Il pieno di tasse: il fisco ride ma l`automobilista piange

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Il pieno di tasse: il fisco ride ma l`automobilista piange
[COME E PERCHÉ - IL CARO-BENZINA]
DI AGOSTINO ROSSI
PAGHIAMO ANCORA PER...
S
e l’automobilista piange, il fisco ride. Sembra un paradosso ma più
sale la quotazione del petrolio, più
soldi entrano nelle casse dello Stato. Visto
che le tasse assorbono oltre il 65% del prezzo della benzina e del gasolio, ogni volta che
c’è un aumento alla pompa la fetta più sostanziosa viene incamerata non dai benzinai
non ha messo le mani nelle tasche degli italiani). Ci si è detti impotenti a intervenire per
non incorrere nei veti della Commissione di
Bruxelles che non accetta manovre sull’Iva,
il cui gettito costituisce il parametro delle entrate comunitarie. I ministri Antonio Marzano, Domenico Siniscalco e Giulio Tremonti
hanno però fatto finta di non ricordare che
Il prezzo della benzina da noi cresce soprattutto per le
Come prezzo base si potrebbe prendere, per
esempio, la media degli ultimi tre anni e su
questo prezzo si dovrebbero applicare le tasse. Il fisco incasserebbe un gettito costante e
l’automobilista farebbe fronte solo agli aumenti reali di prezzo registrati dal mercato.
Ma perché il prezzo della benzina è così
alto in Italia? Si sa che il suo costo industria-
쎲 Nell’attuale prezzo dei carburanti sono ancora presenti dieci
addizionali imposte negli ultimi 70 anni. Eccole: 1935: 1,90
lire per la guerra di Abissinia; 1956: 14 lire per la crisi di
Suez; 1963: 10 lire per il disastro del Vajont; 1966: 10 lire
per l’alluvione di Firenze; 1968: 10 lire per il terremoto del
Belice; 1976: 99 lire per il terremoto del Friuli; 1980: 75 lire
per il terremoto dell’Irpinia; 1983: 205 lire per la missione in
Libano; 1996: 22 lire per la missione in Bosnia; 2004: 39 lire
per il contratto degli autoferrotranvieri.
tasse. Con l’auto paghiamo anche la guerra in Abissinia
IL PIENO DI TASSE: IL FISCO RIDE MA L’AUTOMOBILISTA PIANGE
o dalle compagnie petrolifere (che non hanno mai guadagnato tanto come ora) ma dallo
Stato. Nel 2004 e 2005, contrassegnati dai
rincari più forti, l’erario ha incassato 2 miliardi di euro in più dalle tasse sui carburanti, arrivate a 36,1 miliardi complessivamente
(24,5 come accise, vale a dire imposta di fabbricazione e addizionali varie, e 11,6 come
Iva). Quasi 4.000 miliardi di vecchie lire. Ma
non è tutto. La stessa cosa vale per le bollette
di luce e gas: lievitando procurano più introiti fiscali. La crisi petrolifera, insomma, impoverisce i consumatori e avvantaggia le finanze pubbliche.
Si capisce allora perché il Governo non
abbia mosso un dito per alleviare il salasso
a carico degli automobilisti (alla faccia dello slogan secondo cui in questi anni il fisco
uno “sconto” sulla benzina era già stato operato dal Governo D’Alema tra il 1998 e il
1999, senza innescare conflitti con Bruxelles.
Oggi sarebbe fuori luogo, con i conti pubblici disastrati (disavanzo oltre il 4% del Pil
e debito di nuovo in aumento), chiedere allo
Stato di ridurre il carico fiscale sui carburanti. Ma appare più che legittimo pretendere
che il fisco non approfitti della crisi internazionale per fare cassa, aggravando le difficoltà delle famiglie costrette a pagare per la benzina un costo che è tra i più salati in Europa.
Tra i primi provvedimenti del nuovo Governo ci si deve allora aspettare almeno una sterilizzazione dell’Iva sugli aumenti che giorno
dopo giorno si scaricano sul prezzo dei carburanti. Sarebbe solo un atto dovuto per eliminare una rapina che dura da oltre tre anni.
LA MARCIA DEL GREGGIO,
le non va oltre un terzo del prezzo praticato
alla pompa. C’è poi la commissione che va al
gestore. Ma a fare la parte del leone è l’erario
che intasca due terzi di quanto paga il consumatore. E qui pochi sanno che il carico fiscale non è costituito solo dalla tassa di fabbricazione e consumo (l’accisa) che colpisce, oltre
ai carburanti, anche alcolici e tabacchi e vale
metà del prezzo finale della benzina.
Nel tempo si sono via via aggiunti molti
balzelli, mai soppressi. Si parte dal contributo di 1,90 lire imposto nel 1935 per la guerra abissina, per arrivare alle 39 lire aggiunte
due anni fa per il rinnovo del contratto degli
autoferrotranvieri, passando per una serie di
addizionali legate alle catastrofi naturali degli ultimi 50 anni e alle missioni militari che
hanno visto l’Italia impegnata in Libano e in
Bosnia. Vicende ormai chiuse ma che ancora
pesano per un totale di 486 lire, cioè 0,25 euro il litro che diventano 0,30 grazie all’Iva. E
poi c’è l’Iva che colpisce il prezzo finale, vale
a dire costo di produzione, commissione del
gestore e addirittura accise e addizionali. In
questo caso, un’ulteriore tassa sulle tasse.
Ma non è solo questione di crisi petrolifera e di tasse se paghiamo la benzina a così caro prezzo. È anche colpa della nostra rete di distribuzione, inefficiente e poco concorrenziale. Ci sono ancora troppi distributori (se ne contano in Italia 22.000 contro
15.000 in Germania e 11.000 in Gran Bretagna), vincoli superflui negli orari di apertura
e barriere ingiustificate alla diffusione di stazioni self-service (per esempio,
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nella grande distribuzione).
DA KHOMEINI ALLA NUOVA CRISI IRANIANA
prezzo corrente
prezzo reale 2005
Andamento del costo
del petrolio in dollari
per barile
Khomeini
e la rivoluzione
islamica
La fine
della
seconda
guerra
mondiale
La guerra
araboisraeliana
del Kippur
L’attentato
alle Torri
Gemelle
75
Guerra
irachena
Crollo del
prezzo del
petrolio
Incremento della
produzione Opec
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GIUGNO 2006