Relazione Costanzo - Associazione dei Costituzionalisti

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Relazione Costanzo - Associazione dei Costituzionalisti
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Convegno annuale AIC, Salerno, 23-24 novembre 2012
“Costituzionalismo e globalizzazione”
PASQUALE COSTANZO
IL FATTORE TECNOLOGICO E LE SUE CONSEGUENZE
“Questo distruggerebbe il nostro lavoro.
Non si può immaginare uno strumento più pericoloso al servizio della cospirazione e della
controrivoluzione”:
(Stalin, opponendosi al progetto di Trotskij d’installazione di una rete telefonica in Russia)
“L’unico legittimo obiettivo del governo e della tecnologia è di servire la gente, e non l’inverso”
(Rebecca MacKinnon)
“Tutto ciò che è possibile sarà realizzato”
(Prima legge della tecnologia di Dennis Gabor)
SOMMARIO: 1. Dall’homo sapiens all’homo technologicus. – 2. Il progresso tecnologico e le
metamorfosi dello Stato vestfaliano. – 3 Lo Stato contemporaneo tra atemporalità e
deterritorializzazione tecnologica. – 4. Governance globale e governance tecnologica. – 5.
Blackberry vs. servizi segreti. – 6. Internet tra governance globale (sotto tutela americana) e
regolamentazione internazionale. – 7. Verso una coscienza costituzionalistica globale (il ruolo
della Rete). – 8. Le reti informative e la riconfigurazione dello Stato nazionale (i cittadini nella
società 2.0). – 9. Autonomia assiologica del costituzionalismo e ruolo della tecnologia globale. –
10. Il fattore costituzionalistico e le sue conseguenze.
1. Dall’homo sapiens all’homo technologicus. – L’ambito proprio di quest’intervento va
specificamente individuato nei fenomeni legati alla tecnologia o, meglio, al ruolo “catalizzatore”
della tecnologia medesima rispetto ai processi evolutivi interessati dai due fattori che rappresentano
i confini del nostro orizzonte tematico, ossia il costituzionalismo e la globalizzazione.
In questa sorta di triangolazione, le direttrici di ricerca risultano molteplici, potendosi, ad
esempio, indagare sul tipo di globalizzazione favorito dalla tecnologia o, invece, chiedersi se e in
che senso possa parlarsi di un costituzionalismo globale; per non dire della pregiudiziale questione
circa la possibilità stessa di definire univocamente la globalizzazione1. Per quanto qui, però, più da

Testo provvisorio.
Indubbiamente la globalizzazione (il lemma è attribuito alla penna di TH. LEVITT, The Globalisation of markets, in
Harward Business Review, 1983, 92 ss.) attuale ha dei precedenti: ciò che però appare particolarmente inedito è la
straordinaria combinazione di globalizzazioni diverse quali quella della finanza, del commercio e della comunicazione,
ciascuna delle quali ha vissuto fino ad un certo momento una storia propria. Se si prescinde dalla globalizzazione
indotta dalle scoperte geografiche a partire dal XV secolo, la cronologia delle globalizzazioni prende normalmente le
mosse dalla loro prima manifestazione moderna di natura commerciale, tra il 1870 e il 1914: qui il riferimento teorico
può però essere collocato assai prima ed individuato nella pubblicazione dello studio di David Ricardo, On the
Principles of Political Economy and Taxation nel 1817, dove venne, tra l’altro, enunciata la teoria dei “vantaggi
comparati” secondo cui il libero scambio commerciale si sarebbe rivelato mutualmente vantaggioso per i Paesi che
1
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vicino interessa e mantenendosi come baricentro il fattore tecnologico, sembrerebbero, le seguenti
tre, le combinazioni più pertinenti dell’indagine:
I. la prima abbina costituzionalismo e governo della tecnologia, rimandando alle fondamentali
questioni del rapporto tra scienza e istituzioni politiche, e, in particolare, al “tasso” di
costituzionalismo insito nelle scelte di carattere tecnologico;
II. la seconda accosta costituzionalismo e tecnologia nell’arte di governare, invitando alla
riflessione su quali strumenti e con quali accorgimenti sia possibile, quando non necessario, nella
prospettiva della manutenzione del costituzionalismo, rendere i riti dell’apparato più adeguati ai
ritmi di una società civile tecnologicamente avanzata;
III. la terza collega, infine, il costituzionalismo alla dimensione tecnologica, intendendo indagare
sulle riconfigurazioni che la già sfaccettata dimensione del costituzionalismo sta subendo per effetto
del progresso tecnologico di portata globale.
Pur parendoci che sia quest’ultima combinazione a fornire la traccia che ci si chiede qui di
seguire, sembra opportuno avvertire che, data la loro forte imbricazione, anche le altre due potranno
essere in certa misura percorse. Per altro verso, solo eventualmente si coltiverà una prospettiva
dogmatica (anche se naturalmente non s’ignora l’estremo interesse di un’investigazione sulle
interazioni tra tecnologia e assetto delle nostre istituzioni politiche e giuridiche). Non potrebbe,
inoltre, escludersi qualche sovrapposizione con le altre relazioni, ragion per cui si chiede sin d’ora
l’avrebbero praticato. La prima stagione di liberalizzazione degli scambi si sarebbe verificata a partire dal 1880,
favorendo altresì la rivoluzione industriale (si rammenti come il periodo fu contrassegnato anche dal colonialismo e da
intense ondate migratorie). Tale stagione, già oscurata dal prevalere dei nazionalismi, venne bruscamente interrotta
dalla prima Guerra mondiale, senza che successivamente si ritrovasse la precedente apertura internazionale e dando,
anzi, materia di studio a John Maynard Keynes, che, nel famosissimo The Economic Consequences of the Peace del
1919, preconizzò le conseguenze disastrose che sarebbero occorse a causa del rigore usato dai vincitori a Versailles nei
riguardi della Germania. Diverso fu, pertanto, l’atteggiamento adottato dopo la Seconda Guerra mondiale, allorché a
Bretton Woods fu allestito un nuovo ordine mondiale legato al dollaro e propizio ad una seconda grande
liberalizzazione economica, anche se, per vero, sostanzialmente ancora circoscritta all’ambito dei blocchi nazionali
gravitanti intorno agli Stati Uniti, all’Europa e al Giappone. È, infatti, a partire dagli anni ‘70 che, anche sotto la spinta
di eventi deregolativi di carattere internazionale come la fine del sistema di Bretton Woods e il cd. shock petrolifero, ci
si avvia verso un’apertura crescente alla circolazione delle merci e dei capitali (terza grande globalizzazione anche per
la successiva fine del mondo bipolare) che finirà per penalizzare l’incremento di ricchezza a scapito dei salari e della
spesa pubblica e per emarginare (è il momento della Scuola di Chicago) il ruolo degli Stati, così come concepito dalla
teoria economica keinesiana. A questo nuovo scenario, peraltro, vengono forzosamente associati i Paesi del cd. Terzo
Mondo sulla base del cd. Consensus di Washington negli anni ‘90, mentre il nuovo millennio si apre con una prima crisi
borsistica negli Stati Uniti nel 2001 (quasi in contemporanea con il tragico attacco terroristico dell’11 settembre). A
partire, poi, dal 2008 la globalizzazione economica comporterà anche la drammatica globalizzazione della seconda
grande crisi di inizio secolo caratterizzata da recessione, decadenza del debito sovrano ed incertezze sulla tenuta
dell’euro. Per alcuni approfondimenti del fenomeno della globalizzazione (o “mondializzazione”, secondo il termine
preferito da alcuni Autori) e per un’analisi dell’incidenza di quest’ultima sulla sovranità dello Stato, nella dottrina
costituzionalistica italiana, cfr., in particolare, U. ALLEGRETTI, Diritti e Stato nella mondializzazione, Troina (Enna),
2002, specie p. 14 ss. e A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, 2002, specie p. 3 ss. Nella
letteratura straniera, in prospettiva filosofica e sociologica, si segnalano sul tema i fondamentali scritti di J. HABERMAS,
La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Milano, 2002, specie p. 38 ss.; di U. BECK, Che
cos’è la globalizzazione? Rischi e prospettive della società planetaria, Roma, 2002, specie p. 13 ss.; di O. HÖFFE, La
democrazia nell’era della globalizzazione, Bologna, 2007, specie p. 13 ss.; nonché di Z. BAUMAN, Dentro la
globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma-Bari, 2010, specie p. 3 ss.
3
venia, con l’auspicio, tuttavia, che una tale eventualità possa contribuire ad articolare meglio la
complessiva indagine.
Poiché è, infine, prudente, pur nell’ambito di una circoscritta analisi, procedere per gradi, sembra
imprescindibile una preliminare messa a fuoco della nozione stessa di tecnologia, o forse meglio,
considerata la variabilità dei contenuti di tale nozione non solo nelle diverse lingue2 ma nello stesso
lessico di casa nostra, la stipula di un suo particolare significato, avuto ovviamente e decisivamente
riguardo al nostro ambito discorsivo.
L’accezione probabilmente più conferente parrebbe, allora, suggerita dalla flessione del lemma
come “insieme delle metodiche e delle pratiche sviluppate a partire da presupposti di carattere
scientifico”. La formula evidenzia subito, però, una stretta interdipendenza con altri concetti finitimi
da cui risulta conveniente distanziarlo proprio ai fini che qui rilevano.
Il riferimento più immediato è alle nozioni di scienza e tecnica, le uniche tra l’altro, note al
nostro testo costituzionale fino alla revisione del 2001, che, all’art. 117, 3° comma, nel catalogo
delle competenze legislative concorrenti, ha inserito, per la prima volta, l’espressione “ricerca
scientifica e tecnologica”3. Circostanza, questa, che trova un immediato, ma strutturalmente diverso,
precedente nella Carta dell’Unione europea dei diritti fondamentali medesimi, laddove si ragiona
2
Cfr. in http://www.tecnologos.it/index.php?option=com_content&view=article&id=216:guardando-al-significatodi-qtecnologiaq&catid=83:01a&Itemid=95.
3
Oltre a questi aspetti attinenti al riparto delle attribuzioni legislative tra Stato e Regioni, possono citarsi altre
previsioni quali quelle recate in materia di salute, ambiente, trasporti ed energia dal medesimo comma e dalle lett. d), r),
e s) del precedente comma dell’art. 117 Cost. Una precisa responsabilità dello Stato nella materia sembra discendere
dall’art. 9 Cost., non casualmente ricompreso tra i principi fondamentali. Responsabilità suscettibile, peraltro, di un
respiro internazionale, se si concorda sul fatto che collaborazioni e trasferimento tecnologici, ed, in primo luogo, le
organizzazioni internazionali in proposito costituite possano essere considerati tra gli strumenti di promozione della
pace e della giustizia tra le Nazioni di cui si occupa l’art. 11 Cost. Le principali linee direttrici dell’impegno pubblico
nel settore suggerite dalla Costituzione emergono, poi, guardandosi allo sviluppo tecnologico come:
a) componente essenziale del lavoro, tutelato specificamente dall’art. 35, 1° comma, Cost.;
b) ambito di svolgimento dell’iniziativa economica privata riguardata dall’art. 41 Cost.;
c) obiettivo da proteggere, a tenore dell’art. 42, 2° comma, Cost., specie nelle forme brevettuali;
d) strumento di rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, di cui ragiona l’art. 3, 2° comma, Cost. (si
pensi, esemplarmente, alle problematiche dell’accessibilità al web o del cd. digital divide o alla possibile configurazione
del godimento di una determinata tecnologia come un livello essenziale); nonché, finalmente,
e) oggetto di espressa tutela costituzionale ex art. 9 Cost., tanto da aver dato spunto alla formulazione della nota tesi
della libertà privilegiata di S. Fois rispetto all’ordinaria manifestazione del pensiero.
Sotto quest’ultimo aspetto, tra l’altro, non è chi non veda le rischiose implicazioni di un’inadeguata apertura
ordinamentale agli esiti della tecnologia globale, causata da chiusure preconcette orientate da fattori ideologici, religiosi
o di opportunità politica che nulla hanno a che fare con l’atteggiamento razionale e libero che è proprio del metodo
sperimentale e della ricerca scientifica (ad es., nel campo dell’ingegneria genetica, delle tecniche di diagnosi
preimpianto per la fecondazione assistita o dell’utilizzazione delle cellule staminali). Sono, per converso, evidenti gli
effetti positivi della penetrazione tecnologia nell’ordinamento interno, tale da illuminare sulle forme e gli esiti raggiunti
dalla scienza e dalla tecnologia globali, contribuendo a demistificare forme assolute di gestione del potere a favore di
quella “società aperta” preconizzata da K. Popper. Sulla libertà della scienza come “indicatore di salute democratica”,
imperdibile il contributo di G. CORBELLINI, Scienza quindi democrazia, Torino, 2011 (per l’A. addirittura la
manipolazione e la censura della scienza sarebbero parte integrante del processo di declino civile ed economico del
nostro Paese).
4
della necessità di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione della società,
del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici4.
Comunque sia, mentre la scienza, in base ad una tradizione semantica che prende avvio con
Galileo e si stabilizza, può dirsi, con l’Encyclopédie5, designerebbe un particolare sistema di
conoscenze, fondato su principi e leggi stabiliti con il rigore della matematica e in base
all’osservazione dei fatti, la tecnica (sovente significativamente associata al termine “arte”) farebbe
piuttosto riferimento ai procedimenti che occorre utilizzare in maniera metodica per conseguire un
dato obiettivo. Ora, se si confrontano tali concetti, ci si accorge di come, rispetto alla scienza,
difetterebbe nella tecnologia la “purezza” data dal disinteresse per potenzialità applicative e ricadute
economiche dei risultati conseguiti; laddove, nei riguardi della tecnica, si avrebbe, invece, il
“surplus” costituito dalla teorizzazione delle regole che presiedono e spiegano quel savoir faire o
know-how che consente una certa “trasformazione” del mondo.
Si tratta – è vero – di definizioni dai confini sottili e probabilmente contestabili, ma sembra
opportuno qui provvisoriamente appagarsene, notando, tra l’altro, come la tecnologia, così
concepita, si riveli, più della scienza, idonea a subire gli influssi di un “potere decidente” a
proposito delle scelte da operarsi. Del resto, è in questa direzione, per indugiare ancora sul piano
lessicale, che è invalso, a partire dagli anni ‘70, il termine “tecnoscienza”, per indicare la
preordinata funzionalizzazione della scienza al reperimento di soluzioni tecniche profittevoli sotto il
profilo economico e caratterizzate sia da una mobilità continua del confine tra ricerca di base e
ricerca applicata, sia dalla convergenza di diversi settori di ricerca6.
Una sfera, dunque, quella tecnologica, suscettibile d’esser messa al servizio dei “decisori”, tanto
che non può sorprendere che, in un passo del Capitale, ci si imbatta nella proposta d’introdurre
l’insegnamento della tecnologia nelle scuole del popolo7. È nota, del resto, la più recente
sollecitazione a contrastare la cd. tecnocrazia, che si realizzerebbe allorché le élites al potere
monopolizzino i canali della conoscenza e della tecnologia per orientare le politiche in loro favore a
scapito dei governati. La fede nella scienza radicata nelle società liberali costituirebbe pertanto un
problema per la democrazia, quando si facesse portatrice di una pretesa di verità, per fini di parte,
indipendentemente dalla sua consistenza oggettiva8.
4
Precisamente nel Preambolo. L’art. 13 della Carta ragiona poi di libertà della ricerca scientifica.
http://fr.wikisource.org/wiki/Page:Diderot_-_Encyclopedie_1ere_edition_tome_14.djvu/787
6
Si pensi al cd. NBIC, acronimo che designa un campo di ricerca multidisciplinare che associa, con un’ibridazione
tra naturale e artificiale, le nanotecnologie, le biotecnologie, le tecnologie dell’informazione e le scienze cognitive (cfr.,
utilmente, http://www.wtec.org/ConvergingTechnologies/Report/NBIC_pre_publication.pdf).
7
Cfr. K. MARX, Il capitale (libro I sezione IV, capitolo 13).
8
Si deve, soprattutto, ad A. TOURAINE, Le changement social, in La société invisible, Paris, 1977, un simile concetto
di tecnocrazia.
5
5
Senza volere (e potere) addentrarci in approfondimenti già tentati da altre scienze umane circa il
delicato problema della neutralità assiologica del fattore tecnologico9, sembra, comunque,
difficilmente smentibile almeno l’essenziale nesso intercorrente tra l’espansione del suo ruolo ed il
progresso sociale, rappresentando senz’altro il complesso delle idee e delle attività collegate un
primario motore di accrescimento del benessere e della ricchezza.
Secondo talune prospettazioni10, anzi, mentre sarebbe stata la scienza, con la sua aspirazione a
matematizzare il mondo in vista del progresso generale, ad improntare di sé l’epoca moderna,
sarebbe proprio la tecnologia a costituire uno dei tratti caratterizzanti dell’epoca postmoderna e
postindustriale, al servizio della prosperità dell’uomo. Per altro verso, sarebbero le tecnologie della
conoscenza le risorse strategiche fondamentali del tempo presente, così come le tecnologie
meccaniche lo furono per la società industriale rispetto al precedente lavoro manuale. E ciò, senza
soluzione di continuità, se è vero che, dopo il cd. “fallimento tecnologico” del mondo
grecoromano11, furono le scoperte scientifiche della fine del Medioevo e, poi, del Rinascimento, a
dar corpo alle trasformazioni che hanno propiziato la nascita della società capitalista industriale in
Europa, come, analogamente, i grandi progressi tecnologici del XX secolo12 hanno posto le
premesse della società della conoscenza13 da cui sta ora emergendo un nuovo sistema su scala
mondiale in cui sarebbe ancora il capitalismo a prevalere, rigenerato, questa volta
dall’“informazionalismo”14.
9
In questo senso, da chi guarda ottimisticamente ai progressi della tecnologia, si ragiona di responsabilità per gli
effetti causati, attribuibile esclusivamente all’uso che della tecnologia viene “soggettivamente” fatto (tesi cd.
strumentale). Una simile posizione viene contrastata da chi rifiuta, invece, un’assoluta scissione tra l’agito e l’agente e,
soprattutto, individua tecnologie reputate “oggettivamente” rischiose (il tema è affrontato particolarmente da A.
Feenberg, Critical Theory of Technology, nuova ed., Oxford, 1993).
Si badi come, più di recente, la formula della “neutralità” sia trascorsa ad indicare il diverso fenomeno per cui
incomberebbe al legislatore di non discriminare tra le diverse tecnologie utilizzabili in un determinato contesto,
evitando di favorirne o ostacolarne qualcuna a detrimento di un’altra. Se si vuole, infine, con neutralità tecnologica può
ancora indicarsi l’indifferenza, ad es., della tecnologia di Rete rispetto ai contenuti veicolati, tale da giustificare
l’irresponsabilità in proposito degli operatori addetti.
10
Ad es., circa lo stretto legame tra tecnologia e cd. postmoderno, P. PORTOGHESI, Postmoderno, in Cfr. V. VERRA e
P. PORTOGHESI, Moderno e postmoderno, in Enciclopedia del Novecento, II Supplemento (1998) (reperibile in
http://www.treccani.it/enciclopedia/moderno-e-postmoderno_(Enciclopedia-Novecento)/).
11
Addebitabile, com’è noto, specialmente all’eccedenza di forza lavoro data dal regime schiavistico: sul tema, cfr.,
A. GILLI, Origini dell’eguaglianza - Ricerche sociologiche sull’antica Grecia, Torino, 1988.
12
Sulla sopravvalutazione degli aspetti positivi propri di tale periodo ed il formarsi di un’ideologia tecnologica, cfr.
J. ELLUL Le bluff technologique, Paris, 3e éd., 2012.
13
O “società dell’informazione”: espressione assistita da un enorme successo per designare la società
contemporanea nelle analisi di sociologi, economisti, futuristi e saggisti vari: sul tema, tra gli altri, cfr. M.
PIETRANGELO, La società dell’informazione tra realtà e norma, Milano, 2007. Tra i “precursori”, rilevano F. MACHLUP,
The Production and Distribution of Knowledge in the United States, Princeton, 1962; A. TOURAINE, La société postindustrielle. Naissance d’une société, Paris, 1969; D. BELL, The Coming of Post-Industrial Society: A Venture in Social
Forecasting, New York, 1973 e A. TOFFLER con Future Shock, New York, 1970, e The Third Wave, New York, 1980.
14
Per M. CASTELLS, The Information Age: Economy, Society and Culture, III: End of Millennium, Oxford, 1998, 38,
nel nuovo modo “informazionale” di sviluppo, è la tecnologia della produzione del sapere, del trattamento
dell’informazione e della comunicazione simbolica che genera la produttività.
6
Comunque sia, sarebbe questo lo scenario nel quale si consumerebbe il futuro prossimo
dell’homo sapiens, la cui evoluzione biologica andrebbe di pari passo con lo sviluppo della
tecnoscienza per la realizzazione del nuovo homo technologicus15. È, del resto, almeno per internet,
già corrente il riferimento ad una generazione di “nativi digitali” (ossia coloro che, nati e cresciuti
in ambiente digitale, concepiscono internet non semplicemente per comunicare, ma come lo
strumento principe per informarsi ed interagire16).
Comunque sia, su una simile ipotesi si è, del tutto prevedibilmente, scatenata l’attenzione di
“apocalittici” ed “integrati”17, contribuendo ad aumentare le incertezze in un campo dove sarebbe,
invece, auspicabile un’attitudine pacatamente critica e liberamente riflessiva, considerate le
inevitabili ricadute sui più diversi contesti, da quello della salute psicofisica dell’uomo a quelli
ambientale e sociale. Di qui, tuttavia, anche l’interesse del giurista per il tema, non parendo
discutibile che, tra i contesti di tipo sociale, quelli strutturati in base a sistemi normativi adempiano
ad una funzione essenziale ai più diversi livelli dell’aggregazione umana, nel cui ambito, peraltro,
più che altrove e meglio che in passato, il fattore tecnologico sta mostrandosi capace d’indubbiare,
come credo possa aver bene evidenziato la relazione di Giuliano Amato, assetti teorici e dogmatici
consolidati.
2. Il progresso tecnologico e le metamorfosi dello Stato vestfaliano. – Di un congeniale intreccio
tra sviluppo del fattore tecnologico ed evoluzione dello Stato moderno sembra, per vero, lecito
ragionare non da oggi. Più precisamente, gli svolgimenti più consistenti di un trend siffatto possono
soprattutto apprezzarsi, ritagliando, nell’ambito spazio-temporale che prende avvio dalla comparsa
degli Stati nazionali, quella particolare esperienza che fa riferimento proprio al costituzionalismo.
Già all’origine, in effetti, sembrerebbe più di una suggestione la straordinaria consonanza dello
Stato costituzionale col sistema messo in auge da Newton, dovuta (non certo alla semplicistica
ragione per cui lo stesso Locke, ossia l’autore delle pagine fondanti del liberalismo, contasse, nella
sua cerchia di amici, il grande fisico e matematico inglese, ma) al fatto che il costituzionalismo si
presenti, anch’esso, come un “sistema” caratterizzato dalla necessità di appoggiarsi su una struttura
in costante equilibrio: nell’equilibrio, cioè, assegnato dalla Costituzione ai diversi poteri, nonché (in
un’ottica particolarmente cara a Montesquieu) tra le stesse componenti sociali. Senz’altro
15
Ragiona di un’estensione tecnologica della coscienza tipica del postmodernismo, P. PORTOGHESI, Postmoderno.
“Immigrato digitale” sarebbe, invece, qualcuno cresciuto prima delle tecnologie digitali; “tardivo digitale” chi,
cresciuto senza tecnologia, continua a guardarla con diffidenza! Va, peraltro, osservato che l’identità “nativa” non pare
garantire per forza anche la conoscenza dei meccanismi e delle logiche sottese al sistema, specie in chi vede
nell’elaboratore (e questo è tipicamente “giovanile”) uno strumento ludico o per socializzare.
17
Basti qui citare la nota posizione di M. Heidegger di grande sfiducia e di ostilità dei confronti della tecnologia
nonché la sua potente riflessione sulla tecnica moderna sia come elemento centrale del nostro orizzonte concettuale, sia
come l’essenza stessa della nostra epoca, presa nella sua determinazione metafisica (cfr. M. HEIDEGGER, La questione
della tecnica, in Saggi e discorsi, Milano, 1980, trad. it.).
16
7
convincente, appare, poi, l’ispirazione, alla raffigurazione meccanica dell’universo affermatasi a
partire da Galilei, dei checks and balances, annoverati significativamente, da Hamilton tra i modern
improvements in the science of politics18.
Si potrebbe, certo, rilevare che tale messa in parallelo non dimostrerebbe null’altro che una certa
simpateticità tra il costituzionalismo sorto dalla Glorious Revolution e la visione scientifica del
mondo affermatasi quasi contemporaneamente ad esso, se non si potessero evocare anche le
osservazioni di Weber circa l’interazione reciproca tra progresso scientifico e processo di
accumulazione capitalista ed il corrispondente plasmarsi delle istituzioni giuridiche e politiche della
società monoclasse19.
A sua volta, al costituzionalismo democratico, propiziato dalle vicende rivoluzionarie del XIX
secolo e, poi, affermatosi all’inizio del secolo passato, non è risultato estraneo il parallelo sviluppo
tecnologico. Così, esemplarmente, i minatori e gli altri addetti del settore carbonifero si videro
consegnare dalla tecnologia estrattiva il potere d’interrompere il flusso energetico20, paralizzando
l’economia, con la conseguenza che, a partire dagli ultimi anni del XIX secolo, grazie all’arma dello
sciopero, fu spianata la strada all’organizzazione sindacale e partitica, al suffragio universale e ad
una legislazione di contenuto sociale21.
E che dire dello Stato novecentesco? Non ha esso subìto le torsioni derivanti dall’uso della radio
e della televisione? Chi non ha in mente le invettive popperiane contro una televisione responsabile
del determinarsi di un pubblico privo di quella capacità critica che costituisce l’essenza della
democrazia?
Si propone oggi, per concludere questa rapida premessa, di ragionare di una “democrazia
continua” o di una “democrazia elettronica”, o, ancora, di una “tecnopolitica”22: ma ciò lo si deve
ancora allo sviluppo tecnologico delle reti informative, che consentono a chiunque di manifestare il
proprio pensiero, d’incontrarsi virtualmente e di operare per i più diversi scopi in una relazione
18
Nel Federalist n. 9: non diversamente, pertanto, da come si valuterebbe l’invenzione di una nuova tecnologia.
Restando all’esperienza americana, risalta ancora la circostanza per cui molti dei padri fondatori degli Stati Uniti
fossero cultori di scienza come Thomas Jefferson, John Adams e James Madison, od essi stessi scienziati come
Benjamin Franklin, Benjamin Rush e David Rittenhouse (ciò che, per diverso aspetto, può forse anche spiegare lo
spirito scientista e la spiccata propensione alla competizione tecnologica che hanno sempre animato quel Paese; del
resto la Costituzione degli Stati Uniti conferisce al Congresso il potere “to promote the Progress of Science and useful
Arts”). Esemplare di una simile mentalità può essere considerata ancora la metafora con cui John Adams spiegava le
interazioni tra Stato e costituzione, chiamando in causa il funzionamento dell’orologio, in quanto anch’esso basato su
una propria “costituzione” fatta dalla “combination of weights, wheels, and levers, calculated for a certain use and
end”. Sulle basi fisico-matematiche della democrazia americana, cfr. G. CORBELLINI, Scienza quindi democrazia, cit.,
28 ss.
19
MAX WEBER, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1922), trad. it., Firenze, 1965
20
Più in generale, sulla produzione di energia come forza centrale nel plasmare l’età democratica, cfr. T. MITCHELL,
Carbon Democracy: Political Power in the Age of Oil, New York, 2011.
21
Clamoroso, in proposito. il caso degli scioperi del 1889 nella Germania guglielmina.
22
Segnatamente S. RODOTÀ, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari,
1997.
8
costante con un indeterminato numero di altri soggetti, non più riservata ad una stretta schiera di
addetti23.
Se le precedenti osservazioni possono, dunque, convincere come l’intreccio tra fattore
tecnologico e Stato vestfaliano non costituisca affatto un fenomeno inedito, ne va, però,
immediatamente colto l’attuale mutamento di segno. Pare, infatti, di potersi osservare come un
simile intreccio, finché è rimasto, per così dire, territorialmente circoscritto, abbia inciso piuttosto
sulla “forma” che non sulla “robustezza” dello Stato, dato che, attualmente, le tecnologie più
progredite e pervasive (il discorso potrebbe con tutta certezza farsi, oltreché per le comunicazioni,
per i trasporti o per i flussi energetici) non esauriscono i loro effetti incidendo sull’assetto interno
del potere “nello Stato”, ma tendono ad affievolire il peso dei fattori identitari “dello Stato”
medesimo, come affermatisi a partire dai Trattati del 1648, allorché la “fisionomia” delle nuove
entità politiche territoriali si conformò in base al livello di avanzamento tecnico, economico e
militare raggiunto in una porzione territorialmente coesa dell’ex impero romano-germanico.
3. Lo Stato contemporaneo tra atemporalità e deterritorializzazione tecnologica. – La messa in
tensione della supremazia della funzione normativa e di indirizzo in capo all’organizzazione
costituzionale dello Stato, l’indebolimento della sua capacità di “contenere” i fenomeni sociali che
si manifestano nel suo ambito territoriale e lo sfilacciamento della sua stessa sovranità esterna
appaiono, dunque, in primo luogo imputabili alle tecnologie più foriere di effetti di
deterritorializzazione.
Si tratta, all’evidenza, delle tecnologie comunicative, delle quali, appunto, ancor prima
dell’avvento di internet, erano già stati segnalati, con riferimento alla stampa ed alla televisione24,
effetti consimili, prevedendosi come la “cancellazione” dello spazio avrebbe portato a rielaborare i
modelli di interazione sociale, al di là del tradizionale “senso del luogo”
25
. Con l’avvento della
Rete, potrebbe analogamente discorrersi anche di altre categorie dipendenti dalla nozione di
territorio, come quelle di “vicino” e di “lontano”, non risultando esse più correlabili a criteri
23
Si pensi, in tal senso, al cd. crowdsourcing, ossia il ricorso al genio inventivo degli innumerevoli internauti per
conseguire obiettivi che normalmente sarebbero propri di un’impresa o di un ceto di esperti: è stato il caso della
redazione della nuova Costituzione islandese approvazione tramite referendum il 20 ottobre scorso. Sulla vicenda cfr. T.
GYLFASON, Dopo la crisi, una nuova Costituzione per l’Islanda, 28 ottobre 2011, in http://www.lavoce.info/articoli/internazionali/pagina1002620.html
24
Un simile effetto è tipico anche delle conversazioni telefoniche in cui il luogo fisico non è percepibile e
significante.
25
È questo, peraltro, il titolo di un celebre libro di Joshua Meyrowitz della metà degli anni ‘80, in cui si rileva
l’analoga attitudine di scarsa fedeltà al territorio che avrebbe caratterizzato i nostri avi cacciatori e raccoglitori, per di
più inseriti, in un’organizzazione sociale fortemente egualitaria e scarsamente autoritaria: J. MEYROWITZ, No sense of
place, the impact of electronic media on social behavior, New York, 1985 (trad.it. Oltre il senso del luogo, Bologna,
1993).
9
geografici26, ma, se mai, in base ai criteri semantici del linking, caratteristica, com’è noto,
dell’interconnessione digitale.
Se, dunque, la nozione di spazio fisico, già a partire dall’epoca dell’esplorazione e della
colonizzazione, ha subito quelle contrazioni cui si deve, a ben vedere, l’idea stessa di
globalizzazione (fino ai viaggi spaziali che ci hanno permesso di vedere, nella sua interezza, la
Terra, come ricetto di un’unica collettività umana), va osservato come oggi soprattutto lo
straordinario sviluppo della tecnologia dei trasporti abbia mutato e, in certo modo, banalizzato
l’esperienza stessa del viaggio27. La tensione crescente al raggiungimento di velocità di
spostamento sempre maggiori per uomini e cose sembra recare in sé l’aspirazione all’annullamento
dello spazio fisico28, non diversamente dal trasferimento pressoché istantaneo di oggetti virtuali da
una parte all’altra del mondo come accade su internet. Del resto, quest’affinità tra le due tecnologie
ha condotto, a partire dagli anni ‘70, ad una loro progressiva confluenza nell’unica tecnologia delle
comunicazioni basata, appunto, sulla sinergia tra trasporti e informazione29.
È anche, però, con la compressione del fattore temporale che le attuali tecnologie ci mettono a
confronto, fornendoci la sensazione di vivere in un eterno presente. Sembra, infatti, mutare la
percezione del tempo, che non sarebbe più la “strada” indispensabile per giungere a certi traguardi,
mentre la quasi immediatezza dell’azione richiesta pare, ancora una volta, togliere consistenza allo
spazio30. Si sarebbe, insomma, in presenza di un’inusitata svalutazione delle coordinate
spaziotemporali, imposta dalla necessità, tipica della nostra epoca, di essere “istantanei”.
Simili scenari sembrano, tuttavia, esibire un qualche, non componibile, distacco dai tradizionali
ritmi della burocrazia e della politica. Tali ritmi, peraltro, frequentemente imposti dalla stessa
regolamentazione, finiscono per determinare la dislocazione del luogo delle decisioni sostanziali al
di fuori delle sedi loro proprie, prevalentemente a livello dell’“ordinamento globale”, siccome
maggiormente dotato di un’“anima funzionalista”31. Osservazioni analoghe potrebbero essere
suggerite anche da altre tecnologie, che, pur concernendo principalmente aspetti economici e
finanziari, non risultano del tutto neutre rispetto ai profili istituzionali che, qui, più da vicino,
26
Pierre Lévy, Qu’est-ce que le virtuel ?, Paris, 1995, 18.
Ma si pensi anche all’avvento del low cost nei viaggi aerei!
28
Fino al cd. teletrasporto, che si sta rivelando meno fantascientifico di quanto non si pensi nel campo della
meccanica quantistica.
29
Se ciò, in estrema sintesi, rappresenta un decisivo contributo dato dalla tecnologia alla dimensione spaziale della
globalizzazione, occorre ricordare, anche senza scomodare categorie kantiane, come spazio e tempo si tengano
strettamente assieme. Può qui citarsi, se mai, la rappresentazione di McLuhan, secondo il quale “Dopo essere esploso
per tremila anni con mezzi tecnologici frammentari e puramente meccanici, il mondo occidentale è ormai entrato in
una fase di implosione. Nelle ere della meccanica, avevamo operato un’estensione del nostro corpo in senso spaziale.
Oggi, dopo oltre un secolo d’impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso
centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo
spazio” (M. MCLUHAN, Gli strumenti del comunicare, tr. it., Milano, 1999, 9).
30
Cfr. Z. BAUMAN, Modernità liquida, Roma – Bari, 2002, 132 s.
31
Cfr. M.R. FERRARESE, Il diritto orizzontale. L’ordinamento giuridico globale secondo Sabino Cassese, in Politica
del diritto, 2007, 639 ss.
27
10
interessano. È il caso, ad esempio, del superamento del modello fordista di produzione a favore di
un modello flessibile, denominato anche “gatesiano” (dal nome del fondatore di Microsoft),
realizzabile a partire dall’incrocio tra tecnologia dell’automazione e reti di comunicazione, che, per
essere efficiente, deve poter fare affidamento sia su un mercato globale, sia su una notevole libertà
di movimento dei flussi monetari e di gestione della forza lavoro32.
Ne è derivato, com’è noto, un complesso fascio di regole (un’inedita rule of law) che, nel campo
economico, ha prodotto una vera e propria lex mercatoria (così come, analogamente, si discorre di
una lex informatica, di una lex sportiva) in grado di emarginare le corrispondenti regole di origine
nazionale e, ciò che più rileva, anche di schemi costituzionali e valoriali propri dello Stato sociale
novecentesco d’impronta keynesiana33 (il che, per vero, non costituisce un’assoluta novità,
essendosi già verificato con l’avvento dell’Europa comunitaria, non a caso configurabile come una
globalizzazione strutturata di tipo economico su base regionale)34.
4. Governance globale e governance tecnologica. – Si tocca così la dimensione della cd.
governance caratterizzata da “razionalità” costituitesi su livelli sovranazionali ed extranazionali
rispetto a cui gli Stati-Nazione non paiono nella condizione di determinarsi liberamente, essendo, da
un lato, costretti a negoziare o a giocare di rimessa con organismi di carattere globale quali
multinazionali, organizzazioni non governative35, associazioni od alleanze d’interesse e di cittadini;
ma, manifestando, dall’altro lato, non infrequentemente, condiscendenza con l’abbandonare alle
32
Diverso scenario è costituito dall’economia non solo sostenuta da internet, ma basata esclusivamente
sull’erogazione di servizi in Rete (dot-com), che è stata all’origine della cd. “bolla” speculativa del 2000, allorché tale
“bolla” scoppiò per il crollo dei titoli del settore, causando il fallimento di numerose imprese e la sopravvivenza solo di
quelle meglio attrezzate, tra cui può citarsi Amazon.
33
Stimolanti al proposito, benché scopertamente orientate, le osservazioni di G. DI PLINIO, Nuove mappe del caos.
Lo stato e la costituzione economica della crisi globale, in G. CERRINA FERONI e G. F. FERRARI, Crisi economicafinanziaria e intervento dello Stato, Torino, 2012, 98 ss.
34
Da qui, estremizzando, anche la logica della cd. “macdonaldizzazione”, vale a dire la crescente espropriazione di
attività, capacità e relazioni umane al posto delle quali sono introdotti strumenti tecnologici sofisticati per garantire
efficienza, calcolabilità, prevedibilità e controllo del servizio, ossia, secondo gli osservatori più attenti, i quattro principi
sottostanti a detta logica, individuandosi nella “cultura di consumo” l’ultima espressione del “processo di
razionalizzazione” iniziato agli albori della modernità già magistralmente individuato da Weber.
35
Tra le ONG più attive rilevano quelle a vocazione ambientalista come Greepeace, WWF e Conservation
International, la cui attività di vigilanza è particolarmente mirata sulle multinazionali. Tra le più interessanti, si segnala
il Center for Constitutional Rights, con sede a Washington, che ha già intentato davanti alle giurisdizioni statunitensi
diverse azioni contro alcune imprese americane ed europee in dipendenza della violazione dei diritti salariali da parte
delle loro consociate asiatiche oppure contro il governo americano a causa del ruolo avuto dagli Stati Uniti nell’attacco
israeliano ad un convoglio umanitario diretto a Gaza il 31 maggio 2010 o nella morte di Adnan Latif a Guantanamano
l’8 settembre 2012. Più in generale, si segnala (cfr. G. BRETON-LE GOFF, Le rôle des ONG dans la mondialisation de la
justice
(http://www.gip-recherche-justice.fr/spip.php?page=imprimer&id_article=200)
il
contributo
alla
globalizzazione della giustizia dato dalle organizzazioni non governative, non solo partecipando alla stesura di
numerose convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti umani, ma anche favorendone la loro
applicazione giudiziaria, spesso rappresentando le parti lese con i loro avvocati: del resto, le ONG hanno visto
riconoscersi, sin dal 1980, la possibilità di intervenire come amicus curiae dalla CEDU e dalla Corte interamericana dei
diritti umani. Ciò è andato nel senso di favorire uno sviluppo coerente e universalizzante della relativa giurisprudenza.
11
dinamiche in questione la soluzione di problemi ritenuti, per i più vari motivi, irrisolvibili al livello
nazionale.
Anche se interessa, qui, soprattutto, la cd. governance tecnologica, quale manifestazione più
specifica della governance globale, non sembra del tutto inutile svolgere alcune considerazioni di
carattere generale, anche per cercare di distinguere con maggior nitidezza, dagli effetti appena
indicati, quelli già determinatisi sul piano tecnologico alla luce del più collaudato diritto
internazionale.
Ora, in estrema sintesi, la governance globale viene imputata dalle analisi più approfondite alla
sopravvenuta inadeguatezza degli Stati, causata specialmente da un sovraccarico di compiti, sicché
strumenti e istituzioni tradizionali non sarebbero più in grado di raccogliere e trattare con le parti
vitali dell’economia, della tecnologia e della scienza.
La governance globale, sostenuta da una sociologia che considera la politica come “un universo
artificiale dove i governanti comandano ai governati”, ma in cui non v’è “padronanza delle cose”,
tenderebbe, dunque, ad estromettere la politica in nome di necessità reputate obiettive. Per altro
verso, la politica viene respinta in quanto considerata oppressiva e fomentatrice di discordie,
laddove, invece, tutti i soggetti dovrebbero essere collocati sullo stesso piano in una dimensione
puramente orizzontale.
Venendo, poi, alla governance tecnologica, sarebbero proprio le società dominate da tecnologie
complesse e da altre forme di conoscenza specialistica ad avere una specifica propensione verso
moduli di processo decisionale diversi da quelli giuridici e politici. L’idea sarebbe, dunque,
fondamentalmente che “le istituzioni politiche spesso sembrano come impotenti di fronte al nuovo
ed esteso ruolo della scienza nelle scelte che interessano la società”, e che “la gestione degli affari
pubblici passa, in un modo o nell’altro, attraverso le conoscenze scientifiche, mentre il potere
dipende così strettamente dalle attività e dalle risorse scientifiche che non v’è più alcuna politica
possibile sia sul piano interno, sia su quello esterno senza ricorrere ai metodi, ai mezzi, ai risultati e
persino alle promesse della ricerca scientifica”36.
Per converso, tuttavia, restano, per solito, eluse, nell’ambito di qualsiasi tipo di governance, le
obiezioni ad un efficientismo recalcitrante nei riguardi dei più collaudati aspetti del
costituzionalismo, imperniate sulla mancanza di trasparenza degli obiettivi, sulla carenza di
rappresentatività decidente37, sul conseguente rischio di derive tecnocratiche e sulla latitanza di
forme di responsabilità e di controllo.
36
J.-J. SALOMON, Le destin technologique, Paris, 1992, 70
Accanto a questa problematica, si registra quella, non meno gravida di conseguenze per il costituzionalismo
tradizionale, della fuga verso la dimensione privata, interpretata da alcuni come la risposta alla degradazione della
posizione dello Stato nei confronti della globalizzazione, ritenendosi, ad esempio, che elezioni centrate sull’apparato
dello Stato non costituiscono più da sole una buona espressione della cittadinanza e della democrazia. Così, mentre la
37
12
A quest’ultimo proposito, sembra che possa esser lasciata in disparte quella particolare
governance con cui si designa un complesso di fattori che concorrono alla formazione di regole che
obbligano Stati politicamente indipendenti, ma, in realtà, tra loro dipendenti ed interconnessi sotto
svariati profili38. La sua limitata comparabilità con la governance (globalizzata) risulta, infatti,
proprio dall’approccio al problema di fondo, ossia quello della legittimazione e della responsabilità
dei rispettivi agenti: per cui, se, in un caso (governance, per così, istituzionale), pur a fronte di
problematiche di grande spessore (ne è un esempio vistoso il cd. deficit democratico degli organi
d’indirizzo dell’Unione europea), non pare scorretto ragionare di istituzioni almeno per vocazione
responsabili39, nell’altro caso, pratiche innovative di reti e forme orizzontali di interazione e,
soprattutto, il definitivo abbandono della coerenza tipica del modello vestfaliano tra territorialità e
funzionalità sembrano collocare il tema completamente fuori quadro.
Non è, in ogni caso, irrilevante per il nostro tema il fatto che, già nell’ambito della governance
istituzionale, si colga l’attitudine degli Stati a dare vita a regolazioni comuni, e, già a partire da
epoca risalente, ad organismi internazionali specializzati nel campo tecnologico40. In quest’ottica,
risulta di primario interesse la competenza riconosciuta a taluni di questi organismi a dettare regole
di carattere tecnico per l’uniformizzazione41 (o, più esattamente, la “normalizzazione”). Laddove il
volontario assoggettamento degli Stati a tali regole appare motivato soprattutto dal desiderio di non
rimanere esclusi dalla circolazione di merci, capitali, persone e servizi, prodotta da un libero
mercato.
Il fenomeno costituisce, dunque, uno degli esempi più datati di condizionamento ab extra delle
politiche e delle normative interne degli Stati attribuibile alla tecnologia globalizzata. Tali regole,
che ritroviamo nei più diversi settori tecnologici (quali trasporti, mezzi comunicativi, apparecchi
elettrici, dispositivi medici, ecc.) rappresentano, si potrebbe dire, il prodotto congiunto del “potere”
regolazione in taluni campi vira in modo impressionante verso la privatizzazione, alla governance contribuiscono in
maniera apparentemente determinante agenzie di autoregolazione del settore privato o soggetti privati come le agenzie
di rating.
38
In proposito, vale la distinzione già chiarita in M.L. SALVADORI, Stati e democrazia nell’era della
globalizzazione, in il Mulino, 1996, 439 ss.
39
Non potrebbe, infatti, negarsi la possibilità di un’attenuazione del deficit democratico, a livello statale, almeno per
quanto riguarda la responsabilità politica degli apparati nazionali, normalmente gli esecutivi, che hanno concorso alla
costituzione delle istituzioni internazionali in questione e concorrono al loro funzionamento, così come, questa volta a
livello globale, la specificazione e la trasparenza della missione ed essi affidati potrebbero consentire il controllo e la
critica, sol, però, che, sotto il primo profilo, il meccanismo della responsabilità politica non fosse ormai generalmente
inefficace negli stessi ordinamenti interni, e, sotto il secondo, si fosse già sviluppata un’efficace opinione pubblica
internazionale.
40
Per qualche esempio, basti ricordare, anche per le più vistose ricadute sulla capacità di manovra degli Stati nei
settori di pertinenza, l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni già Unione Internazionale della Telegrafia,
istituita a Parigi nel 1865, e dal 1947 agenzia specializzata delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra; o l’Organizzazione
Europea per la Ricerca Nucleare, Altrimenti conosciuta con l’acronimo CERN ed istituita dalla Convenzione di Parigi
del 1° luglio 1953. A tali appuntamenti, non è mancata nemmeno l’Unione Europea che, a partire dal marzo 2000, ha
costituito lo Spazio europeo della ricerca, una sorta di mercato comune per la ricerca e l’innovazione.
41
Ricordiamo a livello internazionale l’ISO, od europeo il CEN.
13
e del “sapere”, che vi concorrono, in base ad una differente legittimazione: il primo, per la forza
politica dei corrispondenti ordinamenti giuridici, e, il secondo, allegando l’obiettività e la neutralità
scientifica dei suoi risultati42.
Ci si trova, tuttavia, ancora nell’ambito di una logica di tipo classico, dove gli Stati conservano la
loro posizione di “signori dei trattati” e dove, per solito, sono le stesse norme interne a fare esplicito
riferimento alle regole in questione, che, per questa via, acquistano forza obbligatoria tanto da
divenire applicabili anche da parte dei giudici nazionali43.
5. Blackberry vs. servizi segreti. – Benché, come s’è cercato di suggerire in precedenza, quella
digitale non sia la sola tecnologia di livello globale con cui l’assetto tradizionale degli ordinamenti
giuridici (nazionali e internazionale) si trovi a fare i conti, questo fattore tecnologico, anche per
l’attenzione ad esso riservata, sotto i più svariati profili, dalle scienze sociali, giuspubblicistiche
incluse, appare di decisivo rilievo. Se, del resto, la globalizzazione nel suo complesso è il risultato
della globalizzazione finanziaria, imprenditoriale, logistica e comunicativa, è, particolarmente, a
quest’ultima che si deve la riduzione significativa del costo del trasporto delle informazioni di ogni
tipo, la possibilità di servizi a distanza, l’orientamento planetario della produzione industriale e la
fluidità degli spostamenti di capitali.
Certo, anche e assai prima sul piano interno, la digitalizzazione del segnale ha fatto sentire i suoi
effetti, rivoluzionando paradigmi economici, imponendo stili di vita e influenzando la stessa
relazione tra pubblico e privato. Laddove, anche sul piano istituzionale e politico, le ricadute sono
palpabili nella dislocazione del dibattito, nell’incremento del senso partecipativo e, in genere,
nell’emergere di un’identità digitale quale fondamento di un nuovo tipo di cittadinanza44.
42
Il tema della scienza (e della tecnologia) come fonte autonoma di legittimazione delle decisioni è certamente
complesso, ma probabilmente ineludibile anche in un contesto democratico proprio forse a fronte della necessità
(talvolta vitale) di disporre di soluzioni “valide” di per sé e non “semplicemente” frutto di negoziazione politica. In tal
senso, a ben vedere, è andata la crescita del ruolo delle varie autorità indipendenti nelle diverse esperienze
costituzionali, mentre sul piano internazionale il fenomeno si sarebbe prodotto, almeno in partenza, per un
atteggiamento degli Stati stessi, per così dire, “neofunzionalista”, che rinverrebbe il fondamento della cooperazione
internazionale nell’affidamento del compito di risoluzione di determinati problemi a specialisti in grado di operare in
maniera depoliticizzata e omologati da una medesima prospettiva epistemica: sul punto, cfr. S. PICCIOTTO,
Constitutionnaliser la gouvernance a niveaux multiples? in H. RUIZ FRABRI e M. ROSENFELD (curr.), Repenser le
constitutionnalisme à l’âge de la mondialisation et de la privatisation, Paris, 2011, 147 ss.
43
Si tratta, del resto, di un fenomeno visibile anche all’interno dell’ordinamento, che, com’è noto, ha indotto la
Corte costituzionale, anche di recente (sentt. n. 254 del 2010 e 201 del 2012), ad evidenziare il carattere di limite delle
norme tecniche per la legislazione regionale, in quanto poste allo scopo di garantire “una disciplina unitaria a tutela
dell’incolumità pubblica, mirando a garantire, per ragioni di sussidiarietà e di adeguatezza, una normativa unica, valida
per tutto il territorio nazionale”.
44
Per quanto riguarda l’implementazione dei diritti di partecipazione politica attraverso la “Rete”, si consenta di
rinviare a P. COSTANZO, Quale partecipazione politica attraverso le nuove tecnologie comunicative in Italia, in Dir.
Informaz. Inf., 2011, 19 e ss.; sulla particolare questione dell’impiego delle nuove tecnologie per l’espressione del
suffragio, v. L. TRUCCO, Il voto elettronico nella prospettiva italiana e comparata, ibidem, 47 e ss.
14
In questa sede, tuttavia, anche questo scenario deve essere dato in qualche modo per scontato
risultando la “linea portante” del nostro discorso più di macrosistema che non di, pur rilevante,
dettaglio istituzionale. Per chiarire meglio questa prospettiva, appunto “globale”, dove la
tecnologia, come s’è già detto, sembra capace di mettere in fibrillazione gli Stati nazionali,
dovrebbe apparire abbastanza significativa la vicenda accaduta nella Repubblica indiana, dove il
governo ha richiesto agli operatori telefonici l’accesso ai dati criptati di BlackBerry in relazione ai
servizi di messaggeria istantanea e di messaggistica ordinaria, minacciando, altrimenti, il blocco
anche dei servizi di Google e di Skype. A sostegno di una simile richiesta è stato prospettato il
rischio che la strumentazione elettronica potesse essere utilizzata a fini terroristici, innestandosi del
tutto prevedibilmente una delicata querelle con il fabbricante di BlackBerry45, il quale non ha
mancato di mettere subito in campo le esigenze di sicurezza dei diritti dei cittadini e degli interessi
delle imprese. Non si è trattato, peraltro, di una vicenda isolata: a parte, infatti, la circostanza per cui
il BlackBerry sarebbe assai popolare tra i giovani inglesi poiché permetterebbe di comunicare
sfuggendo ai controlli della polizia, la stessa questione postasi in India ha interessato anche altri
Paesi46, i cui servizi informativi si sono protestati impediti dal popolare smartphone nell’azione di
prevenzione di possibili azioni criminali (a quanto pare, però, la ragione di fondo consisterebbe
nella difficoltà di far valere la censura nei confronti di siti proibiti47).
La complessiva vicenda, che, a quanto risulta, è ancora sostanzialmente in fase di stallo,
suggerisce almeno due riflessioni sull’attuale assetto dei rapporti tra Rete globale e Stati nazionali.
La prima concerne l’atteggiamento di taluni governi, rassegnati forse a non vincere la guerra contro
la tecnologia di rete, ma intenzionati ad imporsi almeno nella battaglia contro i terminali 48; la
seconda riguarda il confronto praticamente diretto che va instaurandosi tra autorità politiche statali
ed operatori telecomunicativi globali. Non manca, poi, qualche episodio di perfetta surrogazione di
questi ultimi nei confronti degli Stati: è stato il caso recente del video antislamico pubblicato sul
sito di YouTube,49 la cui rimozione nelle aree musulmane è stata disposta direttamente da Google di
45
Ossia la canadese Research in Motion (RIM).
Ossia, a quanto risulta, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, l’Algeria e il Libano.
47
Nonché, con riferimento ai paesi arabi, di impedire le relazioni tra i due sessi, ivi severamente vietate.
48
Non sembri fuori luogo accennare qui anche al fatto che Reporter Senza Frontiere pubblica annualmente la lista
degli Stati “nemici” di internet, cioè di quegli ordinamenti che reprimono o limitano gravemente la libertà di
espressione sulla rete. Nel 2012, tale lista comprende Bahrain, Bielorussia, Birmania, Cina, Cuba, Iran, Corea del nord,
Arabia Saudita, Siria, Turkmenistan, Uzbekistan, e Vietnam, mentre una seconda lista reca gli Stati “messi sotto
sorveglianza” quali Australia, Egitto, Eritrea, Francia, India, Kazakhistan, Malesia, Russia, Corea del sud, Sri Lanka,
Tailandia, Tunisia, Turchia ed Emirati Arabi. In questo contesto, in Italia sembra per il momento tenere il (vasto) fronte
antiregolamentazione implicante i rischi di interventi indiscriminati, anche se non mancano attacchi tesi a criminalizzare
e a discreditare la Rete attuati anche da pulpiti televisivi (esemplare, se così si può dire, la trasmissione “Porta a porta”
del 21 febbraio 2008 (notizie in http://guidotripaldi.typepad.com/imho/2008/02/index.html).
49
Si è trattato, com’è noto, della pubblicazione (per vero, già il 12 luglio 2011) del trailer di un film intitolato
“L’innocenza dei musulmani”, in cui il Profeta è mostrato con toni caricaturali.
46
15
fronte al rifiuto di rimuoverlo completamente, ritenuto non giuridicamente superabile dalle autorità
americane.
Sulle caratteristiche di internet è stato ormai versato il classico fiume d’inchiostro e non mette
conto di soffermarcisi ancora, se non per il fatto che, a differenza dei precedenti media (di cui
possiede tutte le potenzialità), la Rete, in virtù della tecnica di commutazione di pacchetto, ha
intrinsecamente portata globale, risultando, pertanto, difficile imporre controlli alle frontiere fisiche.
Ma, la straordinaria affermazione della Rete (che dal 2001 al 2011 è passata da 360 milioni a due
miliardi di utenti) si deve anche ad altri fattori, quali le basse barriere di tipo economico50, nonché
la capacità di veicolare il messaggio in maniera rapida ed efficace grazie semplicemente
all’immagine, senza, cioè, che sia necessario conoscere la lingua per apprendere cosa accade al di là
delle proprie frontiere. Si noti, infine, come internet non rinvii ad alcuna struttura societaria o
amministrativa con la quale doversi rapportare; e nemmeno esiste un presidente o un consiglio di
amministrazione. Internet è semplicemente un mezzo per comunicare.
Questa caratteristica di costante apertura di internet, così come la sua struttura fondamentalmente
decentrata, indeboliscono la capacità di regolazione e di controllo da parte delle autorità pubbliche,
giustificando che si ragioni, anzi, di una “porosità” dello Stato in relazione all’evolversi dei mezzi
comunicativi. Mentre, infatti, nei confronti della stampa, era (e resta) possibile bloccare l’ingresso
delle pubblicazioni alle frontiere, e con riguardo alla radiotelevisione attuare azioni di disturbo del
segnale51, già al satellite possono opporsi ostacoli assai meno efficaci52 (pur se occorre ricordare
come il mezzo risulti fortemente esposto ai condizionamenti dello specifico mercato e delle
relazioni internazionali). Con internet, poi, i mezzi repressivi si rivelano assai blandi (o, comunque,
idonei a filtrare solo le informazioni in entrata e mai del tutto invulnerabile ai “cyberattacchi”),
quando non addirittura controindicati, sia perché, per le ragioni già dette, si tratta di una tecnologia
difficile da contenere; sia perché il mantenimento esasperato del controllo potrebbe condurre ad una
poco desiderabile emarginazione politica ed economica in tempi di globalizzazione; sia, infine,
perché, qui come altrove, il ricorso a forme censorie finirebbe per contraddire gravemente principi
cardine del costituzionalismo.
6. Internet tra governance globale (sotto tutela americana) e regolamentazione internazionale. –
Per vero, effetti simili a quelli prodotti dalla Rete si erano già registrati, sia pure su scala minore,
con la tecnologia telegrafica, telefonica e radiotelevisiva; la Rete, tuttavia, a differenza delle
50
Si noti come analoghe considerazioni potrebbero farsi anche per diventare internet access provider, per cui non
sussistono gli stessi ostacoli (anche normativi) che s’incontrano per installare un’emittente radio, diventare editore o
fornire un servizio telefonico.
51
Anche la televisione via cavo incontra il limite determinato dalle sue infrastrutture fisiche che possono facilmente
essere interrotte alle frontiere.
52
Come, ad es., la proibizione di detenere apparecchi riceventi.
16
precedenti tecnologie comunicative, s’è mostrata per lungo tempo refrattaria, anche per le
caratteristiche ridette, ad una regolamentazione internazionale, tanto che può osservarsi come solo
di recente il relativo problema sia divenuto oggetto di un serrato confronto, i cui protagonisti sono,
da un parte, gli Stati Uniti, e, dall’altra, il resto del mondo. Anche se, infatti, per gli Stati Uniti, la
questione sarebbe già soddisfacentemente sistemata attraverso l’azione direttiva e coordinatrice di
ICANN53, operante, peraltro, in base al diritto della California 54, per gli altri componenti della
comunità mondiale, occorrerebbe, invece, mettere in campo (o utilizzare uno dei già esistenti)
organismi di regolazione e controllo sorretti dal diritto internazionale55.
Tale confronto potrebbe, tra l’altro, registrare un picco altissimo in occasione della Conferenza
mondiale sulle telecomunicazioni convocata nel prossimo dicembre a Dubai dall’Unione
Internazionale delle Telecomunicazioni. In quella sede, infatti, l’argomento principale di
discussione (e di presumibile scontro) sarà, appunto, costituito dalla disciplina di internet (e dal
conseguente possibile aggiornamento delle International Telecommunications Regulations)56.
Un’anticipazione di questo scenario può senz’altro essere considerata il Rapporto della Presidenza
delle Nazioni Unite sull’impiego di internet a fini di terrorismo del 23 ottobre scorso: in tale
documento si legge, tra l’altro, che le normative statali (in materia di privacy) sarebbero tali da
ostacolare la condivisione di dati utili alle polizie e ai servizi segreti sia a livello nazionale, sia
internazionale. Inutile dire che il rapporto ha scatenato le più vive opposizioni, tra cui quella
dell’Associazione europea dei diritti digitali (EDRi), che ne ha, in particolare, sottolineato la
contraddittorietà con l’art. 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.
Quanto all’“americanità” della Rete, essa non può, purtroppo, costituire argomento di
approfondimento in questa sede (così come il fatto che gli elaboratori “parlino” in inglese,
contribuendo, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, a globalizzare tale idioma): è indubitabile,
tuttavia, che, in buona sostanza, internet abbia riconfigurato la carta geografica del mondo,
53
Acronimo, com’è noto, di Internet Corporation for Assigned Names and Numbers.
Su tale organizzazione, cfr., distesamente, S. CASSESE, Il diritto globale, Torino, 2009, 63 ss.
55
Sul fronte delle iniziative internazionali tese a restituire un ruolo pregnante agli Stati nella regolazione di internet,
vanno segnalate, per la loro autorevolezza, almeno il Comunicato dell’OCSE del 28/29 giugno 2011 “on principles for
internet policy-making oecd high level meeting on the internet economy” (http://www.oecd.org/internet/innovation/)
tuttavia prontamente respinto da una coalizione di “global civil society groups” capeggiata da Electronic Frontier
Foundation, ossia l’organizzazione, da sempre, in prima fila per la tutela dei diritti digitali e della libertà di espressione
in internet; nonché la dichiarazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sui principi della gouvernance
d’internet, adottata il 21 settembre 2011. Al proposito, non sono mancate nemmeno le iniziative multilaterali come
quella, portata avanti il 15 settembre 2011, nell’ambito della 66° sessione dell’Assemblea generale dell’ONU,
d’introduzione di un codice di condotta d’internet, da parte del cd. gruppo di Shangai (Cina, Russia, Uzbekistan e
Tagikistan), da non ascriversi, peraltro, tra gli Stati “teneri” con la Rete; o, ancora, da Sudafrica, India, e Brasile per
l’istituzione di una nuova Commissione ONU per la politica in materia d’internet (CIRP).
56
ITR, risalenti ormai al 1988: cfr., utilmente, in http://www.itu.int/ITU-T/itr/files/ITR-e.doc. Per un commento alle proposte di
modifica degli ITRs oggetto di negoziato alla Conferenza di Dubai, cfr. E. ALBANESI, Verso una regolamentazione
internazionale dei contenuti di Internet? Le democrazie costituzionali alla prova delle proposte di modifica degli ITRs
(WCIT-12) (in preparazione).
54
17
collocando gli Stati Uniti al centro (ma ciò, si badi, vale, anche per le trasmissioni televisive). Tale
circostanza non deve sorprendere, soprattutto se si colloca internet nell’ambito della tecnologia
dotata di rilevanti ricadute sulla sicurezza e sulla difesa militare: così che, nell’ambito della cd. pax
americana, il cyberspazio è andato a raggiungere, per importanza strategica, lo spazio vero e
proprio, l’atmosfera ed il mare. In tutti questi possibili scenari bellici, la preoccupazione degli Stati
Uniti è, infatti, quella di monopolizzare la posizione eminente, maggiormente idonea al controllo
dall’alto. Per la Rete, questa posizione è data dal controllo dei “domini” pubblici mondiali, dei
server “radice” e dell’architettura di Rete, nonché delle grandi dorsali fisiche sottomarine, alla cui
vigilanza concorre efficacemente il sistema di sorveglianza Echelon. Per dimostrare, tuttavia, come
internet sia difficilmente controllabile nella sua totalità, basti ricordare la vicenda del giornalista
australiano Julian Assange, su cui si dovrà ancora ritornare: vicenda che non solo ha oscurato
l’immagine del Presidente “digitale” Obama a causa delle sue propensioni censorie, ma anche
quella degli Stati Uniti come controllore assoluto della Rete stessa.
È necessario, peraltro, ritornare in fretta sulla linea principale del discorso che, per quanto detto,
ci impone di guardare ad internet come paradigma della globalizzazione tecnologica: può ben,
dunque, convenirsi sul fatto che, nonostante la tutela americana, si sia in presenza di un esempio
strepitoso di governance tecnologica, con una significativa emarginazione dei livelli istituzionali
tradizionali (tanto da condurre a ritenere il diritto nazionale come “virtualmente inutile” e lo stesso
diritto internazionale “inconcludente”57).
7. Verso una coscienza costituzionalistica globale (il ruolo della Rete). – Non v’è bisogno di
ampie dimostrazioni per affermare che il cyberspazio risulta assai congeniale, nella logica del
costituzionalismo, alla metabolizzazione di nuove idee, agevolando, inoltre, l’informazione, la
discussione e la critica su tutto quanto concerne i pubblici poteri. In altri termini, internet
sembrerebbe prestarsi assai bene all’esercizio delle funzioni che secondo Rosanvallon danno corpo
alla cd. “contro-democrazia”, vale a dire: il vigilare, l’impedire e il giudicare58. Ma la medesima
rivoluzione informativa permette di oltrepassare i confini nazionali per segnalare le violazioni
commesse contro i diritti umani e le libertà fondamentali nel proprio Paese.
57
Così A. HAMANN e H. RUIZ FRABRI, Réseaux transnationaux et constitutionnalisme, in H. RUIZ FRABRI e M.
ROSENFELD (curr.), Repenser le constitutionnalisme, cit., 184 s.
58
Per P. ROSANVALLON, La contre démocratie :la politiqué à l’âge de la méfiance, Paris, 2006, dal momento che il
solo momento elettorale non esaurisce il senso dell’ideale democratico, debbono svilupparsi, se non istituzionalizzarsi,
pratiche di diffidenza democratica come espressione della sovranità popolare da denominarsi, appunto controdemocrazia. Tale contro-democrazia, diversamente dal classico controllo sul potere della maggioranza, assolverebbe
piuttosto all’esigenza democratica di un controllo diretto dei cittadini sull’impegno delle autorità pubbliche a favore del
bene comune.
18
Si tratta di un fenomeno verificatosi non da oggi: si concorda, ad esempio, sul fatto che senza le
immagini televisive delle vittime in Vietnam, il corso della guerra sarebbe potuto essere diverso; o
che le riprese degli eventi degli ultimi giorni dell’Unione Sovietica ne abbiano condizionato il
destino59; o, ancora, che sia stata la trasmissione da parte della CNN delle violenze in piazza
Tienanmen a scatenare una reazione mondiale che altrimenti non si sarebbe prodotta.
Venendo più specificamente ad internet, è anche noto come sia stato grazie a Twitter che ci
siamo immersi emotivamente nei movimenti di opposizione iraniani nel 2009 o in quello tunisino
iniziato il 17 dicembre 2010 con la morte di Mohamed Bouazizi60. È per mezzo di Facebook che
abbiamo partecipato idealmente alla manifestazione di protesta in Colombia nel febbraio 2008
contro le FARC; ed è in virtù dell’informazione di Rete che è stata possibile la marcia virtuale su
Washington del 26 febbraio 200361, così come, più concretamente, è stato possibile radunare
simultaneamente, in 600 città del mondo, 10 milioni di persone per manifestare contro la guerra in
Iraq, il 15 febbraio 2003, od indire, il 27 settembre 2007, il primo sciopero virtuale cui hanno
aderito persone di 30 paesi, le quali hanno presidiato le “isole IBM” su Second Life per 12 ore62.
La Rete milita, peraltro, anche contro le censure di ogni tipo: può citarsi il disastro ferroviario di
Wenzhou del 28 luglio 2011, minimizzato dalle autorità cinesi, ma svelato nella sua piena gravità
grazie a centinaia di migliaia di blogs (con tale esperienza, anzi, si è accresciuto il ruolo di Weibo,
ossia il Twitter cinese, che conta attualmente circa 500 milioni di utenti63). Anche la campagna di
denuncia contro la corruzione condotta dall’avvocato russo Alexey Navalny si è grandemente
avvantaggiata del ricorso a Twitter, mentre, in generale, nella stessa Russia, la Rete svolge un ruolo
59
Durante il colpo di stato del 1991, a Mosca, benché la radio fosse nelle mani dei golpisti, Eltsin riuscì a far sentire
il suo pensiero attraverso un comizio ripreso e trasmesso via satellite dalla CNN (l’episodio è citato da U. BECK, Che
cos’è la globalizzazione, cit., p. 35).
60
Sul ruolo dei social network nelle rivoluzioni arabe, cfr. CE.S.I. (CENTRO STUDI INTERNAZIONALI) OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE, Il ruolo dei Social Network nelle Rivolte Arabe, settembre 2011, in
http://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/affariinternazionali/osservatorio/a
pprofondimenti/PI0040App.pdf, nonché G. LOCCATELLI, Twitter e le rivoluzioni. La primavera araba dei social
network: nulla sarà più come prima, Roma, 2012.
61
Organizzata dal sito MoveOn.
62
I risultati di questa innovativa forma di protesta hanno dato avvio al progetto denominato Sindacato 2.0, un
movimento internazionale e trasversale che propone un rinnovamento democratico dal basso del sindacato attraverso un
utilizzo partecipato delle nuove tecnologie di comunicazione Web 2.0/3D per fini sindacali.
63
Lo sviluppo della Rete in Cina ha assunto connotazioni tanto interessanti quanto originali come si apprende
dall’intervista
rilasciata
il
22
marzo
2011
a
l’Unità
(edizione
telematica:
http://appunticinesi.comunita.unita.it/2011/03/22/lavoratori-cinesi-2-0/ ) da JACK LINCHUAN QIU autore di WorkingClass Network Society, dove si illustra come la Rete sia pervenuta ad integrarsi strettamente anche con il lavoro
quotidiano e la vita di comunità a basso reddito, con conseguenze sociali di grande rilievo. In effetti, la tesi del libro è
che la “working-class network society” sia un’integrazione dell’idea originale di “network society” elaborata da Manuel
Castells, nel tentativo di concettualizzare il “network” come una nuova via al di là del conflitto istituzionalizzato tra
capitalismo e comunismo, con l’aggiunta all’idea di Castells del network State della componente del “network labour”.
19
di opposizione assai importante, tanto da indurre le autorità a praticare nei suoi confronti ogni
genere di controllo64, facendo classificare la Russia tra i “nemici di internet”.
Appartiene a questo stesso scenario la cd. rivoluzione Wikileaks (dal nome della vicenda
telematica globale, che ha reso il già evocato Julian Assange, una sorta di Salman Rushdie
dell’Occidente). A stare ad una certa ricostruzione giornalistica65, le rivelazioni di tale
organizzazione, sostenuta dall’hacktivism internazionale di Anonymous, avrebbero addirittura
contribuito ad alimentare con successo le sommosse tunisine. Proprio con Anonymous, poi, si è
sicuramente in presenza di un’organizzazione globale militante in modo non riconoscibile
(utilizzando la maschera del cospiratore inglese Guido Falxius) a favore della libertà di
manifestazione di pensiero sia nel cyberspazio, sia nel mondo reale.
Ora che tali fenomeni pervengano a dare corpo ad un serio movimento di resistenza globale è
difficile a dirsi, così come, al contrario, sarebbe insensato ignorare del tutto il precitato hacktivism
che, pur tra discordie e rivalità interne e nonostante la guerra senza quartiere condotta da “eserciti
informatici” e dalle polizie di tutto il mondo, ha segnato punti a suo favore. Quel che sembra
indiscutibile è che gli Stati sono ormai costretti a confrontarsi con simili entità, le quali, operando
nel cyberspazio, ne minano la posizione di dominio e di controllo66.
Per tornare alle relazioni tra tecnologia numerica e costituzionalismo, paiono anche
incontestabili sia l’irrobustimento prodottosi a vantaggio di determinati diritti nel campo politico,
civile ed economico (destinato ad accrescersi con il diffondersi della banda larga), sia la tendenza a
globalizzarne l’esercizio, così che, come è stato osservato, con internet ha sempre meno senso
pensare al “mercato delle idee” come ad un territorio giuridicamente concluso: il processo di
autorealizzazione ed il perseguimento delle proprie convinzioni, infatti, sempre più spesso,
coinvolgono collegamenti transfrontalieri e attività che si dispiegano all’estero, mentre l’efficacia
dell’attività di controllo sui propri governanti dipende sovente da informazioni e documentazione
disponibili oltre confine, giustificando persino che negli Stati Uniti si persegua una concezione del
Primo Emendamento di tipo cosmopolita67.
64
Tra cui il progetto di legge (Project2) passato, il 10 luglio 2012, in seconda lettura alla Duma. Per protesta la
pagina russa del sito Wikipedia ha chiuso, pubblicando una richiesta di sostegno analogamente a quanto accaduto il 12
gennaio 2012 contro la legge sulla pirateria online americana.
65
Proposta da Foreign Policy (http://www.foreignpolicy.com/)
66
Di qui la necessità, ormai, dell’adozione di adeguate contromisure e, persino, dell’istituzione di agenzie di difesa
informatica (anche nel quadro, in realtà, del controllo internazionale della Rete, che, dopo la fine della guerra fredda, s’è
rapidamente proposta come nuova area di conflitti e fomite d’insicurezza e di minacce, inducendo gli analisti a
ragionare di “cyberguerra”).
67
Laddove si potrebbe addirittura estendere tale concezione a qualsiasi attività espressiva che concorra a costruire
una cultura democratica. Il Primo Emendamento dovrebbe dunque coprire il diritto di andare all’estero a cercare
informazioni: ciò che in certo modo si realizza con internet: in tal senso, T. ZICK, The First Amendment in transborder
perspective; toward a more cosmopolitan orientation, in Boston College Law Review, May 2011, 941.
20
Comunque sia, resta vero come internet abbia fondamentalmente intaccato il sostanziale
monopolio delle tradizionali fonti d’informazione68, e ciò in senso bidirezionale, potendo il grande
pubblico raccogliere direttamente le informazioni, e i produttori di queste (protagonisti della
politica e dell’economia, formazioni sociali e tutti i portatori di interessi anche debolmente
rappresentati) comunicare direttamente col pubblico medesimo69.
La Rete, insomma, si sta rivelando in grado di generare una coscienza costituzionalistica
globale70, animata dai media internazionali e dai social networks quali strutture critiche di una sfera
pubblica sovranazionale, con effetti di “apertura” su contesti sociali bloccati, e, persino, di
catalizzazione di rivoluzioni culturali e politiche71. Il diritto internazionale, ma anche il diritto
costituzionale, devono ormai confrontarsi (per usare un’espressione cara all’ex vicepresidente
americano Al Gore), con la “wiki-democrazia”72.
8. Le reti informative e la riconfigurazione dello Stato nazionale (i cittadini nella società 2.073).
– È difficile, per vero, immaginare che quanto finora rilevato possa condurre, a termine, addirittura
all’estinzione dello Stato, già preannunciata dalla teoria marxista, ma sostenuta adesso
paradossalmente dai suoi oppositori, a beneficio dell’instaurazione, in sua vece, di un “villaggio
globale” 74 retto da un nuovo ordine mondiale75.
68
È indubbio che la Rete abbia fatto cessare il monopolio dell’informazione da parte dei professionisti del settore.
L’effetto di disintermediazione di internet è, in realtà, più generale. Altre catene intermediarie sono, infatti,
corrose incisivamente dalla Rete, quali quelle collegate all’associazionismo in partiti e sindacati, peraltro già in declino
come protagonisti della mediazione politica, o, ancora, quelle degli esperti legali ed economici, che, almeno in parte,
hanno perso il ruolo di dispensatori unici di informazioni di carattere tecnico. Ciò vale anche nel campo commerciale e
specie in quello del diritto d’autore. Per un quadro analitico del ruolo svolto da internet nella politica delle principali
democrazie cfr. C. VACCARI, La politica online, Bologna, 2012. Per un’analisi delle barriere che oggi si frappongono
alla piena “democratizzazione” della politica attraverso internet, con particolare attenzione alla realtà degli Stati Uniti,
cfr. M. HINDMAN, The Myth of Digital Democracy, Princeton, 2007.
70
Esprime invece dubbi sulla possibilità di individuare a livello globale una dimensione politica o pubblica A.
BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, cit., p. 172. Meno netto è S. RODOTÀ, Tecnopolitica, cit., p. VII, il
quale, riferendosi specificamente alla mobilitazione avvenuta su internet in vista del vertice di Seattle nel 1999,
sottolinea come «si poté cogliere il senso di quella preparazione, avvenuta nello spazio virtuale, solo quando persone
reali si ritrovarono in spazi reali, nelle strade e nelle piazze di quella città degli Stati Uniti».
71
Telos 7 febbraio 2011. Non si ignora ovviamente il drammatico rovescio della medaglia rappresentato dalla
possibilità di diffusione su scala planetaria di idee inneggianti alla violenza, di carattere negazionista o razzista, ecc., o
l’uso della rete da parte di associazioni criminali internazionali o per agevolare la commissione di reati.
72
Con la parola “wiki”, forgiata nel 1995 da Ward Cunningham, può designarsi, nel contempo, un concetto, un
particolare sito web ispirato, appunto, alla logica wiki, per cui chiunque può collaborarvi in modo rapido e amichevole,
o ancora un software adatto a fare questo tipo di operazioni.
73
Parte del titolo del paragrafo è suggerito da A. HAMANN e H. RUIZ FRABRI, Réseaux transnationaux et
constitutionnalisme, in H. RUIZ FRABRI e M. ROSENFELD (curr.), Repenser le constitutionnalisme, cit., 204.
74
Dal punto di vista digitale, peraltro, la metafora risulta indubbiata dal cd. digital divide, che significa che non tutti
i popoli fruiscono del medesimo accesso alla Rete: ad es., nel 2011, il 65% della popolazione mondiale (l’85% degli
africani), secondo i dati forniti dall’UIT erano privi di tale accesso. In precedenza, il problema era stato oggetto di
discussione dal primo Sommet mondial sur la Societé de l’information convocato dalla stessa UIT a Ginevra nel 2003.
Può, qui, forse, interessare apprendere che l’Italia, in base al cd. indice di sviluppo tecnologico della società
dell’informazione, si è collocata nel 2010 e nel 2011, al 29° posto, ma non scala neanche altre classifiche del settore,
anche se situa all’8° posto per quantità di introiti derivanti dal mercato telecomunicativo (cfr. UIT, Mesurer la société
de l’information, 2012, in http://www.itu.int/ITU-D/ict/publications/idi/material/2012/MIS2012-ExecSum-F.pdf).
69
21
Quel che è certo è che un qualche slabbramento degli Stati deve considerarsi già avvenuto, anche
se occorre considerare come i fenomeni di globalizzazione non tocchino tutti gli Stati alla stessa
maniera76. Quindi, piuttosto che di estinzione, sarebbe forse più esatto discorrere di una
ridefinizione della sovranità statale di fronte alla tecnologia globale di Rete, la quale, come s’è
detto, sembra ignorare il formante territoriale per strutturarsi in un mondo basato, invece, su reti,
domini e host. Tale ridefinizione passa, all’evidenza, per l’abbandono di una nozione hard di
sovranità (che vede lo Stato come fine e non come mezzo, coniugato, per solito, a regimi illiberali)
a favore di una nozione soft (che vede lo Stato come lo strumento per tutelare i diritti, secondo la
visione propria del costituzionalismo).
In ogni caso, poiché è la scala dimensionale delle questioni che assillano l’umanità a decidere
quali siano i livelli e le configurazioni politiche più adeguate in un certo momento storico, una delle
ridefinizioni maggiormente attrattiva è data dalla riproposizione a livello extrastatale, da parte di
Habermas, della sua nozione di sfera pubblica. Con particolare riferimento alla realtà europea, lo
studioso ha, infatti, preconizzato un assetto non più basato sull’esclusivo gioco di istituzioni
pubbliche statali tra loro indipendenti, ma aperto all’influenza congiunta di “processi
istituzionalizzati dell’opinione e della volontà” e di reti informali di comunicazione pubblica77 (del
pari visibile, in una simile prospettiva, l’aspirazione a dar vita a quella “società civile” europea
ancora in larga misura assente, epperò necessaria per giustificare decisive evoluzioni ulteriori
dell’integrazione politica sul vecchio Continente) 78.
Anche se, con l’allargamento del livello dimensionale, il discorso rischia di prendere un’allure
visionaria, non può nemmeno ignorarsi l’idea per cui la tecnologia numerica starebbe agevolando
non semplicemente l’evoluzione democratica nei vari ordinamenti, ma anche l’avvento di una sorta
75
Può non essere fuori luogo qui ricordare come la nascita dell’informatica sia stata accompagnata da una
riflessione visionaria circa l’avvento di una società senza Stato, autoregolata grazie alle tecnologie e caratterizzata da
una libertà piena di espressione (N. WIENER, Cybernetics or Control and Communication in the Animal and the
Machine, New York, 1948). Anche dopo la comparsa di internet con la fatidica Arpanet, non venne perduto il senso
dell’appartenenza ad una società di eguali e liberi nel manifestare il proprio pensiero, che può dirsi costituisce il DNA
della cultura stessa di internet ed alla base dello spirito libertario dei primi hackers e della stessa “Dichiarazione
d’indipendenza del cyberspazio” formulata da John. P. Barlowe nel 1996.
76
D’altro canto, con apparente paradosso, il cui numero delle entità statali non ha cessato di crescere e si è
incrementata la lunghezza complessiva delle frontiere fisiche, mentre non trascurabili sono le tendenze, provocate dalla
stessa globalizzazione, in certe realtà ordinamentali, a rinchiudersi in se stesse o a dare stura a populismi, localismi e
reazioni identitarie.
77
J. HABERMAS, Solidarietà tra estranei. Interventi su “Fatti e norme”, Milano, 1997, 144. Sarebbe, del resto,
proprio la democrazia parlamentare a richiedere “una strutturazione discorsiva di reti pubbliche e di arene in cui circuiti
anonimi di comunicazione sono distaccati dal livello concreto delle interazioni singole (secondo lo stesso Habermas, ivi,
203 s.).
78
Sul ruolo che l’Unione europea, quale componente della “triade” formata con gli Stati Uniti e l’Asia dell’est,
potrebbe esercitare nel bilanciare gli aspetti negativi della globalizzazione le opinioni sono controverse, andandosi da
chi vi vede un soggetto in grado di garantire, a livello mondiale, norme commerciali trasparenti ed eque, cercando di
mitigare gli aspetti negativi della globalizzazione e garantendo che i paesi in via di sviluppo traggano vantaggio
dall’apertura degli scambi commerciali, a chi, all’opposto, vi identifica “un cavallo di Troia” della stessa
globalizzazione e, comunque, un soggetto troppo conciliante nei confronti degli Stati più agguerriti.
22
di “cybercrazia” universale, quale stadio più avanzato della democrazia, favorito dal mutamento del
modo stesso di concepire il sistema, che si manifesterebbe come il risultato di ininterrotti processi di
riformulazione democratica a tutti i livelli aggregativi79.
Comunque la si veda, ogni soluzione sembra regolarmente implicare l’indebolimento dello
Stato-nazione e la perdita graduale, da parte sua, del controllo su un gran numero di decisioni,
poiché sarebbero ormai le “reti” a decidere, nel senso, che, in un ordine policentrico dove le
frontiere sono divenute permeabili, le tecnologie consentirebbero di superare lo Stato quale
epicentro unico di decisione. Con la differenza, però, che lo Stato, rispetto alle tradizionali
concertazioni internazionali, perverrebbe a cedere quote rilevanti della sua sovranità non più su base
consensuale, ma sotto la pressione di fattori esogeni sempre più irresistibili.
Mette, infine, conto di rilevare come questi fenomeni di globalizzazione sembrino non
“discriminare” nessuno, incidendo anche sulla capacità di determinazione dei “contropoteri” interni
allo Stato, quali, in primis, le associazioni sindacali e le formazioni politiche, mentre paiono
rafforzarsi entità internazionali non elettive, come i movimenti “antiglobalizzazione”, pure essi,
peraltro, globali, impegnati ad occupare gli spazi che le tradizionali forme di azione dei partiti e dei
sindacati stentano a riempire.
9. Autonomia assiologica del costituzionalismo e ruolo della tecnologia globale. – Nel quadro
descritto, occorre ora almeno succintamente interrogarsi circa la fisionomia di un costituzionalismo
riguardato, oggi, da una tecnologia di dimensioni globali.
Del resto, è una nozione comune che il costituzionalismo, anche a voler trascurare le specificità
delle sue originarie apparizioni, abbia nel tempo mutato volto, mantenendo, però, intatta la sua
vocazione di presidio dei diritti individuali. Per quanto riguarda l’oggi – è persino risibile
rammentarlo in una sede autorevole come questa – il costituzionalismo ha subìto l’aggiornamento
impresso dalla sovrapposizione del fattore democratico. Lo stesso catalogo liberale dei diritti è stato
riconfigurato dalle acquisizioni proprie dello Stato sociale, riconoscendosi (esemplarmente, nella
nostra Costituzione), come, alla base dell’effettiva fruizione dello status di eguaglianza e libertà, e
della possibilità del pieno sviluppo della persona umana, debba pregiudizialmente venire assicurata
l’emancipazione dal bisogno. In questo quadro, alla separazione dei poteri, che aveva già mostrato
la corda come meccanismo di garanzia a seguito della saldatura tra Esecutivo e Legislativo
verificatasi con il prevalere del parlamentarismo monista e l’affermarsi incontrastato della legge, si
sono affiancati, già nella prima metà del secolo trascorso, congegni di garanzia collocati fuori e al
79
Del termine, può mettersi anche in rilievo il significato oppositivo alla “burocrazia”, quale sinonimo di
inconcludente lentezza.
23
riparo dal circuito politico, sottoponendosi il sistema al più alto livello di legalità assicurato dalla
rigidità costituzionale.
Se è probabilmente lecito individuare in quest’ultimo approdo il punto più alto della parabola
dello Stato vestfaliano, lo stesso non sembra potersi dire per il costituzionalismo, nei cui riguardi,
anzi, lo stesso paradigma statale, già a partire dal secondo Dopoguerra, è parso mostrare, per così
dire, la corda (non solo, quindi, come realtà territoriale, ma come spazio ideale di un sistema di
potere). In questo senso, non solo le barriere statali starebbero diventando sempre più sottili così
che anche gli Stati più refrattari avrebbero sempre meno mezzi per opporsi alla circolazione del
costituzionalismo, ma soprattutto il progressivo arricchimento del catalogo dei diritti e delle tutele
in dipendenza dell’adesione a strumenti di salvaguardia internazionali80, come illustrato nella
relazione di Paolo Caretti, sembrerebbe preludere ad una riconfigurazione delle Costituzioni statali
solo come prima linea per la tutela di diritti, in attesa, se del caso, di trovare più sicuro conforto a
livello globale81.
Potrebbe, allora, forse incontrare consenso l’idea secondo la quale, se, come osservato in
precedenza, la globalizzazione reca in sé valenze “antisovrane”82, la stessa avversa diagnosi non
potrebbe operarsi nei confronti del costituzionalismo, tanto da dar adito a suggestive proposte come
quella della sostituzione del concetto di sovranità con quello di costituzionalismo tout court, o,
addirittura, dell’abolizione del concetto medesimo di sovranità, che sarebbe divenuto inutile
nell’ambito di un vagheggiato costituzionalismo globale83.
Ma è proprio in questo saliente (e forse decisivo) contributo al processo di “riscoperta” o di
“svelamento” dell’“autonomia assiologica” del costituzionalismo, che va visto (per rispondere
finalmente al quesito implicito nel titolo di questo contributo) un primo elemento d’identificazione
del ruolo attuale del fattore tecnologico. Il consolidarsi, grazie al medesimo fattore, di una sfera
sociale sovranazionale e refrattaria a strutture ufficiali, produce, infatti, l’humus più attuale in cui si
trova ad operare il costituzionalismo in funzione “correttiva” nei confronti non solo, come già
osservato, degli Stati-Nazione, ma anche, soprattutto, di una globalizzazione ritenuta fondata sul cd.
80
Dovrebbe essere, peraltro, chiaro che non ci troviamo ancora qui in presenza di un “diritto globale”, come
sembrerebbe (ma con una trasposizione di senso) secondo S. CASSESE, Il diritto globale, cit., 165.
81
Laddove, a ben vedere, non sarebbe quello dei diritti l’unico settore in cui il costituzionalismo starebbe
“esondando” fuori dagli argini nazionali: si pensi, esemplarmente, alla materia lavoristica o a quella ambientale, la cui
efficace trattazione è ormai resa possibile solo su reti di cooperazione internazionale.
82
In questo senso, nella riflessione costituzionalistica italiana, cfr., particolarmente, M. LUCIANI, L’antisovrano e la
crisi delle costituzioni, in RDC, 1996, 1, 165.
83
D. ARCHIBUGI, Cosmopolitismo. Teoria e prassi della democrazia nell’età globale, 2010 (richiamando
un’opinione di L. FERRAJOLI, La sovranità nel mondo moderno, Milano, Anabasi, 1995), in C. ALTINI, Democrazia.
Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, Bologna, 2011, 375 ss., e consultabile in
http://www.danielearchibugi.org/downloads/scritti/Archibugi_Cosmopolitismo_e_democrazia.pdf. Convince meno,
invece, il richiamo a Kelsen, per cui, notoriamente, il rifiuto della sovranità statale va visto in opposizione dialettica con
quella da riconoscersi all’ordinamento internazionale.
24
Washington Consensus84 e percepita come causa della crescente precarizzazione di quote sempre
più rilevanti di umanità, dell’aggravamento delle diseguaglianze85 e della regressione nella tutela di
diritti anche essenziali86.
Per altro verso, che il costituzionalismo non sia avvinto geneticamente in una relazione
biunivoca ed esclusiva con lo Stato-Nazione87 (anche se, di quest’ultimo, realizza la versione
“liberale” per antonomasia, operando sulla sua interna struttura, attraverso la formula della
separazione dei poteri) potrebbe trarsi dal famosissimo art. 16 della Dichiarazione del 1789, nel cui
contesto l’accento non cade per nulla sullo Stato vestfaliano, ma su “Toute société”, nella quale
s’intendano assicurare il godimento e la garanzia dei diritti fondamentali. Questa “societé” può,
dunque, ben alimentarsi anche dell’attività di una rete mondiale di organizzazioni non governative,
dello sviluppo di forum democratici su scale geografiche differenti, dell’operare di movimenti
sociali antimondialisti ed altermondialisti88, e, ancora, delle proteste dei cd. indignados di tutti i
Paesi.
84
In questo senso, si è osservato come, in realtà, gli Stati Uniti non solo non avrebbero rinunciato, al pari degli altri
Stati, a quote della sovranità nazionale, ma l’avrebbero estesa sulle aree dismesse dagli altri Stati; cfr. G. CHIESA e M.
VILLARI, SUPERCLAN. Chi comanda l’economia mondiale?, Milano, 2003, 94.
85
Tale effetto, si noti, si produce, non solo a livello mondiale, ma anche nell’ambito singoli Stati, non risparmiando
nemmeno i Paesi più abbienti sia pure in misura diversa.
86
Ci si riferisce segnatamente alla salute, alle cure mediche e all’alimentazione corretta anche in funzione della
speranza di vita, all’acqua potabile e all’alloggio in condizioni d’igiene e di decenza. Tutti fattori, questi, ormai presi in
conto per misurare l’indice statistico di sviluppo umano (HDI) messo in auge dai Rapporti sullo Sviluppo Umano
dell’ONU a partire dagli anni ‘90, sulla base delle teorie elaborate dagli economisti Amartya Sen e Mahbub ul Haq.
Tale indice viene usato in sostituzione di quello correlato al Prodotto interno lordo (PIB) basato solo sull’aspetto
economico, non tenendosi conto delle condizioni di benessere individuale e collettivo.
87
Sul punto si sofferma anche M. LUCIANI, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, cit., 163, il quale esattamente
rileva come la crisi della sovranità interna dello Stato non comporterebbe di necessità anche la crisi della Costituzione,
mentre lo sfaldamento di quella esterna toglierebbe addirittura alla Costituzione il suo oggetto. Ci pare però che simile
ricostruzione valga con riferimento alla Costituzione come fonte ordinante, e meno con riguardo alla categoria del
“costituzionalismo” come allusiva piuttosto a valori, che, come si suggerisce nel testo, potrebbero essere essi stessi ad
emarginare il “limite” della sovranità statuale per l’effetto congiunto di fenomeni implosivi e delle pressioni provenienti
delle reti esterne. Per altro verso, circa la percorribilità del concetto stesso di Costituzione, depurato della sua carica
ideologica (liberale), con riferimento ad organizzazioni politiche non statuali (e perciò non sovrane), cfr. A. RUGGERI,
in P. COSTANZO, L. MEZZETTI e A. RUGGERI, Lineamenti di diritto costituzionale dell’Unione europea, 3a ed., Torino
2010, 4 ss., per il quale, in particolare, si assisterebbe ad una costituzionalizzazione, sia pure in forme originali, di
ordinamenti sovranazionali. Ancora più in generale, di un cambiamento di paradigma, verso un costituzionalismo non
più centrato sullo Stato, ragionano, peraltro, anche A. HAMANN e H. RUIZ FRABRI, Réseaux transnationaux et
constitutionnalisme, in H. RUIZ FRABRI e M. ROSENFELD (curr.), Repenser le constitutionnalisme, cit., 187 ss.
88
Come è noto gli altermondialisti non respingono in blocco il fenomeno della mondializzazione, ma pretendono
che sia diversamente governata soprattutto da parte da istituzioni internazionali ispirate al principio della crescita
sostenibile e alla sollecitudine per le generazioni future. Per contro gli antimondialisti denunciano la drammatica
decadenza del ruolo degli Stati, delle organizzazioni sindacali e di piccoli produttori, particolarmente, quelli legati alla
terra, a favore delle multinazionali (quindi di pochi) intenzionate a sfruttare le popolazioni e a distruggere il pianeta.
Non può farsi a meno di ricordare come il dibattito sui guasti della globalizzazione economica debutti in maniera
vistosa in occasione della terza conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio tenutasi a Seattle dal 30
novembre al 3 dicembre nel 1999: si ha, peraltro, un esempio clamoroso di mobilizzazione internazionale (degli
altermondialisti) tramite l’informazione di Rete. Nella medesima occasione, le proteste riescono a bloccare la
conferenza, provocando, però, la reazione violenta della polizia (un drammatico assaggio di quanto avverrà durante il
G8) di Genova del 2001).
25
La circostanza che, quelli descritti, costituiscano fenomeni ancora non sufficientemente
consolidati e strutturati, e probabilmente destinati a restare, per così dire, allo stato fluido, non può
giustificare critiche radicali, se non restando più o meno consapevolmente in un’ottica sovranista89,
trascurandosi, invece, quella di un costituzionalismo universale, che, si badi, ha poco a che fare con
le sistemazioni utopistiche proprie del cosmopolitismo istituzionale.
Non v’è dubbio, d’altro canto, che, per il momento, è ancora agli attori attuali che occorre fare
riferimento, ossia agli Stati: come dubitare, infatti, che determinate linee di comportamento
politico, essenziali per combattere la povertà e stabilizzare la finanza, possano inverarsi solo se
concertate tra questi? Si pensi, ad esempio. alla disciplina del commercio, degli investimenti
internazionali, delle politiche monetarie e macroeconomiche e del regime dei flussi migratori.
La condizione è, tuttavia, che si abbiano, per dirla con Beck90, Stati aperti ai flussi comunicativi
globali, divenuti essi stessi “transnazionali”, mentre, dal canto loro, anche le organizzazioni
internazionali (di Stati) dovrebbero presentarsi interrelate con l’appena evocata società civile,
operando in modo trasparente e sensibile ai movimenti di opinione. Sicché, per rifarsi
all’immancabile Habermas, “la forza legittimante del procedimento democratico” non deriverebbe
“più soltanto, e neppure soprattutto, dalla partecipazione e dalla manifestazione della volontà,
bensì dalla generale possibilità di accedere a un processo deliberativo costruito in modo da
giustificare l’aspettativa di risultati razionalmente accettabili”91.
In altri termini, la riformulazione della collocazione degli Stati sembra dover passare per una
ridefinizione della sovranità stessa, incisa nella sua monoliticità da un fenomeno di disaggregazione
che moltiplica i livelli su cui le interrelazioni con l’esterno operano in maniera legittima. Si pensi,
ad esempio, al dialogo, messo in luce da Paolo Caretti e favorito dalle tecnologie comunicative,
instauratosi tra i giudici a livello mondiale e in ispecie tra le corti costituzionali92 (giudici,
beninteso, tutti ispirati ai comuni valori del costituzionalismo), nelle cui pronunce si riscontrano
sempre più frequentemente riferimenti a questioni di diritto internazionale e straniero e a soluzioni
89
Non è questa la prospettiva coltivata da M. LUCIANI, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, cit., 180, che può
collocarsi, invece, su una posizione scettica: del resto, l’A., da un lato, osserva come siano “improbabili” “ritorni alla
sovranità del singolo Stato”; e, dall’altro, propone come via d’uscita dai guasti della globalizzazione economica una
ripresa del protagonismo, particolarmente attraverso il recupero dell’azione degli Stati ed il contrasto nei confronti delle
“burocrazie transnazionali”, della politica in quanto suscettibile d’essere democraticamente connotata, laddove, tuttavia,
sarebbe il caso di comprendere quanto l’attuale assetto non sia già esso “politico” (e frutto di propensioni degli Stati
stessi) e non l’inatteso e incontrollabile risultato di forze tecno-timocratiche. Per converso, non sembrando la tesi di
Luciani
(riproposta
anche
nella
relazione
al
Convegno
annuale
AIC
2011:
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/bandigare/Relazione%20Luciani-1.pdf)
imperniata
sull’azione isolata degli Stati, bensì su una ristrutturazione del concerto internazionale degli Stati medesimi, non pare
del tutto centrata la critica motivata dalla supposta ristrettezza del punto di osservazione, formulata da G. DI PLINIO,
Nuove mappe del caos. Lo stato e la costituzione economica della crisi globale, cit., 67 ss.
90
U. BECK, Potere e contropotere nell’età globale, trad. it., Bari-Roma, 2010.
91
J. HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, cit., 99.
92
La Commissione di Venezia, ad esempio, ha organizzato a beneficio delle Corti costituzionali un forum online
riservato, i cui materiali restano disponibili per le Corti stesse (www.venice.coe.int/ju/VeniceForum).
26
date da corti esterne93. Per converso, tocca, non di rado, alle stesse corti giudiziarie misurarsi, non
sempre con successo, con le difficoltà che la Rete globale oppone alla fruttuosità delle loro
determinazioni.
L’impatto delle tecnologie in parola può anche, infine, riguardare gli apparati amministrativi,
configurandoli come snodi di una extranet di portata globale, ossia interfacce per interconnessioni
transfrontaliere e l’interoperabilità con enti, imprese e associazioni.
Ancora una volta, dunque, reti informali e reti istituzionali, strutturate dalla tecnologia, paiono
costituire il quadro per un aggiornamento delle dinamiche funzionali dello Stato e, verosimilmente,
per la rilegittimazione di quest’ultimo in tempi di globalizzazione.
10. Il fattore costituzionalistico e le sue conseguenze. – Certo, anche se in questa sede non
sarebbe possibile sviluppare il relativo profilo, non sfugge come, per converso, l’uso della Rete
comporti rischi specie per la sfera individuale più intima e, quindi, per la stessa libertà fisica e
morale di chi vi si applica94, tanto da aver generato l’idea di un habeas corpus digitale (o habeas
data). Non c’è bisogno di ricordare come attraverso la tutela della riservatezza e dell’anonimato,
può, in talune circostanze, passare anche la protezione dei diritti dell’uomo, come
drammaticamente dimostrato dalle operazioni di intelligence delle autorità iraniane in occasione
della contestata rielezione di Ahmadinejad, allorché, con l’ausilio tecnico di Nokia (di cui
qualcuno non ha esitato a rilevare come avrebbe ora le mani “macchiate di sangue”), è stato
possibile individuare numerosi oppositori che si avvalevano della Rete. Del pari, molto
vulnerabile, com’è noto, è il piano della proprietà intellettuale, anche se taluni interventi per la sua
protezione celano malamente il tentativo d’irreggimentare la Rete, provocando reazioni anche su
scala globale95. Ancora: la tecnologia in questione, mentre fornisce formidabili utensili alla ricerca
e alla terapia biomedica, permette l’identificazione e la tracciatura dei comportamenti delle
persone sulla base di criteri biometrici. Ma anche altre tecnologie di portata globale presentano
valenze contraddittorie. Così, per quella energetica, si oscilla tra l’efficienza del sistema
93
Per altro verso, occorrerebbe, forse, riconoscere come tale dialogo sia agevolato anche dalla figura del giudice
come “esperto”, capace, pertanto, di “bucare” la barriera tutta “politica” della sovranità, mentre, ancora una volta, il
flusso delle relazioni appare regolato secondo lo schema della rete, senza, cioè, che il prevalere di una tesi o di una
tendenza sia dovuto a nient’altro che alla forza (orizzontale e) persuasiva delle argomentazioni. Comunque sia, su
questa prospettiva, cfr. J. ALLARD e A. GARAPON, La mondializzazione dei giudici: nuova rivoluzione nel diritto,
Macerata, 2006.
94
Nei cui confronti, com’è noto, al di qua e al di là dell’Atlantico, vige un dissimile modo d’intendere le tecniche di
tutela, pur nell’ambito di una comune considerazione del valore della privacy: essenzialmente repressive negli Stati
Uniti, anche di natura preventiva in Europa (non v’è modo, qui, di approfondire il punto, ma lo si segnala come
testimonianza dell’ambivalenza di internet, oscillante tra una tecnologia libertaria ed una di controllo).
95
Come la chiusura per protesta del sito di Wikipedia dello scorso 18 gennaio. D’altro canto, per il movimento
Open Data, determinati dati costituirebbero l’oggetto di un diritto fondamentale alla loro conoscenza giacché
appartenenti al genere umano o in quanto prodotti dalle pubbliche autorità col denaro dei contribuenti o perché
indispensabili per l’avanzamento generale e benefici per il progresso e la democratizzazione della scienza.
27
produttivo ed il rischio dell’inquinamento ambientale96, quando non della compromissione della
sopravvivenza della stessa specie umana. Per la tecnologia dei trasporti, ai vantaggi di rapidi e/o
massicci spostamenti, si oppone il rischio d’impoverimento delle superfici a verde. L’uso dell’auto
o di una semplice lavastoviglie rendono più comoda la vita, ma, nel contempo, sono tra i
responsabili dell’“effetto serra”. Tutto ciò dovrebbe orientare verso politiche generali in grado di
indirizzare la tecnologia verso determinati obiettivi, scartandone altri o, quantomeno, individuando
le più opportune contromisure97.
Volendo, pertanto, a mo’ di conclusione, riflettere sull’ambivalenza del fattore tecnologico, o
per citare il, pur discusso, Hans Jonas98, sulla capacità dell’uomo di autodistruggersi mediante la
moderna tecnologia, si potrebbe osservare come, in una sorta di feed-back, sia, forse, piuttosto
l’applicazione del fattore costituzionalistico che potrebbe venire in rilievo.
Si tratterebbe, cioè, di arrestare la divaricazione progressiva tra controllo politico e
avanzamento tecnologico: che è quanto ribadire che la tecnologia va governata, cercando di
ribaltare il processo per cui gli svolgimenti della governance globale stanno affievolendo le
strutture del government99 tradizionale, anche sul piano intergovernativo ed internazionalistico.
Sarebbe questa, in fondo, la prospettiva100 che tende a recuperare una nuova possibilità per la
politica di governare il corso degli eventi e di collegare il destino della democrazia alla
comprensione e alla gestione della tecnologia nel quadro di una nuova razionalizzazione della
società, alternativa alla razionalità burocratica weberiana.
Nell’assunzione di siffatta attitudine, occorrerebbe non perdere di vista un altro fondamentale
elemento del costituzionalismo, così come consegnatoci non solo dalla Rivoluzione del 1789,
intrisa e, per certi versi, mossa da anticlericalismo, ma anche dalle esperienze inglese e americana
pur permeate di spirito protestante, vale a dire il valore della laicità, che, da un lato, esige (ma lo
96
Peraltro, secondo Allegretti, critico nei confronti dell’onnimercatizzazione come criterio «naturale e innocente per
ogni tipo di bene», si sarebbe giunti, con gli accordi di Kyoto del 1997 a pretendere internazionalmente «l’acquisto da
altri paesi del diritto di inquinare» (cfr. U. ALLEGRETTI, Diritti e Stato, cit., p. 71). Sottolinea, invece, come aspetto
positivo il fatto che le capacità di controllo perse dallo Stato nazionale, per effetto delle dimensioni globali derivanti dai
fenomeni di inquinamento, possano essere compensate proprio sul piano internazionale J. HABERMAS, La costellazione
postnazionale, cit., p. 42.
97
Non v’è, inoltre, chi non veda come, in un mondo ormai profondamente interconnesso, tecnologie di portata o di
effetti globali detenuti in un certo Paese possano influenzare in maniera decisiva, per il meglio e per il peggio, altri
Paesi. Si pensi, ad esempio, sul piano delle biotecnologie, ai non sempre collimanti modi di concepire, pur nell’ambito
della stessa tradizione costituzionale, le nozioni di nascita, vita e morte e di tutela della dignità umana; su quello delle
tecnologie farmaceutiche, al perverso conflitto tra interessi brevettuali e diritti fondamentali che può esservi correlato;
o, a proposito dei cd. OGM, il rischio di inseminazione incontrollata nei più diversi habitat. O, ancora, sul piano della
tecnologia nucleare, alla globalità degli effetti nocivi sulla salute e contaminanti sull’ambiente in caso di disastro o, per
rimanere, per così dire, più sull’ordinario, all’effetto inquinante di industrie poste al di là delle frontiere.
98
Cfr. H. JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, 1990, trad. it., per cui, più
in generale, fondandosi sull’imperativo per cui l’uomo deve sopravvivere, dovrebbe essere vietata qualsiasi tecnologia
che comporti il rischio, anche remoto, di distruggere l’umanità (in dubio pro malo).
99
Il tema in generale è esplorato sotto diverse angolazioni in JAMES N. ROSENAU (cur.) Governance without
Government. Order and Change in World Politics, Washington, 1992.
100
Cfr. A. FEENBERG, Questioning Technology, London, 1999.
28
richiede anche l’art. 9 della nostra Costituzione) che la ricerca scientifica non sia pregiudicata da
condizionamenti confessionali o ideologici, e, dall’altro, che la stessa cultura scientifica
costituisca una parte essenziale nel percorso educativo dei cittadini in crescita (l’ora anche di
metodo scientifico oltre che di religione?)101.
In questo senso, un nuovo ruolo potrebbe ed, anzi, dovrebbe essere assunto dalle Costituzioni102
(qualche passo in tale direzione è stato, per vero, già mosso dall’Unione europea), così che, dopo
il costituzionalismo “liberale” e quello “democratico”, possa, a buon diritto, ragionarsi di un
costituzionalismo “tecnologico”103 (e non “tecnocratico”), come quello che:
- sul piano istituzionale, costringe i parlamenti a votare sull’impiego e sullo sviluppo delle
diverse tecnologie, senza limitarsi a decidere soltanto sul loro finanziamento, in un dibattito
continuo, pubblico e trasparente con il ceto degli scienziati104, realizzandosi, pertanto, reciproci
contrappesi tra i valori democratici e le spinte tecnocratiche; mentre,
- su quello dei diritti, determina un quadro di principi orientati alla razionalità globale, con lo
scopo di dar vita ad una nuova “cittadinanza tecnologica”105, accrescendo le probabilità di
sopravvivenza individuale e collettiva106.
Del resto, se, ad es., in materia di tecnologia energetica, il secolo appena trascorso ha fornito la
prova che sono stati i sistemi totalitari i più nefasti per l’ambiente e per il clima, anche nei sistemi
101
Sul punto, ampiamente, G. CORBELLINI, Scienza quindi democrazia, cit., 122 ss.
Si tratta, in altri termini, di non abbracciare anche qui l’idea che le Costituzioni siano (o siano state sempre) prive
di capacità programmatoria (normativa?), limitandosi (essendo costrette solo) a registrare le dinamiche materiali
prodotte dai rapporti economici, soprattutto laddove attualmente il perseguimento della crescita attraverso politiche di
cd. better regulation sembrerebbe destinato solo ad alimentare se stessa e non finalizzata (anche e soprattutto) alla
promozione e tutela di valori costituzionali (funzionali all’eguaglianza sostanziale) che, appunto, non potrebbero essere
realizzati attraverso il mercato (cfr. G. DI PLINIO, Nuove mappe del caos. Lo stato e la costituzione economica della crisi
globale, cit., 110). In questo senso, difficile anche dire con sicurezza che la crisi in atto abbia come protagonista lo Stato
interventista (sempre che si possa appurare l’esatto significato del termine), considerato, non solo il poderoso
salvataggio statale delle banche e delle imprese attuato dal Presidente americano Obama con i soldi dei contribuenti,
ma, più in generale, il fatto che lo Stato c’è solo se le sue autorità legittime possono “intervenire” disegnando ed
attuando liberamente un indirizzo politico nell’ambito dei principi e delle regole costituzionali. Sostenere il contrario
non è cercare di fare a meno dello Stato interventista, ma tendere a cancellare l’idea stessa di Stato e di Costituzione a
beneficio di un non meglio precisato “governo dell’economia globale e multilivello”.
103
È probabilmente questo anche il pensiero di G. Azzariti, per cui l’intero armamentario del costituzionalismo
moderno e le sue tradizionali e fondamentali categorie potrebbero essere riqualificate nell’ottica virtuale della rete (G.
AZZARITI, Internet e Costituzione, in www.costituzionalismo.it, 6 ottobre 2011).
104
U. BECK, La Società del rischio, Roma, 2000, 294.
105
Per dirla con A. D. ZIMMERMAN, Toward a More Democratic Ethic of Technological Governance, in Science,
Technology, & Human Values, n. 20, 1 (Winter), 1995, 86 ss.
106
Cfr. L. GALLINO, Tecnologia e democrazia, Torino, 2007, 165. Sul piano, poi, delle relazioni internazionali, un
posto di primo rilievo dovrebbe essere riservato alla cd. diplomazia scientifica. Un esempio destinato a fare scuola ci
sembra costituito dall’invio nel novembre 2009, da parte (non casualmente) del Presidente americano Obama, dei tre
scienziati Ahmed Zewail, Elias Zerhouni e Bruce Alberts, in alcuni Paesi a maggioranza musulmana al fine di
rafforzare i legami di cooperazione sul piano tecnologico (cfr. nel sito dell’ American Association for the Advancement
of Science, all’indirizzo http://www.aaas.org/news/releases/2009/1105envoy.shtml).
102
29
democratici le questioni hanno subito prevalentemente un approccio economico-scientista,
trascurandosi la visuale democratica107.
Questa nuova dimensione del costituzionalismo108, o, se si vuole, costituzionalismo globalizzato,
indotta anch’essa dal fattore tecnologico, in cui rientrano le politiche concertate a livello
internazionale di crescita sostenibile e di tutela dei cd. beni pubblici mondiali 109, potrebbe, dunque,
costituire la grande sfida del nostro tempo110 e, insieme, il nuovo orizzonte della riflessione e
dell’impegno dei costituzionalisti.
107
Nel contempo, proprio in materia ambientale, è stata ventilata l’ipotesi (tacciata subito di ecofascismo, ma,
comunque, non precisamente democratica), secondo la quale i popoli occidentali potrebbero essere indotti a rinunciare
a le loro libertà in cambio di politiche di preservazione del mondo ritenute possibili solo condotte da regimi
“benevolmente” autoritari (H. JONAS, Il principio responsabilità. cit.)
108
E non solo, come è stato avvertito, per impedire l’instaurarsi di un nichilismo dei valori rispetto al piano tecnicoeconomico (cfr. M. CACCIARI, Concorrenza e solidarietà nella politica e nella società. Le forme del sovrano, in Next Strumenti per l’innovazione, 13, 2001, 115.I); e neppure per scansare la prognosi fatale di Carl Schmitt (C. SCHMITT,
Weiterentwicklung des totalen Staat in Deutschland (1933), in ID., Verfassungsrechtliche Aufsätze aus den Jahren
1924-1954, Berlin), per cui lo Stato avrebbe perduto il controllo sulle cose a causa dell’evoluzione della tecnica, quanto,
soprattutto, per rilegittimare democraticamente procedure decisionali altrimenti votate all’opacità a causa di una
molteplicità di fattori.
109
Si tratta delle cose o delle situazioni presenti in natura che non possono essere distrutte o degradate oltre un certo
limite senza compromettere l’equità intergenerazionale come la biodiversità o la fascia stratosferica dell’ozono.
110
Di cui alcune prove potrebbero già individuarsi, tra le altre, nella Carta francese dell’ambiente del 2004 e nelle
clausole della Convenzione d’Aarhus sulla democrazia ambientale Adottata il 25 giugno 1999, la convenzione è entrata
in vigore il 30 ottobre 2001: l’Unione europea, gli Stati membri ed altri diciannove Stati sono parti della Convenzione
che si fonda su tre «pilastri»: accesso alle informazioni, partecipazione del pubblico e accesso alla giustizia. L’Italia ha
ratificato con la legge 108/2001 e vi ha dato esecuzione, da ultimo, con il cd. “Codice Ambientale”.