Biagio Canevari - Comune di DORNO

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Biagio Canevari - Comune di DORNO
1864 - 1925
PRESENTAZIONE
L'Amministrazione Comunale intende valorizzare il proprio pittore del passato e poiché ciò che rimane a
testimonianza è sempre l'immagine, questo catalogo, con lo riproduzione di alcune delle tante opere di Biagio
Canevari, pittore dornese, purtroppo poco conosciuto, non solo vuole mettere in luce l'artista nella ricorrenza
dell'ottantesimo anniversario della sua morte, ma intende anche essere un documento per le generazioni future,
alle quali trasmettere i "veri valori" in cui l'autore ha sempre creduto e per i quali è vissuto.
L'immagine si fa allora specchio del contenuto e con questo si fonde, nell'esprimere sentimenti di accorata e
sentita familiarità con luoghi, persone e sovrannaturale.
Il Sindaco
Secondina Passerini
Biagio Canevari
NEMO PROFETA IN PATRIA
Il destino di Biagio Canevari non è stato dissimile da quello di molti altri artisti che "in tutte le epoche" hanno
dovuto subire un destino awerso.
Un destino che li condannò all'oblio già da vivi
Alcuni grandi vengono riscoperti e celebrati dopo la loro scomparsa
Ad altri, nemmeno la morte porta lustro o qualche riconoscimento: e questo è secondo me l'aspetto più crudele
del nostro lavoro.
Inoltre, il fatto che Canevari sia stato lomellino come me e di essere nati nello stesso paese in epoche diverse,
me lo fa sentire più vicino.
Ringrazio l'intelligente lavoro dell'amico Remo Torti per avermi dato, con questa ricorrenza, l'opportunità di
conoscere meglio l'opera di questo artista, mi ha dato pure modo di lasciare correre liberi i ricordi, che sono
immediatamente approdati all'infanzia e alla adolescenza i periodi più belli nella vita di un uomo.
La mia adolescenza nella piccola Dorno.
Sembrerà banale ma la prima cosa che ricordo è di aver abitato per anni in via Biagio Canevari: e già questo
ha tutta l'aria di un predestinato casuale legame
Naturalmente, all'epoca quel nome non mi diceva nulla se non per la dicitura di pittore, ma ricordo di essermi
imbattuto nei suoi lavori all'interno della chiesa di San Rocco dove, come molti coetanei servivo messa come
chierichetto. Questi lavori a tema biblico si differenziavano dal resto della sua produzione per via dei colori
squillanti e accesi, nei quali poi dopo "come artista" mi sono riconosciuto.
Ricordo anche di aver partecipato "studente" al premio - Biagio Canevari -.
A tal proposito, di quel periodo, impossibile per me non menzionare l'impareggiabile maestro elementare Dino
Laboranti che porto nel cuore e l'amico Mariolino Orfano, uomo di grandissimo talento manuale cui la vita riservò
in seguito alterne vicende.
Scorrendo le scarne biografie di Canevari che si reperiscono a fatica se ne trae l'immagine di un uomo
sconfitto dalla vita.
Tale stato d'animo si ripercuote nelle sue opere, specialmente quelle che celebrano la vita quotidiana nella
campagna lomellina. Grazie al quale ho potuto avere, attraverso le sue immagini, una memoria storica del mio
paese.
Posto quanto sopra ed inquadrato il periodo storico "stava per nascere il Futurismo solo per fare un esempio"
appare chiaro che un artista così non avrebbe avuto vita facile.
C'è però un episodio nella sua vita che mi ha fatto riflettere e capire che Biagio Canevari, nonostante lo scarsa
inclinazione o possibilità a varcare i confini della provincia, vi sia riuscito suo malgrado. E mi riferisco all'acquisto
di un suo quadro da parte del Re del Siam, in visita in Italia nel 1907. Rama V, che era un sovrano colto ed
illuminato, durante il suo soggiorno italiano visitò lo Biennale di Venezia e contemporaneamente ingaggiò
ingegneri, architetti e artisti allo scopo di costruire grandi opere inquadrate nel processo di civilizzazione del suo
paese oggi meglio conosciuto come Thailandia.
Questo ci da modo di vedere l'uomo e lo sua opera in una dimensione meno provinciale di quanto possa
apparire ad un esame superficiale.
Resterebbe da chiedersi: Ancora una volta e come sempre...
"Nemo profeta in Patria?"
Marco Lodola
LUCI E OMBRE DI UN TRIBOLATO ITINERARIO
Ricostruire la vita di un artista morto da ottant'anni apparve subito impresa difficile, soprattutto per chi vanta
una lomellinità tardivamente indossata. Fu subito chiaro che un buio totale s'era depositato nell'indolenza
oscurando l'uomo e l'artista. Nessuna lettera né biglietti, niente diario né scritti ricevuti o spediti ad amici artisti:
niente!
La luce che si volle accendere su di lui, illuminandone meriti e limiti, doveva essere quella della verità, senza
fantasie, senza aneddoti gonfiati ad arte né curiosità riportate. La verità punto e basta perché, come si dice, la
verità é un'agonia che non finisce mai.
Senza la pretesa altisonante e sciocca dello studioso, ma con l'umiltà dell'appassionato conscio dei propri
limiti, si sono raccolte le flebili e rare voci del paese, si è frugato negli archivi che hanno negato notizie di rilievo e
spente le iniziali speranze. Dunque Biagio Canevari, dunque la sua storia, i successi ottenuti, i traguardi mancati.
La ricerca ha mostrato alcuni tentativi volti a mantener vivo un nome sempre più spento, destinato all'oblio. Un
cartoncino accenna ad una "Mostra Retrospettiva" tenutasi a Dorno il 23 ottobre 1966. Un solo giorno.
L'immagine interna è quella di un giovane calzolaio dornese. Vanta due vispi occhioni, due vistosi baffoni, il
grembiulone e l'aria spiritata di chi ha accettato di posare per l'artista; un ruolo che lo esalta e confonde. Le otto
righe del testo richiamano una "Prima Mostra Retrospettiva" avvenuta vent'anni prima; quindi nel 1946.
Seguì un "Premio Biagio Canevari" negli anni Ottanta che mantenne vivo il nome ma, rivolgendosi ai dilettanti,
finì per premiare la mediocrità. Le nobili intenzioni produssero un ben diverso risultato.
Ringraziamo i discendenti per le quattro fotografie e le notizie tramandate a voce fino o loro di cui ci hanno
fatto dono. Senza il loro aiuto molte zone della vita di Biagio Canevari sarebbero rimaste in ombra, e per sempre.
Una foto senza data mostra gli sposi il giorno del loro matrimonio: 13 febbraio 1896 a Sommo. Lui ha gli occhi
grandi e accesi da artista, i baffoni tipici di fine Ottocento, i capelli tagliati corti, le basette inesistenti. Non guarda
l'obiettivo ma punta l'infinito come gli antichi faraoni egizi. Veste una giacca invernale, il panciotto, un foulard
annodato basso sotto il colletto della camicia bianca. Emana l'aria del buon uomo, dai bei lineamenti e di notevole
bellezza.
La moglie sta alla sua destra, appare seria nell'abito elegante a cui deve aver dedicato parecchio tempo e
lavoro. Come lui fissa l'infinito, tiene i capelli raccolti sulla nuca, un fermaglio emerge appena. La bocca è largo e
ben disegnata, leggermente cascante ai lati. Un orecchino tondeggiante s'impone appeso ad un orecchio piuttosto
grande. Questo è la coppia: Biagio Canevari di anni 32 e Rosa Poltroneri di anni 30. Era il 13 febbraio 1896.
Iniziava per loro un percorso che sarebbe durato fino all'otto agosto 1925.
Siamo certi che l'autorità femminile e la povertà condizionarono l'uomo e l'artista Qualcuno ha detto che in
gran parte i mariti sono come li fanno le mogli. Dopo sei mesi di ricerche il ritratto finale della moglie è così
sintetizzabile: fu gelosa come un'aquila e autoritaria come un gendarme.
Che Biagio facesse pure il pittore, ma a Dorno
Da giovane frequentò la Scuola di Disegno di Pavia, poi l'Accademia di Brera a Milano grazie all'aiuto dei conti
Bonacossa. Contraccambiò con disegni e ritratti ad olio degni dei grandi maestri dell'Ottocento. Nei momenti
peggiori, e furono parecchi, gli venne in soccorso don Pietro Poltroneri, suo cognato, fratello di Rosa.
Dicono che gli occhi sono l'unica parte del nostro corpo che non cambia mai, e lo sguardo ciò che è più difficile
dipingere I ritratti dei suoi personaggi ci fissano con l'abilità del grande maestro.
Finiti gli studi il richiamo di Milano fu prepotente, lacerante e inutile.
Subì il cocciuto rifiuto della moglie, l'impossibilità finanziaria, le difficoltà di conciliare il pasto con lo cena.
Decidere da sazio è una cosa, da affamato un'altra. La mancanza di Milano gli pesò come lo maledizione che ogni
rinuncia si merita Fu talmente povero che disegnò sempre sui due lati del foglio, acquistò materiali scadenti, grattò
tele dipinte per ridipingerci sopra. Era ciò che si poteva permettere. In quegli anni il mercato dell'arte era
inesistente, lo povertà senza confini, lo vendita di un quadro un avvenimento.
La figlia Elena nacque il dodici novembre 1896. Dal giorno del loro matrimonio erano trascorsi nove mesi meno
un giorno. L'undici maggio del 1898 nacque lo figlia Carla. Considerazione: come poteva sfamare quattro bocche
malmesso com'era? Come affrontò lo morte per spagnola di Carla, figlia sfortunata ghermita dal male appena
diciottenne? Il quadro della situazione ci suggerisce pensieri poco allegri. Se è facile immaginario innamorato e
felice con la moglie, è altrettanto facile intuirne i problemi, lo vita grama, i conti che non tornavano, le difficoltà del
vivere quotidiano. La bicicletta fu un sogno che restò tale. Andò sempre, a piedi, coi quadri sottobraccio per i
committenti, e a Garlasco per il treno che lo avrebbe portato prima a Pavia, poi a Milano.
Il suo lavoro si può dividere in tre filoni: i Bonacossa, le chiese locali, persone e scorci del paesaggio dornese.
Soggetti che gli rendevano impossibile uno spicchio di quella gloria a cui ogni artista ambisce. I venti delle novità
percorsero l'Europa agli inizi del Novecento: il Divisionismo arrivato dalla Francia, Futurismo e Metafisica sbocciati
in Italia, Cubismo e Astrattismo che portavano sulla tela non ciò che stava fuori dall'artista, ma ciò che gli ribolliva
dentro. Li conobbe certamente questi nuovi e impetuosi venti, ma altrettanto decisamente si tenne a distanza. Può
apparire peccaminoso per un artista coi suoi mezzi e capacità. Ma è comprensibile. Se gli era difficile vendere il
suo mondo, nel quale Dorno e i dornesi si riconoscevano, vendere simili novità era pura follia. La sua povertà non
gli permise decolli così azzardati. L'attenta lettura dei suoi quadri ce lo fa sentire amico di Gaetano Previati,
entrambi allievi del Bertini. Conobbe e, forse, frequentò Angelo Morbelli che venne a Dorno a dipingere l'ospizio, le
mondine e altre tristezze della vita di quegli anni. La tecnica con cui Biagio Canevari imposta e conclude alcuni
dipinti ci ricorda il pittore Felice Truffa di Candia Lomellina. In diverse opere paiono figli dello stesso stampo. Non
è difficile immaginare una bella amicizia tra i due conterranei.
La sua pennellata non è mai nota singola o dispersa nell'universo della tela. E' accordo, armonia, un grumo
musicale e palpitante che ne richiama e cerca altre perché vuole fondersi in un insieme compiuto e finito.
L'insieme delle sue opere, raccolte in questa mostra, ci dice che egli non fu nano rumoroso e neanche gigante
silenzioso ma bravo maestro, ottimo ritrattista, capace nel sacro come nel profano, nelle piccole e nelle grandi
dimensioni. Conosceva il mestiere ed ebbe notevoli doti naturali: lo famosa marcia in più. E non è poco
Dopo gli anni di scuola a Pavia si fece quattro anni a Brera quando serietà e severità vantavano un peso ben
diverso da oggi. Vinse meritatamente diversi premi, raccolse altrettante onorificenze in tempi non sospetti. La
povertà che lo inchiodò a Dorno ne fece un provinciale Gli mancò il coraggio di trasferirsi in città dov'era facile
emergere, ma l'arte è un oceano che rifiuta confini, e l'artista un naufrago in continua ricerca di un approdo che
non vuole trovare. Lui questo lo sapeva e, forse, temette di annegare.
Tutta lo sua opera è intrisa di grande tristezza, lo tavolozza è quasi sempre cupa, rarissimi i soggetti allegri, o i
paesaggi che mostrano atmosfere lievi e chiare, rarefatte e festose. Dominano donne che piangono, vecchie
rassegnate, camini fuligginosi che diffondono buio e miseria, figure vetuste e ingobbite che di spalle si trascinano
verso il nulla, campagne inquietanti.
C’è una pittura che canta e quella che piange. Sovente la sua richiede il fazzoletto. Ma anche questa è una
medaglia col suo rovescio. Negli affreschi religiosi sa essere l'opposto lo Bibbia, lo sua storia e lo sua geografia gli
dettarono colori caldi, indumenti sgargianti, architetture e paesaggi solari. E questa è un'altra dote che gli va
riconosciuta.
A Bibbia chiusa ritrasse il nostro paese e lo sua campagna, i vecchi più dei giovani, lo tristezza prima del
sorriso, lo fatica di vivere prima delle gioie della vita. Può piacere o non piacere ma ne dobbiamo tenere conto. Di
certo egli non bara, lo sua onestà è fuori discussione, conosce lo sua forza e i suoi limiti, ne rispetta i confini.
La sua pittura è tanto semplice che lo può capire e gustare anche un bambino.
Biagio Canevari ci appartiene per quello che fu, per come fu, per lo sua verità, autenticità e sofferenza Il suo
mondo sono le nostre radici dalle quali discendiamo e nelle quali ci riconosciamo.
Remo Torti
note biografiche
1864 - Biagio Canevari nasce o Dorno il 18 novembre da Antonio Canevari contadino, e da Perotti Giovanna
contadina.
1881 - Il 20 dicembre Il sindaco di Pavia gli conferisce un attestato in cui conclude:
"Alunno dello Scuola Civico di disegno nello stesso anno scolastico fu aggiudicato il premio di uno Medaglia di
rame per lo copio del disegno" (Fotocopia dall'originale prot n° 7958).
1882 - Frequenta per tre anni, le lezioni di Pietro Michis alla Civica Scuola di Pittura di Pavia, e nel 1882 vince il
premio Sacchi per lo suo attitudine all'arte.
Passa all'Accademia di Brera di Milano ed ha come insegnanti Casnedi e Bertini.
1885/1886 - A Milano, all'Accademia di Brera, nel 1885 vince la medaglia d'argento per il concorso alla copia in
disegno (Scuola del Nudo). Nel 1886 vince lo medaglia d'argento alla scuola speciale di pittura.
1889 - Il professor Giuseppe Bertini, docente dell'Accademia di Brera (Milano), gli rilascia il 12 ottobre, un
attestato in cui dichiara che fu uno dei migliori allievi. (Fotocopia dall'originale). Vincenzo Vicario è l'autore del
volume Giuseppe Bertini il grande maestro dell'Ottocento a Brera dove, a pagina 162, Biagio Canevari è citato
quattro volte come uno tra i suoi migliori allievi negli anni 1885/86, 1886/87, 1887/88, 1888/89.
Esposizione Permanente Annuale, Milano 1889 Partecipa con l'opero catalogata col n°257 intitolata Ritra tto della
signora Riccardi di Pavia.
Dipinge, per la chiesa di Sommo, le quattordici stazioni della Via Crucis, tutte del formato 75 x 56 ad olio su tela.
Dipinge l'opera Il Battesimo di Gesù (sistemato in sacrestia) ad olio su tela cm. 140 x 100.
Sappiamo che le opere furono dipinte a Dorno e portate a Sommo.
Terminata l'Accademia di Brera richiede, nello stesso anno, di poter riprendere a frequentare la Civica Scuola di
Pittura pavese, e di partecipare al concorso Frank.
La domanda di una sua seconda frequenza alla Civica Scuola di Pittura viene respinta.
1896 - Il 13 febbraio 1896 sposa la dornese Rosa Poltroneri da cui avrà due figlie: Elena e Carla. Il matrimonio è
celebrato a Sommo perché Rosa era nata a Dorno ma si era colà trasferita. Si presume che i due si siano
conosciuti mentre lui lavorava per la chiesa del paese.
Il 12 Novembre nasce la figlia Elena che, l'11 novembre 1925 sposerà il dottor Bianchi Virginio di Tromello
laureato in chimica e farmacia. Si trasferiranno a Tromello dove il marito eserciterà la professione di farmacista.
Conoscenza, fidanzamento e matrimonio furono agevolati da don Pietro Poltroneri, prevosto di Gambolò e zio di
Elena.
1898 - L'undici maggio nasce la figlia Carla che morirà di spagnola il 19 settembre 1916.
1906 – Partecipa alla "Esposizione di Milano per il valico del Sempione, 1906" con le opere: Ostinazione sala 22
opera n° 10, Ardore Senile sala 26 opera n° 4, Grav itazione sala 38 opera n° 9.
1907 - La Società delle Belle Arti di Firenze gli rimette vaglia bancario di lire 292,75 per la vendita di un suo
dipinto, Leggendo i Giornali, al re del Siam. Dalle 390 lire è stata tolta la percentuale, spettante alla Società, le
spese di imballaggio e spedizione (Fotocopia dall' originale).
Partecipa alla "Esposizione Annuale di Firenze, 1907" con le opere: Il Rosario sala 8 opera n° 402, Pe nsiero sala
9 opera n° 482.
1908 - Partecipa alla "Esposizione Annuale di Firenze, 1908" con una sola opera intitolata Vecchia che fa lo calza,
sala 9 opera n° 442.
1909 - Apprezzato pittore di soggetti di vita rustico è invitato a partecipare, a Pavia, con alcune opere alla Mostra
collettiva organizzata dall'Associazione Giornalistica Pavese.
1910 - Visto il successo della mostra del 1909 l'Associazione Giornalistica Pavese gli organizza una mostra
personale.
1913 - E' invitato e partecipa all'Esposizione Nazionale Artistica di Pavia.
1920 - Per il Santuario della Bozzola (Garlasco) dipinge l'acquerello in cui lo pastorella nella "busslà" prega la
Madonna dipinta su un'edicola e riacquista la parola.
Sempre a Garlasco, per la chiesa della Confraternita della SS. Trinità affresca un grosso medaglione a conchiglia
raffigurante
il
Sacro
Cuore.
La
pregante
è
Santa
Margherita
Alacoque.
Il
cartiglio
recita:
COR FIDA SPES MORTALlAUM. L'opera è stata restaurata nel 2001.
Per la Confraternita di San Rocco (Garlasco) affresca i sei medaglioni della volta del presbiterio: tre uomini; San
Mauro, San Biagio, Sant'Antonio Abate. Tre donne: Santa Lucia, Sant'Agata, Sant'Apolonia. Affresca le due
lunette del presbiterio: Gesù con la samaritana al pozzo di Giacobbe, e il Buon Samaritano. Affresca "La Gloria di
San Rocco" al centro della volta. Dipinge le tre tele dell’organo. Il Comune gli dedicherà una via.
1925 - La Parrocchia di Gropello Cairoli gli commissiona il grande affresco "San Giorgio e il drago" sopra l'altare
maggiore, e altri lavori sempre per l'omonima chiesa. Saranno terminati nell'aprile del 1926 dal pittore garlaschese
Panzarasa
A Scaldasole nella chiesa di San Rocco dipinge due affreschi nel presbiterio uno raffigurante Sant'Antonio Abate
l'altro un frate domenicano.
Biagio Canevari muore l’8 agosto 1925, nel cuore della notte; le tre e dieci. Ercole Banderali sindaco. Testimoni
furono il sig. Cerri Giuseppe di anni sessanta calzolaio, e il sig. Cerri Pietro di anni cinquantasei zoccolaio. Un
cancro allo stomaco lo aveva stroncato. Gli mancavano 102 giorni al 61esimo compleanno.
1927 - Un gruppo consistente dei suoi dipinti viene presentato alla Mostra Provinciale di Belle Arti tenutasi a
Pavia.
1937 - Diverse sue opere vengono presentate alla mostra della Arti e Professioni a Pavia.
Nella suo Dorno eseguirà affreschi per la chiesa di San Rocco, per il duomo, altri affreschi andati perduti e molti
quadri di proprietà delle famiglie dornesi Difficile stabilire datazioni precise. Sovente non firmava né datava. I pochi
dati d'archivio non ci hanno permesso notizie più dettagliate.