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Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana
Anno XIII - 2014 - Quaderno N. 12 - Nuova Serie - ISSN 1825-0300
DIRETTORE: Francesco Sini
DIREZIONE: Omar Chessa - Maria Rosa Cimma - Michele Maria Comenale Pinto - Domenico D’Orsogna
Gian Paolo Demuro - Giovanni Lobrano - Attilio Mastino - Pietro Pinna - Antonio Serra - Giovanni Maria Uda
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IL QUADERNO N. 12 [2014]
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Dipartimento di Giurisprudenza
Reg. Trib. di Sassari N. 217 del 3-2-2004
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Reg Trib. di Sassari N. 217 del 3-2-2004
LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DELL’ATTIVITÀ
CROCIERISTICA *
MICHELE M. COMENALE PINTO
Università di Sassari
SOMMARIO: 1. La vicenda della «Costa Concordia». – 2. Mancanza di specificità della tipologia
del traffico crocieristico rispetto alla prevenzione degli incidenti con implicazioni ambientali. – 3.
Mancanza di specificità della tipologia del traffico crocieristico rispetto alla gestione degli incidenti
con implicazioni ambientali. – 4. Mancanza di specificità della tipologia del traffico crocieristico
rispetto alla responsabilità per incidenti con implicazioni ambientali. – 5. La sostenibilità
ambientale del traffico crocieristico. – 6. Conclusioni. – Abstract.
1. – La vicenda della «Costa Concordia»
Accanto alle problematiche in tema di sicurezza della navigazione in senso
ampio, ed alle considerazioni sullo specifico contesto, le implicazioni ambientali sono
state fra i fattori che più hanno avuto risalto sui mezzi di comunicazione di massa, a
seguito della sfortunata vicenda che il 13 gennaio 2012 ha coinvolto la nave «Costa
Concordia» davanti all’Isola del Giglio. Del resto, l’attenzione dell’opinione pubblica per
le conseguenze ambientali del naufragio di una nave da crociera nel Mediterraneo era
stata già catalizzata, in tempi relativamente recenti, dall’episodio, in parte analogo, del
5 aprile 2007, di fronte all’isola greca di Santorini, che aveva coinvolto la nave «Sea
Diamond»[1]. Quest’ultima, originariamente impiegata, con il nome di «Birka
Princess», in servizi di linea fra Finlandia e Svezia, dopo aver cambiato bandiera, era
stata impiegata dalla compagnia di navigazione cipriota Louis Hellenic Cruise Lines, pur
essendo di proprietà della società maltese Elona Maritime Ltd, ed essendo iscritta nel
registro marittimo greco, al Pireo[2].
Era certamente doveroso che gli organi di stampa si soffermassero su entrambe
le vicende testé menzionate, ed è comprensibile che su di esse si concentrasse
l’attenzione dell’opinione pubblica, e che, al di là dei sentimenti evocati dalla perdita
delle vite umane, e dello sconcerto per la sicurezza marittima[3], sia stata espressa più
di una preoccupazione per i profili ambientali. Dai sinistri in questione è derivata
l’effettiva immissione in mare di sostanze estranee, ed in parte il potenziale rischio che
altre sostanze potessero essere immesse, inducendo la necessità di provvedere ad
un’adeguata attività antinquinante, in particolare (ma non esclusivamente), per quanto
concerneva carburanti e lubrificanti; ciò a prescindere, poi, dalle implicazioni (anche,
ma non solo) paesistiche della presenza di relitti parzialmente emersi nelle acque di
aree di considerevole rilievo ambientale, e comunque a forte vocazione turistica. A ciò
si sono aggiunte le preoccupazioni per le attività di rimozione[4] e smantellamento del
relitto[5], per le quali si è provveduto al rigalleggiamento del relitto ed al suo traino
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fino a Genova[6]. È appena il caso puntualizzare che, al di là dei fattori collegati alle
dimensioni considerevoli del relitto[7], con le relative complicazioni tecniche, ed il
maggior rischio che ne poteva derivare, sotto il profilo ambientale marittimo la vicenda
non presentava aspetti peculiari rispetto ad analoghe situazioni che avessero coinvolto
altre tipologie di navi.
Dal punto di vista operativo, nel caso specifico della Costa Concordia,
l’evacuazione dell’ingente quantità di idrocarburi presente a bordo (circa 2500
tonnellate) è rimasta condizionata all’esaurimento delle operazioni relative alla messa
in sicurezza dello scafo[8]. È da sottolineare come la vicenda abbia avuto come teatro
un’area di mare che avrebbe dovuto essere interessata dalla ancora non istituita Area
marina protetta dell’Arcipelago Toscano, pur prevista dalla legge 31 dicembre 1982 n.
979 sulla difesa del mare[9], in un contesto caratterizzato comunque dall’istituzione
del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, con una perimetrazione a mare che non
interessa di per sé l’Isola del Giglio, ma comprende lo scoglio Le Scole, su cui è
avvenuto l’impatto[10].
Certamente il contesto delicato in cui l’incidente ha avuto luogo ha contribuito a
destare allarmi sotto più profili. Alle considerazioni più propriamente di carattere
ambientale, si sono aggiunte le comprendibili preoccupazioni di carattere economico
della popolazione rivierasca che ha potuto temere conseguenze negative sulle proprie
prospettive di reddito[11]. È, infatti, innegabile la vocazione turistica dell’Isola del
Giglio, così come lo è quella dell’Isola di Santorini in Grecia: in altri termini, si tratta di
territori, in cui i redditi sono collegati al turismo, con un considerevole rilievo
dell’accessibilità e fruibilità dei siti balneari, e su cui certamente episodi come quello a
cui stiamo facendo riferimento possono incidere in maniera oltremodo negativa. Anche
sulla base di tali considerazioni, a seguito della vicenda della «Costa Concordia», è
stato dichiarato lo stato di emergenza[12], per il quale si è ovviamente tenuto conto
anche del «potenziale pericolo per lo svolgimento di tutte le attività marittime» che
derivava dalla permanenza dello scafo[13].
2. – Mancanza di specificità della tipologia del traffico crocieristico rispetto alla
prevenzione degli incidenti con implicazioni ambientali
Se queste sono le ineludibili premesse, va innanzitutto dato atto che i naufragi
delle navi da crociera (e, a monte, la stessa navigazione di tali navi) non comportano
certo rischi ambientali maggiori di quelli delle navi impiegate in traffici per il trasporto
di merci. In particolare producono certo minor rischio ambientale di un sinistro che
coinvolga navi adibite al trasporto di idrocarburi alla rinfusa, o di sostanze pericolose,
ipotesi che, non a caso, sono state oggetto di una disciplina uniforme specifica, per le
prime già in vigore, ormai da tempo (il c.d. sistema della «CLC»)[14], sia pure
assoggettata a vari emendamenti ed integrazioni[15], e, per le seconde, con qualche
prospettiva più concreta di poter entrare in vigore, grazie agli adattamenti recati da un
recente protocollo di emendamento (l’allusione è al regime della c.d. «HNS»)[16].
Tuttavia, è inevitabile che un evento spettacolare, quale può essere appunto un
naufragio marittimo, ingeneri preoccupazioni maggiori, anche rispetto ai profili
ambientali, di quanto non possa accadere per una fonte di inquinamento costante che,
attraverso un apporto di sostanze estranee senza soluzione di continuità, costituisca in
concreto un vulnus idoneo ad incidere perniciosamente sull’ecosistema, in misura
maggiore e, in assenza di interventi correttivi efficaci, in maniera irreversibile[17].
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D’altronde, come è stato messo ampiamente in evidenza, la spinta all’adozione
di un regime speciale per la disciplina dei danni derivanti dallo spandimento in mare di
idrocarburi (così come quella verso la definizione di un regime per l’intervento in mare
volto a prevenire le conseguenze dell’inquinamento)[18] è stata dovuta principalmente
ad un incidente di gravi proporzioni al largo delle coste della Cornovaglia[19], ed il
medesimo rilievo è, mutatis mutandis, riproponibile anche per i successivi interventi di
emendamento delle convenzioni CLC e FUND; un’analoga considerazione è pure
proponibile per l’Oil Pollution Act degli Stati Uniti rispetto alla vicenda della Exxon
Valdez[20].
Non può certo stupire, dunque, che la spinta dell’emozione determinata dalla
vicenda della Costa Concordia, abbia finito per indurre all’adozione del c.d. decreto
«anti-inchini»[21], il cui ambito di applicazione non a caso, però, è tutt’altro che
circoscritto alle navi da crociera. In realtà, con il d.m. 2 marzo 2012 si è affermato il
divieto di navigazione, ancoraggio e sosta, nella «fascia di mare che si estende per due
miglia marine dai perimetri esterni dei parchi e delle aree protette nazionali, marini e
costieri, istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n.
394», e all'interno dei medesimi perimetri»[22] non solo per le navi da crociera, ma in
genere per le «navi mercantili adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori alle
500 tonnellate di stazza lorda» (art. 1) e si sono dettate norme di navigazione specifica
nelle acque del cosiddetto «Santuario dei Cetacei»[23], e nel Canale di San Marco,
nonché nel Canale della Giudecca, nell’ambito della Laguna di Venezia (art. 2)[24].
Anche in queste ultime due ipotesi, la disciplina dettata non è specificamente
riferita alle navi da crociera; anzi, la prima è riferita a tutt’altra tipologia di traffici e di
navi, ovvero quelle «che trasportano su ponti scoperti e in colli sostanze rientranti
nelle tipologie di cui all'allegato III della convenzione internazionale per la prevenzione
dell'inquinamento da navi Marpol 73/78 e al Codice marittimo internazionale per il
trasporto delle merci pericolose (Imdg Code), anche in rimorchi, semirimorchi,
container, camion e vagoni, devono adottare sistemi di ritenuta del carico che ne
garantiscano la massima tenuta e stabilità in ogni condizione meteomarina, al fine di
prevenire e impedire perdite accidentali dei carichi»[25].
D’altronde, non era necessario affermare un divieto di tenere rotte
eccessivamente vicine alla costa e potenzialmente pericolose, sia rispetto alla sicurezza
della nave e della comunità a bordo, sia rispetto alla sicurezza dell’ambiente, che è già
presente nell’ordinamento e che vale anch’esso per ogni tipologia di nave, e non
soltanto per le navi da crociera[26].
È appena il caso di aggiungere che i vincoli alla navigazione sopra riferiti vanno
coordinati (come, del resto, espressamente affermato dal testo che li introduce) con gli
schemi di canalizzazione del traffico[27], e sono da ritenersi compatibili con i princìpi in
materia di esercizio del diritto di passaggio inoffensivo e, dunque, applicabili anche a
navi di diversa nazionalità[28].
3. – Mancanza di specificità della tipologia del traffico crocieristico rispetto alla
gestione degli incidenti con implicazioni ambientali
Anche per quanto concerne la reazione alle vicende patologiche, volte ad
arginare le conseguenze ambientali, non si rinvengono peculiarità per il traffico
crocieristico in quanto tale. Così, anche per la vicenda del Giglio, il primo intervento è
stato operato sulla base del piano antinquinamento locale della competente Capitaneria
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di Porto, in conformità all’art. 11 della l. 3 dicembre 1982, n. 979 [29]. In concreto, si
è provveduto a predisporre panne assorbenti attorno alla nave per contenere le
possibili fuoriuscite di carburante. Anche le attività successive in funzione
antinquinante non sono state diverse da quelle che avrebbero potuto essere adottate
per un incidente di pari gravità che avesse coinvolto un’altra tipologia nave, non
adibita al trasporto di sostanze inquinanti o pericolose[30]. La medesima
considerazione vale anche per la fase di rimozione del relitto, con i rischi che può
comportare[31].
4. – Mancanza di specificità della tipologia del traffico crocieristico rispetto alla
responsabilità per incidenti con implicazioni ambientali
Può condividersi in linea di principio l’assunto che, rispetto a vicende
potenzialmente dannose, la via del risarcimento è soltanto una delle possibili risposte
dell’ordinamento giuridico, con la necessità di prevedere meccanismi di imputazione
tanto più rigidi, quanto meno sia possibile introdurre altri meccanismi di controllo del
fattore di rischio[32]. È stato al riguardo ipotizzato come i cosiddetti sistemi di
imputazione oggettiva possano svolgere una funzione deterrente[33] e si è anche
affermato (fra l’altro svolgendo la tesi proprio nel settore dei trasporti) che la
responsabilità possa svolgere un adeguato ruolo succedaneo dei controlli pubblici[34].
Peraltro le Convenzioni CLC e FUND sono il paradigma su cui sono stati costruiti,
nell’ottica del principio «chi inquina paga» («polluter pays»), i regimi di responsabilità
oggettiva («strict liability»)[35], che, precorrendo la sua consapevole ed esplicita
affermazione nell’ambito della Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e
sviluppo[36], hanno caratterizzato le successive convenzioni sulla responsabilità
ambientale marittima[37], ad iniziare dalla menzionata e non ancora vigente HNS[38],
fino alla c.d. «Bunker Convention» (Convenzione di Londra del 23 marzo 2001 sulla
responsabilità per inquinamento da combustibili delle navi), in vigore per l’Italia a
decorrere dal 18 febbraio 2011 [39], chiamata a disciplinare la responsabilità per i
danni da inquinamento, come definiti dal suo art. 1, punto 9, ovvero quelli consistenti
in «perdita o danno all'esterno della nave causati da inquinamento che risulti da una
fuga o dallo scarico di combustibile ovunque tale fuga o scarico avvengano» (lett. a) e
in «costo delle misure preventive e … perdite o i danni ulteriori causati da tali misure»
(lett. b), nell’ambito del campo di applicazione definito dal successivo art. 2, ovvero i
danni che si verifichino nel territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, e
nella zona economica esclusiva (lett. a), nonché le «misure preventive, ovunque esse
siano adottate, destinate a evitare o ridurre al minimo» i suddetti danni da
inquinamento (lett. b).
Va sottolineato, peraltro come significativa peculiarità rispetto al sistema della
CLC, il superamento della canalizzazione sul proprietario, con estensione dell’ambito
dei soggetti che possono essere chiamati a rispondere anche a «bareboat charterer,
manager and operator of the ship»[40]. Si è così adottata una soluzione diversa da
quella della canalizzazione dell’imputazione, che, nella sua applicazione nel sistema
della CLC (pur giustificata da ragioni economiche connesse alla razionalizzazione delle
coperture assicurative)[41], è stata fortemente contestata, in particolare dopo la
vicenda della nave Erika[42].
Posto che il naufragio della Costa Concordia risale, come si è detto, al 13
gennaio scorso, per i danni da inquinamento, si doveva, appunto, fare applicazione
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della Convenzione Bunker, che, a quella data, era in vigore sia a livello internazionale,
sia in Italia, e che non richiedeva, per operare, alcun elemento di estraneità rispetto
alla lex fori[43]. La Convenzione, in definitiva, va applicata, ancorché la nave battesse
bandiera italiana, ed il danno di cui si tratta si fosse verificato sul territorio e nel mare
territoriale italiano, per quanto concerne i danni conseguenti alla fuoruscita di
idrocarburi per la propulsione e per i servizi della nave, senza particolari peculiarità per
la particolare tipologia di nave («da crociera»), che rientra sic et simpliciter nella
definizione di «nave» («ship») contemplata dall’art. 1, punto 1, della stessa
Convenzione Bunker (ovvero «any seagoing vessel and seaborne craft, of any type
whatsoever»).
Nemmeno dubiterei, peraltro, che, nell’ambito del danno risarcibile a titolo di
misura preventiva, ai sensi dell’art. 2, lett. b, della Convenzione in questione debbano
ricadere anche le misure adottate antecedentemente alla fuoruscita effettiva di bunker,
purché finalizzate effettivamente ad evitare una tale conseguenza (c.d. «pre-spill
measures»), sulla base delle medesima considerazioni che, a suo tempo, si sono
svolte, per l’analogo problema che si poneva con riferimento alle pre-spill measures nel
sistema della CLC[44].
Deve darsi atto della persistenza di un profilo alquanto dubbio, connesso alla
scarsa tempestività del legislatore italiano nell’operare l’introduzione di convenzioni
internazionali: la Convenzione Bunker, a differenza del sistema della Convenzione CLC,
pur richiamando nelle premesse il presunto indissolubile legame fra responsabilità
oggettiva e limitazione risarcitoria, non ha un proprio sistema di limitazione, ma si
limita a dichiarare che la sua applicazione non comporta l’esclusione dei sistemi di
limitazione dei crediti marittimi, di cui alla Convenzione LLMC[45], o di altra normativa
nazionale od uniforme eventualmente applicabile[46]. La Convenzione LLMC non è
stata (almeno per ora) ratificata dall’Italia, nonostante l’autorizzazione di cui alla l. 23
dicembre 2009 n. 201, e nonostante le difficoltà di coordinamento logico con il d. lgs.
28 giugno 2012, n. 111, che ha dato attuazione alla direttiva 2009/20/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sull’assicurazione degli armatori
per i crediti marittimi, che sembra in qualche modo presupporre, con i riferimenti ai
minimali, la ratifica della LLMC[47]. Neanche è ravvisabile (almeno per l’immediato
futuro), una soluzione «anticipatoria», sulla scìa di altri analoghi interventi[48], che
passi per un regolamento UE, che pure si era intravista nella prima versione del terzo
pacchetto comunitario sulla sicurezza marittima, ma che si è risolta[49], nella versione
definitiva, nel semplice auspicio di una ratifica da parte degli Stati membri; ne
consegue che, per le navi italiane, il regime risarcitorio de quo, va coordinato con la
limitazione globale del debito armatoriale, di cui all’art. 275 c. nav., da cui, in qualche
caso, potrebbe derivare un’eccessiva contrazione delle pretese vantate a titolo di
risarcimento, non solo per danno ambientale, ed in genere delle pretese creditorie[50].
5. – La sostenibilità ambientale del traffico crocieristico
Le cronache recenti, che abbiamo dovuto evocare, non possono comunque
distogliere dalla necessità di dare atto che la navigazione per acqua resta più
sostenibile da un punto di vista ambientale rispetto a qualsiasi altra modalità di
trasporto[51], e ciò vale anche quando, in luogo che alla movimentazione di merci, si
fa riferimento a quella di passeggeri[52]. Tale considerazione è confermata, a maggior
ragione, lì dove si abbia come termine di confronto, per le crociere, un pacchetto
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turistico che comprenda la combinazione di trasporto aereo ed alberghi, per consentire
un analogo piano di visite su più destinazioni: è intuitivo quanto, in termini ambientali,
la seconda soluzione ipotizzata abbia incidenza di gran lunga maggiore. Ciò non toglie
che la sosta in porto di navi con un numero elevato di passeggeri e membri di
equipaggio possa dare luogo a problematiche specifiche, in particolare per quanto
concerne lo smaltimento di liquami e residui[53]; è da segnalare, infatti, la tendenza
all’ampliamento dimensionale delle navi impiegate in tale particolare settore, in
corrispondenza della diffusione della crociera come vacanza di massa[54]. A questo
riguardo, occorre assicurarsi che le strutture portuali che ricevono navi da crociera, e
navi passeggeri in genere, siano adeguatamente attrezzate a tal fine. E occorrerebbe
anche vigilare perché le tariffe portuali siano strettamente collegate, secondo principi
di trasparenza e non discriminazione, all’effettivo livello ed efficienza dei servizi
resi[55], ivi compresi quelli di carattere ambientale e non (o almeno non soltanto) al
grado di quanto concerne l’inquinamento atmosferico cagionato dai combustibili; a
questo riguardo è da segnalare che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione
europea ha precisato che, ai fini dell’applicazione della direttiva 1999/32/CE del
Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alla riduzione del tenore di zolfo di alcuni
combustibili liquidi[56], rientrano nella nozione di «servizi di linea» anche le crociere
«con o senza scali intermedi, che si concludano nel porto di partenza o in un altro
porto, purché tali crociere siano organizzate con una determinata frequenza, in date
precise e, in linea di principio, a orari di partenza e di arrivo precisi, e gli interessati
possano scegliere liberamente tra le diverse crociere offerte»[57]. Va, d’altro canto,
considerato che frequentemente l’esigenza di ridurre l’impatto sull’ambiente
dell’attività crocieristica (come in genere di ogni navigazione) può essere soddisfatta
attraverso l’adozione di accorgimenti che consentono altresì di ridurre i consumi e che
ciò può di per sé costituire uno stimolo per gli armatori ad adeguare le proprie flotte
sotto tale profilo.
6. – Conclusioni
Come si è visto, l’attività di navigazione crocieristica non sembra presentare
problematiche ambientali particolari, rispetto ad altre tipologie di navigazione, al di là
delle implicazioni per il gran numero di persone a bordo, che ha certamente
implicazioni (anche di carattere ambientale) sia sulla gestione dell’ordinaria attività di
navigazione della nave, sia sulla reazione alle situazioni di emergenza. In confronto con
le più diffuse forme di fruizione del turismo, sembra doversi ammettere che le crociere
si presentino fra quelle maggiormente eco-sostenibili.
Occorre anche dare atto della crescente sensibilità che le imprese di un settore
crocieristico maturo stanno dimostrando, in un contesto caratterizzato dall’attenzione
dell’opinione pubblica, che induce ad una maggiore considerazione degli utenti verso i
profili ambientali. Si sta diffondendo l’assoggettamento volontario a standard ulteriori
rispetto a quelli di legge, o comunque all’anticipazione dell’applicazione di standard
legali con l’acquisizioni di certificazioni idonee[58]. Queste si basano sul paradigma
della verifica e certificazione dell’affidabilità delle navi da parte dei registri di classe,
che tanto rilievo ha avuto nello sviluppo dei traffici marittimi[59]. Nell’ambito di queste
ultime, va fatta menzione delle notazioni addizionali di idoneità ambientale, come
quelle Green Star/Green Plus del RINA, o Six Golden Pearls del Bureau Veritas, che
tengono conto, in particolare, di prevenzione dell'inquinamento marino e di riduzione di
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emissioni nocive per l'atmosfera, che si stanno diffondendo fra le imprese del settore
crocieristico. Va anche evidenziato che le compagnie armatoriali che operano nel
settore crocieristico si stanno dotando di navi che rispondono a standard ambientali
particolarmente rigorosi. Non sembra inutile sottolineare che anche in altri settori della
navigazione marittima si è assistito ad un’anticipazione, da parte degli operatori, di
criteri che sono stati poi adottati a livello normativo: un esempio particolarmente
significativo è stato, nel più volte citato settore del trasporto marittimo di idrocarburi,
quello dei fondi risarcitori integrativi e complementari[60]. Al di là di quella che può
essere stata la ragione di tale tendenza, è auspicabile che possa essere seguita anche
per quanto riguarda i profili di cui ci stiamo occupando. Può formularsi l’augurio che
sempre di più il rispetto degli standard ambientali sia uno dei fattori di cui i potenziali
utenti terranno sempre più conto nella scelta degli operatori di cui avvalersi.
Abstract
Despite the outcry about some recent events (Costa Concordia, Sea
Diamond) the cruise industry does not show problems of environmental
sustainability more serious than other sector of shipping; on the other hand,
cruise activity is more environmentally sustainable than most forms of tourism.
It does not seem necessary to invoke for cruising a special legislation in the
field of environmental protection and safety. It has to be appreciated the
growing sensitivity to the environmental profiles of ship-owners and users of
the cruise industry.
Nonostante il clamore suscitato da alcune recenti vicende (Costa
Concordia, Sea Diamond) l’industria crocieristica non presenta problemi di
sostenibilità ambientale più gravi rispetto ad altre forme di navigazione; d’altra
parte l’attività crocieristica è più compatibile per l’ambiente di quanto non lo
siano molte altre forme di turismo. Non sembra necessario immaginare una
disciplina ambientale e di sicurezza diversa da quella che si applica alla
navigazione in generale. Si apprezza la crescente sensibilità verso i profili
ambientali del mondo armatoriale e degli utenti del settore crocieristico.
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di
peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-­‐blind]
* Il presente contributo costituisce la rielaborazione della relazione svolta dall’autore nell’ambito
del convegno «La rilevanza delle Crociere nel settore del Trasporto e del Turismo», svolto a Roma, il 23
novembre 2012, nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica, in ricordo del prof. Antonio Lefebvre
d’Ovidio per i 70 anni del Codice della Navigazione.
[1] A riprova, v. l’interrogazione scritta E-2185/07 davanti al Parlamento europeo di Dimitrios
Papadimoulis (GUE/NGL) alla Commissione relativamente all’inquinamento marino causato dal naufragio
della nave da crociera Sea Diamond nel golfo di Caldera a Santorini
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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[2] È stata calcolata la fuoruscita di 50 tonnellate di idrocarburi. Nonostante gli sforzi volti a
contenere le conseguenze dell’incidente, ben due chilometri di costa a Santorini sono risultati contaminati.
Fonte: Imo, GISIS: Marine Casualties and Incidents – Incid. ref.: C0006112.
[3] La letteratura sul caso, nei suoi vari profili, è ormai piuttosto ampia; darne conto
integralmente trascende gli scopi del presente contributo. Vari contributi sono stati pubblicati nell’ambito
delle principali riviste giuridiche di settore. Inter alia, si richiamano: R. CARLEO, Caso Costa e class action
italiana: le ragioni di un mancato avvio, in Riv. dir. nav., 2013, 35; A. BOGLIONE, L’assicurazione della
«Costa Concordia» e la protezione P&I, ivi, 2014, 289; P. BONASSIES, Sinistre du Concordia, droit de la
mer et problèmes de compétence judiciaire pour les victimes françaises, in Dr. mar. fr., 2012; PH.
BOISSON, Du Titanic au Concordia: 100 ans de droit de la sécurité des navires de croisière - Les grandes
étapes, ivi, 2012, 328. Molto ampio, ovviamente, è stato anche il contenzioso provocato dalla vicenda,
non ancora esaurito: al di là delle azioni risarcitorie e del tentativo di instaurarle al di fuori dell’Italia (cfr.
inter alia App. Versailles, 9 maggio 2012, in Dr. mar. fr., 2012, 598, con Observations di C. LIENHARD,
ivi, 601; US Distr. Court, Southern Distr. of California, Giglio Sub E F. Onida c. Carnival Corp., Costa
Crociere ed altri, in Dir. maritt., 2013, 205, con nota di M.F. STURLEY, The Forum Non Conveniens
Doctrine in the United States, ivi, 206, e C. GAMBINO, Costa Concordia, cause risarcitorie e forum non
conveniens: una decisa – e condivisibile – presa di posizione contro la possibilità di azioni davanti ai
tribunali statunitensi, ivi, 209; P. PISA, Il naufragio della Costa Concordia: i profili di responsabilità penale,
in Dir. pen. processo, 2012, 367; U. LA TORRE, Funzione di comando e sicurezza della navigazione, in
Rev. Der. Transp., 12, 2013, 31; ID., Equipaggio, comando e determinazione della rotta nella navigazione
marittima, in Riv. dir. nav., 2013, 95) si segnalano i procedimenti relativi al licenziamento ed
all’accertamento della responsabilità penale del comandante della nave, fra cui: Trib. Genova, 9 gennaio
2013, in Foro it., 2013, I, 1360; Cass., ord. 18 febbraio 2014, n. 3838, in Riv. it. dir. lav., 2014, II, 381,
con note di D. DALVINO, Obbligatorietà del c.d. rito Fornero (anche per il datore di lavoro) e decisione di
questioni nella fase sommaria, ivi, 396, e D. BUONCRISTIANI, Successivo o anche preventivo controllo di
validità di un licenziamento?, ivi, 405; Cass., sez. un., ord. 31 luglio 2014, n. 17433; Cass. pen., 10 aprile
2012-16 maggio 2012, n. 18851, in Riv. dir. nav., 2012, 455 (relativa all’adozione di misure cautelari
personali).
[4] La rimozione di navi ed aeromobili sommersi in porte, rade, canali o comunque nelle acque
territoriali italiane è oggetto della specifica previsione dell’art. 73 c. nav., in base alla quale l'autorità
marittima può disporla a spese del proprietario, ove ravvisi un pericolo o un intralcio per la navigazione (in
tema, v. G. RIGHETTI, Trattato di diritto marittimo, I, Milano, 1987, 752 ss.; M. GRIGOLI, Il problema
della sicurezza nella sfera nautica, I, La sicurezza dei beni prodromici dell'esercizio nautico, Milano, 1989,
133). A livello internazionale, sia pure con un ambito geografico piuttosto limitato (si riferisce ai relitti
situati nella zona economica esclusiva od in aree equivalenti, con esclusione del mare territoriale in quanto
tale), va segnalata in materia la non ancora vigente Convenzione di Nairobi del 18 maggio 2007, relativa
ai relitti che potrebbero portare pregiudizio alla sicurezza di persone o cose in mare, ovvero all’ambiente
marino o costiero (in tema, F. BERLINGIERI, Le convenzioni internazionali di diritto marittimo e il codice
della navigazione, Milano, 2009, 500 ss.; J.-S. ROHART, La Convention internationale de Nairobi sur
l’enlèvement des épaves (18 mai 2007), in Dir. maritt., 2010, num. spec. in onore di Francesco
Berlingieri, 844; V. ROSSI, The Dismantling of End-of-Life Ships: the Hong Kong Convention for the Safe
and Environmentally Sound Recycling of Ships, in IYIL, 2010, 275; R. SHAW, The Nairobi Wreck Removal
Convention, in J. Int. Mar. Law, 13, 2007, 429).
[5] È noto il problema della diffusione delle cattive pratiche in tema di smantellamento di navi, che
hanno condotto, a livello internazionale, all’adozione. Sotto gli auspici dell’Organizzazione marittima
internazionale e dell’Organizzazione internazionale del lavoro, della (non vigente) Convenzione di Hong
Kong del 15 maggio 2009 per un riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l’ambiente (cfr. M. LE
BIHAN GUENOLE, La convention internationale de Hong Kong du 15 mai 2009 pour le recyclage sur et
écologiquement rationnel des navires, in Dr. mar. fr., 2009, 947); a livello di Unione europea, la materia
ricade nell’ambito del regolamento UE n. 1257/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20
novembre 2013, in vigore, ma con applicazione differita, secondo quanto precisato dal suo art. 32 (in
tema, con riferimento alla fase antecedente all’approvazione del testo definitivo, cfr. L. KRÄMER, La
proposta della Commissione europea per un regolamento sul riciclaggio delle navi, la Convenzione di
Basilea e la protezione dell'ambiente. Analisi giuridica riassuntiva, in Riv. giur. amb., 2013, 293).
[6] Le operazioni di traino fino a Genova si sono concluse il 27 luglio 2014. La vicenda viene
evocata come paradisgmatica del complesso rapporto che si riscontra, in particolare rispetto al danno
ambientale, fra misure di ripristino e misure risarcitorie: cfr. M. COMPORTI, Il danno ambientale e
l’operazione rimediale, in Dir. amm., 2013, 117, ivi, 125 s.
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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[7] Si trattava di una nave di 114,147 tonnellate di stazza lorda (fonte: GISIS: Ship Particulars).
[8] Fonte: Imo, GISIS: Marine Casualties and Incidents - Incid. Ref. C0008482.
[9] L’Arcipelago Toscano era in effetti inserito nell’elenco, di cui all’art. 31, della menzionata l. 979
del 1982, rispetto alla quale la Consulta per la difesa del mare, ai sensi dell’art. 26, comma 2, avrebbe
dovuto procedere agli accertamenti finalizzati all’istituzione di aree marine protette. La sua istituzione
risulta «prossima» nel sito web del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare: cfr.
http://www.minambiente.it/pagina/aree-marine-di-prossima-istituzione. Sulle aree marine protette ai
sensi della l. 31 dicembre 1982, n. 979, v. M. CASANOVA, La legge sulla difesa del mare e le riserve
marine: alcuni spunti critici, in Quad. reg., 1983, 407; da ultimo G. GARZIA, Le aree marine protette.
Funzione amministrativa e nuovi strumenti per lo «sviluppo sostenibile», Milano, 2011. Nell’ambito di studi
dedicati alla tutela delle coste in generale, v. anche N. GRECO, Le aree marine protette nel quadro della
gestione integrata delle coste, in Dir. gest. ambiente, 1/2002, 102; E. A. IMPARATO, La tutela della costa.
Ordinamenti giuridici in Italia e in Francia, Napoli, 2006, 177 ss.
([10]) D.P.R. 22 luglio 1996, art. 1, in G.U. 11 dicembre 1996 n. 290
[11] La valutazione di tale tipologia di danni sembra incontestabile rispetto a vicende di questo
segno: cfr. (rispetto al sistema della CLC), v. L. FERRONI, Il danno risarcibile nella C.L.C. 1960 e nei
protocolli successivi, in Inquinamento del mare e sicurezza della navigazione, atti del convegno presso il
Castello di Santa Severina (14-15 giugno 2002), a cura di A. Zanelli, Napoli, 2004, 85, ivi, 115; L.
SCHIANO DI PEPE, Inquinamento marino da idrocarburi e pure economic loss, in Riv. giur. amb., 1999,
747, ivi, 758; A. XERRI, Il danno all'ambiente marino per inquinamento causato da navi, in Studi in onore
di Antonio Lefebvre D'Ovidio in occasione dei cinquant'anni del diritto della navigazione, a cura di E. Turco
Bulgherini, Milano, 1995, 1383, ivi, 1393 ss. In giurisprudenza, v. (con riferimento all’incidente che
coinvolse la petroliera Patmos nello Stretto di Messina) App. Messina, 24 dicembre 1993, in Dir. trasp.,
1994, 585, con nota di D. BOCCHESE, Quali criteri per quantificare il danno all'ambiente marino?; sulle
difficoltà probatorie, v. D. GALLO, Profili problematici in tema di responsabilltà civile per danni da
inquinamento marino da idrocarburi proveniente da navi, in Dir. commercio intern., 2013, 167, ivi, 185.
Peraltro, nella valutazione complessiva delle conseguenze economiche sull’isola, dovrebbe tenersi
conto anche delle entrate derivate dal turismo «macabro» e un po’ voyeuristico dei non pochi che hanno
voluto posare direttamente lo sguardo sul teatro della tragedia e sul relitto della nave coinvolta, oltre che
dalla prolungata presenza dei tecnici che operavano nelle operazioni di rimozione e degli addetti dei mezzi
di comunicazione di massa (si rinvia, sul punto ai numerosi articoli apparsi sulla stampa quotidiana, fra
cui, ad es., Boom di turismo al Giglio per vedere la Costa Concordia arenata ne Il Sole 24 Ore, 11 agosto
2012. L’attrattività del relitto è proseguita anche dopo il suo trasferimento a Genova per la demolizione:
Genova, la Costa Concordia diventa meta per i turisti in taxi, ne Il Secolo XIX, 28 luglio 2014). Inoltre, va
considerata l’ipotesi che soggetti che abbiano visto danneggiata la propria attività principale, come
pescatori od imprenditori della ricettività, possano trarre una fonte di guadagno dalle conseguenze
dell’incidente (ad esempio, impiego dei pescatori nell’attività antinquinante; impiego dell’industria ricettiva
nell’ospitalità al personale impegnato nell’emergenza, o ai giornalisti che seguono l’evento, ecc.
[12] DPCM 20 gennaio 2012 «Dichiarazione dello stato di emergenza per il naufragio della nave
Costa Concordia nel comune dell’Isola del Giglio», nelle cui premesse veniva evidenziata «l’esigenza di
adottare misure urgenti di carattere straordinario di assistenza alle persone colpite dal disastro e per
accelerare le procedure di rimozione del carburante e di recupero della nave, la cui ulteriore permanenza
nel luogo dell'affondamento determina il rischio immediato ed attuale di un grave danno ambientale con la
conseguente compromissione dell'habitat naturale e dell'economia dell'Isola del Giglio che vive
essenzialmente di turismo» (il corsivo è aggiunto).
[13] Oltre al provvedimento richiamato nella nota precedente, v. anche le premesse dell’ordinanza
del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 gennaio 2012 recante «Disposizioni urgenti di protezione civile
in relazione al naufragio della nave da crociera Costa - Concordia, nel territorio del comune dell’Isola del
Giglio», con cui si è provveduto alla nomina del commissario straordinario per gestione dell’emergenza
(Ordinanza n. 3998, in G.U. 26 gennaio 2012, n. 21). Gli effetti di tale ordinanza sono poi stati prorogati
dell'art. 2, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla l. 27 febbraio
2014, n. 15.
[14] Su tale «sistema», che è andato a costituirsi alla stregua della Convenzione di Bruxelles del
29 novembre 1969 sulla responsabilità civile (c.d. «CLC Convention») e della Convenzione di Bruxelles del
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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18 dicembre 1971 sul fondo internazionale (c.d. «Fund Convention»), v. in generale, G. CAMARDA,
Convenzione «Salvage 1989» e ambiente marino, Milano, 1992, 59; M. M. COMENALE PINTO, La
responsabilità per inquinamento da idrocarburi nel sistema della C.L.C. 1969, Padova, 1993. Prima
dell’adozione della Convenzione CLC, si era lamentata l’insufficienza assoluta dei regimi generali di
limitazione dei crediti marittimi applicabili anche alle conseguenze delle fuoruscite di idrocarburi, ed in
genere l’inadeguatezza della disciplina applicabile all’inquinamento marino da idrocarburi (con riferimento
al caso «Torrey Canyon», v. L. JUDA, IMCO and the Regulation of Ocean Pollution from Ships, in Intern.
Comp. Law Quart., 26/2007, 558; I. CORBIER, Les créances non limitables, in Dr. mar. fr., 2002, 1038,
ivi, 1043.
[15] Entrambe le convenzioni su cui si fonda il sistema in questione sono state oggetto di vari
emendamenti, sulla base (in particolare) dei due Protocolli di Londra del 19 novembre 1976 e dei due
successivi due successivi protocolli di Londra del 27 novembre 1992, nonché del Protocollo di
emendamento di Londra del 16 maggio 2003 alla (sola) Convenzione Fund. Non sono mai entrati in vigore
i due Protocolli di emendamento di Londra del 25 maggio 1984, che, tuttavia, sono sostanzialmente
riprodotti in quelli del 1992.
[16] Convenzione di Londra del 3 maggio 1996 sulla responsabilità per inquinamento da sostanze
nocive e pericolose. In tema v. S. ZUNARELLI, La Convenzione di Londra sulla responsabilità nel trasporto
di sostanze pericolose e nocive, in Dir. trasp., 1996, 727; L. SCHIANO DI PEPE, La Convenzione
intemazionale del 1996 sulla responsabilità ed il risarcimento per i danni causati dal trasporto per mare di
sostanze nocive e potenzialmente pericolose, in Riv. giur. ambiente, 1998, 977; R. CLETON, Damage
caused during the carriage of hazardous and noxious substances by sea, in Dir. maritt., 1992, 998.
L’Italia, ad oggi, non ha ratificato tale convenzione, che non ha avuto in generale successo, tanto da non
aver mai raggiunto le condizioni per l’entrata in vigore. È stato però successivamente approvato un
Protocollo di emendamento del 30 aprile 2010, anch’esso ancora non in vigore, che potrebbe facilitare la
ratifica: per informazioni al riguardo, v. N. A. MARTINEZ GUTIERREZ, Limitation of Liability in International
Maritime Conventions. The Relationship Between Global Limitation Conventions and Particular Liability
Regimes, London, 2010, 155; G. OLIMBO, Il nuovo regime giuridico per il trasporto marittimo di HNS. Una
nuova strategia a protezione dell'eco-sistema marino, in Riv. mar., febbraio 2012, 29.
[17] Sul rilievo dell’inquinamento tellurico, oltre che di quello proveniente da navi, fra le cause
dell’impoverimento delle risorse alieutiche, v. A. DEL VECCHIO, Politica comune della pesca e
cooperazione internazionale in materia ambientale, in Dir. Ue, 2005, 529, ivi 534. Secondo una stima,
circa l’ottanta per cento dell’inquinamento marino avrebbe tale origine: cfr. A. MERIALDI, S. TREVISANUT,
La protezione dell'ambiente marino, ne La protezione dell’ambiente nel diritto internazionale, a cura di AFodella e L. Pineschi, Torino, 2009, 315, ivi, 321. Non a caso l’inquinamento tellurico è espressamente
considerato nell’ambito delle fonti inquinanti considerate nell’ambito della Parte XIII della Convenzione
della Nazioni Unite sul diritto del mare, adottata a Montego Bay il 10 dicembre 1982; v. al riguardo G.
CAMARDA, L'evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale vigente in materia di
sicurezza della navigazione e prevenzione dell'inquinamento marino, in Riv. giur. ambiente, 2001, 699, ivi,
704 ss.
[18] Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 969 sull’intervento in alto mare (c.d. Convenzione
«intervention»).
[19] Si allude qui all’incidente che coinvolse la petroliera liberiana Torrey Canyon (marzo 1967): la
letteratura su tale vicenda è particolarmente amplia: v., fra gli altri: J.-P. QUÉNEUDEC, L'incidence de
l'affaire du Torrey Canyon sur le droit de la mer, in AFDI, 1968, 701; E. DU PONTAVICE, La pollution des
mers par les hidrocarbures, Paris, 1968; G. KOJANEC, Equilibre écologique et pollution de la mer; données
d'une réglementation internationale, in Comun. intern., 1971, 384; J. L. AZCARRAGA Y BUSTAMANTE,
Algunas reflexiones en torno al siniestro del Torrey-Canyon, in Anuario Hispano-Luso Americano de
Derecho Internacional, III (1967), 165.
[20] Sul ruolo catalizzatore degli incidenti rispetto alla produzione normativa, v. anche S. M.
CARBONE, Diritto internazionale e protezione dell'ambiente marino dall'inquinamento: sviluppi e
prospettive, in Dir. maritt., 2001, 956, ivi, 959.
[21] D.m. (Infrastrutture e trasporti) 2 marzo 2012, n. 79, in G.U. 7 marzo 2012, n. 56, che detta
«Disposizioni generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili per la protezione di aree
sensibili nel mare territoriale», come modificato dal d.m. (Infrastrutture e trasporti) 30 aprile 2012, n.
60620, in G.U. 5 maggio 2012, n. 504.
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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[22] Non è possibile dar conto dell’ormai amplissima letteratura riferita alle discipline in questione.
V. comunque, per una riflessione sugli sviluppi della l. 6 dicembre 1991, n. 394, G. DI PLINIO, Aree
protette vent’anni dopo. L’inattuazione «profonda» della legge 394/1991, in Rivista quadrimestrale di
diritto dell'ambiente, 2011, 29, che denunziava, in particolare, a fronte di un incremento numerico delle
aree protette, una «caduta verticale del grado di tutela effettiva» (ivi, 30).
[23] All’origine dell’istituzione di tale area è l'Accordo relativo alla creazione nel Mar Mediterraneo
di un Santuario per i mammiferi marini, firmato il 25 novembre 1999 da Francia, Italia e Monaco hanno
firmato a Roma, nell’ottica degli strumenti di cooperazione regionale auspicati dall’art. 197 della
Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare del 1982. In tema, v. C. MARTIGNONI, Il santuario
per la protezione dei mammiferi marini nel Mare ligure-provenzale, in Riv. giur. ambiente, 2000, 587; G.
CAMARDA, L. MICCICHÉ, Le riserve marine nell'ottica pluriordinamentale, in Dir. maritt., 399, ivi, 410 ss.;
T. SCOVAZZI, Lo sviluppo sostenibile nelle aree protette del Mediterraneo e il Protocollo di Barcellona del
1995, in Riv. giur. ambiente, 2010, 421, ivi, 430 ss.
[24] Il problema del transito nel Canale della Giudecca è oltremodo controverso. L’ordinanza 5
dicembre 2013 n. 153 della Capitaneria di porto di Venezia, con cui si stabilivano limiti di transito per navi
passeggeri di stazza lorda superiore a 40.000 GT, è stata oggetto di impugnazione davanti al Tribunale
amministrativo regionale del Veneto che, con ordinanza 3 ottobre 2014, n. 1253, ha ordinato la
produzione di un documento adottato dal Comitato ex art. 4 della legge n. 798/1984 che anticipa la
determinazione di adottare un «decreto interministeriale, volto a confermare ed applicare le restrizioni al
traffico crocieristico lungo il canale di San Marco previste nell’ordinanza n. 153 del 2013». D’altronde, per
evitare il passaggio delle grandi navi crociera davanti a San Marco, è allo studio l’utilizzazione del canale
Contorta S. Angelo, con progetto a sua volta non immune da suscitare preoccupazioni di carattere
ambientale (si veda, inter alia, nel sito del Fondo Ambiente Italiano: http://www.fondoambiente.it/VistoDal-FAI/Index.aspx?q=grandi-navi-no-al-progetto-del-canale-contorta. Sulle fasi antecedenti, v. L. N.
MEAZZA, Inquinamento atmosferico da navi da crociera e divieto di transito nella Laguna di Venezia, in
Amb & Svil., 2014, 613, ivi, 617 ss. Mentre il presente scritto era in fase di predisposizione grafica, è stata
pubblicata la decisione del Tribunale amministrativo del Veneto che ha accolto i ricorsi proposti da alcuni
operatori avverso la ricordata ordinanza 153/2013: Trib. amm. reg. Veneto, 10 gennaio 2015, n. 13.
[25] D.m. (Infrastrutture e trasporti) 2 marzo 2012, n. 79, art. 2, lett. a, n. 1.
[26] Al riguardo, deve farsi menzione della regola 34.2.2 della Convenzione SOLAS (Convenzione
internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare di Londra del 1° novembre 1974 e successivi
emendamenti). In tema, v. da ultimo U. LA TORRE, Equipaggio, comando e determinazione della rotta
nella navigazione marittima, in Riv. dir. nav., 2013, 95, ivi, 122. Sulle interrelazioni fra sicurezza della
navigazione e tutela ambientale, v. per tutti E. TURCO BULGHERINI, Sicurezza della navigazione, in Enc.
diritto, XLII, Milano, 1990, 461, ivi, 480. Va comunque dato atto della prassi della navigazione sottocosta
effettuata specialmente da navi da crociera, in prossimità di località turistiche, in occasione di festività
patronali ed analoghe circostanze: cfr. U. LA TORRE, Equipaggio, comando e determinazione della rotta
nella navigazione marittima, cit., 121; S. GIRGENTI, Un importante segnale istituzionale per la protezione
dell’ambiente marino, in Gazz. ambiente, 3, 2012, 95, ivi, 98.
[27] Ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.m. (Infrastrutture e trasporti) 2 marzo 2012, n. 79,
«Sono fatti salvi i provvedimenti riguardanti gli schemi di separazione del traffico e le rotte raccomandate
ovvero obbligatorie nonché le discipline vigenti nei parchi e nelle aree protette nazionali, marine e
costiere, istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394».
[28] Conf. U. LA TORRE, Equipaggio, comando e determinazione della rotta nella navigazione
marittima, cit., 122 s. In generale, sul rilievo della conservazione dell’ambiente nella regolamentazione del
traffico, ai sensi degli art. 21, § 1, lett. f e 211, § 4, della Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre
1982 sul diritto del mare, cfr. G. CATALDI, Il passaggio delle navi straniere nel mare territoriale, Milano,
1990, 171 ss.
[29] Sul necessario coordinamento con la Protezione civile nei piani di intervento locali e
nazionale, v. G. ROMANELLI, Problemi giuridici della difesa del mare, in Dir. trasp., I/1988, 73, ivi, 80. V.
anche A. XERRI, Inquinamento del mare: cooperazione internazionale e legge interna per la difesa del
mare, in Riv. guardia fin., 1983, 733, ivi 746 s.
[30] È stato reso operativo un «piano di contenimento per la fuoriuscita accidentale di
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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idrocarburi», che prevede un recupero attivo di eventuali inquinanti con panne assorbenti, panne di
contenimento e pulizia della costa. Sulla possibilità di inquinamento a terra, sono stati sensibilizzati i
comuni di costieri ad adottare e implementare un piano di risposta in caso di sversamento di idrocarburi.
Per questo sono stati organizzati anche corsi di formazione dal Dipartimento della Protezione Civile in
collaborazione con Ispra – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Legambiente e le
istituzioni locali per istruire volontari e amministratori sulle tecniche di pulizia della costa. I corsi sono stati
realizzati nei comuni della costa e sull’isola del Giglio. Per monitorare la qualità delle acque Arpat Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana e Ispra hanno avviato un monitoraggio che
prevede il prelievo quotidiano delle acque in prossimità della nave e del dissalatore (fonte: Protezione
civile, http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/emergenza_concordia.wp)
[31] In concreto, nel caso «Costa Concordia», il piano di recupero è stato oggetto di valutazione di
impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica, trasmessa, con parere favorevole, dalla
Direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e
del Mare al Dipartimento della Protezione civile, con nota del 15 maggio 2012.
[32] Cfr. i rilievi di C. SALVI, Il danno extracontrattuale. Modelli e funzioni, Napoli, 1985, 86. Si
tratterebbe di una conseguenza dello sviluppo industriale e del progresso tecnologico, che, portando
all’«anonimato del danno», indurrebbe ad una minore attenzione sulla ricerca di una condotta sanzionabile
di un soggetto, da ritenere «autore del danno»: cfr. V. CARBONE, Il fatto dannoso nella responsabilità
civile, Napoli, 1969, 9 s. Si è peraltro sottolineato come si tratti di questione di politica legislativa e come,
nell’ottica della tutela delle vittime, possa essere ipotizzabile, in alternativa, il ricorso a forme di
assicurazione obbligatoria: cfr. in proposito G. ROMANELLI, I danni da aeromobile sulla superficie, Milano,
1970, 57 s.
[33] Ma in senso diametralmente opposto, v. ad esempio P. G. MONATERI, Responsabilità civile, in
Dig. disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1988, 1, ivi, 11. D’altronde, è stato pure osservato come «da
identiche premesse sulla “funzione” che si assume propria del giudizio di responsabilità, le diverse teorie
pervengono poi a risultati diversificati proprio per quanto attiene al criterio di imputazione ritenuto
ottimale, con riferimento alla premessa adottata» (così C. SALVI, Responsabilità extracontrattuale (dir.
vig.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1186, ivi, 1221 e nota 191. Sulla non raggiunta soluzione della
questione della preferibilità di un criterio di imputazione all’altro, rispetto alla problematica del
«contemperamento di deterrence e compensation», v. (traendo spunto da G. PONZANELLI, La
responsabilità civile. Profili di diritto comparato, Bologna, 1992) S. SICA, La responsabilità civile tra
struttura funzione e «valori» (a proposito di un recente libro), in Resp. civ. prev., 1994, 543, ivi, 554.
[34] Nell’ottica riportata, con riferimento specifico all’ambito della sicurezza aeronautica, v. J. M.
JAKUBIAK, Maintaining Air Safety at Less Cost: a Plan for Replacing FAA Safety Regulations with Strict
Liability, in Cornell J. L. & Pub. Pol'y, 6/1997, 421.
[35] G. ROMANELLI – M. M. COMENALE PINTO, Trasporto, turismo e sostenibilità ambientale, in
Dir. trasp., 2000, 659, ivi, 676. Nella medesima direzione: Responsabilidad civil por contaminación marina
por vertido de hidrocarburos. A propósito del Prestige, Oviedo, 2004, 79.
[36] Sul rilievo di questa conferenza (che seguiva a quella di Stoccolma del 1972 (su cui v. A.
FERONE, La conferenza delle Nazioni unite sull'ambiente, in Riv. dir. intern., 1972, 701; V. STARACE,
Recenti ·sviluppi della cooperazione internazionale in materia di protezione dell'ambiente, in Comun.
internaz., 1974, 50), v. T. TREVES, Il diritto dell'ambiente a Rio e dopo Rio, in Riv. giur. ambiente, 1993,
377; A.-C. KISS, S. DOUMBLE-BILL, Conférence des Nations Unies sur l'environnement et le
développement (Rio de Janeiro-juin 1992), in A.F.D.I., 1992, 823. Per gli sviluppi successivi (vertice di
Johannesburg del 2002 e c.d. Conferenza Rio+20) v. A. FODELLA, Il vertice di Johannesburg sullo sviluppo
sostenibile, in Riv. giur. ambiente, 2003, 385; G. G. NUCERA, La governance ambientale internazionale.
L'UNEP e la necessità di una riforma verso Rio+20, in Rivista quadrimestrale di diritto dell'ambiente,
3/2011, 145).
[37] Il principio «chi inquina paga» («polluter pays»), reiteratamente affermato a livello
internazionale (F. M. PALOMBINI, Il significato del principio «chi inquina paga» nel diritto internazionale, in
Riv. giur. ambiente, 2003, 871; L. BUTTI, L’ordinamento italiano ed il principio «chi inquina paga», in
Contratto e impresa, 1990, 56) sia a livello di quella che è l’odierna Unione europea (v. M. MELI, Le origini
del principio «chi inquina paga» e il suo accoglimento da parte della comunità europea, in Riv. giur.
ambiente, 1989, 217; V. PARISIO, Caratteri e rilevanza del principio comunitario «chi inquina paga»
nell’ordinamento nazionale, in Foro Amministrativo: Consiglio di Stato, 2009, 2711; B. POZZO, Danno
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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ambientale ed imputazione della responsabilità. Esperienze giuridiche a confronto, Milano, 1996, 283 ss.).
Secondo una lettura ampiamente diffusa ed autorevolmente sostenuta va assunto come parametro al
quale conformare i regimi di responsabilità civile che operano rispetto al danno ambientale (S. PATTI, La
tutela civile dell’ambiente, Padova, 1979, 179; C. PETRINI, Bioetica, ambiente, rischio: evidenze,
problematicità, documenti istituzionali nel mondo, Soveria Mandelli, 2003, 131 ss.; F. PELLEGRINO,
Sviluppo sostenibile dei trasporti marittimi comunitari, Milano, 2010, 60). Si è peraltro sottolineata
l’inadeguatezza di un modello di tutela ambientale fondato sul solo principio «chi inquina paga» (L.
Francario, Danni ambientali e tutela civile, Napoli, 1990, 16 ss.).
[38] Convenzione di Londra del 3 Maggio 1996. In tema v. S. ZUNARELLI, La Convenzione di
Londra sulla responsabilità nel trasporto di sostanze pericolose e nocive, in Dir. trasp., 1996, 727; R.
CLETON, Damage caused during the carriage of hazardous and noxious substances by sea, in Dir. maritt.,
1992, 998; M. I. MARTÍNEZ JIMÉNEZ, Comentarios al convenio internacional sobre responsabilidad e
indemnización de daños por el transporte marítimo de sustancias nocivas y potencialmente peligrosas
(Londres, 3 mayo 1996), in Anuario de derecho maritimo, 1998, 91. L’Italia, ad oggi, non ha ratificato tale
convenzione, che non ha avuto in generale successo, tanto da non aver mai raggiunto le condizioni per
l’entrata in vigore. Peraltro, anche in tale ottica, è stato successivamente approvato un Protocollo di
emendamento del 30 aprile 2010, anch’esso ancora non in vigore: per informazioni al riguardo, v. N. A.
MARTINEZ GUTIERREZ, Limitation of Liability in International Maritime Conventions. The Relationship
Between Global Limitation Conventions and Particular Liability Regimes, London, 2010, 155 ss.; G.
OLIMBO, Il nuovo regime giuridico per il trasporto marittimo di HNS. Una nuova strategia a protezione
dell'eco-sistema marino, in Riv. Mar., febbraio 2012, 29.
[39] Convenzione di Londra del 23 marzo 2001. Il deposito dello strumento di ratifica italiano
presso il Segretariato Generale dell’IMO è stato effettuato il 18 novembre 2010, alla stregua della legge di
autorizzazione 1° febbraio 2010, n. 19. Su tale convenzione, v. C. WU, Liability and Compensation for
Bunker Pollution, in Journal of Maritime Law & Commerce, 33/2002, 55.
[40] Circa le ragioni di tale soluzione, cfr. S. M. CARBONE, Strumenti internazionalistici e
privatistici-internazionali relativi al risarcimento dei danni provocati da idrocarburi all’ambiente marino, ne
Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale ed europeo dell'ambiente, atti del XI
Convegno della SIDI (Alghero, 16-17 giugno 2006), a cura di P. Fois, Napoli, 2007, 3999, ivi, 420; S. M.
CARBONE, L. SCHIANO DI PEPE, Uniform law and conflicts in private enforcement of environmental law:
The Maritime Sector and Beyond, in Dir. maritt., 2009, 50, ivi, 65. V. anche F. BERLINGIERI, Verso una
ulteriore unificazione del diritto marittimo, in Dir. maritt., 2010, 377, ivi, 389
[41] La Convenzione in questione risponde al modello, sempre più frequente, a decorrere dal
secondo dopoguerra, di testo di diritto uniforme che non richiede come condizione di applicazione la
presenza di elementi di internazionalità o di estraneità rispetto alla lex fori: cfr. F. BERLINGIERI, Le
convenzioni internazionali di diritto marittimo e la loro attuazione nel diritto interno, (relazione al
convegno per il centenario della rivista «Il diritto marittimo»), in Dir. maritt., 1999, 54 cit., 79 ss.; A.
MALINTOPPI, Diritto uniforme e diritto internazionale privato in materia di trasporto, Milano, 1955, 39 ss.;
P. IVALDI, Diritto uniforme dei trasporti e diritto internazionale privato, Milano, 1990, 19.
[42] Nell’ambito dell’allora Comunità europea, si discusse in particolare circa l'opportunità di
promuovere una revisione del testo della CLC per eliminare il divieto di azione del danneggiato dei
confronti del charterer contestando il principio della canalizzazione dell’imputazione risarcitoria: v.,
nell'ambito dell'illustrazione del c.d pacchetto «Erika 2» (Comunicazione della Commissione U.E. al
Parlamento europeo - Seconda serie di provvedimenti comunitari in tema di sicurezza marittima in seguito
al naufragio della petroliera Erika. doc. COM (2000) 800 def., sub relazione, § 4.4.3, p. 63, nonché sub
azione proposta, § 5, p. 67). In generale sui pacchetti «Erika» ed il loro contesto, v. F. PELLEGRINO,
Sviluppo sostenibile dei trasporti marittimi comunitari, cit., 119 ss.
[43] L’ambito di applicazione della Convenzione è definito dal suo art. 2, lett. a, con riferimento al
«danno da inquinamento», come definito dall’art. 1. Si tratta di un esempio di quella tendenza del diritto
marittimo uniforme ad estendersi al di là dei casi che presentino elementi di estraneità ad un
ordinamento, affermatasi (salvo che per quanto riguarda la responsabilità vettoriale) nella fase storica
successiva alla seconda guerra mondiale: cfr. F. BERLINGIERI, Diritto marittimo, in Digesto delle discipline
privatistiche, Sez. Commerciale, IV, Torino, 1989, 647, 650. Per analoga conclusione, con riferimento
specifico all’ambito di applicazione della CLC 1969 (definito in maniera analoga a quello della Convenzione
Bunker), v. I. ARROYO, The application of the International Convention on Civil Liability for Oil Pollution
Damage to the «Urquiola» Case, in LMCLQ, 1977, 337, ivi, 339 ss.
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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[44] Cfr. M. RÉMOND GOUILLOUD, Les mesures de sauvegarde (De quelques difficultés liées à
l'indemnisation des frais de lutte contre la pollution), in D.M.F., 1980, 387, ivi, 395; cfr. S. MANKABADY,
The International Maritime Organization, I, International Shipping Rules, London, 1986, 383.
[45] Convenzione di Londra del 19 novembre 1976 sulla limitazione dei crediti marittimi, come
modificata dal Protocollo di Londra del 2 maggio 1996.
[46] Ai sensi dell’art. 6, infatti: «Nothing in this Convention shall affect the right of the shipowner
and the person or persons providing insurance or other financial security to limit liability under any
applicable national or international regime, such as the Convention on Limitation of Liability for Maritime
Claims, 1976, as amended». È stata, non a torto, evidenziata l’ambiguità della previsione che « can in
turn refer to the international regime regarding limitation of liability for maritime claims (and, particularly,
to the Conventions adopted to this effect in 1957 and in 1976, with additional modifications agreed in
1996) or, alternatively, to the limits embodied in the 1992 CLC as regards those States that have
extended the relevant provisions so as to cover also so-called bunker spills (as exemplified e.g. by the
United Kingdom and Canada), or to the national legislation of those States that have introduced ad hoc
provisions relating to bunker spills (e.g. the USA), or, finally, of States (as is the case with China) that do
not stipulate a liability limit for pollution incidents» (S. M. CARBONE - L. SCHIANO DI PEPE, Uniform law
and conflicts in private enforcement of environmental law, in Dir. maritt., 2009, 50, ivi, 66).
[47] In tema, v. per tutti F. BERLINGIERI, Le convenzioni internazionali di diritto marittimo e il
codice della navigazione, cit., 1027.
[48] Si allude qui agli interventi operati dal legislatore comunitario, perlopiù con riferimento al
trasporto di persone, caratterizzati dal rinvio ad una normativa di diritto uniforme, estesa al di là
dell'ambito originario di applicazione ex se: il prototipo di tale tecnica normativa va rinvenuto nel
regolamento (CE) n. 889/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 maggio 2002 di modifica del
regolamento (CE) n. 2027/97 sulla responsabilità del vettore aereo in caso di incidenti, che ha richiamato
le corrispondenti previsioni della convenzione di Montreal del 1999. Nella scia si pongono il regolamento
(CE) n. 392/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativo alla responsabilità
dei vettori che trasportano passeggeri via mare in caso di incidente (che ha anticipato ed esteso l'ambito
di applicazione della disciplina della convenzione di Atene del 1974 sul trasporto marittimo di passeggeri,
nel testo emendato dal protocollo di Londra del 2002), nonché del regolamento (CE) n. 1371/2007 del 23
ottobre 2007 relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.
[49] Nell’ambito del terzo pacchetto comunitario sulla sicurezza marittima (c.d. pacchetto «Erika
3») era in effetti contemplata una «Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa
alla responsabilità civile ed alle garanzie finanziarie degli armatori» (/* COM/2005/0593 def. - COD
2005/0242 */), che, però, non è arrivata a concretizzarsi in un provvedimento effettivo. Il 9 ottobre 2008,
tuttavia, gli Stati membri hanno adottato una dichiarazione in cui hanno riconosciuto all'unanimità
l'importanza dell'attuazione del Protocollo del 1996 della Convenzione del 1976 sulla limitazione della
responsabilità per crediti marittimi da parte di tutti gli Stati membri (cfr. considerando 3 della direttiva
2009/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sull’assicurazione degli armatori
per i crediti marittimi).
[50] Cfr. F. BERLINGIERI, Alcune note sul d. lgs. 28 giugno 2012, n. 111 di attuazione da parte
dell’Italia della Direttiva 2009/27/CE del 23 aprile 2009 sull’assicurazione (della responsabilità) degli
armatori per crediti marittimi, in Dir. maritt., 2012, 963; A. CLARONI, Decreto legislativo 28 giugno 2012,
n. 111 «Attuazione della direttiva 2009/20/CE recante norme sull’assicurazione degli armatori per i crediti
marittimi» (G.U. n. 173 del 26 luglio 2012): una breve nota di commento, in Riv. dir. nav., 2012, 1033.
[51] F. PELLEGRINO, Sviluppo sostenibile dei trasporti marittimi comunitari, Milano, 2010
[52] È il presupposto su cui si basa il regolamento 1692 del 24 ottobre 2006, con cui il
Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno approvato il c.d. programma Marco Polo II (cfr. L. MARFOLI,
Trasporti, ambiente e mobilità sostenibile in Italia, in Riv. giur. amb., 2013, 305, 337, sub nt. 67), su una
linea che era stata già tracciata con il Libro Bianco dei trasporti del 2001 (Libro Bianco - La politica
europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, COM/2001/370 definitivo, 12 settembre 2001).
V. amplius: M. NINO, La politica dei trasporti dell'Unione Europea e le problematiche riguardanti la tutela
ambientale e lo sviluppo sostenibile, in Dir. comm. internaz., 2013, 227, ivi, 241. Sulla maggior
sostenibilità ambientale rispetto ad altre modalità di trasporto della navigazione per acqua, v., ex plurimis,
http://www.dirittoestoria.it/12/contributi/Comenale-Pinto-Sostenibilita-ambientale-attivita-croceristica.htm
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E. TURCO BULGHERINI, Cabotaggio, feederaggio, short sea shipping e autostrade del mare, in Aa. Vv.,
Trattato breve di diritto marittimo, a cura di A. Antonini, Milano, 2007, 466; C. VAGAGGINI, Autostrade
del mare e recenti provvedimenti legislativi in materia di ecobonus, in questa Rivista di diritto
dell’economia dei trasporti e del’ambiente, vol. VI, 2008; G. VERMIGLIO, Pianificazione di un sistema
integrato di viabilità terra-mare, in AA. VV., Autostrade del mare. Sicilia piattaforma logistica del
Mediterraneo, a cura di G. Vermiglio, Messina, 2009.
[53] Si veda, al riguardo, il d.lgs. 24 giugno 2003 n.182, recante «Attuazione della direttiva
2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico».
In generale cfr. S. BEVILACQUA, L’inquinamento da rifiuti prodotto da navi, in Giureta, 2012, 143; M.
GRIGOLI, Un apprezzabile progetto normativo per ovviare ai perniciosi effetti degli scarichi in mare dei
rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, in Giust. civ., 2004, II, 285; M. DEIANA, Problematiche
giuridiche della raccolta e gestione nei porti dei rifiuti prodotti dalle navi, in Raccolta e gestione nei porti
dei rifiuti prodotti da navi, a cura di M. Deiana, Cagliari, 2006, 19. Circa il ruolo dell’Autorità portuale nella
raccolta dei rifiuti (con l’esclusione del potere impositivo dei comuni), v. Cass., 6 novembre 2009, n.
23583, in Riv. dir. nav., 2011, 385, con nota di C. VERRIGNI, È esclusa la competenza del comune nella
gestione dei rifiuti prodotti nell’ambito dell’area portuale, ivi, 388.
[54] Cfr., nella prospettiva degli studi di storia economica: P. FRAGIACOMO, L'industria come
continuazione della politica. La cantieristica italiana (1861-2011), Milano, 2012, 292 ss. Sull’evoluzione del
mercato crocieristico, v. in generale: M. RISPOLI, F. DI CESARE, R. MANZELLE, La produzione
crocieristica: i prodotti, le imprese, i mercati, Torino, 1997. Specificamente sui problemi di sicurezza
indotti dal gigantismo navale nel trasporto di persone: A. SAM-LEFEBVRE, Le gigantisme naval à l'épreuve
de la sécurité dans le transport marititme de passagers, in Dr. mar. fr., 2012, 338.
[55] Sarebbe opportuno, al riguardo, generalizzare, come è avvenuto in campo aeronautico
(documento ICAO 9082, IX ed., fra le «best practices» viene espressamente affermato che «In order to
promote transparency, efficiency and cost-effectiveness in the provision of an appropriate quality of
services and facilities, airports and ANSPs should apply management best practices in all areas of their
business» (ivi, I-2, sub § 10), i principi di trasparenza ed aderenza ai costi nella determinazione tariffaria
relativa all’impiego delle infrastrutture.
[56] Disciplina attuata in Italia con il c.d. «codice dell’ambiente», d. lgs. 24 giugno 2003 n.182,
nel testo emendato dal d. lgs. 6 novembre 2007, n. 205 (cfr. artt. 295 e 296).
[57] C. giust. UE, 23 gennaio 2014, in causa C-537/11, in Riv. giur. amb., 2014, 335 (s.m.), con
nota di A. GRATANI, Le navi da crociera. l'Unione europea detta alcuni parametri ecologici anche per i
soggetti oltreconfine. La pronunzia è stata adottata su rinvio del Tribunale di Genova (ordinanza 18 giugno
2011), rispetto alla contestazione della sanzione irrogata ad una nave da crociera di bandiera panamense
sorpresa ad utilizzare combustibili per uso marittimo il cui tenore di zolfo superava i parametri consentiti
(ordinanza-ingiunzione n. 166/2010 della Capitaneria di Porto di Genova). Sulla vicenda v. anche M.
GASPARINETTI, Il caso Manzi: la nornativa europea non si applica alle navi da crociera?, in Riv. giur.
amb., 2013, 815; L. N. MEAZZA, Inquinamento atmosferico da navi da crociera e divieto di transito nella
Laguna di Venezia, cit., 613 ss.
[58] Sul rilievo delle certificazioni volontarie di qualità, in un contesto più generale, v. A. GENTILI,
La rilevanza giuridica della certificazione volontaria, in Europa dir. priv., 2000, 59.
[59] Per una sintesi dell’evoluzione del ruolo delle società di classificazione, v. G. CILIBERTI, Il
ruolo delle società di classificazione, in Inquinamento del mare e sicurezza della navigazione, a cura di A.
Zanelli, cit., 115. V. anche, ex plurimis, F. D’ANIELLO, Registro Italiano Navale, in Enc. giur. it., XXVI,
Roma, 1991; P. ROSSI, Registro Italiano Navale, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 500.
[60] Si allude, qui, in particolare, agli ormai cessati fondi TOVALOP e CRISTAL, su cui v. ex
plurimis, G. L. BECKER, A Short Cruise on the Good Ships. TOVALOP AND CRISTAL, in J. Mar. L. & Com. 5,
1973-75, 609. V. anche S. M. CARBONE, Strumenti internazionalistici e privatistici-internazionali relativi al
risarcimento dei danni provocati da idrocarburi all’ambiente marino, cit., 406 ss.
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