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l`azione di condanna
“L’AZIONE DI CONDANNA”
PROF. ANGELO SCALA
Università Telematica Pegaso
L’azione di condanna
Indice
1
L’AZIONE DI CONDANNA ------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
1.1.
1.2.
1.3.
LA CONDANNA GENERICA --------------------------------------------------------------------------------------------- 6
CONDANNA IN FUTURO ------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
CONDANNA CON RISERVA DELLE ECCEZIONI ----------------------------------------------------------------12
Per il proficuo studio dell'insegnamento è assolutamente consigliata la consultazione
del vigente codice di procedura civile (anche e soprattutto se "annotato" e/o
"commentato" e/o "operativo)
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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L’azione di condanna
1 L’azione di condanna
L’azione di condanna si accomuna in qualche modo all’azione di accertamento, nel senso
che anche chi esercita un’azione di condanna in realtà chiede l’accertamento del suo diritto di
credito.
Ma c’è di più, nel senso che il soggetto non si limita a chiedere l’accertamento, ma
chiede anche un provvedimento giudiziale con il quale si imponga alla controparte di eseguire
una prestazione.
Infatti quando si parla di azione di condanna ci si riferisce ad una domanda che fonda i suoi
presupposti su di un obbligo inadempiuto o su una pretesa insoddisfatta.
Sul piano sostanziale, c’è un soggetto che ha il diritto all’esecuzione di una prestazione (al
pagamento di una somma di denaro, alla consegna di un bene o di fare) da parte di un altro
soggetto.
Ma vediamo da vicino quali sono le utilità che fornisce una sentenza di condanna.
Dunque la prima utilità è che la sentenza di condanna è titolo esecutivo, cioè in altre
parole sulla base di una sentenza di condanna è possibile iniziare l’esecuzione forzata, per ottenere
l’esecuzione coattiva dell’obbligo, da precisare però che quest’effetto (la circostanza che la
sentenza di condanna sia provvisoriamente esecutiva) si realizza dopo le riforme intervenute a
partire dal 90’ già sulla base di primo grado, cioè non è necessario aspettare che questa sentenza
passi in giudicato.
La seconda utilità è rappresenta dal fatto che sentenza di condanna è anche titolo per
iscrivere ipoteca giudiziale; cioè Il creditore può iscrivere ipoteca sui beni del debitore sulla base
della sentenza di condanna.
Infine la terza utilità è che la sentenza di condanna dal momento del passaggio in
giudicato è titolo per trasformare le prescrizioni brevi in prescrizioni lunghe.
Prima però di andare ad esaminare le varie forme di sentenza di condanna riconosciute dal
nostro codice, è opportuno soffermarsi su un ulteriore profilo e cioè l’attitudine della sentenza di
condanna a costituirsi titolo esecutivo.
Ci poniamo tale problema perché non sempre una pronuncia di condanna può essere
eseguita.
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L’azione di condanna
Esempio: l’ipotesi in questione potrebbe essere il caso in cui viene richiesto ad un soggetto
o meglio viene condannato un soggetto ad eseguire un fare infungibile.
Il problema degli obblighi di fare infungibili e degli obblighi di non fare (cioè dei
provvedimenti non eseguibili nelle forme del terzo libro del c.p.c.) è un problema molto sentito nel
nostro ordinamento.
Infatti il problema che si pone in questi casi è come si può imporre al debitore, al convenuto
che non voglia eseguire una prestazione infungibile o non eseguibile nelle forme del terzo libro del
c.p.c. di adempiere?
Secondo una parte della dottrina questo obbligo di adempiere può essere garantito facendo
ricorso alle cosiddette misure coercitive.
Tali misure sono delle sanzioni che vengono inflitte al debitore inadempiente che devono
servire a convincerlo del fatto che per lui è più utile eseguire la prestazione rispetto a continuare a
rimanere inadempiente.
Se diamo uno sguardo ai panorami europei ci rendiamo conto che queste misure coercitive
possono essere sostanzialmente di tre tipi:
Il primo tipo è quello che segue il modello francese e consistono nella previsione di una
somma di denaro che il debitore deve versare al creditore per ogni giorno di inadempimento nel
nostro ordinamento, un modello di misura coercitiva lo troviamo nell’ambito della disciplina dei
brevetti e marchi di impresa;
Il secondo tipo che è presente in alcune norme del nostro ordinamento trova la propria
espressione più comune, in un istituto di diritto tedesco della sanzione pubblica, la caratteristica di
questo modello è che in realtà il giudice condanna il debitore a versare una somma di denaro ma
non a favore del creditore ma a favore di un ente pubblico per fini pubblici.
Il terzo tipo è
di natura inglese ed è quello della sanzione penale collegata
all’inadempimento del provvedimento del giudice questo è il modello della cosiddetta offesa alla
corte.
Detto questo la domanda che ci dobbiamo porre è questa, al di là dei casi espressamente
indicati dalla legge (quindi che riconducono ai tre modelli francese ,tedesco e sanzione penale)
possiamo immaginare un modello di misure coercitive con carattere generale?
Cioè in Italia possiamo immaginare che il giudice possa imporre anche se non è prevista
dalla legge una sanzione o una misura coercitiva a carico della parte inadempiente?
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La dottrina prevalente ritiene di no sulla base di vari argomenti; il principale dei quali è che
si tratta di sanzioni civili che non possono essere dedotte in via interpretativa ma che devono essere
espressamente previste dalla legge.
Un'altra parte della dottrina invece ritiene che nel nostro ordinamento sia possibile
immaginare una possibilità di imporre le misure coercitive a carattere generale o richiamando
l’articolo 388 c.p.o applicando l’articolo 650 c.p.
Di recente, con la legge 69/2009 il legislatore ha risolto il problema, introducendo nel codice
di procedura civile l’art.614 bis, a detta del quale
Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa,
su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza
successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di
condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o
inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro
subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui
all’articolo 409.
Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del
valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di
ogni altra circostanza utile.
Quindi, riassumendo brevemente quanto detto fino a qui dobbiamo dire che la
sentenza di condanna ha come suo presupposto l’esistenza di un obbligo inadempiuto o di
una pretesa insoddisfatta e produce tre effetti particolarmente importanti e favorevoli per il
creditore:
1)
È titolo esecutivo già sulla base della sentenza di primo grado senza che sia
necessario attendere il passaggio in giudicato
2)
È titolo per iscrivere ipoteca giudiziale
3)
È titolo per trasformare le prescrizioni brevi in prescrizioni ordinarie
decennali.
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Accanto a questo modello generale di condanna, esistono delle condanne per cosi dire
speciali e sono:
1) Condanna generica
2) Condanna in futuro
3) Condanna con riserva delle eccezioni.
1.1.
LA CONDANNA GENERICA
La condanna generica è un istituto previsto dall’articolo 278 c.p.c.
L’articolo 278 c.p.c. stabilisce che il giudice, su richiesta di parte, quando è già raggiunta la
prova circa l’esistenza del diritto ma non ancora sulla quantità della prestazione dovuta, può
emanare una sentenza di condanna generica limitata cioè all’accertamento dell’an, dell’esistenza
cioè del diritto, riservando ad una seconda fase dello stesso processo, la determinazione della
quantità della prestazione.
Si dice che è una sentenza sull’an debeatur e non sul quantum; esempio Tizio cita in
giudizio Caio chiedendo la condanna di Caio al risarcimento del danno causato dall’ incidente
stradale di cui tizio è rimasto vittima, e asserisce che caio sia responsabile.
Il giudice si rende conto che effettivamente caio è il responsabile ma non ha ancora la
certezza della quantità della prestazione dovuta (qual è cioè il danno che ha subito tizio) dunque il
giudice su richiesta di parte si limita a condannare caio genericamente senza ancora dire quanto caio
dovrà dare a tizio, riservando questa fase del processo ad un secondo momento.
La prima domanda che ci dobbiamo porre in relazione alla condanna generica che è ben
ricordare che non è mai pronunciabile d’ufficio ma sempre su istanza di parte è quali sono le utilità
di quest’ultima?
Perché l’attore potrebbe avere interesse a chiedere al giudice la pronuncia di una condanna
generica solo sull’an ?
Per rispondere a questa domanda vediamo se la condanna generica produce le stesse utilità
della condanna con carattere generale cioè la condanna che generalmente è pronunciata.
Iniziamo con il chiederci se la condanna generica è titolo esecutivo.
La risposata è no, non è titolo esecutivo perché un titolo esecutivo presuppone un credito
che sia certo liquido ed esigibile; se manca quindi l’individuazione del quantum sicuramente il
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credito non è nè liquido, cioè determinato nel suo ammontare nè esigibile perché sottoposto alla
condizione che poi venga accertata l’esistenza di un danno.
Quindi non è titolo esecutivo ma sulla base dell’art 2818 la condanna è titolo per iscrivere
ipoteca giudiziale.
In questa logica c’è già un’utilità molto forte che la sentenza di condanna è in grado di
apportare a colui che la ottiene perché sulla base della condanna generica si può iscrivere ipoteca
sui beni del debitore.
Ci rendiamo conto che questo per chi ottiene la sentenza è un grande vantaggio perché quei
beni il debitore non se li può vendere perché anche se li vende su quel bene c’è il diritto di seguito
dell’ipoteca del creditore ipotecario, cioè il bene viene venduto con l’ipoteca e quindi il creditore è
garantito all’adempimento della prestazione.
Dunque, ricapitolando la sentenza di condanna generica non è titolo esecutivo ma è titolo
per iscrivere ipoteca mentre è un po’ dubbio in dottrina e in giurisprudenza se sia titolo per
trasformare le prescrizioni brevi in prescrizioni lunghe, il dubbio nasce dal fatto che questo effetto
è in genere collegato alla sentenza di condanna ( la sentenza di condanna una volta passata in
giudicato è titolo per trasformare le prescrizioni brevi in lunghe).
Si può quindi definire come sentenza di condanna, una sentenza con la quale il giudice si
limita a dire c’è il diritto di credito ma non dice per quale entità?
o di fatto è una sentenza di accertamento?
Dunque chi pensa che ci troviamo di fronte ad una sentenza di accertamento nega che sulla
base di quella sentenza si possa ottenere la trasformazione delle prescrizioni brevi in prescrizioni
lunghe; la prevalente dottrina però facendo leva sul carattere di condanna formalmente attribuito
alla sentenza dall’art 278 ritiene che la sentenza di condanna generica possa essere titolo per
trasformare le prescrizioni brevi in prescrizioni lunghe.
Quindi la sentenza di condanna generica non è titolo esecutivo, è titolo per iscrivere ipoteca
giudiziale, forse
è anche titolo per trasformare le prescrizioni brevi in prescrizioni lunghe,
ovviamente una volta passata in giudicato, accanto a questa utilità di squisita matrice sostanziale la
sentenza di condanna generica determina anche una ulteriore utilità di carattere processuale, nel
senso che la sentenza di condanna generica rientra nel novero dei provvedimenti del giudice definiti
come sentenze non definitive intendendo con questa espressione tutte quelle sentenze che non
chiudono il processo davanti al giudice che le ha pronunciate.
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L’azione di condanna
Spesso si cade nell’errore nel dire che le sentenze non definitive sono le sentenze non
passate in giudicato, cosa chiaramente sbagliata perché le sentenze non definitive possono passare
in giudicato se non sono autonomamente impugnate.
A volte gli studenti dicono che la sentenza non definitiva è la sentenza di rito cioè quella
che non decide il merito, altra cosa sbagliata perché le sentenze non definitive possono essere sia di
merito (la condanna generica), di rito( es. la sentenza con la quale il giudice rigetta l’eccezione di
incompetenza o di difetto di giurisdizione).
L’unica caratteristica importante che si accompagna alle sentenze non definitive è che
quest’ultime non chiudono il processo davanti al giudice che le ha emanate, cioè non definiscono il
giudizio; nonostante la pronuncia di quella sentenza, sia essa di merito che di rito, il processo
prosegue.
Quando parliamo di condanna generica ci riferiamo alla sentenza non definitiva di merito
perché è una sentenza con la quale il giudice decide una parte della causa e decide circa l’esistenza
del diritto anche se non ne è ancora accertato il quantum.
Quindi non è una sentenza sul processo, ma sul diritto, le sentenze non definitive di merito
hanno una particolare caratteristica anche se il processo si estingue anche se dopo la pronuncia della
sentenza non definitiva il processo si estingue esse conservano efficacia e ove non impugnate
passano in giudicato.
Questa circostanza determina sicuramente un’utilità per colui il quale ottiene una sentenza
non definitiva, cioè egli sa che se dopo la pronuncia della sentenza il processo non va avanti, ovvero
si estingue, quella sentenza (quell’accertamento circa l’esistenza del suo diritto),rimane fermo e
astrattamente può essere anche idonea a passare in giudicato a diventare cioè stabile e non
controvertibile.
Se questa è la disciplina della condanna generica con l’ indicazione degli effetti della
condanna generica,
vediamo quali sono i problemi degli effetti teorici che questo istituto
determina; e ne sono soprattutto due.
Il primo attiene alla possibilità di immaginare una sentenza sull’an come unica pronuncia
che venga chiesta al giudice, in altri termini ci si può domandare se l’attore invece che chiedere in
un processo l’an e il quantum con la possibilità che vi sia accertato l’an , chieda la pronuncia di una
sentenza di condanna generica che si limiti a chiedere solo l’accertamento dell’an debeatur, solo
cioè l’accertamento dell’esistenza del suo diritto senza chiedere in quel processo il quantum, ma
riservando il quantum ad un autonomo giudizio.
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L’azione di condanna
In questo caso, ove noi rispondessimo positivamente a questa domanda ove noi cioè
concedessimo la possibilità all’attore di iniziare il processo nel quale si chiede solo l’accertamento
dell’an debeatur la sentenza di condanna generica non sarebbe più una sentenza non definitiva ma
sarebbe una sentenza definitiva
perché l’ unica richiesta fatta dalla parte sarebbe quella di
pronunciare sull’an.
Quindi una volta pronunciato sull’an il processo si chiude e poi si fa non in un’altra fase
dello stesso processo ma in un altro processo la liquidazione del quantum.
Ma è possibile una simile iniziativa da parte dell’attore?
Cioè può richiedere una sentenza che sia limitata soltanto all’accertamento dell’an?
Una parte della dottrina nega questa possibilità, dicendo in realtà in questo modo non si
eserciterebbe una condanna ma un’azione
di mero accertamento e si utilizza l’espressione
condanna solo per poter iscrivere ipoteca sui beni del debitore, cioè costringendo il debitore ad
adempiere.
Una parte della dottrina dice che non è concepibile, in quanto o si chiede la condanna e
quindi bisogna dare anche la prova del quantum o non chiedi la condanna ma ti fai un’azione di
accertamento e non ottieni ipoteca.
La giurisprudenza invece riconosce questa possibilità ma con una importante precisazione :
l’attore può iniziare il processo limitandosi a chiedere la condanna del convenuto alla prestazione,
senza chiedere la liquidazione del danno ma dev’essere sempre data al convenuto la possibilità nel
processo di chiedere anche l’accertamento del quantum.
Da qui il secondo problema, che cosa accade se poi in sede di accertamento del quantum si
scopra che nessun danno è stato subito dall’attore?
Ovviamente adesso siamo tornati all’idea della condanna generica come sentenza non
definitiva cioè il giudice dopo aver pronunciato la sentenza di condanna generica svolge un’attività
istruttoria dedicata all’accertamento del quantum e si rende conto che in realtà nessun danno ha
subito l’attore. Secondo la prevalente dottrina, in questo caso la condanna perde efficacia.
1.2.
CONDANNA IN FUTURO
In genere la sentenza di condanna presuppone che vi sia già stato un inadempimento, un
obbligo inadempiuto o una pretesa insoddisfatta¸ tizio chiede la condanna di caio a pagare una
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somma che caio doveva pagare e non l’ha fatto, o ad eseguire una prestazione che caio doveva
eseguire e non ha eseguito.
In alcuni casi, del tutto eccezionali, il legislatore consente all’attore di agire in giudizio per
chiedere la condanna attuale all’adempimento di una prestazione sottoposta a termine
o a
condizione prima che il termine sia scaduto o la condizione si sia realizzata.
Ma ci si chiede è possibile una pronuncia di questo tipo?
In alcuni casi, la legge espressamente lo consente, due di questi casi li troviamo nell’ambito
del procedimento per convalida di sfratto.
Si sa che nell’ambito del procedimento per convalida di sfratto esistono tre ipotesi
all’interno dei quali è attivabile questa forma di procedimento:
1)
quando il contratto di locazione è scaduto e quindi il locatore chiede il rilascio
dell’immobile sulla base della scadenza del contratto
2)
quando il creditore è moroso, cioè non ha pagato i canoni e quindi il locatore chiede
che venga risolto il contratto e venga condannato il debitore al pagamento dei canoni
3)
quando il contratto non è ancora scaduto e il locatore chiede almeno sei mesi prima
della scadenza del contratto di ottenere la condanna del conduttore al rilascio
dell’immobile.
Dunque nei primi due casi si parla di sfratto, nell’ultimo caso si parla di licenza per finita
locazione.
Ora la condanna in futuro caratterizza il procedimento per convalida di sfratto sia per
l’ipotesi di licenza per finita locazione sia in qualche caso di sfratto per morosità.
La licenza per finita locazione è per definizione una forma di condanna in futuro perché il
legislatore consente al locatore di ottenere una condanna attuale al rilascio dell’immobile ma non da
subito ma nel momento in cui il contratto sarà scaduto.
Dunque ricapitolando la licenza per finita locazione è una tipica forma di condanna in
futuro; anche però nell’ambito dello sfratto per morosità possiamo avere una condanna in futuro
perché la legge dice che contestualmente alla risoluzione del contratto il giudice può pronunciare un
decreto ingiuntivo con il quale intima al conduttore il pagamento dei canoni scaduti e da scadere, la
norma a cui si fa riferimento è l’articolo 664 c.p.c.;. il giudice pronuncia decreto di ingiunzione per
l’ammontare dei canoni scaduti e da scadere; ma qual è la logica di questo ragionamento?
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La logica è che se non hai pagato per un anno il fitto è probabile che non continuerai a
pagare dunque finchè non c’è l’esecuzione dello sfratto mi devi pagare i canoni scaduti ma anche
quelli che scadranno successivamente.
Una terza ipotesi di condanna in futuro è costituita dall’articolo 148 c.c ; stiamo parlando
dell’ipotesi del concorso dei coniugi nell’adempimento dei doveri verso i figli. Notate che in caso di
inadempimento di uno dei coniugi il presidente del tribunale può ordinare con decreto che una
quota dei redditi dell’obbligato sia versato direttamente all’altro coniuge. Al di là di queste ipotesi
espressamente previste dalla legge il dubbio che ci si pone è se la condanna in futuro è un istituto
di carattere generale (cioè estendibile al di fuori dei casi previsti dalla legge) o è un istituto tipico;
cioè può essere riconosciuto solo nei casi espressamente previsti dalla legge?
Anche su questa domanda c’è un forte dibattito, in quanto una parte della dottrina spinge
affinchè la condanna in futuro sia considerata un istituto di carattere generale e
soprattutto
deducendo due argomenti, un primo che attiene all’economia processuale, cioè si dice che è inutile
che ogni volta l’attore debba iniziare un processo per far valere l’inadempimento del convenuto e
quindi può ottenere una condanna attuale che è titolo esecutivo per tutti i crediti presenti e futuri.
L’ altro principio è quello di effettività della tutela giurisdizionale se il processo deve dare
all’attore proprio quello e tutto quello che gli è riconosciuto sul piano sostanziale cioè se egli è
creditore deve poter ottenere dal giudice una sentenza che accerti il suo diritto di credito anche per
il futuro.
Ciò che argomenta il principio di economia processuale è cioè si dice non ha senso imporre
all’attore di iniziare più processi relativi allo stesso diritto di credito quando può con un unico
processo ottenere un titolo da spendere anche per il futuro, e poi c’è un principio di effettività della
tutela bisogna evitare che nelle more tra l’uno e l’altro processo magari il convenuto si spogli dei
suoi beni; quindi se c’è un unico diritto di credito è giusto che venga accertato con un’unica
sentenza.
Ecco quindi che una condanna in futuro con un’ipoteca sui beni consente al creditore:
1) di evitare che nel frattempo il debitore si spogli di tutti i suoi beni
2) di consentire una garanzia patrimoniale in grado di rendere più facile la realizzazione del
diritto di credito .
Altra parte della dottrina invece nega l’ammissibilità di una condanna in futuro con carattere
generale soprattutto deducendo due motivazioni.
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Il primo paradossalmente non è molto diverso
da quello utilizzato dai fautori della
condanna in futuro con carattere generale però è rovesciato; l’economia processuale cioè gioca non
a favore come dicono coloro i quali vogliono imporre la condanna in futuro con carattere generale,
ma contro questa forma di tutela generalizzata, ciò perché l’adempimento non c’ è ancora stato e
quindi chiedere al giudice di accertare l’esistenza dell’ inadempimento anche per il futuro
appesantisce il processo, in più l’ammissibilità di una condanna in futuro con carattere generale
rischia di essere un modo attraverso il quale una parte in qualche misura costringa l’altra parte ad
adempiere, diventa cioè uno strumento di pressione messo a disposizione del creditore nei confronti
del debitore(es. devo avere dei soldi da tizio, dato che non so se tizio mi paga comincio a chiedere
al giudice già da ora la condanna in futuro e iscrivo ipoteca sui suoi beni; in questo modo mi vedo
riconosciuto dall’ordinamento un indebito strumento di pressione per costringerlo ad adempiere
prima dell’inadempimento).
Il punto è ancora molto dubbio in dottrina sull’ammissibilità di questa condanna in futuro
con carattere generale.
Diciamo però che l’opinione prevalente è nel senso che non sia ammissibile con carattere
generale al di fuori degli obblighi alimentari dove invece ci sono esigenze particolari che l’
impongono.
1.3.
CONDANNA CON RISERVA DELLE ECCEZIONI
Per parlare di questa azione bisogna fare un passo indietro e cioè quando abbiamo parlato
dell’accertamento e poi all’interno dell’accertamento abbiamo parlato
dell’accertamento
incidentale e cioè delle questioni che dovevano essere esaminate dal giudice; ci dicemmo che l’
accoglimento della domanda da parte del giudice presuppone che sia accertata l’esistenza dei fatti
costitutivi del diritto e che sia accertata l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto e che sia accertata
l’inesistenza dei fatti estintivi, modificativi ed impeditivi.
Il giudice cioè prima di accogliere la domanda deve accertare che il diritto è esistito e deve
rigettare le eccezioni.
Il giudice non potrebbe mai pronunciare una condanna sulla base dell’accertamento dei soli
fatti costitutivi senza esaminare le eccezioni perché avrebbero violato il principio della
corrispondenza del chiesto e pronunciato.
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L’azione di condanna
In alcuni casi invece eccezionalmente previsti dalla legge, la legge stessa consente al giudice
di pronunciare una condanna riservando l’esame delle eccezioni ad un secondo momento.
Quindi pronuncia la condanna sulla base dell’accertamento dei soli fatti costitutivi del diritto
dell’attore, riservando ad un secondo momento l’esame delle eccezioni.
Il caso tipico di condanna con riserva delle eccezioni è costituito dall’art 35 c.p.c..
L’articolo 35 c.p.c. disciplina
l’eccezione di compensazione , l’eccezione di
compensazione è l’eccezione con la quale una parte fa valere l’esistenza di un suo controcredito
nei confronti dell’attore(creditore).
L’eccezione di compensazione è una tipica eccezione in senso stretto, cioè non è rilevabile
d’ufficio dal giudice, dall’art 35 c.p.c. si evince che se ricorrono queste tre condizioni:
1) il controcredito eccepito in compensazione supera la competenza per valore del giudice
adito
2) è un controcredito contestato dall’attore il quale nega l’esistenza di questo controcredito
del convenuto
3) il titolo su cui si fonda la domanda principale è certo o facilmente accertabile; il giudice
non rimette tutto al giudice superiore, ma decide sulla domanda principale e rimette al giudice
superiore solo la decisione sull’eccezione di compensazione, per questo si parla di condanna con
riserva dell’eccezione, cioè quell’eccezione che in astratto dovrebbe essere esaminata prima di
accogliere la domanda, viene riservata ad un successivo giudizio egli si comincia a pronunciare
sulla base del titolo ma quando il titolo della domanda principale è certo o facilmente accertabile es.
l’ assegno.
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