Sermone di domenica 8 maggio
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Sermone di domenica 8 maggio
Sermonedidomenica8maggio Giosué4,1-7 “Da pietre commemorative e pietre viventi” 1 Quando tutta la nazione ebbe finito di attraversare il Giordano, il SIGNORE disse a Giosuè: 2 «Scegliete tra il popolo dodici uomini, uno per tribù, 3 e date loro quest'ordine: "Prendete da qui, in mezzo al Giordano, dal luogo dove i sacerdoti si sono fermati, dodici pietre; portatele con voi di là dal fiume, e collocatele nel luogo dove vi accamperete stanotte"». 4 Giosuè chiamò i dodici uomini che aveva designati tra i figli d'Israele, un uomo per tribù, 5 e disse loro: «Passate davanti all'arca del SIGNORE vostro Dio, in mezzo al Giordano, e ognuno di voi porti sulla spalla una pietra, secondo il numero delle tribù dei figli d'Israele, 6 affinché questo sia un segno in mezzo a voi. In avvenire, i vostri figli vi domanderanno: "Che cosa significano per voi queste pietre?" 7 Allora voi risponderete loro: "Le acque del Giordano furono tagliate davanti all'arca del patto del SIGNORE; quand'essa attraversò il Giordano, le acque del Giordano furono tagliate, e queste pietre sono per i figli d'Israele un ricordo per sempre"». Abbiamo qui 12 pietre di fiume, in una cesta. Le pietre di fiume sono particolari, lavorate dall'acqua. Queste non sono piccole, ma non sono neanche come quelle del nostro testo, che gli israeliti devono portarsi a spalla. Il libro di Giosuè inizia con una chiamata: Dio, il Signore, parla a Giosué, figlio di Nun e gli dice: “Mosè, mio servo è morto. Alzati e attraversa il Giordano, tu, con tutto questo popolo, per entrare nel paese che io do ai figli di Israele”. Attraversare è il verbo che più è presente in questo libro di passaggio, che inizia proprio con un cambiamento, una chiamata a seguire una promessa. (“Alzati”) Dopo l'uscita dall'Egitto, dopo 40 anni nel deserto, dopo il dono della legge, la disubbidienza, la rottura delle tavole, dopo la seconda possibilità del Deuteronomio, ecco che inizia un'altra storia, in continuità con la prima, ma necessariamente altra, che, ci dicono anche gli storici, segna anche il passaggio del popolo di Israele da nomade a stanziale. Il passaggio del Giordano è il segno di questo cambiamento e su questo il testo si ferma per ben tre capitoli. Al Giordano le acque si aprono, Giosuè, novello Mosè, conduce il popolo dall'altra parte, ubbidendo a Dio; grandezza di Giosuè, potenza di Dio che ripete il prodigio del mar Rosso. “Il Dio vivente è presente in mezzo a voi”. L'arca del patto che aveva segnato la presenza di Dio passa per prima, si ferma nel mezzo del guado e le acque si aprono, tutto il popolo passa. E dopo che tutto il popolo è passato il Signore ordina che si torni indietro: dodici uomini, uno per tribù devono tornare nel Giordano e prendere dodici pietre, caricarsele in spalla ( non erano dei ciottoli, dunque) e collocarle nel luogo dove si sarebbero accampati. “Questo sia un segno in mezzo a voi”. Dio ordina al popolo di portare con sé un oggetto del passaggio, di tornare indietro a prenderlo, di stare, soffermarsi sul passaggio, sull'attraversamento. Non un ritorno al passato, ma uno sguardo sul guado, sul confine che si attraversa. Tutta la vita è fatta di passaggi, alcuni desiderati, costruiti, altri inevitabili, incontrollabili, altri ancora forse subiti. Per rassicurare i bambini, le bambine, quando devono affrontare un passaggio, dalla stanza dei genitori alla propria, dalla casa all'asilo o a scuola, quando insomma devono allontanarsi da una situazione nota, si dà loro un “oggetto transizionale”, un pupazzo, una collana, una cosa su cui far convergere gli affetti, le ansie, le promesse. Ecco, pietre come oggetti transizionali, per transitare dal “vecchio” al “nuovo”: la particolarità è che si tratta di stare nel transito, nel passaggio. Non sono oggetti propri che aiutano, confortano, rassicurano, ma pietre, di per sé immobili, ficcate nel letto del fiume, che vanno prese, caricate addosso e poste altrove. Il peso del cambiamento. Ogni cambiamento pesa. Israele era schiavo in Egitto, eppure la liberazione non è stata salutata così positivamente (“stavamo meglio quando stavamo peggio”), riceve una legge che libera, ma preferisce la sicurezza dell’idolo, mormoro contro Mosè e contro Dio... Qui il testo vuole rendere tutto questo visibile. Soffermarsi sul passaggio. La pietra come oggetto che resta. Quando noi erigiamo una pietra? Un monumento? Spesso i nostri monumenti ricordano avvenimenti tragici, i caduti in guerra. Spesso sono lapidi. Nel Primo Testamento le pietre che ricordano sono legate a momenti cruciali in cui il Dio vivente si fa presente in mezzo al popolo. Siamo a Eben Ezer. La pietra che Samuele eresse per ricordare la presenza di Dio che aveva sconfitto i Filistei “ Il Signore fece rimbombare dei tuoni con gran fragore contro i Filistei e li mise in rotta” ( I Samuele 7,12). Pietre per ricordare passaggi, cambiamenti. Pietre soprattutto per riconoscere che ciò che resta è la fedeltà di Dio che si fa presente, che accompagna, che trasforma. La peculiarità del nostro testo è che le pietre sono quelle del fiume, bisogna tornare indietro, vanno divelte, vanno caricate addosso. Il rischio è sempre l'idolatria. C'è l'idolatria degli dei di pietra , come dicono i profeti: I capi di Israele, i sacerdoti, i loro profeti, dice Dio a Geremia, sono confusi, “dicono al legno: "Tu sei mio padre", e alla pietra: "Tu ci hai dato la vita!" Poiché essi mi hanno voltato le spalle e non la faccia; ma nel tempo della loro sventura dicono: "Alzati e salvaci!" A volte si resta troppo legati alle pietre, a ciò che significano. Viviamo passaggi. Continuamente. Come singoli e come comunità. Come società. Il rischio è portarci più il peso del passato che il peso del passaggio. Più le pietre tombali che quelle del ricordo della fedeltà di Dio, quelle del cambiamento. Qui ci viene in aiuto, ancora, il testo. Non solo per capire, per ripercorrere, ma per trasmettere. Il testo vuole avere una funzione pedagogica. “In avvenire i vostri figli vi domanderanno: che cosa significano queste pietre?”. Viene data una responsabilità, non solo di memoria, di ricordo, ma di trasmissione. Come ogni oggetto transizionale, le pietre del ricordo servono a traghettare nel futuro. Che cosa significano per voi queste pietre? Questo domanderanno i vostri figli. “Israele attraversò questo Giordano all'asciutto". Infatti il SIGNORE, il vostro Dio, ha prosciugato le acque del Giordano davanti a voi finché foste passati, come il SIGNORE, il vostro Dio, fece al mar Rosso che egli prosciugò finché fossimo passati, perché tutti i popoli della terra riconoscano che la mano del SIGNORE è potente, e voi temiate in ogni tempo il SIGNORE vostro Dio».” Che cosa significano per voi queste pietre? Che cosa significano per ciascuno di voi, per questa chiesa, le pietre che hanno transitato le fedi, le storie di ciascuno e ciascuna, la comunità, fin qui? Da quello che si risponde emerge il Dio in cui si crede. L'anno prossimo celebreremo i 500 anni della Riforma e i 140 della chiesa battista di Cagliari. Abbiamo una responsabilità di trasmissione non solo delle difficoltà, delle separazioni, delle fatiche, ma soprattutto del fatto che queste difficoltà queste separazioni, queste fatiche, se pure hanno messo in evidenza la nostra inadeguatezza ( non sappiamo pregare come si conviene, non sappiamo perdonare, non sappiamo riconoscere la bellezza delle diversità che noi siamo, abbiamo paura dei cambiamenti), sono state prese in carico da Dio che ha aperto le acque del Giordano, come quelle del mar Rosso, ha aperto strade che noi credevamo senza via di uscita, ha sottolineato la fedeltà di Dio, ma anche l'esigenza di ubbidire ad una chiamata. Non ci sono pietre da mettere se non si segue la voce di Dio che chiama, se non si ubbidisce ad una Parola ricevuta. Lo sanno bene i bambini, che con le loro bambole, con la collana di mamma, con il lembo della coperta, fanno ciò che la loro persona di riferimento dice loro di fare. In un momento così solenne, c'è una nota di ironia: il luogo dell'accampamento, Ghilgal, il luogo dove le pietre della commemorazione verranno erette, significa “rotolare”. Qui il popolo celebrerà la Pasqua, e il ricordo dell'Egitto sarà cancellato, perché anche una generazione sarà passata. Le pietre rotolano, ( rolling stones...) il popolo si sposta, le perde di vista, ciò che vogliono significare deve trovare altro per dimorare. Al mattino di Pasqua, quando le donne vanno al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, quando i suoi discepoli avevano già messo una pietra sopra alla speranza, ecco che la pietra è già rotolata. Le Scritture diventano le nostre pietre rotolanti conducendoci in sentieri di liberazione, di fedeltà in fedeltà, chiamandoci a partire, a lasciare, a rischiare la nostra fiducia in Dio e nel Dio di Gesù Cristo. E Gesù Cristo, la pietra che i costruttori avevano scartata, la pietra che non sembrava buona a rappresentare la fedeltà di Dio, troppo fragile, troppo atipica, diventa la pietra angolare, quella su cui si può addirittura costruire, su cui si può fondare la propria vita. Ciò che ci permette di cambiare, il significato stesso di cambiamento. Cristo, attraverso cui le nostre vite passano dalla morte alla vita. Non c'è cambiamento più grande. E “l'oggetto transizionale” diventa la persona, la vita, il ministero, la morte, di Gesù. E il passaggio non è solo da un luogo all'altro, ma è un cambiamento di tutto noi stessi. “Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi come pietre viventi siete edificati per formare una casa spirituale” (I Pietro, 2,4). Ecco sorelle e fratelli, siamo noi le pietre chiamate per testimoniare, seguire, trasmettere. Pietre che possono andare, incontrare, accogliere costruire. Ognuno di noi ha il dono e la responsabilità di essere “monumento” della fedeltà di Dio, che attraversa i mari delle nostre inadeguatezze, le piene dei nostri pregiudizi, i fiumi impetuosi della sfiducia, dei mormorii, del sarcasmo. Ognuna e ognuno di noi diventa passaggio, guado, attraversamento, per chi incontriamo. Perché Dio è fedele, e farà anche questo. Amen Cristina Arcidiacono