LEGAMI D`AMORE TRA GIOVANISSIMI AL TEMPO
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LEGAMI D`AMORE TRA GIOVANISSIMI AL TEMPO
LEGAMI D’AMORE TRA GIOVANISSIMI AL TEMPO DELLA “MODERNITA’ LIQUIDA” Il titolo di questa relazione condensa in sintesi ciò che intendo comunicarvi: le due diverse parti legami d’amore tra giovanissimi, da un lato, e modernità liquida dall’altro – messe insieme danno vita a un paradosso. Un paradosso, in filosofia analitica, è un argomento apparentemente corretto con una conclusione inaccettabile, oppure, secondo una definizione più antica, è una domanda con due o più risposte, o un problema con due o più soluzioni. Da entrambi le definizioni, per altro molto discusse, possiamo dedurre che il requisito che rende paradossale e inaccettabile un argomento o una domanda è la contraddizione. Quindi un paradosso è un argomento, una domanda, un’opinione o anche una situazione, che genera una contraddizione resistente, di cui non riusciamo a disfarci.1 Che cosa genera una contraddizione resistente nell’argomento che vi sto sottoponendo? Tra le tante definizioni di quest’epoca - età del rischio, dell’incertezza, universo dello smarrimento… - molto nota è quella di modernità liquida, con la quale il sociologo Zygmunt Bauman sintetizza le caratteristiche di una post modernità in cui ciò che era solido tende a liquefarsi, a scindersi e fluidificarsi. Se la <<fusione dei corpi solidi>>, ovvero i diritti e gli obblighi radicati nella tradizione, è stata la caratteristica grazie alla quale si è sviluppata la modernità, << i corpi solidi per i quali oggi – nell’epoca della modernità liquida – è scoccata l’ora di finire nel crogiolo e di essere liquefatti sono i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive>>. 2 In altre parole istituzioni quali la famiglia, le classi sociali, gli stati sono progressivamente svuotati e privati del loro significato e potere di aggregazione. Di conseguenza si fluidificano tutti i punti di riferimento di valore ed anche le relazioni affettive. Sembra così che la modernità del terzo millennio riporti tutto agli individui, i quali, soli, possono scoprire che cosa sono in grado di fare per trasformare le opportunità in situazioni che consentano loro la maggiore soddisfazione possibile. Ma questa situazione fluida, determinata dall’assoluta libertà di movimento (almeno apparente) genera insicurezza: il cittadino “globale”, immerso in una società in cui tutto si frantuma, si ritrova solo con il suo bisogno, meramente umano, di agganciarsi a qualcosa, di trovare dei radicamenti o dei punti fermi. Che cosa accade ai singoli in questa modernità liquida la cui cifra sembra essere solo l’individualismo di massa, un nuovo tipo di individualismo generato dal fatto che <<lavori, posizioni professionali, ruoli sociali sono una trama entro la quale gli individui diventano sempre più differenziati ed eterogenei e, allo stesso tempo, sempre più simili>>? 3 Il primo effetto è lo spaesamento, una fragilità generalizzata che tocca soprattutto i più giovani i 1 F. Agostini, Paradossi, Carocci, Roma 2009, pp. 19/21 2 Z. Bauman, Roma – Bari, 2007, p. X 1 quali, nonostante le sofisticate competenze tecnologiche che hanno aumentato smisuratamente la capacità di comunicare, patiscono più di tutti il disagio della complessità in cui viviamo. Forse all’origine del disagio e di una diffusa scontentezza sta, come scriveva Ricoeur, la <<crescente assenza di scopi in una società che aumenta i propri mezzi >>. 4 Il concetto di “modernità liquida” denota, quindi, un’antropologia fondata su un individualismo fragile: nel mondo liquido moderno è aborrito tutto ciò che è solido e durevole, pertanto gli impegni a lungo termine non sono contemplati, o sempre più raramente, visto che la posta in gioco, nella solitudine atomistica della contemporaneità, è scacciare lo spettro dell’insicurezza e ottenere riconoscimento.5 Inoltre, tra le caratteristiche della socialità contemporanea vi è anche una radicale ambivalenza nella vita comune: “ la dimensione sociale e relazionale della vita umana viene considerata - nella tradizione culturale della modernità - come un dato reale o esistenziale (non si vive da soli), ma la socialità o il rapporto interpersonale, rappresenta un problema, un male necessario: l’altro è soprattutto una ferita e quindi qualche cosa da evitare se ci riusciamo” 6 Insomma, come scriveva Todorov, “la dimensione sociale, l’elemento della vita in comune, non è generalmente considerato necessario per l’uomo. Tuttavia questa tesi non si presenta come tale, è piuttosto un presupposto che non viene formulato”7. Il parlare di legami d’amore, in questo contesto, è perciò paradossale, proprio per la logica del contesto stesso. Appaiono così i due elementi della contraddizione resistente che generano il paradosso di trovare e fondare legami d’amore nella società liquida moderna: da un lato la socialità è un problema e l’incontro con l’altro una possibile ferita; dall’altro la posta in gioco è scacciare lo spettro dell’insicurezza e ottenere una condizione sociale o relazionale che comporti il riconoscimento della propria identità. Tuttavia non esiste possibilità di riconoscimento e di tutela dall’insicurezza senza legami e senza relazioni che ci confermano: il riconoscimento può venire solo da un altro che noi, a nostra volta, 3 P. Barcellona, Bari 2003, p. 105 4 P. Ricoeur, Cosenza 1992, pp.152/153 5 Z. Bauman, Amore liquido, Laterza Roma-Bari 2007, pp. 53/106 6 L. Bruni, La ferita dell’altro, Il Margine, Trento 2009, p 17 7 T. Todorov, La vita in comune, Pratiche, Milano 1998, p.15 2 riconosciamo appieno come persona. Hegel, nella Fenomenologia dello Spirito, dimostrò che questa lotta per farsi riconoscere da un altro, con ciò trovando conferma a noi stessi, costituisce il nucleo delle relazioni di dominio e, quindi, che il riconoscimento dà luogo a un paradosso. Il paradosso del riconoscimento, che apprendiamo dalla lezione hegeliana, ci serve a chiarire i termini della contraddizione sottesa al paradosso del titolo di questa comunicazione: come è possibile l’instaurarsi di legami d’amore, che implicano la lotta per il riconoscimento, in una modernità liquida dove ci si muove sottraendosi alla “ferita” a cui ci espone ogni incontro con l’alterità? Come può essere affrontata questa contraddizione? La domanda è essenziale in un contesto filosofico di counseling, visto che il paradosso stringe nella sua contraddizione soprattutto giovani e giovanissimi i quali sono spinti cercare una relazione d’aiuto, proprio per questo motivo. I paradossi non sono soltanto oggetti logici, sono anche oggetti epistemici, ossia entità che appartengono all’ambito delle conoscenze e delle credenze e spesso è la forma del problema a far si che una contraddizione sembri irriducibile, non la sua incarnazione storica e pratica, che può essere suscettibile di soluzioni. E’ possibile trovare soluzioni, indagando l’ambito delle conoscenze e delle credenze da cui il paradosso dell’amore al tempo della società liquida prende vita? Per rispondere a questa domanda vi propongo alcune narrazioni tratte dalla mia esperienza quotidiana di counselor filosofico. Inizio con l’indagare il concetto di legame amoroso oggi, come esso si colloca nel contenitore della società liquida, per approdare, infine, a cosa vuol dire amore di sé, visto che ogni movimento relazionale, anche nella società liquida, parte dalla necessità di amarsi in qualche modo. L’indagine muove dalla mia esperienza d’ascolto di storie d’amore tra giovani: credo, infatti, che solo il pensiero che apprende dall’esperienza possa essere creativo e consenta di uscire da un orizzonte di credenze. L’immediatezza del vivere non è accompagnata dal pensiero, come tutti e tutte sappiamo, ma è sempre possibile, anche se in un differimento temporale, pensare criticamente i vissuti immediati e farli divenire così esperienza pensata. Dai racconti dei giovanissimi – 15/18 anni – che incontro, emergono esperienze e bisogni diversificati dall’appartenenza sessuale ma con un indice comune, quello del bisogno di riconoscimento e dell’affidamento all’altro/a. L’insicurezza e il bisogno assoluto di riconoscimento dominano l’istanza relazionale, che spesso però è confusa con il bisogno di comunicare, di essere in contatto. Tra comunicazione e relazione, nella società liquida moderna, c’è un gap: in altri momenti storici le due cose coincidevano, oggi la prossimità virtuale non richiede immediatamente la vicinanza fisica e la vicinanza fisica non determina la prossimità. L’avvento della prossimità virtuale rende le connessioni umane molto più frequenti, ma anche più superficiali: i giovanissimi sono abituati a creare contatti in tempi brevi e a rompere tali contatti senza apparenti strascichi o residui di dolore. Vero? Certamente è vero che la prossimità virtuale crea una separazione mentale tra comunicazione e relazione, perché essere connessi virtualmente è meno rischioso e faticoso che essere 3 sentimentalmente impegnati.8 Tutti i miei giovani consultanti concordano sul fatto che essere connessi sia poco produttivo in termini di costruzione e preservazione dei legami. Adolescenza e post adolescenza, è noto, sono le età degli innamoramenti per definizione e cliché; essere innamorati a 15/16 anni vuol dire emanciparsi dai genitori, sentirsi su un piano di parità con gli adulti, conquistare un’indipendenza sul piano affettivo e soprattutto accettare il proprio corpo e la differenza sessuale. Per le ragazze l’allacciamento di un rapporto di coppia documenta il passaggio dall’invisibilità sociale di figlie, a ruolo di soggetto sociale e soggetto sessuato; molte tra loro trovano conferma del proprio valore nella rappresentazione di sé come soggetti capaci di mantenere il vincolo di coppia, spesso anche accettando il rischio di rimanere incinte o la gravidanza. Sembra che gli anni 70 e 80 del secolo scorso, e tutte le lotte per l’affermazione della parità prima e della differenza poi, non abbiano lasciato traccia simbolica. Tanto più se si osserva la tendenza, presente tra le giovanissime, ad accettare una gravidanza, non solo e non tanto per motivi etici, quanto per suggellare la coppia e per la fantasia di maternità come realizzazione di un importante ruolo sociale. Noto però che tale rappresentazione di sé è molto diffusa tra le ragazze provenienti dalle fasce sociali più basse, o svantaggiate economicamente e culturalmente. D’altro lato i maschi hanno tuttora la necessità di verificare la propria capacità di corteggiamento e la propria competenza nel costruire un vincolo con la ragazza desiderata, ma hanno anche il timore di divenire preda di un legame passivizzante ed esclusivo, di farsi coinvolgere in una dinamica relazionale dominata dall’egemonia della coppia rispetto al gruppo di amici. I racconti degli uni e delle altre, spesso racconti di fallimenti (ma per forza di cose, altrimenti non ci sarebbe motivo di ricorrere a un aiuto), concordano sul fatto che l’innamoramento si realizza perché all’oggetto d’amore vengono attribuiti doti e caratteristiche che si vorrebbero possedere: l’oggetto d’amore è costruito a somiglianza dei propri bisogni ideali. Nelle parole semplici che ascolto: il ragazzo conquista la ragazza più per se stesso che per lei, per sentirsi più grande e più apprezzato dagli amici; la ragazza cerca la coppia per sentirsi bella, desiderata, amata. L’oggetto d’amore è un oggetto narcisistico, e quindi a rischio totale, perché nel momento in cui l’altro non si adatta più alle esigenze, è difficile conciliare l’amore con l’odio, la diversità con il bisogno di uguaglianza, la complementarietà con la specularità.9 Niente di nuovo fino a qui: la dinamica amore/odio ha trovato una sua magistrale rappresentazione nell’Ethica more geometrico demonstrata di Spinoza, là dove egli spiega che l’appetitus, ovvero la manifestazione umana del conatus di espansione proprio di ogni ente, incontra diversi e opposti affetti, passioni positive come la letizia, o negative, come l’odio qualora l’oggetto investito corrisponda o non corrisponda all’investimento. Spinoza, così come Simone Weil 8 Z. Bauman, op. cit. p.87 9 G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, Raffaello Cortina , Milano 2000, pp.285/287 4 che raccolse e perfezionò la sua lezione, istruiva filosoficamente alla necessità di convertire le rappresentazioni inadeguate, come il pensare che l’io sia al centro di ogni successo o insuccesso, ad un livello superiore di conoscenza, ove appare che non è la povera incertezza dell’io ad amare o odiare, ma che amore e odio si collocano in un piano d’immanenza dell’essere. Nel piano d’immanenza qualsiasi investimento su altri è rischioso, perché non è possibile avere la certezza che altri siano, per noi, ciò che si vuole da essi. La lezione filosofica di Spinoza mostra che da sempre l’amore e l’innamoramento hanno lo scopo di ottenere una conferma narcisistica; se poi facciamo riferimento alla letteratura analitica, l’amore narcisistico è contemplato come una tappa necessaria per arrivare all’amore oggettuale, ovvero alla visione dell’altro come oggetto d’amore. L’innamoramento adolescenziale o post adolescenziale porta con sé i germi della sua stessa dissoluzione, cioè l’idealizzazione della persona amata, la proiezione narcisistica tra i due, la violenza dei sentimenti e l’isolamento della coppia. In che cosa consiste allora il paradosso dei legami d’amore nella modernità liquida se l’ istanza di conferma narcisistica è la cifra che caratterizza da sempre l’amore e l’innamoramento? La diversità di questa ipermodernità è data dall’orizzonte delle credenze, dal segno di un ordine sociale e culturale per cui l’incontro con l’altro può essere tollerato solo se è conferma di se stessi e ciò caratterizza non solo i legami amorosi in età adolescenziale, ma anche quelli tra i giovani alle soglie dell’età adulta. La scoperta del “tu” è una delle cifre della modernità: la modernità, da cui deriviamo, ha tra le sue caratteristiche fondamentali, la scoperta dell’altro come un “tu”, una soggettività che si pone di fronte come diversa da sé. Nel momento in cui Dio, o l’Assoluto come mediazione non c’è più, la modernità scopre l’altro come il negativo, il “non io ” che l’alterità dall’altro porta con sé. Nonostante le filosofie della relazione, le ontologie della relazionalità, la filosofia della differenza sessuale, la post modernità sembra essere permeata dalla paura del tu, come se il tu negasse l’io. Da questa paura nasce la regola della “relazione tascabile”, secondo una nota definizione di Bauman, detta così perché può essere tenuta in tasca ed estratta solo all’occorrenza, piacevole ma senza il rischio di essere opprimente. Il termine “amore liquido” si addice a legami che ondeggiano tra il desiderio di stabilità e sicurezza e, per contro, la paura di restare incastrati in legami troppo stretti, cui dover sacrificare la propria libertà o le proprie prospettive di vita. Nella società del mercato e del consumo anche i rapporti, proprio come i prodotti, hanno caratteristiche di convenienza, sostituibilità e di risposta a un desiderio; le emozioni sono delle trappole da cui restare liberi , perché possono dare dipendenza. L’arte di troncare e “disconnettersi “ è fondamentale: il precariato affettivo e la moltiplicazione dei rapporti amorosi sarebbero, secondo Bauman, alla base di un nuovo tipo umano, “l’homo sexualis”, colui che riversa il proprio interesse esclusivamente nell’avventura. 10 Nella contemporaneità l’amore è diventato pragmatico, perché caratterizzato dalla concretizzazione dei sentimenti. Queste in sintesi le tesi di Bauman: ne posso condividere l’intento descrittivo e critico, ma non condivido il tono catastrofico che è sotteso a tale impianto descrittivo, perché in esso è elusa 10 Z. Bauman, op. cit 5 qualsiasi dimensione di speranza; senza speranza in aperture future rimane soltanto la rassegnata consapevolezza di appartenere ad un’epoca di “passioni tristi”. Invece quello che io noto, in particolare attraverso i racconti di giovani tra i 20 e i 30 anni, è il dolore di dover vivere una crisi diffusa dello spazio affettivo, la difficoltà persistente di dar vita a relazioni affettive e amorose piene e convincenti, di creare storie e di darsi emotivamente, e di non passare da un incontro effimero all’altro o di rinchiudersi in una solitudine rassegnata. Riporto, a titolo esplicativo a proposito dell’io/tu, stralci di una pagina del blog di una mia ex giovane cliente, 25 anni, nota blogger anche su Twitter. Nella seconda parte della mattinata vi sottoporrò invece il caso delle sfortunate relazioni sentimentali di un giovane, 23 anni, sempre mio cliente. I due quadri servono a mostrare quanto dicevo, ossia una crisi diffusa dello spazio affettivo. C’eravamo mica tanto amati Io degli uomini non vorrei mai parlare. Mi sembra di stare su Cosmopolitan quando scrivo dei pezzi sugli uomini. Un Sex and the City che non analizza le situazioni delle single di Manhattan, ma la percentuale di idioti che si trovano al mondo. Io non vorrei parlarne, degli uomini, e poi sembrare e passare per quella che “alla fine, vedi, che pure lei parla di ste cose”. Ma non è colpa mia: è tutta colpa vostra, uomini. Perché dovete anche smetterla di farvi tutte ste seghe mentali: non è che poi noi donne siamo lì che moriamo dalla voglia di sposarci, convivere, bambini, avere cani gatti e pesci rossi in comune, eh. State tranquilli. Anche a noi (Ci-rafforzativo e sgrammaticamente scorretto) piace divertirci Non dobbiamo affrettare le cose, con la variante sportiva Non corriamo troppo è la stronzata dei secoli nei secoli. Usata probabilmente sin dal primo Medioevo, sta a significare che a lui, ora come ora, il pensiero di avere una ragazza fissa lo fa stare sveglio la notte, lo terrorizza, lo intristisce, lo uccide. E quindi lui desidera non correre. Ma fare sesso sì. Ma senza correre, eh. Niente coinvolgimenti sentimentali. Come se noi donne dopo avervi conosciuti andassimo a comprarci il vestito da sposa, dicessimo ai genitori che abbiamo incontrato l’uomo della nostra vita, pensassimo a cosa scrivere sugli inviti per il matrimonio, andassimo in cerca di case con 3 stanze che non sai mai quanti bambini può volere la tua dolce metà. Rilassatevi non lo facciamo. “Ora come ora non riesco proprio a pensarmi in una relazione. Non sono pronto” 6 Chissà quand’è per i maschi il momento giusto. Ma esiste poi un momento giusto? Cos’è, l’orologio biologico interno che scatta ad un certo punto e dice: “Ehi, ma sai cosa, sono pronto per una relazione stabile” Non so bene cosa sia , fatto sta che il benedetto momento maschile non coincide mai con quello femminile. Quando voi siete pronti, siamo noi che non ne abbiamo proprio voglia di pensarci in una relazione. Capita che alle volte il momento coincida: tutti e due, da tutte e due le parti non abbiano voglia di pensarsi in una relazione. E la situazione a bene così com’è. Senza molti pensieri. Ma per alcuni di voi uomini, non è possibile che sia così, noi dobbiamo essere innamorate. La prossima frase deriva da Beautiful, forse. La usava probabilmente Ridge quando doveva mollare Brooke per la 13476 volta per mettersi con Taylor e farsi poi la figlia di Stephanie. O forse la usava qualche macho protagonista dei libri Harmony per mollare la pivella di turno dopo notti di passioni intense; “Non sei tu, sono io” Totalmente senza senso, seriamente da sfigati che non sanno che altro inventarsi e decisamente privi di fantasia, la frase più cretina del globo è seguita solitamente da una serie di aggettivi, messi a caso per addolcire la pillola. “Tu sei fantastica, seriamente. Sei bella, intelligente, simpatica. Sei tutto quello che vorrei. E’ solo che non me la sento. Sono io che sono sbagliato”. Si, sei sbagliato e pure patetico. E ora dimmi in quale puntata di Beautiful veniva usata questa frase: voglio rivederla. Che non mi ricordo Ridge chi si doveva portare a letto. “Ho bisogno dei miei spazi” Perché io ti sono addosso come una cozza allo scoglio, ti seguo ovunque tu vada , sono la tu a ombra, sono praticamente te oramai. E poi da quando ci sei tu io non ho una vita, l’avevo prima di conoscere te, ora la mia vita sei tu. Tu e i tuoi spazi. Ma ci credete davvero che noi non abbaiamo altro da fare, che passiamo le giornate a aspettare messaggi e chiamate, che stiamo lì a pensare sempre cosa state facendo in quel momento lì? Ma noi una vita ce l’abbiamo, eh! Ed era pure più divertente prima che arrivaste voi. Quindi andate pure a cercare i vostri spazi da qualcun'altra. 7 Alla luce di questa narrazione sorge una domanda: quale struttura relazionale dell’eros domina i legami oggi? C’è un’analogia tra la struttura dell’eros e la relazionalità del contratto: due persone A e B si scambiano gesti e corpi, dopo un incontro in discoteca e una serata insieme, così come due soggetti X e Y nel mercato scambiano un bene con il denaro. In entrambi i casi non si rischia nulla, né tanto meno ci si ferisce: sono due desideri che si incontrano e vengono mutuamente soddisfatti l’uno attraverso l’altro. Ma quale eros genera una simile struttura relazionale? Il rapporto sembrerebbe una forma di narcisismo, o di auto erotismo, più che un incontro d’amore. In questo eros non c’è ferita perché in realtà non c’è né un tu né un noi, c’è solo una somma di io separati e reciprocamente immuni. Non è questo un incontro io/tu, bensì, per usare le parole di Martin Buber, un incontro io/questo, non un dialogo ma un monologo , dove ciascuno si incontra solo con se stesso. Se attraverso il dono del corpo non nasce una relazione terza, dove ci si incontra uscendo ognuno da se stesso, - la relazione è sempre un terzo rispetto ai due o più di due, sebbene non sussista indipendentemente dalle persone che la generano – non ci può essere il terreno comune dove uscendo ci si contamina e ci si incontra, perché ci si riconosce come persone diverse.11 La mancanza di una dimensione terza, è imputabile alla difficoltà di trovare dimensioni umane per il corpo e l’anima, entrambi sacrificati da una quotidianità divorata dagli impegni professionali e dal primato dell’efficienza: il disagio riguarda l’interezza della persona, e non solo la realizzazione economica perché i giovani, mi riferisco sempre a quelli che io incontro, sono profondamente influenzati dai progetti strategici di contare e di annettersi a qualche cosa. Il fatto di vivere in tempi inquieti e disorientati, segnati da una forma di insicurezza collettiva indotta dalla situazione pericolosa e instabile in cui si trova la società globale, si riflette anche sulle relazioni d’amore: la paura invade il campo e attenua la capacità di riconoscere e vivere i sentimenti. In un testo del 1988, comparso in Italia nel 1991 con il titolo Legami d’amore, appunto, Jessica Benjamin, famosa psicanalista e docente presso la New York University, mostrava come molte relazioni tra uomo e donna fossero rette da rapporti di potere, che perpetuavano un sistema di valori basato sul dominio degli individui di sesso maschile. Il testo è datato, si avverte che sono passati vent’anni. Lo riprendo con uno scopo, quello di rivisitare il problema del riconoscimento e dell’intersoggettività. Benjamin sostiene che una persona comincia a sentire che “io sono quello che agisce, sono l’autore delle mie azioni” stando con un’altra persona che riconosce i suoi atti, i suoi sentimenti, le sue intenzioni, la sua esistenza, la sua indipendenza. Il compagno fedele dell’affermazione di sé è il riconoscimento, che implica un movimento riflessivo: ogni soggetto dichiara “io sono, io faccio” e poi aspetta la risposta dell’altro, “tu sei, tu hai fatto”; non basta la risposta di conferma dell’altro, l’importante è come noi ci ritroviamo in quella risposta. L’idea del riconoscimento reciproco, scrive sempre Benjamin, è centrale nella visione intersoggettiva; sottintende che noi abbiamo davvero bisogno di riconoscere l’altro come persona separata, simile a noi e tuttavia distinta. Ovviamente la ricerca di riconoscimento può diventare una lotta per il potere, e la ricerca di affermazione può facilmente trasformarsi in aggressione. 11 L. Bruni, op. cit. pp. 96/97 8 In un circolo negativo di riconoscimento, una persona sente che la solitudine è possibile solo escludendo l’altro intrusivo, la sintonia solo arrendendosi all’altro. Invece un’esperienza positiva di sintonia permette ad ogni individuo di mantenere un confine meno impenetrabile, e quindi di accedere a stati d’animo nei quali si verifica una temporanea cancellazione del confine tra esterno e interno, come nei legami d’amore non contrattuali. Infatti il piacere cosciente di condividere un sentimento introduce un nuovo livello di reciprocità, ovvero l’impressione che l’esperienza interiore possa essere comune.12 L’esperienza positiva di sintonia manca ai miei giovani clienti, nei cui racconti si coglie solo la necessità di affermarsi aggressivamente o la scelta coatta della solitudine per paura dell’intrusione dell’altro/altra e una disistima dell’altro sesso. Essi sono quindi spaesati, fragili e analfabeti rispetto ad una visione intersoggettiva delle relazioni. Ritorniamo al paradosso iniziale e alla domanda che ponevo sopra: è possibile trovare soluzioni, indagando l’ambito delle conoscenze e delle credenze da cui il paradosso dell’amore al tempo della società liquida prende vita? L’indagine che vi ho proposta, se pur in modo molto schematico e per flash, ci mostra l’ambito delle conoscenze e delle credenze in cui il paradosso si radica, a livello epistemico: in un mondo dove tutto è correlato e, per forza di cose, intersoggettivo, l’istanza dominante, che si veicola attraverso l’educazione dei media, è quella di espandersi per ottenere riconoscimento ma proteggendosi dal rischio dell’esposizione alla ferita che l’incontro con l’altro può produrre. Il messaggio complessivo è: non essere vulnerabile. Poiché, come già insegnava Spinoza, l’amore è rischioso, si ha bisogno di essere selettivi e misurati per difendere se stessi; la mancanza di un controllo diretto su cosa amare è una notevole fonte di pericolo, ma il fatto che non possiamo determinare direttamente e liberamente che cosa e chi amare e che cosa non amare, significa che siamo spesso portati a farci trascinare dalle necessità che l’amore comporta. A questo rischio gli individui, specialmente i più giovani della modernità liquida, tentano di sottrarsi in tutti i modi. Però … questa sottrazione impedisce l’amore di sé. Qual è la natura peculiare dell’amore di sé? Qualcuno che ama se stesso rivela e dimostra quell’amore solo amando ciò che ama. Una persona non può amare se stessa se non nella misura in cui ama altre cose. E’ difficile infatti immaginare come un individuo che non ama nulla possa essere amato da un’altra persona o da se stesso. Amare noi stessi è desiderabile ed è importante per noi perché equivale, più o meno, a essere soddisfatti di noi: la soddisfazione di sé non significa essere banalmente compiaciuti, né consiste nel sentire che si è raggiunto qualche cosa di importante.13 12 J. Benjamin, Legami d’amore, Rosenberg &Sellier, 1991, pp. 29/35 13 H. Frankfurt, Le ragioni dell’amore, Donzelli 2005, pp. 69/107 9 Si tratta piuttosto di una condizione per cui accettiamo e approviamo la nostra identità volitiva. Ciò che manca ai miei giovani clienti è proprio questo, la possibilità, dentro il paradosso epistemico, di trovare l’armonia con la propria identità volitiva. Non credo esista possibilità di aprire spazi di pensiero e di mutamento se non modificando i comportamenti individuali. Da tempo è sparita l’educazione alla dimensione relazionale ed i più giovani crescono senza che nessuno mostri loro, vivendo, che quel che sono nell’attualità della loro esistenza è dato solo grazie alla relazione con qualcuno o qualcuna. E che la reciprocità relazionale rappresenta l’unica salvaguardia contro il rischio di divenire individui seriali se non gregari. 10