Bristol Farms intercetta i “decadent consumer”

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Bristol Farms intercetta i “decadent consumer”
Osservatorio Popai
di Daniele Tirelli*
Bristol Farms intercetta
i “decadent consumer”
Stupire e avvincere una clientela ricca e stanca di tutto è il difficile
compito di una catena al top della gamma alimentare.
Ma il supermercato californiano centra perfettamente il bersaglio
L
a California del Sud è uno dei perni delle
“wheels of retailing” americane. E non soltanto perché nel circondario di Los Angeles
presero le mosse d’avvio numerose avventure
imprenditoriali destinate a improntare la storia della distribuzione e della ristorazione moderna. Il clima, l’ambiente sociale, la psicologia di questa (per noi) strana
megalopoli in cui si fondono le etnie più diverse, hanno sempre favorito la sperimentazione commerciale:
a ogni livello della gerarchia sociale e senz’alcuna
inibizione culturale. Questa volta parleremo dunque
di un caso d’eccellenza destinato all’“upper end of
the social scale” in quanto target preferenziale, seppur non esclusivo. Analizzeremo i 16 supermercati
con insegna Bristol Farms meritevoli d’essere visitati
(almeno virtualmente) per una semplicissima ragione.
Se soddisfano Jessica Alba, Heidi Klum e altre star
hollywoodiane, loro frequentatrici abituali, qualcosa
Il lungo banco delle carni è strutturato
per assicurare la massima visibilità
sia del prodotto fresco confezionato
a selfservice nei ripiani più bassi sia
di quello servito al banco nel ripiano
chiuso soprastante il piano di lavoro
degli assistenti.
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Il reparto delle birre con il suo ricchissimo assortimento
di etichette viene caratterizzato dall’illuminazione bassa
dell’ambiente che rafforza la suggestione dei segnali al neon
delle varie marche. Viceversa l’illuminazione interna al display
rafforza la percezione del prodotto esposto in bell’ordine.
d’interessante da copiare per avvincere i nostri clienti
italiani dovrà pur esserci!
Bristol Farms costituì uno step della politica di differenziazione attuata nel 2004 dalla catena Albertson’s, di
Boise (Idaho), che ne prese il controllo per aggiungerla
ad altri marchi quali Jewel-Osco, Acme, Sav-on Drugs,
Super Saver, Shaw’s… A sua volta Albertson’s divenne ben presto un boccone di Supervalu (un’altra catena
con sede nel Minnesota) che se la ingoiò nel 2006 e che
dunque è oggi l’attuale proprietaria di Bristol Farms.
Intelligentemente anche questo gigante ha preferito rimanere discretamente dietro le quinte, lasciando intatta una grande autonomia a Bristol Farms. Supervalu si
è appuntata questo fiore all’occhiello e sembra convinta a tenerlo pur se la bufera finanziaria, che ha investito
la California in particolare, ha fatto vacillare il posizionamento di negozi che puntano a riempire il caddy di famiglie con un reddito di 100.000 dollari e oltre. Tuttavia
il bello e il buono hanno sempre un futuro.
Per dimostrarlo facciamo un passo indietro e vediamo
la storia di Bristol Farms spostandoci nel 1982 quando
Irv Gronsky e Mike Burbank, probabilmente annusando l’immanenza del futuro “edonismo reaganiano”, decisero di porre in atto la sperimentazione di un nuovo
formato “perfetto” che avevano sognato nei bui anni
’70. I due soci riassunsero i principi maturati nelle loro precedenti esperienze professionali nella filiera alimentare ideando un luogo che semplicemente raccogliesse il meglio del meglio. Sottolineo che il secondo
shock petrolifero era allora di stretta attualità e che gli
Usa umiliati in vari modi si diceva avessero imboccato
la strada dell’irreversibile decadenza.
La località prescelta da Irv e Mike fu Rolling Hills Estates, un’isola bucolica e residenziale a Sud di Los Angeles tra Palos Verdes e la popolosa Torrance: una
locazione che altri giudicarono suicida. Il concetto di
questo prototipo era di per sé semplice e si inseriva
nella tendenza a riqualificare la stanca formula del supermercato devastata a quei tempi dalla guerra dei
prezzi. Il libero servizio tradizionale che proprio la California aveva inventato nel 1917 tritava i lauti profitti dei
tempi passati. I punti di forza di Bristol Farms sarebbero stati invece il forno, la macelleria e l’ortofrutta, al cui
completamento avrebbe concorso il grocery di qualità. Il supermercato recuperava insomma il fascino del
negozio specialistico abbandonando ad altri category
killer le “non-food staples”. Varietà, qualità e servizio,
dunque, e - peculiarità del disegno di Gronsky e Burbank - una raffinata teatralizzazione del punto di vendita. La vena utopistica dei due era alimentata dall’ammirazione per Harrod’s, l’archetipo londinese del food
theatre. In verità i due allievi americani superarono ben
presto il maestro che soffre invece (almeno agli occhi
di chi scrive) di fama eccessiva vista la mancanza di
lindore e le frequenti cadute di stile con cui tratta gli alimenti freschi (sino all’orrore dei prosciutti di plastica in
esposizione, tanto per dire). In breve, contro ogni previsione, il successo fu così incoraggiante da consentire
la riproduzione del modello in forma di catena.
La grande varietà di elaborati freschi di carne preparati sul
posto viene resa leggibile attraverso l’allineamento sistematico
dell’esposizione. Lo spazio antistante al banco viene utilizzato
per esporre i sacchi di carbone di legna per il barbecue.
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Bristol Farms eccelle oggi tra tutti i suoi illustri concorrenti locali per la predisposizione accurata dei decori
e la gestione dell’illuminazione, ma anche per il proprio visual merchandising. Il suo “manierismo” esalta
la cura del dettaglio e il piacere del colore tipicamente
statunitensi e riesce a schivare, allo stesso tempo, le
lusinghe del “lowbrow taste” che sempre aleggia in
quest’area della California. Va ricordato infatti che siamo nell’epicentro della celebre, controversa ma sempre affascinante, programmatic architecture losangelena che tanto ha fatto inorridire gli esteti europei.
Un esempio intrigante di ammiccamento verso lo
shopper di questa catena è il reparto delle birre. Grazie a un abbassamento dell’illuminazione overhead si
esalta la fredda luce dei “beer-themed neon signs”
allineati sopra le gondole. Le centinaia di etichette a
scaffale sovrastate da questa teoria di segnali luminosi
creano, allora, quella “choosing frenzy”, quell’imbarazzo della scelta che è, checché se ne dica, il primo
segreto della store loyalty. Mai essere banali! E Bristol
Farms non lo è di certo. Prendiamo un reparto molto
difficile nella California del Sud: l’ortofrutta. Il consumatore “decadente” di queste parti non s’accontenta
solo di frutta bella e buona. Vuole di più e ciò spiega
perché molte tra le iniziative più importanti nel campo
dell’organic siano partite proprio da qui. Vuole essere
continuamente sorpreso e allettato. Le foto di queste
pagine lasciano intravedere per esempio l’offerta selettiva di chesnut crab apples, un cultivar antichissimo
e raro, progenitore delle attuali varietà e oggi rievocato
dall’oblio. Accanto ci sono le minilady apple biologiche, le esotiche cherimoya dal gusto di sorbetto, la
croccante jicama e il kiwano o melone cornuto ora
coltivato anche nella regione. Tra le oltre 400 tipologie
di verdure è possibile ritrovare allora anche “heirloom
cultivar”, come i pomodori neri di Crimea o i Brandywine per coloro che sono stanchi dei pomodori perfetti e seriali delle coltivazioni forzate. Questa cura per
i prodotti elitari di tendenza e il sostegno al recupero e
alla difesa della biodiversità è una delle risposte distintive di questa catena che si rivolge a un target culturalmente sensibile (e benestante) avvinto dal fascino del
biologico e dell’ecocompatibile.
Un secondo punto d’onore di Bristol Farms è la macelleria. L’approvvigionamento proviene da innumerevoli parti degli Usa che producono carne certificata
Usda. La lavorazione avviene in loco con una grande
varietà di tagli e di preparazioni, ovviamente anche su
specifica richiesta del cliente. Per dare un esempio: gli
oltre 30 tipi di salsicce presenti nel banco delle carni
lavorate sono tutti freschissimi poiché prodotti manualmente in loco.
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L’offerta della frutta esotica e delle varietà speciali viene
attuata con l’ausilio di vassoio circolari inseriti negli scaffali
rigorosamente di colore nero, al fine di esaltare la policromia
del prodotto. Si notino nella foto le specie esotiche e la
riproposizione di antiche cultivar come le Crab Apple.
Le pareti affrescate ritraggono il paesaggio dell’area
californiana in cui opera l’insegna. In altri casi questi murales
riprendono fatti e immagini del passato delle comunità di
riferimento.
La carne viene quindi presentata prevalentemente come ready to cook. Il pollame e la cacciagione sono garantiti senza antibiotici e ormoni della crescita e refrigerati ad aria per evitare il loro gonfiamento truffaldino con
acqua. La maggior raffinatezza resta però la Dry-Aged
Beef, un prodotto di tendenza sempre più diffuso tra
le migliori catene americane. Costate e filetti vengono
stagionati in atmosfera controllata per 21 giorni, così da
renderli “commoventemente” teneri e saporiti.
Allo stesso modo anche il pescato asseconda le più
recenti tendenze politically correct dello slow fish.
Il grande assortimento di pesci pelagici come tonni,
pescispada, mahi mahi ecc. recano l’indicazione delle
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La disposizione a leggìo delle bottiglie (con la sottostante
massificazione verticale) permette una rapida ed efficiente
esplorazione del vastissimo assortimento di vini e spiriti di
Bristol Farms.
Le eleganti sedute del corner dedicato alle consumazioni dei
prodotti gastronomici offerti da Bristol Farms consente di
sviluppare una logica di full service.
modalità di pesca, lasciando agli shopper la decisione
di preferire le varietà catturate nel rispetto delle prescrizioni ecologiche più rigorose. Descrivere nei dettagli
tutto l’assortimento occuperebbe uno spazio eccessivo. Basti dire quindi che ogni reparto persegue con
rigorosa coerenza i due principali obiettivi della varietà
e della superiore qualità: 450 formaggi da tutto il mondo; 16 varietà di caffè d’origine torrefatti giornalmente
in comarketing con lo specialista Peet’s Coffe and Tea
e, inoltre, un reparto d’accessoristica da cucina che
offre le linee delle più note marche per soddisfare le
esigenze sempre più raffinate della cucina hobbistica.
Qualche parola in più va spesa per l’enoteca. Infatti,
oltre all’ovvia estensione dell’assortimento, essa go102
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de di una straordinaria, inusuale, ma basilare leggibilità dello scaffale. Trovandosi al centro di uno stato
grande produttore di vini, referenziarne 2.000 provenienti da ogni parte del mondo (australiani, sudafricani, kosher, europei…) non è banale. Il pericolo della
caoticità del reparto (a cui noi europei siamo peraltro
abituati) è incombente. Dalle fotografie a corredo si
può cogliere invece l’estrema funzionalità lessicografica dei display: la lettura di tutte le etichette è facilitata
dalla disposizione ordinata delle bottiglie adagiate su
un piano inclinato sovrastante la massificazione negli
scomparti verticali.
Complementare al vino è l’area degli spiriti di ancor più
ampia provenienza (Cina, Giappone, Serbia, Jamaica,
Perù…) con un ventaglio di oltre 2.000 referenze che
comprende bottiglie rare che arrivano anche a 1.600
dollari. Tutto questo accade in spazi sorprendentemente ridotti e soprattutto ambientati in modo affascinante
a guisa di cantine su un livello ribassato dai pavimenti in
cotto, con le luci calde e attenuate della controsoffittatura, i legni e i ferri battuti degli interni.
Un’altra peculiarità, ormai comune a tanti supermercati
di alta gamma di varie città americane, è la scuola di
cucina di Bristol Farms. È il luogo in cui si sviluppa la relazione con i consumatori appassionati di gastronomia
hobbistica e in cui si consolida una cultura alimentare
che esplora la geografia senza confini del piacere gastronomico. Grazie a lezioni di due ore ciascuna i partecipanti apprendono a preparare un party, ma anche ad
apprezzare linee di prodotti cucinati secondo tradizioni
più o meno esotiche, o secondo le tecniche raffinate di
chef rinomati. Mi è difficile immaginare come evolverà,
da qui a vent’anni, il gusto alimentare dei californiani in
funzione di queste iniziative sempre più diffuse e da noi
invece relegate all’interno del tubo catodico. Comunque
per i nostri retailer è consigliabile seguirne attentamente
l’evoluzione.
Ciò che contraddistingue sino a oggi l’approccio al territorio di Bristol Farms (il cui nome evocativo deriva in
realtà semplicemente dal nome di una strada di Los Angeles) è l’autonomia lasciata a ciascuno degli odierni 16
negozi operativi. L’obiettivo è integrarsi profondamente
nelle loro comunità di riferimento. Questa è la ragione per
cui ogni punto di vendita (Redondo Beach, Wetwood,
Pasadena, Palm Deserts ecc.), pur condividendo molti
elementi comuni, lascia al disegno dell’interior il compito
di distinguersi con una propria personalizzazione. Molto
interessante è l’uso di raffinati murales che coprono le
pareti libere. S’ispirano al passato della comunità in cui
sono inseriti per rievocarne i tratti distintivi. Nello store di
La Jolla vengono riprese le immagini storiche della vicina
San Diego, mentre l’ultimo nato a San Francisco cele-
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A sinistra uno scorcio dell’irresistibile banco della pasticceria fresca ricco di golosissimi richiami per il “decadent gourmet”
californiano. Parte dell’assortimento è prodotto in loco e parte nei laboratori di Bristol Farms. Il servizio contempla ovviamente ogni
genere di personalizzazione. A destra: un particolare del banco del pesce con diverse preparazioni ready-to-eat e ready-to-cook, come
filetti di salmone ripieni, kebab di pesce, crab cakes ecc. Lo spazio antistante è sfruttato per promuovere l’acqua minerale Dasani.
bra le magiche atmosfere della baia.
Si tratta di raffinatezze non superflue che si combinano con le soluzioni di visual merchandising avanzate e sviluppate in particolare da Palladeo Create e
DlEnglish Design Studio, che hanno predisposto sia
l’arredo sia i decori interni ed esterni realizzati sempre
con materiali plastici, legni e stucchi qualitativamente
pregiati per mantenere l’estrema coerenza del luogo.
L’impostazione generale consente insomma di decli104
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nare appieno il concetto di customer service.
Bristol Farms offre anche la possibilità di consumare
sul posto la sua produzione gastronomica, essendo
dotato di un’area di ristoro molto curata alla quale si
accede dal punto di vendita a ogni ora del giorno. In
conclusione, cercate stancamente il “wow effect” dopo la monotonia seriale di supermercati tutti uguali?
Mollate tutto e… “fly to L.A.”!
*Presidente di Popai Italy