Perseverare diabolicum Dicembre 2000

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Perseverare diabolicum Dicembre 2000
Dic 2000 – Business 2.0
PERSEVERARE DIABOLICUM
La peculiarità della “corsa all’oro” rappresentata dalla net-economy (almeno nella
versione 1999) rispetto alle occasioni di arricchimento della storia moderna è la
diversità di preparazione dei protagonisti: mentre sulla via della seta, sui galeoni
spagnoli e nel Klondike andavano avventurieri, galeotti e disperati, nelle iniziative
della net – economy si sono riversati i giovani più bravi e preparati che hanno
lasciato, a decine di migliaia, ottimi lavori e prospettive di carriera in società di
consulenza, merchant banks e aziende di tutti i tipi.
La scelta di dedicarsi agli start up era razionale: se il giovane neo – imprenditore
avesse avuto successo sarebbe diventato ricco, se no sarebbe stata un’esperienza
comunque utile, assimilabile ad una business school, stante la forte domanda di
persone preparate e quindi la possibilità di rientro nel mondo “normale”.
Si stima che sulla base di tali ragionamenti il 50% dei laureati delle prestigiose
business schools e un buon quarto del personale più qualificato delle società di
servizi (consulenza, sistemi gestionali su base web, merchant banks) si sia spostato
negli ultimi 2 anni verso iniziative imprenditoriali della net economy.
La razionalità della scelta era basata su una serie di fatti e sull’ipotesi di una
continuazione di alcuni recenti trend storici:
Il numero dei “ragazzi miliardari” (almeno in termini di valore delle azioni) era
cresciuto in modo esplosivo;
I venture capitalist ricevevano dal mercato enormi quantità di soldi che poi
riversavano a pioggia su tante iniziative di tipo high tech, anche con labili
prospettive di successo;
I nuovi mercati finanziari, NASDAQ in testa, assicuravano l’uscita degli investimenti
per i venture capitalist anche prima del breakeven;
La realizzazione di nuove attività interattive era facile e alla portata di tutti. Nuove
idee nascevano a getto continuo ed era improbabile che ciascuna idea fosse già in
sviluppo altrove;
Soprattutto le aziende “normali” dormivano, perché non avevano compreso i rischi
e le potenzialità di internet sia perché erano paralizzate da conflitti di canale e
perchè comunque avevano tempi di decisione e reazione da pachidermi.
Oggi è evidente che tale scenario è radicalmente cambiato come testimoniano i
titoli di molte società del NASDAQ che quotano 1/10 di un anno fa:
Le iniziative della net – economy vengono affidate a manager o addirittura a serial entrepreneurs (cioè a manager che hanno più di una esperienza positiva di
costruzione e vendita di un business);
I venture capitalist ricevono meno soldi e li indirizzano solo su iniziative che hanno
un probabile breakeven in massimo 2 anni;
Si è rarefatto il numero degli IPO; la quotazioni di iniziative tanto cervellotiche
quanto pubblicizzate è rimandata con la scusa che "i mercati non sono
temporaneamente favorevoli" (in realtà, il modello di business non sta in piedi: la
pubblicità non si vende e i fees per transazione non sono accettati)
Con 30 milioni di siti web attivi nel mondo, è diventato oggi improbabile che una
qualsiasi idea di business non sia già stata inventata altrove. Inoltre, le iniziative
valide di e-commerce tendono ad espandersi internazionalmente, cosicché la
“riserva di caccia”, rappresentata dalla lingua italiana si è esaurita con l’ingresso di
competitori esteri. Infine, i problemi di realizzazione di nuove iniziative, e la qualità
necessaria per distinguersi, sono cresciute esponenzialmente: per avere successo ci
vuole molta più esperienza manageriale di quella dei mitici antesignani quali i
fondatori di Yahoo!, e-Bay, Amazon ecc.
Soprattutto, le grandi aziende che prima dormivano ora si sono svegliate, ed hanno
enormi vantaggi competitivi rispetto ad un normale “.com”: brand, muscolo
finanziario, conoscenza della clientela potenziale ecc. Molte di queste aziende hanno
affidato lo sviluppo delle proprie iniziative nel settore della net-economy a team di
manager e consulenti esperti, talvolta con il supporto di un venture capitalist (in
modo da disporre anche di stimoli e conoscenze adatte alla valorizzazione
dell’iniziativa) realizzando così un connubio vincente rispetto a quello rappresentato
da persone intelligenti ma inesperte e abbandonate a se stesse.
In questo contesto sono all’ordine del giorno i fallimenti di molte iniziative che pur
sembravano vincenti solo pochi mesi fa; quelle che non falliscono (per ora) vengono
strappate dalla gestione dei loro fondatori giovani ed entusiasti per essere affidate
alle cure di manager esperti.
Il radicale cambiamento di scenario dice chiaramente che è “finita la ricreazione” e
che, siamo tornati alle regole ferree della “vecchia economia” e cioè: scetticismo sui
piani di business, dimostrazione di un record di successo da parte degli aspiranti
imprenditori, potere a chi dispone di assets stabilizzati (soldi, management, brand).
L’equilibrio fra rischio e rendimento è cambiato in modo drammatico: mentre prima
si finanziavano tante attività perché bastava imbroccarne una giusta per ripagare
tutte quelle che sarebbero andate male, ora quella che andrà bene avrà un valore
normale, mentre tutte le altre hanno infime possibilità di riuscire e, comunque,
varrebbero pochissimo. Chi è partito molto prima può ancora farcela, mentre per
chi parte ora o è partito da qualche mese le probabilità sono irrisorie.
Ma allora perché persone intelligenti non tornano di corsa dove erano prima? Nei
campus americani ormai B2B e B2C vuol dire back to banking e back to consulting,
ma in Italia per chi ha fatto la scelta di “provare” c’è una specie di ritardo nel tirare
le conseguenze di questa realtà e quindi concludere che è andata male e che è
meglio ritornare in organizzazioni vincenti, finché si è in tempo e c’è posto. Sembra
quasi di vedere i carri dei ricercatori d’oro ritardatari che si dirigono ancora
faticosamente verso il Klondike, non sapendo (o non volendosi arrendere
all’evidenza) che le vene d’oro si sono esaurite e che i soldi li fanno ormai solo le
banche, i company stores e i tenutari di bordelli. Cecità? Orgoglio? Cattivi consigli?
Oppure, semplicemente, la bravura come analisti non ha niente a che fare con la
bravura come managers: questi sanno capire in tempo quando è il caso di gettare
la spugna, mentre i primi lo capiscono solo dopo essersi fatti male.
La ragione è che i sogni sono duri a morire; chi passa 12 ore al giorno per far
partire il proprio startup non “vuole vedere” che ciascuno dei 10 nuovi concorrenti
ha qualche vantaggio in più, che le possibilità di uscita dell’investimento si sono
allontanate, che l’e-business si sviluppa molto più lentamente di quanto era
previsto ed in modo diverso, e altre “cattive notizie” simili. E’ umano, ma stupido.
Questa cecità collettiva è particolarmente colpevole perché non è difficile prevedere
il futuro se questo è già scritto altrove: negli USA negli ultimi 4 trimestri si è
passato dal massimo entusiasmo al massimo scetticismo per il B2C, il B2B, i
marketplaces, gli ASP ed è evidente che nel prossimo trimestre ci sarà un’altra
illusione che cade ed un’altra futura illusione che avanza, peraltro con minor
convinzione di tutti i venture capitalist. L’esperienza dimostra che le mode (positive
o negative) degli USA si diffondono nel resto del mondo con un time-lag di 3-9
mesi, a seconda della sensibilità e dei collegamenti degli operatori locali. Ma nella
realtà italiana assistiamo a ragazzi intelligenti, che dovrebbero essere informati
istantaneamente sulle tendenze USA, che invece perseverano in scommesse
perdenti. Peccato!
In questo contesto non bisogna trarre la conclusione che fare soldi con la “net
economy” non sia più possibile: al contrario, si possono raccogliere i rottami utili
degli errori altrui, sfruttare i collegamenti con le grandi imprese, comprare quei
“brick & mortar” che hanno il potenziale di essere trasformati in “click & mortar”,
creare dei cloni di modelli di business di provato successo con l’accordo di rivendita
allo straniero di turno, focalizzarsi sulle nuove scarsità (frequenze di
telecomunicazioni, disponibilità di contenuti, conoscenze del territorio, capacità di
attirare i talenti ecc.). Quello che non è più possibile è fare i soldi facili o
improvvisarsi imprenditori senza aver prima imparato a gestire (e quindi facendo
errori non fatali).
In questa situazione si vedrà facilmente chi sono quelli bravi veramente: sono i
ragazzi che non continuano caparbiamente a perseguire un modello inesistente di
facile ricchezza e che invece ritornano subito a lavorare in istituzioni nelle quali le
loro capacità sono valorizzate in modo mediamente più profittevole e sicuro. Dopo
B2B e B2C è arrivato il B2I: Back to Institutions!