IL PRIMO CAMPIONATO AUTOMOBILISTICO DEL MONDO Nel
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IL PRIMO CAMPIONATO AUTOMOBILISTICO DEL MONDO Nel
IL PRIMO CAMPIONATO AUTOMOBILISTICO DEL MONDO Nel tripudio dei festeggiamenti per la vittoria della Ferrari al Campionato di F1 Conduttori e Costruttori 2000, molti giornali hanno pubblicato l'elenco dei vincitori dalla prima edizione, cioè dal 1950. Ma la storia riserva sempre sorprese: per esempio la scoperta che il Primo Campionato Automobilistico del Mondo si è corso nel…1925, ed è stato vinto dall'Alfa Romeo (d'altra parte Enzo Ferrari è partito da lì!), guidata da un campione grande quanto poco conosciuto: il toscano Gastone Brilli Peri, uno di quei nomi d'una volta che sanno di testardaggine contadina (anche se era un conte), di polvere e fatica, di glorie passate ed allori dimenticati. Nel febbraio del 1925 "Auto Italiana" annunciava l'istituzione del "Campionato Automobilistico del Mondo", su proposta dell'Automobile Club d'Italia che si era appoggiato all'"Auto", il più importante organo sportivo francese, considerato dal mondo sportivo internazionale un imprescindibile punto di riferimento. L'idea piacque, e fu approvata a Parigi dall'A.I.A.C.R., Associazione Internazionale degli Automobili Clubs riconosciuti, la cui Commissione Sportiva si affrettò ad elaborarne il regolamento. Innanzitutto venivano stabiliti i premi, per una somma complessiva di 100.000 franchi francesi, da assegnarsi alla marca "che avrà realizzato la migliore classifica per somma di punti nei Gran Premi corsi nelle differenti nazioni del mondo e retti dalla formula internazionale uniforme". Tale formula prescriveva, già dal 1922, una cilindrata massima di due litri per un peso minimo di 650 kg. La vettura doveva essere biposto, ma con un solo posto, ovviamente quello del pilota, occupato, e una larghezza esterna della carrozzeria di almeno 80 cm. Inoltre per la prima volta, dal 1925, fu reso obbligatorio lo specchietto retrovisore. Questa formula durò per quattro anni, dal 1922 al 1925. I Gran Premi considerati valevoli per la classifica erano: il Gran Premio di Indianapolis, il Gran Premio dell'Automobile Club di Francia sul circuito di Monthléry, il Gran Premio d'Europa, che quell'anno si sarebbe corso a Spa, nel Belgio, e il Gran Premio d'Italia, a Monza. Interessanti sono le norme che trattano dell'assegnazione dei punti per la classifica. "I concorrenti si vedranno attribuire un numero di punti uguale al numero della posizione che avranno occupato nella classifica di ciascun Gran Premio fino al terzo posto, cioè per ciascuna prova il primo avrà un punto, il secondo due, il terzo tre. Tutti gli altri partecipanti, qualunque sia la loro classifica, avranno quattro punti: le assenze in una prova obbligatoria (sulle quattro gare, occorreva obbligatoriamente partecipare a quello della Nazione organizzatrice e ad altre due scelte tra le restanti) saranno valutate cinque punti…I punti così ottenuti nelle classifiche delle diverse prove saranno sommati e vincitrice del Campionato sarà la marca che totalizzerà il minor numero di punti". Non si capisce se volevano davvero rendere la cosa complicata oppure fu un risultato involontario. Comunque sia, oltre a stabilire la maniera di avere un vincitore anche in caso di ex-aequo (con una corsa di 200 chilometri da disputarsi entro 48 ore dal Gran Premio della Nazione organizzatrice), si stabiliva il premio per il primo classificato: un oggetto d'arte del valore di 30.000 franchi (la cultura contava ancora all'epoca!) e un premio in denaro di altri 70.000 franchi. La prima nazione designata per organizzare il Campionato nel 1925 fu l'Italia, che aveva avuto l'iniziativa. L'ACI non perse tempo: già dieci giorni dopo bandì un concorso fra gli artisti italiani per l'ideazione e realizzazione del Trofeo, da consegnarsi il 6 settembre, al termine del Gran Premio di Monza. Della giuria, presieduta da Ugo Ojetti, facevano parte Raffaele Calzini, Ettore Modigliani, Edoardo Rubino, Adolfo Wildt. Il trofeo doveva essere in bronzo dorato, o in parte dorato e in parte argentato, dell'altezza di circa un metro, e richiamarsi inequivocabilmente alle automobili. Finì che i progetti presentati erano così scarsi che il concorso fu annullato già alla fine di maggio e l'opera affidata allo scultore Antonio Maraini. Sembra, e fu, un intoppo di poco conto. Ma in effetti questo campionato partì male, per la difficoltà di creare interesse intorno ad un evento sportivo a cui sia Fiat sia Mercedes non avrebbero preso parte, probabilmente perché convinte della superiorità dell'Alfa Romeo e poco desiderose di confrontarvisi. La prima prova prevista, quella di Spa (Indianapolis non era nemmeno presa in considerazione dalle marche europee) era tutt'altro che facile: un triangolo stradale di 14,9 chilometri da percorrersi 54 volte, per complessivi 804 km. Tante curve, a raggi molto variabili, con tornanti. A schierarsi sulla linea di partenza soltanto vetture Delage, con Thomas, Divo, Benoist e Torchy, e Alfa Romeo con Ascari, Campari e Brilli Peri, recentissimo acquisto della squadra milanese. Naturalmente quest'ultimo, proprio perché appena arrivato, avrebbe avuto soltanto il "muletto", mentre le macchine migliori, due splendide P2 modello 1924 ma con la potenza aumentata di una quindicina di cavalli, sarebbero toccate a Campari ed Ascari. La strategia studiata a tavolino prevedeva che si sarebbe attaccato subito, imponendo l'andatura più veloce possibile, in modo da sfiancare gli avversari, mentre Brilli Peri avrebbe svolto una funzione di tallonamento sulla macchina francese che più da vicino avesse seguito le nostre. Tattica semplice, ma (o forse proprio per questo) vincente. Le dodici cilindri Delage, con compressore, ed un'ottima profilatura aerodinamica, non ressero il ritmo delle otto cilindri Alfa, anch' esse sovralimentate. La sovralimentazione infatti, che costituiva la novità tecnica dell'anno, poteva rivelarsi arma a doppio taglio: permetteva prestazioni superiori ma esigeva dal motore uno sforzo supplementare che poteva risultare fatale, e condurre a danni irreparabili, come infatti successe nelle Delage. Certo il pubblico, dichiaratamente schierato dalla parte dei francesi, non gradì molto la superiorità evidente degli italiani, e reagì con fischi e provocazioni, tali da indurre Vittorio Jano, progettista della P2 e direttore sportivo, a studiare una rivalsa. Mentre ancora la gara era in svolgimento, fece fermare tutte e tre le sue vetture ai box e, fatta apparecchiare una tavola, volle che i piloti si rifocillassero comodamente mentre i meccanici rifornivano e lustravano le macchine. Dopodiché ripartirono. Un po' per le pannes al motore, un po' per il nervosismo ormai stabilitosi tra i francesi, i quattro piloti Delage si ritirarono uno alla volta, e a tagliare il traguardo furono, nell'ordine, Ascari e Campari (Brilli Peri si era ritirato). "Risultati così clamorosi insegnano molte cose. Insegnano cioè che non basta, per una casa, possedere ottimi tecnici ed impianti colossali (chiaro riferimento ai francesi, di cui si diceva avessero approntato addirittura dieci macchine, con un enorme dispendio di denaro) per attuarne praticamente i geniali disegni; ma occorrono anche maestranze disciplinate, guidatori d'eccezione, un'intesa fraterna prima e durante la battaglia fra tutti gli uomini che servono una stessa bandiera. Nel predisporre e far accettare un piano di lotta; nel curarne l'esecuzione sul terreno, con brevi cenni dai "box", come ha fatto l'Alfa Romeo, è la dimostrazione più luminosa della fusione di energie di cui la nostra Casa ha fatto sfoggio a Spa. I fulminei rifornimenti strappavano l'applauso; l'obbedienza degli uomini in corsa, commoveva. Si aveva la sensazione che il nostro era veramente un forte esercito agli ordini di un grande capitano: Nicola Romeo. Il forte esercito e il grande capitano, naturalmente, hanno vinto". Se si muta il nome del grande capitano, e si sorvola sulla commovente obbedienza degli uomini in corsa, tutto il resto sembra estratto da un qualsiasi quotidiano l'indomani della recente vittoria Ferrari a Suzuka. Cavallerescamente, Delage inviò un telegramma di congratulazioni all'Alfa; mentre D'Annunzio, sempre pronto ad approfittare di eventuali ribalte, componeva "La Laude della Rapidità", in elogio della vittoria italiana. Delage aveva soltanto un mese di tempo per prepararsi a Monthléry, a cui decisero di partecipare anche la Sunbeam, con tre otto cilindri sovralimentate e guidate da Segrave, Masetti e Conelli; e la Bugatti con cinque vetture non sovralimentate a otto cilindri, piloti Foresti, i due fratelli de Vizcaya, Goux, Costantini. Per queste due però si sapeva fin dall'inizio che non poteva esistere alcuna possibilità di vittoria, su un circuito decisamente severo, lungo 1000 chilometri, e con caratteristiche miste, sia di pista sia di strada ordinaria. Gli italiani, che si aspettavano una seconda facile vittoria, furono invece schiacciati da un tragedia tanto grande quanto inaspettata: l'inspiegabile e mortale incidente ad Ascari (vedi Auto d'Epoca di novembre 1995).Si era già partiti con il piede sbagliato, per la poca chiarezza sulla tattica adottata in gara. Il grande favorito era infatti Ascari, ma l'Alfa intese questa volta privilegiare Campari, che ebbe la prima guida. Campari però alla partenza rimase al palo, e Ascari ebbe buon gioco nell'avventarsi in testa. Dopo 500 metri aveva già superato tutti. Ad un quarto del percorso, si fermò ai box per i rifornimenti e per chiedere istruzioni sugli ordini di scuderia. Gli fu detto naturalmente di mantenere il vantaggio, in modo da poter chiudere vittorioso, ma di moderare l'andatura. Nella testa di Ascari, però, c'era ormai spazio soltanto per la velocità al limite delle proprie possibilità e di quelle della macchina: e in un attimo, l'attimo che rovinò tutto, li superò entrambi. Dopo il terribile incidente, Campari passò in testa; ma la notizia della morte del pilota, sopraggiunta a gara ancora in corso, convinse l'Alfa a ritirarsi in segno di lutto, rinunciando così ad una vittoria ormai propria e regalandola alla Delage. Rimaneva soltanto il Gran Premio d'Italia, per stabilire il vincitore. Delage ed Alfa Romeo erano a pari punti e a questi si aggiunse (sia pure non per l'aggiudicazione del titolo) la Duesenberg, vincitrice del Gran Premio d'Indianapolis. I premi erano allettanti: un oggetto d'arte del valore di 8.000 lire e 100.000 lire in denaro per il primo arrivato; medaglia d'oro e premio in denaro rispettivamente di 30.000 e 20.000 lire per il 2° e il 3°; medaglia d'oro e premio in denaro di 10.000 lire dal 4° al 12° (anche se c'è una certa differenza!). A pochi giorni dalla gara la Delage, del tutto inaspettatamente, decise di non partecipare. Forse la consapevolezza che la vittoria a Monthléry le era stata regalata la spinse a non tentare un secondo confronto diretto con l'Alfa, per evitare una prevedibile bruciante sconfitta. Forse non gradì l'invito a partecipare alla gara rivolto a Pete De Paolo, il nuovo astro americano, dallo stesso Ascari qualche giorno prima di morire. De Paolo aveva vinto su una Duesenberg ad Indianapolis con una media oraria (162 km/h) superiore di quattro chilometri a quella registrata da Ascari a Spa (158 km/h); da qui l'idea di far correre i due uomini più veloci del globo. L'inattesa morte di Ascari aveva cancellato il progetto del duello. Ma la squadra americana era intanto giunta in Italia e tra il generale stupore si era dapprima sussurrato, poi detto apertamente, che mentre gli altri due piloti della squadra, Milton e Kreis, erano venuti con le loro macchine, De Paolo non aveva nessuna vettura. Su che cosa avrebbe corso? Frattanto l'Alfa Romeo cercava il terzo pilota con cui sostituire Ascari. Si facevano i nomi di Nuvolari, Minozzi, Sozzi, Masetti. Ed ecco il colpo di scena: sarà De Paolo a gareggiare per la marca milanese. La notizia lasciò sorpresi tutti. Per primi, i suoi compagni di squadra, Milton e Kreis, che se lo ritrovavano avversario. Non si capiva inoltre a che titolo gareggiassero le Duesenberg: se ufficialmente, riusciva incomprensibile la cessione del proprio miglior pilota alla squadra avversaria; se privatamente, non si poteva più parlare, come invece si faceva, di un confronto tra Duesenberg ed Alfa Romeo, tra costruzione americana e costruzione europea. Una situazione oscura, aggravata da qualche dubbio sulla conformità al regolamento delle vetture americane. Si ricorderà infatti che era prescritta una vettura biposto di larghezza minima di 80 cm. Le Duesenberg erano monoposto, larghe 45 cm. Per adeguarsi alle prescrizioni, gli americani portarono la larghezza ad 80 cm; ma il problema non era risolto, era semplicemente aggirato. Nonostante l'allargamento, le vetture erano rimaste, necessariamente, delle monoposto, a guida centrale. Lo spostamento della guida avrebbe comportato anche quello dei comandi e dei pedali: impossibile. Però rimaneva una bella differenza tra una vettura a guida centrale ed una, regolamentare, a guida laterale! Nell'ultimo Gran Premio di Francia la Bugatti era stata squalificata soltanto perché una lamierina ricopriva in parte il posto destinato al meccanico (che, per regolamento, non poteva salire sulla macchina). Ed ora passava inosservata una infrazione ben maggiore… Gli altri partecipanti erano una Diatto ad otto cilindri sovralimentata, progettata da Alfieri Maserati; una Guyot, guidata dallo stesso costruttore, e una piccola schiera di vetture da un litro e mezzo che partecipavano al Gran Premio vetturette (che detto così sembra di second'ordine, ma che imponeva di compiere lo stesso percorso delle grandi, ossia 80 giri del circuito, per complessivi 800 chilometri). Fu la gara del "gregario", di colui che, perseguitato dalla scalogna per anni, improvvisamente vede aprirsi davanti a sé la porta vuota ed ha la palla vincente sul piede. Brilli Peri, che avrebbe dovuto per l'ennesima volta essere soltanto di rinforzo ai due titolari, De Paolo e Campari, riuscì ad emergere clamorosamente, approfittando della défaillance di entrambi. Campari, infatti, attardato dalle conseguenze fisiche di un incidente in prova, risentiva ancora del trauma affettivo e psicologico della perdita di Ascari. De Paolo, semplicemente, non entrò mai in gara. Per lui risultarono insormontabili le difficoltà costituite da un percorso nuovo, e dalla sua insufficiente preparazione a guidare l'Alfa. Il primo ad andare in testa fu Kreis, con la Duesenberg. Ma in una curva, il cambio, che era il punto debole delle vetture americane, cedette di schianto, e il pilota fu costretto al ritiro. Da quel momento non vi fu più storia. Campari tenne la testa per un poco, e fu superato alla grande da Brilli Peri che concluse vittorioso, dopo 5 ore e 14 minuti, alla media di 152 km/h. Milton non diede battaglia: anzi, rallentò moltissimo, inspiegabilmente. Scrisse Auto Italiana, che pure aveva tutto l'interesse a far risaltare al meglio la vittoria dell'Alfa Romeo: "L'americano si fermava ai box una prima volta per 4 minuti e mezzo, tempo veramente eccessivo data la rapidità colla quale poté effettuare il rifornimento di benzina; infine, anche la seconda volta, nell'arresto più lungo e che tolse ogni possibilità di successo alle Duesenberg, permane l'impressione che la riparazione del raccordo della tubazione dell'olio alla distribuzione in testa ai cilindri avrebbe potuto richiedere meno di venti minuti". Alla fine della gara, la media registrata da Milton fu di 138 km/h, contro la media registrata da Kreis in prova di 172 km/h: un divario spiegabile soltanto in parte con le difficoltà provocate dalla fragilità del cambio. Se si pensa che prima di De Paolo e di Milton si classificò, al terzo posto, Costantini su Bugatti 1500, vincitore perciò del Gran Premio vetturette, alla media di 139 km/h! Ed erano stati gli americani a sostenere che a Monza si poteva mantenere una media più elevata che ad Indianapolis, per il maggior sviluppo dei rettilinei sulla pista italiana… Ma queste considerazioni, rimaste le stesse di allora, non devono offuscare la vittoria italiana. Brilli Peri arrivò primo, portandosi a casa anche il Trofeo del Campionato del Mondo: una rivincita impagabile, che lo risarcì di tutte le critiche ricevute fino a quel momento. "La sua vittoria nel Gran Premio d'Italia, ottenuta davanti a piloti come Milton e de Paolo, è tale da consacrare un campione…La sua temerarietà giovanile è ora soltanto verbale…le qualità negative che gli si potevano rimproverare un tempo ora sono scomparse. Il motociclista sbarazzino e irrequieto d'un tempo è ora pilota saldo e quadrato", scrisse Giovanni Canestrini. Ma al pilota saldo e quadrato, per rimanere tale, occorreva il sapore delle vittorie. Senza, si sarebbe trasformato nuovamente in un adolescente scavezzacollo: pronto a tutto, anche ad uccidersi, pur di arrivare per primo. Per questo i quattro anni successivi non furono facili per lui: trascorsero senza momenti esaltanti, sempre alla ricerca di un'affermazione clamorosa, e mai raggiungendola se non a Tripoli nel 1929. Quando si uccise, l'anno dopo sul circuito della Mellaha, non stava neanche gareggiando, bensì soltanto provando un'ultima volta la macchina, prima di andare a pranzo. Non avrebbe dovuto forzare: invece stava andando come un ossesso, addirittura migliorando il suo stesso tempo record dell'anno prima. Non ve ne era alcun bisogno: ma il demone della velocità l'aveva ripreso in pieno. Ed è sempre molto difficile vincere, quando non si lotta con gli altri, bensì con se stessi. GASTONE BRILLI PERI Bello, non lo si poteva dire. Un naso da pugile gli spioveva in faccia, una faccia che i tanti incidenti gli cambieranno a tal punto da renderlo irriconoscibile a se stesso. Ma nobile, audace, coraggioso, spavaldo, toscano fino al midollo, questo sì. Il Conte Gastone Brilli Peri era nato a Firenze il 24 marzo 1893 e fin da subito si rivelò ragazzino scavezzacollo e disobbediente, come è facile immaginare. La madre però non poteva immaginare che tra le tante birichinate ci sarebbe stata anche quella di…volare! Nel 1908 (i fratelli Wright si erano alzati in volo per la prima volta al mondo soltanto cinque anni prima) lo scatenato quindicenne vinse una gara in bicicletta organizzata dall'Unione Velocipedistica Italiana. Il premio: un volo. Sarebbe come promettere oggi ad un ragazzino di correre insieme a Schumacher…o di essere proiettato sulla luna. Il sequestro della bicicletta e il taglio dei viveri non lo condizionarono minimamente. Di bicicletta se ne procurò immediatamente un'altra, e per sopravvivere gli bastavano i soldi dei premi. Nel 1912 riuscì ad acquistarsi una moto Della Ferrera, e via con le gare motociclistiche fino alla mobilitazione del 1915. Al termine della guerra, proprio durante una gara di beneficenza per le famiglie dei caduti, rimase coinvolto in un incidente tale da dover restare due mesi in ospedale…e soprattutto da non riconoscersi nello specchio. Fu l'incidente che lo decise a passare all'automobile: sono al coperto, deve aver pensato, rischio di meno. La sua prima gara di pilota fu la Parma - Poggio di Berceto del 1920, su Aquila Italiana: terzo arrivato. Il 1921 si aprì con un record: uscire di curva, travolgere 7 paracarri e 14 longheroni di sostegno, sfasciare la macchina in un burrone e ammaccarsi seriamente insieme al meccanico Lumini, non era da tutti. Ma ci fu di peggio. Su una poderosa Steyr, pesante oltre undici quintali, affrontò l'anno dopo la Targa Florio. Neanche a farlo apposta, al 17° chilometro, tristemente famoso non solo ai superstiziosi ma anche perché vi era stato di recente un incidente mortale, gli si bloccarono i freni, la macchina capottò e lui vi si ritrovò sotto. Fu salvo per un pelo, grazie all'intervento pronto e generoso di Sivocci e di Ascari. La prima vittoria arrivò nel 1923, alla Parma-Poggio di Berceto; e il mese dopo, primo anche al Mugello, nonostante ben dodici cambi di gomme. Un paio di piccoli incidenti, a cui ormai aveva fatto il callo, avevano costituito l'inizio dell'annata sportiva 1925, quando giunse l'assunzione a guidatore dell'Alfa Romeo, insieme ad Ascari e Campari. "Era quello per me l'avverarsi di un sogno", scrisse egli stesso. Se la chiamata alla guida di un'Alfa fu l'avverarsi di un sogno, figuriamoci la vittoria in un Gran Premio che consacrava la marca Campione del Mondo! E' che finalmente Brilli Peri aveva cominciato a superare il suo handicap: una insufficiente preparazione meccanica. Ammetteva per primo di non capire niente di macchine, al punto che erano Ascari e Campari ad occuparsi della preparazione della vettura a lui assegnata. Si trattava di un forte limite, che ne condizionava anche la resa in corsa. Quando si rese conto di quanto poteva essere limitante, vi porse rimedio e i risultati non si fecero attendere. Ma quando uno nasce sotto una stella sfortunata, è difficile che le cose si raddrizzino. Corse per i quattro anni successivi senza grandi risultati, se si escludono le vittorie "africane" del 1929, a Tripoli e a Tunisi, che gli valsero l'appellativo di "el negher". Per questo non esitò l'anno successivo a presentarsi di nuovo a Tripoli. Durante le prove, l'ultimo incidente. Donatella Biffignandi Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino