Full Text - Forum Italicum

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La felicità e la musica
nella Storia di Elsa
Morante
Forum Italicum
2014, Vol. 48(1) 47–66
! The Author(s) 2014
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DOI: 10.1177/0014585813512953
foi.sagepub.com
Elisa Marı́a Martı́nez Garrido
Universidad Complutense di Madrid, Spagna
Abstract
Questo saggio rileva come nella Storia di Elsa Morante la lettura più nichilistica coabiti con
un’‘‘altra’’ più gioiosa. Grazie a quest’ultima, la scrittrice cerca ‘‘le tracce del paradiso’’,
un’esile felicità svelata nella poesia, nella musica e nell’amorevole vitalità innocente dei
suoi personaggi più solari.
Parole chiave
alterità felice, Elsa Morante, La Storia, musica, poesia
La densità paradossale della Storia di Elsa Morante
Sappiamo che la densità ermeneutica della Storia è altissima, le sue proposte alternative riguardo all’arte e le sue riflessioni sulla violenza, la guerra e la sopraffazione
degli umili da parte del Potere fanno del romanzo morantiano del 1974 un metatesto,
un’opera ‘‘politica’’ e riflessiva che tenta di scuotere le coscienze dei lettori del
secondo Novecento italiano, lanciando un grido agonico contro il male della
Storia, quello che schiaccia la vita. Malgrado il suo più che evidente ‘‘pessimismo’’,
l’opera vorrebbe offrire anche delle possibili vie di uscita verso un’esile felicità; molte
di esse erano già presenti in alcuni dei componimenti poetici di Elsa Morante,
raccolti nel Mondo salvato dai ragazzini (1968).1
Pur essendo vero che La Storia è un romanzo a tesi, è anche certo che la maggior
parte delle importanti riflessioni ‘‘teoriche’’ dell’opera si concentrano nell’ultima
parte del testo, principalmente nel capitolo dedicato all’anno 1947.2 A nostro
avviso, quello che condensa la più profonda riflessione della scrittrice sull’importante ruolo dell’alterità salvatrice nella difesa della semplice esistenza. Il romanzo
sviluppa, dunque, all’interno di questo suo capitolo, anche se trasversalmente, tutta
una strategia artistica e spirituale contro la forza perversa del Potere e della Storia,
Autore corrispondente:
Elisa Marı́a Martı́nez Garrido, Departamento de Filologı́a Italiana, Facultad de Filologı́a, Universidad
Complutense de Madrid, Ciudad Universitaria, 28040 Madrid, Spagna.
Email: [email protected]
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e proprio qui si trovano alcuni passaggi cruciali per una piena e profonda comprensione della più intima Weltanschauung morantiana.
In accordo con ciò che è stato appena detto, questo saggio tenta di rilevare il peso
determinante di questa sezione narrativa all’interno dell’intero testo. Per raggiungere il nostro scopo, abbiamo percorso un unico filo conduttore: l’inseguimento e lo
studio dello spazio mitico e simbolico del bosco e delle sue attività artistiche, svolte al
suo interno, dai suoi abitanti, gli uccelli e il bambino.
1. Il bosco: ‘‘Spazio unico’’3 della narrativa di Elsa Morante
Il bosco è per eccellenza lo spazio delle fiabe e dei racconti infantili, e il luogo magico
e anche sacro4 dove avvengono le iniziazioni rituali, le rivelazioni e si celebrano i
misteri. Il bosco costituisce un centro assoluto, gremito di esseri fantastici. In esso, e
soprattutto nelle sue radure, chiari ‘‘spazi unici’’, il dio, cioè l’altro, fa dono agli eletti
di beni meravigliosi: la musica, la poesia e l’arte.5
Elsa Morante predilige i boschi fantastici e fiabeschi fin dalle sue prime narrazioni
per l’infanzia. Fin dalla preistoria della sua scrittura, fin dal suo più famoso racconto
infantile Le bellissime avventure di Caterı` dalla trecciolina (1942),6 il bosco gioca un
ruolo fondamentale nella risoluzione della storia raccontata. È sempre all’interno di
questo spazio che ha luogo la ricognizione necessaria tra ‘‘madre’’ e ‘‘figlia’’, condizione senza la quale non sarebbe stato possibile il viaggio di ritorno delle due
bimbe a casa, insieme a Tit. D’altronde nelle Bellissime avventure, i bei disegni colorati, eseguiti dalla stessa autrice, sono giustamente quelli dedicati alla festa boschiva;
ulteriore prova dell’importanza che la foresta occupa all’interno dell’immaginario e
della scrittura di Elsa Morante. La macchia è il luogo dei ‘‘miracoli’’, delle fate e degli
gnomi, della diversità, di tutto ciò che si fa presenza, arrivando dall’altrove misterioso e onirico.
Anche nel Gioco segreto (1941), uno dei più importanti racconti metapoetici dello
Scialle andaluso (1963), la metamorfosi fantastica che coinvolge i protagonisti nella
propria finzione teatrale ha luogo all’interno di due boschi immaginari. Antonia
incontra Roberto, l’amato cavaliere, nel bosco del salotto di casa, una volta diventato foresta reale, e Giovanni, scappando dalla repressione materna, vede Isabella, la
dama dei sogni proibiti all’interno di esso.
Uno spazio simile, naturale e lontano dalla civiltà, centro sacro e tempio amoroso, è quello che raccoglie l’intimità erotica fra Anna e Edoardo in Menzogna e
sortilegio (1948). Si tratta di un unicum nel romanzo: un luogo notturno e silenzioso,
illuminato dalla luce della luna, lontano dal quartiere popolare e popolato dove
vivono la protagonista e sua madre. Siamo ora dall’altro lato della ferrovia, lı̀ un
prato naturale si apre per accogliere la confessione di amore di Edoardo ad Anna,
fatto chiave per la comprensione della follia della giovane riguardo al cugino.7
Il bosco è anche presente in Aracoeli. Nel romanzo del 1982 questo spazio naturale non ha però valenze mitiche positive. Al contrario, qui, sulle pendici di una
collina boschiva, durante la Resistenza, ha luogo una delle tante esperienze tragiche
di Manuele, che subisce una finta fucilazione da parte di falsi partigiani. In Aracoeli,
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quindi, il bosco diventa uno spazio terrificante, legato agli aspetti thanatofilici e
negativi della maternità perversa di Aracoeli, già nella seconda parte del romanzoviaggio di Manuele. Il bosco è ora associato alla morte e deve dunque essere visto
come uno spazio feroce, dove il protagonista s’imbatte, per la prima volta, attraverso
la Storia e la lotta partigiana, in una delle sue prime esperienze macabre di iniziazione crudele e violenta, fatto che annuncia indirettamente la fine, in parte, apocalittica dell’opera.8
Ma fra tutti i boschi di Elsa Morante sicuramente quello più ricco di possibilità
ermeneutiche si trova nella Storia. Nel romanzo del ‘74 esso crea un legame di unione
assoluta con la figura divina di Useppe e con le capacità poetiche che gli permettono
di dialogare con gli altri personaggi, con gli animali e fondamentalmente con gli
uccelli, i principali messaggeri dell’alterità.9 I volatili sono quelli che donano al
protagonista la felicità del gioco, del canto e della musica. All’interno di questo
particolare spazio mitico, narrativamente presente in un discours rapporte´ per tre
volte lungo tutto il romanzo, Elsa Morante raggiunge un’alta dimensione poetica: la
descrizione fenomenologica del sacro.10
Il bosco della Storia è saturo di caratterizzazioni di ordine ierofantico, fatto che
consente l’apertura dell’opera morantiana verso una tensione mistica e spirituale in
cui avviene lo svelamento della bellezza e dell’allegria, grazie alla musica degli uccelli.
All’interno di questi luoghi diversi, Useppe, trovandosi in uno stato di grazia, ha
delle ‘‘allucinazioni’’ visive e uditive, veri e propri ‘‘attimi estatici e contemplativi’’,
che fanno sı̀ che il bambino attraversi il tempo esterno fino a raggiungere una
dimensione assoluta, estranea alle coordinate fisiche del reale. Grazie a questa scoperta rivelatrice, il bimbo, una volta arrivato alle radure boscose, sente le meraviglie
di questo mondo ‘‘altro’’. Il canto degli uccelli, la musica e la poesia diventano cosı̀ i
veri protagonisti del testo, le sole strade possibili verso una negata felicità. Grazie ad
esse, la pulsione di morte della Storia cede il suo dominio alla ‘‘calda vita’’.
2. Il bosco della Storia e il canto degli uccelli
Lo spazio mitico del bosco appare in tre occasioni all’interno del romanzo del ‘74 e si
trova sempre in stretto rapporto con gli animali e soprattutto con gli uccelli, cantori
felici della foresta. La sua prima presenza corrisponde al capitolo dedicato all’anno
1943, e le altre due a quello del 1947. I tre scenari del bosco della Storia sono
strettamente legati fra loro. Una tale coesione interna è dovuta non solo all’importanza delle caratterizzazioni simboliche dello spazio mitico, ma anche alla rilevanza
ermeneutica della ripetizione linguistica e tematica delle tre scene musicali del
romanzo, quasi identiche fra loro.11 Si tratta di scene dove lo stesso motivo cantabile
degli uccelli salda internamente i tre decisivi passaggi. Questi, in dialogo gioioso con
Useppe (conoscitore della loro lingua), gli dedicano la famosa canzonetta: ‘‘È uno
scherzo uno scherzo tutto uno scherzo’’, vero enigma critico, aperto a un ampio
ventaglio di possibilità interpretative.
Bisogna precisare però che anteriormente alla prima e autentica manifestazione
epifanica accaduta dentro questo bosco, nel romanzo abbiamo a che fare con un
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luogo simile; siamo già all’interno della sezione dedicata all’anno 1942, e più concretamente al punto 1. Si tratta della prima esperienza dell’esterno fatta da Useppe,
della sua prima uscita in assoluto, in compagnia di suo fratello Nino, in occasione
della quale il bambino, per la prima volta, vede lo spazio naturale aperto.
Per la prima volta, il protagonista contempla, parzialmente, la meraviglia
della natura, portandosi a termine il primo ‘‘canto’’ del fanciullino davanti
allo strabiliante svelamento della realtà. L’euforica esperienza della bellezza
del mondo, contemporanea alla nominazione delle cose e di se stesso, suscita
in Useppe uno stupore sacralizzante. D’altronde, tutta la scena è caratterizzata
dalla luminosità e dalla bellezza dell’ammirevole spettacolo, la cui vista presenta
caratteri analoghi alle visioni celesti del Paradiso dantesco;12 la descrizione pare
infatti segnata anche dalla stessa luminosità delle scene immortalate da Fra’
Angelico.13
Cosı̀ Giuseppe recluso fino dalla nascita compieva la sua prima uscita nel mondo, né più
né meno come Budda. Però Budda usciva dal giardino lucente del re suo padre per
incontrarsi, appena fuori, coi fenomeni astrusi della malattia, della vecchiaia e della
morte; mentre si può dire che per Giuseppe, al contrario, il mondo si aperse, quel
giorno, come il vero giardino lucente.
Era la prima volta in vita sua che vedeva un prato; e ogni stelo d’erba gli appariva
illuminato dal di dentro, quasi contenesse un filo di luce verde. Cosı̀ le foglie degli alberi
erano centinaia di lampade, in cui si accendeva non solo il verde, e non solo i sette colori
della scala, ma ancora altri colori sconosciuti. I casamenti popolari, intorno allo
spiazzo, nella luce aperta del mattino, essi pure sembravano accendere le loro tinte
per uno splendore interno, che li inargentava e li indorava come castelli altissimi. I
rari vasi di geranio e di basilico alle finestre erano minuscole costellazioni, che illuminavano l’aria; e la gente vestita di colori era mossa intorno, per lo spiazzo, dallo stesso
vento ritmico e grandioso che muove i cerchi celesti, con le loro nubi, i loro soli e le loro
lune. (Morante, 1990b: 396–398)
Tutti gli elementi naturali di questo passaggio euforico contribuiscono a fare di
questo punto del testo, decisivo per la beatitudine di Useppe, una più che evidente
ierofania. Il bambino canta per la prima volta le meraviglie del creato, ‘‘por el
analfabeto a quien escribo.’’14
2.1 Il primo canto degli uccelli
Useppe sperimenta, però, il vero bosco e i suoi reali e più profondi misteri nell’anno
1943. Siamo ormai nella seconda parte del romanzo, si tratta della prima reale uscita
campestre del protagonista (di nuovo grazie a Nino), durante il soggiorno della
madre e del figlio nello stanzone dei Mille, nel quartiere di Pietralata, in piena
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lotta partigiana. Nel punto 9 del capitolo, il bambino scopre l’universo, nuovamente,
sotto forma di ‘‘mirabile visione’’: la meraviglia di un fantastico spettacolo di colori e
di luci, un insieme di cielo e di mare. La novità decisiva di questo passaggio si trova
nel canto degli uccelli; per la prima volta, i volatili fanno della musica, la quale
risuona dopo ‘‘l’infinito silenzio’’.15
Era la prima volta nella sua vita che Useppe viaggiava in automobile e vedeva la
campagna grande aperta . . . . La sua emozione fu tale che durante la prima parte del
percorso rimase in silenzio; finché, nel tripudio16 che lo trasportava, incominciò a chiacchierare fra sé o con gli altri, tentando di commentare, . . . la sua scoperta dell’universo.
(Morante, 1990b: 560)
Useppe guarda con il binocolo:
Dapprima, Useppe vide un fantastico deserto rossobruno, tutto tramato di ombre che si
diramavano verso l’alto, dove stavano sospesi due meravigliosi globi d’oro . . . E poi,
nello smuoversi del binocolo, vide una zona acquatica celeste, che palpitava tramutandosi in altri colori, e accendendo e spegnendo delle bolle di luce: finché d’un tratto,
festosamente, si rompeva in una fuga di nuvole.
‘‘Che vedi?’’ gli chiese Ninnuzzu.
‘‘Il mare . . .’’ sussurrò Useppe con voce intimidita. (Morante, 1990b: 568)
Il protagonista, lasciato libero dal fratello, che s’intrattiene con i compagni partigiani, sente gli uccelli cantori per la prima volta.
Frattanto Useppe, ubbidiente, si era disposto all’attesa di Ninnuzzu, perlustrando per
suo conto il breve territorio intorno alla capanna . . . .
Fra gli alberi d’ulivo, là dietro, c’era un albero differente (forse, un piccolo noce) dalle
foglie luminose e allegre che facevano un’ombra screziata, più buia di quella degli ulivi.
Nel passare là vicino, Useppe udı̀ una coppia di uccelli chiacchierare assieme e sbaciucchiarsi. E senz’altro, a prima vista, riconobbe in quella coppia Peppiniello e Peppiniella.
In realtà, questi due, non canarini dovevano essere; ma piuttosto lucherini: genere di
uccelletti di bosco piú che di gabbia, che torna in Italia per l’inverno . . . .
‘‘Ninielli!’’ Li chiamò Useppe. E i due non fuggirono; anzi, in risposta, incominciarono
un dialogo musicato. Piú che un dialogo, veramente, la loro era una canzonetta, composta di un’unica frase che i due si rimandavano a vicenda, alternandosi a salti su due
rami, uno piú basso e uno piú alto, e segnando ogni ripresa con gesti vivaci della
testolina. Essa consisteva in tutto in una dozzina di sillabe, cantate su due o tre
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note – sempre le stesse salvo impercettibili capricci o variazioni – a tempo di allegretto
con brio. E le parole (chiarissime agli orecchi di Useppe) dicevano esattamente cosı̀:
È uno scherzo uno scherzo tutto uno scherzo!
Le due creature, prima di rivolarsene via nell’aria, replicarono questa loro canzonetta
almeno una ventina di volte, certamente con l’intenzione di insegnarla a Useppe: il
quale, invero, fino dalla terza replica l’aveva già imparata a memoria, e in séguito la
mantenne sempre nel proprio repertorio personale, cosı̀ che poteva cantarla o fischiettarla, se voleva. Però, senza spiegarsene la ragione, lui questa canzonetta famosa, che
l’ha accompagnato in tutta la sua vita, non l’ha comunicata a nessuno, né allora né
dopo. Solo verso la fine, come si vedrà, l’ha insegnata a due suoi amici: un ragazzetto di
cognome Scimò, e una cagna. Ma è probabile che Scimò, a differenza della cagna, se ne
sia scordato immediatamente. (Morante, 1990b: 570–571)
La presenza ripetuta delle parole appartenenti al campo semantico della festa
e dell’allegria – tripudi, allegre – insieme a quelle altre dedicate alla musica, al
canto e alla danza – dialogo musicato, dialogo, canzonetta, sillabe cantate, allegretto
con brio, note, parole, scherzo, fuga, fischiettare, fanno di queste righe uno dei
momenti più felici dell’opera. Alla fine del paragrafo la voce narrante annucia proletticamente le prossime apparizioni testuali dello stesso motivo. Siamo indubbiamente in una festa17 all’interno del bosco, luogo alieno alla violenza tragica
della Storia.18
2.2 Il secondo canto degli uccelli: Variazioni sullo stesso scherzo
La seconda volta che il bosco compare nella Storia corrisponde al punto 3 del
capitolo ‘‘1947’’, terza e ultima sezione narrativa del romanzo. Il bambino e sua
madre vivono già a Testaccio, la malattia di Useppe (il Grande Male) si è già presentata, Nino è morto e il piccolo, dopo tante separazioni e dolori, comincia a
chiedersene il pecche´.19 Questa seconda scena musicale si svolge all’inizio del
punto 3, quando il fanciullino e la sua cagna, Bella, scoprono, in primavera, un
luogo meraviglioso: la radura circolare di un nuovo bosco dove avvengono i ‘‘miracoli’’. Lı̀ tutti e due sentono di nuovo la canzone degli uccelli dedicata allo scherzo.
In fondo ai prati, il terreno si avvallava, e incominciava una piccola zona boscosa. Fu lı̀
che Useppe e Bella a un certo punto rallentarono i passi, e smisero di chiacchierare.
Erano entrati in una radura circolare, chiusa da un giro di alberi che in alto mischiavano
i rami, cosı̀ da trasformarla in una specie di stanza col tetto di foglie. Il pavimento era un
cerchio d’erba appena nata con le piogge, forse ancora non calpestata da nessuno,
e fiorita solo di un’unica specie di margherite minuscole, le quali avevano l’aria d’essersi
aperte tutte quante insieme in quel momento . . . .
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Un frullo corse nell’alto del fogliame, e poi, da un ramo mezzo nascosto, si udı̀ cinguettare una canzonetta che Useppe riconobbe senza indugio, avendola imparata a memoria
un certo mattino, ai tempi che era piccolo . . . . Il ricordo gli si presentò un poco indistinto, in un tremolio luminoso, simile all’ombra di questa tenda d’alberi; e non gli
portò tristezza, ma anzi il contrario, come un piccolo saluto ammiccante. Anche Bella
parve gustare la canzonetta, perché alzò la testa di sotto in su, tenendosi in ascolto
accucciata, invece di slanciarsi in uno zompo come avrebbe fatto in altra occasione. ‘‘La
sai?’’ le bisbigliò Useppe pianissimo. E in risposta essa agitò la lingua e alzò mezzo
orecchio, per intendere: ‘‘Altro che! E come no?!’’ Stavolta, i cantanti non erano due, ma
uno solo; e a quanto se ne distingueva giù da sotto, non era né un canarino né un
lucherino, ma forse uno storno, o piuttosto un passero comune. Era un uccellino insignificante, di colore castano-grigio . . . . A quanto pare, la canzonetta s’era diffusa, nel
giro degli uccelli, diventando un’aria di moda, visto che la sapevano anche i passeri. E
forse, costui non ne conosceva nessun’altra, visto che seguitava a ripetere questa sola,
sempre con le stesse note e le stesse parole, salvo variazioni impercettibili:
‘‘È uno scherzo
uno scherzo
tutto uno scherzo!’’
oppure:
‘‘Uno scherzo uno scherzo
e` tutto uno scherzo!’’
oppure:
‘‘È uno scherzo
e` uno scherzo
e` tutto uno scherzo uno scherzo
uno scherzo ohoooo!’’
Dopo averla replicata una ventina di volte, fece un altro frullo e se ne rivolò via. Allora
Bella soddisfatta si allungò meglio sull’erba . . . . (Morante, 1990b: 851–854)
Adesso, non due uccelli, ma uno solo, un ‘‘solingo augellin’’, canta lo stesso
motivo dei lucherini. La canzoncina è ormai conosciuta da tutti i cantori del
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bosco e viene ripetuta con più intensità. Il passaggio dello scherzo occupa in questo
caso più tempo e più spazio tipografico di quello dell’anno 1943. La scrittrice tende di
nuovo alla ripetizione delle parole chiave dell’enunciato. L’uso di cinguettare, canzonetta, cantanti, aria, ripetere (inteso ovviamente come cantare), note, parole, variazioni, insieme a canarino, lucherino, uccellino, uccelli, passeri, dà prova della volontà
di Elsa Morante nel fissare l’unione fra la musica-canto e il verso degli uccelli. Loro
sono i veri esecutori dello scherzo con brio, della musica ‘‘altra’’ che dona la felicità e
la grazia a questo favoloso e sacro spazio terreste. D’altronde, la scrittrice vuole
riprodurre il canto dell’uccello modificando e ripetendo testualmente le variazioni
della stessa prima canzonetta.
Nella prima occorrenza di questo nuovo scherzo del 1947 si ripete, in modo
identico, la prima versione corrispondente all’anno 1943, già sentita da Useppe
nella gita precedente: È uno scherzo uno scherzo tutto uno scherzo. Ma ora, nella
sua seconda ripetizione, tripartita, il motivo presenta delle variazioni notevoli: mette
in posizione iniziale il predicato, uno scherzo, ripetuto per due volte, e lascia nel terzo
verso il sintagma verbale al completo: Uno scherzo uno scherzo e` tutto uno scherzo.
Tanto la prima come la seconda variazione ripetono per tre volte la parola centrale:
scherzo. Nell’ultima, però, lo stesso sostantivo è usato per cinque volte e la lunghezza
sillabica è maggiore, grazie alla rappresentazione tipografica delle vocali ohoooo,
riproduzione naı¨f della lunghezza sillabica della nota finale.
L’uso intensivo della repetitio dello scherzo cantabile con brio, insieme al fatto che
la canzonetta sia cantata per più tempo (e sia già conosciuta da tutti i volatili della
foresta) ci consente di dedurre che la musica degli uccelli è la causa vivificante della
sacralità festosa dello spazio boschivo. L’uccello e il suo canto ricordano ancora una
volta a Useppe il ‘‘miracolo’’ della felicità. Il bambino sarà definito da Carlo-Davide
come un essere felice; lui possiede una felicità aliena a questo mondo.
‘‘Tu e tuo fratello’’, osservò, . . . siete cosı̀ differenti . . . Ma vi rassomigliate in una cosa:
la felicità. Sono due felicità differenti: la sua è la felicità di esistere. E la tua è la
felicità . . . di . . . di tutto. Tu sei la creatura più felice del mondo.
‘‘. . . Tu sei troppo carino per questo mondo, non sei di qua. Come si dice: la felicità non e`
di questo mondo.’’ (Morante, 1990b: 866)
2.3 Il terzo canto degli uccelli, in compagnia di Scimò
Nel punto 5 dello stesso anno 1947, cioè a pochi giorni di distanza dalla precedente
scena, il protagonista visita ancora una volta il medesimo circolo magico, in compagnia della sua cagna, e gli uccelli cantori danno nuovamente segno della loro
attività musicale. Bella e Useppe (dopo aver incontrato Carlo-Davide e aver fatto
insieme a lui delle poesie)20 ritornano nello stesso punto dove ‘‘abita’’ Scimò, un
altro ragazzino, allegro e libero. Prima di arrivare alla terza e definitiva epifania
musicale della Storia, però, sembra interessante rammentare che fin dall’inizio di
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questo subcapitolo 5 dello stesso 1947 la voce narrante aveva già ricordato le parole
della famosa canzonetta, ripetendo la sua precedente occorrenza testuale e annunciando, proletticamente, l’immediata nuova visita dei cantori.
Ma quella zona boscosa dietro le montagnole e i canneti rimaneva distante e inesplorata, come una foresta vergine. Una volta, arrivato dal mare, ci volò sopra un gabbiano,
che Useppe credette una grandissima rondine bianca. E anche, spesso, dopo quel
famoso passero o stornello del primo giorno, capitarono fin sotto la tenda altri simili
stornelli e passeri, i quali, invero, non facevano udire niente di piú che il solito tit tit
comune, e normalmente venivano cacciati via dalle feste di Bella. La loro ignoranza
della canzone Tutto uno scherzo era indubbia; però già prevista, a quanto pareva, da
parte di Useppe. Esisteva, in ogni caso, una prova certa che nel loro giro la bellissima
canzone era ormai nota; e dunque, secondo lui, si poteva senz’altro presumere che
qualcuno di loro, presto o tardi, tornerebbe a ricantarla. (Morante, 1990b: 879)
In questo modo si fissa lungo lo sviluppo narrativo del romanzo, ancora una volta di
più, per via indiretta, il leitmotiv dell’attività musicale, creando ulteriori aspettative
nel lettore, riguardo alla presenza degli uccelli e alla loro attività artistica.
In un certo senso si potrebbe pensare che il bosco favoloso dell’immaginazione
della più giovane Elsa Morante continui a essere presente nella Storia, o che almeno
continuino a essere vivi in esso i suoi più profondi significati mitici. Ma ora, nel
romanzo del 1974, in parte tramite la lettura di Simone Weil, nuove valenze spirituali
si sono sovrapposte alle precedenti e originarie potenzialità oniriche dello ‘‘spazio
unico’’. Cosı̀ il bosco morantiano del ’74, e fondamentalmente quello corrispondente
al capitolo del 1947, continua a essere, come quello della sua prima epoca di scrittura
uno spazio iniziatico, ma ora l’iniziazione di Useppe si collega piuttosto a una dimensione spirituale. Stiamo parlando di un’iniziazione mistica che rinforza le capacità
divine del bambino, annunciandone anche indirettamente la sua prossima morte.
Un tale fatto è anche rappresentato dalla metamorfosi subita dal personaggio
all’interno dello stesso spazio mitico. Il bambino adotta l’aspetto di un uccellino che
si arrampica sugli alberi e da lı̀ canticchia le proprie poesie. Lui stesso appartiene al
mondo della foresta sacra e cosı̀ diventa un altro messaggero dell’aldilà, fatto che
raddoppia la sua ‘‘grazia’’ e la sua ‘‘leggerezza’’.
E Useppe, che non aveva sonno, si arrampicò sull’albero stesso, fino a un certo incavo
dentro il quale usava starsene appollaiato, quand’era stanco dei giochi, a canterellare
poesie che sempre inventava sul momento, e súbito dimenticava. Su certi rami più alti,
lassù, batteva il sole; e, oltre alle visite frettolose di qualche uccelletto, c’era una popolazione di esseri infinitesimi dagli aspetti strani e, a bene osservarli, maravigliosamente
colorati, che abitavano i tronchi e frequentavano le foglie. Pure queste, al sole, mostravano a Useppe tutti i colori dell’iride, e anche altri sconosciuti: con disegni di una
geometria fiabesca, in cui gli occhi di Useppe erravano come viaggiatori in un quartiere
arabo. (Morante, 1990b: 882–883)
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In questa occasione, però, nel terzo incontro del protagonista con gli uccelli,
troviamo anche un terzo inivitato: il ragazzetto di tredici anni, fuggito dal riformatorio, Scimò; loro insieme sentono la canzone dell’acedduzzo, dopo il precedente
silenzio che dà sempre il passo al canto dei volatili.
Restavano in silenzio . . . . D’un tratto Bella in uno scatto levò in alto il capo . . . .
Un uccellino si era posato su un ramo alto, proprio sopra a loro. Tacque un istante, poi
fece due o tre salti sullo stesso ramo, poi fece qualche mossa con la testa (quasi per
accordare fra sé il proprio canto) e poi cantò. Un’allegrezza meravigliosa inondò le vene
di Useppe. Anche Bella aveva immediatamente riconosciuto la canzone, poiché guardava in su, contenta, a bocca aperta, con la lingua che un poco le tremolava. Da parte
sua il terzo ascoltatore rimaneva zitto, sbirciando in su con un solo occhio, non si capiva
se distratto, o sopra pensiero.
Al frullo di partenza dell’uccellino, Useppe si mise a ridere, accorrendo verso di lui.
‘‘Ahò!’’ lo interpellò impetuoso, con una vocina esultante. E senza esitare gli chiese:
‘‘Tu ce la sai, quella canzone?’’
‘‘Quale canzona?’’
‘‘Quella che cantava lui! adesso!’’
‘‘Chi lui! l’acedduzzu?’’ domandò il ricercato, dubitoso, accennando con una delle sue
zampette verso il ramo.
‘‘Sı̀!’’ E palpitando di segretezza, però impaziente di partecipargli la novità, Useppe gli
svelò, in un fiato: ‘‘Dice cosı̀:
È uno scherzo uno scherzo tutto uno scherzo!’’
‘‘Chi te l’ha detto, che dice cosı̀?!’’
A questo, Useppe non sapeva che rispondere: tuttavia, rapito dalla canzoncina,
invincibilmente tornò a ripeterla, e stavolta senza trascurare le note. (Morante,
1990b: 886–887)
Anche qui, come nei passaggi precedenti, la scrittrice usa volontariamente la ripetizione delle parole chiave, quelle appartenenti tanto al campo semantico della musica
quanto allo stato di allegria e di felicità da essa provocata nei personaggi: canto,
canzone, canzona,21 canzoncina, ripetere, note, allegrezza, esultante. Il dialogo fra
Scimò e Useppe finisce con il canto del pappagallo, recitato dallo stesso ragazzino
nel suo dialetto napoletano. Alla fine di questo nuovo incontro il bosco diventa
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un’altra volta una grande festa. E ‘‘Al suono di tante canzoni, Bella s’era data a
zompare, come a un festival’’ (888).
L’autrice ha deciso di fissare ripetutamente le parole centrali di questi momenti
della Storia: la canzone degli uccelli e l’importanza dello scherzo, fino al punto di
ricordarla ancora una seconda volta dalla stessa voce narrante. Prima che inizi
questo nuovo e ultimo canto dell’uccello (il secondo passaggio dell’anno 1947) nel
testo si usa la variatio ischerzo, messa indirettamente in bocca di Scimò, il quale
aveva mandato il fumo della sua sigaretta sugli occhi di Bella: ‘‘E per ischerzo, le
soffiò un pochetto di fumo nel naso. Al che lei, sempre per ischerzo, reagı̀ con una
sorta di starnuto allegro’’ (885–886).
Musica, gioco22 e felicità restano in queste scene del romanzo saldamente legate
fra di loro, perché come vedremo più avanti, la parola scherzo nasconde un enigma
che ha a che vedere, indubbiamente, con la vita felice di quelli che rappresentano ‘‘il
sale della terra’’.23 D’altra parte, la giocosità dei personaggi, il canto dell’uccello e la
sua canzone festosa preludiano all’esplicita ierofania, messa in rilievo nel romanzo
dallo stesso Useppe: ‘‘Qua ci sta Dio’’ (891); uno dei punti centrali di tutti i precedenti passaggi epifanici della Storia.
2.4 Il canto delle cicale del bosco
Anche se di molto minore importanza, all’interno del tempio della radura del capitolo dell’anno 1947 troviamo altri animali che sanno fare musica. Le cicale maschio
cantano mentre le femmine covano le uova e i piccoli, appena nati, tentano i loro
primi voli.24 Tuttavia in questo caso, il canto delle cicale, legato alla presenza lessicale della parola uccello, si trova in stretto rapporto con la maturità sessuale degli
insetti, e anche con quella di Scimò e di Useppe:
E Useppe incuriosito volle fargli vedere, a sua volta, il proprio uccelletto, per sapere a
che punto fosse lui. Scimò gli disse che lui pure, senz’altro, era maschio al completo,
però doveva ancora crescere. E Useppe allora pensò che, non appenna cresciuto, fra
l’altro sarebbe stato capace di cantare a piena voce, come avviene ai maschi-cicala.
(Morante, 1990b: 900)
Un tale fatto insiste sulle valenze semantiche, vitalmente positive, della sessualità,
una varietà gioiosa della musica e del gioco. Il canto della cicala parla nuovamente
dell’allegria e della calda vita dei tre amici, innocenti e teneri personaggi, che vivono
lontani dalla società e dal Potere della Storia.
3. Lo scherzo degli uccelli: Il messaggio cifrato e il gioco
dell’intertestualità
La ripetizione della parola scherzo e l’importanza concessa al leitmotiv della canzone
si rivela nella Storia come una delle tracce ermeneutiche forti di tutto il romanzo.
Però lo scherzo degli uccelli morantiani non parla solo del canto e della musica. Si
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Forum Italicum 48(1)
potrebbe intuire che racchiude in se stesso un messaggio cifrato; agisce da segno, da
traccia, sta al posto di qualcos’altro, nasconde qualcosa d’importante, dialoga con
una precedente tradizione musicale, spirituale e anche comica. Si mostra come una
chiave segreta, imprescindibile per capire il significato profondo di questi passaggi
del romanzo.
La critica morantiana,25 in generale, d’accordo con la prima accezione della
parola scherzo, ha di solito visto nei diversi scherzi del romanzo la volontà di
denuncia burlesca,26 da parte della scrittrice, nei confronti della Sopraffazione e
del Potere. Elsa Morante ‘‘canzona’’ in questo modo i diversi eventi storici, con
miscredenza e pessimismo. Secondo questa interpretazione, l’autrice rappresenterebbe la tragicomica beffa della Storia, che scandalosamente, da secoli, perpetra il
male contro la vita degli innocenti. Una tale possibilità interpretativa è indubbiamente molto verosimile. Per questa ragione, i momenti beatificamente ‘‘scherzosi’’
del romanzo aprirebbero, secondo i critici, la porta a quelli più terribilimente tragici
e dolorosi nella vita dei protagonisti, in connessione con la contradditoria volontà di
sdoppiamento e congiungimento ossimorico di gran parte della scrittura
morantiana.27
Ma pur essendo certa questa lettura, data la densità ermeneutica del romanzo e
l’enorme ricchezza semantica delle scene dedicate alla canzonetta degli uccelli, come
sappiamo reale protagonista di questi momenti testuali, è anche possibile dedurre
che in essa si nasconde anche un ulteriore e altrettanto verosimile senso interpretativo sicuramente consono alla tensione spirituale ed esistenziale dell’autrice, contenuta nei ripetuti inserti poetici di questi importanti motivi musicali, centrali
soprattutto nell’ultima parte dell’opera.
Di conseguenza, seguendo i parametri epifanici delle scene del bosco dedicate al
canto degli uccelli, si potrebbe pensare che un significato anche adatto allo scherzo
morantiano debba trovarsi nell’accezione musicale della parola.28 Cioè, i cantori del
bosco della Storia fanno della vera e propria musica cantata, in forma di ‘‘scherzo’’,
gioiosamente dal vivo, anche se diegeticamente trasmessa al lettore per interposta
persona.
La vivacità e l’allegria dello scherzo, divertimento musicale per eccellenza, porta i
personaggi del romanzo morantiano verso la felicità ‘‘altra’’, quella del canto dei
volatili, verso la loro divina leggerezza alata, quella possibile soltanto fuori della
Storia. Lo scherzo raggiunge cosı̀ il rango di parola d’ordine degli abitanti del bosco.
È il simbolo della viva vita, lontana dal Potere. È uno scherzo uno scherzo tutto uno
scherzo (e le sue diverse variazioni) deve essere interpretato quindi come un invito
alla ricerca della felicità. La canzone si mostra come la sola possibile via di uscita dal
labirinto tragico del Potere, l’unica strada praticabile per arrivare alla ‘‘verità che
giace al fondo’’,29 quella che si vede con gli occhi dell’anima e si sente con gli orecchi
del corpo celeste.
In un certo senso possiamo anche dedurre che È uno scherzo uno scherzo tutto
uno scherzo mantiene una stretta corrispondenza con la voce del fantasma di
Aracoeli, sentita da Manuele all’interno della sassaia dell’Almendral: ‘‘niño mio
chiquito, non c’è niente da capire’’ (Morante, 1990b: 1428). Anche nella Storia si
Martı́nez Garrido
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sente un canto proveniente dall’altrove, la voce dei ‘‘volatili del Beato Angelico’’, che
annuncia che ‘‘non c’è niente da capire’’, perché tutto è uno scherzo, un divino
gioco,30 un divertimento gioioso.
Per Elsa non c’è, quindi, niente da capire, perché solo l’arte e la linea del cuore (per
dirla con Marı́a Zambrano: la razón poética) porta verso la felicità che è riconoscimento delle ‘‘tracce del paradiso’’.31 Lo scherzo si rivela, dunque, come la parola
cifrata degli idioti saggi, degli uccelli sacri, dei ribelli beati, dei sofferenti allegri, dei
pazzarielli, dei Felici Pochi, di tutti quelli che sanno vedere oltre, e che lasciano le
porte aperte verso la libertà infantile, quella che è gioco d’arte e di pura felicità. Lo
scherzo della Storia rappresenta, pertanto, il canto di quelli che vivono ancora in un
Eden non perduto.32
3.1 Lo scherzo degli uccelli nella Storia: Un chiaro ipertesto
Eppure la condensazione semantica dello scherzo della Storia, gli strati di senso
contenuti all’interno della parola chiave delle scene musicali del romanzo, è
ancora più ricca, fino al punto di poter dire che nello scherzo di Morante siamo
davanti a un ipertesto. Cioè, ingabbiato dentro la canzone del romanzo, la scrittrice
fa indirettamante un omaggio alla musica, alla comicità e al cinema che le è stato più
affine. La canzonetta del bosco è, dunque, all’origine di tutta una catena di riferimenti intertestuali dove la musica, il gioco e la gioia portano i personaggi verso la
manifestazione dell’alterità sacrale.
In primo luogo, il ripetuto scherzo del romanzo ci rimanda alla musica allegra,
divina e scherzosamente sublime di Wolfgang Amadeus Mozart, il musicista più
amato in assoluto dalla scrittrice,33 uno degli F. P. situato nella parte inferiore, a
destra, della croce dell’introduzione esplicativa alla ‘‘Canzone degli F.P. e degli I.
M.’’ (Morante, 1990b: 140). Sicuramente, nello scherzo della Storia, come era già
stato indicato da Giovanni Raboni, si è condensato tutto lo spirito di bellezza e di
grazia dei componimenti mozartiani.34
D’altra parte, data l’ambientazione magica dei passaggi boscosi del romanzo
(tanto affine all’immaginario onirico e allo stesso tempo spirituale delle favole
morantiane), è molto probabile pensare che Die Zauberflöte (Il flauto magico;
1791) sia stata all’origine, come nel caso dell’Isola d’Arturo (1957), di uno dei decisivi
slanci di creatività intertestuale di Elsa Morante, forse il più importante nella redazione di queste scene epifaniche del bosco. Non è sicuramente un caso che nella terza
parte del componimento poetico del 1968 prima citato, in quello dedicato agli I. M.,
la scrittrice leghi in modo decisivo la gioia dei beati F. P. all’opera mozartiana del
1791: ‘‘ALLEGRA/ allegra allegra/ come il tema della traversata nel Flauto Magico/
allegra/ come venti mandolini ragazzini sotto le finestre/ d’una bella ragazzina che
finge di dormire/ allegra come il duo/ d’un fringuello di bosco e d’un conoscente suo,
migratore appena di ritorno . . .’’ (Morante, 1990b: 151).
Elsa Morante associa cosı̀ il canto dei suoi volatili agli uccelli cantori del Flauto
magico e alla comica ingenuità dei personaggi di Papageno e Papagena, i cui nomi
sono foneticamente molto vicini a quelli dei due lucherini del primo canto scherzoso
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della Storia corrispondente all’anno 1943: Peppiniello e Peppiniella. A sua volta, il
nome di Peppiniello e Peppiniella, vezzeggiativo napoletano di Giuseppe,35 consente
di stabilire un nuovo legame intertestuale con il cinema italiano, perché se da una
parte il nome di Peppiniello riflette, con alcune importanti variazioni, quello dello
stesso protagonista, ci porta, principalmente, per associazione nominativa e fonetica
diretta, fino a quello del piccolo Peppiniello (Franco Melidone), figlio di Felice
Sciosciammocca (Totò) del film di Mario Mattoli, Miseria e nobiltà (1954), basato
sulla commedia omonima di Eduardo Scarpetta.
Nel gioco ipertestuale del nostro scherzo si può trovare persino l’eco di un ulteriore turn of the screw, visto che, attraverso la comicità tenera di Totò, in connessione
con il dialogo degli uccelli del Flauto magico, Elsa Morante fa un ammicco buffo,
divertente e di grande complicità all’amico Pier Paolo Pasolini e al suo film del 1966
Uccellacci e uccellini,36 scandito anche questo dall’opera mozartiana del 1791, il cui
personaggio principale viene anche interpretato da Totò. Lo stesso nome con una
minima variazione accentuale appare nella Storia in bocca di Scimò. Tòto è infatti il
nome del cane del ragazzetto napoletano.37
‘‘Giù a casa nostra, al paese, pure noi teniamo un cane, però non tanto grosso mezzano,
con la faccia nera e le orecchie a punta.’’ . . .
Fece una pausa e poi terminò:
‘‘Si chiama Tòto.’’ (Morante, 1990b: 886)
4. Conclusioni provvisorie
In questo modo, tutti i diversi testi – l’operistico, il cinematografico e il letterario – si
legano a vicenda, grazie al tono favolistico, surrealistico, comico e sublime, presente
nei tre componimenti. Un tale collegamento si vede anche rinforzato grazie all’uso
della fantasia ingenua delle tre opere, messa al servizio di una riflessione ideologica,
metastorica e anche metafisica. D’altra parte, nelle scene musicali della Storia
abbiamo a che fare con una spiritualità ingenuamente francescana, fatto che lega
ancora di più i personaggi del romanzo del 1974 al film del 1966. Come lo stesso
Pasolini dichiarò: ‘‘Alcuni dei suoi personaggi degli Uccellacci assaporano un’originaria felicità, ingenua e anarchica, molto vicina a quella di Elsa Morante.’’38
Indubbiamente, l’intesa tra Morante e Pasolini diventa in questi passaggi dello
scherzo morantiano ancora più stretta grazie alla figura di Scimò, un ‘‘ragazzo di
vita’’, in cui si riconosce la traccia ingenua e ribelle del Pazzariello.39
Grazie ai passaggi scherzosi del romanzo siamo entrati all’interno dello ‘‘spiraglio
antitragico’’ di Elsa Morante.40 Lo scherzo della canzonetta morantina della Storia
pur essendo tragico diventa allo stesso tempo antitragico perché racchiude il profondo segreto della Felicità, quello che è stato ‘‘nascosto ai dotti e ai savi e rivelato ai
piccoli’’. Parole, per volontà della stessa autrice, stampate sulla copertina della
Martı́nez Garrido
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prima edizione Einaudi della Storia nel 1974, e oggi introduttive al romanzo nella sua
edizione del 1990.
Funding
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not-for-profit sectors.
Note
1. Facciamo riferimento alla Canzone dei Felici Pochi e degli Infelici Molti, famoso
testo appartenente alla terza sezione, Canzoni popolari, della raccolta poetica
morantiana del 1968. Cfr. Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini (Morante,
1990b: 137–161). Per ulteriori informazioni relative al testo cfr. Claude Cazalé Bérard,
Weil e gli F.P.: Senza i conforti della religione (Cazalé Bérard, 2009: 203–208). I temi della
felicità e dell’allegria sono in realtà presenti all’interno delle quattro canzoni che compongono l’ultima sezione poetica della raccolta. Parliamo concretamente di La canzone della
forca, La canzone di Giuda e dello sposalizio, La canzone clandestina della Grande Opera e La
canzone finale della stella gialla detta pure La carlottina, in cui il gioco, l’amore, l’allegria e
la felicità degli innocenti si rivelano come i centri nevralgici fondanti dell’utopia della
scrittrice contro la tragedia della Storia. Cfr. Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini,
op. cit., pp. 164–247.
2. Cfr. Bernabò, La critica (1991: 122–123), e anche Contini (1995).
3. Prendiamo il sintagma ‘‘luogo unico’’ dal racconto di Cesare Pavese (1946). Cfr. Cesare
Pavese, Del mito, del simbolo e d’altro in Feria d’agosto, a cura di Elio Gioanola, Torino,
Einaudi, 2002, pp. 134–140. La posizione mitica di Cesare Pavese, molto influenzata dagli
studiosi delle religioni come James George Frazer, Karl Jung, Mircea Eliade e lo stesso
Ernesto De Martino, in modo trasversale, sembra essere anche presente in Elsa Morante, la
cui opera presenta un senso del mitico, del tragico e del dionisiaco per certi aspetti vicino a
quello dello scrittore piemontese, anche se quello morantiano è ampiamente contaminato
dalla tonalità fantastica, vitalistica e spiritualistica.
4. In tutte le religioni indoeuropee, il bosco è il luogo sacro per eccellenza. Cfr. De Cazanove
(1993) e Montana (2005).
5. Anche per Marı́a Zambrano le radure del bosco rappresentano lo ‘‘spazio unico’’ dove
hanno luogo le epifanie (see Zambrano, 1977; Pujalá, 2007).
6. Anche se Le bellissime avventure di Caterı` dalla trecciolina vedono la luce nell’anno 1942, il
testo fu scritto durante l’adolescenza della scrittrice, secondo la confessione della voce
narrante nell’introduzione fiabesca dello stesso racconto. Cfr. Pontremoli (1993: 237–
244 e 1995: 259).
7. Nel terzo romanzo di Elsa Morante, L’isola di Arturo, è vero che non c’è il bosco. Il rito
iniziatico del personaggio di Arturo non si svolge all’interno di esso. In questo caso è l’isola
a rappresentare il centro assoluto, la natura e il materno per eccellenza. Ma anche qui
siamo davanti a uno spazio materno, lontano dal mondo, dalla cultura e dalla Storia. Nel
romanzo del ’57 l’isola simbolizza il luogo sacro dove avvengono la speciale e diversa
crescita del protagonista, il suo sviluppo psicologico ed emozionale e la sua maturazione,
inseparabilmente legata alla scoperta dolorosa della verità del padre e della proibizione
dell’incesto. Cfr. Bisagno (2003).
8. Cfr. D’Angeli (2003: 51–66) e Martı́nez Garrido (2009).
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9. Gli uccelli, all’interno di molte tradizioni religiose, sono stati concepiti come
messaggeri della divinità. Rimandiamo in primo luogo alla mistica sufi e più concretamente al poeta iraniano Farid al-Din Attar e ai suoi famosi testi poetici e
spirituali dedicati agli uccelli, tra cui, Il verbo degli uccelli (1986). Secondo la tradizione
talmudica, Salomone parlava anche con gli uccelli e sapeva decifrare il loro
linguaggio, cfr. Lorenz (1995) all’interno della tradizione cristiana, predicava ai volatili
la parola di Dio. Cfr. Legenda maior, (XII, 3), in I fioretti di San Francesco, Torino,
Einaudi, 1964.
10. Anche all’interno di alcune delle poesie della terza sezione del Mondo salvato dai ragazzini – La canzone di Giuda e dello sposalizio e La canzone finale della stella gialla detta pure
La carlottina – il bosco rappresenta lo spazio magico e sacro dove hanno luogo i ‘‘miracoli’’. Cfr. Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, op. cit., pp. 170–181 e 241–247.
11. Lo scherzo musicale degli uccelli del bosco appare ancora in due occasioni nel capitolo
corrispondente all’anno 1947, ma sempre tramite la voce narrante. Nel primo caso,
nel punto 7, si parla dell’orchestra del bosco: ‘‘Passarono molti uccelletti, ma Bella,
insonnolita dal caldo, non se ne curò. Sulla tarda mattina, su per gli alberi, incominciò
un frinio: alla prima cicala di ieri già se ne accompagnavano altre nuove, formando un
concertino. Si poteva prevedere prossimo l’arrivo di una grande orchestra’’. Cfr. Elsa
Morante, La Storia (Morante, 1990b: 982–983). Nel secondo caso, all’interno del punto 8,
Useppe, dopo una nuova e grave crisi di epilessia, sente la famosa canzonetta dello
scherzo, scritta questa volta in tondo e non in corsivo: ‘‘. . . e Useppe, dopo essersi
issato senza sforzo sul solito ramo, ebbe la sorpresa di udire molte piccole voci di uccelli
che cantavano la ben nota canzonetta: ‘‘È uno scherzo uno scherzo tutto uno scherzo’’
ecc . . . Lo strano è che il corpo dei cantanti non si vedeva; e anche le loro voci, sebbene in
coro, suonavano quasi impercettibili, da sembrare che gli fischiettassero la canzone all’orecchio, intendendo farsi udire solo da lui’’. Cfr. Elsa Morante, La Storia, op. cit., p. 1000.
12. Cfr. Ariani (1986).
13. Rimando al saggio morantiano del 1965, dedicato alla beatitudine della pittura di Fra’
Angelico. Cfr. Elsa Morante, Il Beato propagandista del paradiso, in Pro o contro la bomba
atomica (Morante, 1990b: 1557–1569).
14. Le poesie di Useppe, recitate a voce e non scritte, rappresentano il vivo esempio
della poetica popolare di Elsa Morante, contenuta nei versi dello scrittore peruviano
César Vallejo: Por el analfabeto a quien escribo, parole con cui si apre il romanzo morantiano del ’74.
15. Cfr. La traccia leopardiana in Morante è stata già studiata da Marco Bardini (1999:
174–175) e da Giovanna Rosa (2006: 165).
16. Il neretto è mio. La parola ‘‘tripudio’’, tanto usata nella tradizione dantesca, nella Storia è
legata alla beatitudine del bambino e alla bellezza della ‘‘mirabile visione’’ del bosco del
romanzo. Il suo utilizzo ci porta nuovamente verso la Commedia, e più concretamente
verso il canto XII del Paradiso, versi 22–25, in cui i beati saggi danzano intorno all’arcobaleno, in una delle tante luminose epifanie del Paradiso.
17. Cfr. Santinelli (2012).
18. Non si deve dimenticare che mentre Useppe sente per la prima volta questa canzone,
Carlo-Davide uccide sadicamente un giovane tedesco. Cfr. Elsa Morante, La Storia, op.
cit,. pp. 574–577.
19. In parte la malattia di Useppe si deve al dolore del mondo. Useppe si chiede
il pecche´ del male, della separazione, della morte. Cfr. Elsa Morante, La Storia,
op. cit., p. 500.
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20. L’incontro fra Useppe, Bella e Davide, all’interno della camera dove vive il giovane
anarchico, è anche un passaggio centrale del capitolo 1947. Si tratta del passaggio dedicato alla poesia, concepita come ierofania. Tanto i componimenti del bambino quanto
quelli del giovane poeta anarchico parlano di Dio: di un Dio felice, quello di Useppe, e di
uno tragico, del Dio-Uomo (Cristo), quello di Davide. In questo passaggio, la voce
narrante mette in rapporto lo sguardo di Useppe con quello degli uccelli cantori, cfr.
Elsa Morante, La Storia, op. cit., p. 869. Dopo aver recitato i loro componimenti poetici,
il giovane declama alcuni versi del canto XXXIII del Paradiso di Dante. Cfr. D’Angeli
(1994). Sulle valenze mistiche e religiose della poesia di Davide, cfr. anche Martı́nez
Garrido (2003), op. cit., pp. 352–355 e Siriana Sgavicchia (2012: 121–122).
21. Si noti che la variante di canzone (canzona) corrisponde al componimento musicato e
cantabile, scherzoso e popolaresco, del Rinascimento e del Barocco, vicino alla frottola e
allo strambotto, e anche alla terza persona singolare del verbo canzonare: prendere in giro.
Un tale fatto serve ancora a rinforzare la fusione assoluta fra musica e gioco, stabilita da
Elsa Morante in questi passaggi, decisivi per l’interpretazione della Storia.
22. Anna Maria Cucchi (1987) aveva già individuato la forza creatrice e salvifica del gioco di
Useppe.
23. Il sintagma evangelico è usato da Elsa Morante, all’interno della seconda sezione della
Canzone degli F.P. e degli I.M., in concreto in quella dedicata agli I.M. Secondo la
scrittrice: ‘‘Un tale povero ebreo che con voi Signori I.M. / non ha niente a che fare/ ha
detto che certi bastardi sono il sale/ della terra’’. Cfr. Elsa Morante, Il mondo salvato dai
ragazzini, op. cit., p. 153.
24. Si deve ricordare che Luigi Baldacci (1974) aveva persino parlato di romanzo pascoliano.
25. Cfr. Bernabò (1991: 49, 54–55 e 58) e Rosa (2006: 165). Anche Pier Paolo Pasolini (1999: 2105)
dice riguardo alla Storia ‘‘la morte è vista come il fenomeno che riduce a scherzo la vita: ma uno
scherzo bellissimo, struggente, degno di essere vissuto, anche nelle sue inevitabili brutture’’.
26. I primi significati della parola scherzo ci portano in primo luogo verso il comportamento
burlesco, usato per prendersi gioco di qualcuno o di qualcosa e divertirsene. Si tratta di
un’azione malvagia, offensiva e dannosa che colpisce qualcuno. Di conseguenza la Storia
sarebbe vista come una beffa, una burla scandalosa.
27. Cfr. Rosa (2006: 264).
28. Perché scherzo significa anche situazione imprevista e singolare, evento fortuito, manifestazione imprevedibile del caso, e anche già nell’ambito della pittura, combinazione
naturale e artificiale di luci e di ombre, di colori, di prospettive, anche di elementi naturali
che creano effetti visivi spettacolari. Indubbiamente, anche nelle sue ultime accezioni,
nello scherzo c’è anche un significato più legato al linguaggio della musica. La parola
scherzo allude al componimento poetico di argomento e tono leggero, alla composizione
autonoma vocale o strumentale di carattere popolaresco, affine alla canzonetta e al
capriccio, risalente al XVII secolo. È anche un componimento musicale di ritmo ternario,
di andamento rapido e ritmo ben marcato. Scherzo e sinonimo o parasinonimo di divertimento, di spasso, di passatempo, di svago, di trattenimento e di gioco per bambini. Cfr.
voce ‘‘scherzo’’, Battaglia (1996).
29. Parole di Umberto Saba usate dalla stessa Morante nel suo saggio dedicato al poeta
triestino. Cfr. Elsa Morante, Il poeta di tutta la vita, in Pro o contro la bomba atomica,
op., cit., pp. 1489–1493.
30. Dobbiamo ricordare che all’interno delle tre ultime canzoni della terza sezione del Mondo
salvato dai ragazzini si ripete la stessa strofa: ‘‘TUTTO QUESTO/ IN SOSTANZA E
VERITÀ/ NON È NIENT’ALTRO CHE UN GIOCO’’ (il maiuscoletto è della
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scrittrice). Cfr. Elsa Morante, La canzone clandestina della Grande Opera, La canzone di
Giuda e lo sposalizio e Canzone finale della stella gialla detta pure La carlottina, Parte terza.
Canzoni popolari, in Il mondo salvato dai ragazzini, op. cit., pp. 175, 217, 240, 247. La
quartina riassume il valore rivoluzionariamente liberatorio della fantastica attività del
gioco, secondo Elsa Morante ‘‘divino’’, ‘‘perché non c’è in esso nessuna promessa o
speranza di guadagno’’. Si tratta di parole di Elsa dedicate alla allegria degli F.P., all’interno della sezione degli I.M., nella famosa Canzone dei Felici Pochi e degli Infelici Molti
già più volte citata. Cfr. Elsa Morante, 3. Agli I.M. , La canzone degli F.P. e degli I.M. In
tre parti, in Il mondo salvato dai ragazzini, op. cit., p. 141.
Elsa Morante usa questo sintagma per parlare della beatitudine degli animali. Cfr. Il
paradiso terrestre in Pro o contro la bomba atomica, op. cit., pp. 1475–1476.
Cfr. Agamben (1993).
Riguardo l’importanza della musica e più concretamente la musica di Mozart, nell’opera e
nella vita di Elsa Morante cfr. Samonà (1986); Bardini (1999: 566–567 e 571) e anche
Ceracchini (2012). La stessa autrice parla del Flauto magico all’interno del suo saggio
dedicato a Umberto Saba. Secondo lei è un ‘‘poema epico e lirico della sorte umana’’. Cfr.
Elsa Morante, Il poeta di tutta la vita, in Pro o contro la bomba atomica, op. cit., p. 1491.
Quello che in parte è anche La Storia.
Cfr. Raboni (1974). Pasolini collega anche lo scherzo morantiano alla musica di Mozart.
Ma secondo lui nella Storia saremmo davanti a ‘‘una stupenda, funeraria musica mozartiana’’. Cfr. Pasolini (1999: 2105).
Giuseppe fu il nome di uno dei gatti più amati da Elsa Morante. Cfr. Cecchi e Garboli
(1990). Lo stesso nome appartiene al protagonista dell’incompiuto romanzo morantiano
Senza i conforti della religione e del grande piccolo protagonista della Storia. Giuseppe è
anche uno dei nomi ricorrenti fra i protagonisti dello stanzone dei Mille, lungo l’anno
1943. Difatti il bambino pensa che ci siano molti Giuseppe al mondo. Cfr. Elsa Morante,
La Storia, op. cit., p. 567.
Si ricordino le parole dello stesso Pasolini: ‘‘Questo filosofo è stato allora, dapprima, un
saggio ‘‘reale’’, che cerca, attraverso una scandalosa e anarchica libertà, la realtà empirica e
assoluta, non sistematica, nelle cose. Un saggio quasi drogato, un amabile beatnik, un poeta
senza più nulla da perdere, un personaggio di Elsa Morante, un Bobi Bazlen, un Socrate
sublime e ridicolo, che non si arresta davanti a nulla, e ha l’obbligo di non dire mai bugie,
quasi che i suoi ispiratori fossero i filosofi indiani o Simone Weil’’ (Pasolini, 1966; www.pasolini.net/cinema_uccellacci_ilCorvo.htm; Naldini [1999: xcviii]). Bernabò (1991: 85) parla
anche delle somiglianze fra i personaggi della Storia e quelli del film pasoliniano.
Tòto è il nome inglese del cane di Dorothy, la protagonista del film di Victor Fleming Il
mago di Oz del 1939, anche questo un canto al potere della fantasia e della musica. La
famosa canzone Over the Rainbow, un altro manifesto dell’allegria infantile e della felicità,
va molto d’accordo con lo spirito fiabesco dello scherzo del romanzo morantiano.
Cfr. Bernabò (1999: 85).
L’ultimo scherzo de La Storia, quello che crea il legame musicale e giocoso fra Useppe,
Bella e Scimò rappresenta quindi la forza vitale della pura felicità, del puro gioco della
semplice allegria. Anche adesso, come nel Cielito lindo della Canzone di Giuda e dello
sposalizio, Morante condensa nella sua canzonetta la bellezza cantabile della gioventù
vitale e dell’allegria di quelli che vivono in un regno lontano dall’irrealtà della Storia. Cfr.
Elsa Morante, La canzone di Giuda e dello sposalizio. Parte terza. Canzoni popolari, in Il
mondo salvato dai ragazzini, op. cit., p. 180.
Cfr. Agamben (2011: 59).
Martı́nez Garrido
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