clicca qui - La Setta dei Poeti Estinti

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Lisa Jane Smith
Il diario del vampiro
Il ritorno
(The Vampire Diaries: The Return: Nightfall, 2009)
Traduzione di Rosa Prencipe
In memoria di Kathryn Jane Smith
mia madre, con molto amore
INDICE
Prologo.......................................................................................................2
Capitolo 1...................................................................................................4
Capitolo 2................................................................................................. 11
Capitolo 3.................................................................................................18
Capitolo 4.................................................................................................23
Capitolo 5.................................................................................................30
Capitolo 6.................................................................................................34
Capitolo 7.................................................................................................41
Capitolo 8.................................................................................................45
Capitolo 9.................................................................................................52
Capitolo 10...............................................................................................61
Capitolo 11............................................................................................... 72
Capitolo 12...............................................................................................84
Capitolo 13...............................................................................................94
Capitolo 14...............................................................................................99
Capitolo 15.............................................................................................108
Capitolo 16............................................................................................. 117
Capitolo 17.............................................................................................127
Capitolo 18.............................................................................................135
Capitolo 19.............................................................................................145
Capitolo 20.............................................................................................155
Prologo
Ste-fan?
Elena si sentiva frustrata. Non riusciva a esprimere quello che aveva in
mente come avrebbe voluto.
«Stefan», disse lui, invitante, appoggiandosi su un gomito e guardandola
con quegli occhi che avevano il potere di farle quasi scordare quello che
stava cercando di dire. Erano verdi, come le foglie che brillano al sole in
primavera.
«Stefan», ripeté. «Riesci a dirlo tu, mio piccolo amore?».
Elena lo guardò con aria solenne. Era così bello da spezzarle il cuore,
con i suoi lineamenti pallidi e cesellati, e i capelli scuri che gli ricadevano
liberi sulla fronte. Avrebbe voluto esprimere a parole tutti i sentimenti che
si affollavano dietro la lingua impacciata e la mente ostinata. Aveva
bisogno di chiedergli così tante cose... e di dirgliene altrettante. Eppure i
suoni si rifiutavano di venir fuori. Erano come impigliati sulla sua lingua.
Non riusciva neanche a comunicare telepaticamente... veniva fuori tutto in
immagini frammentate.
Dopo tutto, era solo il settimo giorno della sua nuova vita.
Stefan glielo aveva detto quando si era risvegliata, quando, dopo la sua
morte come vampiro, era ritornata dall'Altro Lato. Sarebbe stata in grado
di camminare e parlare e fare tutte le cose che ora le sembrava di aver
dimenticato.
Lui non sapeva perché Elena avesse dimenticato: non aveva mai
conosciuto nessun altro che potesse tornare indietro dalla morte a parte i
vampiri. Lei lo era stata, ma, di certo, ora non lo era più.
Stefan le aveva anche detto, elettrizzato, che stava imparando sempre
più velocemente. Nuove immagini, nuovi pensieri. Anche se a volte
comunicare era più facile, Stefan era certo che presto sarebbe tornata a
essere lei. Allora si sarebbe comportata come l'adolescente che era. Non
sarebbe più stata una giovane adulta con la mente da bambina: gli spiriti
avevano voluto che fosse così, infatti, che guardasse il mondo con occhi
nuovi, gli occhi di una bambina.
Elena pensava che gli spiriti fossero stati un po' ingiusti. E se Stefan nel
frattempo avesse trovato qualcuno che sapesse camminare e parlare... e
scrivere, persino? Era un pensiero che la preoccupava.
Ecco perché, qualche notte prima, Stefan si era svegliato e non l'aveva
trovata nel suo letto. L'aveva trovata in bagno a meditare su un giornale,
cercando di dare un senso a quei piccoli scarabocchi che sapeva essere
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parole e che un tempo conosceva. La carta era punteggiata di lacrime. Gli
scarabocchi non significavano nulla per lei.
«Ma perché, amore? Imparerai di nuovo a leggere. Perché tanta fretta?».
Questo era stato prima di vedere la matita in frantumi, spezzata da una
presa troppo forte, e i tovaglioli di carta ammucchiati con cura. Li aveva
usati per cercare di copiare le parole. Forse, se fosse riuscita a scrivere
come le altre persone, Stefan avrebbe smesso di dormire sulla poltrona e
l'avrebbe tenuta stretta nel grande letto. Non sarebbe andato in cerca di
qualcuno più grande o intelligente. Avrebbe capito che era cresciuta.
Vide farsi strada questo pensiero nella mente di Stefan e vide le lacrime
nei suoi occhi. Era stato abituato a pensare che non gli era permesso
piangere, qualunque cosa accadesse. E invece le aveva rivolto le spalle e si
era messo a respirare lentamente e profondamente per quella che era
sembrata un'eternità.
Poi l'aveva presa in braccio e portata a letto, nella sua stanza. L'aveva
guardata negli occhi e le aveva detto: «Elena, dimmi cosa vuoi che faccia.
Anche se è impossibile, lo farò. Te lo giuro. Basta che tu me lo dica».
Tutte le parole che avrebbe voluto dirgli con il pensiero erano incastrate
dentro di lei. Gli occhi le si riempirono di lacrime che Stefan sfiorò
delicatamente con le dita, quasi che, con un tocco più deciso, potesse
rovinare un dipinto inestimabile.
Elena gli si avvicinò, chiuse gli occhi e increspò leggermente le labbra.
Voleva un bacio. Ma...
«Ora nella tua mente sei ancora solo una bambina», le aveva detto
Stefan, angosciato. «Come posso approfittarmi di te?».
Nella vecchia vita, usavano un linguaggio dei segni, Elena se ne
ricordava ancora. Si dava un colpetto sotto il mento, proprio dove è più
morbido: una, due, tre volte.
Significava che, dentro di sé, si sentiva a disagio. Come se avesse un
groppo in gola. Significava che voleva...
Stefan gemette.
«Non posso...».
Tap, tap, tap...
«Non sei ancora tornata a essere quella di prima...».
Tap, tap, tap...
«Ascoltami, amore...».
TAP! TAP! TAP! LO aveva guardato con occhi imploranti. Se avesse
potuto parlare, avrebbe detto: Ti prego, dammi un po' di fiducia... non sono
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completamente stupida. Ti prego, ascolta quello che riesco a dirti.
«Fai male. Mi stai facendo davvero male». Stefan aveva interpretato il
suo sguardo con una sorta di stupita rassegnazione. «Se io... se solo io... se
potessi solo un po'...».
Poi d'un tratto le dita di Stefan erano diventate fredde e sicure; avevano
mosso la testa di Elena, l'avevano girata proprio da quel lato e lei aveva
sentito il morso, che più di ogni altra cosa l'aveva convinta di essere viva e
non più uno spirito.
E proprio allora fu certa che Stefan amasse lei e nessun'altra, e che
avrebbe potuto dirgli alcune delle cose che voleva che lui sapesse. Ma
aveva dovuto farlo con piccole esclamazioni... non di dolore... con le stelle
e le comete e i fasci di luce che danzavano attorno a lei. A quel punto era
stato Stefan quello incapace di dirle una sola parola con il pensiero. Era lui
quello ammutolito.
Elena sentì che era giusto così. Dopo, lui l'aveva tenuta con sé la notte e
lei fu sempre felice.
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Damon Salvatore era sospeso a mezz'aria, sostenuto solo
simbolicamente da un ramo di... be', e chi li conosceva i nomi degli alberi?
Chi se ne fregava? Era alto, gli permetteva di sbirciare nella camera da
letto di Caroline Forbes al terzo piano e gli faceva da comodo schienale.
Era disteso sulla biforcazione dei rami, le mani intrecciate dietro la testa, e
faceva dondolare la gamba, elegantemente infilata in uno stivale, su un
vuoto di nove metri. Era a suo agio come un gatto, con gli occhi socchiusi
mentre guardava.
Aspettava che arrivasse il momento magico delle 4,44 del mattino,
quando Caroline avrebbe eseguito il suo strano rituale. L'aveva già visto
due volte e ne era rimasto affascinato.
In quel momento, una zanzara lo punse.
Il che era ridicolo, perché le zanzare non pungevano i vampiri. Il loro
sangue non era nutriente come quello degli umani. Ma aveva senza dubbio
sentito come una piccola puntura di zanzara dietro il collo.
Si voltò per guardarsi alle spalle, sentendo tutt'intorno il profumo della
notte estiva... e non vide nulla.
Gli aghi di una conifera. Niente che volasse lì attorno. Niente che vi
strisciasse sopra.
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Tutto bene allora. Doveva essere stato un ago di conifera. Ma gli aveva
fatto proprio male. E, con il passare del tempo, il dolore peggiorava
anziché migliorare.
Un'ape suicida? Damon si tastò con cautela la nuca. Niente sacca di
veleno, né pungiglione. Solo un piccolo bozzo molliccio che faceva male.
Un momento dopo, la sua attenzione ritornò alla finestra.
Non era del tutto sicuro di quello che stava succedendo, ma riusciva a
sentire l'improvviso ronzio del Potere attorno a Caroline che dormiva,
come quello di un cavo dell'alta tensione. Diversi giorni prima l'aveva
attirato in quel posto, ma, una volta arrivato lì, non gli sembrava di averne
individuato la fonte.
L'orologio segnò le 4,40 e suonò una sveglia. Caroline si svegliò e la
colpì, facendola volare attraverso la stanza.
Ragazza fortunata, pensò Damon, con un malizioso apprezzamento. Se
fossi un rozzo umano invece che un vampiro, la tua virtù – ammesso che tu
ce l'abbia ancora – potrebbe essere in pericolo. Fortunatamente per te, ho
dovuto rinunciare a quel genere di cose quasi mezzo millennio fa.
Damon fece balenare un sorriso nel vuoto, lo mantenne per una frazione
di secondo e poi lo spense, e i suoi occhi tornarono freddi. Guardò di
nuovo verso la finestra aperta.
Sì... aveva sempre sentito che quell'idiota di suo fratello minore, Stefan,
non apprezzava abbastanza Caroline Forbes. Era fuori di dubbio che la
ragazza meritasse di essere guardata: lunghe gambe abbronzate, un corpo
armonioso e capelli colore del bronzo che le ricadevano in onde sul viso. E
poi c'era la sua mente. Distorta per natura, vendicativa, maligna. Deliziosa.
Per esempio, se non andava errato, sulla sua scrivania c'erano delle
bamboline voodoo a cui stava lavorando.
Straordinario.
A Damon piaceva vedere la creatività all'opera.
Il Potere alieno ronzava ancora, eppure non riusciva a determinarne la
posizione. Proveniva dall'interno... era dentro la ragazza? Certo che no.
Caroline aveva afferrato furiosamente quelle che sembravano delle
ragnatele di seta verde. Si tolse di dosso la T-shirt e – troppo velocemente
perché l'occhio del vampiro potesse vedere – si infilò una sottoveste che la
faceva sembrare una principessa della giungla. Guardò assorta la propria
immagine in un grande specchio.
E ora che cosa stai aspettando, ragazzina?, si chiedeva Damon.
Be'... tanto valeva rimanere nell'ombra. Ci fu un oscuro frullo d'ali, poi
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una piuma color ebano cadde a terra ed ecco che sull'albero non c'era
traccia d'altri che di un grosso corvo appollaiato.
Damon guardò intensamente con i suoi brillanti occhi da uccello
Caroline, che si era mossa all'improvviso, come animata da una scossa
elettrica, con le labbra socchiuse e lo sguardo fisso su quello che sembrava
il suo riflesso nello specchio.
Poi sorrise al riflesso in segno di saluto.
Ora Damon era riuscito a localizzare la fonte del Potere. Era dentro lo
specchio. Non nella stessa dimensione dello specchio, ovviamente, ma
contenuto al suo interno.
Caroline si stava comportando in maniera bizzarra. Ricacciò indietro i
suoi lunghi capelli color del bronzo, che le ricaddero disordinatamente
sulla schiena; si inumidì le labbra e sorrise come si fa a un amante.
Quando parlò, Damon riuscì a sentirla abbastanza chiaramente.
«Grazie. Ma sei in ritardo oggi».
Nella camera da letto c'era solo lei, e Damon non udì alcuna risposta.
Ma le labbra di Caroline riflesse nello specchio non si muovevano in
sincrono con quelle della ragazza vera.
Bravo!, pensò, sempre pronto ad apprezzare un nuovo trucco ai danni
degli umani. Ben fatto, chiunque tu sia!
Leggendo le labbra dell'immagine nello specchio, colse qualcosa del tipo
mi spiace. E incantevole.
Damon drizzò la testa.
Il riflesso di Caroline diceva: «...non devi... dopo oggi».
La vera Caroline rispose flebilmente: «Ma se non riesco a ingannarli?».
E il riflesso: «...avrai un aiuto. Non temere, sta tranquilla...».
«Ok. E nessuno, fatalmente, si farà, che so, male, vero? Voglio dire, non
stiamo parlando di morte... per gli umani».
Il riflesso: «Perché dovremmo...?».
Damon sorrise tra sé. Quante volte aveva sentito scambi come quello
prima di allora? Essendo lui stesso simile a un ragno, lo sapeva bene.
Prima fai accomodare la tua mosca, poi la rassicuri; e prima che se ne
renda conto, puoi ottenere da lei ciò che vuoi, fino a che non hai più
bisogno di lei.
E allora – i suoi occhi neri scintillarono – era tempo di una mosca
nuova.
Ora Caroline teneva sul grembo le mani tremanti. «Solo se tu davvero...
lo sai. Quello che mi hai promesso. Facevi sul serio quando hai detto di
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amarmi?»
«...fidati di me. Mi prenderò cura di te... e anche dei tuoi nemici. Ho già
iniziato...».
Improvvisamente Caroline si stiracchiò, e fu un movimento che i ragazzi
della Robert E. Lee High School avrebbero pagato per guardare. «Voglio
proprio vedere», disse. «Sono così stufa di sentire Elena questo, Stefan
quello... e ora sta per cominciare tutto daccapo».
Caroline si interruppe bruscamente, come se qualcuno le avesse
riattaccato il telefono e lei se ne fosse accorta solo in quel momento.
Per un istante, gli occhi le si rimpicciolirono e le labbra si
assottigliarono. Poi, lentamente, si rilassò. Continuando a tenere gli occhi
sullo specchio, sollevò una mano fino a posarla delicatamente sullo
stomaco. La guardò e pian piano i suoi lineamenti sembrarono
ammorbidirsi, e sciogliersi in un'espressione ansiosa e preoccupata.
Ma Damon non aveva distolto lo sguardo dallo specchio neanche per un
attimo. Specchio normale, specchio normale, specchio normale... ma ecco!
Proprio all'ultimo, quando Caroline si era voltata, un guizzo di rosso.
Fiamme?
Cos'è che sta succedendo allora? , pensò oziosamente in uno sfarfallio
d'ali, mentre si trasformava da corvo lucente in un giovane bello da morire,
sospeso tra gli alti rami di un albero. Di certo la creatura dello specchio
non era delle parti di Fell's Church. Ma sembrava intendesse portare guai a
suo fratello e un lieve, bellissimo sorriso increspò per un istante le labbra
di Damon.
Non c'era niente che amasse di più che guardare quel moralista, bigotto,
sono-meglio-di-te-perché-non-bevo-sangue-umano di Stefan mettersi nei
guai.
Gli adolescenti di Fell's Church – e anche qualche adulto –
consideravano la storia di Stefan Salvatore e della loro reginetta di
bellezza, Elena Gilbert, una versione moderna di Romeo e Giulietta. Lei
aveva dato la vita per salvare quella di lui quando erano stati rapiti da un
folle, e lui era morto di crepacuore. Si vociferava persino che Stefan non
fosse del tutto umano... ma fosse qualcos'altro. Un demone innamorato,
per redimere il quale Elena era morta.
Damon conosceva la verità. Stefan era morto e tutto quanto... ma era
morto da centinaia di anni. Ed era certamente un vampiro, ma chiamarlo
demone era come definire Campanellino armato e pericoloso.
Nel frattempo Caroline non dava segni di voler smettere di parlare a una
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stanza vuota.
«Aspetta un attimo», sussurrò, dirigendosi verso i mucchi disordinati di
carte e libri che ingombravano la sua scrivania.
Rovistò tra le carte fino a che non trovò una minuscola videocamera con
una lucina verde che la guardava come un unico occhio imperturbabile.
Con delicatezza, collegò la videocamera al computer e inserì una
password.
La vista di Damon era di gran lunga migliore di quella di un umano, e
poté chiaramente vedere le dita abbronzate dalle lunghe unghie bronzee
che digitavano: CFTHEBEST. Caroline Forbes the best, pensò. Pietoso.
Poi lei si voltò e Damon vide che aveva gli occhi colmi di lacrime. Un
attimo dopo, inaspettatamente, stava singhiozzando.
Si lasciò cadere pesantemente sul letto, piangendo e dondolandosi avanti
e indietro. Di tanto in tanto colpiva il materasso con il pugno chiuso. Ma
soprattutto piangeva a dirotto.
Damon era sgomento. Ma poi la forza dell'abitudine prese il sopravvento
e mormorò: «Caroline? Caroline, posso entrare?»
«Cosa? Chi?». Lei si guardò intorno affannosamente.
«Sono Damon. Posso entrare?», chiese, con la voce che traboccava di
falsa comprensione mentre stabiliva un controllo mentale su di lei.
Tutti i vampiri avevano simili poteri di controllo sui mortali. La
grandezza del Potere dipendeva da tante cose: la dieta del vampiro (il
sangue umano era di gran lunga il più potente), la forza di volontà della
vittima, la relazione tra vampiro e vittima, l'oscillazione tra giorno e
notte... e così tante altre cose che neanche Damon arrivava a capire.
Sapeva solo quando sentiva il proprio Potere crescere, e in quel momento
stava crescendo.
E Caroline stava aspettando.
«Posso entrare?», disse con il suo tono più musicale e allettante, e
schiacciando al tempo stesso la salda volontà di Caroline sotto una molto
più forte.
«Sì», rispose lei, asciugandosi rapidamente gli occhi. Evidentemente
non trovava nulla di insolito nel fatto che stesse entrando da una finestra al
terzo piano. I loro occhi si incontrarono. «Entra, Damon».
Aveva pronunciato l'invito necessario a un vampiro. Con una sola mossa
aggraziata, Damon si dondolò sul davanzale ed entrò. L'interno della
stanza era saturo di profumi... certo non i più tenui. Si sentiva davvero
come un animale feroce in quel momento: era sorprendente il modo in cui
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la sete di sangue gli era venuta così all'improvviso, così irresistibile. I
canini superiori gli si erano allungati più della metà della loro grandezza
normale, ed erano affilati come lame di rasoio.
Non era il momento di fare conversazione, di indugiare come faceva di
solito. Per un gourmet, metà del piacere era nel pregustare, certo, ma in
quell'esatto momento, lui ne aveva assoluto bisogno. Fece ricorso con
forza al suo Potere per controllare il cervello umano e rivolse a Caroline un
sorriso abbagliante.
Bastò solo quello.
Caroline gli stava andando incontro; ora si era fermata. Le labbra,
semiaperte come se stesse per fare una domanda, si aprirono del tutto; le
pupille si dilatarono all'improvviso come se si trovasse al buio, si
contrassero e rimasero tali.
«Io... io...», riuscì a dire. «Ooooh...».
Ecco. Era sua. Era stato così facile.
Le sue zanne fremevano in una sorta di piacevole dolore, un tenero
dolore che lo invitava a colpire rapido come lo scatto del cobra, ad
affondare i denti fino in fondo in un'arteria. Era affamato – anzi no, moriva
di fame – e tutto il suo corpo bruciava dal bisogno di bere a sazietà. Dopo
tutto, ce n'erano altre tra cui avrebbe potuto scegliere se avesse prosciugato
quelle arterie.
Con cautela, senza mai staccare gli occhi da quelli di lei, sollevò la testa
di Caroline scoprendole la gola, che pulsava dolcemente. Gli inebriò tutti i
sensi: il battito del suo cuore, l'odore del sangue esotico proprio sotto la
superficie, denso e maturo e dolce. Gli girava la testa. Non era mai stato
così eccitato, così ansioso...
Così ansioso che si fermò. Dopotutto, una ragazza valeva l'altra, giusto?
Cosa c'era di diverso stavolta? Cosa c'era che non andava in lui?
E poi capì.
Mi riprendo la mia mente, grazie.
All'improvviso la mente di Damon si fece gelida; l'aura sensuale nella
quale era rimasto intrappolato si congelò all'istante. Lasciò andare il mento
di Caroline e rimase immobile.
Era quasi caduto sotto lo stesso misterioso influsso che stava usando
Caroline. Quella "cosa" aveva cercato di tendergli un tranello per fargli
infrangere la parola data a Elena.
E, di nuovo, riuscì quasi a percepire un guizzo di rosso nello specchio.
Doveva essere una delle creature attratte da quella nova di Potere che
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Fell's Church era diventata... lo sapeva. Lo aveva usato, incitandolo,
cercando di fargli prosciugare Caroline. Di prendersi tutto il suo sangue, di
uccidere un umano, una cosa che non faceva da quando aveva incontrato
Elena.
Perché?
Pieno di rabbia ma freddo, si concentrò e sondò con la mente la stanza in
tutte le direzioni per trovare il parassita. Doveva essere ancora lì; lo
specchio era solo un portale per viaggiare a breve distanza. E lo aveva
controllato, aveva controllato lui, Damon Salvatore, perciò doveva essere
davvero molto vicino.
Eppure non riuscì a trovare nulla. Questo lo fece arrabbiare ancora di
più. Toccandosi distrattamente la nuca, inviò un messaggio minaccioso:
Ti avvertirò una volta, una volta sola. Sta lontano da ME!
Mandò fuori il pensiero con un'esplosione di Potere che lampeggiò nei
suoi sensi come un bagliore di fulmini. Doveva aver colpito a morte
qualcosa lì vicino: dal soffitto, dal cielo, da un ramo... o persino dalla porta
accanto. Da qualche parte una creatura sarebbe dovuta precipitare al suolo,
e lui avrebbe dovuto percepirne la presenza.
Ma nonostante Damon riuscisse a sentire le nuvole oscurarsi sopra di lui
in reazione al suo stato d'animo, e il vento scuotere i rami là fuori, nessun
corpo cadde dall'alto, e non ci fu alcun tentativo di ritorsione.
Non riuscì a trovare niente di abbastanza vicino da essere entrato nei
suoi pensieri, e niente di lontano che fosse abbastanza forte per farlo. A
volte Damon si divertiva a fare la parte del grande vanitoso, ma in fondo
possedeva una fredda e logica capacità di autoanalisi. Era forte davvero.
Lo sapeva. Fino a che si fosse mantenuto ben nutrito e libero da sentimenti
che potevano indebolirlo, c'erano poche creature in grado di opporsi a lui...
almeno a quel livello.
Due di queste erano proprio lì a Fell's Church, disse una piccola voce
beffarda nella sua mente, ma Damon scacciò via il pensiero con disprezzo.
Di certo nei dintorni non potevano esserci altri vampiri Maggiori,
altrimenti ne avrebbe avvertito la presenza. Vampiri ordinari, sì, ce n'erano
già tanti. Ma erano tutti troppo deboli per poter penetrare la sua mente.
Era ugualmente sicuro che lì attorno non ci fosse alcuna creatura in
grado di sfidarlo. L'avrebbe percepita, così come aveva percepito le
brillanti vene di drago, le linee energetiche di un misterioso potere magico
che sotto Fell's Church formavano un reticolo.
Guardò di nuovo Caroline, ancora immobile per la trance che le aveva
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indotto. Ne sarebbe emersa gradualmente, senza risentire dell'esperienza...
di quello che lui le, aveva fatto, per lo meno.
Si girò e, aggraziato come una pantera, si dondolò dalla finestra
all'albero e si lasciò cadere agilmente al suolo da un'altezza di nove metri.
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Damon dovette aspettare alcune ore prima di trovare un'altra opportunità
per nutrirsi... c'erano troppe ragazze profondamente addormentate... ed era
furioso. La fame che la creatura manipolatrice gli aveva suscitato era reale,
anche se non era riuscita a fare di lui il suo burattino. Aveva bisogno di
sangue, e ne aveva bisogno subito.
Solo dopo avrebbe pensato alle implicazioni dello strano abitante dello
specchio di Caroline: quel demone-amante davvero demoniaco che l'aveva
consegnata a Damon perché la uccidesse, mentre addirittura fingeva di fare
un patto con lei.
Le nove del mattino lo videro guidare lungo la strada principale del
paese, oltrepassando un antiquario, dei ristoranti, un negozio di cartoline.
Aspetta. Eccolo. Un negozio nuovo che vendeva occhiali da sole.
Parcheggiò e scese dall'auto con un'eleganza di movimenti frutto di secoli
di disinvolte movenze studiate per non sprecare un solo briciolo di energia.
Ancora una volta Damon accese il suo sorriso istantaneo e poi lo spense,
guardandosi riflesso nella vetrina scura. Sì, sono uno schianto, pensò
distrattamente.
Quando aprì la porta un campanello tintinnò segnalando il suo ingresso.
All'interno c'era una ragazza paffuta e molto carina, con una coda di
capelli castani e grandi occhi azzurri.
Aveva visto Damon e sorrideva timidamente.
«Salve». E sebbene lui non l'avesse chiesto, aggiunse con voce tremante:
«Mi chiamo Page».
Damon le rivolse un lungo sguardo rilassato che terminò in un sorriso
lento, brillante e complice. «Ciao Page», disse, rompendo il ghiaccio.
Page impallidì. «Posso aiutarla?»
«Oh, sì», disse Damon, bloccandola con i suoi occhi. «Penso di sì».
Tornò serio. «Sapevi», disse, «che il tuo posto è quello di una castellana,
in un castello del Medioevo?».
Page sbiancò, poi arrossì violentemente, sembrando ancora più carina.
«Io... io avrei sempre desiderato nascere allora. Ma come faceva a
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saperlo?».
Damon sorrise.
Elena guardò Stefan con i suoi grandi occhi blu scuro come lapislazzuli
picchiettati d'oro. Le aveva appena detto che avrebbe avuto dei Visitatori!
Nei sette giorni della sua vita, da quando era tornata dall'aldilà, non aveva
mai, mai avuto un Visitatore.
La prima cosa da fare, subito, era scoprire cosa fosse un Visitatore.
Quindici minuti dopo essere entrato nel negozio di occhiali da sole,
Damon camminava sul marciapiede con indosso un paio di Ray-Ban nuovi
di zecca e fischiettava.
Page faceva un pisolino sul pavimento. Più tardi, il suo capo l'avrebbe
minacciata di farle pagare i Ray-Ban. Ma in quel preciso momento si
sentiva calda e follemente felice... e provava una sensazione di estasi che
non avrebbe mai dimenticato.
Damon guardò le vetrine, anche se non proprio nel modo in cui l'avrebbe
fatto un umano. Una dolce vecchina dietro al bancone del negozio di
cartoline... no. Il commesso del negozio di elettronica... no.
Ma qualcosa lo riportò al negozio di elettronica. Inventavano degli
strumenti così ingegnosi ormai. Sentì l'urgente bisogno di possedere una
videocamera portatile. Damon era abituato ad assecondare i propri bisogni
e nelle situazioni di emergenza non faceva lo schizzinoso con i donatori. Il
sangue era sangue, da qualunque arteria provenisse. Qualche minuto dopo
essersi fatto mostrare come funzionava quel giocattolino, era già sul
marciapiede e ce l'aveva in tasca.
Si stava godendo la passeggiata, anche se cominciavano a dolergli di
nuovo i canini. Strano, avrebbe dovuto essere sazio... be', il giorno prima
non aveva mangiato quasi nulla. Ecco perché aveva ancora fame; per
quello e per il Potere che aveva usato contro quell'odioso parassita nella
stanza di Caroline. Al tempo stesso, però, godeva del modo in cui i suoi
muscoli lavoravano tutti insieme, sciolti e senza alcuno sforzo come un
meccanismo ben oliato, rendendo ogni movimento un piacere.
Si stiracchiò con gusto, come avrebbe fatto un animale, e si fermò di
nuovo per guardarsi nella vetrina di un antiquario. Leggermente
scarmigliato, ma comunque bello come sempre. E aveva visto giusto: i
Ray-Ban gli davano un'aria maliziosa. Sapeva che il negozio d'antiquariato
era gestito da una vedova che aveva una nipote molto giovane e molto
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graziosa.
L'interno era scuro e fresco grazie all'aria condizionata.
«Lo sai», chiese alla nipote che gli si era avvicinata per servirlo, «che mi
dai l'impressione di una persona a cui piacerebbe vedere un sacco di posti
lontani?».
Dopo che Stefan ebbe spiegato a Elena che i Visitatori erano suoi amici,
i suoi buoni amici, volle che si vestisse. Elena non capiva perché. Faceva
caldo. Aveva acconsentito a indossare una Camicia da Notte (almeno per
buona parte della notte), ma di giorno faceva ancora più caldo e lei non
possedeva una Camicia da Giorno.
E poi, i vestiti che lui le stava porgendo – un paio di suoi jeans con il
risvolto e una polo che le sarebbe stata enorme – erano in qualche modo...
sbagliati. Quando toccò la maglietta, fu assalita da immagini di centinaia
di donne in piccole stanze male illuminate, chine sulle macchine da cucire,
che lavoravano freneticamente.
«Una manifattura clandestina?», disse Stefan, sbigottito, quando lei gli
mostrò l'immagine nella sua mente. «Questi?». Fece cadere bruscamente
gli indumenti sul pavimento del guardaroba.
«Che ne dici di questa?». Stefan le porse un'altra maglietta.
Elena la esaminò con calma, appoggiandosela alla guancia. Nessuna
donna sfruttata che cuciva freneticamente.
«È a posto?», chiese Stefan. Ma Elena era come paralizzata. Andò alla
finestra e guardò fuori.
«Cosa c'è che non va?».
Questa volta, gli mandò una sola immagine. Lui la riconobbe
immediatamente.
Damon.
Stefan si irrigidì. Suo fratello maggiore aveva fatto di tutto per rendergli
la vita impossibile per quasi mezzo millennio. Ogni volta che Stefan aveva
cercato di allontanarsi da lui, Damon l'aveva rintracciato, in cerca di...
cosa? Vendetta? Una qualche soddisfazione definitiva? Si erano uccisi a
vicenda, nello stesso istante, nell'Italia del Rinascimento. Le loro spade
avevano trafitto l'una il cuore dell'altro quasi simultaneamente, in un
duello a causa di una ragazza vampiro. Le cose erano andate a rotoli da
allora.
Ma qualche volta ti ha anche salvato la vita, pensò Stefan, d'un tratto
confuso. E avete promesso che avreste vegliato l'uno sull'altro, che vi
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sareste presi cura l'uno dell'altro...
Stefan guardò Elena seccato. Era stata lei a far sì che facessero quel
giuramento... quando era in punto di morte. Elena ricambiò il suo sguardo
con quei laghi di innocenza blu scuro che erano i suoi occhi.
A ogni modo, doveva aver a che fare con Damon, che ora stava
parcheggiando la sua Ferrari accanto alla Porsche di Stefan, di fronte alla
pensione.
«Rimani qui dentro e sta lontana dalla finestra. Ti prego», disse
bruscamente Stefan a Elena. Si precipitò fuori dalla stanza, chiuse la porta
e scese le scale quasi correndo.
Trovò Damon accanto alla Ferrari, mentre studiava la fatiscente facciata
della pensione – prima con indosso gli occhiali da sole e poi togliendoseli.
L'espressione di Damon diceva che non faceva una grossa differenza
comunque la guardasse.
Ma non era quello che preoccupava Stefan. Era l'aura di Damon e la
varietà di diversi aromi che aleggiavano attorno a lui, che nessun naso
umano sarebbe stato in grado di sentire, né tantomeno distinguere.
«Cosa hai fatto?», disse Stefan, troppo scioccato anche per un saluto
frettoloso.
Damon gli rivolse un sorriso a 250 watt. «Antiquariato», disse, e
sospirò. «Oh, e anche un po' di shopping». Passò il dito su una nuova
cintura di pelle, si toccò la tasca con dentro la videocamera e sollevò i suoi
Ray-Ban. «Ci crederesti che in questo briciolo di paese si può fare dello
shopping decente? Amo fare shopping».
«Ti piace rubare, vorrai dire. E questo non giustifica neanche la metà di
quello che riesco ad annusare su di te. Stai morendo o sei semplicemente
impazzito?». A volte, quando un vampiro era stato avvelenato o colpito da
una di quelle calamità o malattie che affliggono la loro specie, poteva
capitare che si nutrisse febbrilmente, in modo incontrollabile, di qualsiasi
cosa – o persona – gli capitasse.
«Semplicemente affamato», rispose Damon tranquillo, con lo sguardo
ancora rivolto alla pensione. «E, a proposito, cosa ne è dell'educazione?
Ho guidato fino a qui e ricevo un "Ciao, Damon" oppure "È bello vederti,
Damon"? No. Mi sento dire: "Cosa hai fatto, Damon?"». Diede
all'imitazione un tono piagnucoloso, derisorio. «Mi chiedo cosa ne
penserebbe Marino, fratellino».
«Marino», disse Stefan tra i denti, chiedendosi come facesse Damon
ogni volta a entrargli così profondamente nell'animo, ora con un
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riferimento al loro vecchio maestro di ballo ed etichetta, «è ormai polvere
da centinaia di anni... come dovremmo esserlo anche noi. Ma questo non
ha niente a che vedere con la nostra conversazione, fratello. Ti ho chiesto
cosa hai fatto, e sai cosa intendevo... devi aver dissanguato metà delle
ragazze della città».
«Ragazze e donne», lo riprese Damon, ammonendolo scherzosamente
con un dito. «Dobbiamo essere politicamente corretti. E forse dovresti
pensare di più alla tua di dieta. Se bevessi di più, potresti mettere su un po'
di peso. Chi lo sa?»
«Se io bevessi di più...?». C'erano un sacco di modi per finire la frase,
ma nessuno che fosse buono. «Peccato», disse invece al basso, snello e
compatto Damon, «che tu non crescerai mai, neanche di un centimetro, per
quanto a lungo tu possa vivere. E adesso, perché non mi dici cosa ci fai
qui, dopo avermi lasciato in città un sacco di casini da sistemare... visto
che ti conosco bene».
«Sono qui perché rivoglio indietro il mio giubbotto di pelle», disse
Damon con un tono distaccato.
«Perché non rubarne semplicemente un al...?». Stefan si interruppe,
ritrovandosi d'un tratto a volare all'indietro e a sbattere contro le assi
cigolanti della facciata della pensione, con Damon che gli stava quasi
addosso.
«Non ho rubato queste cose, ragazzo. Le ho pagate... con la mia moneta.
Sogni, fantasie e piaceri che non sono di questo mondo». Damon
pronunciò queste ultime parole con enfasi, sapendo che avrebbero fatto
infuriare Stefan ancora di più.
Stefan era infuriato... e in preda a un dilemma. Sapeva che Damon era
incuriosito da Elena. E questo era già abbastanza pericoloso.
Ma in quel momento riusciva a intravedere uno strano luccichio negli
occhi di Damon. Come se, per un istante, nelle sue pupille si fosse riflessa
una fiamma. E qualunque cosa Damon avesse fatto quel giorno, non era
normale. Stefan non sapeva cosa stesse succedendo, ma sapeva solo in che
modo Damon avrebbe posto fine a tutto ciò.
«Ma un vero vampiro non dovrebbe pagare», diceva Damon con il suo
tono più sarcastico. «Dopo tutto, siamo così malvagi che dovremmo essere
solo polvere. Non è così, fratellino?». Alzò la mano al cui dito portava
l'anello di lapislazzuli, che lo proteggeva facendo sì che non si riducesse in
polvere alla luce dorata del pomeriggio. Al primo movimento di Stefan,
Damon usò quella stessa mano per inchiodare il polso di suo fratello alla
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parete.
Stefan fece una finta a sinistra per poi scagliarsi alla sua destra e
liberarsi dalla stretta di Damon. Ma Damon fu veloce come un serpente...
anzi no, più veloce. Molto più veloce del solito. Veloce e forte di tutta
l'energia vitale che aveva assorbito.
«Damon, tu...». Stefan era così arrabbiato che per poco non perse la
ragione e cercò di colpire il fratello alle gambe per farlo cadere.
«Sì, sono io, Damon», disse Damon con esultante acredine. «E non pago
se non mi va di farlo: prendo e basta. Prendo quello che voglio, e non do
niente in cambio».
Stefan guardò in quegli occhi di un nero acceso e di nuovo vide il
piccolo guizzo di una fiamma. Cercò di pensare. Damon era sempre pronto
ad attaccare, a risentirsi. Ma non in quel modo. Stefan lo conosceva
abbastanza da sapere che qualcosa non funzionava; c'era qualcosa che non
andava. Damon sembrava febbricitante. Stefan lanciò un piccolo impulso
di Potere verso suo fratello, una sorta di radar, per cercare di capire cosa ci
fosse di diverso.
«Sì, vedo che ti sei fatto un'idea, ma così non andrai mai da nessuna
parte», disse Damon sardonico, e all'improvviso Stefan sentì dentro di sé
un dolore terribile, l'intero corpo in fiamme. Damon gli aveva inferto una
violenta scudisciata del proprio Potere.
Ma adesso, per quanto fosse tremendo il dolore, Stefan doveva essere
freddo e razionale; doveva continuare a pensare, oltre a reagire. Fece un
piccolo movimento, ruotando il collo per guardare verso l'ingresso della
pensione. Se solo Elena fosse rimasta all'interno...
Ma era difficile pensare con Damon che continuava a frustarlo. I suoi
respiri erano veloci e affannati.
«Proprio così», disse Damon. «Noi vampiri prendiamo... una lezione che
devi imparare».
«Damon, noi dovremmo prenderci cura l'uno dell'altro... abbiamo
promesso...».
«Sì, e io mi sto prendendo cura di te proprio in questo momento».
Allora Damon lo morse.
E lo dissanguò.
Fu ancora più doloroso delle frustate di Potere, ma Stefan si sforzò di
rimanere fermo, rifiutandosi di cominciare una lotta. Non avrebbe dovuto
provare dolore quando i denti affilati gli affondarono nella carotide, ma
Damon lo teneva fermo per i capelli, per fargli deliberatamente male.
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Arrivò il dolore vero. La sofferenza di sentirsi succhiare via il sangue
contro la propria volontà, contro la propria resistenza. Era una tortura che
gli umani paragonavano a quella di sentirsi strappare via l'anima dal corpo.
Avrebbero fatto qualunque cosa per evitarla. Tutto ciò che Stefan sapeva,
era che si trattava di una delle più grandi sofferenze fisiche che avesse mai
dovuto sopportare. Gli occhi gli si riempirono di lacrime che scivolarono
lungo le sue tempie, fino agli ondulati capelli scuri.
La cosa peggiore, per un vampiro, era l'umiliazione di farsi trattare da un
altro vampiro come un essere umano, come un pezzo di carne. Stefan
sentiva il cuore rimbombargli nelle orecchie, mentre fremeva sotto le
doppie lame taglienti dei canini di Damon, cercando di sopportare la
mortificazione di essere usato in quel modo. Almeno, grazie a Dio, Elena
gli aveva dato ascolto ed era rimasta nella sua camera.
Stava cominciando a chiedersi se Damon fosse davvero impazzito e
intendesse ucciderlo quando, finalmente, con una spinta che quasi gli fece
perdere l'equilibrio, Damon lo lasciò andare. Stefan incespicò e cadde; si
girò sulla schiena e alzò lo sguardo: Damon gli era di nuovo addosso. Si
premette le dita sullo squarcio che aveva sul collo.
«E ora», disse Damon freddamente, «andrai di sopra e mi porterai il mio
giubbotto».
Stefan si alzò lentamente. Sapeva che Damon stava godendosi tutto ciò:
la sua umiliazione, i suoi vestiti puliti tutti stropicciati e pieni di erba e
fango delle disordinate aiuole della signora Flowers. Fece del suo meglio
per spazzolarseli con una mano, mentre con l'altra continuava a tenersi
premuto il collo.
«Sei silenzioso», notò Damon, fermo accanto alla sua Ferrari, mentre si
passava la lingua sui denti e sulle gengive, con gli occhi socchiusi per il
piacere. «Nessuna brillante replica? Neanche una parola? Penso che dovrei
darti più spesso una lezione del genere».
Stefan aveva difficoltà a muovere le gambe. Be', è andato tutto come
previsto, pensò mentre tornava alla pensione. Poi si fermò.
Elena si era affacciata a una delle finestre senza persiane della sua
stanza, tenendo il giubbotto di Damon. La sua espressione era molto seria,
segno che aveva visto tutto.
Fu uno shock per Stefan, il quale ebbe, però, il sospetto che per Damon
lo shock fosse ancora più grande.
Elena fece roteare il giubbotto in aria e lo lanciò in modo che atterrasse
direttamente ai piedi di Damon, attorno ai quali si arrotolò.
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Con grande stupore di Stefan, Damon impallidì. Raccolse il giubbotto
come se non volesse davvero toccarlo. Aveva tenuto gli occhi fissi su
Elena per tutto il tempo. Risalì in macchina.
«Addio, Damon. Non posso dire che sia stato un piacere...».
Senza una parola, come un ragazzino cattivo che era stato frustato,
Damon mise in moto.
«Lasciatemi in pace», disse impassibile, a voce bassa.
Partì in una nuvola di polvere e ghiaia.
Gli occhi di Elena non erano sereni quando Stefan si chiuse alle spalle la
porta della camera. Brillavano di una luce che lo aveva quasi costretto a
fermarsi sulla soglia.
Ti ha fatto del male.
«Fa del male a tutti. Sembra che non possa farne a meno. Ma oggi c'era
qualcosa di strano in lui. Non so cosa. Ma in questo momento, non mi
interessa. Ma tu, piuttosto, riesci a formulare delle frasi!».
Lui... Elena si fermò, e per la prima volta da quando aveva riaperto gli
occhi nella radura in cui era risorta, le si era disegnata una ruga sulla
fronte. Non riusciva a creare un'immagine. Non conosceva le parole giuste.
Qualcosa dentro di lui. Che cresce dentro di lui. Come... un fuoco gelido,
una luce scura, disse finalmente. Ma nascosto. Un fuoco che brucia
dall'interno.
Stefan cercò di confrontare questa cosa con quello che aveva sentito, ma
non ne ricavò nulla. Si sentiva ancora umiliato per il fatto che Elena avesse
assistito a quello che era successo. «Tutto quello che so essere dentro di
lui, è il mio sangue. Insieme a quello di metà delle ragazze della città».
Elena chiuse gli occhi e scosse lentamente la testa. Poi, come se avesse
deciso di non proseguire oltre, batté la mano sul letto accanto a lei.
Vieni, gli ordinò sicura di sé, alzando lo sguardo verso di lui. L'oro nei
suoi occhi sembrava più brillante che mai. Lascia... che ti allevii... il
dolore.
Stefan non si mosse subito, allora lei stese le braccia. Stefan sapeva che
non avrebbe dovuto, ma era ferito... soprattutto nell'orgoglio.
Andò da lei e si chinò per baciarle i capelli.
3
Più tardi, quello stesso giorno, Caroline era seduta con Matt Honeycutt,
Meredith Sulez e Bonnie McCullough, e tutti ascoltavano Stefan che
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parlava all'altro capo del cellulare di Bonnie.
«Nel tardo pomeriggio sarebbe meglio», diceva Stefan a Bonnie. «Fa un
pisolino dopo pranzo... e poi, tra un paio d'ore, sarà anche più fresco. Ho
detto a Elena che sareste venuti, e non vede l'ora di vedervi. Ma ricorda
due cose. Primo, è tornata da soli sette giorni e non è ancora del tutto... in
sé. Penso che le passerà – i sintomi, voglio dire – in pochi giorni, ma nel
frattempo non stupitevi di nulla. Seconda cosa, non raccontate nulla di
quello che vedrete qui. A nessuno».
«Stefan Salvatore!». Bonnie era scandalizzata e offesa. «Dopo tutto,
l'abbiamo fatto insieme, pensi che andremmo in giro a parlarne?»
«Non intendevo questo», si sentì di nuovo la voce di Stefan, più dolce.
Ma Bonnie continuò.
«Abbiamo affrontato insieme vampiri malvagi e il fantasma della città,
lupi mannari, gli Antichi, cripte segrete, omicidi seriali e... e... Damon... e
ne abbiamo mai parlato a qualcuno?», disse Bonnie.
«Mi dispiace», disse Stefan. «Volevo solo dire che Elena non sarà al
sicuro se qualcuno di voi lo racconta anche a una sola persona. Finirebbe
tutto sui giornali: RAGAZZA TORNA IN VITA. E a quel punto che
facciamo?»
«Lo capisco», disse brevemente Meredith, sporgendosi in modo che
Stefan potesse vederla. «Non devi preoccuparti. Ognuno di noi giurerà di
non parlare con nessuno». I suoi occhi scuri guizzarono per un istante in
direzione di Caroline.
«Devo chiedervelo». Stefan stava facendo uso di tutta la sua gentilezza e
cavalleria rinascimentale, considerando in particolar modo che tre delle
quattro persone che lo guardavano al telefono erano di sesso femminile.
«Avete un modo per far rispettare davvero il giuramento?»
«Oh, penso proprio di sì», disse Meredith con gentilezza, guardando,
questa volta, Caroline direttamente negli occhi. Caroline arrossì, le guance
abbronzate e il collo le si fecero scarlatti. «Lascia che ci lavoriamo su e
verremo nel pomeriggio».
Bonnie, che reggeva il telefono, disse: «Qualcuno ha qualcos'altro da
dire?».
Matt era rimasto in silenzio per quasi tutta la durata della conversazione.
Scosse la testa, facendo svolazzare il suo ciuffo biondo. Poi, come se non
riuscisse a trattenersi, sbottò: «Possiamo parlare con Elena? Solo per dirle
ciao? Voglio dire... è passata una settimana intera». La sua pelle
abbronzata aveva i colori di un tramonto, come quella di Caroline.
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«Sarà meglio che le parliate di persona. Lo capirete quando sarete qui».
Stefan riattaccò.
Erano a casa di Meredith, seduti attorno a un vecchio tavolo da giardino
sul retro. «Be', possiamo almeno portar loro del cibo», suggerì Bonnie,
schizzando su dalla sedia. «Dio solo sa cosa prepara la signora Flowers... o
se lo fa». Fece cenno agli altri di muoversi come se potesse farli alzare
dalle loro sedie con la levitazione.
Matt, obbediente, fece per alzarsi, ma Meredith rimase seduta. Disse con
calma: «Abbiamo appena fatto una promessa a Stefan. C'è prima la
questione del giuramento. E delle conseguenze per chi non lo rispetta».
«So che stai pensando a me», disse Caroline. «Perché non lo dici e
basta?»
«D'accordo», disse Meredith. «Sto pensando a te. Perché tutt'a un tratto
ti interessa di nuovo Elena? Come possiamo essere sicuri che non andrai in
giro a spargere la notizia per tutta Fell's Church?»
«Perché dovrei volerlo fare?»
«Per essere al centro dell'attenzione. Svelando ogni piccante dettaglio ti
conquisteresti un pubblico».
«O per vendetta», aggiunse Bonnie, sedendosi di nuovo. «O gelosia. O
noia. O...».
«Ok», le interruppe Matt. «Penso che basti con i motivi».
«Ancora una cosa», disse pacatamente Meredith. «Perché ti interessa
così tanto vederla, Caroline? Voi due non siete andate molto d'accordo
durante l'ultimo anno, da quando Stefan è arrivato a Fell's Church. Ti
abbiamo chiamato per la telefonata a Stefan, ma dopo quello che ha
detto...».
«Se proprio ti serve una ragione sul perché dovrebbe interessarmi, dopo
tutto quello che è successo una settimana fa, be'... be', pensavo che l'avresti
capito senza bisogno che te lo dicessi!». Caroline fissò Meredith con i suoi
brillanti occhi verdi da gatta. Meredith ricambiò lo sguardo con la sua
migliore espressione "inespressiva".
«D'accordo!», disse Caroline. «Lei l'ha ucciso per me. O ha fatto sì che
venisse richiamato al Giudizio, o quello che è. Quel vampiro, Klaus. E
dopo essere stata rapita e... e... e... usata... come un giocattolo... ogni volta
che Klaus desiderava del sangue... o...». Era stravolta e singhiozzava.
Bonnie provò comprensione per lei, ma era anche diffidente. Il suo
intuito le diceva di stare in guardia. E aveva notato che, nonostante
Caroline avesse parlato del vampiro Klaus, stranamente non aveva
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nominato l'altro suo rapitore, Tyler Smallwood, il licantropo. Forse perché
Tyler era stato il suo ragazzo fino a che lui e Klaus non l'avevano tenuta
prigioniera.
«Mi spiace», disse Meredith con una voce che sembrava davvero
dispiaciuta. «Quindi vuoi ringraziare Elena».
«Sì . Voglio ringraziarla». Caroline respirava a fatica. «E voglio
assicurarmi che stia bene».
«Ok. Ma questo giuramento vale per un bel po' di tempo», continuò con
calma Meredith. «Potresti cambiare idea domani, la prossima settimana,
tra un mese... non abbiamo neanche pensato alle punizioni».
«Guarda che non possiamo minacciare Caroline», disse Matt. . «Non
fisicamente».
«Né permettere che altri la minaccino», disse Bonnie, pensosa.
«No, non possiamo», disse calma Meredith. «Ma... se non ricordo male
quest'autunno entrerai a far parte di una associazione universitaria, non è
vero, Caroline? Posso sempre dire alle tue future compagne che hai rotto
un solenne giuramento riguardo a qualcuno che non è in grado di farti del
male... e che, sono certa, non vuole farti del male. Credo che non si
interesserebbero più molto a te dopo una cosa del genere».
Di nuovo Caroline arrossì violentemente. «Non lo faresti. Non
interferiresti con il mio college...».
Meredith la interruppe con tre parole: «Mettimi alla prova».
Caroline sembrò afflosciarsi. «Non ho mai detto che non avrei fatto il
giuramento, e non ho mai detto che non l'avrei mantenuto. Mettetemi alla
prova, perché non volete farlo? Ho... ho imparato un po' di cose
quest'estate».
Vorrei sperarlo. Quelle parole, sebbene nessuno le avesse dette ad alta
voce, sembravano aleggiare su di loro. L'hobby di Caroline, per tutto
l'anno passato, era stato cercare dei modi per fare del male a Stefan ed
Elena.
Bonnie cambiò posizione. C'era qualcosa dietro a quello che Caroline
stava dicendo. Non sapeva come facesse a saperlo; era il sesto senso con
cui era nata. Ma forse aveva solo a che fare con quanto era cambiata
Caroline, con quello che aveva imparato, si disse Bonnie.
Bastava pensare a quante volte le aveva chiesto di Elena durante l'ultima
settimana. Stava davvero bene? Poteva mandarle dei fiori? Elena poteva
ricevere visite? Quando sarebbe stata bene? Caroline era stata davvero una
seccatura, nonostante Bonnie non avesse avuto il coraggio di dirglielo.
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Tutti gli altri erano altrettanto ansiosi di vedere come stesse Elena... dopo
essere tornata dall'aldilà. Meredith, che aveva sempre carta e penna, stava
scribacchiando qualcosa. Disse: «Cosa ne pensate di questo?». Tutti si
sporsero in avanti per guardare il blocchetto.
Giuro di non parlare a nessuno di qualsiasi evento soprannaturale riguardante
Stefan o Elena, senza averne avuto specifico permesso da Stefan o Elena. Interverrò
anche nella punizione di chiunque infranga questo giuramento, nella maniera che sarà
decisa dal resto del gruppo. Questo giuramento vale in perpetuo, con la testimonianza
del mio sangue.
Matt annuiva: «"In perpetuo"... perfetto», disse. «Sembra scritto da un
avvocato».
Quello che seguì non fu particolarmente "avvocatesco". Ognuna delle
persone attorno al tavolo prese il foglietto, lo lesse ad alta voce e lo firmò
solennemente. Poi si punsero un dito con una spilla che Meredith aveva in
borsa e ciascuno aggiunse una goccia di sangue accanto alla propria firma.
Bonnie chiuse gli occhi quando si punse.
«Ora è davvero vincolante», disse risolutamente, come una che sa il fatto
suo. «Io non proverei a infrangerlo».
«Ne ho abbastanza di sangue per un bel po'», disse Matt, strizzandosi il
dito e guardandoselo con aria tetra.
Questo fu ciò che accadde. Il patto di Meredith era al centro del tavolo
dove ognuno poteva vederlo quando, da un'alta quercia che sorgeva dove il
giardino sul retro si fondeva con il bosco, piombò giù un corvo. Atterrò sul
tavolo con un grido rauco che fece gridare anche Bonnie. Il corvo diede
un'occhiata ai quattro umani, che in tutta fretta avevano tirato indietro le
sedie per allontanarsi dal volatile. Poi voltò la testa in un'altra direzione.
Era il corvo più grande che avessero mai visto, e il sole creava arcobaleni
iridescenti sulle sue piume.
Sembrava proprio che il corvo stesse studiando il patto. Ma poi fece
qualcosa così velocemente da far balzare Bonnie dietro a Meredith,
inciampando nella sedia. Aprì le ali, si chinò in avanti e beccò
furiosamente il foglio, concentrandosi apparentemente su due punti precisi.
E poi andò via, prima con un frullo d'ali e poi librandosi in alto, fino a
diventare un piccolo puntino nero nel sole.
«Ha rovinato tutto il nostro lavoro», gridò Bonnie, ancora al sicuro
dietro Meredith.
«Non credo», disse Matt, che era più vicino al tavolo.
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Quando trovarono il coraggio di avvicinarsi per guardare il foglio,
Bonnie ebbe la sensazione che qualcuno le avesse messo sulla schiena una
coperta di ghiaccio. Il suo cuore cominciò a martellare.
Sembrava impossibile, le furiose beccate erano rosse, come se il corvo
avesse vomitato sangue per colorarle. E i segni rossi, sorprendentemente
delicati, avevano la forma precisa di una elaborata lettera:
D
E sotto a questa:
Elena è mia.
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Con il patto firmato al sicuro nella borsa di Bonnie, si diressero tutti alla
pensione in cui Stefan era tornato ad abitare. Cercarono la signora
Flowers, senza riuscire a trovarla come al solito. Perciò salirono su per gli
stretti scalini con la moquette logora e la balaustra scheggiata, salutando a
gran voce una volta arrivati.
«Stefan! Elena! Siamo noi!».
La porta in cima alle scale si aprì e Stefan fece capolino. Sembrava in
qualche modo diverso.
«Più felice», sussurrò saggiamente Bonnie a Meredith.
«Dici?»
«Ma certo». Bonnie era scandalizzata. «Ha riavuto Elena».
«Sì. E, scommetto, esattamente com'era quando si sono incontrati. Tu
l'hai vista nei boschi...». La voce di Meredith era carica di significato.
«Ma... questo vuol dire... oh, no! È di nuovo umana!».
Matt guardò in basso verso le scale e sibilò: «Quando la smettete voi
due? Ci sentiranno».
Bonnie era confusa. Era normale che Stefan potesse sentirle, ma se ci si
doveva preoccupare di quello che lui sentiva, allora bisognava stare attenti
anche a quello che si pensava: Stefan riusciva sempre a cogliere quello che
stavi pensando, se non addirittura le parole esatte.
«Tipico dei maschi!», sibilò Bonnie. «Voglio dire, so che sono proprio
necessari e tutto il resto, ma a volte Proprio Non Ci Arrivano».
«Quando li avrai provati, gli uomini, ne riparliamo», sussurrò Meredith,
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e Bonnie pensò ad Alaric Saltzman, lo studente universitario con il quale
Meredith era più o meno fidanzata.
«Potrei dirti un paio di cosette anch'io», aggiunse Caroline,
esaminandosi con sguardo annoiato le lunghe unghie fresche di manicure.
«Ma Bonnie per ora non ha bisogno di saperne neanche una. Ha un
sacco di tempo per imparare», disse Meredith, con un deciso tono materno.
«Entriamo».
«Sedetevi, sedetevi», li incoraggiò Stefan, da perfetto padrone di casa,
facendoli accomodare. Ma nessuno riuscì a sedersi. Tutti gli occhi erano
fissi su Elena.
Era seduta nella posizione del Loto di fronte all'unica finestra aperta
della stanza, con il vento fresco che le gonfiava la camicia da notte bianca.
I suoi capelli erano tornati del colore dell'oro, non il pericoloso platino di
quando Stefan l'aveva trasformata involontariamente in un vampiro.
Sembrava esattamente come Bonnie se la ricordava.
Tranne per il fatto che fluttuava a un metro da terra.
Stefan li vide tutti sbarrare gli occhi.
«È una cosa che fa normalmente», disse, quasi in tono di scusa. «Si è
svegliata il giorno dopo la nostra lotta con Klaus e ha cominciato a
fluttuare. Penso che la forza di gravità non abbia ancora effetto su di lei».
Si rivolse a Elena. «Guarda chi è venuto a trovarti», disse con voce
entusiasta.
Elena li stava guardando. I suoi occhi azzurri punteggiati d'oro erano
curiosi, e lei sorrideva, ma non mostrava segno di riconoscere i suoi
visitatori.
Bonnie aveva aperto le braccia.
«Elena?», disse. «Sono io, Bonnie, ricordi? Ero là quando sei ritornata.
Sono così felice di vederti».
Stefan ci riprovò: «Elena, ricordi? Questi sono i tuoi amici, i tuoi
migliori amici. Questa bellezza alta con i capelli scuri è Meredith, questa
focosa fatina è Bonnie, e questo ragazzo dall'aria così americana è Matt...».
Qualcosa guizzò sul volto di Elena, e Stefan ripeté: «Matt».
«E io? O sono invisibile?», disse Caroline sulla porta. Sembrava
piuttosto di buon umore, ma Bonnie sapeva che anche solo vedere Stefan
ed Elena insieme e fuori pericolo, faceva rabbia a Caroline.
«Hai ragione. Scusa», disse Stefan e fece una cosa che nessun normale
diciottenne avrebbe potuto fare senza sembrare un idiota. Prese la mano di
Caroline e la baciò con una tale grazia e disinvoltura, quasi fosse un conte
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del Cinquecento. Cosa che, naturalmente, lui era davvero, pensò Bonnie.
Caroline sembrò leggermente compiaciuta. Dopo aver indugiato un po'
con il baciamano, Stefan disse: «E per ultima, ma non in ordine di
importanza, la bellezza abbronzata qui presente è Caroline». Poi, molto
dolcemente, con un tono di voce che Bonnie gli aveva sentito usare solo
poche volte da quando lo conosceva, disse: «Non te li ricordi, amore?
Sono quasi morti per te... e per me». Elena fluttuava liberamente, era in
posizione eretta ora, muovendosi su e giù come un nuotatore che cerca di
restare fermo.
«L'abbiamo fatto perché vi vogliamo bene», disse Bonnie, e protese di
nuovo le braccia in cerca di un abbraccio. «Ma non ci saremmo mai
aspettati di riaverti indietro, Elena». I suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Sei tornata da noi. Non ci riconosci?».
Elena si abbassò fino a trovarsi di fronte a Bonnie.
Non dava segno di aver riconosciuto qualcuno di loro, ma sul suo viso
c'era qualcos'altro. C'era una sorta di sconfinata serenità. Elena irradiava
una pace e un amore incondizionato tali che Bonnie inspirò profondamente
e chiuse gli occhi. Le sembrava di sentire la luce del sole sul viso, l'oceano
nelle orecchie. Dopo un istante, Bonnie si rese conto che stava per gridare
tanto era forte la sensazione di bontà... un termine ormai quasi in disuso al
giorno d'oggi. Alcune cose possono essere semplicemente, assolutamente
buone.
Elena era buona.
Poi, con un lieve tocco sulla spalla di Bonnie, Elena fluttuò verso
Caroline. Le tese le braccia.
Caroline sembrava confusa. Un'ondata di rossore le coprì il collo.
Bonnie la vide, ma non ne capì il significato. Tutti loro avrebbero avuto
l'opportunità di cogliere le vibrazioni di Elena. Caroline ed Elena erano
state amiche intime... fino all'arrivo di Stefan, la loro rivalità era stata
amichevole. Era stato bello da parte di Elena scegliere di abbracciare per
prima Caroline. Elena entrò nel cerchio che Caroline aveva formato in
tutta fretta con le sue braccia e proprio mentre Caroline stava per dire:
«Io...», la baciò sulla bocca. Ma non si trattò di un semplice buffetto sulle
labbra. Elena avvolse le braccia attorno al collo di Caroline e la strinse a
sé. Per dei lunghissimi attimi, Caroline rimase immobile, come se avesse
avuto uno shock. Poi indietreggiò e si dimenò, prima debolmente, e poi
con una tale violenza che Elena fu catapultata all'indietro nell'aria, con gli
occhi sbarrati. «Ma che diavolo...?». Caroline si stava sfregando la bocca.
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«Caroline!». La voce di Stefan era carica di impetuosa protezione. «Non
è affatto come credi. Non ha proprio nulla a che fare con il sesso. Ti sta
solo identificando, sta imparando chi sei. Può farlo, ora che è tornata da
noi».
«Cani della prateria», disse Meredith, con il tono di voce freddo e
leggermente distante che spesso usava per abbassare la temperatura di una
stanza. «I cani della prateria si baciano quando si conoscono. È
esattamente come dici, Stefan, li aiuta a riconoscere determinati
individui...».
Tuttavia, Caroline era ben lontana dalla capacità di Meredith di far
sbollire la rabbia. Sfregarsi la bocca era stata una pessima idea; si era
impiastricciata di rossetto rosso e ora sembrava uscita da un film tipo La
moglie di Dracula.
«Siete pazzi? Cosa credete? Solo perché lo fanno dei criceti, allora va
bene?». Si era riempita di chiazze rosse, dalla gola fino alla radice dei
capelli.
«Cani della prateria. Non criceti».
«Oh, ma chi se ne...». Caroline si interruppe, rovistando furiosamente
nella borsa fino a che Stefan le porse una scatola di fazzoletti. Aveva già
tamponato la bocca di Elena per toglierle le macchie rosse. Caroline si
precipitò nel piccolo bagno annesso alla camera da letto di Stefan e sbatté
la porta con forza.
Bonnie e Meredith si guardarono e, insieme, esplosero in una risata.
Bonnie improvvisò un'imitazione della violenta reazione di Caroline,
usando manciate e manciate di fazzoletti. Meredith scosse la testa in segno
di riprovazione, ma sia lei che Stefan e Matt dovettero reprimere un
attacco di risate. In parte era semplicemente dovuto a un calo di tensione –
avevano visto Elena di nuovo viva, dopo sei lunghi mesi senza di lei – ma
non riuscivano a smettere di ridere.
O, per lo meno, non ci riuscirono fino a che una scatola di fazzoletti volò
fuori dal bagno, quasi colpendo in testa Bonnie, e tutti si accorsero che la
porta sbattuta si era riaperta, e che nel bagno c'era uno specchio. Bonnie
colse l'espressione di Caroline riflessa nello specchio e incrociò il suo
sguardo.
Accidenti, li aveva visti ridere di lei.
La porta si richiuse, stavolta con un calcio. Bonnie piegò la testa e si
mise le mani tra i corti riccioli color fragola, desiderando che il pavimento
si spalancasse e la inghiottisse.
26
«Le chiederò scusa», disse dopo aver deglutito, cercando di comportarsi
da adulta. Poi alzò lo sguardo e si accorse che tutti gli altri erano più
preoccupati per Elena, chiaramente turbata da quel rifiuto.
È stata un'ottima cosa far firmare a Caroline quel giuramento con il
sangue, pensò Bonnie. Ed è anche un'ottima cosa che tu-sai-chi l'abbia
firmato.
Se c'era una cosa che Damon conosceva, erano le conseguenze a cui
andava incontro chi non rispettava i patti.
Mentre pensava a queste cose, si unì a quelli che si affollavano attorno a
Elena. Stefan cercava di trattenerla; Elena cercava di tornare da Caroline;
Matt e Meredith aiutavano Stefan e dicevano a Elena che era tutto a posto.
Quando Bonnie si unì a loro, Elena rinunciò a cercare di andare verso il
bagno. Era sconvolta, gli occhi azzurri colmi di lacrime. La serenità di
Elena era stata spezzata dall'offesa e dal dispiacere e, oltre a ciò, da una
profonda preoccupazione. Bonnie intuì dolorosamente qualcosa, diede un
colpetto affettuoso al gomito di Elena, l'unica parte che riusciva a
raggiungere, e aggiunse la sua voce al coro: «Non potevi sapere che
avrebbe reagito così. Non le hai fatto del male».
Dalle guance di Elena caddero lacrime di cristallo, e Stefan le raccolse
con un fazzoletto, come se ognuna fosse inestimabile.
«Lei pensa che Caroline sia ferita», disse Stefan. «Ed è preoccupata per
lei, per qualche motivo che non capisco».
Bonnie capì che Elena, dopo tutto, riusciva a comunicare... con il
pensiero. «Lo sento anch'io», disse. «Il dolore. Ma dille – a Elena intendo
– che prometto di chiederle scusa. Mi umilierò».
«Forse ci vorrebbe un po' di umiliazione per tutti noi», disse Meredith.
«Ma nel frattempo voglio assicurarmi che questo "angelo innocente"
riconosca me».
Con un'espressione di pacata raffinatezza, tolse Elena dalle braccia di
Stefan per prenderla tra le sue, e la baciò.
Sfortunatamente, questo coincise con l'uscita a grandi passi dal bagno da
parte di Caroline. La parte inferiore del suo viso era più pallida di quella
superiore, essendo stata spogliata di tutto il make-up: rossetto, fondotinta,
fard, insomma tutto. Si fermò di colpo e le fissò.
«Non ci credo», disse con toni aspri, «lo stai facendo ancora! È dis...».
«Caroline». La voce di Stefan suonava come un avvertimento.
«Sono venuta qui per vedere Elena». Caroline, la bellissima, flessuosa,
abbronzata Caroline, si torceva le mani in preda a un terribile conflitto.
27
«La vecchia Elena. E cosa vedo? È come una bambina, non sa parlare. È
una specie di guru sorridente che galleggia nell'aria. E ora è anche una
specie di pervertita...».
«Non finire la frase», disse Stefan, calmo ma deciso. «Te l'ho detto,
questi sintomi dovrebbero passare in pochi giorni. Solo allora potremo
valutare i suoi progressi», aggiunse.
Tuttavia, anche lui era in qualche modo diverso, pensò Bonnie. Non solo
felice per aver riavuto Elena. Era più forte, in un certo senso. Stefan era
sempre stato tranquillo dentro; i poteri di Bonnie lo percepivano come una
pozza di acqua limpida. Ma adesso, la stessa acqua limpida aveva generato
uno tsunami.
Cosa poteva aver cambiato Stefan così tanto?
La risposta le venne immediatamente, anche se sotto forma di
interrogativo. Elena era ancora in parte spirito: era stato l'intuito di Bonnie
a dirglielo. Cosa succedeva se bevevi il sangue di qualcuno che era in
quello stato?
«Caroline, finiamola qui», le disse Bonnie. «Scusa. Mi spiace davvero,
davvero, davvero per... lo sai cosa. Ho sbagliato e ti chiedo scusa».
«Oh, ti dispiace? E questo sistema tutto allora, non è vero?». La voce di
Caroline era acido puro, e diede le spalle a Bonnie, mostrando di non
ammettere repliche. Bonnie fu sorpresa di sentire negli occhi il bruciore
delle lacrime.
Elena e Meredith erano ancora abbracciate, con le guance bagnate dalle
lacrime l'una dell'altra. Si guardavano ed Elena sorrideva radiosa.
«Adesso conoscerà tutto di te», disse Stefan a Meredith. «Non solo il tuo
viso, ma... be', il tuo intimo, o per lo meno la sua forma. Avrei dovuto dirlo
prima che cominciasse tutto questo, ma io sono l'unico che lei abbia
"conosciuto", e non mi sono reso conto...».
«Avresti dovuto!». Caroline camminava nervosa come una tigre.
«Dunque hai baciato una ragazza, e allora?», sbottò Bonnie. «Cosa
credi, che ti crescerà la barba adesso?».
Turbata dal conflitto che le si svolgeva intorno, Elena si alzò
all'improvviso. Cominciò a sfrecciare per la stanza come se fosse stata
sparata da un cannone; i suoi capelli crepitavano per l'elettricità statica
quando improvvisamente si fermava o cambiava direzione. Volò due volte
attorno alla stanza e, quando si stagliò contro la vecchia finestra polverosa,
Bonnie pensò Oh mio Dio! Dobbiamo procurarle dei vestiti! Guardò
Meredith e vide che anche lei aveva fatto la stessa considerazione. Sì,
28
dovevano procurare a Elena dei vestiti... soprattutto biancheria intima.
Quando Bonnie andò verso Elena, timidamente, come se non fosse mai
stata baciata prima, Caroline esplose.
«Continui a farlo ancora, e ancora e ancora!». Adesso sta praticamente
strillando, pensò Bonnie. «Cosa c'è che non va in te? Sei proprio senza
morale?».
Questo, sfortunatamente, provocò un altro attacco di risate che Bonnie e
Meredith dovettero soffocare. Persino Stefan si allontanò bruscamente, la
sua galanteria verso l'ospite era una battaglia persa in partenza.
Non una semplice ospite, pensò Bonnie; era una ragazza con la quale era
andato piuttosto maledettamente oltre, come Caroline non si era
vergognata di far sapere in giro, quando era riuscita a mettere le mani su di
lui. Oltre quanto poteva un vampiro, ricordò Bonnie, ovvero senza essere
arrivato fino in fondo. Qualcosa riguardo allo scambio di sangue che
sostituiva... be', il Farlo. Ma lui non era stato l'unico di cui si fosse vantata
Caroline. Caroline era meschina.
Bonnie lanciò uno sguardo a Elena e vide che stava guardando Caroline
con una strana espressione. Non come se ne avesse paura, ma piuttosto
come se fosse profondamente preoccupata per lei.
«Tutto bene?», sussurrò Bonnie. Con sua grande sorpresa, Elena annuì,
poi guardò Caroline e scosse la testa. La guardò attentamente dalla testa ai
piedi, con l'espressione simile a quella di un medico che esamina un
paziente molto malato.
Poi fluttuò verso Caroline, con una mano tesa.
Caroline si tirò indietro, come se provasse disgusto a farsi toccare da
Elena. No, non disgusto, pensò Bonnie, ma paura.
«Come faccio a sapere quello che farà dopo?», scattò Caroline, ma
Bonnie sapeva che non era quello il vero motivo della sua paura. Cosa sta
succedendo qui?, si chiedeva. Elena che aveva paura per Caroline, e
Caroline che aveva paura di Elena. Cosa voleva dire?
Le sue capacità medianiche stavano facendo venire a Bonnie la pelle
d'oca. Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in Caroline, qualcosa in cui
non si era mai imbattuta. E l'aria... sembrava più densa, come se si stesse
preparando una tempesta.
Caroline si voltò bruscamente per allontanare la sua faccia da quella di
Elena. Si riparò dietro una sedia.
«Voglio che la teniate lontana da me e basta, va bene? Non lascerò che
mi tocchi di nuovo...», cominciò, quando Meredith cambiò l'intera
29
situazione pronunciando due semplici parole.
«Cosa mi hai detto?», disse Caroline, fissandola.
5
Damon stava guidando senza meta quando vide la ragazza.
Era sola, camminava sul lato della strada, i capelli di un rosso tiziano
mossi dal vento, le braccia appesantite da alcuni pacchetti.
Damon fece immediatamente il gesto cavalleresco. Lasciò che l'auto si
fermasse lentamente, aspettò che la ragazza facesse i pochi passi che li
separavano – che gambe!1 – e saltò fuori dall'auto, affrettandosi ad aprirle
la portiera dal lato del passeggero.
Venne fuori che il suo nome era Damaris.
In pochi istanti la Ferrari era di nuovo sulla strada, così veloce che i
capelli rossi di Damaris sventolavano dietro di lei come una bandiera. Era
una giovane donna che meritava pienamente il genere di complimenti
ipnotici che lui aveva elargito per tutto il giorno... ed era un'ottima cosa,
pensò laconico, visto che la sua fantasia era ormai quasi a secco.
Ma lusingare quella graziosa creatura, con la sua nuvola di capelli rossooro e la pelle lattea, non richiedeva affatto uno sforzo di immaginazione.
Non si aspettava problemi da lei, e progettò di tenersela per tutta la notte.
Veni, vidi, vici, pensò Damon, e sorrise malizioso. Ma poi fece
ammenda... be', forse non l'ho ancora conquistata, ma scommetto la mia
Ferrari che ci riuscirò.
Si erano fermati nei pressi di una rotonda panoramica e, quando Damaris
aveva fatto cadere la borsa e si era chinata per raccoglierla, lui le aveva
visto la nuca, dove i sottili capelli rossi creavano un sorprendente contrasto
con il candore della sua pelle.
La baciò immediatamente, impulsivamente, trovandola morbida come la
pelle di un bambino... e calda contro le sue labbra. Le aveva concesso
totale libertà d'azione, interessato a vedere se lo avrebbe schiaffeggiato.
Invece lei si era raddrizzata e aveva tratto qualche respiro affannoso prima
di farsi prendere tra le braccia e trasformarsi con un bacio in una creatura
tremante, eccitata e incerta. I suoi occhi blu scuro imploravano e cercavano
di resistere al tempo stesso.
«Non... avrei dovuto lasciartelo fare. Non te lo permetterò di nuovo.
Voglio andare a casa adesso».
1 In italiano nel testo (n.d.t.)
30
Damon sorrise. La sua Ferrari era salva.
La sua resa definitiva sarebbe stata particolarmente piacevole, pensò
mentre continuavano la corsa in macchina. Di questo passo, avrebbe
potuto tenersela anche per qualche giorno, avrebbe potuto persino
Cambiarla.
Ora, però, si sentiva turbato da un inesplicabile disagio interiore. Era
Elena, ovviamente. Starle così vicino alla pensione e non aver avuto il
coraggio di andare da lei, per paura di quello che avrebbe potuto fare. Oh,
che diavolo, quello che avrei già dovuto fare, pensò con improvvisa
veemenza. Stefan aveva ragione... oggi aveva proprio qualcosa che non
andava.
Si sentiva frustrato fino a un punto che non avrebbe creduto possibile.
Quello che avrebbe dovuto fare era schiacciare la faccia del suo fratellino
nel fango, torcergli il collo come a una gallina, salire su per quelle scale
strette e malandate e prendersi Elena, che lo volesse o no. Non l'aveva
fatto prima per dar retta a uno sciocco sentimentalismo: per paura di
sentirla gridare o protestare non appena avesse sollevato quel suo
bellissimo mento per affondare le zanne gonfie e doloranti nella sua gola,
bianca come un giglio.
In macchina continuava a sentire un rumore: «...non credi?», stava
dicendo Damaris.
Annoiato e troppo occupato nelle sue fantasie per verificare quello che la
sua mente poteva aver sentito delle parole di Damaris, la "spense" e lei si
zittì all'istante. Damaris era deliziosa ma una stonata2. Ora era seduta con
il vento che le faceva svolazzare i capelli, ma i suoi occhi erano spenti, le
pupille contratte, assolutamente ferme.
E tutto questo per niente. Damon emise un sibilo di disperazione. Non
riusciva a riprendere il suo sogno a occhi aperti; anche nel silenzio,
l'immaginario suono dei singhiozzi di Elena glielo impediva.
Ma non ci sarebbero state più lacrime se lui l'avesse trasformata in un
vampiro, gli suggerì una vocina nella mente. Damon drizzò la testa e si
appoggiò allo schienale, tenendo il volante solo con tre dita. Una volta
aveva cercato di farne la sua principessa delle tenebre... perché non tentare
di nuovo? Gli sarebbe appartenuta totalmente, e se questo significava
dover rinunciare al sangue mortale di lei... be', non è che ne stesse avendo
in abbondanza, anzi neanche una goccia, giusto? Elena, pallida e luminosa
per l'aura che il Potere vampiresco le conferiva, i capelli quasi bianchi, un
2 In italiano nel testo (n.d.t.)
31
abito nero sulla pelle di seta. Quella sì che era un'immagine che avrebbe
fatto battere forte il cuore di qualsiasi vampiro.
Adesso che era stata uno spirito, la desiderava più che mai. Anche da
vampiro avrebbe conservato la sua natura, e Damon riusciva a
immaginarsela: una luce che avrebbe illuminato le sue tenebre, un morbido
candore tra le sue forti braccia ammantate di nero. Avrebbe fermato quelle
labbra squisite con i suoi baci, l'avrebbe soffocata di baci...
Ma cosa stava pensando? I vampiri non baciavano così, per piacere... e
soprattutto non altri vampiri. Il sangue, la caccia erano tutto. Baciare oltre
quello che era necessario per conquistare la vittima era inutile, non portava
a nulla. Solo gli idioti sentimentali come suo fratello perdevano tempo con
simili sciocchezze. Una coppia di vampiri poteva dividersi il sangue di una
vittima mortale, colpendo all'unisono, controllando insieme la mente della
vittima... unendosi con la telepatia. Era così che provavano piacere.
Eppure, Damon si era scoperto eccitato all'idea di baciare Elena, di
costringerla a farsi baciare, di sentire la sua disperazione cessare di colpo...
quella breve esitazione che viene poco prima di abbandonarsi e di
concedersi completamente a lui.
Forse sto impazzendo, pensò Damon, stuzzicato. Che ricordasse, non era
mai impazzito prima e in quella possibilità c'era un certo fascino. Erano
passati secoli da quando aveva provato quel tipo di eccitazione.
Tanto meglio per te, Damaris, pensò. Aveva raggiunto il punto in cui
Sycamore Street tagliava per l'Old Wood, e la strada lì era spazzata dal
vento e pericolosa. Noncurante, si volse verso Damaris per svegliarla,
notando con piacere che le sue labbra erano di un morbido color ciliegia,
anche senza rossetto. La baciò delicatamente, aspettando la sua reazione.
Piacere. Poteva vedere la mente di lei diventare morbida e rosea di
piacere.
Guardò la strada davanti a sé e ci provò di nuovo, stavolta indugiando
con il bacio. Fu entusiasta della sua reazione, della reazione di entrambi.
Era sorprendente. Doveva avere a che fare con la quantità di sangue che lui
aveva, mai così tanta in un solo giorno, o con la combinazione...
Dovette improvvisamente distogliere l'attenzione da Damaris per
guidare. Come per magia, sulla strada era comparso un animaletto
rossiccio. Damon, normalmente, non deviava per investire conigli,
porcospini e simili, ma questo lo aveva disturbato in un momento cruciale.
Afferrò il volante con entrambe le mani, gli occhi neri e freddi come il
ghiaccio nel profondo di una caverna, e andò dritto verso la cosa rossastra.
32
Non era così piccola, sembrava una grossa palla.
«Reggiti», mormorò a Damaris.
All'ultimo momento la cosa rossa si scansò. Damon sterzò violentemente
per seguirla e si ritrovò sul ciglio di un fossato. Solo i riflessi sovrumani di
un vampiro, e la perfetta tenuta di un'auto costosa, potevano evitare che vi
cadessero dentro. Fortunatamente, Damon li possedeva entrambi e riuscì a
frenare tra lo stridio delle gomme fumanti.
Nessun segno della cosa.
Con un movimento fluido, Damon saltò fuori dall'auto e si guardò
intorno. Ma, qualunque cosa fosse, era svanita del tutto, misteriosamente
com'era apparsa.
Sconosciuto3. Strano.
Rimpianse di essersi diretto verso il sole; la forte luce pomeridiana
costituiva un serio ostacolo per i suoi occhi. Ma era riuscito a intravedere
per un attimo la cosa quando si era avvicinato, e gli era sembrata deforme.
Appuntita da un lato e larga come un ventaglio dall'altro.
Oh, bene.
Ritornò alla macchina, dove Damaris era in preda a una crisi isterica.
Non era nello stato d'animo adatto per coccolare nessuno, perciò la rimise
a dormire. Lei ricadde sul sedile, con le lacrime lasciate ad asciugarsi sulle
guance.
Damon ritornò in macchina sentendosi frustrato. Ma adesso sapeva
quello che voleva fare. Voleva trovare un bar, che fosse squallido e sudicio
o immacolato e costoso, e trovare un altro vampiro. Fell's Church era un
punto cruciale sulla mappa delle linee energetiche, non sarebbe stata una
cosa difficile. Vampiri e altre creature delle tenebre erano attratti da questi
punti come i bombi dal caprifoglio.
E poi voleva una bella rissa. Sarebbe stata del tutto impari... Damon era
il vampiro più forte che fosse rimasto, e in più traboccava di un cocktail a
base di sangue delle più belle vergini di Fell's Church. Non gli interessava.
Aveva voglia di sfogare la propria frustrazione su qualcosa, e – lanciò
quell'inimitabile, smagliante sorriso verso il nulla – un licantropo, un
vampiro o un demone stava per conoscere il suo colpo di grazia. Forse più
di uno, se era abbastanza fortunato da trovarne. E dopo... la deliziosa
Damaris per dessert.
La vita è bella, infondo. E la non-vita, pensò Damon, con gli occhi
accesi da una luce pericolosa, è ancora meglio.
3 In italiano nel testo (n.d.t.)
33
Non sarebbe rimasto lì a deprimersi solo perché non poteva avere subito
Elena. Sarebbe uscito, si sarebbe divertito e sarebbe diventato più forte... e
poi, entro poco tempo, sarebbe andato da quel rammollito di suo fratello
minore e se la sarebbe presa.
Gli capitò di guardare per un attimo nello specchietto retrovisore
dell'auto. A causa di un gioco di luce o del cambiamento d'aria, gli sembrò
di vedere i suoi occhi, nascosti dagli occhiali da sole, farsi incandescenti.
6
«Ho detto vai via», ripeté Meredith a Caroline, sempre con calma. «Hai
detto cose che non avrebbero mai dovuto essere dette in un luogo civile. Il
caso vuole che sia la stanza di Stefan... e, sì, è questo posto che ti ordina di
andare via. Lo sto facendo io in sua vece perché non chiederebbe mai a
una ragazza, una sua ex per giunta, di togliersi dalle palle».
Matt si schiarì la gola. Si era ritirato in un angolo e tutti si erano
dimenticati di lui. Ora disse: «Caroline, ti conosco da troppo tempo per
essere formale, e Meredith ha ragione. Se vuoi dire il genere di cose che
hai detto di Elena, be', lo farai da qualche altra parte lontano da lei. Ma,
guarda, c'è una cosa che so. Non importa quello che Elena ha fatto quando
era... quando era quaggiù prima». La sua voce era un po' incerta, e Bonnie
sapeva cosa intendesse: quando Elena era ancora sulla Terra. «Ora è
quanto di più vicino a un angelo possiamo avere. In questo momento è...
è... totalmente...». Esitò, alla ricerca del termine giusto.
«Pura», disse semplicemente Meredith, finendo la frase per lui.
«Già», concordò Matt. «Già, pura. Qualunque cosa lei faccia, è pura. E
non è con le tue parole maligne che potrai contaminarla, ma a noi non va
neanche di sentire che ci provi».
Ci fu un fioco «Grazie» da parte di Stefan.
«Me ne stavo andando», disse Caroline a denti stretti. «E non osare
farmi la predica sulla purezza! Qui, con tutto quello che sta succedendo!
Probabilmente vuoi solo guardare due ragazze che si baciano. Tu
probabilmente...».
«Questo è troppo», disse Stefan, quasi impassibile. Caroline fu sollevata
in aria, fatta uscire dalla porta e deposta là fuori da mani invisibili. La sua
borsa la seguì.
Poi la porta si chiuse silenziosamente.
Bonnie sentì i capelli drizzarsi sulla nuca. Questo era il Potere, in una
34
tale dose che le sue capacità medianiche ne furono stordite e
temporaneamente paralizzate. Per spostare Caroline, che non era minuta, ci
voleva senz'altro il Potere.
Forse Stefan era cambiato quanto Elena. Bonnie lanciò uno sguardo a
Elena, il cui lago di serenità si era increspato a causa di Caroline.
Avrebbe potuto distrarla e meritarsi un grazie da Stefan, pensò Bonnie.
Diede un colpetto affettuoso sul ginocchio di Elena, e quando lei si
voltò, Bonnie la baciò.
Elena interruppe il bacio molto bruscamente, come se avesse avuto
paura di innescare un'altra tragedia. Ma Bonnie capì all'istante quello che
Meredith aveva detto circa il carattere non sessuale di quel gesto. Era più...
come essere esaminati da qualcuno che usava i propri sensi all'ennesima
potenza. Quando Elena si era allontanata da Bonnie, le aveva inviato dei
bagliori così come aveva fatto con Meredith. Tutto lo sconforto era stato
spazzato via... sì, dalla purezza del bacio. E Bonnie si sentì come se un po'
della serenità di Elena l'avesse permeata.
«...avrei dovuto saperlo che era meglio non portare Caroline», stava
dicendo Matt a Stefan. «Scusa se mi sono intromesso. Ma conosco
Caroline e sarebbe andata avanti a farneticare per un'altra mezz'ora, senza
andarsene sul serio».
«Ci ha pensato Stefan», disse Meredith. «O è stata Elena?»
«Sono stato io», disse Stefan. «Matt ha detto bene: avrebbe continuato a
parlare all'infinito senza andarsene. E non ce la facevo a sentir denigrare
Elena in quel modo».
Perché stanno parlando di quelle cose?, si chiese Bonnie. Di tutte le
persone, Meredith e Stefan erano i meno inclini alle chiacchiere, ma ora
eccoli che dicevano cose che non c'era affatto bisogno di dire. Poi si rese
conto che era per Matt, che si stava avvicinando lentamente ma con
decisione a Elena.
Bonnie si alzò rapidamente, agile come se volasse, e riuscì a superare
Matt senza guardarlo. Si unì, così, alla chiacchierata tra Meredith e
Stefan... be', non proprio chiacchierata, a proposito di quello che era
successo. Caroline era un nemico pericoloso, erano tutti d'accordo, e
sembrava che nulla le avesse insegnato che i suoi piani contro Elena le si
ritorcevano sempre contro. Bonnie avrebbe scommesso che in quel
momento stava già tramando contro tutti loro.
«Si sente sola», disse Stefan, come se cercasse di giustificarla. «Vuole
farsi accettare, da chiunque e in ogni modo... ma si sente... emarginata. Ha
35
paura che, conoscendola, nessuno potrebbe più fidarsi di lei».
«È sulla difensiva», concordò Meredith. «Ma, comunque, non pensi che
potrebbe mostrare un po' di gratitudine? Dopo tutto, le abbiamo salvato la
vita solo una settimana fa».
Ma c'era di più, pensò Bonnie. Il suo intuito stava cercando di
comunicarle qualcosa... qualcosa riguardo a quello che poteva essere
successo prima che fossero riusciti a salvare Caroline... ma era così
arrabbiata per Elena che lo ignorò.
«Perché mai qualcuno dovrebbe fidarsi di lei?», disse a Stefan. Diede
una sbirciatina alle sue spalle. Elena stava decisamente conoscendo Matt, e
Matt sembrava sul punto di svenire. «Caroline è bellissima, certo, ma
questo è tutto. Non ha mai una parola buona per nessuno. Si prende gioco
di tutti... e... e, lo so che anche noi lo facevamo qualche volta, ma lei lo fa
per mettere in cattiva luce gli altri. Certo, riesce a fregare un sacco di
ragazzi...». Le era piombata addosso un'improvvisa agitazione, e si mise a
parlare a voce più alta per scacciarla: «...Ma se sei una ragazza, non è che
un paio di lunghe gambe e grosse...».
Bonnie si interruppe perché Meredith e Stefan si erano paralizzati, con la
medesima espressione Oh, mio Dio... non un'altra volta dipinta sul volto.
«E ha anche un ottimo udito», disse una voce tremante e minacciosa
dietro a Bonnie. Il cuore le saltò in gola.
Questo è ciò che ti succedeva quando ignoravi le premonizioni.
«Caroline...». Meredith e Stefan cercarono entrambi di limitare il danno,
ma era troppo tardi. Caroline entrò a grandi passi sulle sue lunghe gambe,
come se non volesse che i suoi piedi toccassero il pavimento di Stefan.
Cosa abbastanza strana, visto che teneva in mano le scarpe.
«Sono tornata a prendere i miei occhiali da sole», disse, con la voce
ancora tremante. «E ho sentito abbastanza per sapere quello che i miei
cosiddetti "amici" pensano di me».
«No, non è vero», disse Meredith, tanto veloce a parlare quanto Bonnie
ad ammutolirsi. «Hai solo sentito delle persone molto arrabbiate che si
stavano sfogando dopo che le avevi appena insultate».
«E poi», disse Bonnie, d'un tratto di nuovo in grado di parlare,
«ammettilo, Caroline... speravi di sentire qualcosa. Ecco perché ti sei tolta
le scarpe. Eri proprio dietro la porta, non è vero?».
Stefan chiuse gli occhi. «È colpa mia. Avrei dovuto...».
«No, non avresti dovuto», gli disse Meredith, e aggiunse rivolta a
Caroline: «E se riesci a dirmi una sola parola detta da noi che non sia vera,
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o che sia esagerata, tranne forse quello che ha detto Bonnie, e Bonnie va
sempre presa con le pinze... comunque, se riesci a dirmi una sola parola di
quello che abbiamo detto che non sia vera, ti chiederò perdono».
Caroline non stava ascoltando. Si stava contorcendo. Aveva un tic
facciale e il suo grazioso viso era stravolto, rosso di rabbia.
«Oh, voi mi chiederete senz'altro scusa», disse, ruotando su se stessa per
puntare la lunga unghia dell'indice verso ognuno di loro. «Sarete tutti
dispiaciuti. E se provi di nuovo su di me quel... quella stregoneria da
vampiro», disse a Stefan, «ho amici... amici veri... a cui piacerebbe
saperlo».
«Caroline, proprio questo pomeriggio hai firmato un patto...».
«Oh, e chi se ne frega?».
Stefan si alzò. Era buio adesso dentro la piccola stanza con la finestra
polverosa, e la lampada da notte proiettava davanti a Stefan la sua ombra.
Bonnie la guardò e colpì Meredith con il gomito: le si erano rizzati i peli di
braccia e nuca. L'ombra era sorprendentemente scura e sorprendentemente
alta. L'ombra di Caroline era debole, trasparente e bassa... l'imitazione di
un'ombra accanto a quella vera di Stefan.
Era tornata la sensazione di tempesta. Bonnie stava tremando; cercava di
non farlo ma non era in grado di controllarsi, come se fosse stata gettata
nell'acqua gelida. Era un freddo che le era arrivato dritto alle ossa e le
stava spogliando, strato dopo strato, di qualsiasi forma di calore, come un
gigante famelico, e ora cominciava a tremare sempre più forte...
Nell'oscurità stava accadendo qualcosa a Caroline, qualcosa che veniva
da lei, o veniva per lei, o forse entrambe le cose. In ogni caso, era tutto
attorno a lei, e attorno a Bonnie, e la tensione era tale che Bonnie si sentiva
soffocare, sentiva il cuore martellare nel petto. Accanto a lei, Meredith – la
pratica, equilibrata Meredith – si agitava in preda all'ansia.
«Cosa...?», cominciò in un sussurro Meredith.
All'improvviso, come se fosse tutta una coreografia studiata dalle cose
nell'oscurità, la porta della camera di Stefan sbatté e si chiuse; la lampada,
una banale lampada elettrica, si spense; la vecchia serranda della finestra si
srotolò rumorosamente, facendo piombare la stanza nella totale oscurità.
Caroline urlò. Fu un suono orribile, rauco... sembrava che le fosse stato
strappato dalla spina dorsale e fatto sputare dalla gola.
Anche Bonnie urlò. Non riuscì a trattenersi, nonostante il suo urlo
sembrasse troppo debole e sfiatato, come un'eco, nulla a che vedere con
l'urlo da soprano di Caroline. Grazie a Dio, Caroline si azzittì. Bonnie
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riuscì a fermare il nuovo urlo che le si stava formando in gola, anche se
tremava più forte che mai. Meredith le aveva messo un braccio attorno e la
teneva stretta; a quel punto, mentre l'oscurità e il silenzio persistevano,
come il tremore di Bonnie, Meredith si alzò e, insensibilmente, la passò a
Matt, il quale, pur sembrando stupito e imbarazzato, cercò goffamente di
tenerla tra le braccia.
«Non è così scuro una volta che gli occhi si abituano», disse. La sua
voce era incerta, come se avesse bisogno di un bicchiere d'acqua. Ma era
stata la cosa migliore che potesse dire, perché di tutto ciò che di
spaventoso c'era al mondo, era del buio che Bonnie aveva più paura.
C'erano delle cose dentro, cose che solo lei vedeva. Si sforzò, nonostante il
terribile tremore, di tenersi aggrappata al suo sostegno... e poi ansimò, e
sentì anche Matt ansimare.
Elena risplendeva. Ma non solo, la luce si allargava attorno a lei in un
paio di bellissime... sì, erano proprio ali!
«Ha d-delle ali», sussurrò Bonnie, balbettando a causa del tremore
piuttosto che per lo stupore o la paura. Ora era Matt ad aggrapparsi a lei,
come un bambino. Lui, ovviamente, non riuscì a rispondere.
Le ali si muovevano al ritmo del respiro di Elena. Sedeva a mezz'aria,
calma, con una mano aperta e tesa in un gesto di negazione.
Elena parlò. Era un idioma che Bonnie non aveva mai udito prima e
dubitava si trattasse di una lingua usata da qualche popolo sulla Terra. Le
parole erano acute, appuntite, come il frantumarsi di miriadi di pezzi di
cristallo caduti da molto in alto e da molto lontano.
La forma delle parole aveva quasi senso nella testa di Bonnie, poiché le
sue capacità medianiche erano stimolate dall'enorme Potere di Elena. Era
un Potere che si ergeva contro l'oscurità e ora la stava spazzando via...
facendo fuggire le cose nel buio, con i loro artigli che stridevano in tutte le
direzioni... Le parole acuminate come pezzi di ghiaccio le inseguivano
senza timore.
Ed Elena... Elena era bella da spezzare il cuore, come quando era stata
un vampiro, e sembrava pallida come allora.
Caroline urlava. Usava potenti formule di Magia Nera, e a Bonnie
sembrava che ombre di ogni genere di cose oscure e orribili uscissero dalla
sua bocca: lucertole e serpenti e ragni dalle mille zampe.
Era un duello, una sfida di magia. Ma come aveva fatto Caroline a
imparare così la Magia Nera? Non era neanche un strega per discendenza,
come Bonnie.
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Fuori dalla stanza di Stefan, tutt'intorno, c'era uno strano suono, simile a
quello di un elicottero. Whipwhipwhipwhip... Bonnie ne era terrorizzata.
Ma doveva fare qualcosa. Era celtica per discendenza e sensitiva per
forza di cose, e doveva aiutare Elena. Lentamente, come se stesse
affrontando una violenta tempesta, Bonnie riuscì a mettere una mano su
quella di Elena, per offrirle il suo potere.
Quando Elena le strinse la mano, Bonnie si accorse che Meredith era
dall'altro lato. La luce aumentò. Gli esseri brulicanti fuggirono, urlando e
lottando tra loro per farsi strada.
Bonnie vide poi che Elena era senza forze. Non aveva più le ali. E anche
gli esseri spaventosi non c'erano più. Elena li aveva scacciati, usando
un'enorme quantità di energia per sopraffarli con il Potere Bianco.
«Cadrà», sussurrò Bonnie, guardando Stefan. «Ha usato la magia con
troppa forza...».
Proprio in quel momento, mentre Stefan si stava girando verso Elena,
accaddero velocemente diverse cose, come se la stanza fosse stata stretta in
un fascio di luce stroboscopica.
Un lampo. La serranda risalì di colpo, facendo un gran rumore.
Un lampo. La lampada si riaccese, mostrando Stefan che la reggeva.
Doveva aver cercato di sistemarla.
Un lampo. La porta della stanza di Stefan si aprì lentamente, cigolando,
quasi per scusarsi per aver sbattuto prima.
Un lampo. Caroline era a terra, carponi, strisciava e respirava
affannosamente. Elena aveva vinto...
Elena cadde.
Solo dei rapidi riflessi sovrumani avrebbero potuto afferrarla, soprattutto
trovandosi dall'altra parte della stanza. Ma Stefan lanciò la lampada a
Meredith e ricoprì la distanza prima che gli occhi di Bonnie riuscissero a
vederlo. Teneva Elena tra le braccia, cingendola con fare protettivo.
«Oh , diavolo», disse Caroline. Sul viso le colavano segni scuri di
mascara, rendendo il suo aspetto poco umano. Guardò Stefan con
malcelato odio. Lui la guardò serio... anzi, severo.
«Non invocare il diavolo», disse con voce molto bassa. «Non qui. Non
adesso. Perché il diavolo potrebbe sentire e rispondere».
«Come se non l'avesse già fatto», disse Caroline, e in quel momento fu
davvero pietosa... affranta e patetica. Come se avesse dato inizio a
qualcosa e non sapesse come fermarla.
«Caroline, cosa stai dicendo?». Stefan si inginocchiò. «Vuoi dire che hai
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già... fatto uno scambio?»
«Ahi!», disse Bonnie, all'improvviso e involontariamente, spezzando
l'inquietante atmosfera nella stanza di Stefan. Caroline si era spezzata
un'unghia, che aveva lasciato una stria di sangue sul pavimento. Caroline
vi si era inginocchiata, insudiciandosi. Bonnie aveva provato una solidale
fitta di dolore alle dita fino a quando Caroline non aveva agitato la mano
insanguinata davanti a Stefan. A quel punto la solidarietà di Bonnie si
trasformò in nausea.
«Vuoi leccare?», disse. La sua voce e il suo viso erano totalmente
cambiati, e non cercava neanche di nasconderlo. «Oh, su, Stefan»,
continuò beffarda, «bevi sangue umano ultimamente, non è vero? Umano
o... qualsiasi cosa sia, qualsiasi cosa sia diventata. Ora volate insieme
come pipistrelli, non è vero?»
«Caroline», sussurrò Bonnie. «Non le hai viste? Le sue ali...».
«Proprio come un pipistrello... o un altro vampiro. Stefan l'ha fatta...».
«Le ho viste anch'io», disse Matt con voce piatta, dietro a Bonnie. «Non
erano ali di pipistrello».
«Dove avete gli occhi?», disse Meredith, accanto alla lampada.
«Guardate qui». Si piegò. Quando si rialzò, aveva in mano una lunga
piuma bianca. Brillava nella luce.
«Allora, forse è un corvo bianco», disse Caroline. «Sarebbe davvero
azzeccato. E non posso credere come voi tutti stiate strisciando davanti a
lei come se fosse una specie di principessa. Sempre la cocca di tutti, non è
vero, Elena?»
«Smettila», disse Stefan.
«Di tutti, è questa la parola chiave», soffiò Caroline.
«Smettila».
«Il modo in cui hai baciato tutti, uno dopo l'altro».
Rabbrividì in maniera teatrale. «Sembra che tutti se lo siano dimenticato,
ma era più come...».
«Basta, Caroline».
«La vera Elena». La voce di Caroline aveva assunto un falso tono
perbene, ma non riusciva a nascondere il veleno, pensò Bonnie. «Perché
tutti quelli che ti conoscono sanno cos'eri veramente prima che Stefan ci
benedicesse con la sua irresistibile presenza. Eri...».
«Caroline, smettila immediatamente...».
«Una puttana! Ecco! Una miserabile puttana!».
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7
Lo stupore lasciò tutti senza fiato. Stefan impallidì, le labbra strette si
erano ridotte a una linea sottile. Bonnie si sentì soffocare da un'ondata di
parole, di spiegazioni, di recriminazioni sul comportamento di Caroline.
Elena poteva aver avuto tanti ragazzi quante stelle in cielo, ma alla fine
aveva lasciato perdere tutto... perché si era innamorata... non che Caroline
potesse capire qualcosa dell'amore.
«Non hai niente da dire ora?», incalzò Caroline. «Non riesci a trovare
una risposta adeguata? Il pipistrello ti ha morso la lingua?». Cominciò a
ridere, ma era una risata forzata, inespressiva, e poi le parole cominciarono
a uscirle incontrollate, tutte parole che non si sarebbero dovute dire in
pubblico. Bonnie ne aveva dette diverse, a volte, ma qui e ora, formavano
un torrente di potere velenoso. Le parole di Caroline stavano creando una
specie di crescendo: stava per succedere qualcosa, quel genere di forza non
poteva essere trattenuta...
Riverberi, pensò Bonnie, mentre le onde sonore si rafforzavano.
Vetro, le disse il suo intuito. Stai lontana dal vetro.
Stefan ebbe appena il tempo di precipitarsi verso Meredith e gridare:
«Butta la lampada!».
E Meredith, che non era solo una ragazza sveglia ma era anche una
lanciatrice di baseball da record, la afferrò e la lanciò contro la, anzi
attraverso la...
...la lampada di porcellana si frantumò con un'esplosione...
...la finestra aperta.
Ci fu uno scoppio simile nel bagno. Lo specchio era esploso dietro la
porta chiusa.
Poi Caroline schiaffeggiò Elena.
Le lasciò una striscia di sangue, che Elena, esitante, si toccò. Le lasciò
anche l'impronta bianca di una mano, che stava diventando rossa.
L'espressione di Elena era tale che avrebbe fatto piangere persino le pietre.
Allora Stefan fece quella che Bonnie ritenne la più stupefacente delle
cose. Con delicatezza, depose Elena sul pavimento, le baciò il viso rivolto
in alto, e andò verso Caroline.
Le mise le mani sulle spalle, senza scuoterla; semplicemente la tenne
con forza, costringendola a guardarlo.
«Caroline», disse, «smettila. Torna. Fallo per i tuoi vecchi amici che ti
vogliono bene, torna. Fallo per la tua famiglia, che ti ama, torna. Per la tua
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anima immortale, torna. Torna da noi!».
Caroline lo guardò aggressiva.
Stefan si girò di lato, verso Meredith, storcendo la bocca. «Non sono
molto tagliato per fare queste cose», disse ironicamente, «non è il forte di
noi vampiri».
Poi si volse verso Elena, con voce tenera: «Amore, puoi aiutarmi? Puoi
aiutare ancora una volta la tua vecchia amica?».
Elena stava già cercando di aiutarlo, sforzandosi di andare verso Stefan.
Si era tirata su con molta difficoltà, facendo prima leva sulla sedia a
dondolo e poi reggendosi a Bonnie, che cercò di tenerla su nonostante la
forza di gravità. Elena traballava come una giraffa appena nata sui pattini,
e Bonnie, che era molto più bassa di lei, aveva molta difficoltà a
sorreggerla.
Stefan fece per raggiungerla, ma Matt era già lì, e sosteneva Elena
dall'altro lato.
Poi Stefan fece girare Caroline e la trattenne, per non farla fuggire,
costringendola a un faccia a faccia con Elena.
Elena, sorretta per la vita, così che le sue mani fossero libere, cominciò a
fare dei gesti curiosi; sembrava che tracciasse nell'aria dei disegni sempre
più velocemente di fronte al viso di Caroline, e al tempo stesso
congiungeva e disgiungeva le mani, con le dita in posizioni sempre
diverse. Sembrava sapere esattamente quello che stava facendo. Gli occhi
di Caroline seguivano, costretti a farlo, i movimenti delle mani di Elena,
ma dalla sua espressione furiosa era evidente che odiasse la cosa.
Magia, pensò affascinata Bonnie. Magia Bianca. Sta invocando gli
angeli, così come Caroline stava invocando i demoni. Ma sarà abbastanza
forte da strappare Caroline all'oscurità?
E alla fine, per completare il rituale, Elena si piegò in avanti e baciò
castamente Caroline sulle labbra.
Si scatenò l'inferno. Caroline in qualche modo si divincolò dalla presa di
Stefan e cercò di graffiare Elena in volto. Gli oggetti cominciarono a
volare per la stanza, sospinti da una forza non umana. Matt cercò di
afferrare un braccio di Caroline e si prese un pugno nello stomaco, che lo
piegò in due, seguito da un colpo di taglio alla nuca.
Stefan mollò la presa su Caroline per afferrare Elena e mettere lei e
Bonnie fuori pericolo. A quanto pare, pensava che Meredith potesse
cavarsela da sola... e aveva ragione. Caroline si lanciò verso Meredith, ma
lei era pronta. Bloccò il pugno di Caroline e la fece volare via. Caroline
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atterrò sul letto, si girò e corse di nuovo contro Meredith, riuscendo
stavolta ad afferrarle i capelli. Meredith si liberò con uno strattone,
lasciando un ciuffo dei suoi capelli tra le dita di Caroline. Poi la prese in
contropiede e la colpì direttamente alla mascella. Caroline si accasciò.
Bonnie esultò, rifiutandosi di sentirsi in colpa. Poi, per la prima volta,
mentre Caroline giaceva immobile, notò che le unghie di Caroline erano
tutte al loro posto... lunghe, forti, ricurve e perfette, nessuna che fosse rotta
o scheggiata.
Il Potere di Elena? Doveva essere così. Cos'altro poteva averlo fatto?
Erano bastati pochi gesti e un bacio, ed Elena aveva guarito la mano di
Caroline.
Meredith si stava massaggiando la mano. «Non mi ero mai resa conto di
quanto facesse male mettere la gente ko», disse. «Non lo fanno mai vedere
nei film. È così anche per voi ragazzi?».
Matt arrossì. «Io... be', veramente io non ho mai...».
«È così per tutti, anche per i vampiri», tagliò corto Stefan. «Tutto bene,
Meredith? Voglio dire, Elena potrebbe...».
«No, sto bene. E Bonnie e io abbiamo un lavoro da fare». Fece un cenno
con la testa a Bonnie, che le rispose debolmente. «Caroline è una nostra
responsabilità, e avremmo dovuto capire qual era il vero motivo per cui era
tornata. Non ha un'auto. Scommetto che ha usato quel telefono in fondo
alle scale per cercare di farsi venire a prendere da qualcuno; non ci è
riuscita ed è tornata su. Perciò adesso dobbiamo riportarla a casa. Stefan,
mi dispiace. Non è stato un granché come visita».
Stefan era accigliato. «Probabilmente è quanto poteva sopportare Elena,
a ogni modo», disse. «Più di quello che pensavo, onestamente».
Matt intervenne: «Be', sono io quello che ha la macchina, e Caroline è
una responsabilità anche mia. Non sarò una ragazza, ma sono umano».
«Non potremmo tornare domani?», chiese Bonnie.
«Sì, credo che sarebbe la cosa migliore», disse Stefan. «Non mi piace
l'idea di lasciarla andare», aggiunse, guardando Caroline svenuta, con la
faccia scura. «Ho paura per lei. Molta paura».
Bonnie colse l'occasione per chiederlo: «Perché?»
«Penso... be', forse è troppo presto per dirlo, ma sembra quasi che sia
posseduta da qualcosa... ma non ho idea di cosa sia. Credo di dover fare
una ricerca seria».
Ed ecco che accadde di nuovo, l'acqua gelida che gocciolava sulla
schiena di Bonnie. La sensazione di quanto fosse vicino il gelido oceano
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della paura, pronto a rovesciarsi su di lei e portarla rapidamente a fondo.
Stefan aggiunse: «Ma quello che è certo è che si è comportata in modo
strano... perfino per Caroline. E non so quello che voi avete sentito quando
bestemmiava, ma io ho sentito un'altra voce dietro di lei, che la incitava».
Si rivolse a Bonnie: «E tu?».
Bonnie stava ripensando all'accaduto. C'era stato qualcosa, anche solo
un sussurro, e solo un attimo prima che arrivasse la voce di Caroline?
Meno di un attimo, e il più flebile dei sussurri?
«E quello che è successo qui, può aver peggiorato le cose. Ha invocato il
diavolo in un momento in cui questa stanza era satura di Potere. E la stessa
Fell's Church è il punto d'incontro di così tante linee energetiche... è una
cosa molto seria. Con tutto quello che sta succedendo... be', vorrei tanto
che avessimo a disposizione un buon parapsicologo».
Bonnie sapeva che stavano tutti pensando ad Alaric.
«Cercherò di farlo venire», disse Meredith. «Ma di solito, ultimamente,
è in Tibet o a Timbuktu a fare delle ricerche. Ci vorrà un po' per fargli
avere un messaggio».
«Grazie». Stefan sembrò sollevato.
«Come ho detto, lei è responsabilità nostra», disse Meredith
sommessamente.
«Ci dispiace di averla portata», disse Bonnie ad alta voce, sperando che
qualcosa dentro Caroline riuscisse a sentirla.
Salutarono Elena uno alla volta, incerti su quello che poteva accadere.
Ma lei sorrise semplicemente a ognuno e toccò loro le mani.
Per fortuna o per la grazia di qualcosa che andava oltre la loro
comprensione, Caroline si svegliò. Sembrava abbastanza lucida, anche se
un po' intontita, quando l'auto arrivò al vialetto di casa sua. Matt l'aiutò a
uscire dalla macchina e la accompagnò fino alla porta, dove la madre di
Caroline rispose al campanello. Era una donna timida, dall'aspetto stanco,
simile a un topolino, e non sembrò sorpresa di riavere la figlia in quello
stato, in un tardo pomeriggio estivo.
Matt lasciò le ragazze a casa di Meredith, dove trascorsero la notte a fare
preoccupate considerazioni. Bonnie si addormentò con il suono delle
imprecazioni di Caroline che le riecheggiava nella testa.
Caro diario,
stanotte succederà qualcosa.
Non so parlare né scrivere, e non ricordo molto bene come si usa una tastiera, ma
posso inviare i miei pensieri a Stefan e lui può scriverli. Non abbiamo segreti l'uno
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per l'altra.
Perciò questo ora è il mio diario. E...
Questa mattina mi sono svegliata di nuovo. Mi sono svegliata di nuovo! E fuori era
ancora estate, e tutto era verde. In giardino sono sbocciate le giunchiglie. E ho avuto
dei visitatori. Non so esattamente chi fossero, ma tre di loro sono di colore forte e
chiaro. Li ho baciati così non li dimenticherò più.
Il quarto era diverso. Riuscivo solo a vedere un colore frammentato, segnato di
nero. Ho dovuto usare delle parole forti di Potere Bianco per evitare che portasse
quelle cose scure nella stanza di Stefan.
Mi sta venendo sonno. Voglio stare con Stefan e sentire che mi tiene tra le braccia.
Amo Stefan. Rinuncerei a tutto per stare con lui. Lui mi chiede: «Anche a volare?».
Anche a volare per stare con lui e tenerlo al sicuro. A qualsiasi cosa, per farlo stare al
sicuro. Anche a costo della mia vita.
Ora voglio andare da lui.
Elena
(A Stefan dispiace scrivere sul nuovo diario di Elena, ma ha alcune cose da dire,
perché un giorno, forse, lei vorrà leggerle, per ricordare. Ho scritto i suoi pensieri
sotto forma di frasi, ma non mi sono giunti in quel modo. Mi sono arrivati come
frammenti di pensiero, credo. I vampiri sono abituati a tradurre i pensieri quotidiani
della gente in frasi di senso compiuto, ma i pensieri di Elena richiedono una
traduzione più laboriosa. Di solito pensa immagini brillanti, con qualche parola qua e
là.
Il "quarto" di cui parla è Caroline Forbes. Elena conosce Caroline quasi
dall'infanzia, credo. Quello che mi sconcerta è che oggi Caroline l'abbia aggredita in
ogni modo possibile, eppure quando ho sondato la mente di Elena non sono riuscito a
trovare nessun sentimento di rabbia e neanche dolore. Fa quasi paura sondare una
mente così.
La domanda a cui vorrei davvero rispondere è: cosa è successo a Caroline durante
il breve periodo in cui è stata rapita da Klaus e Tyler? E ha fatto quello che ha fatto
oggi di sua spontanea volontà?
Permangono ancora dei residui dell'odio di Klaus, come un miasma che appesta
l'aria? O abbiamo un altro nemico a Fell's Church?
E, soprattutto, cosa possiamo fare?
Stefan, che viene strappato dal compu...
8
Le lancette del vecchio orologio segnavano le tre del mattino, quando
Meredith fu improvvisamente strappata al suo sonno intermittente.
Si morse le labbra, soffocando un urlo. Un volto era chino sopra di lei
girato rispetto al suo. L'ultima cosa che ricordava era che si trovava nel suo
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sacco a pelo, stesa a pancia in su, a parlare di Alaric con Bonnie.
Bonnie era inginocchiata accanto a lei e il suo naso quasi toccava quello
di Meredith. Se si aggiungeva uno strano pallore sulle sue guance e un
respiro caldo e veloce che solleticava la fronte di Meredith, chiunque –
chiunque insisté Meredith – sarebbe stato autorizzato a urlare.
Aspettò che Bonnie parlasse, guardando nell'oscurità quegli occhi
stranamente chiusi.
E invece Bonnie si mise a sedere, si alzò, camminò all'indietro fino alla
scrivania dove Meredith aveva messo in carica il cellulare e lo prese.
Doveva averlo acceso per registrare un video, perché aprì la bocca e
cominciò a gesticolare e a parlare.
Era terrificante. I suoni che uscivano dalla bocca di Bonnie erano più
che riconoscibili: parlava al contrario. I suoni confusi, gutturali o acuti
avevano tutti la cadenza che i film dell'orrore avevano reso così popolare.
Ma essere in grado di parlare in quel modo di proposito... era impossibile
per un normale essere umano o per una normale mente umana. Meredith
aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che stava cercando di
raggiungerle attraverso dimensioni inimmaginabili.
Forse vive al contrario, pensò Meredith, cercando di distrarsi mentre
quegli spaventosi suoni continuavano. Forse pensa che anche noi viviamo
così. Forse non ci... incrociamo...
Meredith era al limite della sopportazione. Le sembrava di riuscire a
riconoscere parole, persino frasi in quei suoni al contrario, e nessuna di
queste era piacevole. Per favore, basta... subito.
Un lamento e un mormorio...
Bonnie chiuse la bocca di colpo e si sentì il rumore secco dei denti che
sbattevano gli uni contro gli altri. I suoni cessarono all'istante. E in quel
momento, come un video che veniva riavvolto al rallentatore, camminò
all'indietro verso il sacco a pelo, si inginocchiò e vi strisciò dentro,
rimettendosi giù con la testa sul cuscino... tutto senza aprire gli occhi per
vedere dove andava.
Fu una delle cose più spaventose che Meredith avesse mai visto o
sentito, e ne aveva viste e sentite un bel po' di cose spaventose.
Ma la capacità che Meredith aveva di aspettare il mattino seguente per
guardare la registrazione era pari a quella che aveva di volare da sola: cioè
nessuna.
Si alzò e in punta di piedi si avvicinò alla scrivania. Prese il cellulare e
lo portò in un'altra stanza. Poi lo collegò al suo computer, con il quale
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poteva far scorrere il filmato al contrario.
Una volta ascoltato il messaggio un paio di volte, decise che Bonnie non
avrebbe mai dovuto sentirlo. L'avrebbe fatta impazzire dalla paura e per gli
amici di Elena non ci sarebbe stato più un contatto con il paranormale. In
esso vi erano suoni animaleschi mescolati a una voce terrificante che
parlava al contrario... ma, a ogni modo, non si trattava della voce di
Bonnie. Nessuna persona normale parlava così. Sentendola nel verso
giusto era ancora peggio che al contrario... e questo forse voleva dire che
chiunque avesse pronunciato quelle parole, normalmente parlava in quel
modo.
Meredith riuscì a individuare delle voci umane tra i lamenti, risate
malefiche e versi di animali selvatici. Nonostante le facessero rizzare i peli
sul corpo, si sforzò di mettere insieme le parole inframmezzate da suoni
incomprensibili. Questo fu ciò che ne venne fuori: «Sssss... veeeglia... rr...
siiiiiii... sarà... iiii... mppppr-ro-o-o... vviso... E... scccccc... ioooooh...
ccante. Tuuuuuuu... eeeee... iiioo... ddddobbbiamo... esserequiper... iiiil...
suuuuuooo... rriii... sveeeeglio... Nonci... saaaare... mooo... peer» (c'era un
"ll-lleeei" dopo o era solo un lamento?) Doooo... pooooo... Qqqq... ques...
ttttoccca... aaaaaa... aaall... treeeee... mmmmaaaa... niii...».
Meredith, usando carta e penna, scrisse alla fine queste parole:
Il risveglio sarà improvviso e scioccante.
Tu e io dovremo essere lì per il suo Risveglio. Non ci saremo per (lei?) dopo.
Questo tocca ad altre mani.
Meredith posò la penna proprio accanto al messaggio che aveva appena
trascritto sul foglietto.
Dopo aver fatto questo, andò ad acquattarsi nel sacco a pelo, guardando
l'immobile Bonnie come un gatto davanti alla tana di un topo, fino a che
una santa stanchezza la portò nell'oscurità.
«Ho detto cosa?». Il mattino seguente Bonnie era sinceramente stupita,
mentre preparava una spremuta di pompelmo e versava i cereali, come un
ospite modello, anche se era Meredith che, davanti ai fornelli, stava
preparando le uova strapazzate.
«Te l'ho già detto tre volte. Ti giuro che le parole sono sempre le stesse».
«Be'», disse Bonnie, cambiando improvvisamente tono. «È chiaro che il
Risveglio riguarderà Elena. Perché, per prima cosa, tu e io dobbiamo
esserci, e poi perché è lei quella che ha bisogno di svegliarsi».
«Esatto», disse Meredith.
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«Ha bisogno di ricordare chi era veramente».
«Proprio così», disse Meredith.
«E noi dobbiamo aiutarla a ricordare!».
«No!» , esclamò Meredith, sfogando sulle uova la sua rabbia con una
spatola di plastica. «No, Bonnie, questo non è quello che hai detto, e non
credo comunque che potremmo farlo. Possiamo insegnarle piccole cose,
forse, come fa Stefan. Come allacciarsi le scarpe. Come spazzolarsi i
capelli. Ma da quello che hai detto, il Risveglio sarà improvviso e
scioccante... e non hai detto nulla riguardo al fatto che saremo noi a
provocarlo. Hai solo detto che dovremo essere lì per lei, perché dopo, in
qualche modo non ci saremo».
Bonnie rifletté su questo chiusa in un tetro silenzio. «Non saremo lì?»,
disse alla fine. «Cioè, non saremo con Elena? O non saremo lì, del tipo...
non saremo in nessun posto?».
Meredith guardò una colazione che d'un tratto non aveva più voglia di
mangiare. «Non lo so».
«Stefan ha detto che oggi saremmo potute tornare», la incalzò Bonnie.
«Stefan riuscirebbe a essere gentile anche se fosse sul punto di essere
impalato».
«Lo so», disse Bonnie all'improvviso. «Chiamiamo Matt. Possiamo
andare a trovare Caroline... cioè, se vorrà vederci. Possiamo vedere se
oggi ha qualcosa di diverso. Poi aspettiamo il pomeriggio, e allora
potremmo chiamare Stefan e chiedergli se possiamo tornare da Elena».
A casa di Caroline, sua madre disse che quel giorno non stava bene e che
sarebbe rimasta a letto. I tre – Matt, Meredith e Bonnie – tornarono a casa
di Meredith senza di lei, ma Bonnie continuò a mordersi le labbra
guardando di tanto in tanto verso la strada di Caroline. La madre di
Caroline era sembrata anche lei malata, con gli occhi cerchiati di nero. E la
sensazione di tempesta, la sensazione di pressione, sembrava opprimere la
casa di Caroline.
Da Meredith, Matt si mise ad armeggiare attorno alla sua macchina, che
aveva continuamente bisogno di lavoretti di manutenzione, mentre Bonnie
e Meredith andarono a cercare nell'armadio dei vestiti che Elena potesse
indossare. Le sarebbero andati grandi, ma erano meglio di quelli di
Bonnie, che sarebbero stati troppo piccoli.
Alle quattro del pomeriggio, chiamarono Stefan. Sì, erano i benvenuti.
Scesero giù e recuperarono Matt.
Alla pensione, Elena non ripeté il rituale del bacio del giorno prima...
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con ovvia delusione di Matt. Ma fu deliziata dai vestiti nuovi, sebbene per
nessuno dei motivi per cui lo sarebbe stata la vecchia Elena. Galleggiando
a un metro da terra, continuava a tenerseli contro la faccia. Felice, li
annusava a fondo e sorrideva radiosa a Meredith, sebbene Bonnie, quando
aveva raccolto una T-shirt, non fosse riuscita a sentire altro se non l'odore
dell'ammorbidente che usavano. Neanche la colonia Beach di Meredith.
«Mi dispiace», disse Stefan, smarrito, mentre Elena faceva uno starnuto
dopo l'altro, coccolando tra le braccia un top azzurro come se fosse un
gattino. Ma era intenerito e Meredith, con uno sguardo lievemente
imbarazzato, lo rassicurò sul fatto che fosse bello essere così apprezzati.
«Riesce a distinguere da dove provengono», spiegò Stefan. «Non
indosserebbe nulla che provenisse da qualche manifattura clandestina».
«Io compro solo nei posti che sono sull'elenco del sito Abbigliamento
Senza Sfruttamento», disse con semplicità Meredith. «Bonnie e io abbiamo
qualcosa da dirti», aggiunse. Mentre raccontava la profezia notturna di
Bonnie, quest'ultima portò Elena in bagno e la aiutò a indossare i
pantaloncini, che le stavano bene, e il top azzurro, che le andava quasi
bene, essendo solo un po' lungo.
Il colore si addiceva perfettamente ai capelli arruffati ma ancora
stupendi di Elena, ma quando Bonnie la mise davanti allo specchietto che
aveva portato – i frammenti di quello vecchio erano stati tolti – Elena
sembrò confusa come un cucciolo a cui viene fatto vedere il proprio
riflesso. Bonnie continuò a tenerle lo specchio davanti al viso ed Elena
continuò a fare capolino da una parte e dall'altra come un bambino che
gioca al cucù. Bonnie dovette accontentarsi di una bella spazzolata per
districare quella massa dorata, che Stefan non sapeva chiaramente come
trattare. Quando finalmente i capelli di Elena furono lisci e setosi, Bonnie,
orgogliosa, la portò fuori per mostrarla.
Ma rimase delusa. Gli altri tre erano immersi in quella che sembrava una
conversazione spiacevole. Riluttante, Bonnie lasciò andare Elena che volò,
letteralmente, tra le braccia di Stefan e si unì a loro.
«Ovvio che capiamo», stava dicendo Meredith, «anche prima che
Caroline andasse fuori di testa, alla fine quale altra scelta c'era? Ma...».
«Di quale altra scelta state parlando?», disse Bonnie, sedendosi sul letto
di Stefan accanto a lui. «Di cosa parlate, ragazzi?».
Ci fu una lunga pausa, poi Meredith si alzò e mise un braccio attorno
alle spalle di Bonnie. «Stavamo parlando del perché Stefan ed Elena
abbiano bisogno di lasciare Fell's Church... di andarsene lontano».
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All'inizio Bonnie non reagì... sapeva di dover provare qualcosa, ma era
troppo scioccata per arrivarci. Quando finalmente capì, l'unica cosa che
poté stupidamente dire fu: «Andare via? Perché?»
«L'hai visto perché... qui, ieri», disse Meredith, con gli occhi scuri colmi
di dolore, e il viso che, per una volta, mostrava l'incontrollabile angoscia
che doveva provare. Ma, per il momento, nessuna angoscia aveva alcun
significato per Bonnie se non la propria.
E stava arrivando ora, come una valanga che la seppelliva nella neve
bollente. In un ghiaccio che ardeva. In qualche modo riuscì a tirarsene
fuori, giusto il tempo di dire: «Caroline non farà nulla. Ha firmato un
giuramento. Sa che infrangerlo è pericoloso, specialmente quando...
quando anche tu-sai-chi l'ha firmato...».
Meredith doveva aver detto a Stefan del corvo, perché lui sospirò e
scosse la testa, allontanando delicatamente Elena, che cercava di guardarlo
negli occhi. Aveva chiaramente avvertito l'infelicità del gruppo, ma
altrettanto chiaramente non riusciva proprio a capire quale fosse la causa.
«L'ultima persona che voglio attorno a Caroline è mio fratello». Stefan si
scostò con stizza i capelli scuri dagli occhi, come se gli avessero ricordato
quanto si somigliassero. «E non credo che la minaccia di Meredith
riguardo all'associazione universitaria funzionerà. Ormai si è addentrata
troppo nelle tenebre».
Bonnie rabbrividì. Non le piacevano i pensieri che quelle parole
evocavano: nelle tenebre.
«Ma...», cominciò Matt, e Bonnie capì che si sentiva esattamente come
lei: stordito e nauseato, come se avessero fatto un giro in uno squallido
luna park.
«Ascolta», disse Stefan, «c'è un'altra ragione per cui non possiamo
rimanere qui».
«Quale altra ragione?», disse piano Matt. Bonnie era troppo sconvolta
per parlare. Ci aveva già pensato, in un profondo angolo del suo inconscio.
Ma aveva respinto quei pensieri ogni volta che le si erano presentati.
«Bonnie l'ha già capita, credo». Stefan la guardò. Lei ricambiò lo
sguardo con occhi velati di lacrime.
«Fell's Church», spiegò Stefan, gentile e triste al tempo stesso, «è stata
costruita su un incrocio di linee energetiche. Le linee di Potere naturale che
si trovano nella terra, ricordate? Non so se sia stato fatto apposta.
Qualcuno di voi sa se gli Smallwood hanno avuto a che fare con la scelta
del posto?».
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Nessuno lo sapeva. Nel vecchio diario di Honoria Fell non c'era nulla
che indicasse il ruolo della famiglia di licantropi in quella scelta.
«Be', se si è trattato di un caso, è stato un caso piuttosto sfortunato. La
città, o meglio il cimitero della città, è stato costruito esattamente su un
punto in cui si incrociano diverse linee energetiche. È questo che lo ha reso
un richiamo per creature soprannaturali, cattive o... o non così cattive».
Sembrava imbarazzato, e Bonnie si accorse che stava parlando di se stesso.
«Sono stato attirato qui. E anche altri vampiri, come sapete. E con l'arrivo
di altre creature che possedevano il Potere, il richiamo è diventato sempre
più forte. Più luminoso. Più attraente per altre persone con il Potere. È un
circolo vizioso».
«Alla fine, qualcuno di loro vedrà Elena», disse Meredith. «Ricorda,
Bonnie, queste sono persone come Stefan, ma senza il suo senso morale.
Quando la vedranno...».
Bonnie quasi scoppiò a piangere al pensiero. Le sembrava di vedere un
turbinio di piume bianche, ognuna delle quali cadeva al suolo al
rallentatore.
«Ma... lei non era così quando si è svegliata per la prima volta», disse
Matt testardamente. «Parlava. Era razionale. Non fluttuava».
«Parlare o no, camminare o fluttuare, lei ha il Potere», disse Stefan.
«Abbastanza per far diventare matti i normali vampiri. Matti abbastanza da
farle del male per impossessarsene. E lei non uccide... né ferisce. Almeno
non riesco a immaginare che lo faccia. Quello che spero», disse, e il suo
viso si rabbuiò, «è di poterla portare in qualche posto dove possa essere...
al sicuro».
«Ma tu non puoi portarla via», disse Bonnie con un tono lamentoso che
non riuscì a controllare. «Meredith non ti ha raccontato quello che ho
detto? Si sveglierà. E Meredith e io dovremo essere con lei in quel
momento».
Perché dopo non ci saremo. D'un tratto quelle parole acquistarono senso.
E sebbene non fosse brutto quanto il pensiero che non ci sarebbero più
state in assoluto, era comunque terribile.
«Non pensavo di portarla via fino a che non avrà imparato a camminare
come si deve», disse Stefan, e sorprese Bonnie mettendole velocemente un
braccio attorno alle spalle. Era come l'abbraccio di Meredith, fraterno, ma
più forte e breve. «E non sapete quanto sia felice che lei stia per svegliarsi.
E che voi sarete qui per sostenerla».
«Ma...». Ma i demoni che devono ancora arrivare a Fell's Church?,
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pensò Bonnie. E tu non ci proteggerai?
Alzò lo sguardo e vide che Meredith sapeva esattamente quello che stava
pensando. «Direi», disse Meredith, con il suo tono più cauto e misurato,
«che Stefan ed Elena hanno fatto abbastanza per la città».
Bene. Su quello non si discuteva. E non c'era da discutere neanche con
Stefan, a quanto pareva. Aveva preso la sua decisione.
Parlarono fino a quando fece buio, discutendo di varie possibilità e piani
d'azione e riflettendo sulla profezia di Bonnie. Non decisero nulla, ma per
lo meno pensarono a qualche possibile piano. Bonnie insisteva che doveva
esserci un modo per comunicare con Stefan, e stava per chiedergli un po'
del suo sangue e un ciuffo di capelli per la formula evocatrice, quando lui
le fece gentilmente notare che ora possedeva un telefono cellulare.
Arrivò, infine, il momento di andare via. Gli umani erano affamati, e
Bonnie immaginò che anche Stefan lo fosse. Sembrava insolitamente
pallido mentre era seduto con Elena sulle ginocchia.
Quando si salutarono in cima alle scale, Bonnie dovette continuare a
ricordare a se stessa che Stefan aveva promesso che Elena sarebbe stata lì,
affinché lei e Meredith potessero aiutarla. Non l'avrebbe mai portata via di
nascosto.
Non era un vero addio.
E allora perché aveva questa sensazione?
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Quando Matt, Meredith e Bonnie furono andati via, Stefan rimase con
Elena, ora vestita decorosamente da Bonnie con la sua "Camicia da Notte".
Il buio dava sollievo ai suoi occhi doloranti... doloranti non per la luce del
giorno, ma per aver dato ai suoi buoni amici le cattive notizie. Peggiore
degli occhi doloranti era la sensazione piuttosto angosciosa di un vampiro
che non si è nutrito. Ma a quello avrebbe rimediato presto, si disse. Una
volta che Elena si fosse addormentata, sarebbe scivolato via per andare nel
bosco in cerca di un cervo dalla coda bianca. Nessuno sapeva appostarsi
come i vampiri; nessuno poteva competere con Stefan nella caccia. E
anche se ci volevano parecchi cervi per placare la fame che aveva dentro,
nessuno di loro sarebbe mai stato ferito seriamente.
Ma Elena aveva altri progetti. Non aveva sonno e non la annoiava mai
stare da sola con lui. Non appena il rumore dell'auto dei suoi visitatori fu
ben lontano, fece quello che faceva sempre quando era in quello stato
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d'animo. Fluttuò verso di lui sollevando la testa, con gli occhi chiusi e le
labbra appena increspate. Poi aspettò.
Stefan corse verso l'unica finestra senza persiane, abbassò la tapparella
per evitare gli occhi indiscreti di qualche corvo, e tornò da lei. Elena era
esattamente nella stessa posizione, leggermente arrossita, ma con gli occhi
ancora chiusi. Stefan a volte pensava che lei avrebbe aspettato in eterno a
quel modo, se voleva un bacio.
«Mi sto davvero approfittando di te, amore», disse e sospirò. Si allungò
verso di lei e le diede un bacio casto e delicato.
Elena emise un verso di delusione che sembrava esattamente quello di
un micino che fa purrpurr, e che terminò con una nota interrogativa. Gli
colpì il naso con il mento.
«Mio piccolo amore», disse Stefan accarezzandole i capelli. «Bonnie ha
sciolto tutti i nodi senza tirare?». Ma ormai stava sprofondando nel calore
del suo corpo, non poteva farci niente. Nella mascella superiore già
cominciava una lontana sensazione di dolore.
Elena gli diede un altro colpetto, esigente. La baciò un po' più a lungo.
Razionalmente, lui sapeva che era un'adulta. Era molto più grande e con
molta più esperienza di quanto non lo fosse stata nove mesi prima, quando
si perdevano in baci adoranti. Ma il senso di colpa non si allontanava mai
dai suoi pensieri, e non poteva fare a meno di aver paura di approfittarsi di
lei.
Stavolta il puurpurr fu di esasperazione. Elena ne aveva abbastanza. Si
gettò su di lui con tutto il peso, costringendolo a sorreggere
improvvisamente un fardello di calda e concreta femminilità tra le braccia,
e al tempo stesso il suo Per favore risuonò chiaro come il suono di un dito
che scivola su un bicchiere di cristallo.
Era stata una delle prime parole che aveva imparato a inviargli con il
pensiero, quando si era svegliata muta e senza peso. E, angelo o no, sapeva
esattamente che effetto faceva a lui... dentro.
Per favore.
«Oh, mio piccolo amore», gemette lui, «piccolo amore mio...».
Per favore.
La baciò.
Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il quale lui sentì il cuore
battergli sempre più velocemente. Elena, la sua Elena, che una volta aveva
dato la vita per lui, era calda e profondamente abbandonata tra le sue
braccia. Era solo sua, si appartenevano l'un l'altra, e non voleva che niente
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cambiasse quel momento. Anche il crescente dolore nella mascella
superiore era qualcosa che andava goduto. Il dolore si trasformò in piacere
con la bocca calda di Elena sotto la sua, con le labbra di lei che gli davano
piccoli baci volanti, stuzzicandolo.
A volte pensava che fosse più sveglia che mai, in quello stato di trance.
Era sempre lei a provocarlo, e lui andava impotente ovunque lei volesse.
L'unica volta che si era rifiutato, e aveva interrotto un bacio, lei aveva
smesso di parlargli con la mente ed era volata in un angolo, dove si era
seduta tra la polvere e le ragnatele... e aveva pianto. Niente di quello che
aveva fatto era riuscito a consolarla, nonostante si fosse inginocchiato sulle
dure assi di legno e l'avesse pregata quasi in lacrime... fino a che non
l'aveva ripresa tra le braccia.
Aveva promesso a se stesso di non fare mai più quell'errore. Eppure, il
senso di colpa lo tormentava, anche se diventava sempre più lontano... e
confuso, quando Elena cambiò all'improvviso la pressione delle proprie
labbra e il mondo gli girò attorno e dovette indietreggiare fino a che non
furono seduti sul letto. I suoi pensieri si frammentarono. Riusciva solo a
pensare che Elena era di nuovo con lui, seduta sulle sue gambe, così
eccitata, così vibrante, fino a che sentì una morbida esplosione dentro di sé
e non ebbe più bisogno di farsi convincere.
Sapeva che lei godeva del piacere-dolore delle sue mascelle quanto lui.
Non c'era più tempo o ragione per pensare. Elena si stava sciogliendo tra
le sue braccia, i suoi capelli sotto le dita di lui erano di una morbidezza
quasi liquida. Mentalmente, si erano già fusi l'uno nell'altra. Il dolore nei
suoi canini aveva, alla fine, prodotto l'inevitabile risultato: i denti si erano
allungati e affilati; il contatto con il labbro inferiore di Elena generò un
vivace guizzo di piacere-dolore, che lo lasciò quasi senza fiato.
Ed Elena fece qualcosa che non aveva mai fatto prima. Con delicatezza e
cautela, prese uno dei lunghi denti di Stefan tra le labbra. E sempre
delicatamente, lo tenne stretto.
Il mondo intero turbinò attorno a Stefan.
Fu solo per l'amore che aveva per lei, e per le loro menti così unite, che
non affondò i denti penetrandole il labbro. Ancestrali istinti da vampiro,
che non sarebbero mai stati placati, gli urlavano di farlo.
Ma lui la amava, e loro erano una cosa sola... e poi, non riusciva a
spostarsi di un centimetro. Era cristallizzato nel piacere. I canini non gli si
erano mai allungati così tanto né erano mai stati così affilati e, senza che
lui avesse fatto nulla, avevano tagliato il turgido labbro inferiore di Elena.
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Il sangue gli gocciolava lentamente nella gola. Il sangue di Elena, che era
cambiato da quando era tornata dal mondo degli spiriti. Un tempo era stato
meraviglioso, pieno di giovane vitalità e dell'essenza di Elena vivente.
Ora... era di un genere tutto suo. Indescrivibile. Non aveva mai provato
niente di simile al sangue di uno spirito tornato sulla Terra. Era carico di
un Potere diverso dal sangue umano quanto quello umano era diverso dal
sangue animale.
Nessun essere umano può immaginare che acuto piacere sia per un
vampiro sentirsi scendere del sangue in gola.
Il cuore di Stefan sembrava volesse uscirgli dal petto.
Elena non temeva la zanna che aveva catturato con le labbra.
Quando quel piccolo dolore si trasformò in piacere, Stefan sentì che
anche Elena era felice, perché era legata a lui, e perché apparteneva a una
delle più rare specie di esseri umani: godeva nel nutrire un vampiro, amava
la sensazione di saziarlo, di sapere che aveva bisogno di lei. Lei
apparteneva all'élite.
Brividi bollenti gli attraversarono la spina dorsale, mentre il sangue di
Elena faceva ancora girare il mondo.
Elena lasciò andare la zanna, succhiandosi il labbro inferiore. Rovesciò
indietro la testa, mostrando il collo.
Questo era davvero troppo, perfino per lui. Conosceva le nervature delle
vene di Elena bene quanto il suo viso. Ma...
È tutto a posto. Va tutto bene... risuonò Elena telepaticamente.
Affondò le zanne doloranti in una piccola vena. A quel punto i suoi
canini erano così affilati che Elena non sentì quasi dolore. E per lui, per
entrambi, fu un paradiso, mentre l'incredibile dolcezza del nuovo sangue di
Elena riempiva la bocca di Stefan, e il generoso abbandono la fece
piombare in uno stato di confusione mentale.
Esisteva sempre il rischio di prendere troppo sangue, o di non
restituirgliene abbastanza, per evitare... be', francamente, per evitare che lei
morisse. Stefan non aveva bisogno che di una piccola quantità, ma ci
sarebbe sempre stato quel rischio quando si aveva a che fare con i vampiri.
Tuttavia, alla fine, i pensieri oscuri svanirono nella pura estasi che aveva
sopraffatto entrambi.
Matt prese le chiavi e con Bonnie e Meredith si sistemò sul largo sedile
anteriore del suo macinino. Imbarazzante doverlo parcheggiare accanto
alla Porsche di Stefan. La tappezzeria del sedile posteriore era ormai
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ridotta in brandelli che tendevano ad attaccarsi al posteriore di chiunque vi
si sedesse, e Bonnie si era accomodata sullo strapuntino munito di
un'approssimativa cintura di sicurezza tra Matt e Meredith. Matt la teneva
d'occhio, poiché quando era eccitata tendeva a non usare la cintura. La
strada per tornare all'Old Wood era troppo tortuosa da poter essere presa
alla leggera, anche se sarebbero stati gli unici a percorrerla.
Basta morti, pensò Matt mentre si allontanavano dalla pensione. Basta
anche con le risurrezioni miracolose. Matt aveva visto talmente tante
manifestazioni soprannaturali da bastargli per il resto della vita. Era
proprio come Bonnie: desiderava solo che le cose tornassero alla
normalità.
Senza Elena, qualcosa dentro di lui sussurrò beffardamente. Rinunciare
senza neanche combattere?
Ehi, non riuscirei a battere Stefan in nessun tipo di lotta, neanche se lui
avesse le mani legate dietro la schiena e un sacco sulla testa. Scordatelo.
È finita, anche se mi ha baciato. È solo un'amica, ora.
Ma poteva ancora sentire, dal giorno prima, le labbra calde di Elena
sulla sua bocca, i baci lievi che lei gli aveva dato, ancora ignara del fatto
che certe cose tra amici non si fanno. E poteva sentire il calore del suo
corpo snello e ondeggiante.
Dannazione, è tornata perfetta... per lo meno fisicamente, pensò.
La voce lamentosa di Bonnie interruppe i suoi piacevoli ricordi.
«Proprio quando pensavo che tutto sarebbe andato per il meglio», si
lamentava, sull'orlo delle lacrime, «proprio quando pensavo che si sarebbe
sistemato tutto. Andrà come doveva andare».
Meredith disse, con grande delicatezza: «È difficile, lo so. Sembra che
non facciamo altro che perderla. Ma non possiamo essere egoisti».
«Io posso», disse seccamente Bonnie.
Posso anch'io, sussurrò una voce dentro Matt. Buon vecchio Matt; a
Matt non importa... che tipo in gamba è Matt. Be', c'è un momento in cui
al buon vecchio Matt importa eccome. Ma lei sceglie l'altro ragazzo, e
cosa posso fare io? Rapirla? Tenerla rinchiusa? Cercare di prenderla con
la forza?
Il pensiero fu come un getto di acqua fredda. Matt tornò in sé e fece
maggior attenzione alla guida. In qualche modo aveva già percorso in
automatico diverse curve della strada tutta fossi e a senso unico che
attraversava l'Old Wood.
«Dovevamo andare al college tutti insieme», insisté Bonnie. «E poi
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saremmo tornati qui, a Fell's Church. A casa. L'avevamo progettato –
dall'asilo, praticamente – e ora Elena è di nuovo umana, e pensavo che
questo significasse che tutto sarebbe tornato a essere come avrebbe
dovuto. E invece niente sarà mai più come prima, mai, vero?». Finì
pacatamente e con un piccolo singulto: «Non è vero?». Non era neanche
una domanda.
Matt e Meredith si scoprirono a guardarsi l'un l'altra, sorpresi da quanto
fosse acuto il loro dispiacere, e incapaci di aiutare Bonnie, che ora si era
stretta le braccia attorno al corpo, rifuggendo il tocco di Meredith.
È Bonnie... solo Bonnie che fa la melodrammatica, pensò Matt, ma la
sua innata onestà si risvegliò per canzonarlo.
«Immagino», disse piano, «che questo fosse ciò a cui tutti noi abbiamo
pensato, quando è tornata». Quando ballavamo nei boschi come impazziti,
pensò. «Immagino che abbiamo pensato che avrebbero potuto vivere
tranquillamente da qualche parte vicino a Fell's Church, e che le cose
sarebbero tornate a essere quelle di prima. Prima di Stefan...».
Meredith scosse la testa, con lo sguardo lontano, oltre il parabrezza.
«Non Stefan».
Matt capì quello che voleva dire. Stefan era venuto a Fell's Church per
ricongiungersi all'umanità, non per prendersi una ragazza umana e portarla
nell'ignoto.
«Hai ragione», disse Matt, «pensavo a qualcosa del genere. Lei e Stefan
probabilmente avrebbero potuto trovare un modo per vivere qui tranquilli.
O, per lo meno, per stare vicini a noi. È stato Damon. È venuto per
prendersi Elena contro la sua volontà, e questo ha cambiato tutto».
«E ora Elena e Stefan se ne vanno. E una volta andati, non torneranno
mai più», disse tristemente Bonnie. «Perché? Perché Damon ha cominciato
tutto questo?»
«Gli piace cambiare le cose per pura noia, mi ha confidato un giorno
Stefan», disse Meredith. «Tutto è cominciato probabilmente con l'odio per
Stefan. Ma vorrei che per una volta ci avesse lasciati in pace».
«Che differenza fa?». Bonnie stava piangendo. «Quindi è stata colpa di
Damon. Neanche mi interessa più. Quello che non capisco è perché le cose
devono cambiare!».
«"Non si può attraversare due volte lo stesso fiume". E neanche una
volta se sei un vampiro ancora in forze», disse ironica Meredith. Nessuno
rise. E poi, più dolcemente: «Forse ti stai rivolgendo alla persona sbagliata.
Forse è Elena quella in grado di dirti perché le cose devono cambiare, se
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ricorda quello che le è successo... nell'Altro Posto».
«Non intendevo dire che debbano cambiare...».
«Ma lo faranno», disse Meredith, ancora più dolce e malinconica. «Non
capisci? Non è soprannaturale. È... la vita. Tutti devono crescere...».
«Lo so! Matt ha una borsa di studio per il football e tu andrai al college e
poi ti sposerai! E probabilmente avrai dei bambini!». Bonnie cercò di farla
suonare come una cosa indecente. «Io rimarrò bloccata al liceo per sempre.
E voi due sarete cresciuti e avrete dimenticato Elena e Stefan... e me».
Bonnie finì la frase a voce bassissima.
«Ehi». Matt era sempre stato molto protettivo nei confronti degli offesi e
degli emarginati. Persino in quel momento, con il ricordo di Elena così
fresco, e si chiedeva se si sarebbe mai sbarazzato della sensazione di quel
bacio; si sentiva attratto da Bonnie, che sembrava così piccola e
vulnerabile. «Ma di che cosa stai parlando? Dopo il college tornerò a
vivere qui. Probabilmente ci morirò a Fell's Church. E ti penserò, cioè... se
vuoi».
Diede dei colpetti affettuosi sul braccio di Bonnie, e lei non si scostò
come aveva fatto con Meredith. Si piegò verso di lui, con la fronte contro
la sua spalla. Quando tremò, lievemente, lui le mise un braccio attorno
senza neanche pensarci.
«Non ho freddo», disse Bonnie, anche se non cercò di allontanare il
braccio di lui. «Fa caldo stasera. È solo che... non mi piace quando dici
cose del tipo "Probabilmente morirò qui"... attento!».
«Matt, stai attento!».
«Che ca...!». Matt schiacciò il freno, imprecando, con le mani che
lottavano con il volante, mentre Bonnie si era rannicchiata e Meredith si
teneva forte. La sostituta della prima vecchia auto scassata, che era andata
perduta, era altrettanto vecchia e non aveva gli airbag. Era un'accozzaglia
di pezzi di auto da rottamare.
«Reggetevi!», urlò Matt mentre la macchina slittava con gli pneumatici
che stridevano. Furono tutti sballottati all'interno dell'auto quando la coda
andò a finire in un fosso e il parafango colpì un albero.
Quando tutto smise di muoversi, Matt buttò fuori il fiato, allentando la
stretta sul volante. Fece per voltarsi verso le ragazze e rimase paralizzato.
Cercò a tentoni di accendere la luce nell'abitacolo e ciò che vide lo
paralizzò nuovamente.
Bonnie si era girata, come sempre nei momenti di grande difficoltà,
verso Meredith. Giaceva con la testa sul grembo di Meredith, le mani che
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serravano il braccio e la maglietta dell'amica. Meredith era seduta, si
reggeva forte e al tempo stesso si piegava il più possibile all'indietro, con i
piedi allungati che spingevano contro la base del cruscotto; il suo corpo era
inarcato sul sedile, con la testa gettata all'indietro e le braccia che tenevano
saldamente giù Bonnie.
Il ramo di un albero, simile a una lancia verde, nodosa e vellutata o
all'avido braccio di un feroce gigante, si era infilato dal finestrino aperto.
Sfiorava la base del collo di Meredith, e i suoi rami più piccoli sfioravano
il piccolo corpo di Bonnie. Se la cintura di Bonnie non le avesse permesso
di girarsi; se Bonnie non si fosse abbassata così; se Meredith non l'avesse
trattenuta...
Matt si trovò a fissare la punta scheggiata ma ancora molto appuntita
della lancia. Se la sua cintura di sicurezza non gli avesse impedito di
sporgersi in quella direzione...
Matt riusciva a sentire il proprio respiro affannato. L'odore di
quell'albero aveva inondato l'auto. Il suo naso era persino in grado di
individuare i punti in cui i rametti si erano spezzati e da cui ora colava la
resina. Molto lentamente, Meredith si allungò per spezzare un ramoscello
che era puntato contro la sua gola come una freccia. Non si spezzava.
Inebetito, Matt si allungò per romperlo al posto suo. Ma, sebbene il legno
non fosse più spesso del suo dito, era duro e neanche si piegava.
Come se fosse stato indurito dal fuoco, pensò confuso. Ma è ridicolo. È
un albero vivo.
«Ahi».
«Posso alzarmi adesso?», disse con calma Bonnie, con la voce soffocata
dalla gamba di Meredith. «Per favore. Prima che mi afferri. Non aspetta
altro».
Matt la guardò, ebbe un sussulto e si graffiò la guancia contro la punta
scheggiata del grosso ramo.
«Non sta per prenderti». Ma lo stomaco gli si contorse per la paura
mentre cercava a tentoni di sganciarsi la cintura di sicurezza. Perché
Bonnie aveva avuto il suo stesso pensiero, cioè che quella cosa era come
un enorme braccio contorto? Lei non poteva neanche vederlo.
«Sai che vuole farlo», sussurrò Bonnie, e in quel momento il lieve
tremore sembrò impadronirsi del suo intero corpo. Si allungò all'indietro
per sganciare la sua cintura.
«Matt, dobbiamo scivolare», disse Meredith. Era rimasta in quella
scomoda posizione, e sentiva il suo respiro farsi più affannoso. «Dobbiamo
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scivolare verso di te. Sta cercando di prendermi alla gola».
«È una cosa impossibile...». Ma anche lui riusciva a vederlo. Le
estremità appena spezzate dei ramoscelli si erano spostate di pochissimo,
ma ora si erano incurvate e premevano contro la gola di Meredith.
«Probabilmente è solo che nessuno può stare piegato così all'indietro per
sempre», disse, sapendo che era una sciocchezza. «C'è una torcia nel vano
portaoggetti...».
«È completamente bloccato dai rami. Bonnie, riesci a sganciarmi la
cintura?»
«Ci provo». Bonnie scivolò in avanti senza sollevare la testa,
armeggiando per cercare il dispositivo di sgancio.
A Matt sembrava che i vellutati e profumati rami del sempreverde la
stessero circondando. Che la stessero spingendo tra i loro aghi.
«Abbiamo un intero albero di Natale del cavolo qui dentro». Distolse gli
occhi e guardò fuori dal finestrino. Unì le mani a coppa per guardare
meglio nell'oscurità e appoggiò la fronte contro il vetro inaspettatamente
freddo.
Si sentì toccare sulla nuca. Sobbalzò e rimase paralizzato. Non era né
freddo né caldo, come l'unghia di una ragazza.
«Dannazione, Meredith...».
«Matt...».
Matt era furioso con se stesso per essere saltato così. Ma quel tocco era...
ruvido.
«Meredith?». Mosse lentamente le mani per poter guardare nel riflesso
scuro del finestrino. Meredith non lo stava toccando.
«Non... spostarti... a sinistra, Matt. C'è un pezzo lungo e affilato lì». La
voce di Meredith, in genere fredda e anche un po' distante, di solito faceva
venire in mente a Matt quelle immagini da calendario di laghi azzurri
circondati dalla neve. Ma adesso risuonava strozzata e tesa.
«Meredith!», disse Bonnie prima che Matt potesse parlare. La voce di
Bonnie sembrava provenire da sotto un materasso di piume.
«È tutto a posto. Devo solo... tenerlo lontano», disse Meredith. «Non
preoccupatevi. Non vi lascio da soli».
Matt sentì un pizzicore più acuto. Qualcosa gli aveva toccato il collo, a
destra, delicatamente. «Bonnie, smettila! Stai tirando dentro l'albero! Lo
stai tirando sopra Meredith e me!».
«Matt, chiudi il becco!».
Matt ammutolì. Il cuore gli martellava nel petto. Gli sembrava di aver
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sentito qualcosa allungarsi alle sue spalle. Ma è una stupidaggine, pensò,
perché se è davvero Bonnie a muovere l'albero, posso almeno tenerlo
fermo al posto suo.
Allungò le mani dietro di sé, tremante di paura, cercando di controllare
quello che faceva nel riflesso del finestrino. Le sue mani si chiusero
attorno a un grosso nodo di corteccia e schegge.
Pensò: Non ricordo di aver visto un nodo quando ce l'avevo puntato alla
gola...
«Fatto!», disse una voce soffocata, e si sentì il click della cintura che si
sganciava. Poi, molto più tremante, la voce disse: «Meredith? Ho la
schiena tutta piena di aghi».
«Ok, Bonnie. Matt». Meredith parlava con un certo sforzo, ma anche
con grande pazienza, nel modo in cui tutti loro avevano parlato a Elena.
«Matt, ora devi aprire la tua portiera».
Bonnie disse con voce piena di terrore: «Non sono solo aghi. Sono
ramoscelli. Una specie di filo spinato. Sono... incastrata...».
«Matt! Devi aprire la tua portiera adesso...».
«Non posso».
Silenzio.
«Matt?».
Matt si stava puntellando, spingendo con i piedi e serrando le mani
attorno alla corteccia piena di schegge. Cercava di spingersi all'indietro
con tutte le sue forze.
«Matt!», urlò quasi Meredith. «Mi sta tagliando la gola!».
«Non riesco ad aprire la portiera! C'è un albero anche da quest'altro
lato!».
«Come fa a esserci un albero lì? Quella è la strada!».
«Come fa a crescere un albero qui dentro?».
Ancora silenzio. Matt sentiva le schegge, i frammenti di ramo spezzato,
conficcarglisi a fondo nella nuca. Se non si fosse mosso subito, non
avrebbe potuto farlo più.
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Elena era calma e felice. Era arrivato il suo turno.
Stefan prese un affilato tagliacarte di legno dalla sua scrivania e lo usò
per ferirsi. Elena non voleva mai guardare mentre lo faceva, mentre usava
lo strumento più efficace per penetrare la pelle di un vampiro; quindi
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chiuse gli occhi e li riaprì solo quando il sangue stava gocciolando dal
piccolo taglio che si era fatto sul collo.
«Non hai bisogno di prenderne molto... e non dovresti farlo», sussurrò
Stefan. Elena sapeva che lui diceva queste cose finché poteva dirle. «Ti sto
tenendo troppo stretta o ti faccio male?».
Era sempre così preoccupato. Questa volta, fu lei a baciare lui.
E capì quanto dovesse sembrargli strano desiderare quei baci più di
quanto desiderasse sentirle succhiare il suo sangue. Ridendo, Elena lo fece
sdraiare con una spinta e rimase sospesa su di lui. Si avventò di nuovo
sulla ferita, sapendo che lui pensava che lo stesse solo stuzzicando. E
invece si attaccò alla ferita come una sanguisuga e succhiò forte, forte fino
a che non riuscì a fargli dire Ti prego con la mente. Ma non fu soddisfatta
fino a che non gli fece anche urlare Ti prego.
Nell'auto, al buio, a Matt e Meredith l'idea venne contemporaneamente.
Lei fu più veloce, ma parlarono quasi insieme.
«Sono un'idiota! Matt, dove si sgancia lo schienale?»
«Bonnie, devi sganciare il suo sedile da dietro! C'è una piccola maniglia,
dovresti riuscire ad allungare la mano e tirarla!».
La voce di Bonnie ora sembrava ridotta a un singhiozzo: «Le mie
braccia... è come se si stessero conficcando... nelle mie braccia...».
«Bonnie», disse Meredith strascicando le parole. «So che puoi farlo.
Matt... è la maniglia destra... sotto il sedile anteriore... o...».
«Sì. Sul bordo. A ore una... anzi, no, ore due». Matt era a corto di fiato.
Una volta afferrato l'albero, aveva scoperto che se allentava la pressione
anche solo per un istante, gli premeva forte contro il collo.
Non c'è scelta, pensò. Fece un respiro, il più profondo che poté, e spinse
indietro il ramo. Sentì urlare Meredith, mentre le schegge frastagliate,
simili a piccoli coltelli di legno, gli tagliavano la gola, l'orecchio e il cuoio
capelluto. Ora era libero dalla pressione sulla nuca, ma inorridì nel vedere
che l'albero aveva nel frattempo invaso la macchina. Il suo grembo era
pieno di rami; ovunque si erano ammucchiati fitti aghi di sempreverde.
Non c'era da meravigliarsi che Meredith stesse impazzendo, pensò
quando si voltò verso di lei. Era quasi sepolta dai rami, una mano che
lottava con qualcosa attorno alla sua gola, ma riuscì a vederlo lo stesso.
«Matt... pensa... al tuo sedile! Presto! Bonnie, so che puoi farcela».
Matt cominciò ad aprirsi un varco tra i rami strappandoli, e a tentoni
cercò la maniglia che avrebbe fatto scendere lo schienale del suo sedile. La
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maniglia non si spostava. Dei tentacoli, sottili e resistenti, l'avevano
avviluppata. Erano elastici ma difficili da spezzare. Li torse e li strappò
con furia.
Lo schienale cadde. Si piegò sotto un enorme ramo, fino a poco tempo
prima il principale, ma ormai uno tra i tanti enormi che riempivano l'auto.
Poi, non appena allungò la mano per aiutare Meredith, anche il sedile di lei
si abbassò bruscamente.
Cadde anche lei, libera dal sempreverde, riempiendosi i polmoni d'aria.
Per un secondo, giacque distesa. Poi finì di armeggiare con il sedile
posteriore, portandosi dietro una figura ricoperta di aghi. Quando parlò, la
sua voce era rauca e le parole uscivano ancora lentamente.
«Matt. Che tu sia benedetto... per avere... questo puzzle... di
automobile». Con un calcio riportò il sedile nella sua posizione e Matt fece
altrettanto.
«Bonnie», disse Matt ancora sotto shock.
Bonnie non si mosse. Ancora diversi ramoscelli si intrecciavano su di
lei, impigliati nel tessuto della sua maglietta, e attorcigliati nei suoi capelli.
Meredith e Matt cominciarono a tirare. Dove i rami cedevano,
lasciavano minuscole ferite, come delle piccole punture.
«È come se stessero cercando di crescerle addosso», disse Matt, quando
un lungo e sottile ramo si staccò, lasciandosi dietro piccole punture di
spillo insanguinate.
«Bonnie?», disse Meredith. Era lei che districava i ramoscelli dai capelli
dell'amica. «Bonnie? Coraggio, su. Guardami».
Il corpo di Bonnie ricominciò a tremare, ma lasciò che Meredith le
girasse il viso. «Non pensavo di potercela fare».
«Mi hai salvato la vita».
«Ero così spaventata...».
Bonnie cominciò a piangere sommessamente contro la spalla di
Meredith.
Matt guardò Meredith proprio quando la luce dell'abitacolo ebbe un
guizzo e si spense. L'ultima cosa che vide furono i suoi occhi scuri, la cui
espressione gli diede un senso di disagio allo stomaco. Guardò fuori dai tre
finestrini, appoggiato allo schienale. Sarebbe stato difficile vedere
qualsiasi cosa, ma quello che cercava era premuto proprio contro il vetro.
Aghi. Rami. Compatti contro ogni centimetro di vetro.
Tuttavia, lui e Meredith, senza bisogno di dire nulla, cercarono di aprire
la portiera del sedile posteriore. Si sentì un click, le portiere si aprirono di
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un centimetro e si richiusero con forza con un bam definitivo.
Meredith e Matt si guardarono. Meredith abbassò lo sguardo e
ricominciò a tirar via i ramoscelli da Bonnie.
«Fa male?»
«No. Un po' ...».
«Stai tremando».
«Fa freddo».
Faceva freddo. Fuori dall'auto, sebbene non attraverso il finestrino,
aperto ma completamente bloccato dal sempreverde, Matt sentiva il vento.
Fischiava tra i rami. Si sentiva anche il legno scricchiolare,
sorprendentemente forte. Sembrava una tempesta.
«Ma cosa diavolo era», esplose, dando un violento calcio al sedile
posteriore, «che ci ha fatto sbandare con la macchina?».
La testa scura di Meredith si sollevò leggermente. «Non lo so, stavo
alzando il finestrino. L'ho vista solo per un attimo».
«È apparsa così, in mezzo alla strada».
«Un lupo?»
«Prima non c'era e un attimo dopo era lì».
«I lupi non sono di quel colore. Era una cosa rossa», disse Bonnie
seccamente, alzando la testa dalla spalla di Meredith.
«Rossa?». Meredith scosse la testa. «Era toppo grossa per essere una
volpe».
«Era rossa, credo», disse Matt.
«I lupi non sono rossi... e i vampiri, invece? Tyler Smallwood ha dei
parenti con i capelli rossi?»
«Non era un lupo», disse Bonnie. «Sembrava... al contrario».
«Al contrario?»
«La testa era dalla parte sbagliata. O forse aveva la testa da entrambi i
lati».
«Bonnie, mi stai facendo paura sul serio», disse Meredith.
Matt non l'avrebbe mai detto, ma stava spaventando sul serio anche lui.
Perché quello che era riuscito a vedere dell'animale, gli sembrava avesse la
stessa deformità che Bonnie aveva descritto.
«Forse l'abbiamo solo vista da una strana angolazione», disse, mentre
Meredith azzardò: «Magari era solo un animale spaventato da...».
«Da cosa?».
Meredith guardò in alto verso il soffitto dell'auto. Matt seguì il suo
sguardo. Molto lentamente, e con un cigolio di metallo, sul tettuccio si
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formò un'ammaccatura. Come se qualcosa di molto pesante vi si fosse
poggiato.
Matt si maledisse: «Quando ero lì davanti, perché non ho semplicemente
schiacciato l'acceleratore...?». Guardava attraverso i rami, cercando di
individuare l'acceleratore, l'accensione.
«Le chiavi sono ancora lì?»
«Matt, siamo finiti in un fosso. E per di più, se fosse servito a qualcosa
te l'avrei detto io di schiacciare l'acceleratore».
«Quel ramo ti avrebbe decapitata!».
«Sì», disse Meredith con semplicità.
«Ti avrebbe uccisa!».
«Se fosse servito a fare uscire voi due, l'avrei proposto. Ma tu eri
bloccato e potevi guardare solo di lato, mentre io potevo guardare avanti.
Erano già qui, gli alberi. Erano dappertutto».
«Ma... non è... possibile!». Matt colpì forte il sedile davanti a lui per
sottolineare ogni parola.
«E questo è possibile?».
Il tettuccio scricchiolò nuovamente.
«Voi due... smettetela di discutere!», disse Bonnie, con la voce rotta da
un singhiozzo.
Ci fu un'esplosione simile a uno sparo e l'auto sprofondò
improvvisamente indietro e sulla sinistra.
Bonnie trasalì. «Cos'è stato?».
Silenzio.
«...è scoppiata una gomma», disse alla fine Matt. Non si fidava della
propria voce. Guardò Meredith.
Come fece anche Bonnie. «Meredith... i rami stanno invadendo il sedile
anteriore. Riesco a malapena a vedere la luce della luna. Sta diventando
buio».
«Lo so».
«Cosa facciamo?».
Matt vedeva benissimo la tremenda tensione e frustrazione dipinte sul
volto di Meredith, che avrebbe parlato con rabbia. E invece la voce
dell'amica fu molto calma.
«Non lo so».
Stefan ancora fremeva ed Elena si raggomitolò sul letto come un gatto.
Gli sorrise e fu un sorriso colmo di piacere e amore. Lui pensò di afferrarla
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per le braccia, tirarla giù e ricominciare daccapo.
Era perché lei lo faceva impazzire. Perché conosceva... fin troppo bene,
per esperienza, il pericolo con cui stavano flirtando. Ancora un po' ed
Elena sarebbe stato il primo spirito-vampiro, così come era stata il primo
vampiro-spirito che avesse mai conosciuto.
Ma guardala! Scivolò da sotto di lei come a volte faceva e si mise a
guardarla, con il cuore che gli martellava nel petto. I suoi capelli, oro puro,
ricadevano come seta sul letto formando un lago. Il suo corpo, alla luce di
una delle piccole lampade della stanza, pareva incorniciato d'oro.
Sembrava davvero fluttuare e muoversi e dormire in una nebbiolina dorata.
Era incredibile. Per un vampiro, era come essersi portato nel letto un sole
in carne e ossa.
Si scoprì a soffocare uno sbadiglio. Era in grado di fargli anche
quell'effetto, come una involontaria Dalila che sottraeva la forza a
Sansone. Carico al massimo come poteva esserlo con il sangue di lei, era
anche deliziosamente assonnato. Avrebbe trascorso una calda notte tra le
sue braccia... o sotto di lei.
Nell'auto di Matt era sempre più buio: gli alberi continuavano a oscurare
la luce della luna. Per un po' provarono a strillare chiedendo aiuto. Non
portò a nulla e per di più, come fece notare Meredith, avevano bisogno di
risparmiare ossigeno nell'auto. Così rimasero fermi.
Alla fine, Meredith infilò la mano nella tasca dei jeans e tirò fuori un
portachiavi con una minuscola lampadina. Faceva una luce blu. L'accese e
tutti ne furono attratti come da una calamita. Una cosa così minuscola che
significa così tanto, pensò Matt.
Ora si sentiva una pressione contro il sedile posteriore.
«Bonnie?», disse Meredith. «Qui nessuno ci sentirà urlare. E se
qualcuno ha sentito lo scoppio della gomma avrà di certo pensato si
trattasse di uno sparo».
Bonnie scosse la testa come se non volesse ascoltare. Stava ancora
togliendosi gli aghi di pino dalla pelle.
Ha ragione. Siamo lontani chilometri da chiunque, pensò Matt.
«Qui c'è qualcosa di molto cattivo», disse Bonnie. Lo disse pacatamente,
ma fu come se si fosse strappata ogni singola parola dalla gola, come
ciottoli lanciati in uno stagno.
Matt si sentì d'un tratto più vecchio. «Quanto... cattivo?»
«È così cattivo che... non ho mai sentito qualcosa del genere prima. Né
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quando Elena è stata uccisa, né da Klaus, né da qualsiasi cosa. È così
cattivo, ed è così forte. Non credevo che qualcosa potesse essere così forte.
Mi sta schiacciando, e ho paura...».
Meredith la interruppe: «Bonnie, so che possiamo trovare un modo per
uscire da questo...».
«Non c'è nessuna via d'uscita!».
«...so che hai paura...».
«Chi possiamo chiamare? Io potrei farlo... se ci fosse qualcuno da
chiamare. Posso guardare la tua piccola torcia e cercare di far finta che sia
una fiamma e farlo...».
«Andare in trance?». Matt guardò Meredith bruscamente. «Non
dovrebbe più farlo».
«Klaus è morto».
«Ma...».
«C'è qualcuno che riesce a sentirmi?», strillò Bonnie e si accasciò, alla
fine, singhiozzando disperata. «Elena e Stefan sono troppo lontani, e
probabilmente dormono da un pezzo! E non c'è nessun altro!».
I tre furono sospinti l'uno verso l'altro, perché i rami stavano spingendo
contro i sedili. Matt e Meredith erano abbastanza vicini da riuscire a
guardarsi proprio al di sopra della testa di Bonnie.
«Uh», disse Matt, allarmato. «Um... siamo sicuri?»
«No», disse Meredith. Sembrava al tempo stesso torva e speranzosa.
«Ricordi stamattina? Non siamo affatto sicuri. In effetti io sono sicura che
sia ancora qui attorno».
Matt adesso si sentiva male, e Meredith e Bonnie sembravano malate in
quella luce blu, già strana di per sé. «E... proprio prima che succedesse
questo, stavamo parlando di come un sacco di cose...».
«...fondamentalmente tutto quello che ha fatto cambiare Elena...».
«...è stata colpa sua».
«Nei boschi».
«Con una finestra aperta».
Bonnie continuò a singhiozzare.
Matt e Meredith, tuttavia, guardandosi, avevano stretto un tacito
accordo. Meredith disse, molto delicatamente: «Bonnie, farai quello che
hai detto, è necessario. Cerca di raggiungere Stefan, di svegliare Elena o...
o chiedi scusa a... Damon. Probabilmente quest'ultima cosa, temo. Non ho
mai avuto la sensazione che ci volesse tutti morti, e deve saperlo che
uccidere i suoi amici non lo aiuterà a conquistare Elena».
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Matt borbottò, scettico: «Può non volerci tutti morti, ma può aspettare
che qualcuno di noi muoia per salvare gli altri. Non mi sono mai fid...».
«Non gli hai mai voluto male», lo ignorò Meredith parlando a voce più
alta.
Matt ammiccò e rimase in silenzio. Si sentiva un idiota.
«Ecco, la lampadina è accesa», disse Meredith, e anche in quel momento
di crisi, la sua voce era ferma, ritmata, ipnotica.
Quella patetica lucina era così preziosa. Era tutto ciò che avevano per
evitare che l'oscurità fosse assoluta.
E se l'oscurità fosse diventata assoluta, pensò Matt, sarebbe stato perché
tutta la luce, tutta l'aria, tutto quello che veniva dall'esterno era stato chiuso
fuori, spinto via dalla pressione degli alberi. E allora la pressione avrebbe
schiacciato i loro scheletri.
«Bonnie?». La voce di Meredith era quella di ogni sorella maggiore che
veniva sempre in aiuto della minore. Gentile. Controllata. «Puoi cercare di
far finta che sia la fiamma di una candela... la fiamma di una candela... la
fiamma di una candela... e poi cercare di andare in trance?»
«Sono già in trance». La voce di Bonnie era in qualche modo distante...
lontana, quasi un'eco.
«Allora chiedi aiuto», disse dolcemente Meredith.
Bonnie sussurrava di continuo, chiaramente dimentica del mondo
attorno a sé: «Ti prego, vieni ad aiutarci. Damon, se riesci a sentirmi, ti
prego accetta le nostre scuse e vieni. Ci hai fatto spaventare terribilmente,
e sono sicura che ce lo meritiamo, ma ti prego, ti prego aiutaci. Fa male,
Damon. Fa così male che potrei gridare. Ma invece uso tutta l'energia per
Chiamarti. Ti prego, ti prego, ti prego aiutaci...».
Per cinque, dieci, quindici minuti continuò così, mentre i rami
crescevano, circondandoli con il loro profumo dolce e resinoso. Continuò
molto più a lungo di quanto Matt pensava potesse resistere.
Poi la luce si spense. Dopo di che non ci fu più nessun suono se non il
sussurro dei pini.
La tecnica era degna di ammirazione.
Damon era di nuovo sospeso a mezz'aria, stavolta ancora più in alto di
quando era entrato dalla finestra di Caroline, al terzo piano. Ancora non
aveva idea di come si chiamasse quell'albero, ma questo non lo fermò. Gli
sembrava di essere seduto su un palco a guardare il dramma che si
svolgeva sotto di lui. Stava cominciando ad annoiarsi, poiché a terra non
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succedeva niente di nuovo. Aveva abbandonato Damaris all'inizio di quella
sera, quando lei era diventata noiosa, a parlare di matrimonio e altri
argomenti che lui desiderava evitare. Come l'attuale marito di lei. Noioso.
Se n'era andato senza neanche controllare se lei fosse diventata un
vampiro... era portato a credere di sì, e non sarebbe stata una sorpresa
quando il maritino fosse tornato a casa? Le labbra gli tremarono e accennò
un sorriso.
Sotto di lui, la scena aveva quasi raggiunto il culmine.
Una tecnica davvero ammirevole. Caccia di gruppo. Non aveva idea di
che sorta di sgradevoli creature stessero muovendo gli alberi, ma al pari di
lupi o leonesse, sembravano averla trasformata in un'arte. Lavorare
insieme per catturare prede troppo veloci o troppo corazzate. In quel caso,
un'automobile.
La raffinata arte della collaborazione. È un peccato che i vampiri siano
così solitari, pensò. Se riuscissimo a cooperare, il mondo sarebbe nostro.
Strizzò gli occhi assonnato e lanciò uno smagliante sorriso nel nulla.
Certo, se potessimo farlo... che so, prendere una città e dividerci gli
abitanti... la finiremmo di farci a pezzi l'un l'altro. Denti, unghie e Potere
verrebbero usati come lame di spade, e non rimarrebbe altro se non
frammenti di carne tremolante e viscere ricoperte di sangue.
Bella immagine, comunque, pensò, e abbassò le palpebre per
apprezzarla. Artistica. Laghi scarlatti di sangue, ancora abbastanza liquido
da scorrere lungo i gradini di marmo bianchi di... oh, diciamo, del
Kallimarmaro di Atene. Un'intera città piombata nel silenzio, purgata dai
rumorosi, caotici, ipocriti umani, lasciando solo i loro pezzi necessari:
qualche arteria per pompare la roba rossa in quantità. La versione
vampiresca del paese di latte e miele.
Aprì gli occhi nuovamente annoiato. Ora le cose stavano diventando più
rumorose laggiù. Umani che urlavano. Perché? Che senso aveva? Il
coniglio strilla sempre tra le mandibole della volpe, ma quando mai un
coniglio è corso per salvarne un altro?
Ecco un nuovo proverbio e anche la prova che gli umani sono stupidi
come conigli, pensò, ma ormai la sua disposizione d'animo era rovinata. La
sua mente si allontanò, ma non era solo quel rumore laggiù a disturbarlo.
Latte e miele, quello era stato... uno sbaglio. Pensarci era stato un errore
madornale. La pelle di Elena era stata latte quella notte, una settimana
prima, un bianco caldo, persino alla luce fredda della luna. I suoi capelli,
brillanti nell'ombra, sembravano di miele. Elena non sarebbe stata felice di
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vedere il risultato della caccia di gruppo di quella sera. Avrebbe pianto
lacrime simili a rugiada cristallina, dal sapore salato.
D'un tratto Damon si irrigidì. Inviò un furtivo impulso di Potere attorno
a sé, il cerchio di un radar.
Ma non rintracciò nulla, tranne gli alberi indifferenti ai suoi piedi.
Qualunque cosa stesse orchestrando tutto ciò, era invisibile.
Bene, allora. Proviamo con questo, pensò. Concentrandosi su tutto il
sangue che aveva bevuto negli ultimi giorni, fece esplodere uno scroscio di
Potere puro, come il Vesuvio che erutta con una mortale esplosione
piroclastica. Lo circondò in ogni direzione, una bolla di Potere da ottanta
chilometri all'ora, come gas surriscaldato.
Perché era tornato. Incredibilmente, quel parassita stava cercando di
farlo di nuovo, di entrargli nella mente. Lo sentiva.
Sentiva che stava cercando di intorpidirgli i sensi, mentre i suoi
compagni di branco finivano la preda nella macchina. Sussurrandogli cose
nella mente che lo tenevano fermo, impossessandosi dei suoi pensieri scuri
e restituendoglieli ancora più scuri, in un ciclo che sarebbe potuto finire
con lui che volava via per uccidere senza pietà, per il puro gusto di farlo.
Ora la mente di Damon era fredda e nera di rabbia. Si raddrizzò,
stiracchiandosi le spalle e le braccia doloranti, e poi riprese la ricerca, non
con un semplice radar stavolta, ma con un forte impulso di Potere a ogni
colpo, sondando con la mente in tutte le direzioni per scovare il parassita.
Doveva essere da qualche parte là fuori; gli alberi erano impegnati nella
loro attività. Ma non riuscì a trovare nulla, nonostante avesse usato i più
veloci ed efficienti metodi di scansione che conoscesse: mille colpi casuali
al secondo, seguendo il modello matematico della Passeggiata aleatoria.
Avrebbe dovuto trovare un corpo morto immediatamente. Invece non trovò
nulla.
La cosa lo fece arrabbiare ancora di più, ma nella sua ira c'era una vena
di eccitazione. Voleva un combattimento; una possibilità di uccidere e di
farlo in modo significativo. Ed ecco che ora incontrava un contendente che
possedeva tutti i requisiti... e Damon non poteva ucciderlo perché non
riusciva a trovarlo. Inviò un messaggio, vivido di ferocia, in tutte le
direzioni.
Ti ho già avvertito una volta. Adesso TI SFIDO. Fatti vedere,
ALTRIMENTI STA LONTANO DA ME!
Chiamò a raccolta il Potere, lo chiamò e lo chiamò ancora, pensando ai
tanti umani che avevano contribuito a crearlo. Lo trattenne, nutrendolo,
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adattandolo al suo scopo e aumentando la sua forza con tutto quello che
sapeva in materia di combattimento e di abilità e strategie di guerra.
Trattenne il Potere fino a che sentì di avere tra le mani una bomba
nucleare. E poi lo lasciò andare all'improvviso, in un'esplosione che
sfrecciò nella direzione opposta, lontano da lui, rasentando la velocità della
luce.
Ora, sicuramente, avrebbe sentito agonizzare una creatura che era stata
così potente e scaltra da sopravvivere al suo precedente attacco,
appropriato forse per neutralizzare i semplici fantasmi, ma non un essere
forte come questo.
Damon estese i suoi sensi alla massima portata, aspettando di udire o
percepire qualcosa frantumarsi, incendiarsi... qualcosa che precipitasse
insanguinato da un ramo, dal cielo, da qualche parte. Da qualche parte
qualcosa avrebbe dovuto piombare al suolo o strisciare con enormi artigli
da dinosauro, una creatura semiparalizzata e definitivamente condannata,
che bruciava dentro. Ma sebbene Damon riuscisse a sentire il vento
trasformarsi in un ululato e grosse nuvole nere addensarsi sopra di lui, in
reazione al suo stato d'animo, ancora non percepiva alcuna creatura oscura
abbastanza vicina da riuscire a penetrare i suoi pensieri.
Quanto era forte questa cosa? Da dove veniva?
Solo per un momento, un pensiero gli attraversò la mente come un
lampo. Un cerchio. Un cerchio con un puntino al centro. E il cerchio era
l'esplosione che aveva liberato in tutte le direzioni, mentre il puntino era
l'unico posto non raggiunto dalla sua esplosione. Dentro di lui...
Snap! D'un tratto i suoi pensieri divennero vuoti. E Damon cominciò,
fiaccamente, leggermente disorientato, a rimettere insieme i frammenti.
Stava pensando all'esplosione di Potere che aveva emesso, no? E a come si
era aspettato di sentire qualcosa cadere e morire.
Diavolo, non riusciva neanche a sentire un qualsiasi animale più grosso
di una volpe nei boschi. Nonostante il suo flusso di Potere fosse stato
creato appositamente per colpire solo le creature dell'oscurità, gli animali
ne erano stati così impauriti che erano fuggiti a gambe levate. Guardò in
basso. Hmm. Eccezion fatta per gli alberi attorno alla macchina, che non
erano lì per lui. E poi, qualunque cosa fossero, erano solo pedine di un
assassino invisibile.
Poteva essersi sbagliato? Metà della sua ira era rivolta verso se stesso,
per essere stato così sbadato, così ben nutrito e sicuro di sé da aver
abbassato la guardia.
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Ben nutrito... ehi, forse sono ubriaco, pensò, e di nuovo sorrise per un
attimo al nulla, senza neanche pensarci. Ubriaco e paranoico e irritabile.
Seccato e incavolato.
Damon si rilassò appoggiandosi a un albero. Ora il vento urlava, gelido e
turbinante, il cielo pieno di torbide nuvole nere che coprivano la luce della
luna e delle stelle. Esattamente il tempo ideale.
Era ancora teso, ma non riusciva a trovare alcun motivo per esserlo.
L'unica cosa che turbava l'atmosfera del bosco era il minuscolo grido di
una mente dentro l'automobile, simile a un uccello intrappolato in un'unica
nota. Doveva essere la piccola, quella strega dai capelli rossi e con il collo
delicato. Quella che si era lamentata del fatto che la vita stesse cambiando
troppo.
Damon si appoggiò un po' di più all'albero. Aveva seguito l'automobile
con la sua mente per un vago interesse. Non era colpa sua se li aveva
sentiti mentre parlavano di lui, ma questo diminuiva le loro chance di
essere salvati.
Batté lentamente le palpebre.
Strano che avessero avuto un incidente per tentare di non investire una
creatura più o meno nella stessa zona in cui lui aveva quasi distrutto la
Ferrari per cercare di investirne una. Peccato che non avesse visto la loro
creatura, ma gli alberi erano troppo fitti.
L'uccellino dai capelli rossi piangeva di nuovo.
Be', lo vuoi un cambiamento adesso oppure no, streghetta? Deciditi.
Devi chiederlo con gentilezza, però.
E poi, naturalmente, io dovrò decidere che tipo di cambiamento avrai.
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Bonnie non era riuscita a ricordarsi una preghiera più sofisticata e così,
come una bambina stanca, ne recitò una vecchia: «...prego affinché il
Signore prenda la mia anima...». Aveva esaurito tutta la sua energia per
chiedere aiuto e non aveva avuto nessuna risposta, solo qualche rumore di
ritorno. Aveva così sonno ora. Il dolore non c'era più e si sentiva
semplicemente intontita. L'unica cosa che le dava fastidio era il freddo. Ma
anche a quello si poteva porre rimedio. Poteva mettersi addosso una
coperta, spessa e morbida, e si sarebbe riscaldata. Lo sapeva senza sapere
come faceva a saperlo.
L'unica cosa che la tratteneva dal pensare alla coperta era sua madre.
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Sarebbe stata triste sapendo che aveva smesso di combattere. Quella era
un'altra cosa che sapeva senza sapere come. Se solo avesse potuto mandare
un messaggio a sua madre, spiegandole che aveva lottato duramente finché
aveva potuto, ma con quel torpore e il freddo non era riuscita a farcela. E
che sapeva che stava morendo, ma in fondo non era doloroso, perciò non
c'era motivo perché Mamma piangesse. E la prossima volta avrebbe
imparato dai suoi errori, lo prometteva... la prossima volta...
L'intervento di Damon fu volutamente teatrale, accompagnato da un
lampo luminoso nel momento esatto in cui i suoi stivali colpirono la
macchina. Simultaneamente, emanò un'altra violenta sferzata di Potere,
stavolta diretta contro gli alberi, i burattini controllati da un padrone
invisibile. Fu così forte che avvertì una reazione scioccata da parte di
Stefan direttamente dalla pensione. E gli alberi... disciolti nelle tenebre.
Avevano strappato il tettuccio come se l'auto fosse stata una gigantesca
scatola di sardine, disse fra sé e sé, mentre stava sul cofano. Una comodità
per lui.
Poi spostò la sua attenzione verso l'umana Bonnie, quella con i riccioli,
che, a rigor di logica, avrebbe dovuto prostrarsi ai suoi piedi e ansimare
«Grazie!».
E invece no. Giaceva distesa, nella stessa posizione in cui si trovava
quando era prigioniera degli alberi. Seccato, Damon si abbassò per
afferrarle la mano, quando rimase lui stesso scioccato. Se ne accorse prima
di toccarla, ne sentì l'odore prima di imbrattarsene le dita. Un centinaio di
piccole punture grandi quanto uno spillo, da ognuna delle quali colava
sangue. Dovevano essere stati gli aghi del sempreverde a farle uscire il
sangue... anzi no, a pomparvi dentro una qualche sostanza resinosa. Un
anestetico per tenerla ferma mentre si preparavano a consumare la preda...
una cosa piuttosto sgradevole, a giudicare dai modi di quella creatura.
Un'iniezione di succhi gastrici sembrava la cosa più probabile.
O forse, semplicemente qualcosa per tenerla in vita, come l'antigelo per
la macchina, pensò, rendendosi conto, nuovamente scioccato, di quanto
fosse fredda. Il suo polso era di ghiaccio. Diede un'occhiata anche agli altri
due umani, la ragazza bruna dagli occhi inquietanti, razionali, e il ragazzo
biondo, quello sempre pronto a dare battaglia. Avrebbe potuto benissimo
ignorarli. Certamente per gli altri due si metteva male. Ma avrebbe salvato
lei. Perché era un suo capriccio. Perché lei aveva invocato il suo aiuto in
modo così commovente. Perché quelle creature, quei malach, avevano
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cercato di farlo assistere alla morte di lei, con gli occhi fissi sulla scena
mentre sottraevano il presente alla sua mente, sostituendolo con un
magnifico sogno a occhi aperti. Malach... era un termine generico che
indicava una creatura del buio: una sorella o un fratello della notte. Ma
Damon in quel momento pensò a quella parola come a qualcosa di
malvagio, un suono da sibilare, da pronunciare con disprezzo.
Non aveva intenzione di lasciare che vincessero. Raccolse Bonnie come
se fosse un batuffolo di soffione e se la gettò su una spalla. E poi volò via
dall'auto. Volare senza prima cambiare forma era una sfida. A Damon le
sfide piacevano.
Decise di portarla alla più vicina fonte di acqua calda, e cioè alla
pensione. Non aveva bisogno di disturbare Stefan. C'era una mezza
dozzina di stanze in quella trappola per conigli che affondava nel fango
della Virginia. A meno che Stefan non fosse un ficcanaso, non si sarebbe
mai andato a infilare nei bagni di altra gente.
Ma risultò che Stefan non era soltanto ficcanaso, ma anche veloce. Ci fu
quasi una collisione: Damon e il suo carico girarono un angolo e trovarono
Stefan che guidava lungo la strada buia con Elena, che fluttuava come
Damon e sobbalzava nella macchina come il palloncino di un bambino.
Il primo scambio di parole non fu né brillante né arguto.
«Cosa diavolo stai facendo?», esclamò Stefan.
«Cosa diavolo stai facendo tu?», disse Damon, o stava per dire, quando
notò l'enorme differenza in Stefan... e il tremendo Potere che possedeva
Elena. Era profondamente turbato, ma una piccola parte della sua mente
cominciò ad analizzare la situazione, a cercare di capire come Stefan, da
niente, fosse diventato un... un...
Santo cielo! Oh, be', tanto valeva fare buon viso a cattivo gioco.
«Ho percepito un combattimento», disse Stefan. «Da quando sei
diventato Peter Pan?»
«Dovresti essere felice di non esserti trovato lì. E so volare perché ho il
Potere, ragazzo».
Era pura spavalderia. In ogni caso era perfettamente corretto, al tempo in
cui erano nati, rivolgersi a un parente più giovane chiamandolo ragazzo4.
Adesso non lo era più. E nel frattempo la parte del suo cervello che non
era rimasta ammutolita stava ancora analizzando la situazione. Riusciva a
vedere, sentire, fare tutto fuorché toccare l'aura di Stefan. Ed era...
inimmaginabile. Se Damon non fosse stato così vicino, se non l'avesse
4 In italiano nel testo (n.d.t.)
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sentito in prima persona, non avrebbe creduto possibile che una sola
persona potesse avere così tanto Potere.
Ma stava considerando la situazione con la stessa capacità di freddo e
razionale giudizio che gli aveva detto che il suo Potere – anche dopo
essersi ubriacato con la varietà di sangue femminile preso negli ultimi
giorni – era nulla in confronto a quello di Stefan in quel momento. E la sua
capacità fredda e razionale gli diceva anche che Stefan era stato buttato giù
dal letto per questo, e che non aveva avuto il tempo – o non era stato
abbastanza accorto – di nascondere la sua aura.
«Ma guardati», disse Damon con tutto il sarcasmo di cui era capace, e ne
venne fuori parecchio. «È un'aureola quella? Sei stato canonizzato mentre
ero distratto? Mi sto rivolgendo a santo Stefano adesso?».
La reazione telepatica di Stefan fu irriferibile. «Dove sono Meredith e
Matt?», aggiunse furioso.
«Oppure», continuò Damon, proprio come se Stefan non avesse parlato,
«forse ti meriti le congratulazioni per aver finalmente appreso l'arte
dell'inganno?»
«E cosa ci fai con Bonnie?», chiese Stefan, ignorando a sua volta i
commenti di Damon.
«Ma ancora non sembri avere una padronanza dell'inglese polisillabico,
perciò te lo dirò nel modo più semplice che posso. Ti sei rifiutato di
batterti».
«Mi sono rifiutato di battermi», disse seccamente Stefan. A quanto
pareva, Damon non avrebbe risposto a nessuna delle sue domande fino a
che non gli avesse detto la verità. «Ho solo ringraziato Dio che tu
sembrassi troppo pazzo o ubriaco per essere in grado di renderti conto
della situazione. Volevo evitare che tu e il resto del mondo scopriste cosa è
in grado di fare il sangue di Elena. E così te ne sei andato via senza
neanche darle uno sguardo. E senza sospettare che avrei potuto farti volare
via come una pulce sin dall'inizio».
«Non avrei mai pensato che fosse dentro di te». Damon stava rivivendo
la loro piccola zuffa con dettagli fin troppo vividi. Era vero: non aveva mai
sospettato che la performance di Stefan fosse esattamente questo, una
performance, e che avrebbe potuto battere Damon in qualunque momento
e fare qualsiasi cosa avesse voluto.
«Ed ecco la tua benefattrice». Damon accennò con la testa verso l'alto,
dove Elena fluttuava, legata – ebbene sì – alla leva del cambio con una
corda da bucato. «Solo un po' più in basso degli angeli, e coronata di gloria
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e onore», commentò Damon, incapace di trattenersi quando la guardò.
Elena era, in effetti, così radiosa, che guardarla era come cercare di
fissare il sole.
«Anche lei sembra aver dimenticato come nascondersi; brilla come una
supernova».
«Lei non sa come si fa a mentire, Damon». Era evidente che la rabbia di
Stefan stesse montando intensamente. «Ora dimmi cosa sta succedendo e
cosa hai fatto a Bonnie».
L'impulso a rispondere: Niente. Credi che dovrei?, era quasi
irresistibile... quasi. Ma Damon aveva di fronte uno Stefan diverso da
quello che aveva sempre conosciuto. Questo non è il fratellino che conosci
e adori pestare, gli disse la voce della razionalità, a cui lui diede retta.
«Gli altri due uuuuu-mani», disse Damon strascicando la parola in tutta
la sua lunghezza, «sono nella loro automobile. E», d'un tratto virtuoso, «io
stavo portando Bonnie da te».
Stefan era fermo accanto all'auto, alla distanza giusta per esaminare il
braccio steso in fuori di Bonnie. Le punture di spillo si trasformarono in
una striscia di sangue quando le toccò, e Stefan si guardò le dita con
orrore.
Ripeté la prova. Damon si sarebbe messo subito a sbavare, un
comportamento decisamente poco dignitoso che desiderava evitare.
Invece si concentrò su un fenomeno astronomico che si sarebbe
verificato di lì a poco.
La luna piena, non ancora alta, bianca e pura come neve. Ed Elena che vi
fluttuava davanti con indosso un'antica camicia da notte accollata e ben
poco altro. Per tutto il tempo che la guardò senza il Potere necessario per
distinguere la sua aura, poté esaminarla come ragazza piuttosto che come
un angelo avvolto da un'accecante incandescenza.
Damon alzò la testa per avere una visione migliore della sua silhouette.
Sì, era decisamente l'abbigliamento giusto per lei, e avrebbe dovuto
sempre mettersi di fronte a fonti di luce brillanti. Se lui...
Slam.
Stava volando all'indietro e verso sinistra. Colpì un albero, assicurandosi
che Bonnie non lo urtasse... avrebbe potuto rompersi.
Momentaneamente stordito, scese fluttuando – in realtà fu sospinto – al
suolo.
Stefan era sopra di lui.
«Tu», disse Damon, quasi indistintamente attraverso il sangue che gli
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riempiva la bocca, «sei stato un monellaccio, ragazzo».
«È stata lei a farmelo fare. Letteralmente. Ho pensato che sarebbe potuta
morire se non avessi preso un po' del suo sangue... la sua aura era così
gonfia. Ora dimmi che cos'ha Bonnie».
«E quindi l'hai dissanguata nonostante la tua eroica resistenza
indefessa...».
Slam.
Questo nuovo albero odorava di resina. Non ho mai desiderato
particolarmente fare conoscenza con l'interno degli alberi, pensò Damon
mentre sputava sangue. Anche da corvo li uso solo se necessario.
Stefan aveva in qualche modo afferrato al volo Bonnie mentre Damon
andava a finire contro l'albero. Era davvero veloce adesso. Era molto,
molto veloce. Elena era un fenomeno.
«E ora puoi farti un'idea di seconda mano su com'è il sangue di Elena».
E Stefan riusciva a sentire i pensieri nascosti di Damon. Normalmente,
Damon non si tirava indietro di fronte a uno scontro, ma proprio in quel
momento poté quasi sentire Elena piangere per i suoi amici umani, e
dentro di sé si sentì stanco. Molto vecchio, di centinaia di anni, e molto
stanco.
Ma riguardo alla domanda, be', sì. Elena ancora ballonzolava senza posa,
a volte con le ali aperte e altre raggomitolata come un gattino. Il suo
sangue era carburante per missili rispetto alla benzina senza piombo di
quello di gran parte delle ragazze.
E Stefan voleva combattere. Neanche cercava di nasconderlo. Avevo
ragione, pensò Damon. Per i vampiri, il bisogno di litigare è più forte di
qualsiasi altro, persino di quello di nutrirsi o, nel caso di Stefan, della sua
preoccupazione per i suoi... qual è la parola? Ah, sì. Amici.
Ora Damon stava cercando di evitare una batosta, di elencare i propri
punti di forza, che non erano molti, perché Stefan lo teneva ancora a terra.
Pensiero. Parola. Una tendenza a giocare sporco che Stefan non sembrava
comprendere. Logica. Un'istintiva capacità di trovare i punti deboli nella
corazza del nemico...
Hmmm...
«Meredith e...» – dannazione! Qual era il nome di quel ragazzo? – «...e il
suo accompagnatore ormai sono morti, credo», disse innocentemente.
«Possiamo rimanere qui e litigare, se è così che lo vuoi definire,
considerando che non ti ho messo neanche un dito addosso... o possiamo
cercare di resuscitarli. Mi chiedo cosa sceglierai».
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Davvero si chiedeva quanto controllo Stefan avesse su se stesso in quel
momento.
Stefan sembrò rimpicciolirsi come se Damon avesse bruscamente
zoomato all'indietro con una videocamera. Aveva galleggiato a qualche
metro da terra, ma adesso era atterrato e si guardava attorno stupito,
palesemente inconsapevole di essersi staccato dal suolo.
Damon parlò nel momento in cui Stefan era più vulnerabile. «Non sono
stato io a far loro del male», aggiunse. «Se dai un'occhiata a Bonnie» – sia
lodato l'inferno, sapeva il suo nome – «ti renderai conto che nessun
vampiro può aver fatto una cosa del genere. Credo», aggiunse
ingenuamente, a beneficio dello shock, «che gli aggressori fossero alberi,
controllati da un malach».
«Alberi?». Stefan a stento diede un'occhiata al braccio punzecchiato di
Bonnie. Poi disse: «Dobbiamo portarli al coperto e immergerli in acqua
calda. Tu porta Elena...».
Oh, volentieri. In effetti darei qualsiasi cosa, qualsiasi...
«...e quest'auto con Bonnie dritto alla pensione. Sveglia la signora
Flowers. Fai tutto ciò che puoi per Bonnie. Io andrò avanti a prendere
Meredith e Matt...».
Ecco com'era! Matt. Be', se solo avesse usato un espediente
mnemonico...
«Sono proprio in fondo alla strada, giusto? È da lì che sembrava
provenire la tua prima raffica di Potere».
Una raffica, davvero? Perché non essere onesti e chiamarla
semplicemente un lieve scroscio?
E intanto che era ancora fresco nella memoria... M come Mortale, A
come Assillante, T come Tizio. Ed ecco fatto. Peccato che si adattasse a
tutti loro ma che non tutti si chiamassero MAT. Oh, dannazione... non
doveva esserci un'altra T alla fine? Mortale, Assillante, Terribile, Tizio?
Assillante, Tremendo, Tizio?
«Ehi, va bene?».
Damon tornò al presente: «No, non va bene. L'altra auto è malridotta.
Non si metterà in moto».
«La trascinerò». Stefan non stava millantando, era una semplice
affermazione di fatto.
«Ma è a pezzi».
«Li riattaccherò. Su, Damon. Scusa se ti ho tartassato; mi sono fatto
un'idea completamente sbagliata di quello che stava succedendo. Ma Matt
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e Meredith potrebbero davvero essere in pericolo di vita, e anche con tutto
il mio nuovo Potere, e tutto quello di Elena, potremmo non essere in grado
di salvarli. Ho alzato la temperatura interna di Bonnie di qualche grado ma
non posso rimanere qui ad alzarla abbastanza lentamente. Ti prego,
Damon». Stava mettendo Bonnie sul sedile del passeggero.
Be', il tono era quello del vecchio Stefan, ma giungendo da quella
centrale elettrica che era il nuovo Stefan, aveva delle sfumature piuttosto
diverse. Tuttavia, fino a che il fratello avesse creduto di essere un topo,
sarebbe stato un topo. Fine della discussione.
Prima Damon si era sentito esplodere come il Vesuvio. Ora si sentiva,
d'un tratto, come se si trovasse accanto al Vesuvio, e che la montagna
stesse franando. Per tutti gli dèi! Si sentiva bruciare anche solo stando
vicino a Stefan.
Fece appello a tutte le sue considerevoli risorse, avvolgendosi
mentalmente nel ghiaccio e sperando di mettere almeno un po' di
freddezza nella sua risposta. «Vado. Ci vediamo più tardi... spero che gli
umani non siano già morti».
Quando si divisero, Stefan gli inviò un potente messaggio di
disapprovazione... ma non gli inflisse puro e semplice dolore, come aveva
fatto quando l'aveva mandato a sbattere contro l'albero. Si accertò invece
che l'opinione che aveva di suo fratello fosse ben chiara in ogni parola.
Damon mandò a Stefan un ultimo messaggio quando andò via. Non
capisco, inviò innocentemente con il pensiero a Stefan che scompariva in
lontananza. Cosa c'è di male nel dire che spero che gli umani siano ancora
vivi? Sono stato nei negozi che vendono biglietti di auguri, sai... non disse
che non c'era andato per i biglietti ma per le giovani cassiere... e ne hanno
di vari tipi come «Spero che tu stia bene» o «Condoglianze», che
suppongo vogliano dire che l'augurio del biglietto precedente non era
stato abbastanza forte. Dunque cosa c'è di male nel dire «Spero che non
siano morti»?
Stefan non si prese neanche il disturbo di rispondere. Ma Damon sfoggiò
comunque un rapido e smagliante sorriso mentre faceva inversione con la
Porsche e si dirigeva alla pensione.
Diede uno strattone alla corda da bucato che tratteneva Elena sopra di
lui. Lei fluttuava, camicia da notte al vento, sopra la testa di Bonnie... o,
piuttosto, dove la testa di Bonnie avrebbe dovuto trovarsi. Bonnie era
sempre stata minuta e questo congelamento l'aveva ridotta in posizione
fetale. Elena avrebbe potuto sedersi su di lei.
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«Ciao, principessa. Aspetto magnifico, come sempre. Anche tu non sei
male».
Fu uno dei peggiori modi di rompere il ghiaccio di tutta la sua vita,
pensò demoralizzato. Ma non si sentiva molto se stesso. La trasformazione
di Stefan l'aveva sbigottito... doveva essere stato quello, decise.
«Da... mon».
Damon trasalì. La voce di Elena era bassa ed esitante, e assolutamente
bellissima: glassa che trasudava dolcezza, miele che gocciolava
direttamente dal favo. Aveva una tonalità più bassa, ne era sicuro, rispetto
a prima della trasformazione, e aveva assunto una perfetta inflessione del
Sud. A un vampiro sembrava il dolce sgocciolio di una vena umana appena
aperta.
«Sì, angelo. Ti ho chiamata "angelo" prima? Se non l'ho fatto, è stata
solo una svista».
E mentre diceva questo, si rese conto che c'era un'altra componente nella
voce di lei, una di cui prima non si era accorto: la purezza. La distintiva
purezza di un serafino. Ciò avrebbe dovuto scoraggiarlo, ma, invece, gli
ricordò che Elena era qualcuno da prendere sul serio, mai alla leggera.
Ti prenderei sul serio o alla leggera o nel modo che preferisci, pensò
Damon, se non stessi così appiccicata a quell'idiota di mio fratello
minore.
Due gemelli di colore viola si posarono su di lui: gli occhi di Elena. Lo
aveva sentito.
Per la prima volta nella sua vita, Damon era circondato da persone più
potenti di lui. E per un vampiro, il Potere era tutto: beni materiali,
posizione sociale, donne-trofeo, comodità, sesso, denaro, sballo.
Era una strana sensazione. Non del tutto sgradevole riguardo a Elena.
Gli piacevano le donne forti. Erano secoli che ne cercava una abbastanza
forte.
Ma lo sguardo di Elena fu tale da riportare i pensieri di Damon alla
situazione attuale. Parcheggiò di traverso fuori dalla pensione, afferrò
Bonnie, che diventava sempre più rigida, e volò su per le scale strette e
tortuose verso la stanza di Stefan. Che lui sapesse, era l'unica con una
vasca da bagno.
C'era a malapena spazio per tutti e tre nel minuscolo bagno, e Damon era
l'unico a portare Bonnie. Fece scorrere l'acqua nell'antiquata vasca a
quattro zampe, a una temperatura che i suoi raffinatissimi sensi
avvertivano di cinque gradi superiore a quella attualmente glaciale di
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Bonnie. Cercò di spiegare a Elena cosa stesse facendo, ma lei sembrava
aver perso interesse e si era messa a fluttuare tutt'intorno alla stanza di
Stefan, simile a una Campanellino in gabbia. Continuava a urtare la
finestra chiusa e a fiondarsi verso quella aperta, guardando fuori.
Che dilemma. Chiedere a Elena di svestire e immergere Bonnie nella
vasca e rischiare che la mettesse a testa in giù? Oppure chiedere a Elena di
svestirla e rimanere lì ad assisterli, ma senza toccare... a meno che non
accadesse un disastro? E per di più, qualcuno doveva trovare la signora
Flowers per farle preparare delle bevande calde. Scrivere un messaggio e
mandare Elena? Da un momento all'altro avrebbero potuto esserci altre
vittime lì dentro.
Poi Damon incrociò gli occhi di Elena e tutte le preoccupazioni
insignificanti e banali sembrarono volatilizzarsi. Percepì le parole con la
mente senza che gli passassero per le orecchie.
Aiutala: ti prego!
Ritornò nel bagno, adagiò Bonnie sullo spesso tappeto e la sgusciò come
un gamberetto. Via la felpa, via il top estivo che portava sotto. Via il
piccolo reggiseno: coppa A, notò tristemente, slacciandolo, cercando di
non guardare Bonnie. Ma non poté fare a meno di vedere che i segni di
puntura lasciati dall'albero erano ovunque.
Via i jeans, e poi un piccolo strattone perché aveva dovuto sedersi e
sfilarle le scarpe da ginnastica alte, che portava allacciate strette, per far
passare i jeans dalle caviglie. Via i calzini.
Si fermò. Bonnie era rimasta nuda tranne che per il sangue e le
mutandine di seta rosa. La sollevò e la mise nella vasca, inzuppandosi
anche lui. I vampiri facevano bagni con il sangue delle vergini, ma solo
quelli veramente pazzi ci provavano.
L'acqua nella vasca da bagno si tinse di rosa quando vi immerse Bonnie.
Continuò a tener aperto il rubinetto perché la vasca era molto grande, e
tornò a sedersi per esaminare la situazione. L'albero le aveva iniettato
qualcosa con i suoi aghi. Qualunque cosa fosse, di certo non era buona.
Dunque doveva essere estratta. La soluzione più ragionevole era succhiare
la sostanza come se fosse veleno di serpente, ma esitava a provare, voleva
essere sicuro che Elena non gli avrebbe fracassato il cranio se l'avesse
trovato a succhiare sistematicamente sangue dal corpo di Bonnie.
Avrebbe dovuto optare per la seconda soluzione più adatta. L'acqua
insanguinata non nascondeva il minuscolo corpo di Bonnie, ma almeno
serviva a rendere indistinti i dettagli. Con una mano, Damon resse la testa
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di Bonnie contro il bordo della vasca, mentre con l'altra cominciò a
strizzarle e massaggiarle un braccio per far uscire il veleno.
Seppe che stava facendo la cosa giusta quando avverti l'odore resinoso
del pino. Era così denso e viscoso che non si era dissolto nel corpo di
Bonnie. In questo modo ne stava facendo uscire una piccola quantità, ma
bastava?
Con cautela, controllando la porta e allertando al massimo i suoi sensi,
Damon portò alle labbra la mano di Bonnie come se volesse baciarla.
Invece, prese in bocca il suo polso e, reprimendo ogni istinto che aveva di
mordere, si limitò a succhiare.
Sputò quasi immediatamente. Aveva la bocca piena di resina.
Decisamente il massaggio non bastava. Anche la suzione, se fosse riuscito
a trovare due dozzine di vampiri e li avesse attaccati come sanguisughe al
piccolo corpo di Bonnie, non sarebbe stata sufficiente.
Si sedette sui talloni e la guardò, quella donna-bambina fatalmente
avvelenata che lui aveva giurato di salvare. Per la prima volta, si rese conto
che era bagnato fino alla vita. Lanciò uno sguardo irritato al cielo e si
scrollò di dosso il bomber nero.
Cosa poteva fare? A Bonnie serviva un antidoto, ma lui non aveva idea
di quale avesse bisogno, e non conosceva nessuna strega a cui chiederlo.
La signora Flowers aveva familiarità con il sapere occulto? E in questo
caso, l'avrebbe aiutato? O non era che un'eccentrica vecchia signora?
Esisteva un farmaco per gli umani? Avrebbe potuto affidarla ai suoi simili
e lasciare che provassero con la loro goffa scienza – portarla all'ospedale –,
ma avrebbero avuto a che fare con una ragazza avvelenata dall'Altro Lato,
dai luoghi oscuri che non avrebbero mai potuto vedere né comprendere.
Distrattamente, si era strofinato un asciugamano sulle braccia, le mani e
la maglietta nera. Ora, guardando l'asciugamano, decise che Bonnie
meritava almeno un po' di decoro, soprattutto perché non gli veniva in
mente altro da fare. Immerse l'asciugamano, lo aprì e lo spinse sott'acqua
per coprire Bonnie dalla gola ai piedi. In alcuni punti galleggiava, in altri
aderiva, ma bene o male fu utile.
Rialzò la temperatura dell'acqua, ma non servì. Bonnie si irrigidiva come
se fosse davvero morta, pur giovane com'era. I suoi pari in Italia avevano
ragione, pensò, una femmina così era una fanciulla, non più una ragazzina,
non ancora una donna. Era più che mai un termine adatto, poiché qualsiasi
vampiro avrebbe potuto dire che era una fanciulla, cioè una vergine, in
entrambi i sensi.
82
E tutto questo era accaduto sotto il suo naso. L'adescamento, la caccia in
branco, la meravigliosa tecnica e sincronia: avevano ucciso quella
fanciulla mentre lui era rimasto a guardare. Meritavano un applauso.
Lentamente, dentro di sé, Damon sentiva crescere qualcosa. Si era
animato quando aveva pensato all'audacia del malach, che era andato a
caccia dei suoi umani proprio sotto il suo naso. Non si chiese perché il
gruppo nell'automobile fosse diventato quello dei "suoi umani": supponeva
di poterli definire in questo modo per il fatto che erano stati così vicini
ultimamente da sembrare a sua disposizione, sia che fossero vissuti o che
fossero morti, o che fossero diventati vampiri come lui. E la strana
sensazione era cresciuta improvvisamente quando aveva pensato al modo
in cui il malach aveva manipolato i suoi pensieri, portandolo fino a una
beata contemplazione della morte in termini assoluti, mentre una morte
reale avveniva proprio sotto i suoi piedi. E ora stava dando in
escandescenze perché quel giorno era stato preso in giro troppe volte. Era
davvero insopportabile...
...e poi si trattava di Bonnie...
Bonnie, che non aveva mai fatto del male a... a una mosca per cattiveria.
Bonnie, che era come un gattino che faceva agguati a prede improbabili.
Bonnie, con i capelli di un colore detto fragola, ma che sembravano
semplicemente in fiamme. Bonnie dalla pelle luminosa, con i delicati
fiordi ed estuari violetti delle vene sulla gola e le braccia. Bonnie, che
ultimamente aveva cominciato a guardarlo di traverso con i suoi occhioni
da bambina, grandi e marroni, nascosti da ciglia simili a stelle...
Le mandibole e i canini gli dolevano, e la bocca era come in fiamme
dopo quella resina velenosa. Ma tutto quello si poteva ignorare, perché era
tormentato da un altro pensiero.
Bonnie aveva invocato il suo aiuto per quasi mezz'ora prima di cedere
alle tenebre.
Era una cosa che bisognava dire e tener presente. Bonnie aveva
chiamato Stefan... che era troppo lontano e occupato con il suo angelo...
ma aveva chiamato anche Damon e aveva implorato il suo aiuto.
E lui l'aveva ignorata. Con tre amici di Elena ai suoi piedi, lui aveva
ignorato le loro agonie, aveva ignorato i convulsi appelli di Bonnie
affinché non li lasciasse morire.
Generalmente, dopo una cosa del genere tagliava la corda. Ma in
qualche modo era rimasto lì e ancora assaporava le amare conseguenze del
suo gesto.
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Damon si allungò all'indietro con gli occhi chiusi, cercando di ignorare il
fortissimo odore di sangue e quello stantio di... qualcosa.
Corrugò la fronte e si guardò attorno. La stanza era pulita perfino negli
angoli. Niente di ammuffito. Ma l'odore c'era ancora.
E poi ricordò.
12
Gli tornò in mente tutto: gli stretti corridoi e le minuscole finestre e
l'odore stantio di vecchi libri. Era stato in Belgio circa cinquant'anni prima,
ed era rimasto sorpreso di trovare ancora un libro scritto in inglese su un
argomento del genere. Ma era lì, con la copertina consunta di un brunito
color ruggine, senza più scritte, se mai ce ne fossero state. All'interno
mancavano delle pagine, così nessuno avrebbe mai saputo chi fosse
l'autore o quale fosse il titolo, ammesso che fossero stati stampati. Ogni
"ricetta" – formula, o incantesimo, o sortilegio – implicava un sapere
proibito.
Damon riusciva a ricordare la formula più facile: "Tu, o Sangue di
Salicornia o Pipistrello buon rimedio sarai per tutti i Malanni o le Ingiurie
Fatte da coloro che Danzano nei Boschi durante il Lunicorno".
Questi malach avevano senz'altro fatto dei danni nei boschi, ed era il
mese del Lunicorno, il "solstizio d'estate" nella Lingua Antica. Damon non
voleva lasciare Bonnie, e certamente non voleva che Elena vedesse quello
che stava per fare. Continuando a reggere la testa di Bonnie fuori
dall'acqua rossastra, si aprì la camicia. In un fodero, al suo fianco, portava
un lucente coltello di legno di carpino. Lo estrasse e, con un unico e rapido
gesto, si tagliò alla base della gola.
Sangue a profusione. Il problema era come farlo bere a lei. Rinfoderato
il coltello, la tirò fuori dall'acqua e cercò di portare le sue labbra alla ferita.
No, è una vera idiozia, pensò, con insolita autocritica. Prenderà di
nuovo freddo e non c'è modo di riuscire a farle ingoiare nulla. Immerse
nuovamente Bonnie nell'acqua e rifletté. Sfoderò di nuovo il coltello e fece
un altro taglio: stavolta sul braccio, all'altezza del polso. Seguì la vena fino
a che il sangue non solo gocciolò, ma uscì abbondantemente. Poi accostò il
polso alle labbra socchiuse di Bonnie, sistemandole la testa con l'altra
mano. Le sue labbra erano semiaperte e il sangue rosso scuro defluiva
meravigliosamente. Di tanto in tanto Bonnie deglutiva. C'era ancora della
vita in lei.
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È proprio come nutrire un uccellino, pensò, tremendamente compiaciuto
della sua memoria, della sua ingegnosità e... be', di se stesso.
Sul suo volto brillò un sorriso, rivolto a nulla in particolare.
Ora doveva solo sperare che funzionasse.
Damon si spostò leggermente per stare più comodo e riaprì il rubinetto
dell'acqua calda, sempre sostenendo Bonnie, nutrendola, e tutto questo, lo
sapeva bene, con grazia e senza un movimento superfluo. Questa era bella.
Sfiorava quasi il ridicolo. Qui, in questo momento, un vampiro non stava
succhiando sangue da un umano ma cercava di salvarlo da morte certa
nutrendolo con sangue vampiresco.
Ma c'era di più. Aveva seguito ogni sorta di tradizione e usanza umana
cercando di spogliare Bonnie senza compromettere la sua modestia
virginale. Era eccitante. Certo, aveva visto comunque il suo corpo, non
c'era stato modo di evitarlo. Ma era davvero molto più entusiasmante
quando provava a seguire le regole. Non l'aveva mai fatto prima.
Forse era così che Stefan si eccitava. No, Stefan aveva Elena, che era
stata umana, vampiro e spirito invisibile, e ora, a quanto pare, era un
angelo vivente, se mai fosse stato possibile. Elena era abbastanza eccitante
di suo. Eppure erano minuti che non pensava a lei. Un vero e proprio
record.
Avrebbe fatto meglio a chiamarla, le avrebbe potuto spiegare come
stavano le cose, così avrebbe capito che non c'era motivo di fracassargli il
cranio. Avrebbe probabilmente fatto un'impressione migliore.
All'improvviso Damon si rese conto che non riusciva a percepire l'aura
di Elena nella stanza di Stefan. Ma prima che potesse indagare ci fu uno
schianto, poi un forte rumore di passi, e di nuovo uno schianto, molto più
vicino. E poi la porta del bagno fu spalancata con un calcio da Mortale
Assillante Terribile...
Matt avanzò minaccioso, inciampò in qualcosa e guardò in basso per
vedere cos'era. Le guance abbronzate si inondarono di un improvviso
rossore. Aveva in mano il piccolo reggiseno rosa di Bonnie. Lo lasciò
cadere quasi fosse un animale che mordeva, lo raccolse di nuovo e si girò
di scatto, andando a sbattere contro Stefan che stava entrando. Damon
rimase a guardare divertito.
«Come si uccidono, Stefan? Serve un paletto? Puoi tenerlo mentre...
sangue! Le sta facendo bere sangue!». Matt si interruppe, come se volesse
attaccare Damon da solo. Pessima idea, pensò Damon.
Matt lo guardò fisso negli occhi. Faccia a faccia con il mostro, pensò
85
Damon, ancora più divertito. «Lasciala... andare». Matt parlava
lentamente, forse con l'intenzione di sembrare minaccioso, e invece dava
l'impressione, pensò Damon, che stesse parlando con un ritardato mentale.
Misero Uomo Tu Tartagli, disse fra sé Damon. Ma così veniva fuori...
«Mutt!», disse forte, scuotendo leggermente la testa. Ma forse così se lo
sarebbe ricordato in futuro.
«Mutt? Stai chiamando...? Dio, Stefan, ti prego aiutami a ucciderlo! Ha
ucciso Bonnie». Le parole uscirono dalla bocca di Matt in un unico getto,
un solo respiro. Tristemente, Damon vide il suo ultimo acronimo svanire.
Stefan era sorprendentemente calmo. Scostò Matt e disse: «Vai a sederti
con Elena e Meredith». Non era affatto un suggerimento, poi si rivolse a
suo fratello: «Tu non hai preso il suo sangue», disse, e questa non era una
domanda.
«Tracannare veleno? Non è il mio genere di divertimento, fratellino».
Un angolo della bocca di Stefan si sollevò in una smorfia. Non rispose,
ma guardò semplicemente Damon con gli occhi di chi conosce bene la
verità. Damon si risentì.
«Ma è vero!».
«Diventerà un tuo hobby?».
Damon cominciò a lasciare Bonnie, pensando di rimetterla nell'acqua
insanguinata e andarsene da quel buco, ma...
Ma. Lei era il suo uccellino. Aveva ingoiato abbastanza del suo sangue,
al punto che, continuando, in lei si sarebbe manifestato il Cambiamento. E
se la quantità di sangue che le aveva già dato non si era dimostrata
sufficiente, allora non era il rimedio adatto. E poi, l'uomo dei miracoli era
lì.
Richiuse il taglio sul braccio in modo che smettesse di sanguinare e
cominciò a parlare...
E di nuovo, all'improvviso, la porta si aprì.
Questa volta era Meredith, e aveva il reggiseno di Bonnie. Sia Stefan
che Damon si spaventarono. Meredith, pensò Damon, era una persona
molto inquietante. Per lo meno, però, lei si prese il tempo, cosa che Mutt
non aveva fatto, di guardare i vestiti calpestati sul pavimento del bagno.
Disse a Stefan: «Come sta?». Altra cosa che Mutt non aveva fatto.
«Starà bene», disse Stefan, e Damon fu sorpreso della sua sensazione...
non di sollievo, ma di lavoro ben fatto. In più, avrebbe evitato di farsi
picchiare a morte da Stefan.
Meredith fece un respiro profondo e chiuse per un po' i suoi occhi
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terrificanti. Quando lo fece, il suo viso si soffuse di luce. Forse stava
pregando. Erano passati secoli da quando Damon lo aveva fatto; e mai
aveva ricevuto risposta alle sue preghiere.
Poi Meredith aprì gli occhi, si scosse e tornò ad avere un aspetto
inquietante. Indicando il mucchio di vestiti sul pavimento, disse,
lentamente ma con vigore: «Se il pezzo che si abbina a questo non è
ancora sul corpo di Bonnie, saranno guai».
Sventolava il reggiseno incriminato come una bandiera.
Stefan sembrava confuso. Non capiva l'importanza della questione della
lingerie mancante?, si chiedeva Damon. Come si poteva essere un tale... un
tale sciocco distratto? Elena non indossava... mai? Damon sedeva
paralizzato, troppo bloccato dalle immagini del suo mondo interiore per
muoversi anche solo per un attimo. Poi, d'un tratto, parlò. Aveva la risposta
all'enigma di Meredith.
«Vuoi venire a controllare?», chiese, girando virtuosamente la testa.
«Sì, voglio farlo».
Continuò a darle le spalle mentre lei, accostatasi alla vasca, affondò la
mano nell'acqua calda tinta di rosa e scosse leggermente l'asciugamano. La
sentì emettere un sospiro di sollievo.
Quando si girò, lei disse: «C'è del sangue sulla tua bocca». I suoi occhi
sembravano più scuri che mai.
Damon era sorpreso. Aveva forse morso la rossa per abitudine, senza
rendersene conto, e poi se n'era dimenticato? Ma poi capì il motivo.
«Hai cercato di succhiare via il veleno, non è vero?», disse Stefan,
lanciandogli un asciugamano da viso bianco. Damon si asciugò la parte
che aveva guardato Meredith, finendo per impiastricciarsi la faccia di
sangue. Non c'era da meravigliarsi che la bocca gli bruciasse. Quel veleno
era davvero una robaccia, anche se non aveva sui vampiri lo stesso effetto
che aveva sugli umani.
«Hai del sangue anche sulla gola», continuò Meredith.
«Esperimento fallito», disse Damon con un'alzata di spalle.
«E perciò ti sei tagliato il polso. Piuttosto profondamente».
«Per un umano, forse. È finita la conferenza stampa?».
Meredith si sciolse un po'. Lui riusciva a leggere la sua espressione e
sorrise tra sé e sé. Edizione straordinaria! Edizione straordinaria!
SCONFITTA LA TERRIFICANTE MEREDITH. Conosceva lo sguardo di
coloro che avevano dovuto rinunciare a schiacciare Damon la noce.
Meredith riprese: «Posso portare qualcosa per far smettere di sanguinare
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la sua bocca? Qualcosa da bere, forse?».
Stefan aveva un aspetto semplicemente atterrito. Il suo problema – be',
una parte di uno dei molteplici problemi di Stefan – era il fatto che
considerava peccaminoso il nutrirsi. Anche solo parlarne.
Forse così era ancora più eccitante. La gente provava gusto per qualsiasi
cosa fosse ritenuta peccaminosa, e questo valeva anche per i vampiri.
Damon era contrariato. Come si faceva a tornare al tempo in cui tutto era
peccaminoso? Perché era tristemente a corto di stimoli.
Girata di schiena, Meredith incuteva meno timore. Damon osò
rispondere alla domanda riguardo a cosa potesse bere.
«Te, tesoro... tesoro».
«Un tesoro di troppo», disse, sibillina, Meredith, e prima che Damon
potesse capire che si trattava semplicemente di un'osservazione linguistica
e non di un commento sulla sua vita personale, lei era già andata via. Con
il reggiseno di Bonnie.
A quel punto Stefan e Damon erano soli. Stefan si avvicinò di un passo,
senza guardare la vasca. Non sai cosa ti perdi, zuccone, pensò Damon. Era
quella la parola che prima non gli veniva in mente. Zuccone.
«Hai fatto molto per lei», disse Stefan. Sembrava trovasse difficile
guardare sia Damon che la vasca. Questo gli lasciava molto poco da
guardare. Scelse una parete.
«Mi hai detto che mi avresti picchiato se non l'avessi fatto. Non mi sono
mai piaciute le botte». Scoccò uno dei suoi abbaglianti sorrisi a Stefan e lo
mantenne fino a che il fratello non cominciò a voltarsi per guardarlo. A
quel punto il sorriso si spense immediatamente.
«Hai fatto più del dovuto».
«Con te, fratellino, non si sa mai dove finisce il dovere. Dimmi, com'è
l'infinito?».
Stefan sospirò. «Per lo meno non sei il classico bullo che infierisce
quando ha la meglio».
«Mi stai invitando a "uscire", come si suol dire?»
«No, mi sto complimentando con te per aver salvato la vita di Bonnie».
«Non credevo di avere scelta. Ma, a proposito, come hai fatto a curare
Meredith e... e... come hai fatto?»
«Elena li ha baciati. Non ti sei neanche accorto che se ne era andata? Li
ho riportati qui, lei è scesa e ha respirato nella loro bocca, e questo li ha
salvati. Da quello che ho visto, sembra che si stia lentamente trasformando
da spirito in essere umano. Immagino che ci vorranno ancora pochi giorni,
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almeno a giudicare dai suoi progressi da quando si è risvegliata».
«Finalmente ora parla. Non molto, ma non si può avere tutto». Damon
stava ricordando la visione dalla Porsche, con il tettuccio aperto ed Elena
che ballonzolava come un palloncino. «Questa piccola rossa non ha detto
una parola», aggiunse, querulo, Damon, e poi alzò le spalle. «Fa lo stesso».
«Perché, Damon? Perché non ammettere che tieni a lei, per lo meno
abbastanza da mantenerla in vita... e senza neanche molestarla? Sapevi che
non poteva permettersi di perdere sangue...».
«È stato un esperimento», spiegò, scrupoloso, Damon. E ora era finito.
Bonnie si sarebbe svegliata o avrebbe dormito, sarebbe vissuta o morta,
nelle mani di Stefan... non nelle sue. Era bagnato, si sentiva a disagio, era
passato fin troppo tempo dal suo pasto notturno ed era affamato e nervoso.
Gli doleva la bocca. «Prendile tu la testa, adesso», disse bruscamente. «Io
sto andando via. Tu ed Elena e... Mutt potete finire...».
«Si chiama Matt, Damon. Non è difficile da ricordare».
«Lo è se non hai nessun interesse in assoluto per lui. Ci sono troppe
deliziose signore nei paraggi perché lui non sia che l'ultima spiaggia per
uno spuntino».
Stefan colpì forte la parete. Il pugno passò attraverso il vecchio intonaco.
«Dannazione, Damon, gli umani non sono solo questo».
«È tutto ciò che chiedo loro».
«Tu non chiedi. Questo è il problema».
«Era un eufemismo. È tutto ciò che intendo prendere da loro, allora.
Sicuramente è tutto quello che mi interessa. Non cercare di far finta che ci
sia di più. Non ha senso cercare un fondamento a una bella bugia».
Il pugno di Stefan partì. Era il pugno sinistro, e Damon reggeva la testa
di Bonnie da quel lato, così che non poté piegarsi con grazia come
normalmente avrebbe fatto. Lei era priva di sensi; avrebbe potuto riempirsi
i polmoni d'acqua e morire immediatamente. Chi poteva dirlo con quegli
umani, soprattutto quando erano stati avvelenati?
Così, fece in modo da concentrare tutte le sue difese sul lato destro del
mento. Pensava di poter resistere a un cazzotto, nonostante provenisse da
Stefan Nuova Versione, senza mollare la presa sulla ragazza, anche se
Stefan gli avesse rotto la mandibola.
Il pugno di Stefan si fermò a pochi millimetri dalla faccia di Damon.
Ci fu un momento di pausa; i due fratelli, lontani mezzo metro l'uno
dall'altro, si guardarono.
Stefan fece un profondo respiro e tornò a sedersi. «Adesso lo ammetti?».
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Damon era sinceramente stupito. «Ammettere cosa?»
«Che ti importa un po' di loro. Abbastanza da prenderti un cazzotto
piuttosto che far andare sott'acqua Bonnie».
Damon lo guardò, poi cominciò a ridere, scoprendo di non riuscire a
fermarsi.
Stefan lo guardò a sua volta. Poi chiuse gli occhi, allontanandosi
addolorato.
Damon aveva un attacco di ridarella. «E tu p-pensi che mi s-sia
importato di una piccola u-u-u...».
«Perché l'hai fatto, allora?», disse stancamente Stefan.
«U-un capriccio. Te-te l'ho detto. Solo un ca-ca... ah ahah...». Damon si
accasciò, stordito per la mancanza di cibo e per le tante emozioni.
La testa di Bonnie andò sott'acqua.
Entrambi i vampiri si gettarono su di lei, l'uno cozzando contro la testa
dell'altro quando si scontrarono al centro della vasca. Caddero all'indietro,
intontiti.
Damon non rideva più. Anzi, ora lottava come una tigre per tirare la
ragazza fuori dall'acqua. Stefan faceva la stessa cosa, e con i suoi nuovi
riflessi acuiti sembrava vicino a riuscirci. Ma era proprio come Damon
aveva pensato neanche un'ora prima... nessuno dei due aveva preso in
considerazione l'idea di collaborare per salvare la ragazza. Ognuno di loro
cercava di farlo da solo, e uno ostacolava l'altro.
«Togliti di mezzo, moccioso», ringhiò Damon, quasi sibilando le parole.
«Non te ne frega niente di lei. Togliti tu di mezzo...».
Ci fu una specie di geyser e Bonnie riemerse all'improvviso, da sola.
Sputò una boccata d'acqua e gridò: «Cosa sta succedendo?». Aveva un
tono che avrebbe sciolto un cuore di pietra.
Cosa che accadde. Guardando il suo uccellino fradicio, che,
istintivamente, stringeva a sé l'asciugamano, con i capelli di fiamma
incollati alla testa e i grandi occhi marroni che ammiccavano tra i ciuffi,
qualcosa nacque dentro Damon. Stefan era corso alla porta per dare agli
altri la buona notizia. Per un istante furono solo loro due: Damon e
Bonnie.
«Ha un sapore orribile», disse Bonnie tristemente, sputando altra acqua.
«Lo so», disse Damon guardandola. La nuova sensazione che stava
provando gli era cresciuta nell'animo al punto che la pressione era quasi
insopportabile. Quando Bonnie disse: «Ma sono viva!», con un brusco
cambiamento d'umore a 180 gradi, e il viso a forma di cuore rosso di gioia,
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il violento moto d'orgoglio che Damon provò in risposta fu quasi
inebriante. Era stato lui, solo lui, a riportarla indietro dall'orlo di una morte
per assideramento. Il suo corpo pieno di veleno era stato curato da lui; era
stato il suo sangue che aveva dissolto e disperso la tossina, il suo sangue...
E poi quella sensazione esplose.
Ci fu, per Damon, un crac palpabile se non udibile, come se la pietra che
racchiudeva il suo animo si fosse crepata e un grosso pezzo fosse rotolato
via.
Mentre qualcosa dentro di lui cantava, strinse Bonnie a sé, sentendo
l'asciugamano bagnato attraverso la camicia di seta cruda, e il delicato
corpo di Bonnie sotto l'asciugamano. Una fanciulla, decisamente, non una
bambina, pensò in preda a una vertigine, in barba a quello che era scritto
su quel famigerato pezzetto di nylon rosa. La tenne stretta come se ne
avesse bisogno per il suo sangue... come se si trovassero nel mare in
tempesta e lasciare la presa significasse perderla.
Il collo gli faceva un male terribile, ma sulla pietra le crepe
aumentavano; sarebbe esplosa del tutto, facendo uscire il Damon che
aveva dentro: e lui era troppo inebriato di orgoglio e gioia per
preoccuparsene. Le crepe si spandevano in ogni direzione, facendo volare
pezzi di pietra...
Bonnie lo spinse via...
Aveva una forza sorprendente per essere così esile. Si divincolò del tutto
dalle braccia di lui. La sua espressione era di nuovo cambiata
radicalmente: ora il suo viso mostrava solo paura e disperazione... e, sì,
repulsione.
«Aiuto! Qualcuno mi aiuti, per favore!» . I suoi occhi marroni erano
enormi e il suo viso di nuovo bianco.
Stefan si era girato di scatto. Tutto ciò che vide fu quello che vide
Meredith, che si fiondò dall'altra stanza, o quello che vide Matt, che cercò
di fare capolino nel minuscolo e sovraffollato bagno: Bonnie che stringeva
convulsamente l'asciugamano, cercando di coprirsi, e Damon
inginocchiato vicino a lei, con il viso privo di espressione.
«Vi prego, aiutatemi. Lui sentiva che lo chiamavo... riuscivo a sentirlo
dall'altro lato... ma è rimasto a guardare. È rimasto a guardarci morire.
Vuole che tutti gli umani muoiano, vuole vedere il nostro sangue scorrere
giù gradino dopo gradino, per una scalinata bianca. Per favore, tenetelo
lontano da me!».
Bene. La streghetta era più abile di quanto avesse immaginato. Capitava
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spesso di accorgersi che qualcuno riceveva le tue trasmissioni... avevi delle
reazioni... ma identificare l'individuo richiedeva talento. Per di più, lei
aveva evidentemente udito l'eco di qualcuno dei suoi pensieri. Era dotata,
il suo uccellino... no, non il suo uccellino, non con quello sguardo così
vicino a tutto l'odio di cui Bonnie poteva essere capace.
Cadde il silenzio. Damon aveva l'opportunità di negare l'accusa, ma
perché prendersi il disturbo? Stefan sarebbe stato in grado di valutarne la
veridicità. Forse anche Bonnie.
La repulsione volava di faccia in faccia, come una malattia dal contagio
fulmineo.
Ora Meredith accorreva portando un altro asciugamano. Aveva una
bevanda calda nell'altra mano... cacao, a giudicare dall'odore. Era calda
abbastanza da essere un'arma efficace... non se ne parlava di scansarsi, non
per un vampiro stanco.
«Ecco», disse a Bonnie. «Sei al sicuro. Stefan è qui. Io sono qui. Matt è
qui. Prendi questo asciugamano; mettilo sulle spalle».
Stefan era rimasto in silenzio a guardare tutta la scena... anzi no, suo
fratello. Ora, con il viso decisamente indurito, disse una sola parola.
«Fuori».
Cacciato come un cane. Damon cercò a tastoni il giubbotto dietro di sé, e
desiderò che fosse altrettanto facile ritrovare il proprio senso
dell'umorismo. Le facce attorno a lui erano tutte uguali. Sembravano
scolpite nella pietra.
Ma nessuna pietra era dura come quella che si stava ricomponendo
attorno alla sua anima. Quella roccia era notevolmente veloce a
ricompattarsi... e si aggiunse anche un ulteriore strato, come succede per le
perle, ma senza coprire nulla che fosse neanche lontanamente così bello.
Le loro facce erano ancora tutte uguali quando Damon cercò di uscire
dalla stanzetta che conteneva troppe persone. Alcune di loro parlavano;
Meredith con Bonnie, Mutt... no, Matt... che riversava un fiume di puro
odio caustico... ma Damon non ascoltava le loro parole. Riusciva a sentire
ancora troppo sangue. Ognuno di loro aveva delle piccole ferite. I loro
singoli effluvi, come di animali diversi in un'unica mandria, lo
avvolgevano. Gli girava la testa. Doveva uscire di lì o avrebbe afferrato e
prosciugato l'arteria più vicina. Ora si sentiva più che stordito; era bollente,
aveva troppa... sete.
Molta, molta sete. Aveva lavorato a lungo senza nutrirsi e ora era
circondato da prede. Erano loro che avevano circondato lui.
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Come poteva trattenersi dall'afferrarne anche uno solo? Se ne sarebbe
sentita la mancanza?
Poi arrivò quella che ancora non aveva visto e non voleva vedere.
Guardare i bei lineamenti di Elena contorcersi nella stessa maschera di
repulsione che aveva visto su tutte le altre facce sarebbe stato... disgustoso,
pensò, mentre il suo vecchio distacco si impadroniva nuovamente di lui.
Ma non si poteva evitarlo. Quando Damon uscì dal bagno, Elena era
proprio di fronte a lui, fluttuando come un'enorme farfalla. Gli occhi di
Damon furono attratti proprio da quello che non voleva vedere: la sua
espressione.
I tratti di Elena non rispecchiavano quelli degli altri. Sembrava
preoccupata, turbata. Ma non c'era traccia del disgusto o dell'odio dipinti
sul viso dei suoi amici.
Parlò, perfino, in quello strano linguaggio della mente che non era
telepatia ma le consentiva di comunicare su due livelli.
«Da... mon».
Dimmi del malach. Per favore.
Damon, per tutta risposta, aggrottò un sopracciglio. Raccontare a un
branco di umani di se stesso? Lo faceva apposta a rendersi così ridicola?
E poi il malach non aveva, in realtà, fatto nulla. Lo avevano distratto per
qualche minuto, questo era tutto. Non aveva senso prendersela con un
malach quando non aveva fatto altro se non enfatizzare i suoi pensieri per
qualche momento. Si chiese se Elena sapesse qualcosa del contenuto della
sua piccola fantasticheria notturna.
«Da... mon».
Riesco a vederlo. Ogni cosa. Ma, ancora una volta, per favore...
Oh, be', forse gli spiriti erano abituati a vedere i panni sporchi di tutti.
Elena non ebbe reazione a quel pensiero, così lui rimase nel buio.
Nel buio. Cosa a cui era abituato, era il posto da cui era venuto. Ognuno
avrebbe preso strade diverse, gli umani sarebbero tornati alle loro calde
case asciutte e lui a un albero nel bosco. Elena sarebbe rimasta con Stefan,
naturalmente.
Naturalmente.
«Viste le circostanze, non dirò au revoir», disse Damon, scoccando il
suo fulgido sorriso a Elena, che ricambiò con un'occhiata severa. «Diciamo
semplicemente "addio" e non parliamone più».
Dagli umani non ci fu alcuna risposta.
«Da... mon», Elena urlava ora.
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Ti prego. Ti prego.
Damon fuggì nel buio.
Ti prego...
Strofinandosi il collo, continuò ad andare.
13
Molto più tardi, quella notte, Elena non riusciva a dormire. Non voleva
stare rinchiusa dentro la Stanza Alta, diceva. In cuor suo Stefan temeva che
lei volesse uscire in cerca del malach che aveva attaccato l'automobile. Ma
non pensava che fosse in grado di mentire, adesso. Elena continuava a
picchiare contro la finestra chiusa, dicendo, ormai come una cantilena, che
voleva solo un po' d'aria. Aria dall'esterno.
«Dovremmo metterti dei vestiti».
Ma Elena era disorientata... e ostinata. È notte... questa è la mia Camicia
da Notte, disse. Non ti piaceva la mia Camicia da Giorno. Colpì di nuovo
la finestra. La sua "Camicia da Giorno" era la camicia blu di lui, che,
stretta in vita da una cinta, fungeva da chemisier; era molto corto e le
arrivava a metà coscia.
Proprio in quel momento, quello che lei voleva coincideva perfettamente
con i desideri di Stefan, tanto che lui si sentì... un po' colpevole
nell'assecondarli. Ma si lasciò persuadere.
Vagarono, mano nella mano, Elena simile a un fantasma o a un angelo
nella sua camicia da notte bianca, Stefan tutto in nero, tanto che dove gli
alberi oscuravano la luce della luna gli sembrava quasi di svanire. In
qualche modo finirono all'Old Wood, dove gli scheletri degli alberi si
mescolavano ai rami vivi. Stefan allertò al massimo i suoi nuovi sensi
potenziati, ma riuscì a trovare solo i consueti abitanti del bosco, che,
esitanti, ritornavano dopo essere stati terrorizzati dalla sferzata di Potere di
Damon. Istrici. Un cervo. Volpi, tra cui una femmina con due cuccioli che
non era potuta fuggire a causa loro. Uccelli. Tutti gli animali che
contribuivano a rendere la foresta il posto meraviglioso che era.
Niente che sembrasse un malach o qualcosa di altrettanto dannoso.
Cominciava a chiedersi se Damon si fosse semplicemente inventato la
creatura che aveva influenzato il suo comportamento. Damon era un
bugiardo tremendamente persuasivo.
Stava dicendo la verità, risuonava il pensiero di Elena. Ma o è invisibile
oppure adesso è andato via. A causa tua. Del tuo Potere.
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La guardò e vide che anche lei lo stava guardando con un misto di
orgoglio e di un'altra emozione facilmente identificabile, ma sorprendente
da vedere all'aperto.
Aveva alzato la testa e la luce della luna conferiva ai suoi lineamenti
classici purezza e pallore. Le guance erano rosee per l'imbarazzo e le
labbra leggermente increspate.
Oh... diavolo, pensò Stefan, preso dall'impeto.
«Dopo tutto quello che hai passato», cominciò, e fece il suo primo
errore. Le prese le braccia. A quel punto, una sorta di sinergia tra il suo
Potere e quello di lei cominciò a portarli verso l'alto, con un lento
movimento a spirale.
Sentiva il calore di lei. La dolce morbidezza del suo corpo. Lei aspettava
ancora, a occhi chiusi, il suo bacio.
Possiamo ricominciare tutto daccapo, gli suggerì speranzosa.
Ed era abbastanza vero. Lui voleva ricambiare le sensazioni che lei gli
aveva dato nella sua stanza. Voleva stringerla forte; voleva baciarla fino a
farla tremare. Voleva farla sciogliere e svenire. Ed era anche in grado di
farlo. Non perché aveva imparato una o due cose sulle donne quando era
un vampiro, ma perché conosceva Elena. Erano davvero una cosa sola,
un'anima sola.
Ti prego, ripeteva Elena.
Ma lei era così giovane adesso, così vulnerabile nella sua candida
camicia da notte, con la pelle nivea che arrossiva nell'attesa. Non era
giusto approfittare di qualcuno così.
Elena aprì gli occhi azzurro-viola, resi argentei dalla luna, e lo guardò
dritto.
Vuoi, disse con la calma sulle labbra ma con la malizia negli occhi,
vedere quante volte riesci a farmi dire ti prego?
Dio, no. Ma sembrava a tal punto un discorso da adulti che Stefan non
poté fare a meno di prenderla tra le braccia. Baciò la cima della sua testa di
seta. E scese, sempre baciandola, evitando solo il bocciolo di rosa che era
la sua bocca, ancora proteso nella supplica. Ti amo, ti amo. Si rese conto
che stava quasi stritolandole le costole e cercò di allentare la stretta, ma
Elena continuò a stringerlo più forte che poteva, trattenendogli le braccia.
Vuoi – la melodia era la stessa, innocente e ingenua – vedere quante
volte posso farti dire ti prego?
Stefan la fissò per un momento. Poi, con una sorta di furore nel cuore, si
abbatté sul bocciolo di rosa e lo baciò fino a rimanere senza fiato, lo baciò
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fino a sentirsi così stordito da doversi allontanare, ma soltanto di un paio di
centimetri.
Poi la guardò nuovamente negli occhi. Ci si poteva perdere in occhi
come quelli, si poteva cadere per sempre nelle loro violacee profondità
stellate. Voleva farlo. Ma più di quello, voleva qualcos'altro.
«Voglio baciarti», le sussurrò all'orecchio, mordicchiandolo.
Sì. Lei ne era assolutamente sicura.
«Fino a che non svieni tra le mie braccia».
Sentì il brivido che le attraversava il corpo. Vide gli occhi viola
annebbiarsi, mezzi chiusi. Ma, con grande sorpresa, ricevette un
immediato, solo un po' ansimante «Sì» da Elena, a voce alta.
E così fece. Tranne che per lo svenimento. La baciò, provocando in lei
lievi brividi che la percorrevano tutta e piccoli urli che cercava di soffocare
con la sua bocca. E poi, poiché era il Momento, e poiché i brividi stavano
cominciando a diventare dolorosi, e il respiro di Elena era diventato troppo
veloce e affannoso quando la lasciava respirare, tanto che lui temeva
potesse perdere i sensi, solennemente usò la propria unghia per aprirsi una
vena del collo per lei.
Ed Elena, che un tempo era stata solo umana, e sarebbe inorridita all'idea
di bere il sangue di un'altra persona, si strinse a lui con un piccolo e
soffocato verso di gioia. Lui sentì che la sua bocca era calda, calda contro
la carne del suo collo, e la sentì fremere forte, e provò l'inebriante
sensazione di sentirsi succhiare il sangue da colei che amava. Avrebbe
voluto riversare il suo intero essere al cospetto di Elena, darle tutto quello
che era, o che mai sarebbe stato. E sapeva che era così che lei si era sentita,
quando gli aveva lasciato bere il suo sangue. Era quello il legame sacro
che li univa.
Aveva la sensazione che fossero stati amanti sin dall'inizio dell'universo,
sin dalla prima alba della prima stella a rompere le tenebre. Era qualcosa di
molto primitivo, e di profondamente radicato nella sua anima. Appena
sentì il proprio sangue scorrere nella bocca di lei, dovette soffocare un urlo
contro i suoi capelli. E poi si mise a sussurrarle parole appassionate e
involontarie su quanto la amasse e sul fatto che mai si sarebbero divisi, e
cose affettuose e assurdità che gli sfuggivano in lingue diverse. E poi non
ci furono più parole, solo sensazioni.
E così, con un lento movimento a spirale, salirono verso la luce della
luna, con la camicia da notte bianca che di tanto in tanto si avvolgeva
attorno ai pantaloni neri di lui. Salirono fino a raggiungere la cima degli
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alberi, vivi e tutt'altro che immobili.
Fu una cerimonia molto solenne e intima, ed erano talmente persi nella
loro gioia da non far caso ad alcun pericolo. Ma Stefan si era già accertato
della situazione, e sapeva che anche Elena lo aveva fatto. Non c'era
pericolo; c'erano solo loro due, che fluttuavano e sobbalzavano sotto la
luna che riluceva in segno di benedizione.
Una delle cose più utili che Damon aveva appreso di recente, più utile
che volare, nonostante fosse stato davvero eccitante, era schermare
totalmente la propria presenza.
Ovviamente doveva far cadere tutte le proprie barriere, perché sarebbero
state visibili anche a una rapida occhiata. Ma non aveva importanza,
perché se nessuno poteva vederlo, nessuno poteva trovarlo. E pertanto era
al sicuro. Come volevasi dimostrare.
Ma quella notte, dopo essere uscito dalla pensione, si era diretto all'Old
Wood per cercare un albero su cui andare a smaltire la rabbia.
Non è che gli importasse il modo in cui la feccia umana lo giudicava,
pensava velenosamente. Sarebbe equivalso a preoccuparsi di quello che un
pollo pensava di lui un attimo prima che gli tirasse il collo. E, tra tutte le
cose di cui gli importava meno, l'opinione di suo fratello era al primo
posto.
Ma c'era anche Elena. E anche se aveva capito, e si era sforzata affinché
anche gli altri capissero, era stato decisamente troppo umiliante essere
buttato fuori davanti a lei.
E perciò si era rintanato, pensò amaramente, nell'unico posto che poteva
definire casa. Nonostante ciò fosse un po' ridicolo, visto che avrebbe
potuto trascorrere la notte nel miglior hotel (e anche l'unico) di Fell's
Church o con qualunque delle dolci ragazze che avrebbero invitato uno
stanco viandante a bere un sorso... d'acqua. Un'ondata di Potere per
mettere a nanna i genitori e avrebbe avuto un tetto, e anche un caldo e
consenziente spuntino, fino alla mattina.
Ma era in uno stato d'animo pessimo, e voleva rimanere solo. Aveva un
po' timore di andare a caccia. Non sarebbe riuscito a controllarsi davanti a
un animale terrorizzato, nello stato d'animo in cui si trovava. Tutto ciò a
cui riusciva a pensare era strappare e lacerare e rendere qualcuno molto,
molto infelice.
Gli animali stavano tornando, notò, ben attento a usare solo i normali
sensi e null'altro che potesse tradire la propria presenza. Era finita, per
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loro, la notte di terrore, e poi tendevano ad avere una memoria molto corta.
Poi, proprio mentre si stava sdraiando su un ramo, desiderando che
Mutt, almeno, avesse subìto qualche danno doloroso e permanente, erano
apparsi loro. Fuori dal nulla, apparentemente. Stefan ed Elena, mano nella
mano, volavano come una coppia di amanti shakespeariani alati, come se
la foresta fosse casa loro.
All'inizio non aveva potuto crederci.
E poi, proprio mentre stava per invocare tuoni e sarcasmo su di loro,
avevano dato inizio alla loro scena d'amore.
Proprio davanti ai suoi occhi.
Arrivarono persino a volare fino al suo livello, e sembravano esserne
soddisfatti. Avevano cominciato a baciarsi e ad accarezzarsi e... oltre.
Lo avevano reso un voyeur involontario. Ma il tempo passava, le carezze
diventarono più appassionate e la sua rabbia crebbe. Aveva dovuto
stringere i denti quando Stefan aveva offerto a Elena il proprio sangue.
Avrebbe voluto gridare che c'era stato un tempo in cui quella ragazza era
stata a sua disposizione, in cui avrebbe potuto dissanguarla e lei sarebbe
morta felice tra le sue braccia, in cui lei aveva obbedito al suono della sua
voce istintivamente e il gusto del sangue di lui le avrebbe fatto provare il
paradiso tra le sue braccia.
Mentre ora era tra le braccia di Stefan.
Quella era stata la cosa peggiore. Aveva dovuto affondarsi le unghie nei
palmi delle mani quando Elena si era avviluppata al fratello, simile a un
lungo e aggraziato serpente, e aveva attaccato la bocca al collo di lui,
mentre la faccia di Stefan si era rovesciata verso il cielo, con gli occhi
chiusi.
Per tutti i demoni dell'inferno, perché non possono semplicemente farla
finita?
Fu allora che si accorse di non essere solo sull'albero spazioso, scelto
con cura.
C'era qualcun altro lì, seduto placidamente proprio accanto a lui sul
grosso ramo. Doveva essere apparso mentre Damon era totalmente preso
dalla scena d'amore e dalla propria rabbia, e ne aveva approfittato. In più
di due secoli, nessuno gli era arrivato alle spalle in quel modo. Tre secoli,
forse.
Lo shock lo aveva fatto cadere giù dal ramo, senza dargli il tempo di
librarsi in aria.
Un lungo e sottile braccio si distese per afferrarlo, traendolo in salvo, e
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Damon si ritrovò a fissare un paio di sorridenti occhi dorati.
Chi diavolo sei?, trasmise con la mente. Non temeva che gli amanti al
chiaro di luna potessero sorprenderlo. Niente che non fosse un drago o una
bomba atomica avrebbe potuto attrarre la loro attenzione in quel momento.
Sono il diavolo Shinichi, rispose l'altro ragazzo. Aveva i capelli più strani
che Damon avesse visto. Erano lisci e lucidi, e tutti neri tranne che per una
frangia discontinua rosso scuro sulle punte. I ciuffi che si scostava
distrattamente dagli occhi terminavano in cremisi, così come quelli attorno
al colletto: portava i capelli piuttosto lunghi. Le punte danzavano e
guizzavano come fiamme e conferivano un'enfasi particolare alla sua
risposta: sono il diavolo Shinichi. Se c'era qualcuno che poteva passare per
un diavolo salito direttamente dall'inferno, era senz'altro quel ragazzo.
D'altro canto, i suoi occhi erano d'oro puro come quelli di un angelo. La
maggior parte della gente mi chiama solo Shinichi, aggiunse serio,
strizzando lievemente gli occhi per far capire che era una battuta. Ora
conosci il mio nome. Tu chi sei?
Damon rimase semplicemente a guardarlo in silenzio.
14
Elena si svegliò la mattina successiva nel piccolo letto di Stefan. Lo
riconobbe prima ancora di essere completamente sveglia, e sperò di essersi
inventata una scusa ragionevole con zia Judith per la notte appena
trascorsa. La notte scorsa... il concetto in sé era estremamente nebuloso.
Cosa aveva sognato perché il suo risveglio sembrasse così straordinario?
Non riusciva a ricordare... accidenti, non riusciva a ricordare nulla!
E poi ricordò tutto.
Mettendosi a sedere con un balzo, che l'avrebbe fatta volare via dal letto
se ci avesse provato il giorno prima, esaminò i suoi ricordi.
Luce del giorno. Si ricordava della luce del giorno, una luce che la
inondava, e non portava il suo anello. Si guardò angosciata le mani. Niente
anello. Ed era seduta in una striscia di sole che non le faceva male. Non era
possibile. Sapeva, ne aveva un doloroso ricordo che pervadeva ogni cellula
del suo corpo, che la luce del sole poteva persino ucciderla. Aveva
imparato quella lezione con un unico, fugace raggio di sole sulla mano.
Non avrebbe mai dimenticato il dolore bruciante. Quel contatto le aveva
dato un insegnamento perenne: non andare da nessuna parte senza l'anello
di lapislazzuli, che era bellissimo di suo, ma ancora più bello sapendo che
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costituiva la sua salvezza. Senza, lei avrebbe potuto, sarebbe...
Oh. Oh.
Ma era già successo, vero?
Era morta.
Non semplicemente Cambiata come quando era diventata un vampiro,
ma morta di quella morte vera da cui non si torna indietro. Secondo la sua
personale filosofia, avrebbe dovuto disintegrarsi in una miriade di atomi, o
andare direttamente all'inferno.
Invece non era andata proprio da nessuna parte. Aveva fatto dei sogni su
persone affettuose che le avevano dato dei consigli, o su un fortissimo
desiderio di aiutare le persone, divenute improvvisamente semplici da
capire. Il bullo della scuola? Aveva guardato tristemente il padre ubriaco
sfogarsi su di lui notte dopo notte. Quella ragazza che non finiva mai i
compiti a casa? Doveva prendersi cura di tre sorelle e fratelli più piccoli
mentre la loro madre stava tutto il giorno a letto. Solo dar da mangiare al
bambino e tenerlo pulito le portava via tutto il tempo. C'era sempre una
ragione dietro ogni comportamento, e ora era in grado di vederla.
Aveva perfino comunicato con le persone attraverso i loro sogni. E poi
uno degli Antichi era arrivato a Fell's Church e tutto ciò che lei riuscì a
fare fu contrastare la sua interferenza nei sogni e resistere all'impulso di
fuggire. Lui aveva fatto sì che gli umani invocassero l'aiuto di Stefan... e
anche Damon, casualmente, era stato richiamato. Ed Elena li aveva aiutati
come poteva anche quando la situazione era diventata quasi insostenibile,
perché gli Antichi conoscevano l'amore e i punti deboli da colpire, e
sapevano come far correre i propri nemici in tutte le direzioni. Ma loro
l'avevano combattuto... e avevano vinto. Ed Elena, nel cercare di guarire le
ferite mortali di Stefan, era in qualche modo tornata a essere mortale:
nuda, distesa a terra nell'Old Wood, con il giubbotto di Damon sopra di lei,
mentre lo stesso Damon era scomparso senza aspettare un ringraziamento.
E in quel momento aveva percepito il risveglio delle sue facoltà
primarie, che riguardavano i sensi del tatto, del gusto, dell'udito e della
vista, e il cuore, ma non la ragione. Stefan era stato così buono con lei.
«E adesso, cosa sono?», disse Elena ad alta voce, fissandosi le mani
mentre continuava a rigirarle, meravigliandosi della soda carne mortale
che obbediva alle leggi di gravità. Aveva detto che per lui avrebbe
rinunciato a volare. Qualcuno l'aveva presa in parola.
«Sei bellissima», rispose Stefan sovrappensiero, senza muoversi. Poi,
all'improvviso, schizzò su. «Stai parlando!».
100
«Lo so».
«E sono parole di senso compiuto!».
«Grazie, molto gentile».
«Frasi intere!».
«L'ho notato».
«Continua, allora, e di' qualcosa di più... ti prego», disse Stefan come se
non ci credesse.
«Hai frequentato troppo i miei amici», disse Elena. «Questa frase ha
l'insolenza di Bonnie, la gentilezza di Matt e l'insistenza di Meredith».
«Elena, sei tu!».
Invece di continuare la sciocca conversazione con «Stefan, sono io!»,
Elena si fermò a riflettere. Poi, con cautela si alzò dal letto e fece un passo.
Stefan distolse frettolosamente lo sguardo, porgendole una vestaglia.
Stefan? Stefan?
Silenzio.
Quando Stefan si girò dopo un po', vide Elena inginocchiata alla luce del
sole con la vestaglia in mano.
«Elena?», sembrava un giovanissimo angelo in meditazione.
«Stefan».
«Ma stai piangendo».
«Sono di nuovo umana, Stefan». Sollevò una mano, e la lasciò cadere
nelle grinfie della gravità. «Sono di nuovo umana. Niente di più, niente di
meno. Immagino che ci vorranno un po' di giorni per rimettermi
completamente in sesto».
Lo guardò negli occhi. Erano sempre così verdi. Come un cristallo verde
attraversato da un raggio di luce. Come una foglia estiva illuminata dal
sole.
Riesco a leggere la tua mente.
«Ma io non riesco a leggere la tua, Stefan. Riesco solo ad avere una
sensazione generale, e anche quella potrebbe svanire... non possiamo
contare su nulla».
Elena, ho tutto ciò che voglio in questa stanza. Diede un colpetto sul
letto. Siediti accanto a me e potrò dire «Tutto ciò che voglio è su questo
letto».
Invece lei si alzò e si slanciò verso di lui, le braccia attorno al suo collo,
le gambe intrecciate a quelle di lui. «Sono ancora molto giovane»,
sussurrò, tenendolo stretto. «E se conti i giorni, non ne abbiamo passati
insieme molti come questo, ma...».
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«Sono ancora troppo vecchio per te. Ma poterti guardare e vedere che mi
guardi...».
«Dimmi che mi amerai per sempre».
«Ti amerò per sempre».
«Qualunque cosa accada».
«Elena, Elena... ti ho amata come mortale, come vampiro, come puro
spirito, come bambina spirituale... e ora di nuovo come umana».
«Promettimi che staremo insieme».
«Staremo insieme».
«No, Stefan, questa sono io». Si indicò la testa come per sottolineare che
dietro quegli occhi azzurri punteggiati d'oro c'era una mente vivace che
lavorava freneticamente. «Ti conosco. Anche se non riesco a leggerti la
mente, posso leggere il tuo viso. Tutte le vecchie paure... sono tornate,
vero?».
Lui distolse lo sguardo. «Non ti lascerò mai».
«Neanche per un giorno? Neanche per un'ora?».
Lui esitò e poi la guardò. Se è ciò che davvero vuoi. Non ti lascerò,
neanche per un'ora. Adesso stava riflettendo, lo sapeva, perché riusciva a
sentirlo.
«Ti sciolgo da tutte le promesse».
«Ma, Elena, facevo sul serio».
«Lo so. Ma quando andrai, non voglio che tu senta il peso della colpa
per averle infrante».
Anche senza telepatia, lei era in grado di dirgli quello che lui pensava fin
nella più minuscola sfumatura: Assecondala. Dopo tutto, si è appena
risvegliata. Probabilmente era un po' confusa. Ma a lei non importava
diventare meno confusa, o rendere lui meno confuso. Ecco perché gli
pizzicava delicatamente il mento. E lo baciava. Certo, pensò Elena, uno di
loro due era confuso...
Il tempo sembrò dilatarsi e fermarsi attorno a loro. E poi niente fu più
confuso. Elena sapeva che Stefan conosceva i suoi desideri, e lui voleva
esaudire ogni suo desiderio.
Bonnie guardò il numero sul display del telefono, preoccupata. Era
Stefan. Poi si passò frettolosamente la mano tra i capelli, arruffandosi i
riccioli, e accettò la videochiamata.
Ma invece di Stefan, era Elena. Bonnie cominciò a ridacchiare e a dirle
di non giocare con i giocattoli per adulti di Stefan... ma poi si fermò a
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guardarla.
«Elena?»
«Devo aspettarmi sempre questa reazione? O solo dalla mia sorella
strega?»
«Elena?»
«Sveglia e come nuova», disse Stefan, affacciandosi nello schermo.
«Abbiamo chiamato appena svegli...».
«Ele... ma è mezzogiorno!», si lasciò sfuggire Bonnie.
«Siamo stati occupati con un po' di cose», si intromise Elena
dolcemente, e oh, non era bello sentire Elena parlare così? Per metà
innocente, ma totalmente compiaciuta, ti faceva venir voglia di scuoterla e
pregarla di raccontare ogni dettaglio piccante.
«Elena», ansimò Bonnie, usando la parete più vicina per appoggiarsi e
poi scivolandovi giù, e facendo piovere sul tappeto un mucchio di calze,
magliette, pigiami e mutandine, mentre le lacrime cominciavano a
scorrerle sul viso.
«Elena, dicevano che avresti lasciato Fell's Church: è vero?».
Elena si adombrò. «Hanno detto cosa?»
«Che tu e Stefan avreste dovuto partire per il vostro bene».
«Mai e poi mai!».
«Piccolo dolce amo...», cominciò Stefan, e si interruppe bruscamente,
aprendo e chiudendo la bocca.
Bonnie rimase a guardare. Era successo sul fondo dello schermo, fuori
dalla vista, ma poteva quasi giurare che il piccolo e dolce amore di Stefan
gli aveva appena dato una gomitata nello stomaco. «Punto zero, ore due?»,
chiedeva Elena.
Bonnie tornò alla realtà. Elena non ti dava mai il tempo di riflettere. «Ci
sarò!», gridò.
«Elena», mormorò Meredith. E di nuovo: «Elena». Come un singhiozzo
soffocato. «Elena!».
«Meredith. Oh, non farmi piangere, questa camicia è di seta pura!».
«È seta pura perché è la mia tunica di seta pura, ecco perché!».
D'un tratto Elena sembrò innocente come un angelo.
«Sai, Meredith, a quanto pare sono diventata molto più alta
ultimamente...».
«Se la fine della frase è "perciò a me sta meglio"», la voce di Meredith
era minacciosa, «allora ti avverto Elena Gilbert...». Si interruppe, ed
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entrambe cominciarono a ridere e poi a piangere. «Puoi tenertela! Oh,
certo che puoi tenertela!».
«Stefan?». Matt agitava il telefono, prima con cautela, poi sbattendolo
contro la parete del garage. «Non riesco a vedere...». Si fermò, deglutì. «Ele-na?». Il nome venne fuori lentamente, con una pausa dopo ogni sillaba.
«Sì, Matt. Sono tornata. Anche quassù». Si indicò la fronte. «Vieni a
trovarci?».
Matt, appoggiandosi all'auto comprata da poco e pressoché funzionante,
continuava a mormorare: «Grazie Dio, grazie Dio».
«Matt? Non riesco a vederti. Stai bene?». Uno scalpiccio. «Penso sia
svenuto».
La voce di Stefan: «Ci sei Matt? Vuole davvero vederti».
«Sì, sì». Matt sollevò la testa, sbattendo le palpebre. «Elena, Elena...».
«Mi dispiace così tanto, Matt. Non devi sentirti obbligato...».
Matt rise. «Sicura di essere Elena?».
Elena sorrise con quel sorriso che aveva infranto migliaia di cuori. «In
quel caso... Matt Honeycutt, insisto che tu venga a incontrarci al Punto
Zero alle due. Vado bene così?»
«Ci sei quasi. La vecchia Elena Stile Imperiale». Tossì
melodrammaticamente, tirò su col naso e disse: «Scusa... sono un po'
raffreddato; o è allergia, forse».
«Non essere sciocco, Matt. Stai piagnucolando come un bambino, e io
pure», disse Elena. «E anche Bonnie e Meredith, quando le ho chiamate. E
perciò è quasi tutto il giorno che piango... e se continuo così dovrò
scapicollarmi per preparare un picnic ed essere puntuale. Meredith passerà
a prenderti. Porta qualcosa da mangiare o da bere. Ti voglio bene!».
Elena mise giù il telefono, respirando forte.
«Questo sì che è stato difficile».
«Ti ama ancora».
«Avrebbe preferito che rimanessi una bambina per tutta la vita?»
«Forse gli piaceva il modo in cui dicevi "Ciao" e "Arrivederci"».
«Ora mi stai prendendo in giro». Elena si stava tormentando il mento.
«Mai e poi mai», disse dolcemente Stefan. Poi, d'un tratto, le afferrò la
mano. «Su... andiamo a fare acquisti per il picnic e cerchiamo anche una
macchina», disse, tirandola su.
Elena sorprese entrambi volando in alto così rapidamente che Stefan
dovette afferrarla per la vita per evitare che andasse a sbattere contro il
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soffitto.
«Pensavo la forza di gravità valesse anche per te!».
«Lo pensavo anch'io! Cosa faccio?»
«Fai pensieri pesanti!».
«E se non funziona?»
«Ti compreremo un'ancora».
Alle due di pomeriggio Stefan ed Elena arrivarono al cimitero di Fell's
Church a bordo di una Jaguar rossa nuova di zecca; Elena indossava un
paio di occhiali scuri sotto un foulard che le copriva i capelli, una sciarpa
che le copriva la parte inferiore del viso, e mezzi guanti di pizzo nero presi
in prestito dalla signora Flowers; guanti che, per sua stessa ammissione,
non sapeva perché indossava. Faceva un figurone, disse Meredith, con il
top di seta viola e i jeans. Bonnie e Meredith avevano già steso una
tovaglia per il picnic, mentre le formiche assaggiavano i panini, l'uva e
l'insalata di pasta light.
Elena raccontò di come si era svegliata quella mattina, e ci furono più
abbracci e baci e pianti di quanto i ragazzi potessero sopportare.
«Vuoi vedere i boschi qui attorno? E controllare se quei malach sono
ancora qui?», disse Matt a Stefan.
«È meglio che non ci siano», disse Stefan. «Se gli alberi, così lontano da
dove siete stati attaccati, sono infestati...».
«Non va bene?»
«Guai seri».
Stavano per andare quando Elena li richiamò.
«Potete smetterla di fare i maschi pieni di superiorità», aggiunse.
«Reprimere le emozioni vi fa male. Esprimerle vi dà equilibrio».
«Sentila, sei più tosta di quanto pensassi», disse Stefan. «Picnic in un
cimitero?»
«Quando venivamo a cercarla, Elena era sempre qui», disse Bonnie,
indicando con un gambo di sedano una lapide vicina.
«È la tomba dei miei genitori», spiegò Elena con semplicità. «Dopo
l'incidente... mi sono sempre sentita più vicina a loro qui che in qualsiasi
altro posto. Venivo qui quando le cose andavano male, o quando avevo
bisogno di una risposta».
«Ne hai mai ricevuta una?», chiese Matt, prendendo un cetriolino
sottaceto e passando il barattolo di vetro.
«Non ne sono certa, neanche adesso», disse Elena. Si era tolta gli
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occhiali scuri, la sciarpa, il foulard e i mezzi guanti. «Ma mi ha sempre
fatto sentire meglio. Perché? Hai qualche domanda?»
«Be'... sì», disse Matt inaspettatamente. Poi arrossì, rendendosi conto di
trovarsi al centro dell'attenzione. Bonnie si rigirò per guardarlo, con il
gambo di sedano tra le labbra, Meredith accorse, Elena si mise a sedere
diritta. Stefan, che era appoggiato a un'elaborata lapide con inconsapevole
grazia vampiresca, si sedette.
«Di cosa si tratta, Matt?»
«Stavo per dirlo, non hai un bell'aspetto oggi», disse ansiosamente
Bonnie.
«Ti ringrazio», scattò Matt.
Negli occhi marroni di Bonnie si affacciarono le lacrime. «Non
intendevo...».
Ma non poté finire. Meredith ed Elena, con fare protettivo, eressero
attorno a lei una solida falange di quella che definivano "sorellanza
velociraptor". Significava che chiunque maltrattasse una di loro, avrebbe
avuto a che fare con tutte loro.
«Sarcasmo invece che cavalleria? Decisamente non è il Matt che
conosco», disse Meredith inarcando un sopracciglio.
«Cercava solo di essere affettuosa», fece notare Elena pacatamente. «E
quella è stata una replica meschina».
«Ok, ok! Mi dispiace... mi dispiace molto, Bonnie». Si girò verso di lei,
imbarazzato. «È stata una cosa sgradevole da dire e so che stavi solo
cercando di essere carina. È solo che io... io non so davvero cosa sto
facendo o dicendo. A ogni modo, volete ascoltarmi», terminò, mettendosi
sulla difensiva, «oppure no?».
Tutti lo volevano.
«Ok, ecco. Sono andato a trovare Jim Bryce questa mattina... ve lo
ricordate?»
«Sicuro. Sono uscita con lui. Capitano della squadra di basket. Un
ragazzo carino. Un po' troppo giovane ma...». Meredith alzò le spalle.
«Jim è ok». Matt deglutì. «Be', è solo che... non voglio fare pettegolezzi
o cose del genere, ma...».
«Pettegolezzi!», gli ordinarono le tre ragazze all'unisono, come un coro
greco.
Matt cedette. «Ok, ok! Be'... avrei dovuto essere lì alle dieci, ma sono
arrivato un po' prima e... be', Caroline era lì. Stava andando via».
Ci furono tre rantoli scioccati e un'occhiata allarmata da parte di Stefan.
106
«Vuoi dire che ha passato la notte con lui?»
«Stefan!», cominciò Bonnie. «Non è così che funziona con i
pettegolezzi. Non si dice mai apertamente ciò che si pensa...».
«No», disse tranquillamente Elena, «lascia che Matt risponda. Ricordo
abbastanza, anche da prima che riuscissi a parlare, per essere preoccupata
per Caroline».
«Più che preoccupata», disse Stefan.
Meredith annuì. «Non si tratta di un pettegolezzo; è un'informazione
necessaria», disse.
«Ok, allora», ansimò Matt. «Be', sì, è quello che ho pensato. Lui ha detto
che era venuta prima per sua sorella, ma Tamra ha solo quindici anni. E poi
è diventato di un rosso acceso quando lo ha detto».
Ci fu uno scambio di sguardi seri tra gli altri.
«Caroline è sempre stata... be', equivoca...», cominciò Bonnie.
«Ma non avevo mai sentito che Jim le piacesse», finì Meredith.
Guardarono Elena in attesa di una risposta. Elena lentamente scosse la
testa. «Di certo non riesco a vedere alcuna ragione al mondo per la sua
visita a Tamra. E per di più», lanciò un rapido sguardo a Matt, «ci stai
nascondendo qualcosa. Cos'altro è successo?»
«È successo altro? Caroline ha fatto vedere la sua lingerie?». Bonnie rise
fino a che non vide Matt arrossire.
«E dai, Matt. Siamo noi. Puoi dirci tutto».
Matt trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.
«Ok. Be'... quando stava andando via, credo... credo che Caroline... mi
abbia fatto delle avance».
«Ha fatto cosa?»
«Non avrebbe mai...».
«In che modo, Matt?», chiese Elena.
«Be'... Jim pensava che fosse andata via, ed è andato in garage a
prendere la sua palla da basket. Io mi sono girato e Caroline è tornata
all'improvviso, e ha detto... be', non importa quello che ha detto. Ma era
qualcosa riguardo al fatto che le piaceva di più il football che non il basket
e se mi andava di divertirmi».
«E tu cosa hai detto?», mormorò Bonnie, affascinata.
«Non ho detto nulla. L'ho guardata e basta».
«E poi Jim è tornato?», suggerì Meredith.
«No! E Caroline se n'è andata... mi ha lanciato un'occhiata, sapete, di
quelle che rendono piuttosto chiare le sue intenzioni... e poi è entrata
107
Tami». La faccia schietta di Matt era ormai in fiamme. «E poi... non so
come dirlo. Forse Caroline ha detto qualcosa riguardo a me che l'ha spinta
a farmi questo, perché lei... lei...».
«Matt». Stefan non aveva quasi parlato fino a quel momento; ora si
piegò in avanti e parlò con calma. «Non te lo stiamo chiedendo solo perché
vogliamo spettegolare. Stiamo cercando di scoprire se sta succedendo
qualcosa di serio a Fell's Church. Perciò, per favore, dicci cosa è
successo».
15
Matt annuì, arrossendo fino alla radice dei suoi capelli biondi. «Tami
mi... mi si è stretta addosso».
Ci fu una lunga pausa.
Meredith disse con calma: «Matt, intendi dire che ti ha abbracciato?
Come un graaaaande abbraccio? O che...». Si fermò perché Matt stava già
scuotendo violentemente la testa.
«Non era un innocente graaande abbraccio. Eravamo soli, nel corridoio,
e lei... be', non riuscivo a crederci. Ha solo quindici anni, ma si è
comportata come una donna adulta. Voglio dire... non che mi sia mai
capitato che una donna adulta mi facesse quello».
Imbarazzato, ma anche sollevato per essersi tolto quel peso, Matt guardò
tutti loro e disse: «Allora, cosa ne pensate? È stata solo una coincidenza
che Caroline fosse lì? Oppure ha... detto qualcosa a Tamra?»
«Nessuna coincidenza», disse semplicemente Elena. «Troppo per essere
una coincidenza: Caroline che ti fa delle avance e Tamra che si comporta
in quel modo. Conosco... conoscevo Tami Bryce. È una ragazzina carina...
o almeno lo era».
«Lo è ancora», disse Meredith. «Ve l'ho detto, sono uscita qualche volta
con Jim. È una ragazza molto simpatica e nient'affatto matura per la sua
età. Non credo che di norma farebbe nulla di inappropriato, a meno che...».
Si fermò, poi scrollò le spalle senza finire la frase.
Ora Bonnie aveva assunto un aspetto serio. «Ma dobbiamo mettere fine
a questa cosa», disse. «E se incontrasse un ragazzo che non sia carino e
timido come Matt? Si farà aggredire».
«E il problema non è tutto qui», disse Matt, arrossendo di nuovo. «Cioè,
è piuttosto difficile... Se lei fosse stata un'altra ragazza, una con la quale
avevo un appuntamento... non che io esca con altre ragazze...», aggiunse
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frettolosamente, lanciando un'occhiata a Elena.
«Ma dovresti uscire con delle ragazze», disse decisa Elena. «Matt, non
voglio eterna fedeltà da te... non c'è nulla che mi piacerebbe di più che
vederti uscire con una bella ragazza». E, come per caso, il suo sguardo si
posò su Bonnie, che in quel momento cercava di masticare il sedano
silenziosamente.
«Stefan, tu sei l'unico che può dirci cosa fare», disse Elena, voltandosi
verso di lui.
Stefan era accigliato. «Non lo so. Con solo due ragazze, è difficile trarre
delle conclusioni».
«Quindi dovremo aspettare e vedere cosa farà Caroline... o Tami... la
prossima volta?», chiese Meredith.
«Non semplicemente aspettare», disse Stefan. «Dobbiamo cercare di
saperne di più. Voi tenete d'occhio Caroline e Tamra Bryce, mentre io farò
qualche ricerca».
«Dannazione!», disse Elena, colpendo il suolo con un pugno. «Riesco
quasi...». Si fermò all'improvviso e guardò i suoi amici. Bonnie,
trasalendo, aveva lasciato cadere il sedano, e Matt si stava soffocando con
la Coca-Cola, in un accesso di tosse. Persino Meredith e Stefan la
guardavano. «Cosa c'è?», chiese, come cadendo dalle nuvole.
La prima a riprendersi fu Meredith. «Solo ieri eri ancora... be', i giovani
angeli non imprecano».
«Solo perché sono morta un paio di volte, significa che dovrò dire
"accidenti" per tutta la vita?». Elena scosse la testa. «No. Io sono io e
rimarrò me stessa... chiunque io sia».
«Bene», disse Stefan, piegandosi per baciarla sulla testa. Matt distolse lo
sguardo ed Elena diede a Stefan un buffetto quasi insignificante, pensando,
però, ti amerò per sempre, e sapendo che lui l'avrebbe sentito, anche se lei
non era in grado di avvertire la risposta. In realtà, scoprì invece che
riusciva a percepire la sua risposta, poiché attorno a lui sembrava aleggiare
un caldo colore rosa.
Era quello che Bonnie vedeva e chiamava aura? Si rese conto che per
gran parte del giorno l'aveva visto soffuso di una specie di ombra chiara,
fredda e color smeraldo... sempre che le ombre potessero definirsi chiare.
Ora il verde stava tornando mentre il rosa si dissolveva.
Subito guardò gli altri partecipanti al picnic. Bonnie era circondata da un
colore simile al rosa, però più tenue. Meredith era di un viola scuro e
profondo. Matt era di un azzurro deciso.
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Questo le ricordò che fino al giorno prima, solo ieri?, aveva visto così
tante cose che nessun altro era in grado di vedere. Incluso qualcosa che
scioccamente l'aveva spaventata.
Cos'era stato? Aveva dei flash: piccoli dettagli già di per sé paurosi.
Poteva essere piccolo quanto un'unghia o grande quanto un braccio. Con la
consistenza della corteccia, per lo meno sul corpo. Antenne come quelle di
un insetto, ma più numerose, che si muovevano come fruste, più veloci di
quanto avrebbe potuto muoverle un insetto. Le era venuta la pelle d'oca
che aveva ogni volta che pensava agli insetti. Era un insetto, allora. Ma
diverso da quelli che conosceva. Sembrava più una mignatta, o un
calamaro. Aveva una bocca circolare, con denti affilati tutt'intorno e
moltissimi tentacoli simili a spessi viticci attorcigliati.
Poteva attaccarsi alle persone, pensò. Ma aveva la terribile sensazione
che potesse fare anche di più. Poteva diventare trasparente e infilarsi
dentro di te, e non avresti sentito altro che una puntura di spillo. E poi cosa
sarebbe accaduto?
Elena si rivolse a Bonnie. «Credi che se ti mostro qualcosa, riuscirai a
riconoscerlo di nuovo? Non con gli occhi, ma con le tue capacità
medianiche?»
«Credo dipenda da cos'è questo "qualcosa"», rispose cautamente Bonnie.
Elena guardò Stefan, che le rispose con un impercettibile cenno del
capo.
«Allora chiudi gli occhi», disse.
Bonnie obbedì ed Elena le posò i polpastrelli sulle tempie, mentre con i
pollici le accarezzava delicatamente le ciglia. Cercare di attivare il suo
Potere Bianco – cosa che era stata così facile fino a quel giorno – fu come
strofinare due sassi per accendere il fuoco e sperare che uno dei due fosse
una pietra focaia. Finalmente avvertì una piccola scintilla, e Bonnie balzò
all'indietro.
Gli occhi di Bonnie si spalancarono. «Cos'era?», ansimò. Respirava
affannosamente.
«È quello che ho visto... ieri».
«Dove?».
Elena disse lentamente: «Dentro Damon».
«Ma cosa significa? Era lui che lo manovrava? Oppure... oppure...».
Bonnie si fermò e sgranò gli occhi.
Elena finì la frase per lei. «Era quella cosa a manovrare lui? Non lo so.
Ma una cosa la so per certo. Quando ignorava il tuo Richiamo, era sotto
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l'influsso del malach».
«La domanda è: se non era Damon, chi era a manovrarlo?», disse
Stefan, rialzandosi in preda all'agitazione. «L'avevo percepito, e il tipo di
creatura che Elena ti ha mostrato... non ha una sua mente. Ha bisogno di
un cervello esterno».
«Come un altro vampiro?», chiese sommessamente Meredith.
Stefan alzò le spalle. «In genere i vampiri li ignorano, perché riescono a
ottenere ciò che vogliono senza di loro. Dovrebbe essere una mente
davvero forte per far sì che un malach si impossessi di un vampiro. Forte
e... malvagia».
«Quelli», disse Damon con sferzante precisione grammaticale, seduto
sull'alto ramo di una quercia, «sono loro. Mio fratello minore e la sua...
socia».
«Meraviglioso», mormorò Shinichi. Si era adagiato sulla quercia persino
con più grazia e languore di Damon. Era diventata una tacita competizione.
Gli occhi d'oro di Shinichi avevano lampeggiato una o due volte – Damon
se n'era accorto – nel vedere Elena e quando aveva sentito nominare Tami.
«Non provare neanche a dirmi che non hai a che fare con quelle
scalmanate», aggiunse seccamente Damon. «Da Caroline a Tamra e così
via, è quella l'idea, non è vero?».
Shinichi scosse la testa. I suoi occhi erano fissi su Elena e cominciò a
cantare dolcemente una canzone popolare...
Con guance come rose in boccio
e capelli come grano dorato...
«Io non ci proverei con quelle ragazze». Damon sorrise senza allegria.
Gli occhi gli si erano rimpiccioliti. «Garantito, sembrano fragili come la
carta velina bagnata... ma sono più tenaci di quanto penseresti, e lo sono
ancora di più quando una di loro è in pericolo».
«Te l'ho detto, non sono io a farlo», disse Shinichi. Sembrava a disagio
per la prima volta da quando Damon lo aveva visto. Poi disse: «Anche se
potrei conoscere l'artefice».
«Dimmi pure», suggerì Damon, ancora con gli occhi stretti.
«Be'... ti ho parlato della mia gemella? Si chiama Misao». Sorrise in
modo accattivante. «Significa fanciulla».
Damon sentì la fame risvegliarsi automaticamente. Fece finta di niente.
Era troppo rilassato per pensare a cacciare, e non era del tutto certo che gli kitsune –
111
spiriti-volpe, come Shinichi affermava di essere – si potessero cacciare.
«No, non hai parlato di lei», disse Damon, grattandosi distrattamente la
nuca. Il morso di zanzara era scomparso, ma si era lasciato dietro un
prurito furioso. «Deve esserti in qualche modo sfuggito di mente».
«Be', lei è qui da qualche parte. È venuta con me, quando abbiamo visto
il lampo di Potere che ha riportato indietro... Elena».
Damon sentì con sicurezza che l'esitazione prima del nome Elena era
una finta. Piegò la testa nella posizione non credere di farmi fesso e
aspettò.
«A Misao piace giocare», disse Shinichi.
«Ah sì? A backgammon, scacchi, quel genere di cose?».
Shinichi tossì teatralmente, ma Damon colse lo scintillio rosso nei suoi
occhi. Perbacco, era davvero iperprotettivo nei confronti di sua sorella,
vero? Damon gli rivolse uno dei suoi sorrisi più incandescenti.
«La amo», disse il giovane dai capelli neri lambiti dal fuoco, e stavolta
nella sua voce si avvertì un serio avvertimento.
«Certo che sì», disse Damon in tono lusinghiero. «Lo vedo».
«Ma, be', i suoi giochi hanno generalmente l'effetto di distruggere una
città. Alla fine. Non tutto in una volta».
Damon alzò le spalle. «Di questa caccola di mosca di villaggio non si
sentirà la mancanza. Ovviamente, prima metto in salvo le mie ragazze».
Ora era la sua voce ad avere un chiaro tono di avvertimento.
«Come preferisci». Shinichi era di nuovo remissivo. «Siamo alleati, e ci
atterremo al tuo patto. A ogni modo, sarebbe un peccato sprecare... tutto
questo». Il suo sguardo volò nuovamente su Elena.
«A proposito, non parleremo nemmeno del piccolo fiasco tra il tuo
malach e me... o quello di tua sorella, se preferisci. Sono piuttosto sicuro
di averne disintegrati almeno tre, ma se ne vedo un altro, il nostro rapporto
d'affari si conclude. Sono un brutto nemico, Shinichi. Non immagini
quanto».
Shinichi sembrò abbastanza impressionato mentre faceva di sì con la
testa. Ma un istante dopo, guardava di nuovo Elena e cantava.
...capelli come grano dorato
sulle spalle bianco latte;
mia graziosa rosa, mia dolce...
«E voglio conoscere questa tua Misao. Per il suo bene».
«So che vuole conoscerti. Al momento è tutta presa dal suo gioco, ma
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cercherò di distoglierla». Shinichi si stiracchiò voluttuosamente.
Damon lo guardò per un momento. Poi, distrattamente, si stiracchiò
anche lui.
Shinichi lo stava guardando. Sorrise.
Damon si domandò il perché di quel sorriso. Aveva notato che quando
Shinichi sorrideva, nei suoi occhi si accendevano due fiammelle cremisi.
Ma era davvero troppo stanco per pensarci proprio in quel momento.
Semplicemente troppo rilassato. In effetti, sentì a un tratto un gran sonno...
«Quindi andremo alla ricerca di questi malach in ragazze come Tami?»,
chiese Bonnie.
«Esattamente come Tami», disse Elena.
«E tu pensi», disse Meredith, guardando Elena da vicino, «che Tami
l'abbia preso in qualche modo da Caroline?»
«Sì. Lo so, lo so... la domanda è: da dove l'ha preso Caroline? E questo
non lo so. Ma, ancora una volta, non sappiamo cosa le è successo quando è
stata rapita da Klaus e Tyler Smallwood. Non sappiamo niente di quello
che ha fatto nell'ultima settimana... eccetto il fatto che è evidente che non
abbia mai smesso di odiarci».
Matt si teneva la testa tra le mani. «E allora cosa facciamo? Mi sento
come se in qualche modo fossi responsabile».
«No... Se c'è un responsabile, è Jimmy. Se lui... lo sapete, ha lasciato che
Caroline passasse la notte... che ne parlasse con la sorella quindicenne...
be', questo non lo rende certo colpevole, ma sicuramente avrebbe potuto
essere un po' più perspicace», disse Stefan.
«Ed è qui che ti sbagli», replicò Meredith. «Matt, Bonnie, Elena e io
conosciamo Caroline da secoli e sappiamo di cosa è capace. Se qualcuno
ha i requisiti necessari per badare alla propria sorella... quel qualcuno
siamo noi. E credo che siamo seriamente colpevoli di aver trascurato il
nostro dovere. Voto per fare un salto a casa sua».
«Anch'io», disse tristemente Bonnie, «ma non sono così ansiosa di farlo.
E poi, cosa facciamo se non ha dentro di lei uno di quei malach?»
«È qui che la ricerca entra in gioco», disse Elena. «Abbiamo bisogno di
sapere chi c'è dietro a tutto questo. Qualcuno abbastanza forte da
influenzare Damon».
«Splendido», disse Meredith torva. «E visto il potere delle linee
energetiche, abbiamo solo da scegliere tra tutti gli abitanti di Fell's
Church».
113
Cinquanta metri a ovest e nove metri più in alto, Damon lottava per
rimanere sveglio.
Shinichi stese il braccio per ravviarsi i bei capelli color della notte e
delle fiamme che gli lambivano la fronte. Da sotto le palpebre socchiuse,
guardava attentamente Damon.
Damon aveva intenzione di controllarlo con la stessa attenzione, ma
aveva semplicemente troppo sonno. Lentamente, imitò il lento movimento
di Shinichi, togliendosi dalla fronte qualche ciuffo dei setosi capelli neri.
Le palpebre gli si abbassarono involontariamente, appena un po' più di
prima. Shinichi continuava a sorridergli.
«E quindi ecco il nostro patto», mormorò. «Noi ci prendiamo la città,
Misao e io, e tu non ci ostacoli. Noi ci prendiamo il diritto al potere delle
linee energetiche. Tu metti al sicuro le tue ragazze... e ti prendi la tua
vendetta».
«Su quell'ipocrita di mio fratello e quel... quel Mutt!».
«Matt». Shinichi aveva un udito fine.
«È lo stesso. Farò in modo che Elena non si faccia male, questo è tutto.
E anche la streghetta con i capelli rossi».
«Ah, sì, la dolce Bonnie. Non mi dispiacerebbero una o due come lei.
Una per Samhain e una per il Solstizio».
Damon sbuffò assonnato. «Non ce ne sono altre due come lei; non mi
interessa a cosa miri. Voglio che a nessuna delle due sia fatto del male».
«E la bellezza alta, con i capelli scuri... Meredith?».
Damon si svegliò. «Dove?»
«Non temere; non sta venendo a prenderti», disse Shinichi, con fare
tranquillizzante. «Cosa vuoi che ne facciamo di lei?»
«Oh». Damon si sdraiò nuovamente, sollevato, e si rimise comodo. «Che
vada per la sua strada... purché sia lontana dalla mia».
Sembrava che Shinichi lo facesse apposta a rilassarsi sul suo ramo. «Tuo
fratello non sarà un problema. Perciò si tratta solo di quell'altro ragazzo
laggiù», mormorò. Aveva un modo di fare molto subdolo.
«Sì. Ma mio fratello...». Damon ora era quasi addormentato, esattamente
nella stessa posizione di Shinichi.
«Te l'ho detto, ci si occuperà di lui».
«Mmm. Cioè, bene».
«Quindi abbiamo fatto un patto?»
«Mm-hmm».
114
«Sì?»
«Sì».
«Abbiamo un patto».
Stavolta Damon non rispose. Stava sognando. Sognava che gli angelici
occhi dorati di Shinichi si spalancavano all'improvviso per guardarlo.
«Damon». Sentì il suo nome, ma nel suo sogno non si disturbò ad aprire
gli occhi. Poteva comunque vedere senza aprirli.
Nel suo sogno, Shinichi si piegò su di lui, librandosi proprio sul suo
viso, così da far mescolare le loro aure e condividere la stessa aria se
Damon avesse respirato. Shinichi rimase così a lungo, come se stesse
testando l'aura di Damon, ma Damon sapeva che a un estraneo lui sarebbe
sembrato fuori da tutti i canali e le frequenze. Eppure, nel suo sogno
Shinichi era sospeso sopra di lui, come se stesse cercando di memorizzare
la mezzaluna di ciglia scure sul pallido volto di Damon o la sottile curva
della sua bocca.
Alla fine lo Shinichi del sogno mise la mano sotto la testa di Damon e
accarezzò il punto in cui la zanzara lo aveva punto.
«Oh, stai crescendo per diventare un gran bel giovanotto, non è vero?»,
disse a qualcosa che Damon non poteva vedere. «Potresti quasi prendere il
pieno controllo contro la sua forza di volontà, non è così?».
Shinichi sedette per un momento, come se stesse guardando cadere un
fiore di ciliegio, poi chiuse gli occhi.
«Penso», sussurrò, «che questo è ciò che proveremo a fare, tra non
molto. Presto. Molto presto. Ma prima, dobbiamo guadagnarci la sua
fiducia; sbarazzarci del suo rivale. Tenerlo confuso, arrabbiato,
inoffensivo, disorientato. Fargli continuamente pensare a Stefan, al suo
odio per Stefan, che si è preso il suo angelo, mentre io mi occuperò di
quello che ci sarà da fare qui».
Poi si rivolse direttamente a Damon. «Alleati, sicuro!». Rise. «Non
mentre posso toccarti l'anima con un dito. Ecco. Lo senti? Cosa potrei farti
fare...».
E poi sembrò di nuovo rivolgersi alla creatura che era già dentro Damon:
«Ma adesso... un piccolo festino per aiutarti a crescere più velocemente e
diventare più forte».
Nel sogno, Shinichi fece un gesto e si fece indietro, incoraggiando gli
invisibili malach a salire sull'albero. I malach uscirono furtivi e si
arrampicarono sul collo di Damon. E poi, cosa ripugnante, si insinuarono
dentro di lui, uno dopo l'altro, attraverso un taglio che lui non sapeva di
115
avere. La sensazione dei loro corpi morbidi, flaccidi come meduse, era
quasi insopportabile... scivolavano dentro di lui...
Shinichi cantava dolcemente.
Oh, venite a me, o graziose fanciulle.
Accorrete, o ragazze, al mio cuore.
Venite a me con il sole o con la luna
quando le rose sono ancora in boccio...
Nel suo sogno, Damon era arrabbiato. Non per l'assurdità dei malach
dentro di sé. Era ridicolo. Era arrabbiato perché sapeva che lo Shinichi del
sogno teneva d'occhio Elena mentre lei cominciava a radunare i resti del
picnic. Controllava ogni suo movimento in modo ossessivo.
Sbocciano ovunque tu cammini
...rose selvatiche rosse come il sangue.
«Straordinaria ragazza, la tua Elena», aggiunse lo Shinichi del sogno.
«Se vivrà, penso che sarà mia per una notte o più». Spazzò via
delicatamente i restanti ciuffi dalla fronte di Damon. «Aura straordinaria,
non credi? Mi assicurerò che la sua morte sia bellissima».
Ma Damon era immerso in uno di quei sogni in cui non è possibile
muoversi né parlare. Non rispose.
Nel frattempo, gli animaletti onirici dello Shinichi del sogno
continuavano ad arrampicarsi sugli alberi e a riversarsi, come gelatina,
dentro di lui. Uno, due, tre, una dozzina, due dozzine. Altri ancora.
E Damon non riusciva a svegliarsi, nonostante sentisse che altri malach
stavano arrivando dall'Old Wood. Non erano né morti né vivi, né maschili
né femminili, ma pure capsule di Potere che avrebbero permesso a
Shinichi di controllare la mente di Damon da allora in poi. Arrivavano
incessantemente.
Shinichi continuava a guardare il flusso, la vivida scintilla degli organi
interni che si accendeva dentro Damon. Dopo un po', riprese a cantare.
I giorni sono preziosi, non perdeteli.
I fiori svaniranno e così voi...
Venite a me, o belle fanciulle
finché siete ancora giovani e belle.
Damon sognò di udire la parola «dimentica», come se venisse sussurrata
116
da centinaia di voci. E anche se cercava di ricordare cosa dovesse
dimenticare, si dissolse e scomparve.
Si svegliò da solo sull'albero, con un dolore che gli riempiva l'intero
corpo.
16
Di ritorno dal picnic, Stefan fu sorpreso di trovare la signora Flowers ad
aspettarli. E aveva anche qualcosa da dire che, stranamente, non
riguardava il suo giardino.
«C'è un messaggio per te di sopra», disse, allungando la testa verso le
strette scale. «Viene da un ragazzo moro che... ti somigliava, in qualche
modo. Non ha voluto dirmi nulla. Ha solo chiesto dove lasciarti un
messaggio».
«Un ragazzo moro? Damon?», chiese Elena.
Stefan scosse la testa. «Per quale motivo mi porterebbe un messaggio?».
Lasciò Elena con la signora Flowers e corse su per le scale sbilenche. In
cima, trovò un pezzo di carta infilato sotto la porta.
Era un biglietto, come i cartoncini del tipo «Ti penso», senza busta.
Stefan, che conosceva suo fratello, dubitava che l'avesse pagato... per lo
meno in denaro. Al suo interno, con un pennarello nero, erano scritte le
parole:
A ME NON SERVE.
FORSE A SANTO STEFAN SÌ.
VEDIAMOCI STANOTTE ALL'ALBERO
CONTRO CUI GLI UMANI SI SONO SCONTRATI.
NON PIÙ TARDI DELLE 4:30 DI MATTINA
TI DARÒ LA GRANDE NOTIZIA.
D.
Era tutto, a parte un indirizzo web.
Stefan stava per buttare il biglietto nel cestino quando la curiosità lo
assalì. Accese il computer, digitò l'indirizzo del sito e rimase a guardare.
Per un po' non accadde nulla. Poi apparvero delle lettere grigio scuro su
uno sfondo nero. Un umano avrebbe visto solo uno schermo
completamente vuoto. Per un vampiro, con la sua elevata capacità visiva, il
grigio sul nero era fioco ma visibile.
117
Stanco di quei lapislazzuli?
Vuoi andartene in vacanza alle Hawaii?
Stanco della solita cucina liquida?
Vieni a conoscere Shi no Shi.
Stefan stava per chiudere la pagina, ma qualcosa lo fermò. Si sedette a
guardare il piccolo messaggio pubblicitario, quasi invisibile, scritto sotto la
poesiola, fino a che sentì Elena alla porta. Chiuse velocemente il computer
e andò a prendere il cestino da picnic dalle sue mani. Non disse nulla del
messaggio né di quello che aveva visto sullo schermo del computer. Ma
quella notte non fece altro che pensarci.
«Oh! Stefan, mi spezzi le costole! Non mi fai respirare così!».
«Mi dispiace, avevo solo bisogno di stringerti».
«Be', ne ho bisogno anch'io».
«Grazie, angelo».
Nella stanza dall'alto soffitto tutto era silenzioso. Una finestra era aperta
e lasciava entrare la luce della luna. Nel cielo, anche il satellite sembrava
strisciare furtivo, e i suoi raggi si riflettevano sul pavimento di legno duro.
Damon sorrise. Aveva avuto una lunga giornata riposante e ora
intendeva trascorrere una notte interessante.
Passare attraverso la finestra non era stato facile come si aspettava.
Quando era arrivato, sotto forma di un grosso e lucente corvo nero,
pensava di posarsi sul davanzale e assumere una forma umana per aprire la
finestra. Ma la finestra aveva una trappola... era collegata tramite il Potere
a uno dei due dormienti. Damon si stava arrovellando il cervello,
lisciandosi furiosamente le penne, con il timore di esercitare anche la più
piccola pressione sul quel sottile legame, quando qualcosa gli giunse
accanto con un frullo d'ali.
Non assomigliava a nessuno dei consueti corvi catalogati dagli
avvistamenti degli ornitologi. Era piuttosto lucido, ma le sue ali erano
orlate di rosso scarlatto e aveva un paio di scintillanti occhi dorati.
Shinichi?, chiese Damon.
Chi altri?, fu la risposta mentre gli occhi d'oro si posavano su di lui.
Vedo che hai un problema. Ma si può risolvere. Renderò il loro sonno più
profondo così potrai tagliare il legame.
No!, disse Damon di riflesso. Se provi a toccare uno di loro due,
Stefan...
La risposta giunse con un tono tranquillizzante. Stefan è solo un
118
ragazzo, ricordi? Fidati di me. Ti fidi di me, non è vero?
E funzionò proprio come l'uccello dai colori demoniaci aveva detto. I
due addormentati dormirono più profondamente, sempre più immobili.
Un attimo più tardi la finestra si aprì, Damon cambiò forma ed entrò.
Suo fratello e... e lei... colei che lui doveva sempre guardare... lei giaceva
addormentata, i capelli d'oro sul cuscino e sul corpo di suo fratello.
Damon distolse lo sguardo. In un angolo, su una scrivania, c'era un
computer un po' datato, di medie dimensioni. Vi si avvicinò e, senza la
minima esitazione, lo accese. I due sul letto non si mossero.
Cercò tra i file. Diario. Che nome originale. Damon lo aprì e ne esaminò
il contenuto.
Caro diario,
stamattina mi sono svegliata e... meraviglia delle meraviglie... sono di nuovo io.
Cammino, parlo, bevo, bagno il letto (be', non ci ho ancora provato, ma sono sicura
che ci riuscirei se ci provassi).
Sono tornata.
È stato un viaggio infernale.
Sono morta, carissimo diario, morta sul serio. E poi sono morta come vampiro. E
non aspettarti che io descriva ciò che è successo entrambe le volte... credimi; avresti
dovuto esserci.
La cosa importante è che ero andata via, ma ora sono tornata di nuovo... e, caro
paziente amico che conservi i miei segreti sin dall'asilo, sono così felice di essere
tornata.
Alla voce "contro", c'è il fatto che non vivrò più con zia Judith o Margaret.
Pensano che io "riposi in pace" con gli angeli. Alla voce "pro", c'è che posso vivere
con Stefan.
Questa è la ricompensa per tutto quello che ho passato... non so come
ricompensare coloro che sono arrivati fino ai cancelli dell'inferno per me. Oh, sono
stanca e, posso ben dirlo, ansiosa di trascorrere la notte con il mio tesoro.
Sono molto felice. Abbiamo passato una bella giornata, tra risate e amore, a
guardare le facce di ognuno dei miei amici quando hanno visto che sono viva! (E non
sono pazza anche se credo di aver agito da pazza negli ultimi giorni. Onestamente,
penseresti che i Grandi Spiriti del Cielo mi abbiano fatto ricadere quaggiù con tutte le
rotelle a posto. Oh, be'...).
Ti voglio bene,
Elena
Gli occhi di Damon lessero queste righe con impazienza. Cercava
qualcosa di piuttosto diverso. Ah, sì. Qualcosa come:
Mia carissima Elena,
119
sapevo che prima o poi avresti letto queste parole. Spero che tu non debba vederle
affatto. Se stai leggendo, allora Damon è un traditore, oppure qualcosa è andato
terribilmente storto.
Un traditore? Sembrava un po' forte, pensò Damon, ferito, ma anche
arso dal desiderio di andare avanti con il suo compito.
Andrò nei boschi a parlargli questa notte... se non tornerò saprai da dove
cominciare a fare domande. La verità è che non capisco esattamente la situazione.
Oggi Damon mi ha mandato un biglietto con un indirizzo web. Ho messo il biglietto
sotto il tuo cuscino, amore.
Oh, dannazione, pensò Damon. Sarebbe stato difficile prendere quel
biglietto senza svegliarla. Ma doveva farlo.
Elena, segui il link sul sito. Dovrai usare i comandi per la luminosità perché è stato
creato appositamente per i vampiri. Quello che il link sembra dire è che c'è un posto
chiamato Shi no Shi... tradotto letteralmente vuol dire Morte della Morte, dove sono
in grado di annullare la maledizione che grava su di me da più di mezzo millennio.
Usano una combinazione di magia e scienza per trasformare i vampiri in normali
uomini e donne, ragazzi e ragazze.
Se davvero sono in grado di farlo, Elena, potremo stare insieme per la durata della
vita delle persone normali. È tutto ciò che chiedo alla vita.
Lo voglio. Voglio avere la possibilità di starti davanti come un normale umano che
respira e mangia.
Ma non temere. Vado solo a parlarne con Damon. Non hai bisogno di chiedermi di
rimanere. Non ti lascerei mai con tutto quello che sta succedendo adesso a Fell's
Church. È troppo pericoloso per te, soprattutto con il tuo nuovo sangue e la tua nuova
aura.
Mi rendo conto che mi affido a Damon più di quanto dovrei. Ma di una cosa sono
certo: non ti farebbe mai del male. Ti ama. Come potrebbe farne a meno?
Eppure, devo almeno incontrarlo, alle sue condizioni: da solo in un luogo
particolare del bosco. Poi vedremo quello che c'è da vedere.
Come ho detto, se stai leggendo questa lettera significa che qualcosa è andato
drasticamente storto. Abbi cura di te, amore. Non aver paura. Abbi fiducia in te. E
fidati dei tuoi amici. Tutti loro possono aiutarti.
Mi fido dell'istinto di protezione che Matt ha nei tuoi confronti, del giudizio di
Meredith e dell'intuito di Bonnie. Di' loro di ricordarlo.
Spero che tu non debba mai leggere questo, con tutto il mio amore, il mio cuore, la
mia anima,
Stefan
P.S. Nel caso, ci sono ventimila dollari in banconote sotto la seconda asse a partire
120
dalla parete perpendicolare al letto. In questo momento sopra c'è la sedia a dondolo.
Se sposti la sedia vedrai chiaramente la crepa.
Damon cancellò accuratamente le parole di quel file. Poi, sollevando
maliziosamente un angolo della bocca, digitò silenziosamente delle nuove
parole con un significato decisamente diverso. Le rilesse. Un sorriso
luminoso gli si dipinse sul viso. Aveva sempre immaginato di essere uno
scrittore; non aveva seguito nessun corso, naturalmente, ma sentiva di
avere talento.
E quello era il Passo Numero Uno, pensò Damon, salvando il file con le
sue parole al posto di quelle di Stefan.
Poi, senza far rumore, si avvicinò a Elena che dormiva, abbracciata a
Stefan sul piccolo letto.
Adesso il Passo Numero Due.
Lentamente, molto lentamente, Damon fece scivolare le dita sotto il
cuscino sul quale riposava Elena. Sentì al tatto i suoi capelli, sparsi e
inondati di luce lunare, e il contatto risvegliò in lui un dolore più grande
nel petto che non nei canini. Infilando poco a poco le dita sotto il cuscino,
cercò qualcosa di liscio.
Elena mormorò nel sonno e si girò all'improvviso. Damon quasi saltò
indietro nell'oscurità, ma gli occhi di Elena erano chiusi, e le sue ciglia una
spessa mezzaluna, nera come inchiostro, sul suo volto.
Ora era di fronte a lui, ma stranamente Damon non si scoprì a cercare le
vene azzurrine sulla sua pelle candida e liscia, ma a fissare affamato le sue
labbra socchiuse. Erano quasi irresistibili. Persino nel sonno avevano il
colore dei petali di rosa, lievemente umide e aperte in quel modo...
Posso farlo con molta delicatezza. Lei non lo saprà mai. Potrei, so che
potrei. Mi sento invincibile stanotte.
Mentre si chinava su di lei, le sue dita toccarono il cartoncino.
Il contatto sembrò scuoterlo bruscamente da un mondo di sogno. Cosa
gli era venuto in mente? Rischiare tutto, tutti i suoi piani, per un bacio? Ci
sarebbe stato tempo a volontà per i baci, e altre e molto più importanti
cose... più tardi.
Sfilò il biglietto da sotto il cuscino e lo mise in tasca.
Poi divenne un corvo e sparì oltre il davanzale.
Stefan aveva da tempo perfezionato l'arte di dormire solo fino a un certo
momento e poi svegliarsi. Lo fece adesso, dando un'occhiata all'orologio
sulla mensola del caminetto per avere la conferma che fossero esattamente
121
le quattro del mattino.
Non voleva svegliare Elena.
Si vestì senza far rumore e uscì dalla finestra come aveva fatto suo
fratello... ma in forma di falco. In qualche modo, era certo che Damon si
stesse facendo prendere in giro da qualcuno che usava i malach allo scopo
di farne un suo burattino. E Stefan, con ancora in circolo il sangue di
Elena, sentiva di avere il dovere di fermare questo qualcuno.
Il biglietto che Damon gli aveva mandato lo aveva indirizzato all'albero
contro il quale erano andati a sbattere gli umani. Damon voleva continuare
a tornare presso quell'albero fino a che non fosse risalito dai malach
burattini al loro burattinaio.
Scese in picchiata, si fermò lasciandosi trasportare dall'aria e fece quasi
venire un attacco di cuore a un topo, piombandovi sopra all'improvviso
prima di sfrecciare nuovamente verso l'alto.
E poi, a mezz'aria, visti i segni di una macchina contro un albero, si
trasformò da splendido falco in un giovane dai capelli scuri, il viso pallido
e gli occhi di un verde intenso.
Scese lentamente, come un fiocco di neve, verso il suolo e guardò in
ogni direzione, usando tutti i suoi sensi da vampiro per testare la zona.
Non avvertì nulla di pericoloso; nessuna animosità, solo gli inequivocabili
segni della violenta lotta dell'albero. Mantenne le sembianze umane per
arrampicarsi sull'albero che conservava l'impronta medianica di suo
fratello.
Non aveva freddo mentre risaliva la quercia sulla quale aveva sostato
Damon quando l'incidente aveva avuto luogo. Aveva ancora troppo del
sangue di Elena che gli scorreva dentro per sentire freddo. Ma era conscio
del fatto che quella zona del bosco fosse particolarmente fredda, che ci
fosse qualcosa a mantenerla tale. Perché? Aveva già rivendicato i fiumi e i
boschi che si estendevano nei dintorni di Fell's Church, dunque perché
insediarsi qui senza dirglielo? Qualunque cosa fosse, avrebbe dovuto
comunque presentarsi davanti a lui, se voleva rimanere a Fell's Church.
Perché aspettare?, si chiese, appollaiandosi su un ramo.
Avvertì la presenza di Damon che si avvicinava ancora prima di quanto i
suoi sensi avrebbero fatto nei giorni precedenti alla trasformazione di
Elena, e riuscì a trattenere un sussulto. Si girò, invece, con le spalle rivolte
al tronco e guardò di fronte a sé. Sentiva che Damon si affrettava verso di
lui, sempre più veloce, sempre più forte: e poi Damon avrebbe dovuto
essere lì, davanti a lui, ma non fu così.
122
Stefan corrugò la fronte.
«Vale sempre la pena di guardare in alto, fratellino», lo ammonì una
voce suadente sopra di lui, e poi Damon, che era attaccato all'albero come
una lucertola, fece un balzo in avanti e atterrò sul ramo.
Stefan non disse nulla e rimase a guardare il fratello maggiore. Alla fine
disse: «Sei di buon umore».
«Ho avuto una giornata meravigliosa», disse Damon. «Vuoi che ti faccia
l'elenco? C'era la ragazza del negozio di cartoline... Elizabeth e la mia cara
amica Damaris, il cui marito lavora a Bron-ston, e la piccola giovane
Teresa, che fa la volontaria in biblioteca, e...».
Stefan sospirò: «A volte penso che saresti in grado di ricordarti il nome
di ogni ragazza a cui hai succhiato il sangue in tutta la tua vita, ma
dimenticheresti puntualmente il mio nome», disse.
«Sciocchezze, fratellino. Ora, poiché Elena senza dubbio ti ha spiegato
quello che è successo quando ho cercato di salvare la tua strega in
miniatura, Bonnie, credo di dover ricevere delle scuse».
«E poiché tu mi hai mandato un messaggio che posso interpretare solo
come provocatorio, credo davvero di meritare una spiegazione».
«Prima le scuse», scandì Damon. E poi, con un tono di sopportazione:
«Sono sicuro che tu creda sia già abbastanza brutto aver promesso a Elena,
quando stava morendo, che avresti badato a me... per sempre. Ma sembra
che tu non ti renda mai conto che io ho dovuto promettere la stessa cosa, e
non sono proprio il tipo da fare il babysitter. Ora che non è più morta, forse
dovremmo semplicemente dimenticarcene».
Stefan sospirò ancora. «D'accordo, d'accordo. Ti chiedo scusa. Ho
sbagliato. Non avrei dovuto cacciarti. Può bastare?»
«Non sono sicuro che tu sia proprio sincero. Prova di nuovo, con
sentirne...».
«Damon, nel nome di Dio, di cosa parla il sito?»
«Oh. Ho pensato che fosse abbastanza astuto: usano dei colori così
simili che solo i vampiri o le streghe sono in grado di leggere quello che
per gli umani non sarebbe che uno schermo vuoto».
«Ma come hai fatto a trovarlo?»
«Te lo dico tra un attimo. Ma pensaci, fratellino. Tu ed Elena, in perfetta
luna di miele, semplicemente altri due umani in un mondo di umani. Prima
ci vai, prima potrai cantare "Din don, il cadavere è morto"!».
«Voglio ancora sapere come ti è capitato di imbatterti in quel sito».
«D'accordo. Lo ammetto: alla fine mi sono fatto fregare dall'era della
123
tecnologia. Ho il mio sito personale. E un ragazzo molto disponibile mi ha
contattato solo per vedere se volevo dire sul serio quello che avevo scritto
oppure se ero solo un idealista frustrato. Ho pensato che quella descrizione
ti si adatta».
«Tu... un sito? Non ci credo...».
Damon lo ignorò. «Ho diffuso il messaggio perché avevo già sentito
parlare del posto, Shi no Shi».
«La Morte della Morte».
«È così che mi è stato tradotto». Damon rivolse a Stefan un sorriso da un
migliaio di kilowatt, un sorriso così penetrante che Stefan, alla fine, si
spostò, con la sensazione di essere rimasto esposto al sole senza il suo
anello.
«E a dimostrazione di ciò», continuò loquace Damon, «ho invitato
proprio quel tipo a venire a spiegartelo».
«Hai fatto cosa?»
«Dovrebbe essere qui esattamente alle 4,44. Non prendertela con me per
la scelta dell'orario; è qualcosa di molto speciale per lui».
E poi, quasi impercettibilmente, e certamente senza alcun Potere che
Stefan riuscisse ad avvertire, qualcosa atterrò sull'albero sopra di loro e si
lasciò cadere sul loro ramo, trasformandosi nel frattempo.
Era, davvero, un giovane con i capelli neri orlati di rosso e un paio di
placidi occhi dorati.
Quando Stefan si voltò verso di lui, alzò entrambe le mani in segno di
resa.
«Chi diavolo sei?»
«Sono il diavolo Shinichi», rispose disinvolto il giovane. «Ma come ho
detto a tuo fratello, la maggior parte della gente mi chiama solo Shinichi.
Ovviamente, sta a te».
«E tu sai tutto dello Shi no Shi».
«Nessuno può saperne tutto. È un posto... e anche un'organizzazione. Ne
ho un debole perché...», Shinichi sembrava timido, «be', immagino che mi
piaccia aiutare la gente».
«E ora vuoi aiutare me».
«Se davvero vuoi diventare umano... conosco un modo».
«Vi lascio da soli a parlarne, va bene?», disse Damon. «Tre sono una
folla, specialmente su questo ramo».
Stefan si voltò a guardarlo bruscamente. «Se hai anche la minima
intenzione di fare una sosta alla pensione...».
124
«Con Damaris che mi sta già aspettando? Suvvia, fratellino». E Damon
assunse la forma di corvo prima che Stefan potesse chiedergli di dargli la
sua parola.
Elena si rigirò nel letto, allungando automaticamente la mano sul caldo
corpo accanto a lei. Ciò che le sue dita trovarono fu un freddo
affossamento con la forma di Stefan. Aprì gli occhi. «Stefan?».
Che caro. Erano così in sintonia che sembrava fossero un'unica persona:
sapeva sempre quando lei stava per svegliarsi. Probabilmente era sceso per
prenderle la colazione – la signora Flowers gliela teneva da parte fumante
quando scendeva (ulteriore prova che si trattava di una strega di quelle
bianche) – e Stefan portava su il vassoio.
«Elena», disse, provando la sua vecchia-nuova voce solo per sentirsi
parlare, «Elena Gilbert, ragazza, tu hai fatto troppe colazioni a letto». Si
diede un colpetto sulla pancia. Sì, aveva decisamente bisogno di
ginnastica.
«Va bene, allora», disse, sempre ad alta voce. «Cominciamo con un po'
di riscaldamento e respirazione. E poi un po' di stretching leggero». Tutto
questo, pensò, l'avrebbe interrotto quando Stefan si fosse fatto vivo.
Ma Stefan non comparve, neanche quando lei si stese esausta dopo
un'ora di esercizi.
E non stava neanche per le scale con la sua tazza di tè.
Ma dov'era?
Elena guardò fuori dalla finestra a specchio e intravide la signora
Flowers.
Il cuore di Elena aveva cominciato a battere forte durante i suoi esercizi
aerobici e non aveva mai rallentato del tutto il ritmo. Nonostante fosse
impossibile cominciare una conversazione del genere in quel modo con la
signora Flowers, gridò: «Signora Flowers?».
E, meraviglia delle meraviglie, la signora si fermò mentre stava
stendendo un lenzuolo sulla corda da bucato e guardò in alto. «Sì, Elena
cara?»
«Dov'è Stefan?».
Il lenzuolo svolazzò attorno alla signora Flowers, nascondendola alla
vista. Quando il lenzulo si distese nuovamente, lei non c'era più.
Ma Elena aveva posato lo sguardo sulla cesta da bucato. Era ancora lì.
Gridò: «Non vada via!». Corse a mettersi i jeans e il nuovo top azzurro.
Poi, saltellando giù per le scale mentre si abbottonava, irruppe nel giardino
125
sul retro.
«Signora Flowers!».
«Sì, Elena cara?». Elena riusciva a vederla appena tra metri svolazzanti
di tessuto bianco. «Ha visto Stefan?»
«Non questa mattina, cara».
«Per nulla?»
«Mi alzo all'alba, regolarmente. A quell'ora la sua auto non c'era e non è
tornato».
Ora il cuore di Elena stava martellando sul serio. Aveva sempre temuto
una cosa del genere. Fece un profondo respiro e corse su per le scale senza
fermarsi.
Biglietto, biglietto...
Non l'avrebbe mai lasciata senza un biglietto. E sul cuscino di lui non ce
n'era nessuno. Poi pensò al proprio cuscino.
Con le mani rovistò affannosamente e poi provò sotto l'altro cuscino.
All'inizio non li aveva girati, perché voleva disperatamente che il biglietto
fosse lì sotto... e perché aveva davvero paura di quello che poteva esservi
scritto.
Alla fine, quando fu evidente che sotto quei cuscini altro non c'era se
non il lenzuolo, li lanciò via e si mise a fissare lo spazio vuoto e bianco.
Poi scostò il letto dalla parete, nel caso in cui il biglietto fosse scivolato lì
dietro.
In qualche modo sentiva che, se avesse continuato a cercare, l'avrebbe
trovato. Alla fine, aveva disfatto completamente il letto e fissato di nuovo
le lenzuola bianche, con uno sguardo d'accusa, facendovi scorrere sopra le
mani più e più volte.
Ma doveva essere una cosa buona, perché voleva dire che Stefan non era
andato da nessuna parte... tranne che, avendo lasciato aperta l'anta
dell'armadio, poté vedere, senza neanche volerlo, un mucchio di stampelle
vuote.
Si era portato via tutti i vestiti.
E c'era spazio anche sul fondo dell'armadio.
Si era portato via anche tutte le scarpe.
Non che ne avesse avute tante. Ma tutto ciò che gli serviva per fare un
viaggio, non c'era più... e lui non c'era più.
Perché? Dove? Come aveva potuto?
Se anche fosse andato via alla ricerca di un nuovo posto in cui stare,
come aveva potuto? Lo aspettava una litigata furibonda al suo ritorno...
126
...se fosse tornato.
Raggelata fino alle ossa, consapevole delle lacrime che le scorrevano
involontarie e inosservate sulle guance, stava per chiamare Meredith e
Bonnie quando le venne in mente qualcosa.
Il suo diario.
17
Nei giorni successivi al ritorno di Elena dall'aldilà, Stefan l'aveva
sempre messa a letto presto, assicurandosi che stesse calda, e poi le aveva
permesso di lavorare al computer insieme a lui, scrivendo una specie di
diario con i suoi pensieri riguardo a ciò che era successo durante il giorno,
aggiungendovi sempre le proprie impressioni.
Elena aprì il file disperata, e disperata lo scorse fino alla fine.
Mia carissima Elena,
sapevo che prima o poi avresti cercato qui. Spero sia stato prima.
Tesoro, credo che tu sia in grado di prenderti cura di te stessa adesso, non ho mai
conosciuto una ragazza più forte e più indipendente.
E questo significa che è tempo. È tempo che io vada. Rimanere più a lungo
significherebbe trasformarti di nuovo in vampiro... cosa che, come sappiamo bene,
non può accadere.
Ti prego, perdonami. Ti prego, dimenticami. Oh, amore, non voglio andare via, ma devo
farlo.
Se hai bisogno di aiuto, Damon mi ha dato la sua parola che ti proteggerà. Non ti
farebbe mai del male, e qualunque cosa stia succedendo a Fell's Church, non
oserebbero toccarti con lui intorno.
Tesoro mio, mio angelo, ti amerò per sempre...
Stefan
P.S. Per aiutarti ad andare avanti con la tua vita reale, ho lasciato del denaro per
pagare alla signora Flowers la stanza per un anno.
Inoltre, ti ho lasciato ventimila dollari sotto la seconda asse del pavimento a partire
dalla parete perpendicolare al letto. Usali per costruirti un nuovo futuro, con chiunque
tu scelga.
E, di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, Damon ti aiuterà. Fidati del suo giudizio nel
caso tu abbia bisogno di un consiglio. Oh, mio piccolo amore, come faccio ad andare
via? Anche se è per il tuo bene?
Finì di leggere la lettera. E poi rimase lì seduta.
Dopo tutta quella ricerca, aveva trovato la risposta.
127
E non sapeva cos'altro fare adesso se non mettersi a gridare.
Se hai bisogno di aiuto, vai da Damon... Fidati del giudizio di Damon...
Non avrebbe potuto essere una pubblicità più sfacciata per Damon se
l'avesse scritta lui stesso.
E Stefan non c'era più. E i suoi abiti non c'erano più. E i suoi stivali non
c'erano più.
L'aveva lasciata.
Fatti una nuova vita...
E fu così che Bonnie e Meredith la trovarono, allarmate, dopo un'ora di
telefonate senza risposta. Era la prima volta che non erano riuscite a
comunicare con Stefan da quando era arrivato, su loro richiesta, per
uccidere un mostro. Ma quel mostro ora era morto, ed Elena...
Elena era seduta di fronte all'armadio di Stefan.
«Si è portato perfino le scarpe», disse lei, impassibile e pacata. «Si è
preso tutto. Ma ha pagato la stanza per un anno. E ieri mattina mi ha
comprato una Jaguar».
«Elena...».
«Non capite?», gridò Elena. «Questo è il mio Risveglio. Bonnie aveva
previsto che sarebbe stato brusco e improvviso e che avrei avuto bisogno
di voi due. E Matt?»
«Non è stato fatto il suo nome», disse Bonnie, scura in volto.
«Ma credo che ci servirà il suo aiuto», disse Meredith risolutamente.
«Quando all'inizio io e Stefan stavamo insieme, prima che io diventassi
un vampiro, avevo sempre saputo», sussurrò Elena, «che sarebbe arrivato
il momento in cui avrebbe cercato di lasciarmi per il mio bene». Colpì
all'improvviso il pavimento con un pugno, abbastanza forte da farsi male.
«Lo sapevo, ma pensavo che avrei potuto dissuaderlo! Lui è così nobile,
altruista! E adesso... se n'è andato».
«A te non interessa sul serio», disse pacatamente Meredith, guardandola,
«rimanere umana o diventare un vampiro».
«Hai ragione... non mi interessa! Non mi interessa di nient'altro fino a
che posso stare con lui. Quando ero ancora un mezzo spirito, sapevo che
nulla avrebbe potuto Cambiarmi. Ora sono umana e suscettibile al
Cambiamento proprio come ogni altro umano... ma non ha importanza».
«Forse è il Risveglio», disse Meredith, sempre con calma.
«Oh, forse il fatto che lui non le abbia portato la colazione è il
Risveglio!», disse, esasperata, Bonnie. Aveva fissato una fiamma per più di
trenta minuti, cercando di entrare in contatto psichico con Stefan. «O non
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vuole... o non può», disse, senza guardare Meredith che scuoteva il capo.
«Cosa intendi con "non può"?», chiese Elena, saltando in piedi dal
pavimento su cui era accasciata.
«Non lo so! Elena, mi stai facendo male!».
«È in pericolo? Pensaci, Bonnie! Gli verrà fatto del male a causa mia?».
Bonnie guardò Meredith, che le telegrafava "no" con ogni centimetro del
suo corpo elegante. Poi guardò Elena, che esigeva la verità. Chiuse gli
occhi.
«Non sono sicura», disse.
Aprì lentamente gli occhi, aspettando che Elena esplodesse. Ma Elena
non fece nulla del genere. Chiuse solo lentamente gli occhi, mentre le sue
labbra si indurirono.
«Molto tempo fa, ho giurato che l'avrei avuto, anche se questo ci avesse
uccisi entrambi», disse tranquillamente. «Se pensa di potersene andare così
via da me, per il mio bene o per qualunque altra ragione... si sbaglia.
Andrò prima da Damon, visto che Stefan sembra volere questo. E poi
andrò a cercarlo. Qualcuno saprà indicarmi una direzione da cui
cominciare. Mi ha lasciato ventimila dollari: li userò per seguirlo. E se la
macchina si guasta, andrò a piedi; e quando non riuscirò più a camminare,
striscerò. Ma lo troverò».
«Non da sola, non lo farai», disse Meredith, con il suo modo dolce e
rassicurante. «Noi siamo con te, Elena».
«E allora, se ha fatto questo di sua spontanea volontà, si prenderà il più
grosso ceffone della sua vita».
«Tutto quello che vuoi, Elena», disse Meredith, sempre con fare
rassicurante. «Prima troviamolo».
«Una per tutte e tutte per una!», esclamò Bonnie. «Lo riporteremo
indietro e lo faremo pentire... oppure no», aggiunse frettolosamente
vedendo che Meredith scuoteva di nuovo la testa. «Elena, no! Non
piangere», aggiunse, un attimo prima che Elena scoppiasse in lacrime.
«Dunque è stato Damon a dire che si sarebbe preso cura di Elena, e
Damon dovrebbe essere stato l'ultimo a vedere Stefan questa mattina»,
disse Matt, dopo che andarono a prenderlo a casa sua e gli spiegarono la
situazione.
«Sì», disse Elena, con sicurezza. «Ma, Matt, ti sbagli se pensi che
Damon farebbe qualsiasi cosa per tenere Stefan lontano da me. Damon non
è quello che tutti voi pensate. Ha cercato sul serio di salvare Bonnie quella
129
notte. E si è sentito sinceramente ferito quando voi tutti lo avete odiato».
«Questa è ciò che si chiama "dimostrazione del movente", credo», fece
notare Meredith.
«No, è una dimostrazione del carattere... La dimostrazione che Damon
ha dei sentimenti, che può preoccuparsi degli essere umani», ribatté Elena.
«E non farebbe mai del male a Stefan perché... be', per me. Sa come mi
sentirei».
«Be', perché allora non mi risponde?», chiese quasi piagnucolando
Bonnie.
«Forse perché l'ultima volta che ci ha visti insieme lo stavamo fissando
con odio», disse Meredith, che era sempre imparziale.
«Digli che gli chiedo scusa», insisté Elena. «Digli che voglio parlare con
lui».
«Mi sento un satellite per le telecomunicazioni», si lamentò Bonnie, ma
mise chiaramente tutta se stessa e la sua forza in ogni invocazione. Alla
fine, sembrava totalmente sfinita ed esausta.
E persino Elena dovette ammettere che non era un buon segno.
«Forse ritornerà in sé e comincerà a chiamarti lui», disse Bonnie, «forse
domani».
«Rimarremo con te questa notte», disse Meredith. «Bonnie, ho chiamato
tua sorella e le ho detto che saresti stata con me. Adesso chiamo mio padre
e gli dico che rimarrò con te. Matt, tu non sei invitato...».
«Grazie», disse seccamente Matt. «Devo anche tornarmene a casa a
piedi?»
«No, puoi prenderti la mia macchina», disse Elena. «Ma, per favore,
riportala qui domani mattina presto. Non voglio che la gente cominci a
fare domande».
Quella notte, le tre ragazze cominciarono a sistemarsi, come scolarette,
tra le lenzuola e le coperte di riserva della signora Flowers (non c'era da
meravigliarsi che ne avesse lavate così tante quel giorno... doveva averlo
saputo in qualche modo, pensò Elena), con i mobili spinti contro le pareti e
tre sacchi a pelo improvvisati sul pavimento. Le loro teste erano unite e i
corpi erano disposti come i raggi di una ruota.
Elena pensò: Dunque è questo il Risveglio.
È la consapevolezza che, dopo tutto, posso di nuovo rimanere sola. E,
sì, sono grata di avere Meredith e Bonnie che si dedicano anima e corpo a
me. Non riesco a dire loro quanto significhi per me.
Era andata automaticamente al computer, per scrivere un po' sul suo
130
diario.
Dopo le prime parole, però, si era ritrovata a piangere di nuovo, ed era
stata segretamente contenta quando Meredith l'aveva presa per le spalle e
l'aveva più o meno costretta a bere del latte caldo con vaniglia, cannella e
noce moscata, e quando Bonnie l'aveva aiutata a infilarsi nel sacco a pelo e
le aveva tenuto la mano fino a che non si era addormentata.
Matt era rimasto fino a tardi e il sole stava tramontando quando uscì per
tornare a casa. Era una gara contro l'oscurità, pensò a un tratto, rifiutando
di farsi distrarre dall'odore di auto nuova e costosa della Jaguar. Da
qualche parte, in fondo alla sua mente, stava riflettendo.
Non aveva voluto dire nulla alle ragazze, ma c'era qualcosa nel
messaggio d'addio di Stefan che lo disturbava. L'unica cosa era accertarsi
che non si trattasse semplicemente del proprio orgoglio ferito.
Perché Stefan non li aveva neanche nominati? Gli amici di vecchia data
di Elena, i suoi amici di sempre. Se si era dimenticato di Matt per il dolore
di lasciare per sempre Elena, avrebbe almeno potuto fare cenno alle
ragazze.
Cos'altro? C'era decisamente qualcos'altro, ma Matt non riusciva a
farselo venire in mente. Tutto ciò che aveva era una vaga, ondeggiante
immagine dell'ultimo anno di liceo e... sì, la signora Hilden, l'insegnante di
inglese.
Pur essendo perso in questi pensieri, Matt era attento alla guida. Non
c'era modo di evitare del tutto l'Old Wood lungo la strada a una carreggiata
che portava dalla pensione al centro abitato di Fell's Church. Ma guardava
avanti, mantenendosi all'erta.
Vide l'albero caduto non appena svoltò l'angolo e schiacciò in tempo il
freno, facendo stridere gli pneumatici, e ritrovandosi con l'auto girata quasi
a novanta gradi rispetto alla strada.
A quel punto doveva pensare.
La sua prima reazione istintiva fu: Chiama Stefan. Lui è in grado di
sollevare l'albero dal suolo. Ma poi ricordò in fretta, tanto che una
domanda scacciò via quel pensiero. Chiamo le ragazze?
Non poteva costringersi a farlo. Non era semplicemente una questione di
dignità maschile... c'era la concreta realtà dell'albero di fronte a lui. Anche
se ci si fossero messi tutti insieme, non sarebbero riusciti a spostarlo. Era
troppo grosso, troppo pesante.
Ed era praticamente messo di traverso sulla strada, come se volesse
131
separare la pensione dal resto della città.
Con cautela, Matt abbassò il finestrino dal lato del guidatore. Guardò
verso l'Old Wood per cercare di individuare le radici dell'albero, o, ammise
a se stesso, dei movimenti. Non ce n'erano.
Non riuscì a vederne le radici, ma l'albero sembrava troppo sano per
poter essere caduto così, in un assolato pomeriggio d'estate.
Niente vento, né pioggia, né fulmini, né castori. Neanche taglialegna,
pensò risolutamente.
Be', almeno il fosso sulla destra era poco profondo e la cima dell'albero
quasi non ci arrivava. Forse era possibile...
Movimento.
Non nella foresta, ma dall'albero di fronte a lui. Qualcosa stava agitando
i rami più alti, qualcosa più forte del vento.
Quando lo vide, non riuscì a crederci. Quella era una parte del problema.
L'altra era che stava guidando l'auto di Elena, non la sua. Così, mentre
cercava affannosamente a tentoni un modo per chiudere il finestrino, con
gli occhi incollati alla cosa che si stava staccando dall'albero, le mani gli
andavano nei posti sbagliati.
E come se non bastasse, la bestia era veloce.
Troppo veloce per essere reale.
La cosa successiva che Matt vide era quella che stava cercando di
scacciare dal finestrino.
Non sapeva cosa Elena avesse mostrato a Bonnie durante il picnic. Ma
se quello non era un malach, cosa diavolo poteva essere? Matt aveva
vissuto a contatto con il bosco per tutta la vita, e non aveva mai visto un
insetto lontanamente simile a quello.
Perché di un insetto si trattava. Sembrava fatto di corteccia, ma era solo
un fenomeno di mimetismo. Quando andò a colpire il finestrino dell'auto
alzato a metà, quando lui lo respinse con entrambe le mani, poté udire e
sentirne il rivestimento chitinoso. Era lungo quanto il suo braccio e
sembrava volasse facendo vorticare i tentacoli, cosa apparentemente
impossibile, ma di fatto si era infilato per metà dal finestrino.
Aveva l'aspetto di una sanguisuga o di un calamaro piuttosto che di un
insetto. I lunghi tentacoli, simili a serpenti, sembravano quasi viticci, ma
erano più spessi di un dito ed erano ricoperti di ventose, all'interno delle
quali c'era qualcosa di affilato. Denti. Uno dei tentacoli gli si attorcigliò al
collo, e Matt poté sentire il risucchio e il dolore allo stesso tempo.
Il viticcio aveva fatto tre o quattro giri attorno alla sua gola e ora stava
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stringendo. Dovette usare una mano per strapparselo via. Questo
significava una sola mano da usare contro la cosa priva di testa... che
all'improvviso, se non aveva occhi, mostrò invece di avere una bocca.
Come ogni parte di quella bestia, la bocca era simmetrica: era rotonda, con
i denti disposti a cerchio. Ma in fondo a quel cerchio Matt vide con orrore,
quando l'insetto gli tirò dentro il braccio, un paio di chele grandi
abbastanza da tagliare un dito.
Dio... no. Chiuse la mano a pugno, cercando disperatamente di colpirlo
dall'interno.
L'esplosione di adrenalina che lo invase dopo aver visto tutto ciò, gli
permise di strapparsi il tentacolo dalla gola, quando finalmente si
allentarono le ventose. Ma il braccio gli era stato inghiottito ben oltre il
gomito. Matt riuscì a colpire il corpo di quella specie di squalo.
Doveva tirar fuori il braccio. Dando colpi alla cieca, cercava di aprire la
bocca rotonda ma riuscì solo a strappare un pezzo di esoscheletro, che gli
andò a finire in grembo. Nel frattempo i tentacoli continuavano ad agitarsi,
a battere contro l'auto, cercando un modo per entrare. A un certo punto
sembrò quasi che quell'essere potesse ripiegare quelle cose simili a viticci
che si agitavano, e schiacciare l'auto contro il suo corpo.
Qualcosa di affilato graffiò le nocche di Matt. Le chele! Il suo braccio
era ormai totalmente bloccato. Anche se non faceva che pensare a come
uscirne, una parte di lui si chiedeva: Dov'è il suo stomaco? Questa bestia
non può esistere in natura.
Doveva liberare il suo braccio, subito. Stava per perdere la mano, come
se l'avesse infilata nel tritarifiuti e l'avesse azionato.
Si era già sganciato la cintura di sicurezza. Ora, con un violento
strattone, si slanciò alla sua destra, verso il sedile del passeggero. Sentì i
denti artigliargli il braccio mentre lo tirava fuori dalla bocca. Vide i lunghi
solchi sanguinolenti impressi sulla carne. Ma non aveva importanza.
L'unica cosa che ne aveva era essere riuscito a estrarre il braccio.
In quel momento, l'altra sua mano trovò il pulsante che azionava il
finestrino. Lo schiacciò per alzarlo, tirando a viva forza polso e mano fuori
dalla bocca dell'insetto proprio mentre il finestrino si chiudeva.
Si aspettava uno schiocco del guscio e sangue nero che, sgorgando fuori,
si sarebbe sparso sul fondo dell'auto nuova di Elena, come quella cosa
brulicante in Alien.
E invece l'insetto evaporò. Semplicemente... divenne trasparente e si
trasformò in minuscole particelle di luce che scomparvero sotto i suoi
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occhi.
Rimase con un braccio pieno di lunghi graffi insanguinati, la gola
tumefatta e le nocche dell'altra mano escoriate. Ma non perse tempo a
contare le sue ferite. Doveva trovare un modo per andarsene; i rami si
stavano muovendo nuovamente e non voleva aspettare di vedere se fosse il
vento.
C'era un solo modo. Il fosso.
Rimise l'auto in carreggiata e schiacciò a fondo l'acceleratore. Si diresse
verso il fosso, sperando che non fosse troppo profondo, sperando che
l'albero non bloccasse in qualche modo le gomme.
Ci fu un brusco salto che gli fece sbattere i denti, e la lingua in mezzo a
essi. E poi ci fu uno schiocco di rami e foglie sotto l'auto, e per un attimo
tutto si fermò. Ma Matt continuò a tenere premuto l'acceleratore più forte
che poteva, e a un tratto fu libero e sballottato mentre l'auto sbandava
verso il fosso. Cercò di controllarla e riuscì a tornare sulla strada con una
brusca sterzata a sinistra.
Stava iperventilando. Percorse le curve a quasi ottanta all'ora, con metà
della sua attenzione rivolta all'Old Wood... fino a che, all'improvviso,
fortunatamente, una solitaria luce rossa gli apparve come un faro nella
nebbia.
L'incrocio con Mallory. Dovette costringersi a un'altra brusca frenata, di
quelle che bruciano le gomme. Una svolta a destra e si era lasciato il bosco
alle spalle. Gli sarebbe toccato girare attorno a una dozzina di quartieri per
arrivare a casa, ma almeno si sarebbe tenuto alla larga da qualunque
gruppo d'alberi.
Era un giro molto lungo e, ora che il pericolo era passato, Matt cominciò
a sentire il dolore delle lacerazioni che aveva sul braccio. Giunto nei pressi
di casa, cominciò anche a sentirsi stordito. Si fermò sotto un lampione e
poi lasciò che l'auto procedesse lentamente nell'oscurità. Non voleva che
nessuno lo vedesse così scosso.
Avrebbe dovuto chiamare le ragazze, adesso? Avvertirle di non uscire
quella notte, perché il bosco era pericoloso? Ma lo sapevano già. Meredith
non avrebbe mai lasciato che Elena andasse all'Old Wood, non ora che era
umana. E Bonnie avrebbe piantato una grana se qualcuno avesse anche
solo parlato di andar fuori nel buio... Dopotutto, Elena le aveva mostrato
quelle cose che erano là fuori, no?
Malach. Una brutta parola per una creatura davvero orribile. Quello che
ci voleva era qualcuno che andasse a rimuovere l'albero. Ma non di notte.
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Nessun altro, quella notte, avrebbe percorso quella strada solitaria, e
mandare della gente laggiù... be', equivaleva a consegnarla al malach su un
piatto d'argento. Avrebbe chiamato la polizia come prima cosa l'indomani
mattina. Avrebbero pensato loro a trovare le persone adatte per spostare
quella cosa.
Era buio, e più tardi di quanto pensasse. Forse avrebbe dovuto chiamare
le ragazze comunque. Desiderava solo che gli si schiarisse la mente. I
graffi gli prudevano e bruciavano. Cominciava a trovare difficile anche
pensare. Forse se si fosse preso solo un momento per respirare...
Poggiò la fronte sul volante. E il buio lo avvolse.
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Matt si svegliò, confuso, ancora al volante dell'auto di Elena. Corse in
casa sulle gambe malferme, dimenticandosi di chiudere l'auto, e poi frugò
nelle tasche alla ricerca delle chiavi per aprire la porta sul retro. La casa
era al buio; i suoi genitori dormivano. Riuscì ad arrivare alla sua camera e
crollò sul letto senza neanche togliersi le scarpe.
Quando si risvegliò nuovamente, fu sorpreso di scoprire che erano le
nove del mattino e il suo cellulare stava squillando nella tasca dei jeans.
«Meredith?»
«Pensavamo che saresti venuto stamattina presto».
«Sì, vengo, ma prima devo capire come», disse Matt... o, piuttosto,
gracchiò. Si sentiva la testa due volte più pesante del normale e il braccio
quattro volte più grande.
Tuttavia, qualcosa in fondo alla sua mente stava riflettendo su come
arrivare alla pensione evitando accuratamente la strada dell'Old Wood. Alla
fine qualche neurone si accese e gli indicò il modo.
«Matt? Sei ancora lì?»
«Non ne sono sicuro. La scorsa notte... Dio, neanche ricordo la maggior
parte della notte scorsa. Ma sulla strada di casa... Senti, te lo racconto
quando arrivo. Prima devo chiamare la polizia».
«La polizia?»
«Sì... ascolta... dammi solo un'ora, ok? Sarò lì tra un'ora».
Quando finalmente arrivò alla pensione, erano quasi le undici. Una
doccia gli aveva schiarito la mente, anche se non aveva fatto granché per il
dolore lancinante al braccio. Fece la sua comparsa, e venne sommerso
dalle voci preoccupate delle ragazze.
135
«Matt, cosa è successo?».
Raccontò loro tutto quello che riusciva a ricordare. Quando Elena, con le
labbra strette, disfece la fasciatura che si era fatto attorno al braccio, tutte
loro trasalirono. Era evidente che i lunghi graffi si erano infettati.
«Sono velenosi, allora, questi malach».
«Sì», disse concisa Elena. «Velenosi per il corpo e per la mente».
«E tu credi che possano entrare dentro le persone?», chiese Meredith.
Stava scarabocchiando su una pagina di taccuino, cercando di disegnare
qualcosa che somigliasse alla descrizione fornita da Matt.
«Sì».
Per un breve attimo gli occhi di Elena e quelli di Meredith si
incrociarono... poi entrambe abbassarono lo sguardo. Alla fine, Meredith
disse: «E come facciamo a sapere se una creatura sia dentro... qualcuno...
oppure no?»
«Bonnie dovrebbe essere in grado di dirlo, in trance», disse pacatamente
Elena. «Anche io sarei in grado di dirlo, ma non userò il Potere Bianco per
questo. Andiamo giù dalla signora Flowers».
Lo disse in quel modo speciale che Matt aveva imparato a riconoscere
da tanto tempo, e significava che non era il caso di discutere. Aveva
puntato i piedi, questo era quanto.
E la verità era che a Matt non andava granché di discutere. Odiava
lamentarsi... aveva giocato intere partite di football con la clavicola rotta,
un ginocchio slogato, una distorsione alla caviglia... ma questa volta era
diverso. Sembrava che il braccio gli stesse per esplodere.
La signora Flowers era giù in cucina, ma sul tavolo del soggiorno
c'erano quattro bicchieri di tè freddo.
«Sono subito da voi», disse attraverso la mezza porta a vento che
divideva la cucina da dove erano loro. «Bevete il tè, soprattutto il
giovanotto ferito. Lo aiuterà a rilassarsi».
«Tè alle erbe», sussurrò Bonnie agli altri, come se fosse un segreto.
Il tè non era affatto male, anche se Matt avrebbe preferito una coca. Ma
quando pensò al tè come a una medicina, e con tutte le ragazze che lo
guardavano come falchi, cercò di buttarne giù metà prima che arrivasse la
padrona di casa.
La signora Flowers indossava il suo cappello da giardinaggio... o, per lo
meno, un cappello con dei fiori artificiali che sembrava fosse stato usato
per fare giardinaggio. Su un vassoio per biscotti portava una serie di arnesi
metallici che rilucevano, come se fossero stati appena bolliti.
136
«Sì, cara, lo sono», disse a Bonnie, che si era messa davanti a Matt,
come a proteggerlo. «Ero un'infermiera, proprio come tua sorella. Allora le
donne non venivano incoraggiate a diventare medici. Ma per tutta la vita
sono stata una strega. Fa sentire soli, non è vero?»
«Lei non sarebbe così sola», disse Meredith perplessa, «se vivesse più
vicino alla città».
«Ah, ma così avrei tutto il giorno gente che guarda la mia casa, o
bambini che si sfidano a correre e toccarla, o a lanciare un sasso contro la
mia finestra, o adulti che mi fissano ogni volta che vado a fare compere. E
come potrei occuparmi del mio giardino in santa pace?».
Fu il discorso più lungo che le avessero mai sentito pronunciare. Li colse
talmente di sorpresa che ci volle un po' prima che Elena dicesse: «Non
vedo come possa occuparsi del suo giardino in pace quaggiù. Con tutti i
cervi e i conigli e gli altri animali».
«Be', vedi, la maggior parte del giardino è per gli animali». La signora
Flowers sorrise serafica e il suo viso sembrò illuminarsi. «Di certo a loro
piace. Ma non gradiscono le erbe che coltivo per curare i graffi, i tagli, le
slogature e cose del genere. E forse sanno anche che sono una strega, visto
che mi lasciano sempre un pezzetto del giardino per me stessa e forse per
un ospite o due».
«Perché mi sta dicendo queste cose adesso?», chiese Elena. «Ci sono
state volte in cui la cercavo, o cercavo Stefan, quando pensavo... be', non
importa quello che pensavo. Ma non sono sempre stata sicura che lei ci
fosse amica».
«La verità è che con la vecchiaia sono diventata solitaria e poco
socievole. Ma adesso tu hai perso il tuo giovanotto, vero? Vorrei essermi
alzata un po' prima l'altra mattina. Così avrei potuto parlargli. Ha lasciato i
soldi per un anno d'affitto sul tavolo della cucina. Ho sempre avuto un
debole per lui, questa è la verità».
A Elena tremavano le labbra. Frettolosamente e con una buona dose di
eroismo, Matt alzò il braccio ferito. «Può aiutarmi con questo?», chiese,
togliendosi di nuovo la fasciatura.
«Oh, santo cielo! Che razza di animale te li ha fatti?», disse la signora
Flowers, esaminando i graffi mentre le tre ragazze si ritraevano.
«Pensiamo sia stato un malach», disse piano Elena. «Ne sa nulla?»
«Ho sentito questo termine, sì, ma non so nulla di preciso. Quanto è
passato da quando te li sei fatti?», chiese a Matt. «Sembrano più segni di
denti che di artigli».
137
«Lo sono», disse torvo Matt, e le descrisse il malach meglio che poteva.
In parte serviva a tenerlo distratto, perché la signora Flowers aveva preso
uno degli scintillanti strumenti dal vassoio e cominciato a fare delle cose al
suo braccio rosso e gonfio.
«Stringi più forte che puoi questo asciugamano», disse. «Questi si sono
già cicatrizzati, ma devono essere aperti e disinfettati bene. Farà male.
Perché una di voi, signorine, non gli tiene la mano per aiutarlo a tenere il
braccio fermo?».
Elena fece per alzarsi ma Bonnie la superò, saltando quasi sopra
Meredith per prendere la mano di Matt tra le sue.
Il drenaggio e la disinfezione furono dolorosi, ma Matt cercò di
affrontarli senza emettere suono, riuscendo persino a fare un debole sorriso
a Bonnie quando il sangue e il pus gocciolarono dal suo braccio. All'inizio
l'incisione fu dolorosa, ma l'allentarsi della pressione fu un sollievo, e
quando le ferite furono drenate e pulite e coperte da una compressa fredda
a base di erbe, Matt provò una beata sensazione di fresco e la certezza che
sarebbero guarite bene.
Fu mentre cercava di ringraziare la vecchia signora che notò Bonnie che
lo fissava. Anzi, gli fissava il collo. All'improvviso si mise a ridacchiare.
«Cosa? Cosa c'è di divertente?»
«L'insetto», disse lei, «ti ha fatto un succhiotto. A meno che tu l'altra
notte non abbia fatto qualcosa che non vuoi raccontare».
Matt, arrossendo, si tirò su il colletto. «Te l'ho detto, è stato il malach.
Mi ha messo attorno alla gola una specie di tentacolo con le ventose. Stava
cercando di strangolarmi!».
«Ora me lo ricordo», disse umilmente Bonnie. «Mi dispiace».
La signora Flowers aveva preparato un unguento alle erbe per il segno
che la ventosa gli aveva lasciato, e uno per le nocche escoriate. Una volta
applicato, Matt si sentì talmente bene da guardare timidamente Bonnie,
che ricambiò lo sguardo con i suoi grandi occhi marroni.
«Lo so che sembra un succhiotto», disse. «L'ho visto stamattina allo
specchio. E ne ho un altro più in basso, ma almeno il colletto quello lo
copre». Sbuffò e infilò la mano nella maglietta per applicare dell'altro
unguento. Le ragazze risero, finalmente la tensione si allentava.
Meredith aveva cominciato a risalire le scale per tornare a quella che
tutti loro ancora consideravano la stanza di Stefan, e Matt automaticamente
la seguì. Si accorse che Elena e Bonnie erano rimaste indietro solo quando
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era arrivato a metà scala, e Meredith gli fece segno di continuare a salire.
«Si stanno facendo delle confidenze», disse Meredith, con la sua voce
tranquilla, che non ammetteva assurdità.
«Su di me?», deglutì Matt. «Su quella cosa che Elena ha visto dentro
Damon, giusto? L'invisibile malach. Si chiedono se io ne abbia o no uno
dentro di me... adesso».
Meredith, che non era il tipo da nascondere nulla, annuì semplicemente.
Ma gli poggiò un attimo la mano sulla spalla entrando nella camera poco
illuminata e con il soffitto alto.
Poco dopo, Elena e Bonnie salirono, e Matt riuscì a capire subito dalle
loro facce che la previsione peggiore non si era avverata. Elena vide la sua
espressione e immediatamente andò da lui per abbracciarlo. Bonnie la
seguì, più timidamente.
«Ti senti bene?», chiese Elena.
Matt annuì. «Sto bene». Come un lottatore di wrestling, pensò. Non c'era
cosa più bella che abbracciare ragazze morbide morbide.
«Bene, il verdetto è che dentro di te non c'è niente che non abbia diritto
di esserci. La tua aura sembra limpida e forte adesso che non provi
dolore».
«Grazie a Dio», disse Matt seriamente.
Fu allora che il suo cellulare squillò. Aggrottò la fronte, perplesso alla
vista del numero sul display, ma rispose lo stesso.
«Matthew Honeycutt?»
«Sì».
«Attenda, prego».
Intervenne un'altra voce: «Il signor Honeycutt?»
«Uh, sì, ma...».
«Sono Rich Mossberg dell'ufficio dello sceriffo di Fell's Church. Lei ha
chiamato questa mattina per segnalare un albero caduto di traverso sulla
Old Wood Road?»
«Sì, io...».
«Signor Honeycutt, non ci piacciono questi scherzi telefonici. Anzi, li
disapproviamo. Rubano tempo prezioso ai nostri agenti e, inoltre, si dà il
caso che sia un crimine fornire false segnalazioni alla polizia. Se volessi,
signor Honeycutt, potrei accusarla di questo reato e mandarla davanti a un
giudice. Non vedo proprio cosa ci trovi di così divertente».
«Io non... io non ci trovo niente di divertente! Ascolti, la notte scorsa...».
La voce di Matt si affievolì. Cosa avrebbe detto? La notte scorsa un albero
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e un insetto mostruoso mi hanno teso un agguato? Una vocina dentro di
lui aggiunse che gli agenti dello sceriffo di Fell's Church a quanto pare
passavano gran parte del loro tempo prezioso attorno al Dunkin' Donuts
nella piazza del paese, ma le parole successive che sentì, la misero a
tacere.
«In effetti, signor Honeycutt, secondo il Codice dello Stato della
Virginia, paragrafo 18.2-461, fornire una falsa segnalazione è punibile
come violazione di Categoria 1. Potrebbe andare incontro a un anno di
galera o a una multa di venticinquemila dollari. Questo lo trova divertente,
signor Honeycutt?»
«Ascolti, io...».
«Ce li ha lei venticinquemila dollari, signor Honeycutt?»
«No, io... io...». Matt attese che la comunicazione si interrompesse ma
non fu così. Stava addentrandosi in una regione sconosciuta. Che dire? – È
stato il malach a portare via l'albero... o forse si è spostato da solo?
Assurdo. Alla fine, con voce incerta riuscì a dire: «Mi dispiace che non
abbiano trovato l'albero. Forse... in qualche modo è stato spostato».
«Forse in qualche modo è stato spostato», ripeté impassibile lo sceriffo.
«Anzi, forse si è spostato da solo nel modo in cui tutti quei segnali di stop
e di precedenza continuano a spostarsi dagli incroci. Le suona familiare,
signor Honeycutt?»
«No». Matt si accorse che stava arrossendo. «Non sposterei mai alcun
segnale stradale». A quel punto le ragazze si erano raccolte attorno a lui,
come se facendo gruppo potessero in qualche modo essere d'aiuto. Bonnie
gesticolava energicamente, e la sua espressione indignata rendeva
manifesta la sua intenzione di dirgliene personalmente quattro allo sceriffo.
«In effetti, signor Honeycutt», si intromise lo sceriffo Mossberg,
«abbiamo prima chiamato il suo numero di casa, poiché è quello il
telefono che ha usato per contattarci. E sua madre ha detto che non l'ha
vista affatto la notte scorsa».
Matt ignorò la vocetta che voleva ribattere: È un crimine per caso? «È
che sono stato trattenuto...».
«Da un albero semovente, signor Honeycutt? Anzi, abbiamo avuto già
un'altra chiamata riguardante casa sua, la notte scorsa. Un membro della
Vigilanza di Quartiere ha segnalato un'auto sospetta pressappoco di fronte
alla sua abitazione. Secondo sua madre, lei ha recentemente distrutto la sua
auto, non è vero, signor Honeycutt?».
Matt capì dove voleva andare a parare e la cosa non gli piaceva. «Sì», si
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sentì dire, mentre il suo cervello lavorava disperatamente per trovare una
spiegazione plausibile. «Stavo cercando di evitare di investire una volpe.
E...».
«Eppure c'è stata una segnalazione riguardo a una Jaguar nuova di zecca
in sosta di fronte a casa sua, abbastanza lontana dal lampione da risultare...
poco visibile. Un'auto così nuova da essere ancora senza targa. Era la sua
auto quella, signor Honeycutt?»
«Mio padre è il signor Honeycutt!», disse Matt, disperato. «Io sono
Matt. E quella era l'auto di un amico...».
«E il nome di questo amico è...?».
Matt fissò Elena. Lei gli faceva cenno di aspettare, cercando,
ovviamente, di pensare. Dire Elena Gilbert sarebbe stato un suicidio. La
polizia, più di chiunque altro, sapeva che Elena Gilbert era morta. Ora
Elena gli stava indicando la stanza e gli diceva qualcosa muovendo solo le
labbra.
Matt chiuse gli occhi e disse quelle parole: «Stefan Salvatore. Ma ha
dato l'auto alla sua ragazza?». Sapeva di aver finito la frase in modo che
sembrasse una domanda, ma non riusciva a credere a quello che Elena gli
stava suggerendo.
Ora lo sceriffo cominciava a sembrare stanco ed esasperato. «Lo stai
chiedendo a me, Matt? Così tu stavi guidando l'auto nuova di zecca della
ragazza del tuo amico. E il suo nome è...?».
Ci fu un breve istante in cui le ragazze sembrarono in disaccordo e Matt
rimase sospeso in una sorta di limbo. Ma poi Bonnie alzò le mani in segno
di resa e Meredith si fece avanti, indicando se stessa.
«Meredith Sulez», disse debolmente Matt. Si accorse dell'esitazione
nella sua voce e ripeté, rauco ma con più convinzione: «Meredith Sulez».
Elena stava sussurrando in fretta qualcosa all'orecchio di Meredith.
«E l'auto è stata acquistata dove? Signor Honeycutt?»
«Sì», disse Matt. «Solo un attimo...». Porse il telefono a Meredith che
aveva allungato la mano.
«Sono Meredith Sulez», disse Meredith tranquillamente, con il tono
rilassato e senza sbavature di un disc-jockey di musica classica.
«Signorina Sulez, ha ascoltato la conversazione dall'inizio?»
«Sì, sceriffo».
«Ha davvero prestato la sua automobile al signor Honeycutt?»
«Sì».
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«E dov'è il signor», si sentì un rumore di fogli, «Stefan Salvatore, il
proprietario dell'auto?».
Non le sta chiedendo dove l'abbiano comprata, pensò Matt. Doveva
saperlo.
«Il mio fidanzato è fuori città al momento», disse Meredith, sempre con
voce educata e composta. «Non so quando tornerà. Vuole che la faccia
richiamare?»
«Potrebbe essere una cosa saggia», disse seccamente lo sceriffo
Mossberg. «Di questi tempi sono poche le auto che vengono acquistate in
contanti, soprattutto Jaguar nuove di zecca. Vorrei anche il suo numero di
patente. E, sì, mi piacerebbe molto parlare con il signor Salvatore quando
tornerà».
«Potrebbe essere molto presto», disse Meredith, un po' lentamente, ma
seguendo le istruzioni di Elena. Poi gli recitò a memoria il proprio numero
di patente.
«Grazie», disse brevemente lo sceriffo Mossberg. «Sarà per...».
«Posso dire solo una cosa? Matt Honeycutt non andrebbe mai e poi mai
a spostare segnali di stop o di precedenza. È un guidatore coscienzioso ed
era un leader ai tempi del liceo. Può parlare con uno qualunque degli
insegnanti della Robert E. Lee High School o anche con la preside, se non
è in vacanza. Chiunque di loro le dirà la stessa cosa».
Lo sceriffo non sembrò impressionato. «Può dirgli da parte mia che lo
terrò d'occhio per il futuro. Anzi, potrebbe essere una buona idea se
passasse al Dipartimento oggi o domani», disse, dopo di che il telefono
divenne muto.
Matt esplose: «La ragazza di Stefan? Tu, Meredith? E se il
concessionario dice che la ragazza era bionda? Come ne usciremo?»
«Non lo faremo», disse semplicemente Elena da dietro a Meredith. «Lo
farà Damon. Tutto quello che dobbiamo fare è trovarlo. Sono sicura che
potrà occuparsi dello sceriffo Mossberg con un po' di controllo della
mente... se il prezzo è giusto. E non preoccuparti per me», aggiunse con
gentilezza. «Ti vedo perplesso, ma si risolverà tutto».
«Lo credi?»
«Ne sono sicura». Elena lo abbracciò nuovamente e lo baciò sulla
guancia.
«Be', mi tocca passare al Dipartimento dello sceriffo oggi o domani».
«Ma non da solo!», disse Bonnie, con gli occhi che sprizzavano
indignazione. «E quando Damon verrà con te, lo sceriffo Mossberg finirà
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per diventare il tuo miglior amico».
«Benissimo», disse Meredith, «allora, cosa facciamo oggi?»
«Il problema», riprese Elena, picchiettandosi un dito sul labbro
superiore, «è che abbiamo troppi problemi insieme e non voglio che
nessuno... e intendo, nessuno... esca da solo. È chiaro che ci siano i malach
nell'Old Wood, e che stiano cercando di farci cose niente affatto
amichevoli. Ucciderci, per dirne una».
Matt si sentì sollevato. La conversazione con lo sceriffo Mossberg lo
aveva scosso più di quanto volesse far vedere.
«Allora creiamo dei gruppi di lavoro», disse Meredith, «e dividiamo i
compiti. Quali sono i problemi che dobbiamo risolvere?».
Elena contò i problemi sulle dita. «Un problema è Caroline. Credo
davvero che qualcuno dovrebbe provare a passare da lei, almeno per
cercare di scoprire se ha uno di quei cosi dentro di sé. Un altro problema è
Tami... e chissà chi altri? Se Caroline è... contagiosa in qualche modo, può
aver infettato qualche altra ragazza... o ragazzo».
«Ok», disse Meredith, «e cos'altro?»
«C'è bisogno che qualcuno contatti Damon. E cerchi di scoprire da lui
cosa sa della partenza di Stefan, e anche di farlo venire con noi alla
Centrale per influenzare lo sceriffo Mossberg».
«Be', sarebbe meglio che tu fossi in quest'ultimo gruppo, visto che sei
l'unica con cui Damon parlerebbe», disse Meredith.
«E anche Bonnie, così può continuare...».
«No. Niente invocazioni oggi», pregò Bonnie. «Mi dispiace tanto, Elena,
ma non posso proprio, non senza un giorno di riposo. E poi, se Damon
vorrà parlare con te, tutto quello che devi fare è arrivare ai bordi del bosco,
senza entrarci... e chiamarlo. Lui sa tutto quello che sta succedendo. Saprà
che sei lì».
«Allora io dovrei andare con Elena», rifletté Matt, «visto che lo sceriffo
è un mio problema. Vorrei andare vicino al posto in cui ho visto
l'albero...».
Immediatamente vi fu un coro di proteste da parte delle tre ragazze.
«Ho detto che mi piacerebbe», disse Matt, «non che dobbiamo farlo. È
un posto troppo pericoloso».
«Va bene», disse Elena. «Quindi Meredith e Bonnie andranno a trovare
Caroline, e tu e io andremo alla ricerca di Damon, d'accordo? Preferirei
andare alla ricerca di Stefan, ma non abbiamo ancora abbastanza
informazioni».
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«Giusto, ma prima di andare, forse potreste passare a casa di Jim Bryce.
Matt ha la scusa per andarci in ogni momento... lo conosce. E così potrete
anche controllare l'evoluzione di Tami», suggerì Meredith.
«Sembrano i piani A, B e C», disse Elena, e poi, spontaneamente, tutti
risero.
Era una giornata limpida, con un sole bollente che splendeva sopra di
loro.
Alla luce del giorno, nonostante il piccolo fastidio della telefonata dello
sceriffo Mossberg, si sentivano tutti forti e capaci.
Nessuno di loro aveva idea che stavano per entrare nel peggior incubo
della loro vita.
Bonnie rimase indietro mentre Meredith bussava alla porta di casa
Forbes.
Nessuno rispose, si sentiva solo uno strano silenzio all'interno e
Meredith bussò ancora.
Questa volta Bonnie percepì dei sussurri, la signora Forbes che sibilava
qualcosa, e la risata lontana di Caroline.
Alla fine, proprio mentre Meredith stava per suonare il campanello, il
massimo della scortesia tra vicini a Fell's Church, la porta si aprì. Bonnie
vi infilò, lesta, un piede per evitare che si chiudesse nuovamente.
«Salve, signora Forbes. Volevamo solo...», balbettò Meredith.
«Volevamo solo sapere se Caroline stava meglio». La signora Forbes
sembrava avesse visto un fantasma e avesse passato l'intera notte a
sfuggirgli.
«No, non sta meglio. È ancora... malata». La voce della donna era vuota
e distante e i suoi occhi fissavano un punto al di sopra della spalla di
Bonnie. Bonnie sentì rizzarsi la peluria sottile delle braccia e della nuca.
«Ok, signora Forbes». Perfino Meredith sembrava falsa e ingannevole.
Poi qualcuno improvvisamente disse: «Lei sta bene?». Bonnie si rese
conto che era la propria voce.
«Caroline... non sta bene. Non... vede nessuno», sussurrò la donna.
Un iceberg sembrò scivolare lungo la schiena di Bonnie. Avrebbe voluto
voltarsi e fuggire da quella casa e dalla sua aura di malignità. Ma in quel
momento la signora Forbes si accasciò. A malapena Meredith riuscì a
bloccare la sua caduta.
«È svenuta», disse concisa Meredith.
Bonnie avrebbe voluto dire: Bene, lasciamola sullo zerbino e fuggiamo!
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Ma non potevano proprio farlo.
«Dobbiamo portarla dentro», disse Meredith con decisione. «Bonnie, va
bene se entriamo?»
«No», disse Bonnie, altrettanto decisa, «ma abbiamo altra scelta?».
La signora Forbes, per quanto minuta, era pesante. Bonnie, tenendola
per i piedi, seguì Meredith in casa, riluttante, passo dopo passo.
«Mettiamola sul suo letto», disse Meredith. Le tremava la voce. C'era
qualcosa in quella casa che era terribilmente inquietante, come se delle
onde negative continuassero ad abbattersi su di essa.
E poi Bonnie la vide. Appena una rapida occhiata quando entrarono in
salone. Era in fondo al corridoio, e poteva essere stato un gioco di luci e
ombre, ma sembrava in tutto e per tutto una persona. Una persona che
guizzava come una lucertola... ma non sul pavimento. Sul soffitto.
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Matt bussò alla porta dei Bryce. Elena si era camuffata infilandosi i
capelli in un berretto dei Virginia Cavaliers e indossando un paio di
occhiali da sole avvolgenti presi da un cassetto di Stefan. Portava anche
una maglia extra-large marrone e blu che le aveva dato Matt, e un paio di
jeans di Meredith, a cui stavano troppo stretti. Era certa che nessuno
l'avrebbe mai riconosciuta vestita così.
La porta si aprì molto lentamente per mostrare non il signore o la
signora Bryce, e nemmeno Jim, bensì Tamra. Indossava... be', quasi nulla.
Portava il tanga di un bikini, ma sembrava fatto a mano, come se avesse
tagliato un normale slip con le forbici. Sul seno aveva due decorazioni
rotonde fatte di cartoncino con delle paillette incollate e alcune strisce di
lamé colorato. In testa portava una corona di carta, dalla quale si capiva
che aveva preso il lamé. Aveva tentato di incollare delle strisce anche sul
tanga. Il risultato sembrava esattamente quello che era: il tentativo di una
bambina di farsi un costume da showgirl o da spogliarellista di Las Vegas.
Matt si voltò immediatamente distogliendo lo sguardo, ma Tami si
lanciò verso di lui aggrappandosi alla sua schiena.
«Matt Sederino d'Oro», tubò. «Sei tornato. Sapevo che l'avresti fatto. Ma
perché ti sei portato questa vecchia puttana? Come facciamo a...».
Elena allora si fece avanti, perché Matt si era girato di scatto con le mani
alzate. Era certa che Matt non avesse mai colpito una donna in vita sua,
soprattutto una bambina, ma era anche ipersensibile riguardo a una o due
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cose. Tra cui lei.
Cercò di mettersi tra Matt e la sorprendentemente forte Tamra. Dovette
nascondere un sorriso quando vide il costume di Tami. Dopo tutto, solo
qualche giorno prima lei stessa non capiva affatto che la nudità umana
fosse un tabù. Adesso lo sapeva, ma non le sembrava così importante. La
gente nasce solo con la propria bella pelle. Non c'era un vero motivo,
secondo lei, per coprirsi con delle false pelli, a meno che non facesse
freddo o fosse scomodo starne senza. Ma per la società essere nudi doveva
essere considerato immorale. Tami stava cercando di essere immorale, in
maniera infantile.
«Toglimi le mani di dosso, vecchia puttana», ringhiò Tamra quando
Elena la allontanò da Matt, e continuò con gli insulti.
«Tami, dove sono i tuoi genitori? Dov'è tuo fratello?», disse Elena.
Ignorò le oscenità, erano solo parole, ma vide che le labbra di Matt erano
sbiancate.
«Chiedi scusa a Elena, subito! Scusa per aver parlato in quel modo!»,
pretese.
«Elena è un cadavere puzzolente con i vermi nelle orbite», cantò Tamra.
«Ma la mia amica dice che era una puttana quando era viva. Una vera», e
queste parole fecero annaspare Matt, «puttana da quattro soldi. Lo sai.
Niente è più dozzinale di ciò che puoi avere per niente».
«Matt, non prestarle attenzione», disse Elena sottovoce, e ripeté: «Dove
sono i tuoi genitori e Jim?».
La risposta, zeppa di altri insulti, fu in pratica che – vero o meno – il
signore e la signora Bryce erano in vacanza per qualche giorno, e Jim era
con la sua ragazza, Isobel.
«Bene, allora. Direi che dobbiamo solo aiutarti a mettere dei vestiti più
decenti», disse Elena. «Per prima cosa, credo che tu abbia bisogno di una
doccia per toglierti quei gingilli natalizi di dosso...».
«Pro-o-o-vaci! Pro-o-o-o-vaci!». La risposta fu qualcosa a metà tra il
nitrito di un cavallo e la voce umana. «Li ho incollati con PermaStick!»,
aggiunse Tami, e cominciò a ridacchiare isterica.
«Oh, mio Dio! Tamra, ti rendi conto che non esistono dei solventi per
quella colla, potresti aver bisogno di un'operazione?».
La risposta di Tami fu disgustosa. Si sentì anche un improvviso odore
disgustoso. No, non un odore, pensò Elena, una puzza soffocante,
rivoltante.
«Ooops». Tami ridacchiò di nuovo in maniera stridula. «Pardon. Almeno
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è gas naturale».
Matt si schiarì la voce. «Elena... non credo che dovremmo stare qui. Con
i suoi che non ci sono e tutto...».
«Loro hanno paura di me», ridacchiò Tamra. «E voi no?», disse con la
voce improvvisamente scesa di diverse ottave.
Elena guardò Tamra negli occhi. «No, non ho paura. Mi dispiace per una
ragazzina che era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma Matt ha
ragione, credo. Dobbiamo andare».
L'atteggiamento di Tami sembrò cambiare. «Mi dispiace tanto... non mi
sono resa conto di avere degli ospiti di questo calibro. Non andare, Matt, ti
prego». Poi, aggiunse, rivolgendosi confidenzialmente a Elena: «Ci sa
fare?»
«Cosa?».
Tami fece cenno con la testa a Matt, che si voltò immediatamente
dandole la schiena. Sembrava che lui sentisse una tremenda, disgustosa
attrazione per il ridicolo aspetto di Tami.
«Lui. Ci sa fare a letto?»
«Matt, guarda qui». Elena aveva in mano un tubetto di colla. «Credo che
abbia usato davvero PermaStick per incollarsi quella roba sulla pelle.
Dobbiamo chiamare i Servizi per l'Infanzia o qualcosa del genere, visto
che nessuno l'ha portata subito in ospedale. Qualunque cosa i suoi genitori
sappiano del suo comportamento, non avrebbero dovuto lasciarla».
«Spero solo che loro stiano bene. La sua famiglia», disse Matt torvo,
quando uscirono dalla porta. Tami li seguì spavaldamente fino alla
macchina, gridando dettagli osceni su «quanto si erano divertiti loro tre».
Elena lo guardò a disagio, seduta dalla parte del passeggero... Senza
carta di identità né patente, ovviamente, sapeva di non poter guidare.
«Forse dovremmo prima portarla alla polizia. Mio Dio, povera famiglia!».
Matt rimase a lungo zitto. Teneva il mento abbassato e le labbra serrate.
«Mi sento come se in qualche modo fossi responsabile. Voglio dire, sapevo
che aveva qualcosa che non andava... avrei dovuto dirlo ai suoi genitori
allora».
«Adesso sembri Stefan. Non sei responsabile di chiunque incontri».
Matt le lanciò uno sguardo di gratitudine, ed Elena continuò: «Anzi,
chiederò a Bonnie e a Meredith di fare un'altra cosa, che dimostri che non
lo sei. Chiederò loro di controllare Isobel Saitou, la ragazza di Jim. Tu non
hai mai avuto contatti con lei, ma Tami forse sì».
«Vuoi dire che credi che sia stata colpita anche lei?»
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«È quello che dovranno scoprire Bonnie e Meredith».
Bonnie rimase immobile, lasciando quasi la presa sui piedi della signora
Forbes. «Io non entro in quella stanza».
«Devi per forza. Non ce la faccio da sola», disse Meredith. Poi aggiunse
ammiccando: «Ascolta Bonnie, se vieni con me ti svelo un segreto».
Bonnie si morse il labbro. Poi chiuse gli occhi e si lasciò guidare da
Meredith, passo dopo passo, sempre più dentro a quella casa degli orrori.
Sapeva dov'era la camera da letto principale: dopo tutto, ci aveva giocato
sin dall'infanzia. In fondo al salone, a sinistra.
Fu sorpresa quando Meredith si bloccò all'improvviso dopo pochi passi.
«Bonnie».
«Allora? Cosa c'è?»
«Non voglio spaventarti, ma...».
Ciò ebbe l'immediato effetto di terrorizzare Bonnie. Spalancò gli occhi.
«Cosa? Cosa?». Prima che Meredith potesse rispondere, guardò in preda
alla paura oltre la sua spalla e vide.
Caroline era dietro di lei. Ma non in piedi. Strisciava... anzi si dimenava,
come aveva fatto sul pavimento da Stefan. Come una lucertola. I suoi
capelli color del bronzo, arruffati, le ricadevano sul viso. I gomiti e le
ginocchia le sporgevano ad angolazioni impossibili.
Bonnie gridò, ma l'aria pesante della casa sembrò soffocarle l'urlo in
gola. Ebbe solo l'effetto di attirare l'attenzione di Caroline, che si voltò con
un rapido movimento, da rettile, della testa.
«Oh, mio Dio... Caroline, cosa è successo alla tua faccia?».
Caroline aveva un occhio nero. O, piuttosto, un occhio rosso porpora
talmente gonfio che Bonnie sapeva sarebbe diventato nero in breve tempo.
Sulla mascella aveva un'altra escoriazione violacea.
Caroline non rispose, a meno di considerare il sibilo che emise mentre
avanzava strisciando.
«Meredith, corri! È proprio dietro di me!».
Meredith affrettò il passo, terrorizzata... spaventando così ancora di più
Bonnie. Ma mentre avanzavano barcollando, con la signora Forbes che
oscillava tra di loro, Caroline strisciò proprio sotto la madre e oltrepassò la
soglia della camera dei suoi genitori, la camera da letto principale.
«Meredith, io non entro nel...». Ma erano già andate oltre la soglia.
Bonnie lanciò dei rapidi sguardi in ogni angolo. Caroline non si vedeva da
nessuna parte.
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«Forse è nell'armadio», disse Meredith. «Adesso vado prima io, così le
poggio la testa sul letto. Possiamo sistemarla dopo». Camminò all'indietro
attorno al letto, quasi trascinandosi Bonnie, e mise giù la signora Forbes in
modo che la sua testa si posasse sul cuscino. «Adesso tirala e poggiale i
piedi dall'altra parte».
«Non posso farlo. Non posso! Caroline è sotto il letto, lo sai».
«Non può essere sotto il letto. Ci sono solo una decina di centimetri di
spazio», disse Meredith con convinzione.
«È lì! Lo so. E», con un po' di rabbia, «hai promesso che mi avresti
svelato un segreto».
«Va bene!». Meredith le lanciò uno sguardo complice attraverso gli scuri
capelli arruffati. «Ho telegrafato ad Alaric ieri. Si è talmente addentrato in
quei posti remoti che il telegrafo è l'unico modo per raggiungerlo, e
possono volerci giorni prima che il mio messaggio gli arrivi. Sapevo che
avremmo avuto bisogno dei suoi consigli. Mi sento in colpa a chiedergli di
occuparsi di cose che non riguardano il suo dottorato, ma...».
«Chi se ne importa del suo dottorato? Dio ti benedica!», gridò Bonnie
riconoscente. «Hai fatto proprio bene!».
«Allora vai a sistemare i piedi della signora Forbes in fondo al letto. Se
ti sporgi, puoi riuscirci».
Il letto era un California king-size. La signora Forbes vi giaceva di
traverso, come una bambola gettata sul pavimento. Ma Bonnie si arrestò ai
piedi del letto. «Caroline mi prenderà».
«No, non lo farà. Coraggio, Bonnie. Prendi le gambe della signora
Forbes e dai una spinta...».
«Se mi avvicino così tanto al letto, mi prenderà!».
«Perché dovrebbe?»
«Perché sa di cosa ho paura! E ora che l'ho detto, lo farà sicuramente».
«Se ti afferra, la prendo a calci in faccia».
«Non hai le gambe così lunghe. Sbatteresti contro la struttura del
letto...».
«Oh, per l'amor di Dio, Bonnie! Vieni qui ad aiutarmiiiiiiiii!». L'ultima
parola fu un vero e proprio urlo.
«Meredith...», cominciò Bonnie, e poi urlò anche lei.
«Cosa c'è?»
«Mi sta tirando!».
«Non può essere lei! Sta tirando me! Nessuno ha delle braccia così
lunghe!».
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«O così forti! Meredith! Non riesco a liberarmi!».
«Neanche io!».
E poi qualunque altra parola annegò nelle urla.
Dopo aver fatto scendere Tami alla stazione di polizia, portare Elena in
auto nei boschi del Fell's State Park fu come... be', una passeggiata nel
parco. Di tanto in tanto fermavano l'auto. Elena scendeva, faceva qualche
passo tra gli alberi e provava a chiamare Damon... qualunque cosa fosse.
Poi tornava alla Jaguar con l'aria scoraggiata.
«Non sono sicura che Bonnie saprebbe fare di meglio», disse a Matt.
«Se solo ci sforzassimo di uscire la notte».
Matt rabbrividì. «Due notti sono abbastanza».
«Non mi hai mai raccontato che cosa è successo quella prima notte. O,
per lo meno, non quando riuscivo a comprendere le parole, quelle parlate».
«Be', ero in giro con la macchina, proprio come adesso, solo che ero
quasi dall'altro lato dell'Old Wood, vicino alla zona della Quercia
Fulminata...».
«Ho capito».
«Quando proprio in mezzo alla strada è comparso qualcosa».
«Una volpe?»
«Be', alla luce dei fanali era rossa, ma non somigliava a nessuna volpe
che abbia mai visto. E guido lungo questa strada da quando ho la patente».
«Un lupo?»
«Come un lupo mannaro, intendi? Ma, no... ho visto dei lupi al chiaro di
luna e sono più grossi. Questo era una via di mezzo».
«In altre parole», disse Elena, socchiudendo i lapislazzuli che aveva per
occhi, «una creatura fatta apposta».
«Forse. Era senz'altro diversa dal malach che mi ha smangiucchiato il
braccio».
Elena annuì. I malach potevano assumere ogni sorta di forma, a quanto
pareva. Ma in una cosa erano tutti uguali: usavano tutti il Potere e avevano
bisogno di una dieta a base di Potere per vivere. E potevano essere
manipolati da un Potere più forte del loro.
Ed erano nemici insidiosi del genere umano.
«Quindi tutto ciò che sappiamo davvero è che non sappiamo niente».
«Giusto. Questo è il posto dove l'abbiamo visto. È comparso
all'improvviso nel bel mezzo della... ehi!».
«Va' a destra! Proprio lì!».
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«Proprio così! Era proprio così!».
La Jaguar si fermò con uno stridio di freni, svoltando a destra, non su
una strada ma in un piccolo sentiero, che nessuno avrebbe mai notato se
non guardando da vicino.
Quando l'auto si fermò, entrambi fissarono il sentiero, respirando
affannosamente. Nessuno dei due dovette chiedere all'altro se avesse visto
una creatura rossiccia sfrecciare attraverso la strada, più grossa di una
volpe ma più piccola di un lupo.
Rimasero a guardare lo stretto sentiero.
«Domanda da un milione di dollari: dobbiamo proseguire?», chiese
Matt.
«Non c'è nessun divieto d'ingresso... e quasi nessuna casa da questa
parte del bosco. Dall'altra parte della strada, in fondo, ci sono i Dunstan».
«Quindi andiamo».
«Andiamo. Solo vai piano. È più tardi di quanto pensassi».
Meredith, naturalmente, fu la prima a calmarsi. «Va tutto bene, Bonnie»,
disse. «Smettila! Subito! Non serve a niente!».
Bonnie non pensava di potersi fermare. Ma Meredith aveva quello
sguardo speciale negli occhi scuri; significava che era seria. Lo sguardo
che aveva avuto prima di buttare a terra Caroline nella stanza di Stefan.
Bonnie fece uno sforzo supremo e scoprì di potere, in qualche modo,
trattenere l'urlo successivo. Guardò in silenzio Meredith, sentendo tremare
il proprio corpo.
«Brava. Brava, Bonnie. Adesso», Meredith deglutì, «tirare non serve lo
stesso a niente. Quindi cercherò di... staccarle le dita. Se mi succede
qualcosa, se venissi... tirata sotto il letto, o qualsiasi altra cosa, allora,
corri, Bonnie. E se non riesci a correre, allora chiama Elena o Matt.
Chiama fino a quando non ottieni una risposta».
Allora Bonnie tentò qualcosa di quasi eroico. Si rifiutò di immaginare
Meredith tirata sotto il letto. Non voleva immaginare come sarebbe stata
Meredith che lottava e scompariva, o come si sarebbe sentita lei stessa,
completamente sola, dopo. Avevano entrambe lasciato le borse con i
cellulari nell'ingresso per poter trasportare la signora Forbes, quindi
Meredith non le stava dicendo di chiamarli nel senso comune del termine.
Intendeva Chiamarli.
Un improvviso accesso di indignazione divampò in Bonnie. Perché le
ragazze portavano le borse? Perfino l'efficiente, affidabile Meredith lo
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faceva spesso. Ovviamente le sue erano creazioni di grandi stilisti che
sottolineavano il suo abbigliamento ed erano sempre piene di cose utili,
tipo taccuini e portachiavi con la torcia, eppure... un ragazzo si sarebbe
semplicemente portato il cellulare in tasca.
D'ora in poi porterò un marsupio, pensò Bonnie, sentendosi come se
stesse issando una bandiera di ammutinamento per tutte le ragazze, e per
un attimo anche il panico sembrò diminuire.
Poi vide Meredith piegarsi, una figura curva nella luce fioca, e al tempo
stesso sentì aumentare la stretta attorno alla caviglia. Facendosi coraggio,
guardò in basso e vide il profilo delle dita abbronzate di Caroline e i lunghi
artigli scuri contro il bianco crema dello scendiletto.
Dentro di lei scoppiò nuovamente il panico. Emise un suono soffocato,
come un urlo strozzato, e meravigliandosi di se stessa andò
spontaneamente in trance e cominciò a Chiamare.
A sorprenderla non fu il fatto che stesse Chiamando. Era quello che
stava dicendo.
Damon! Damon! Siamo intrappolate a casa di Caroline e lei è
impazzita! Aiuto!
Le parole le scorrevano fuori come una sorgente sotterranea fatta
improvvisamente zampillare attraverso un geyser.
Damon, mi tiene per la caviglia... e non molla la presa! Se tira sotto
Meredith, non so cosa farò! Aiutami!
Vagamente, poiché la trance era profonda, sentì Meredith dire: «Aha!
Sembrano dita, ma in realtà è un viticcio. Deve essere uno di quei tentacoli
di cui ci ha parlato Matt. Sto... cercando... di spezzare uno dei giri...».
All'improvviso giunsero dei rumori da sotto il letto. E non da un unico
punto, ma un grande tramestio che faceva sobbalzare tutto il materasso,
con sopra la povera signora Forbes.
Dovevano esserci dozzine di quegli insetti là sotto.
Damon, sono quelle cose! Tantissime. Oh, Dio, penso che sverrò. E se
svengo... e se Caroline mi trascina là sotto... Oh, ti prego vieni ad
aiutarci!
«Dannazione!», diceva Meredith. «Non so come abbia fatto Matt. È
troppo stretto, e... credo che qui ci sia più di un tentacolo».
È finita, trasmise Bonnie in conclusione, sentendosi piegare le
ginocchia. Moriremo.
«Non c'è dubbio, è questo il problema degli umani. Solo: non ancora»,
disse una voce dietro di lei, e un braccio forte la serrò, sollevando
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facilmente il suo lieve peso. «Caroline, il divertimento è finito. Sul serio.
Lasciala!».
«Damon?», ansimò Bonnie. «Damon? Sei venuto!».
«Tutto questo frignare mi dà sui nervi. Non significa...».
Ma Bonnie non stava ascoltando. Non pensava neanche. Era ancora per
metà in trance e non responsabile (decise più tardi) delle proprie azioni.
Non era se stessa. Era un'altra, che era andata in estasi quando la stretta
sulla caviglia si era allentata, e che si era voltata di scatto verso Damon e
gli aveva buttato le braccia al collo e l'aveva baciato sulla bocca.
Era ancora un'altra anche quando aveva sentito Damon trasalire, con le
braccia che ancora la cingevano, e aveva notato che lui non aveva fatto
alcun tentativo per sottrarsi al bacio. Quella persona aveva notato anche,
quando alla fine si era scostata da lui, che Damon, pallido nella luce fioca,
sembrava fosse quasi arrossito.
Fu allora che Meredith si rialzò lentamente, dolorosamente, dall'altro
lato del letto, che ancora sobbalzava. Non aveva visto nulla del bacio, e
guardò Damon come se non potesse credere che lui fosse davvero lì.
Era in grande difficoltà, e Bonnie sapeva che Meredith ne era
consapevole. Era una di quelle situazioni in cui chiunque altro sarebbe
stato troppo agitato per parlare, o persino balbettare.
Ma Meredith fece un respiro profondo e disse tranquillamente: «Damon,
grazie. Credi... sarebbe troppo disturbo far sì che il malach lasci anche
me?».
Adesso Damon sembrava quello di sempre. Rivolse un brillante sorriso a
qualcosa che nessun altro poteva vedere e disse bruscamente: «E per
quanto riguarda il resto di voi là sotto... a cuccia!». Schioccò le dita.
Il letto smise di muoversi all'istante.
Meredith si allontanò e chiuse per un attimo gli occhi, risollevata.
«Grazie ancora», disse, con la dignità di una principessa, ma con grande
convinzione. «E adesso, credi di poter fare qualcosa per Caro...».
«In questo preciso momento», la interruppe Damon ancora più sgarbato
del solito, «devo andarmene». Diede un'occhiata al Rolex che aveva al
polso. «Sono le 4,44 passate, e avevo un appuntamento nel pomeriggio per
il quale sono già in ritardo. Vieni da questa parte a sostenere questa bella
ragazza stordita. Non è molto in grado di reggersi in piedi da sola».
Meredith si affrettò a dargli il cambio. A quel punto, Bonnie scoprì che
non le tremavano più le gambe.
«Be', aspetta un minuto», disse in fretta Meredith. «Elena ha bisogno di
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parlarti... disperatamente...».
Ma Damon se n'era andato, come se conoscesse a fondo l'arte di
scomparire, senza neanche aspettare che Bonnie lo ringraziasse. Meredith
sembrava attonita, era certa che il nome di Elena l'avrebbe fermato. Ma
Bonnie aveva qualcos'altro per la mente.
«Meredith», sussurrò, mettendosi due dita sulle labbra per lo stupore.
«L'ho baciato!».
«Cosa? Quando?»
«Prima che tu ti rialzassi. Io... io non so neanche come sia successo, ma
l'ho fatto!».
Si aspettava che Meredith esplodesse. Invece, Meredith la guardò
pensierosa e mormorò: «Be', forse non è stata una brutta cosa da fare, dopo
tutto. Quello che non capisco è perché sia arrivato lui per primo».
«Uh. Sono stata io. L'ho Chiamato io. E neanche questo so come sia
successo...».
«Be', non ha senso cercare di scoprirlo qui dentro». Meredith si voltò
verso il letto. «Caroline, hai intenzione di uscire da lì sotto? Di alzarti e
fare una normale conversazione?».
Da sotto il letto giunse un sibilo minaccioso, accompagnato da una
sferzata di tentacoli e da un rumore che Bonnie non aveva mai sentito
prima, ma che istintivamente la terrorizzò, simile allo schiocco di una
tenaglia gigante.
«È più che sufficiente come risposta per me», disse, e afferrò Meredith
per trascinarla fuori dalla stanza.
Meredith non aveva bisogno di essere trascinata. Ma per la prima volta
in quella giornata, avevano sentito la voce beffarda di Caroline, acuta
come quella di una bambina.
Bonnie e Damon seduti sopra un ramo
si baciano in bocca e si tengono per mano.
Prima viene il matrimonio e lo scambio delle fedi,
ed ecco un piccolo vampiro, non lo vedi?
Meredith si fermò nel corridoio. «Caroline, così non faciliti le cose. Esci
fuori...».
Il letto sembrava in preda a un raptus, si scuoteva e sollevava. Bonnie si
girò e corse via, sapendo che Meredith era proprio dietro di lei. Non erano
ancora riuscite ad allontanarsi abbastanza dalle parole cantilenanti:
«Voi non siete mie amiche; voi siete le amiche della puttana. Aspettate e
vedrete! Aspettate e vedrete!».
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Bonnie e Meredith afferrarono le loro borse e lasciarono la casa.
«Che ore sono?», chiese Bonnie, una volta al sicuro nell'auto di
Meredith.
«Quasi le cinque».
«Sembrava molto più tardi!».
«Lo so, ma abbiamo ancora delle ore di luce. E, a proposito, ho ricevuto
un SMS da parte di Elena».
«Riguardo a Tami?»
«Te lo dico. Ma prima...». Fu una delle poche volte in cui Bonnie aveva
visto Meredith imbarazzata. Alla fine si lasciò sfuggire: «Com'è stato?»
«Com'è stato cosa?»
«Baciare Damon, sciocca!».
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«Ohhhh». Bonnie si rilassò sul sedile ribaltabile. «È stato come...
Kapow! Zap! Boom! Come... fuochi d'artificio».
«Hai un sorriso compiaciuto».
«Non è vero», disse Bonnie con dignità. «Sto sorridendo a un ricordo
piacevole. Inoltre...».
«Inoltre, se non l'avessi Chiamato, saremmo ancora bloccate in quella
stanza degli orrori. Grazie Bonnie. Ci hai salvate». Meredith era tornata
bruscamente più seria che mai, ed era sincera.
«Immagino che Elena avesse ragione quando ha detto che lui non odia
tutti gli umani», disse piano Bonnie. «Ma, sai, me ne sono appena resa
conto. Non sono riuscita affatto a vedere la sua aura. Tutto quello che ho
potuto vedere era nero: un nero liscio e duro, come un guscio attorno a
lui».
«Forse è così che si protegge. Forma un guscio così nessuno può
guardarvi dentro».
«Forse», disse Bonnie, ma nella sua voce c'era una nota di
preoccupazione. «E il messaggio di Elena?»
«Dice che Tami Bryce si comporta in modo decisamente strano e che lei
e Matt stanno andando a controllare l'Old Wood».
«Forse sono loro che doveva incontrare... Damon, intendo. Alle 4,44,
così ha detto. Peccato che non possiamo chiamarla».
«Lo so», disse, seria, Meredith. Tutti a Fell's Church sapevano che non
c'era campo nell'Old Wood né nella zona del cimitero. «Ma proviamoci lo
stesso».
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Bonnie ci provò, ma come al solito lì non si era raggiungibili. Scosse la
testa. «Niente. Devono già essere tra i boschi».
«Be', quello che vuole che facciamo è andare a dare un'occhiata a Isobel
Saitou... sai, perché è la ragazza di Jim Bryce». Meredith fece una svolta.
«Ora che ci penso, Bonnie: hai visto l'aura di Caroline? Pensi che abbia
uno di quei cosi... dentro?»
«Immagino di sì. Ho visto la sua aura, e, puah!, non vorrei vederla di
nuovo. Prima era una specie di verde scuro che dava sul bronzo, adesso è
marrone fango con dei tratti neri a zigzag. Non so se questo significa che
uno di quei cosi è dentro di lei, ma di sicuro a lei non dispiacerebbe
coccolarsene uno!», rabbrividì Bonnie.
«Va bene», disse Meredith, con un tono confortante. «So cosa direi se
dovessi fare un'ipotesi... ma se stai per sentirti male, mi fermo».
Bonnie era senza fiato. «Sto bene. Ma davvero stiamo andando a casa di
Isobel Saitou?»
«Ci stiamo andando sul serio. Per la verità, siamo quasi arrivate.
Diamoci una sistemata ai capelli, facciamo qualche respiro profondo e
risolviamo questa cosa. Quanto bene la conosci?»
«Be', è simpatica. Non frequentavamo le stesse lezioni. Ma siamo state
esonerate entrambe da ginnastica nello stesso periodo: lei aveva qualcosa
al cuore, e io quella terribile asma...».
«Dopo ogni sforzo tranne che ballare, cosa che potresti fare per tutta la
notte», disse Meredith, asciutta. «Io non la conosco molto bene. Com'è?»
«Be', carina. Ti somiglia un poco, solo che è asiatica. Più bassa di te, alta
quanto Elena, ma più magra. Un tipino grazioso. Un po' timida, il classico
tipo tranquillo, sai. Piuttosto difficile da conoscere bene. E... carina».
«Timida e tranquilla e carina mi suonano bene».
«Anche a me», disse Bonnie, stringendosi le mani sudate tra le
ginocchia. Quello che sarebbe suonato ancora meglio, pensò, era che
Isobel non fosse a casa.
Tuttavia, c'erano diverse automobili parcheggiate di fronte a casa Saitou.
Bonnie e Meredith bussarono esitanti alla porta, memori di quanto era
successo l'ultima volta che l'avevano fatto.
Fu Jim Bryce ad aprire, un ragazzo alto e dinoccolato, ancora in crescita
e un po' curvo. Ciò che Bonnie trovò sorprendente fu il cambiamento nel
suo viso nel riconoscere Meredith.
Quando aveva aperto aveva un brutto aspetto; la faccia era bianca sotto
una discreta abbronzatura, il corpo in qualche modo rattrappito. Non
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appena vide Meredith, un po' di colore gli salì alle guance e sembrò, be',
spiegarsi come un foglio di carta. Si raddrizzò.
Meredith non disse una parola. Si fece semplicemente avanti e lo
abbracciò. Lui le si aggrappò come se temesse che potesse fuggire, e
seppellì il viso tra i capelli scuri di lei.
«Meredith».
«Respira, Jim. Respira».
«Non sai com'è stato. I miei genitori sono via perché il mio bisnonno è
malato, credo che stia morendo. E poi Tami, Tami...».
«Parla lentamente. E continua a respirare».
«Mi ha lanciato dei coltelli, Meredith. Coltelli da macellaio. Mi ha preso
alla gamba, qui». Jim sollevò i jeans per mostrare un piccolo taglio nel
tessuto sulla parte inferiore di una coscia.
«Hai fatto l'antitetanica di recente?». Meredith era come al solito
efficiente.
«No, ma non è un taglio profondo. Più che altro è un buco».
«Sono quelli più pericolosi. Devi chiamare subito il dottor Alpert». Il
vecchio dottor Alpert era un'istituzione a Fell's Church; un medico che
faceva persino visite a casa, in un paese in cui andare in giro con una borsa
nera e lo stetoscopio era un comportamento piuttosto insolito.
«Non posso. Non posso lasciare...». Jim indicò con un cenno della testa
l'interno della casa come se non riuscisse a pronunciare un nome.
Bonnie tirò la manica di Meredith. «Ho una sensazione davvero brutta»,
sibilò.
Meredith si girò di nuovo verso Jim. «Intendi Isobel? Dove sono i suoi
genitori?»
«Isa-chan, voglio dire Isobel, è che la chiamo Isa-chan, sai...».
«Va tutto bene», disse Meredith. «Di' quello che ti viene
spontaneamente. Va' avanti».
«Be', Isa-chan ha solo la nonna, e nonna Saitou non scende al piano di
sotto quasi mai. Le ho preparato il pranzo qualche tempo fa e lei ha
pensato che fossi... il padre di Isobel. Si... confonde».
Meredith lanciò uno sguardo a Bonnie, e disse: «E Isobel? Anche lei è
confusa?».
Jim chiuse gli occhi, aveva un aspetto totalmente infelice. «Vorrei che
voi entraste e, be', le parlaste».
La brutta sensazione di Bonnie non faceva che peggiorare. Non avrebbe
davvero potuto reggere a un altro spavento come quello a casa di Caroline,
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e di sicuro non aveva la forza di Chiamare di nuovo, anche se Damon non
avesse avuto fretta di andare da qualche altra parte.
Ma Meredith sapeva tutto questo, e le stava rivolgendo il tipo di sguardo
a cui non si poteva dire di no. E prometteva anche che avrebbe protetto
Bonnie, qualunque cosa fosse accaduta.
«Sta facendo del male a qualcuno? Isobel?», si sentì dire Bonnie mentre
passavano per la cucina dirigendosi verso la camera da letto in fondo al
corridoio.
A malapena sentì Jim sussurrare: «Sì».
E poi, mentre Bonnie gemeva piano, aggiunse: «A se stessa».
La camera di Isobel era esattamente quella che ci si sarebbe aspettata da
una ragazza tranquilla e studiosa. Per lo meno un lato lo era. Nell'altro lato
sembrava che un'ondata di alta marea avesse inghiottito tutto e l'avesse
risputato a casaccio. Isobel era seduta nel mezzo di quella confusione
come un ragno sulla ragnatela.
Ma non fu quello spettacolo a far torcere dalla paura lo stomaco di
Bonnie. Fu ciò che Isobel stava facendo. Aveva disposto accanto a sé
quello che somigliava tantissimo al kit per ripulire le ferite della signora
Flowers, ma lei non aveva intenzione di curare niente.
Si stava facendo dei buchi.
L'aveva già fatto al labbro, al naso, a un sopracciglio e alle orecchie,
diverse volte. Il sangue colava da tutti quei buchi, gocciolava e cadeva
sulle lenzuola del suo letto sfatto. Bonnie vide tutto questo mentre Isobel li
guardava aggrottando la fronte, anzi solo metà della fronte. Il sopracciglio
forato non si muoveva affatto.
La sua aura era di un violento arancione striato di nero.
Bonnie seppe, all'improvviso, che stava per sentirsi male. Lo sapeva con
la profonda consapevolezza che superava tutto l'imbarazzo e che la fece
praticamente volare verso un cestino dei rifiuti, che neanche ricordava di
aver visto. Grazie a Dio, dentro c'è un sacchetto di plastica bianco, pensò,
e per qualche minuto fu del tutto impegnata.
Le sue orecchie registrarono una voce, anche mentre stava pensando con
piacere di non aver pranzato.
«Mio Dio, sei pazza? Isobel, cosa ti sei fatta? Non sai le infezioni che
puoi prenderti... le vene che puoi colpire... i muscoli che puoi
paralizzare...? Credo che tu abbia già bucato il muscolo del sopracciglio, e
non dovresti sanguinare ancora, a meno che tu non abbia preso delle vene
o delle arterie».
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Bonnie ebbe un conato di vomito e sputò nel cestino.
E proprio in quel momento sentì un colpo sordo.
Alzò lo sguardo, quasi consapevole di quello che avrebbe visto. Eppure
fu ugualmente uno shock. Meredith era piegata in due da quello che
doveva essere stato un pugno nello stomaco.
Bonnie le fu immediatamente accanto.
«Oh, mio Dio, ti ha accoltellata?». Una profonda coltellata nello
stomaco...
Era evidente che Meredith non riusciva a respirare. In qualche modo, un
suggerimento da parte di sua sorella Mary, l'infermiera, si materializzò
nella mente di Bonnie.
Bonnie picchiò con entrambi i pugni sulla schiena di Meredith, e, d'un
tratto, l'amica prese un'enorme boccata d'aria.
«Grazie», stava dicendo debolmente, ma Bonnie l'aveva già trascinata
via, lontano da Isobel che rideva, e da una collezione dei chiodi più lunghi
del mondo e dall'alcool per frizioni e da tutte le altre cose che aveva sul
vassoio accanto a sé.
Bonnie arrivò alla porta e quasi si scontrò con Jim, che portava un
asciugamano bagnato. Per lei, suppose. O forse per Isobel. Tutto ciò che a
Bonnie premeva, era che Meredith si tirasse su il top per essere
assolutamente certa che non ci fossero buchi su di lei.
«Gliel'ho... tolto di mano... prima che mi colpisse», disse Meredith,
respirando ancora a fatica mentre Bonnie le esaminava la zona sopra la
cintura dei jeans. «Mi sarò fatta un'escoriazione, tutto qui».
«Ha colpito anche te?», disse costernato Jim. Ma non lo disse. Lo
sussurrò.
Povero ragazzo, pensò Bonnie, finalmente sicura che Meredith non
fosse stata ferita. Che con Caroline e tua sorella Tami e la tua ragazza,
non immagini neanche lontanamente quello che sta succedendo. E come
potresti?
E se te lo dicessimo, penseresti di avere a che fare con altre due pazze.
«Jimmy, devi chiamare immediatamente il dottor Alpert, e poi credo che
dovranno portare Isobel all'ospedale di Ridgemont. Si è già procurata dei
danni permanenti, Dio sa quanto. Tutti quei buchi si infetteranno quasi
sicuramente. Quando ha iniziato a fare così?»
«Uhm, be'... ha cominciato a comportarsi in modo strano dopo che
Caroline è venuta a trovarla».
«Caroline!», si lasciò sfuggire Bonnie, confusa. «E strisciava?».
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Jim la guardò dubbioso. «Huh?»
«Non badare a Bonnie, stava scherzando», disse con calma Meredith.
«Jimmy, non devi raccontarci di Caroline se non vuoi farlo. Noi... be', noi
sappiamo che era a casa tua».
«Lo sanno tutti?», chiese, sconsolato, Jim.
«No. Solo Matt, e lui ce l'ha detto soltanto perché qualcuno andasse a
controllare tua sorella».
Jim sembrò colpevole e affranto al tempo stesso. Le parole gli
sgorgarono fuori come se fossero state in una bottiglia a cui finalmente era
stato tolto il tappo.
«Non so più cosa sta succedendo. Tutto quello che posso dirvi è ciò che
è successo. È stato un paio di giorni fa... di sera, tardi», disse Jim. «È
passata Caroline, e... voglio dire, non ho mai avuto una cotta per lei. È solo
che, be', lei è bella, e i miei genitori erano via e tutto il resto, ma non ho
mai pensato di essere il tipo di ragazzo...».
«Non preoccuparti di questo adesso. Dicci solo di Caroline e Isobel».
«Be', Caroline è passata e aveva questo vestito che era... be', il top era
praticamente trasparente. E lei... lei ha detto, se volevo ballare ed è stato
come ballare un lento, e lei... lei mi ha sedotto. È la verità. E la mattina
successiva è andata via, proprio nel momento in cui è arrivato Matt. È
stato l'altro ieri. E poi ho notato che Tami si comportava... in modo folle.
Qualunque cosa facessi non è servito a farla smettere. E poi ho ricevuto
una telefonata da Isa-chan e non l'ho mai sentita così isterica. Caroline
deve essere passata da lei direttamente da casa mia. Isa-chan ha detto che
si sarebbe uccisa. E quindi sono corso qui. Ho dovuto allontanarmi da
Tami perché stare lì a casa sembrava peggiorare le cose».
Bonnie guardò Meredith e capì che stavano entrambe pensando la stessa
cosa: E a quel punto, sia Caroline che Tami hanno fatto delle avance
anche a Matt.
«Caroline deve averle detto tutto», singhiozzò Jim. «Isa-chan e io non
abbiamo... stavamo aspettando, sapete? Ma tutto quello che Isa-chan mi ha
detto è che me ne sarei pentito. "Te ne pentirai; aspetta e vedrai", più e più
volte. E, per Dio, sono pentito».
«Be', adesso puoi smetterla di dispiacerti e va' a chiamare il dottore.
Subito, Jimmy». Meredith gli diede una pacca sulle spalle. «E poi devi
chiamare i tuoi genitori. Non guardarmi con quegli occhioni marroni da
cucciolo. Hai più di diciotto anni; non so cosa potranno farti per aver
lasciato Tami da sola per tutto questo tempo».
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«Ma...».
«Niente ma. Dico sul serio, Jimmy».
Poi fece quello che Bonnie sapeva avrebbe fatto, ma che temeva. Si
avvicinò nuovamente a Isobel. La sua testa era piegata; si stava pizzicando
l'ombelico con una mano. Nell'altra teneva un lungo chiodo scintillante.
Prima che Meredith potesse anche solo parlare, Isobel disse: «Quindi ci
sei dentro anche tu. Ho sentito il modo in cui l'hai chiamato: "Jimmy".
State tutte cercando di portarmelo via. Voi, puttane, state cercando di farmi
del male. Yurusenai! Zettai yurusenai!».
«Isobel! No! Non vedi che sei tu a farti del male?»
«Mi ferisco solo per mandare via il dolore. Sei tu quella che lo sta
facendo veramente, sai. Tu mi stai pungendo con degli aghi, dentro».
Bonnie sussultò, ma non solo perché Isobel aveva dato una violenta
spinta al chiodo. Aveva sentito il calore avvamparle le guance. Il cuore
cominciò a martellarle ancora più veloce.
Cercando di tenere un occhio su Meredith, tirò fuori il cellulare dalla
tasca dei pantaloni in cui l'aveva infilato dopo la visita a casa di Caroline.
Sempre con metà dell'attenzione su Meredith, si collegò a Internet e
digitò rapidamente poche parole sul motore di ricerca. Poi, mentre
sceglieva un paio di risultati, si rese conto che non avrebbe mai potuto
assimilare le informazioni in una settimana, meno che mai in pochi minuti.
Ma almeno aveva un inizio.
Proprio in quel momento, Meredith si stava allontanando da Isobel.
Accostò la bocca all'orecchio di Bonnie e sussurrò: «Credo che la stiamo
solo provocando. Sei riuscita a vedere la sua aura?».
Bonnie annuì.
«Quindi dovremmo almeno uscire dalla stanza».
Bonnie annuì ancora.
«Hai provato a chiamare Elena e Matt?». Meredith guardava il cellulare.
Bonnie scosse la testa e girò il telefono così che l'amica potesse vedere
le parole che aveva cercato. Meredith abbassò lo sguardo sul display, poi
lo spostò verso Bonnie, negli occhi la paura e la consapevolezza.
Streghe di Salem.
[Continua]
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