemming), che va a Montreal
per cercare di ritrovare la propria fidanzata e qui, spinto dagli eventi, accetta per soldi di uccidere un certo Igor Rizzi. Ad un
passaggio veneziano (l'anno scorso alle Giornate degli autori) si deve anche la scoperta del notevole C.R.A.Z.Y. (che
andrebbe letto alla francese: crasì) di Jean-Marc Vallée, nelle sale italiane dal 25 agosto, fresco vincitore del Giffoni Film
Festival. Educazione alla vita e ai sentimenti di un adolescente problematico, Zachary (Marc-André Grondin), penultimo di
cinque fratelli, forse gay e con un padre macho che canta a squarciagola Emmène-moi au bout de la terre di Charles
Aznavour. Di storie complicate di adolescenti dalla sessualità incerta in conflitto con rigide figure paterne ne abbiamo letteviste-ascoltate a bizzeffe (chiedere conferma all'onorevole Luxuria...). Quella di C.R.A.Z.Y. ha qualcosa in più proprio perché
il padre in questione è tutt'altro che banale, in fondo è il primo a mettere in discussione il proprio integralismo. Eccellente chi
lo interpreta (Michel Côté, in Québec una celebrità come Rémy Girard, attore feticcio di Arcand), ma è tutto il cast che gira a
mille in questa consigliatissima commedia. Il padre putativo della rinascita culturale quebecoise, il drammaturgo Robert
Lepage, persevera nella cinematografia dopo l'osannato (e sopravvalutato...) La fache cachée de la Lune (2001) annunciando
un nuovo progetto multimediale per il 2008, anno che segnerà il 400esimo anniversario della fondazione del Québec. Nel
frattempo ci chiediamo che fine abbia fatto il secondo e ultimo film del talentuoso Jean-Claude Lauzon, autore
dell'interessante polar Zoo di notte (1987) scomparso prematuramente in un incidente aereo. Si intitola Léolo, ha Denys
Arcand tra i protagonisti e in patria è considerato un film di culto vagamente maudit. (Mauro Gervasini, Film TV 24/08/2006)
Quarant'anni di vita di un canadese e dei suoi quattro fratelli. Simpatia e nostalgia anni '70 alle Giornate degli Autori
Nascere il giorno di Natale non è una grande fortuna. Innanzitutto perché non se ne ricorda nessuno, e poi perché i regali,
fatalmente, si dimezzano di numero. Questo è almeno quanto sostiene Zachary Beaulieu, nato il 25 dicembre del 1960 in una
famiglia di cinque maschi, dalle cui iniziali dei nomi il titolo del film diretto da Jean-Marc Vallée. Ma Zachary, Zac, non è un
ragazzo come tutti gli altri. Anche perché rischia di morire nel momento stesso di venire alla luce. Questo gli conferisce dei
poteri da guaritore, anche se al massimo riesce a guarire scottature e mal di testa. Ma soprattutto, insieme a una ciocca bionda
di capelli, gli dà la sensazione di dover guarire da qualche cosa, che nemmeno lui sa bene cosa sia. Forse la pipì a letto, forse
l’identità sessuale a lungo soffocata per compiacere il padre. Quella della famiglia canadese è quasi una saga, talmente tanti
sono i rivoli in cui si disperdono le storie dei protagonisti. Ma questo non è necessariamente un difetto, perché nell’arco dei
quaranta anni in cui si snoda, la figura di Zac tiene saldamente in pugno la narrazione. La quale si giova non poco di una
splendida e generosa colonna sonora dove i Pink Floyd la fanno da padrone insieme al meglio degli anni sessanta e settanta,
con David Bowie che suggerisce le prime innocenti ambiguità del protagonista. Un capitolo a parte merita la splendida voce di
Patsy Cline, vero mito del padre Gervais. Il quale, pur infliggendo ad ogni festa comandata la sua versione della aznavouriana
Emmene-moi au bout de la terre, è un fanatico collezionista di preziosi vinili della suddetta cantante. E indovinate come si
intitola la sua canzone più gettonata? Facile, proprio Crazy, che durante l’arco delle due ore ricorre più e più volte senza mai
annoiare. Non mancano nel film alcune furbizie e alcune forzature, come il viaggio mistico a Gerusalemme del protagonista,
ma alla fine tutto si perdona. Perché i cinque fratelli protagonisti sono davvero simpatici, come pure i genitori interpretati da
Michel Còté e Danielle Prouix. Il mattatore rimane tuttavia il giovane Marc-André Grondin, capace di percorrere il tragitto del
suo personaggio dall'adolescenza fino ai quaranta anni. Interessante l'ambientazione e la scenografia domestica. Tra i molti
richiami agli anni sessanta e settanta spiccano i poster di Bruce Lee e Jim Morrison. Non mancano le droghe ovviamente,
anzi. In tutto ciò, però, ciò di cui abbiamo sentito la nostalgia noi quasi coetanei del protagonista, sono stati i magnifici Ray
Ban che, appena possibile, andremo a ripristinare. (www.cinematografo.it)
Storia di incomprensioni e ribellioni familiari scandite dal ritmo pulsante e salvifico del rock’n’roll, C.R.A.Z.Y. ha vinto il
Festival di Montreal ed è stato proiettato alle “Giornate degli Autori” veneziane. È un esemplare racconto di formazione ed
affermazione individuale, strutturato come un riff sui condizionamenti repressivi che influenzano condotte e decisioni. Dopo
aver ripassato e saccheggiato tutto il cinema di protesta degli anni Settanta, il regista appassionato di Hair e Fragole e sangue
sceglie la forma della commedia colorata per una vicenda intima di rivelazione, con un occhio alle alterazioni cromatiche del
glam-rock ed incrociando il crudo realismo degli scontri generazionali, delle fughe ideali verso la libertà, con la costruzione e
l’adattamento a mondi di fantasia.
Ispirato ovviamente alla seduzione androgina delle canzoni di “Ziggy Stardust”, C.R.A.Z.Y. racconta, senza morbosità o
strazianti drammi interiori, la storia di un giovane che prende coscienza della propria diversità sessuale, all’interno di una
famiglia tradizionale che condanna condotte ed atteggiamenti equivoci del ragazzo.
Furbo, ruffiano e intelligente, il film raccoglie confessioni e dettagli intimi, di pari passo con l’incapacità di comprendere
trasformazioni e rivoluzioni storiche. Attraverso il contatto quotidiano con l’isolamento e l’ordinaria follia, mostra divertendo
venti anni di storia culturale e musicale nordamericana, evidenziando i passaggi e le conquiste da posizioni di assoluta
intransigenza ad altre di sincera tolleranza e comprensione per deboli ed insicuri.
Vallée, che conosce alla perfezione le regole flessibili dell’intrattenimento, dell’emozione e del coinvolgimento giovanile,
sfrutta abilmente la riconoscibilità degli stereotipi per ottenere effetti e momenti di comicità, senza mai scadere nel moralismo
preconcetto di maniera, al contrario con rispetto e comprensione per le scelte rischiose, per le rinunce riflessive che
rimuovono duri confronti e bilanci fallimentari. Partendo dal superamento delle convenzioni, registra tutta la quotidiana fatica
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della rivendicazione, dopo le umiliazioni giornaliere, le parole ascoltate e mai dimenticate, cercando di contaminare linguaggi
e stili, adattando lo spettacolo alle pulsioni, dilatando coinvolgimenti e complicità attraverso una struttura che ricorda quella
dei romanzi adolescenziali, con piccole invenzioni creative che restituiscono forza e verità.
Con freschezza ed energia, il film riesce a superare, grazie a una geniale messa in scena, i confini usurati dell’incomunicabilità
e dell’indifferenza tra età opposte con relativo stupore per manie e costumi, per diventare una ballata rock sull’emancipazione
conquistata e sull’indipendenza dei valori. (www.fice.it)
Il tema comune portante di questa edizione del Festival di Venezia, è il (ri)trovamento del proprio io e l'accettazione di sé
stessi. E C.R.A.Z.Y, più di ogni altro film di questa Mostra, incarna perfettamente questa tematica, filtrandola sotto un occhio
cool di rock n' roll glamour che passa dall'ambiguità sessuale di un Ziggy Stardust/David Bowie, all'aggressività punk dei Sex
Pistols.
Un po' ci ricorda Donnie Darko, per quella confezione estetica videoclippara che volge l'occhio alla nuova era post-Mtv, dove
l'uso della colonna sonora assume un'importanza abbastanza rilevante nel enfatizzare la messa in scena, che riesce comunque
ad essere essenzialmente fluida, cool, e rock/pop.
Il fattore migliore del film di Jean-Marc Vallèe è nel riuscire ad affrontare tematiche sensibili come l'omosessualità o il
rapporto padre/figlio, il tutto senza quella banalità superficiale che si rischia di dare affrontando queste tematiche e tentando di
avere un approccio essenzialmente commerciale.
C.R.A.Z.Y possiede una freschezza narrativa che è tutto tranne che banale, soprattutto per la cura psicologica dell'evoluzione
del protagonista, affrontata con una sensibilità che ha quasi del toccante per l'assenza di contaminazioni fasulle o esagerazioni
sentimentali.
E' una naturalità consequenziale nel descrivere le emozioni di un ragazzo incapace di accettare la propria natura (omo)sessuale
visto sotto un occhio ironico e brillante.
In questo senso, è bellissimo osservare come il protagonista, inizialmente un fanatico di David Bowie, cerchi a tutti i costi di
rinnegare la propria (omo)sessualità, tanto da rinnegare il suo Ziggy Stardust nascondendo il proprio ego dietro quel Johnny
Rotten, vocalist dei Sex Pistols. E' la musica punk che diventa simbolo di caos mentale/sessuale, il frastornamento musicale
per dimenticare il proprio passato e cercare di appoggiarsi al potere dell'auto-convinzione.
Ma morale dell'opera, ancora una volta, è il ritorno alle proprie origini, una fase forse dolorosa ma inevitabile, una fase che
prima lo si accetta, meglio è.
E poi, come ciliegina sulla torta, c'è la combinazione metempsicotica tra immagine e rock n' roll, che culmina in quella
bellissima scena del protagonista, davanti allo specchio e truccato come Bowie con "Space Oddity" sparato al massimo del
volume alla radio (e in sala). E' il fanatismo tenero di un fan perduto nella propria dimensione spazio/temporale. Un omaggio
fortissimo alla potenza non solo dell'immagine cinematografica, ma anche alla musica, quella vera, all'insegna della creatività
che solo il Rock riesce a trasmettere.(filmup.com)
Immaginate il coro di una chiesa cattolica del Canada francofono che ulula il ritornello di "Sympathy for the Devil" dei
Rolling Stones. O un adolescente nel pieno di una tormenta di indentità sessuale che canta "Space Oddity" del Bowie più
androgino e glam. Con un piacere e allo stesso tempo un malessere che dicono tante cose. Certo Jean-Marc Vallée non si
sottrae al clichè di rappresentare il Duca Bianco dei settanta come l'elemento destabilizzante e rivelatore della sessualità di
una intera generazione. Vi ricordate il Christian Bale di Velvet Goldmine che si masturba sopra un suo vinile? Del film di
Todd Haynes C.R.A.Z.Y. riprende giusto alcune atmosfere, il caleidoscopio di colori e certi deliri immaginifici. E il gusto per
una colonna sonora che è costata metà del budget: Bowie, Rolling Stones, Jefferson Airplane, Cure, i Pink Floyd di "Shine On
You Crazy Diamond", che ci piace immaginare come un casuale omaggio al folle genio di Syd Barrett, scomparso a metà
luglio. Qualche giorno prima che Jagger/Richard celebrassero l'immortalità artistica (e fisica?) in un prodigioso concerto
milanese. Tutto questo per ribadire certi crismi del rock'n'roll: il fascino delle "cose" di quegli anni resta intatto.
Ma "C.R.A.Z.Y." (ha vinto al Festival di Toronto, a quello di Giffoni ed è stato applaudito alle Giornate degli autori a Venezia
2005) non è solo una cavalcata di grande effetto, forse un po' furba e sapientemente vintage tra fenomeni musicali e stili di
abbigliamento che si avvicendano freneticamente. Il dolce e forsennato racconto dei vent'anni di vita domestica della famiglia
Beaulieu, dalla notte di Natale del '60 agli anni ottanta, ricorda anche alcune atmosfere proletarie alla Billy Elliot. Pugno duro
e cuore tenero, innamorato di Aznavour (il rito di ogni Natale davanti a tutti i parenti è cantare "Emmène-moi au bout de la
terre") e soprattutto di Patsy Cline, Gervais è un operaio che sforna figli maschi a ripetizione. «Perchè non cambi posizione?»
gli suggeriscono. Sono cinque (C.R.A.Z.Y. è l'acronimo dei loro nomi e una canzone della Cline), uno diverso dall'altro: Chris
(Maxime Tremblay) è il ribelle, Antoine (Alex Gravel) lo sportivo e lavoratore, Ray (Pierre-Luc Brillant) il secchione, Yvan il
piccolo di casa. Quarto era arrivato Zac (da bambino Emile Vallée e poi Marc-André Grondin): è il più strano, quello che
secondo le donne di famiglia ha poteri di guarigione su ferite e scottature (L'uomo che cadde sulla terra?). Comunque "il più
sensibile" dice mamma Laurianne (Danielle Proulx), cattolica ma comprensiva, che ha capito subito tutto del figlio. Da
piccolo gli sussurrava: «Gesù Bambino non ti dimentica, siete nati lo stesso giorno». Ma è lei che ci ha stabilito uno speciale
contatto quasi telepatico.
Zac vive la sua ribellione adolescenziale rinunciando ad essere il preferito del padre. Lascia il ruolo a Chris, che però da
semplice gradasso sciupafemmine e piccolo spacciatore si ritroverà nella droga fino ai collo. Lui intanto accantona e riprende
le riflessioni su se stesso. Sente di essere tante cose tutte insieme. Ma come si fa a conciliarle in una piccola comunità
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francofona del Canada? Il clan familire, gli amici, i vicini incombono come macigni. Sta con una ragazza che l'ha sempre
cercato. Intanto rotolano gli anni settanta e gli ottanta, la rivolta punk infiamma, ne arriva una lontana eco. E un vento di
cambiamento sembra soffiare anche nella sua vita. Folle, visivamente accattivante, sgangherato, caciarone come tutte le
famiglie proletarie numerose, assomma musica e sentimenti, nostalgia e la naturale bellezza del tempo che passa. Il padre,
dichiarandosi incapace di accettare la scelta di Zac, gli confessa il suo rammarico più grande: non conoscerà mai gioie e
preoccupazioni che ha provato lui nel vedere nascere e crescere i cinque figli, invecchiare seguendoli con lo sguardo. Ma "il
tempo è galantuomo", avvertono i nonni. E pure papà Beaulieu dovrà cedere al fatalismo e al buon senso. (www.unita.it)
Note:
- PRESENTATO ALLA 2^ EDIZIONE DELLE "GIORNATE DEGLI AUTORI", VENEZIA 2005.
-EUROPEAN FILM AWARDS 2005
Nominated Screen International Award: Jean-Marc Vallée (Canada)
-TORONTO INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2005
Won Best Canadian Feature Film: Jean-Marc Vallée
-GENIE AWARDS 2006 (THE ACADEMY OF CANADIAN CINEMA)
Won Genie Best Achievement in Art Direction/Production Design: Patrice Vermette
Won Best Achievement in Costume Design: Ginette Magny
Won Best Achievement in Direction: Jean-Marc Vallée
Won Best Achievement in Editing: Paul Jutras
Won Best Achievement in Overall Sound: Yvon Benoît, Daniel Bisson, Luc Boudrias, Bernard Gariépy Strobl
Won Best Achievement in Sound Editing: Martin Pinsonnault, Mira Mailhot, Simon Meilleur, Mireille Morin, JeanFrançois Sauvé
Won Best Motion Picture: Pierre Even, Jean-Marc Vallée
Won Best Original Screenplay: Jean-Marc Vallée, François Boulay
Won Best Performance by an Actor in a Leading Role: Michel Côté
Won Best Performance by an Actress in a Supporting Role: Danielle Proulx
Won Golden Reel Award: Pierre Even, Jean-Marc Vallée
Nominated Genie Best Achievement in Cinematography: Pierre Mignot
Nominated Best Performance by an Actor in a Leading Role: Marc-André Grondin
-JUTRA AWARDS (FESTIVAL DI MONTREAL) 2006
Won Jutra Best Actor (Meilleur Acteur): Marc-André Grondin
Won Best Art Direction (Meilleure Direction Artistique): Patrice Vermette
Won Best Cinematography (Meilleure Direction de la Photographie): Pierre Mignot
Won Best Costume Design (Meilleurs Costumes): Ginette Magny
Won Best Direction (Meilleure Réalisation): Jean-Marc Vallée
Won Best Editing (Meilleur Montage Image): Paul Jutras
Won Best Film (Meilleur Film): Pierre Even, Jean-Marc Vallée
Won Best Hairstyling (Meilleure Coiffure): Réjean Goderre
Won Best Make-Up (Meilleur Maquillage): Réjean Goderre
Won Best Screenplay (Meilleur Scénario): Jean-Marc Vallée, François Boulay
Won Best Sound (Meilleur Son): Yvon Benoît, Daniel Bisson, Martin Pinsonneault, Jean-François Sauvé, Mira
Mailhot, Simon Meilleur, Mireille Morin, Bernard Gariépy Strobl, Luc Boudrias
Won Best Supporting Actor (Meilleur Acteur de Soutien): Michel Côté
Won Best Supporting Actress (Meilleure Actrice de Soutien): Danielle Proulx
Nominated Jutra Best Supporting Actor (Meilleur Acteur de Soutien): Pierre-Luc Brillant
-VANCOUVER FILM CRITICS CIRCLE 2006
Won VFCC Award Best Actor - Canadian Film: Marc-André Grondin
Won Best Film - Canadian
Won Best Supporting Actor - Canadian Film: Michel Côté
Won Best Supporting Actress - Canadian Film: Danielle Proulx
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