Santa Giovanna d`Arco - Salute degli Infermi
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Santa Giovanna d`Arco - Salute degli Infermi
Santa Giovanna d'Arco Giovanna d'Arco, in francese Jeanne d'Arc, o Jehanne Darc nella versione più arcaica (Domrémy-la-Pucelle, 6 gennaio 1412 – Rouen, 30 maggio 1431), eroina nazionale francese, oggi conosciuta come la Pulzella d'Orléans. Riunificò il proprio Paese contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei cent'anni, guidando vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi. Catturata dai Borgognoni davanti Compiègne, Giovanna fu venduta agli inglesi che la sottoposero ad un processo per eresia, al termine del quale, il 30 maggio 1431, fu condannata al rogo ed arsa viva. Nel 1456 papa Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarò la nullità di tale processo. Beatificata nel 1909 da Papa Pio X e canonizzata nel 1920 da Benedetto XV, Giovanna venne dichiarata patrona di Francia. Infanzia e giovinezza Nata a Domrémy[2] da Jacques Darc[3] ed Isabelle Romée[4], in una famiglia di contadini della Lorena, ma appartenente alla parrocchia di Greux, soggetta alla sovranità francese, Giovanna era una ragazzina molto devota e caritatevole; nonostante la giovane età visitava e confortava i malati e non era insolito che offrisse il proprio giaciglio ai senzatetto per dormire lei stessa per terra, sotto la copertura del camino[5]. All'età di tredici anni iniziò a udire voci celestiali spesso accompagnate da un bagliore e da visioni dell'Arcangelo Michele, di Santa Caterina e di Santa Margherita[6], come sosterrà in seguito. La prima volta che queste Voci le si palesarono, secondo il suo stesso racconto, reso durante il processo per eresia subíto a Rouen nel 1431, Giovanna si trovava nel giardino della casa paterna; era il mezzodì di un giorno d'estate[7]: sebbene sorpresa ed impaurita da quell'esperienza, Giovanna decise di consacrarsi interamente a Dio facendo voto di castità[8] «per tutto il tempo che a Dio fosse piaciuto»[9][10]. Nell'estate del 1428, a causa della guerra che opponeva il regno di Francia al regno d'Inghilterra ed alla Borgogna, la sua famiglia fuggì dalla valle della Mosa verso Neufchâteau, per sottrarsi alle devastazioni provocate dalle truppe di Antoine de Vergy, capitano borgognone[6]. Era da poco iniziato l'anno 1429 quando gli inglesi erano ormai prossimi ad occupare completamente Orléans, cinta d'assedio sin dall'ottobre del 1428[11]: la città, sul lato settentrionale della Loira, aveva, per la posizione geografica ed il ruolo economico, un valore strategico quale via d'accesso a tutte le regioni meridionali; per Giovanna, che sarebbe diventata una figura emblematica della storia di Francia, fu quello il momento - sollecitata dalle Voci che diceva di sentire - per correre in aiuto di Carlo, Delfino di Francia e futuro re, estromesso dalla successione al trono a beneficio della dinastia inglese nella guerra che sosteneva contro gli inglesi ed i loro alleati Borgognoni.[12] Come Giovanna stessa dichiarerà sotto interrogatorio[13], in un primo tempo mantenne il più stretto riserbo su queste apparizioni sovrannaturali, che all'inizio le parlavano della sua vita privata e che solo successivamente l'avrebbero spinta a lasciare la propria casa per guidare l'esercito francese. Tuttavia, i suoi genitori dovettero intuire qualcosa del cambiamento che stava avvenendo nella ragazza, forse anche allertati da qualche confidenza che Giovanna stessa si era lasciata sfuggire, come avrebbe ricordato, molti anni dopo, un suo amico di Domrémy[14], ed avevano deciso di darla in sposa ad un giovane di Toul. Giovanna rifiutò di accettare la proposta di matrimonio ed il suo fidanzato la citò in giudizio dinanzi al tribunale episcopale; ascoltate entrambe le parti, il tribunale diede ragione a Giovanna, dal momento che il fidanzamento era avvenuto senza il suo assenso[10][15]. Vinta anche la resistenza dei genitori, la ragazza ebbe di nuovo le mani libere e poté dedicarsi alla sua missione. La prima tappa del suo viaggio la portò sino a Vaucouleurs dove, con l'appoggio dello zio Durand Laxart, riuscì ad incontrare il capitano della piazzaforte, Robert de Baudricourt. Questi, al primo incontro, avvenuto il 13 maggio 1428[16], la schernì rimandandola a casa come una povera folle. Per nulla demoralizzata da quell'insuccesso, Giovanna si recherà altre due volte presso il capitano di Vaucouleurs e questi, forse spinto dal consenso che Giovanna sapeva raccogliere tanto tra il popolo quanto tra i suoi uomini, mutò parere sul suo conto, sino a convincersi (non prima di averla sottoposta ad una sorta di esorcismo da parte di un curato del luogo, Jean Fournier) della sua buona fede e ad affidarle una scorta che l'accompagnasse al cospetto del sovrano, come la ragazza domandava[5]. Le gesta belliche Il viaggio di Giovanna da Vaucouleurs a Chinon per incontrarsi col gentile Delfino, per usare le sue stesse parole, suscitò di per sé non poco interesse. Districandosi tra i confini sempre incerti e sfumati tra villaggi francesi ed anglo-borgognoni, recando con sé la promessa di un aiuto sovrannaturale che sarebbe stato in grado di rovesciare le sorti della guerra, ormai apparentemente segnate, l'esiguo drappello rappresentava l'ultima speranza per il partito che ancora sosteneva il "re di Bourges", come veniva sprezzantemente chiamato Carlo VII dai suoi detrattori. Il Bastardo d'Orléans inviò due suoi fidi a Gien, dove la Pulzella era passata, per raccogliere informazioni, e l'intero paese ne attendeva le gesta, che effettivamente vi furono, anche se pagate ad alto prezzo.[5][17] L'incontro con il Delfino Senza neppure avvisare i suoi genitori[9], Giovanna partì da Vaucouleurs il 22 febbraio 1429, accompagnata da un manipolo composto da Jean de Metz, Bertrand de Poulengy, uomini di fiducia di Robert de Baudricourt, ciascuno accompagnato da un proprio servitore, da Richard Larcher, e guidata da un corriere reale, Colet de Vienne, diretta a Chinon.[5] Il piccolo drappello percorse una non facile via fra territori contesi sino al castello di Chinon all'inizio del mese di marzo. Il fatto di essere scortata dagli uomini di un capitano fedele al Delfino probabilmente giocò non poco a favore dell'incontro con quest'ultimo.[5] Presentandosi al Delfino Carlo, dopo due giorni di attesa, nella grande sala del castello, Giovanna sostenne di essere stata inviata da Dio per portare soccorso a lui e al suo reame[18]. Tuttavia il Delfino, non fidandosi ancora completamente di lei, la sottopose ad un lungo esame in materia di fede, protrattosi per circa tre settimane, facendola interrogare da un gruppo di teologi[19] della giovane Università di Poitiers, nata nel 1422[6], sotto la guida di François Garivel, consigliere reale in materia di giurisprudenza.[5] Solo quando la giovane ebbe superato questa prova Carlo, convintosi, decise di affidarle un intendente, Jean d'Aulon, nonché l'incarico di "accompagnare" una spedizione militare - pur non ricoprendo alcun incarico ufficiale - in soccorso di Orléans assediata e difesa da Jean, Bastardo d'Orléans, mettendo così nelle sue mani, di fatto, le sorti della Francia.[6] Giovanna iniziò pertanto la riforma dell'armata trascinando con il suo esempio le truppe francesi e imponendo uno stile di vita rigoroso e quasi monastico: fece allontanare le prostitute che seguivano l'esercito, bandì ogni violenza o saccheggio, vietò che i soldati bestemmiassero; impose loro di confessarsi e fece riunire intorno al suo stendardo l'esercito in preghiera due volte al giorno, al richiamo del suo confessore, Jean Pasquerel. Il primo effetto fu quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia tra la popolazione civile ed i suoi difensori i quali, invece, avevano l'inveterata abitudine di tramutarsi da soldati in briganti quando non erano impegnati in azioni di guerra[20][21]. Soldati e capitani, contagiati dal carisma della giovane, sostenuti dalla popolazione di Orléans, si prepararono alla riscossa. L'assedio d'Orléans Sebbene non le fosse stata affidata formalmente nessuna carica militare, Giovanna divenne ben presto una figura centrale nelle armate francesi: vestita da soldato, impugnando spada e bandiera bianca con raffigurato Dio benedicente il fiordaliso francese ed ai lati gli Arcangeli Michele e Gabriele, ormai comunemente conosciuta da tutti come Jeanne la Pucelle ossia Giovanna la Pulzella (così come le Voci l'avevano chiamata[13]) raccolse un gran numero di volontari da tutto il regno e guidò le truppe infervorate in battaglia contro gli inglesi. Questi erano ormai arrivati a porre l'assedio ad Orléans, chiave di volta della valle della Loira, nella Francia centrale. Se la città fosse caduta, l'intera Loira meridionale sarebbe stata presa; la stessa Chinon, corte del futuro Carlo VII, non era molto lontana. Orléans era accerchiata dagli inglesi, che avevano costruito (o fortificato) otto fortezze intorno alla città, dalle quali tenevano l'assedio: le Tourelles (all'estremità del ponte sulla Loira), le bastie degli Augustins, di Saint-Jean-le-Blanc (sulla riva meridionale della Loira), di Saint-Laurent, di Saint-Loup, le tre dette "Londre", "Rouen" e "Paris" (sulla riva settentrionale della Loira), ed infine di Charlemagne (sull'isola omonima)[11]. Gli assediati erano tuttavia riusciti a tenere libera la porta di Bourgogne e quando Giovanna, lasciata Blois il 27 aprile, giunse sulla riva meridionale, in sella ad un destriero bianco e preceduta da un lungo corteo di preti intonanti il Veni Creator, di fronte al piccolo borgo di Chécy, il 29 aprile, trovò ad attenderla il Bastardo d'Orléans, che la pregò di entrare in città per quella via mentre i suoi uomini compivano manovre diversive; l'esercito ed i rifornimenti - necessari per sfamare la popolazione allo stremo - avrebbero invece atteso di poter essere traghettati attraverso il fiume non appena il vento fosse divenuto favorevole.[22] L'incontro tra il giovane comandante e Giovanna fu burrascoso; dinanzi alla decisione di attendere che il vento girasse in modo da consentire l'ingresso dei rifornimenti e dei rinforzi, Giovanna rimproverò aspramente l'uomo di guerra, sostenendo che suo compito sarebbe stato quello di condurre lei e l'esercito direttamente in battaglia. Il Bastardo d'Orléans non ebbe neppure tempo di replicare poiché pressoché subito il vento mutò direzione e divenne favorevole al transito sulla Loira, consentendo l'ingresso per via d'acqua dei rifornimenti e dei rinforzi - circa 4000 uomini - che Giovanna aveva recato con sé.[5][22][11] Nel frattempo, sulla via per Orléans, Giovanna era stata inaspettatamente raggiunta da due dei suoi fratelli: Giovanni e Pietro, che si erano uniti ai soldati[23]. Dopo alcuni giorni, durante i quali venne presa la bastia di Saint-Loup, Giovanna attaccò le bastie maggiormente fortificate (bastie di Saint-Jean-le-Blanc e degli Augustins)[17] a sud del fiume, conquistandole il 6 maggio dopo una giornata di combattimenti; l'indomani, 7 maggio 1429, riuscì a rompere l'accerchiamento, guidando le truppe, pur essendo ferita ad una spalla da una freccia, tra il collo e la scapola, alla riconquista della bastia delle Tourelles, senza smettere di combattere o farsi curare sino al termine delle ostilità[24], rientrando nella città attraverso il ponte[22][17]. Il giorno seguente, l'8 maggio 1429, l'esercito assediante demolì le proprie bastie, abbandonando i prigionieri, e si dispose a dare battaglia in campo aperto. Giovanna, il Bastardo d'Orléans e gli altri capitani schierarono anch'essi le loro forze e per un'ora i due eserciti si fronteggiarono; alla fine, gli inglesi si ritirarono e Giovanna impose ai francesi di non inseguirli, sia perché era domenica, sia perché si stavano allontanando di loro spontanea volontà. La città era libera, finalmente. Giovanna e l'esercito, prima di tornarvi, unitamente al popolo, assistettero ad una messa a cielo aperto, ancora in vista del nemico[20]. Il successo fu fondamentale per le sorti della guerra, poiché esso impedì che gli angloborgognoni potessero occupare l'intera parte meridionale del paese e marciare verso il Sud fedele a Carlo e, inoltre, diede inizio a un'avanzata nella valle della Loira culminata nella battaglia di Patay. L'armamento Giovanna aveva lasciato Chinon indossando un'armatura bianca e montando un cavallo nero. Al fianco portava una spada che aveva fatto cercare presso la chiesa di Santa Caterina di Fierbois ed una piccola ascia nella destra, mentre il suo paggio portava il suo stendardo bianco[20]. Solitamente, però, ella stessa reggeva il proprio stendardo, non volendo arrecare ferite mortali ai suoi nemici. A seguito della rottura accidentale della prima spada, Giovanna la sostituì con un'altra, presa ad un soldato borgognone fatto prigioniero[13]. La campagna della Loira Dopo soli due o tre giorni dalla liberazione di Orléans, Giovanna ed il Bastardo d'Orléans si misero in viaggio per incontrare il Delfino a Tours, seguendo l'armata reale sino a Loches[5][17]; in effetti, sebbene l'entusiasmo popolare si fosse acceso in un solo istante, così come l'interesse dei governanti, incluso l'imperatore Sigismondo, il rischio che si spegnesse con uguale facilità, lasciando solo il ricordo delle gesta alle poesie di Christine de Pisan o di Carlo d'Orléans (all'epoca prigioniero), era reale[11]. La corte era divisa e molti nobili tentati di trarre profitti personali dall'inaspettata vittoria, temporeggiando o suggerendo obiettivi bellici d'interesse strategico secondario rispetto al cammino che Giovanna aveva tracciato, lungo la Valle della Loira, sino a Reims. Il Bastardo d'Orléans, forte della propria esperienza militare, dovette esercitare tutta la sua influenza sul Delfino prima che questi si decidesse, infine, ad organizzare una spedizione su Reims.[22] Il comando dell'armata reale, nuovamente radunata nei pressi di Orléans, il 9 giugno 1429, venne affidato al duca Giovanni II d'Alençon, principe di sangue, subito raggiunto dalle compagnie del Bastardo d'Orléans e di Florent d'Illiers di Châteaudun[17]. L'esercito raggiunse Jargeau l'11 dello stesso mese; al loro arrivo i francesi erano intenzionati ad accamparsi nei sobborghi della città ma furono quasi travolti da un'offensiva inglese; Giovanna guidò al contrattacco la propria compagnia e l'esercito poté acquartierarsi. Il giorno seguente, fu nuovamente Giovanna a risolvere un consiglio di guerra con irruenza, esortando ad attaccare senza esitazioni. Grazie ad un diversivo improvvisato dal Bastardo d'Orléans, le mura sguarnite vennero conquistate e così la stessa città. Durante le ostilità, Giovanna, con lo stendardo in pugno, incitava gli uomini che davano l'assalto; ella fu nuovamente ferita, questa volta colpita al capo da un pesante masso. Tuttavia, la Pulzella, caduta al suolo, fu subito sorprendentemente in grado di rialzarsi. Il 13 e il 14 giugno l'esercito francese, di ritorno ad Orléans, ripartì immediatamente per un'offensiva su Meung-sur-Loire. Con un attacco fulmineo il 15 giugno venne preso il ponte sulla Loira e posta una guarnigione sullo stesso; l'esercito poi passò oltre, per accamparsi davanti a Beaugency.[22][17] La notte stessa gli inglesi tentarono di riprendere il controllo del ponte di Meung-sur-Loire con un assalto improvviso ma, respinti, si arroccarono nel castello di Beaugency. In effetti, in campo inglese era atteso soprattutto il corpo d'armata di rinforzo comandato da sir John Fastolf, uno dei più famosi capitani, che si era persino liberato del peso dei rifornimenti ed ora procedeva a marce forzate.[10][17][11] Pressoché contemporaneamente, tuttavia, anche l'esercito francese acquisiva un nuovo, e per certi versi scomodo, alleato, il Conestabile Arturo di Richemont, su cui pesava il bando dalle terre del Delfino per antiche controversie, alla testa dei suoi Bretoni.[22] Le reazioni all'interno dell'esercito furono per lo più ostili al Conestabile; il duca D'Alençon rifiutò di cedere il comando dell'armata reale a Richemont, che ne avrebbe avuto il diritto, in qualità di Conestabile di Francia, senza nemmeno avvisare il Delfino (ed eventualmente attendere le sue decisioni) ma senza neppure consultarsi con gli altri capitani o, quantomeno, col Bastardo d'Orléans, pur sempre cugino del sovrano. Giovanna, per suo conto, maggiormente attenta ai bisogni dell'esercito e, al contempo, nel suo candore, incurante dei rancori e delle lotte intestine che dividevano la nobiltà, chiese al Conestabile se fosse pronto ad aiutarli onestamente; in altre parole, di offrire la propria parola e la propria spada al Valois; ricevuta da Richemont piena assicurazione su questo non esitò, di sua iniziativa, ad ammetterlo nell'esercito. In effetti, d'ora innanzi il Conestabile darà prova della propria lealtà a Carlo; tuttavia, l'accettazione nei ranghi dell'esercito di quell'uomo in disgrazia compromise non poco la fiducia accordatale. Qualcuno, probabilmente, glielo fece notare, ma con semplicità Giovanna rispose che aveva bisogno di rinforzi. Questo era senz'altro vero. Il castello di Beaugency, vista arrivare la compagnia di Bretoni, si decise infine a capitolare. Gli inglesi negoziarono la resa contro un salvacondotto che permise loro di lasciare la città il 17 giugno. Con la spensieratezza e la volontà di riappacificazione che le erano proprie e con l'impeto della giovinezza Giovanna si era esposta a favore di un uomo in disgrazia, a rischio della fiducia stessa di cui ella godeva presso la corte.[21][11] L'armata francese si rimise in cammino; all'avanguardia, le compagnie del Bastardo d'Orléans e di Jean Poton de Xaintrailles, seguite dal Corpo d'armata principale, comandato da La Hire, capitano di ventura e brigante che già aveva partecipato all'assedio d'Orléans ma che ormai aveva sposato anima e corpo la causa della Pulzella; alla retroguardia, il signore di Graville e, questa volta, la stessa Giovanna. La sera del 17 giugno l'esercito si vide sbarrare la strada da quello inglese, schierato in assetto da battaglia in campo aperto. Due araldi inglesi furono inviati a lanciare la sfida all'armata reale, posizionata in cima ad una bassa collina. Tuttavia, memore delle passate sconfitte, il Duca D'Alençon esitava ad accettare il confronto. Fu Giovanna che, giungendo dalle retrovie, diede risposta al nemico, invitandolo a ritirarsi nei propri alloggiamenti, vista l'ora tarda, e rimandando la battaglia al giorno successivo[11]. Quella notte, mentre un incerto Duca D'Alençon chiedeva conforto a Giovanna, che lo rassicurava sia della vittoria, sia della relativa facilità con cui sarebbe stata conseguita, l'esercito inglese, agli ordini del Conte di Shrewsbury, John Talbot, si riposizionò per poter dispiegare le proprie forze, il giorno seguente, in modo da poter sorprendere i nemici in una strettoia in cui i francesi sarebbero dovuti necessariamente passare. Tuttavia, le cose andarono diversamente.[5] La battaglia di Patay Il 18 giugno 1429 un cervo attraversò il campo inglese, accampato presso Patay, ed i soldati, lanciato un alto grido, si misero al suo inseguimento; gli esploratori francesi, che si trovavano a poca distanza, poterono quindi indicare con rapidità e precisione la posizione del nemico ai capitani, che non si lasciarono sfuggire l'occasione. L'avanguardia dell'esercito, cui si unirono anche le compagnie di La Hire e della stessa Giovanna, attaccò improvvisamente il campo[22], prima che gli inglesi avessero modo di erigere la consueta barriera di rigidi stocchi dinanzi a loro, che solitamente impediva alla cavalleria di travolgerli e dava modo agli arcieri di compiere stragi tra le file del nemico. Senza questa protezione, in campo aperto, l'avanguardia inglese fu schiacciata dalla cavalleria pesante francese.[5] Dopo questo primo caso fortuito, un'incredibile catena di errori, malintesi e tattiche errate lasciò inoltre l'esercito inglese nella più totale confusione. Dapprima alcuni contingenti tentarono di ricongiungersi in tutta fretta al corpo d'armata principale, guidati dal Conte Talbot, ma questo fece credere al capitano dell'avanguardia che fossero stati sconfitti, al che egli stesso, accompagnato dal portastendardo, si diede ad una fuga disordinata, cui presto si unirono le altre compagnie poste a difesa del corpo d'armata principale, lasciando il grosso dell'esercito esposto agli attacchi francesi senza più alcuna protezione. Sopraggiungendo, sir John Fastolf si avvide del pericolo e prese la decisione di ritirarsi, anziché soccorrere Talbot, mettendo in salvo almeno il proprio corpo d'armata[5][21]. Per gli inglesi si trattò di una sconfitta completa quanto del tutto inattesa; in quella che sarebbe stata ricordata come la battaglia di Patay lasciarono sul campo oltre duemila uomini, mentre da parte francese si contarono solo tre morti e alcuni feriti.[5][6] Gli echi della battaglia giunsero sino a Parigi, nella convinzione che ormai un attacco sulla città fosse imminente; in campo avverso la fama di Giovanna la Pulzella crebbe enormemente, almeno quanto la sua importanza nelle file francesi.[6] La battaglia di Patay fu anche un modo per Giovanna di confrontarsi, ancora una volta, con la dura realtà della guerra; se era solita pregare per i soldati caduti da entrambe le parti, se aveva pianto ad Orléans nel vedere tanta violenza, qui, dopo una vittoria in campo aperto, vedeva i suoi soldati (peraltro non più trattenuti dalla guida del Bastardo d'Orléans, che aveva fatto regnare la disciplina ferrea imposta dalla Pulzella nell'esercito, ma affidati al comando del Duca D'Alençon) abbandonarsi ad ogni brutalità. Dinanzi ad un prigioniero inglese colpito con tale violenza da stramazzare al suolo Giovanna scese da cavallo e lo tenne tra le braccia, consolandolo ed aiutandolo a confessarsi, sino a che la morte non sopraggiunse per quel nemico che le aveva mostrato tutta la sua debolezza ed umanità[20]. La consacrazione del Re a Reims Dopo Patay, molte città e piazzeforti minori, a partire da Janville, si arresero volontariamente all'esercito francese. Mentre l'armata reale rientrava, vittoriosa, ad Orléans, il sovrano indugiava, invece, a Sully-sur-Loire[11], probabilmente per evitare un incontro imbarazzante con Richemont[17]. Giovanna ed il Duca D'Alençon cavalcarono velocemente verso il Delfino, ottenendo, nonostante il recente ed eclatante successo, una fredda accoglienza. Il contrasto tra i colori della città in festa, che l'aveva già vista trionfante ed ora l'acclamava, e l'umore cupo, vitreo, della corte, dovettero creare un'aspra dissonanza nell'animo di Giovanna che, tuttavia, instancabile, non cessò di rassicurare ed esortare il gentile Delfino affinché si recasse a Reims[22]. Nei giorni seguenti, la Pulzella cavalcò a fianco del sovrano sino a Châteauneuf-sur-Loire, dove il 22 giugno si sarebbe tenuto consiglio su come proseguire la campagna militare. Qui ebbe luogo, nuovamente, il confronto tra coloro che consigliavano prudenza e attesa o, nella più ardita delle ipotesi, l'impiego dell'esercito per il consolidamento della posizione raggiunta, e la maggioranza dei capitani, meno influenti presso la corte, ma che avevano sperimentato sul campo il formidabile potenziale di cui disponevano. L'esercito non era solo forte di 12.000 armati, ma anche del loro entusiasmo e della loro lealtà, e, per la prima volta da lungo tempo, poteva contare anche sull'appoggio popolare, tanto che ogni giorno nuovi volontari venivano ad aggiungersi.[20] Infine, le insistenze della Pulzella, impaziente e dominata dal pensiero ricorrente della Consacrazione, affinché l'esercito marciasse risolutamente su Reims, vennero accolte[11]. Il 29 giugno 1429, presso Gien, l'esercito "della Consacrazione", comandato, almeno nominalmente, dal Delfino in persona, si mise in marcia in pieno territorio borgognone.[5] Lungo il tragitto, la prima città in mano nemica che l'armata reale incontrò fu Auxerre che, all'intimazione di arrendersi, rispose, per voce dei borghesi, che avrebbe concesso la propria obbedienza solo se Troyes, Châlons e la stessa Reims lo avessero fatto; il consiglio di guerra decise di accettare.[5] Preceduto da una lettera di Giovanna, l'esercito giunse quindi dinanzi a Troyes, il luogo stesso in cui il Delfino era stato estromesso dalla successione al trono. La nutrita guarnigione di inglesi e borgognoni di Troyes rifiutò di arrendersi e si dispose alla battaglia; per di più, viveri e rifornimenti iniziavano a scarseggiare in campo francese; il consiglio dei capitani di guerra, riunitisi dinanzi al Delfino, sembrava propenso a interrompere la spedizione o, al limite, a raggiungere Reims lasciandosi alle spalle Troyes ancora in mano anglo-borgognona. Giovanna, al limite della pazienza, osò bussare alle porte del consiglio. Venne ricevuta con scetticismo. Dinanzi alle difficoltà che le furono prospettate, obiettò che la città sarebbe stata senz'alcun dubbio presa e, quando chiese che le venissero concessi solo due o tre giorni, infine, le furono accordati. Senza porre tempo in mezzo, la Pulzella fece schierare l'esercito in assetto da battaglia, e, minacciosamente, l'artiglieria che faticosamente avanzava sino a che fosse a tiro delle mura, agitando il proprio stendardo nel vento. I cittadini furono presi dal panico, così come la guarnigione. Lo spiegamento di forze che Giovanna stava preparando era impressionante. In breve, vennero inviati messaggeri al campo francese. Troyes si arrendeva e riconosceva Carlo come proprio sovrano. Le truppe inglesi e borgognone ottennero di poter lasciare la città con quanto avevano, ed anche coi loro prigionieri. Giovanna si oppose; chiese che fossero liberati e Carlo pagò il loro riscatto[20]. Il 10 luglio Giovanna la Pulzella entrava a Troyes con la propria compagnia e, di lì a poche ore, Carlo faceva il suo ingresso trionfale nella città. Senza colpo ferire, l'ostacolo più grande che si frapponeva tra l'esercito e Reims era caduto.[17] L'esercito "della Consacrazione", sempre sotto l'impulso della Pulzella, riprese velocemente la strada per Reims. Si diresse dapprima verso Châlons, ove gli venne incontro il Vescovo della città, accompagnato da una delegazione di cittadini, che fece atto di piena obbedienza a Carlo, il 14 luglio; quindi, verso Sept-Saulx, ove gli abitanti avevano costretto la guarnigione anglo-borgognona ad abbandonare la città[17]. Lungo la via, Giovanna ebbe la gioia d'incontrare alcuni abitanti del suo paese natale, Domrémy, che avevano affrontato un difficile viaggio per presenziare alla solenne Consacrazione del Re, così come una moltitudine di persone dalle più diverse parti di Francia, e di riabbracciare suo padre, riconciliandosi con i suoi genitori per quella partenza segreta verso Vaucouleurs di soli pochi mesi prima. Frattanto, il 16 luglio, il Delfino riceveva nel castello di Sept-Saulx una delegazione di borghesi di Reims che offrivano la totale obbedienza della città. Il giorno stesso l'esercito vi fece il suo ingresso e vennero iniziati i preparativi per la cerimonia della Consacrazione del Re a Reims.[5] Il 17 luglio 1429, dopo aver trascorso la notte in veglia di preghiera, Carlo VII fece il suo ingresso nella cattedrale, tra la folla festante, insieme agli "ostaggi" della Santa Ampolla, quattro cavalieri incaricati di scortare la reliquia che dai tempi di Clodoveo era utilizzata per consacrare ed incoronare il Re di Francia, pronunciò i giuramenti prescritti dinanzi all'officiante, l'arcivescovo Regnault de Chartres; da un lato, presenziavano sei "pari ecclesiastici", dall'altro, sei "pari laici", esponenti della nobiltà, tra i quali, in rappresentanza del fratellastro prigioniero, il Bastardo d'Orléans[22]. Dinanzi a tutti gli altri stendardi, però, a un passo dall'altare, era stato posizionato quello bianco della Pulzella, e la stessa Giovanna assisteva alla cerimonia vicinissima al Re; infine, il sovrano, unto con il crisma, venne rivestito dei paramenti rituali e ricevette la corona, assumendo il nome di Carlo VII[6]. Mentre i "pari laici" annunciavano al popolo la consacrazione e la festa s'iniziava per le vie della città, Giovanna si gettò dinanzi a Carlo, abbracciandogli le ginocchia, piangente, ed esclamando: «O gentile Re, ora è compiuto il volere di Dio, che voleva che vi conducessi a Reims per ricevere la Consacrazione, dimostrando che siete il vero re, e colui al quale il Regno di Francia deve appartenere!»[20][17] L'eredità ideale di Giovanna d'Arco Dopo quella giornata, che aveva rappresentato l'apice delle imprese e dei progetti di cui Giovanna si sentiva investita, la ragazza si sentì avvolgere da un'aura di sconforto che non l'abbandonerà più sino al giorno della sua cattura. Dopo la gioia di aver visto consacrare il suo re, di aver incontrato molti suoi compaesani che l'avevano vista partire come una folle visionaria e che, dopo aver affrontato il lungo viaggio sino a Reims, la ritrovavano a reggere il proprio stendardo nella cattedrale dinanzi a quello di tutti gli altri nobili e capitani, dopo essersi riconciliata coi genitori che sempre si erano opposti alla sua partenza ed ora la guardavano meravigliati e commossi[13], Giovanna avvertiva che ormai il suo compito era terminato. Confidando al Bastardo d'Orléans che era al suo fianco che avrebbe volentieri, ormai, lasciato le armi per tornare nella casa paterna[5], e che se avesse dovuto scegliere un luogo ove morire sarebbe stato tra quei semplici contadini che l'avevano seguita, semplici ed entusiasti, sentiva tutto il peso della missione di cui si era fatta carico e che le appariva oramai compiuta.[17][20] In realtà, Giovanna lasciava un'eredità ideale e spirituale non da poco; in un mondo di violenze e sopraffazioni aveva dimostrato, seguendo i propri convincimenti religiosi, che era possibile riportare la pietà e la giustizia in un ambiente che le aveva dimenticate da molto. Sia al suo arrivo ad Orléans, sia alla formazione dell'esercito "della Consacrazione", Giovanna aveva imposto ai combattenti di astenersi dal saccheggiare e taglieggiare le popolazioni (talvolta le stesse che nominalmente avrebbero dovuto difendere), proibito di uccidere nemici e prigionieri dai quali non si sarebbe potuto trarre riscatto, cercato instancabilmente una "buona pace stabile" con i nemici sia inglesi sia borgognoni[5] senza stancarsi d'inviare loro lettere in cui li invitava a deporre le armi sulla base del semplice amore cristiano; aveva galvanizzato il popolo a tal punto che i più umili contadini così come i nobili si sentivano parte integrante di una sola nazione.[20] Questa eredità non andrà perduta con il suo supplizio. Ciò che in Giovanna era frutto della fede, del dialogo con le sue Voci, continuerà a vivere negli ideali di un popolo: l'idea di un'identità nazionale francese sarà presente e centrale sino ai giorni nostri; il suo slancio verso una forma di guerra che, pur nella violenza, risparmiasse i civili e non fosse condotta da capitani di ventura, che sin troppo spesso si tramutavano in briganti, ma da ufficiali della corona, porteranno sia alla formazione di un esercito nazionale permanente, sia ai primi rudimenti del diritto di guerra. Questo avverrà soprattutto con la promulgazione da parte di Carlo VII dell'«Ordinanza d'Orléans» del 1439 (che riprendeva la precedente Ordinanza del 1374, emanata da Carlo V[19]), in cui si sanciva "il diritto delle genti, uguale per tutti, d'essere rispettati nella propria vita e nei propri beni", il divieto di servirsi di bande di mercenari senza che questi non rispondessero direttamente alla corona, la responsabilità dei capitani per ogni danno arrecato alla popolazione civile. Con la stessa ordinanza, emanata sotto la spinta e l'ispirazione del Bastardo d'Orléans, uomo ammirato e temuto ma circondato da fama di originalità, sia per la sua devozione alla causa di Giovanna anche dopo la sua morte, sia perché era tra i pochi capitani di guerra che riuscivano a limitare la violenza al campo di battaglia, era finalmente istituito un unico esercito regio.[5][22] Le altre campagne militari Dopo la Consacrazione, Carlo VII soggiornò per tre giorni a Reims, attorniato dall'entusiasmo popolare; infine, accompagnato dall'esercito, riprese il cammino, quando ormai gli echi di quell'impresa apparentemente impossibile si erano già sparsi per il paese. Entrò così a Soissons ed a Château-Thierry, mentre Laon, Provins, Compiègne ed altre città facevano atto di obbedienza al Re. L'armata reale trovava la strada spianata dinanzi a sé.[17] Giovanna cavalcava insieme al Bastardo d'Orléans e a La Hire, assegnata ad uno dei "corpi di battaglia" dell'esercito regio.[6] Mentre il successo arrideva al progetto di Giovanna, le invidie e gelosie di corte riaffioravano. Il giorno stesso della Consacrazione, tra le assenze, spiccava quella del Conestabile Richemont, che avrebbe dovuto reggere simbolicamente la spada durante la cerimonia ma che, ancora in disgrazia, aveva dovuto cedere l'incarico al Sire d'Albret.[22] Inoltre, era sempre più profonda la spaccatura tra i nobili che appoggiavano Giovanna ed avrebbero voluto dirigersi verso Saint-Denis per riconquistare poi la stessa Parigi e coloro che, nell'improvvisa ascesa del sovrano, vedevano un'opportunità per accrescere il proprio potere personale, soprattutto se fosse stato loro concesso il tempo necessario e se le relazioni con la Borgogna fossero migliorate. Fra questi ultimi, oltre a La Trémoïlle, favorito del re ed acerrimo rivale di Richemont, non pochi membri del Consiglio reale; prendere tempo, indugiare, acquisire potere ed influenza erano obiettivi diametralmente opposti a quelli della Pulzella, il cui fine era sempre stato solo uno, la vittoria, e la cui rapidità d'azione ora intralciava i piani della fazione più vicina a La Trémoïlle.[5] Nel frattempo, l'esercito, partito da Crépy-en-Valois, il 15 agosto 1429, si trovò dinanzi l'armata inglese, schierata in formazione da battaglia, presso Montépilloy; questa volta, gli inglesi avevano preparato con cura la siepe di pioli che avrebbe impedito ogni carica di cavalleria frontale ed attendevano i francesi al varco; questi ultimi non riuscivano a far spostare il nemico dalle sue posizioni, nonostante gli sforzi della compagnia di La Hire che tentò invano di impegnarlo in battaglia per dare modo agli altri reparti di intervenire. Dopo una giornata spossante, tra il vento e la polvere, gli inglesi si ritirarono verso Parigi[6]. L'armata francese rientrò a Crépy, quindi raggiunse prima Compiègne e, da lì, SaintDenis, luogo delle sepolture reali. Qui, per ordine di Carlo VII, iniziò lo scioglimento dell'"esercito della Consacrazione", in attesa delle trattative con la Borgogna che, oltre una tregua di quindici giorni, non approdarono mai a quella "buona pace stabile" che Giovanna si augurava. Il Bastardo d'Orléans e la sua compagnia vennero licenziati e fatti ripiegare su Blois, ad ispezionare inutilmente i territori del Ducato d'Orléans. L'atteggiamento della corte verso la Pulzella era indubbiamente mutato; a Saint-Denis Giovanna dovette evidentemente avvertire la differenza, le sue Voci la consigliarono, in quelle circostanze, di non procedere oltre. Questa volta, però, le sue parole furono accolte come quelle di uno dei tanti capitani di guerra al servizio della corona; l'aura d'entusiasmo che l'attorniava stava diminuendo, almeno presso la nobiltà.[20] Accanto a Giovanna, per il momento, rimanevano il Duca D'Alençon e La Hire[5]. Il Re e la corte, infatti, anziché approfittare del momento propizio per marciare su Parigi, avevano iniziato una serie di trattative con il Duca di Borgogna, Filippo il Buono, al quale era stata affidata dagli inglesi la custodia della capitale, rinunciando ad adoperare le risorse militari di cui disponevano. Il 21 agosto, a Compiègne, città difesa da Guglielmo di Flavy, iniziarono a prendere forma le linee di una tregua più lunga. Effettivamente, gli inglesi semplicemente non avevano più risorse finanziarie per sostenere la guerra.[20] Ciononostante, la tregua con la potenza anglo-borgognona sembrava non tenere conto della debolezza della controparte e venne condotta, da parte francese, in modo da assicurare, di fatto, una pausa nelle ostilità senza ottenere significativi vantaggi in cambio. Giovanna e gli altri capitani, nel frattempo, si attestarono presso le mura di Parigi; il Duca D'Alençon mantenne i contatti con la corte, all'oscuro delle trattative in corso, convincendo infine Carlo VII a raggiungere Saint-Denis. L'8 settembre 1429 i capitani decisero di prendere d'assalto Parigi. Giovanna acconsentì all'offensiva, stanca di continui rinvii.[5] Lasciato l'accampamento de La Chapelle, a metà strada fra Saint-Denis e Parigi, l'esercito prese d'assalto la porta "Saint Honoré" a colpi d'artiglieria, sino a che i difensori del camminamento che la sovrastava non si ritirarono all'interno; mentre D'Alençon comandava le truppe a difesa dell'artiglieria, Giovanna si recò con la sua compagnia fin sotto le mura della città, circondate da un primo ed un secondo fossato; il secondo era allagato e qui la Pulzella dovette fermarsi, ordinando di gettare fascine e altro materiale per riempirlo. D'improvviso, venne ferita da una freccia che le attraversò la coscia[17]. Ciononostante, non volle lasciare la posizione; si ritirò al riparo del primo fossato fino a sera, quando fu suonata la ritirata. Il Duca D'Alençon la raggiunse e la fece trascinare via a forza mentre, sconfitto, l'esercito si ritirava nuovamente al campo[26]. Il giorno seguente, nonostante la ferita, Giovanna si preparava ad un nuovo assalto, quando lei ed il Duca D'Alençon furono raggiunti da due emissari, il Duca di Bar ed il Conte di Clermont, che le intimarono, per ordine del Re, di interrompere l'offensiva e tornare a Saint-Denis. Giovanna ubbidì. Probabilmente rimproverata per quell'insuccesso[6] dovuto ad un'iniziativa neppure sua, ma essenzialmente decisa dai capitani che agivano in nome del Re[27], infine, Giovanna la Pulzella ritornò alle rive della Loira, dopo aver solennemente deposto sull'altare della chiesa di Saint-Denis la sua armatura.[5] Il 21 settembre 1429, a Gien, venne disciolto definitivamente dal Re l'esercito "della Consacrazione". Giovanna, separata dalle truppe e dal Duca D'Alençon, fu ridotta all'inazione; affidata al Sire d'Albret fu condotta a Bourges, ospite di Margherita di Tourolde, moglie di un consigliere del sovrano, ove rimase tre settimane. Carlo VII, infine, ordinò a Giovanna di accompagnare una spedizione contro Perrinet Gressart, comandante anglo-borgognone; il corpo di spedizione, formalmente comandato dal Sire d'Albret, pose l'assedio a Saint-Pierre-le-Moûtier, il 4 novembre la città fu presa d'assalto e l'esercito più volte respinto; infine, fu suonata la ritirata. Giovanna rimase invece sotto le mura con pochi soldati; quando il suo attendente, Jean D'Aulon, le chiese perché non tornasse indietro insieme agli altri, rispose che aveva intorno a sé cinquantamila uomini, mentre in realtà egli ne vide solo quattro o cinque[20]. Ripreso coraggio, l'esercito si volse nuovamente all'attacco, attraversò il fossato e prese la città. L'esercito allora mosse verso La Charitésur-Loire ed iniziò a fine novembre uno spossante assedio che si protrasse per circa quattro settimane, al termine delle quali dovette ritirarsi[5], lasciando sul campo anche i migliori pezzi d'artiglieria[6]. Giovanna ritornò a corte, presso il Re, trascorrendo il tempo principalmente a Sully-surLoire dopo aver passato il Natale a Jargeau. Stanca dell'inattività forzata, fra marzo ed i primi di aprile Giovanna si rimise in marcia, alla testa di circa duecento soldati comandati da Bartolomeo Baretta e, passando per Melun, giunse infine, il 6 maggio 1430, a Compiègne, difesa da Guglielmo di Flavy; la città, assediata, si opponeva ostinatamente alle truppe anglo-borgognone[5]. A Montargis, il Bastardo d'Orléans venne raggiunto dalla notizia della nuova offensiva borgognona e si mise in viaggio per chiedere al Re il comando di un Corpo d'armata. Lo ottenne. Troppo tardi, tuttavia, per soccorrere Giovanna che, il 23 maggio 1430, fu catturata durante una sortita insieme al suo intendente, Jean D'Aulon, sotto le mura di Compiègne[19][22]. La prigionia e il supplizio La sera del 23 maggio 1430, mentre proteggeva la ritirata delle compagnie che stavano rientrando in Compiègne assediata, Giovanna fu strattonata da cavallo e costretta ad arrendersi al Bastardo di Wamdonne, al servizio di Jean de Luxembourg, vassallo del Re d'Inghilterra.[22] Il 6 dicembre dello stesso anno Giovanna venne venduta agli inglesi, dopo quattro mesi di prigionia nel castello di Beaurevoir, per la somma di 10.000 franchi tornesi (equivalente a 10.000 scudi d'oro[28]), in qualità di prigioniera di guerra. Dopo un processo per eresia iniziato il 9 gennaio, Giovanna fu arsa viva nella piazza del mercato vecchio di Rouen il 30 maggio 1431.[29] La cattura Giovanna lasciò la corte di CarloVII tra il marzo ed l'aprile 1430; ingaggiando nuovamente combattimenti sporadici con gli anglo-borgognoni, alla testa di contingenti in parte formati da volontari, in parte da mercenari, tra cui duecento piemontesi agli ordini di Bartolomeo Baretta[5], in parte agli ordini di Barbazan, nuovamente libero, che si unì a lei a Lagny. A maggio si rinchiuse nella città di Compiègne assediata e da lì iniziò una serie di sortite eclatanti ma con scarso esito. Il 23 maggio 1430 Giovanna tentò un attacco a sorpresa contro la città di Margny, dove trovò una resistenza più forte del previsto e, dopo essere stata respinta per tre volte, vedendo giungere al nemico altri rinforzi dalle postazioni vicine, comandò la ritirata al riparo delle mura di Compiègne[22]. Ad un certo punto, il governatore della città, Guglielmo di Flavy, diede ordine di chiudere le porte delle mura nonostante le ultime compagnie non fossero ancora rientrate; ordine che, secondo alcuni, costituirebbe una prova del suo tradimento, essendosi egli accordato segretamente col nemico per rendere possibile la cattura della Pulzella[5]; secondo altri, benché questa eventualità sia possibile, non è dimostrabile[6]. Ad ogni modo, mentre l'esercito rientrava nella città, Giovanna, che ne proteggeva la ritirata, circondata ormai da pochi uomini della sua compagnia, fu cinturata e strattonata da cavallo, dovendo arrendersi al Bastardo di Wamdonne insieme al suo intendente, Jean D'Aulon[22]. Fatta prigioniera insieme al suo intendente ed al fratello Pietro, Giovanna fu condotta in un primo tempo alla fortezza di Clairoix, quindi, dopo pochi giorni, al castello di Beaulieu-lesFontaines sino al 10 luglio, ed infine al castello di Beaurevoir. Qui, Giovanna venne trattata come una prigioniera d'alto rango e, infine, riuscì a conquistarsi la simpatia di tre dame del castello che, stranamente, portavano il suo stesso nome: Jeanne de Béthune, moglie di Jean de Luxembourg, la di lei figlia di prime nozze Jeanne de Bar ed infine Jeanne de Luxembourg, zia del potente vassallo, che giungerà sino al punto di minacciare di diseredarlo qualora la Pulzella fosse stata consegnata agli inglesi[6]. Del pari, Giovanna avrebbe ricordato con affetto queste tre donne durante gli interrogatori, ponendole su un piano di rispetto immediatamente inferiore a quello dovuto solo alla propria regina[30]. Dopo la morte di Jeanne de Luxembourg, tuttavia, la Pulzella fu trasferita, tra novembre e dicembre, numerose volte in diverse piazzeforti, sino a giungere, il 23 dicembre, a Rouen. Dopo la cattura di Giovanna, il re non offrì un riscatto per la prigioniera, né fece passi ufficiali per trattarne la liberazione. Secondo alcuni, Giovanna, ormai divenuta sin troppo popolare, fu abbandonata al suo destino[21]. Secondo altri, invece, Carlo VII avrebbe incaricato segretamente prima La Hire, che venne catturato in un'azione militare, e poi il Bastardo d'Orléans, di liberare la prigioniera durante i trasferimenti da una piazzaforte ad un'altra, come proverebbero alcuni documenti che attestano due "imprese segrete" presso Rouen, di cui uno datato 14 marzo 1431, in cui il Bastardo d'Orléans accusa ricevuta di 3.000 lire tornesi per una missione oltre la Senna.[22] La prigionia e il processo Giovanna aveva già provato a sottrarsi alla prigionia sia a Beaulieu-les-Fontaines, approfittando di una distrazione delle guardie, sia al castello di Beaurevoir, annodando delle lenzuola per calarsi da una finestra per poi lasciarsi cadere al suolo; il primo tentativo fu sventato per un soffio, il secondo (causato dalla preoccupazione di Giovanna per una nuova offensiva anglo-borgognona, oltre che, probabilmente, dal sentore di essere in procinto di essere consegnata ad altre mani) ebbe come esito un trauma dovuto alla caduta talmente forte da lasciarla tramortita, tanto che, quando fu nuovamente rinchiusa, i medici temettero per la sua vita. La Pulzella tuttavia si riprese dalle contusioni e dalle ferite[31]. L'Università di Parigi, che sin dal momento della sua cattura ne aveva richiesto la consegna in quanto la giovane sarebbe stata "sospettata fortemente di numerosi crimini in odore di eresia", finalmente l'ebbe in custodia: il riscatto di Giovanna fu pagato dal Vescovo di Beauvais, Pietro Cauchon, nella cui diocesi era avvenuta la cattura[5] e la prigioniera, passando di castello in castello, forse per timore di un colpo di mano dei francesi teso a liberarla, giunse a Rouen il 23 dicembre 1430, sei mesi dopo la sua cattura dinanzi alle mura di Compiègne[6]. Qui la detenzione fu durissima: Giovanna era rinchiusa in una stretta cella del castello, guardata a vista da cinque soldati inglesi, tre all'interno della stessa cella, due al di fuori[23], mentre una seconda pattuglia era stata piazzata al piano superiore; i piedi della prigioniera erano serrati in ceppi di ferro e le mani spesso legate; solo per partecipare alle udienze le venivano tolti i ceppi ai piedi, che invece, la notte, erano saldamente fissati in modo che la ragazza non potesse lasciare il proprio giaciglio[5]. Le difficoltà nell'istruire il processo non mancarono: in primo luogo Giovanna era detenuta come prigioniera di guerra in un carcere militare e non nelle prigioni ecclesiastiche come per i processi d'Inquisizione[31]; in secondo luogo, la sua cattura era avvenuta ai margini della diocesi di Cauchon (probabilmente al di fuori)[20]; inoltre, l'Inquisitore generale di Francia, Jean Graverent, si dichiarò non disponibile[6] ed il vicario dell'Inquisizione di Rouen, Jean Lemaistre, rifiutò di partecipare al processo per "la serenità della propria coscienza" e perché non si riteneva competente che per la diocesi di Rouen; fu necessario scrivere nuovamente all'Inquisitore generale di Francia per ottenere che Lemaistre si piegasse, il 22 febbraio, quando le udienze erano già iniziate[5]; infine, Cauchon aveva inviato tre delegati, tra cui un notaio, Nicolas Bailly, a Domrémy, Vaucouleurs e Toul per trarre informazioni su Giovanna, senza ch'essi potessero trovare il minimo appiglio per formulare un solo capo d'accusa; sarebbe stato solo dalle risposte di Giovanna agli interrogatori che i giudici, ossia Pietro Cauchon e Jean Lemaistre, ed i quarantadue assessori[32] (scelti fra teologi ed uomini di Chiesa di fama), le avrebbero posto, che la Pulzella sarebbe stata giudicata, mentre il processo iniziava senza che contro di lei vi fosse un chiara ed esplicita imputazione[31]. Il processo a Giovanna ebbe inizio formalmente il 3 gennaio 1431, con atto scritto[23]; il 9 gennaio 1431, Pietro Cauchon, vescovo di Beauvais, ottenuta la giurisdizione su Rouen (allora sede arcivescovile vacante), iniziò la procedura ridefinendo il processo stesso, iniziato in un primo tempo "per stregoneria", in uno "per eresia"; conferì infine l'incarico di "procuratore", sorta di pubblico accusatore, a Jean d'Estivet, canonico di Beauveais che lo aveva seguito a Rouen[20]. La prima udienza si tenne pubblicamente il 21 febbraio 1431 nella cappella del Castello di Rouen. La carcerazione non aveva fiaccato lo spirito di Giovanna; sin dal principio delle udienze, richiesta di giurare su qualsiasi domanda, ella pretese - ed ottenne - di limitare il proprio impegno a quanto concernesse la fede. Inoltre, alla domanda di Cauchon di recitare il Padre Nostro rispose che lo avrebbe certamente fatto ma solo in confessione, modo sottile per ricordargli la sua veste di ecclesiastico[33]. L'interrogatorio di Giovanna si svolse in maniera convulsa, sia perché l'imputata era interrotta continuamente, sia perché alcuni segretari inglesi ne trascrivevano le parole omettendo tutto ciò che fosse a lei favorevole, cosa di cui il notaio Guillame Manchon si lamentò minacciando di astenersi dal presenziare ulteriormente; dal giorno seguente Giovanna fu così sentita in una sala del castello sorvegliata da due guardie inglesi[31]. Durante la seconda udienza, Giovanna fu interrogata per sommi capi sulla sua vita religiosa, sulle apparizioni, sulle Voci, sugli accadimenti occorsi a Vaucouleurs, sull'assalto a Parigi in un giorno in cui cadeva una solennità religiosa; a questo la Pulzella rispose che l'assalto avvenne per iniziativa dei capitani di guerra, mentre le Voci le avevano consigliato di non spingersi oltre Saint-Denis. Questione non trascurabile posta quel giorno, sebbene in un primo momento passata quasi inosservata, il motivo per cui la ragazza indossasse abiti maschili; alla risposta suggeritale da quelli stessi che la stavano interrogando (ossia se fosse stato un consiglio di Robert de Baudricourt, capitano di Vaucouleurs), Giovanna, intuendo la gravità di un'asserzione simile, rispose: "Non farò ricadere su altri una responsabilità così pesante!". Quel giorno Cauchon, forse toccato dalla richiesta della prigioniera del giorno precedente di essere udita in confessione, non la interrogò personalmente, limitandosi a chiederle, ancora una volta, di prestare giuramento.[20][34]. Durante la terza udienza pubblica, Giovanna rispose con una vivacità inattesa in una prigioniera, arrivando ad ammonire il suo giudice, Cauchon, per la salvezza della sua anima. La trascrizione dei verbali rivela anche una vena umoristica inaspettata che la ragazza possedeva nonostante il processo; alla domanda se avesse avuto rivelazione che sarebbe riuscita ad evadere dalla prigione, rispose: "E io dovrei venire a dirvelo?" L'interrogatorio successivo, sull'infanzia di Giovanna, i suoi giochi di bambina, l'Albero delle Fate, intorno al quale i bambini giocavano, danzavano ed intrecciavano ghirlande, non portò nulla di rilevante per gli esiti processuali, né fece cadere Giovanna in affermazioni che potessero renderla sospetta di stregoneria, come forse era negli intenti dei suoi accusatori[35]. Di notevole rilevanza, invece, la presenza, tra gli assessori della giuria, di Nicolas Loiseleur, un prete che si era finto prigioniero ed aveva ascoltato Giovanna in confessione, mentre, come riferito sotto giuramento da Guillame Manchon, diversi testimoni ascoltavano nascostamente la conversazione, in aperta violazione delle norme ecclesiastiche[5]. Nelle tre udienze pubbliche successive si accentuò il divario di prospettiva tra i giudici e Giovanna; mentre i primi si accanivano con sempre maggiore tenacia sul motivo per cui Giovanna portasse abiti maschili, la ragazza sembrava a suo agio parlando delle sue Voci, che indicò provenire dall'Arcangelo Michele, Santa Caterina e Santa Margherita, differenza evidente nella risposta data circa la luminosità della sala in cui aveva incontrato per la prima volta il Delfino: "cinquanta torce, senza contare la luce spirituale!". Ed ancora, nonostante la prigionia e la pressione del processo, la ragazza non rinunciava a risposte ironiche; ad un giudice che le aveva domandato se l'Arcangelo Michele le fosse apparso nudo, Giovanna rispose: "Credete che Nostro Signore non abbia di che vestirlo?"[36]. Gli interrogatori a porte chiuse A partire dal 10 marzo 1431 tutte le udienze del processo furono tenute a porte chiuse, nella prigione di Giovanna. La segretezza degli interrogatori coincise con una procedura inquisitoriale più incisiva; si chiese all'imputata se non ritenesse di aver peccato intraprendendo il suo viaggio contro il parere dei suoi genitori; se fosse in grado di descrivere l'aspetto degli Angeli; se avesse tentato di suicidarsi saltando giù dalla torre del castello di Beaurevoir; quale fosse il "segno" dato al Delfino che avrebbe convinto quest'ultimo a prestar fede alla ragazza; se fosse certa di non cadere più in peccato mortale, ossia se fosse sicura di trovarsi in stato di Grazia. Paradossalmente, quanto più gravi furono le accuse mosse a Giovanna, tanto più sorprendenti vennero le risposte. Giovanna affermò, circa la disobbedienza ai genitori, che "Poiché era stato Dio a chiedermelo, avessi avuto anche cento padri e cento madri (...) sarei partita ugualmente"; circa l'aspetto degli Angeli, si spinse ben oltre quanto i suoi accusatori le chiedessero, asserendo con naturalezza: "Vengono spesso tra gli uomini senza che nessuno li veda; io stessa li ho visti molte volte in mezzo alla gente"; circa il presunto tentativo di togliersi la vita, ribadì che il suo unico intento era quello di evadere; riguardo al "segno" dato al Delfino, Giovanna narrò che un Angelo aveva consegnato al Delfino Carlo una corona di grande valore, simbolo della volontà divina che guidava le sue azioni al fine di far riconquistare a Carlo il regno di Francia (raffigurato dalla corona), rappresentazione metaforica[23] del tutto in linea con il modo di esprimersi del tempo, soprattutto riguardo a quanto si riteneva ineffabile[5]; riguardo al peccato e se ritenesse di essere in stato di Grazia, Giovanna rimandò alla risposta che aveva già fornito durante le udienze pubbliche ("Se non lo sono, che Dio mi ci metta; se lo sono che Dio mi ci mantenga!"[10]). Durante il sesto ed ultimo interrogatorio, gli inquisitori spiegarono infine a Giovanna che esisteva una "Chiesa trionfante" ed una "Chiesa militante"; l'imputata si limitò a riaffermare quanto aveva già risposto:"Che Dio e la Chiesa siano una cosa sola, mi sembra chiaro. Ma voi, perché fate tanti cavilli?"[37] Gli stessi contemporanei che ebbero modo di presenziare agli interrogatori, specialmente i più eruditi, come testimonia il medico Jean Tiphaine, notarono l'accortezza e la saggezza con le quali Giovanna rispondeva[31]; al contempo difendeva la veridicità delle sue Voci, riconosceva l'autorità della Chiesa, si affidava completamente a Dio, così come di lì a pochi giorni, alla domanda se ritenesse di doversi sottomettere alla Chiesa, avrebbe risposto: "Sì, Dio servito per primo"[10]. Il 27 e il 28 marzo furono letti all'imputata i settanta articoli che componevano l'atto di accusa formulato da Jean d'Estivet. Molti articoli sono palesemente falsi o quantomeno non suffragati da alcuna testimonianza, meno che mai dalle risposte dell'imputata; tra essi si legge che Giovanna avrebbe bestemmiato, portato con sé una mandragora, stregato stendardo, spada e anello conferendo ad essi virtù magiche; frequentato le fate, venerato spiriti maligni, tenuto commercio con due "consiglieri della sorgente", fatto venerare la propria armatura, formulato divinazioni. Altri, come il sessantaduesimo articolo, sarebbero potuti risultare più insidiosi, in quanto ravvisavano in Giovanna la volontà di entrare in contatto direttamente con il divino, senza la mediazione della Chiesa, eppure passarono quasi inosservati. Paradossalmente, risultò di sempre maggior rilevanza l'uso di Giovanna di portare abiti da uomo[30]. Si scontravano da un lato l'applicazione formale e letterale della dottrina, che si appigliava a quell'abito maschile come ad un marchio d'infamia, dall'altro la visione mistica di Giovanna, per la quale l'abito era cosa da nulla se paragonato al mondo spirituale[10]. Il 31 marzo Giovanna fu nuovamente interrogata nella sua prigione e acconsentì a sottomettersi alla Chiesa, purché non le fosse chiesto di affermare che le Voci non provenissero da Dio; che avrebbe ubbidito ad essa purché Dio fosse "servito per primo"[30][10]. Così trascorse la Pasqua, che quell'anno cadeva il primo giorno d'aprile, senza che Giovanna potesse udire Messa o comunicarsi, nonostante le sue suppliche. I settanta articoli in cui consisteva l'accusa contro Giovanna la Pulzella furono condensati in dodici articoli estratti dall'atto formale redatto da Jean d'Estivet; tale era la normale procedura inquisitoriale. Questi dodici articoli, in base ai quali Giovanna era considerata "idolatra", "invocatrice di diavoli", "blasfema", "eretica" e "scismatica"[30], furono sottoposti agli assessori ed inviati a teologi di chiara fama; alcuni li approvarono senza riserve ma diverse furono le voci discordanti; uno degli assessori, Raoul le Sauvage, ritenne che l'intero processo dovesse essere inviato al Pontefice; il Vescovo di Avranches rispose che non v'era nulla d'impossibile in quanto Giovanna asseriva[20]; alcuni chierici di Rouen o ivi giunti ritenevano, di fatto, Giovanna innocente o, quantomeno, il processo illegittimo; tra questi Jean Lohier, che reputava il processo illegale nella forma e nella sostanza[38], in quanto gli assessori non erano liberi, le sedute si tenevano a porte chiuse, gli argomenti trattati troppo complessi per una ragazzina, soprattutto, il vero motivo del processo era politico, in quanto attraverso Giovanna s'intendeva infangare il nome di Carlo VII. Per queste sue schiette risposte, che oltretutto svelavano il fine politico del processo, Lohier dovette abbandonare in gran fretta Rouen[20]. Il 16 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da un violento stato febbrile, che fece temere per la sua vita, ma si riprese nel giro di pochi giorni. Le vennero inviati tre medici, tra cui Jean Tiphaine, medico personale della duchessa di Bedford, che poté riferire che Giovanna si era sentita male dopo aver mangiato un pesce inviatole da Cauchon, cosa che suscitò il sospetto di un tentato avvelenamento, peraltro mai provato[6]. Due giorni dopo, tuttavia, Giovanna riuscì a sostenere la "ammonizione caritatevole", alla quale ne seguì una seconda il 2 maggio, senza che Giovanna cedesse su nulla, pur riconoscendo l'autorità del Pontefice. Del resto, più di una volta la ragazza si era appellata al Papa; appello che le era sempre stato negato nonostante la contraddizione evidente, non potendo essere eretici e riconoscere al contempo l'autorità pontificia[5]. Il 9 maggio Giovanna, condotta nel torrione del castello di Rouen, si trovò dinanzi Cauchon, alcuni assessori, e Maugier Leparmentier, il boia; minacciata di tortura, non rinnegò nulla e rifiutò di piegarsi, pur confessando la propria paura. Il tribunale decise infine di non ricorrere alla tortura, probabilmente per il timore che la ragazza riuscisse a sopportare la prova[6] e forse anche per non rischiare di apporre sul processo una macchia indelebile[5]. Il 23 maggio furono letti a Giovanna, presenti numerosi membri del tribunale, i dodici articoli a suo carico. Giovanna rispose che confermava tutto quanto aveva detto durante il processo e che lo avrebbe sostenuto sino alla fine[39]. L'abiura Il 24 maggio 1431 Giovanna fu tradotta dalla sua prigione nel cimitero dalla chiesa di Saint-Ouen, sul margine orientale della città, ove erano già state preparate una piattaforma per lei, in modo che la popolazione potesse vederla e udirla distintamente[23], e tribune per i giudici e gli assessori. Più in basso, il carnefice attendeva sul suo carro[20]. Presente Henri de Beaufort, vescovo di Winchester e cardinale, la ragazza fu ammonita da Guillame Erard, teologo, che, dopo un lungo sermone, domandò a Giovanna, ancora una volta, di abiurare i crimini contenuti nei docici articoli dell'accusa[5]. Giovanna rispose: "Mi rimetto a Dio e al Nostro Signore il Santo Padre"[40], risposta che doveva esserle stata suggerita da Jean de La Fontaine, il quale, pur nella sua veste di assessore, evidentemente aveva ritenuto corretto informare l'imputata dei suoi diritti (fatto che gli sarebbe costato l'esclusione dal processo e l'allontanamento da Rouen); inoltre, presso la ragazza si trovavano i domenicani Isambart de la Pierre e Martin Ladvenu, esperti delle procedure inquisitoriali[5]. Com'era prassi del tempo, l'appello al Pontefice avrebbe dovuto interrompere la procedura inquisitoriale e portare alla traduzione dell'imputata innanzi al Papa, tuttavia, nonostante la presenza di un cardinale, Erard liquidò la questione sostenendo che il Pontefice era troppo lontano[5][6], continuando ad ammonire Giovanna per tre volte; infine, Cauchon prese la parola ed iniziò a leggere la sentenza quando fu interrotto da un grido di Giovanna: "Accetto tutto quello che i giudici e la Chiesa vorranno sentenziare!"[41]. A Giovanna fu quindi consegnato una dichiarazione per mano dell'usciere, Jean Massieu; nonostante lo stesso Massieu l'avvertisse del pericolo in cui incorreva firmandola, la ragazza siglò il documento con una croce[5]. In realtà Giovanna, seppure analfabeta, aveva imparato a firmare con il suo nome, "Jehanne", così come appare nelle lettere che ci sono pervenute[31] ed anzi la Pulzella aveva dichiarato durante il processo[42] che era solita apporre una croce su una lettera inviata a un capitano di guerra quando voleva significare ch'egli non doveva fare ciò che ella gli aveva scritto; è probabile che tale segno avesse, nella mente di Giovanna, lo stesso significato, tanto più che la ragazza lo tracciò accompagnandolo con un riso enigmatico[5][6]. L'atto che Giovanna aveva firmato non era più lungo di otto righe, nelle quali s'impegnava a non riprendere le armi, né portare abito d'uomo, né capelli corti[31], mentre agli atti venne messo un documento di abiura di quarantaquattro righe in latino[5]. La sentenza emessa era comunque durissima: Giovanna era condannata alla carcerazione a vita nelle prigioni ecclesiastiche, a "pane di dolore" ed "acqua di tristezza". Nondimeno, la ragazza sarebbe stata sorvegliata da donne, non più costretta da ferri giorno e notte, libera dal tormento dei continui interrogatori; quale dovette essere la sua sorpresa quando udì le parole di Cauchon che ordinava: "Conducetela là dove l'avete presa."[20] Questa violazione delle norme ecclesiastiche fu con ogni probabilità voluta dallo stesso Cauchon per un fine preciso, indurre Giovanna ad indossare nuovamente l'abito da uomo per difendersi dai soprusi dei soldati[31]. Gli inglesi, tuttavia, persuasi che ormai Giovanna fosse sfuggita loro di mano, poco avvezzi alle procedure dell'Inquisizione, esplosero in un tumulto e in un lancio di sassi contro lo stesso Cauchon[23]. Infatti solamente i relapsi, ossia coloro che, avendo già abiurato, ricadevano in errore, erano destinati al rogo[5]. Nuovamente in carcere, Giovanna divenne oggetto di una collera ancora maggiore da parte dei suoi carcerieri; il domenicano Martin Ladvenu riporta che Giovanna gli riferì di un tentativo di violentarla da parte di un inglese, che, non riuscendovi, la percosse con ferocia[20]. La mattina di domenica 27 maggio, Giovanna chiese di alzarsi ed un soldato inglese le sottrasse gli abiti da donna e le gettò quelli maschili; nonostante le proteste della Pulzella, non gliene vennero concessi altri[23]. A mezzogiorno, Giovanna fu costretta a cedere[5][20]. Cauchon ed il viceinquisitore Lemaistre, insieme ad alcuni assessori, si recarono il giorno seguente alla prigione. Giovanna affermò coraggiosamente di aver ripreso l'abito maschile di propria iniziativa, poiché si trovava tra uomini e non in una prigione ecclesiastica come suo diritto, sorvegliata da donne, ove poter sentir messa; interrogata ancora, ribadì di credere fermamente che le Voci che le apparivano erano quelle di Santa Caterina e di Santa Margherita, di essere inviata da Dio, di non aver capito una sola parola dell'atto di abiura, ed aggiunse "Dio mi ha mandato a dire per bocca di santa Caterina e santa Margherita quale miserabile tradimento ho commesso accettando di ritrattare tutto per paura della morte; mi ha fatto capire che, volendo salvarmi, stavo per dannarmi l'anima!" ed ancora:"Preferisco fare penitenza in una sola volta e morire piuttosto che sopportare più a lungo la sofferenza di questa prigione"[43]. Il 29 maggio Cauchon riunì per l'ultima volta il tribunale per decidere la sorte di Giovanna. Su quarantadue assessori, trentanove dichiararono che fosse necessario leggerle nuovamente l'abiura formale e proporle la "Parola di Dio". Il loro potere, però, era solo consultivo. Pietro Cauchon e Jean Lemaistre condannarono Giovanna al rogo[5]. Il supplizio Il 30 maggio 1431 entrarono nella cella di Giovanna due frati domenicani, Jean Toutmouillé e Martin Ladvenu; quest'ultimo la ascoltò in confessione e le comunicò quale sorte era stata decretata per lei quel giorno; nella sua ultima lamentazione, la Pulzella, vedendo entrare il vescovo Cauchon esclamò: "Vescovo, muoio per causa vostra". In seguito, quando questi si fu allontanato, Giovanna chiese di ricevere l'eucaristia. Fra Martin Ladvenu non seppe che cosa risponderle, poiché non era possibile ad un eretico comunicarsi e chiese allo stesso Cauchon come dovesse comportarsi; sorprendentemente, ed in violazione, ancora una volta, di ogni norma ecclesiastica, questi rispose di somministrarle l'eucaristia[5][6]. Giovanna fu condotta nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen e fu data lettura della sentenza ecclesiastica. Successivamente, senza che il balivo o il suo luogotenente prendessero in custodia la prigioniera, fu abbandonata nelle mani del boia, Geoffroy Thérage, e condotta dove il legno era già pronto, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione[31]. Vestita di un lungo abito bianco e scortata da circa duecento soldati, salì sino al palo dove fu incatenata, sopra una gran quantità di legna[23]. In tal modo, non c'era possibilità per il boia di abbreviare il supplizio della condannata, facendole perdere i sensi per l'impossibilità di respirare e facendo poi bruciare il corpo già morto. Sarebbe dovuta ardere viva. Giovanna, caduta in ginocchio, invocava Dio, la Vergine, l'Arcangelo Michele, Santa Caterina e Santa Margherita; domandava ed offriva perdono a tutti. Chiese una croce ed un soldato inglese, impietosito, prese due rami secchi e li legò a formarne una, che la ragazza strinse al petto; Isambart de La Pierre corse a prendere la croce astile della chiesa e gliela pose dinanzi; infine, i soldati strattonarono il boia e gli ordinarono: "fa' ciò che devi". Il fuoco salì veloce e Giovanna chiese dapprima dell'acqua benedetta, poi, investita dalle fiamme, nel dolore atroce, gridò a gran voce: "Gesù!" Così morì Giovanna la Pulzella, a soli diciannove anni[20]. La verginità Definendosi apertamente la "Pulzella", Giovanna dichiarava di volersi mettere al servizio di Dio in maniera totale, anima e corpo; la sua verginità simboleggiava chiaramente la purezza, tanto da un punto di vista fisico quanto da quello spirituale, della ragazza. Se fosse stata scoperta a mentire, sarebbe stata allontanata immeditamente. Di conseguenza, appurare la veridicità dell'affermazione acquisiva importanza soprattutto circa l'attendibilità di Giovanna. Così, per ben due volte, venne sottoposta all'esame delle matrone, a Poitiers nel marzo 1429 (dove fu esaminata da Jeanne de Preuilly, moglie di Raoul de Gaucourt, governatore d'Orléans, e da Jeanne de Mortemer, moglie di Robert le Maçon) ed a Rouen il 13 gennaio 1431, su ordine del vescovo Pietro Cauchon, sotto la supervisione della stessa duchessa Anna di Bedford, essendo trovata pulzella[5]. L'abitudine di Giovanna di portare abiti maschili, dettata in un primo tempo dalla necessità di cavalcare ed indossare l'armatura, in carcere aveva probabilmente il fine di impedire ai malintenzionati di violentarla. Secondo Jean Massieu[5], infatti, riprese a vestire abiti femminili, ma le guardie inglesi le avrebbero tolto le stesse gettandole in cella il sacco nel quale vi era l'abito da uomo[23]. La riabilitazione e la canonizzazione Nel 1449 Rouen capitolò dinanzi all'esercito francese, agli ordini del Bastardo d'Orléans, dopo decenni di dominazione inglese (in cui la popolazione era passata da 15.000 a 6.000 abitanti[5]). Scorgendo le avanguardie dell'armata reale, gli abitanti della città tentarono di aprir loro la porta di Sant'Ilario, ma furono giustiziati dalla guarnigione inglese. Tuttavia, la ribellione nella "seconda capitale del regno" era evidentemente ormai prossima. Il governatore, Somerset, ottenne un salvacondotto per sé ed i suoi, ed un'amnistia generale per coloro che avevano collaborato con gli inglesi nel periodo di occupazione; in cambio, lasciò sia Rouen sia altre città minori come Honfleur e, sano e salvo, si ritirò a Caen[22]. Quando Carlo VII entrò nella città fu accolto da trionfatore, e di lì a breve ordinò al suo consigliere Guillame Bouillé un'inchiesta sul processo subito da Giovanna diciotto anni prima[5]. Nel frattempo, molte cose erano cambiate o stavano cambiando: con la vittoria francese di Castillon del 1453 la guerra dei cent'anni ebbe fine, pur in assenza di un trattato di pace; gli inglesi mantenevano solo il porto di Calais; lo scisma che travagliava la Chiesa era cessato con l'abdicazione dell'ultimo antipapa, Felice V, il Duca Amedeo VIII di Savoia; tra i negoziatori che giunsero a persuarderlo a sottomettersi all'autorità della Chiesa, lo stesso Bastardo d'Orléans, ormai braccio destro del re sul campo di battaglia, suo consigliere e suo rappresentante in tutte le questioni diplomatiche rilevanti; quell'anno, di ritorno da Londra, era riuscito a strappare, a Rennes, l'appoggio del Duca di Bretagna[22]. Nel 1452, il legato pontificio Guillame d'Estouteville e l'Inquisitore di Francia, Jean Bréhal, aprirono anch'essi un procedimento ecclesiastico che portò ad un rescritto a firma del Pontefice Callisto III con cui si autorizzava una revisione del processo del 1431, che durò dal 7 novembre 1455 al 7 luglio 1456. Dopo aver ascoltato centoquindici testimoni, il precedente processo fu dichiarato nullo e Giovanna fu, a posteriori, riabilitata e riconosciuta innocente[5]. Il suo antico compagno d'armi, il Bastardo d'Orléans, ormai divenuto Conte di Dunois, fece erigere in ricordo di Giovanna una croce nel bosco di Saint-Germain, la "Croix-Pucelle", ancora oggi visibile[11][44]. Quattro secoli dopo, nel 1869, il vescovo d'Orléans presentò una petizione per la canonizzazione della fanciulla. Papa Leone XIII diede inizio al suo processo di beatificazione. Giovanna venne beatificata il 18 aprile 1909 da papa Pio X e proclamata santa da papa Benedetto XV il 16 maggio 1920, dopo che le era stato riconosciuto il potere intercessorio per i miracoli prescritti (guarigione di due suore da ulcere incurabili e di una suora da una osteo-periostite cronica tubercolare, per quanto concerne la beatificazione, e la guarigione "istantanea e perfetta" di altre due donne, l'una affetta da una malattia perforante la pianta del piede, l'altra da "tubercolosi peritoneale e polmonare e da lesione organica dell'orifizio mitralico", per quanto concerne la canonizzazione[45]). Il governo francese, lo stesso anno, dichiarò festa nazionale l'8 maggio, giorno della battaglia di Orléans. Giovanna fu dichiarata patrona di Francia; della telegrafia e della radiofonia.È venerata anche come protettrice dei martiri e dei perseguitati religiosi, delle forze armate e di polizia. La sua memoria liturgica è celebrata il 30 maggio.Giovanna d'Arco viene richiamata esplicitamente nel Catechismo della Chiesa cattolica quale una delle più belle dimostrazioni d'un animo aperto alla Grazia salvatrice[46].L'incredibile e breve vita, la passione e la drammatica morte di Giovanna d'Arco sono state raccontate innumerevoli volte in saggi, romanzi, biografie, drammi per il teatro; anche il cinema e l'opera lirica si sono occupati di questa figura.Oggi è la Santa francese più venerata. Le reliquie Giovanna d'Arco fu giustiziata sul rogo il 30 maggio 1431; l'esecuzione procedette con modalità ben descritte nelle cronache dell'epoca. La condannata fu uccisa direttamente dalle fiamme - contrariamente a quanto accadeva solitamente per i condannati a morte, che erano soffocati dall'inalazione dei fumi arroventati prodotti dalla combustione del legname e della paglia[20]. Alla fine, del corpo della Pulzella rimanevano solo le ceneri, il cuore e qualche frammento osseo. Secondo la testimonianza di Isambart de La Pierre, il cuore di Giovanna non fu consumato nel rogo e, per quanto zolfo, olio o carbone il carnefice vi mettesse, non accennava ad ardere[5]. I resti del rogo furono quindi caricati su un carro e gettati nella Senna, per ordine del conte di Warwick[23][6].Nonostante la meticolosità dei carnefici e le rigide disposizioni delle autorità borgognone e inglesi avessero reso molto improbabile questa eventualità, nel 1867 furono rinvenute alcune presunte reliquie di Giovanna d'Arco. Fra queste vi era anche un femore di gatto la cui presenza, a detta di chi ne sosteneva l'autenticità, era spiegabile con il fatto che uno di questi animali sarebbe stato gettato nel rogo in cui ardeva Giovanna d'Arco. Le recenti analisi condotte da Philippe Charlier hanno però dimostrato che le reliquie attribuite alla santa sono in realtà databili tra il VI e il III secolo a.C. e sono frammenti di una mummia egiziana (i presunti segni di combustione sono in realtà, secondo Charlier, il prodotto di un processo di imbalsamazione).