State per entrare in un mondo di paura, così pauroso che inizierete
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State per entrare in un mondo di paura, così pauroso che inizierete
INTRODUZIONE State per entrare in un mondo di paura, così pauroso che inizierete a tremare. In questo libro sono racchiusi ben 14 racconti horror, realizzati dagli alunni della classe I D. Questi testi sono stati letti dall’ autore dei “Super Brividi” Johnny Rosso, durante il fantastico e pauroso incontro con lui alla Biblioteca “Brocchi” di Nervi. Vi auguriamo una lettura da brivido, ma anche con un pizzico di divertimento. P.S. Vi consigliamo, dopo aver letto questi racconti, di chiudervi a chiave in casa, ma fate attenzione che dall’armadio non spunti qualche mostro che vi potrebbe uccidere. Classe 1D L’HOTEL DELLA MORTE Era la solita notte pre-primaverile: pioveva a dirotto e i fulmini squarciavano il cielo. Non riuscivo a dormire: il mio vicolo preferito era allagato. Decisi, quindi, di andare all’albergo Tondini, che si trovava a due isolati di distanza. Era un rudere abbandonato, che una vecchietta aveva comprato a poco prezzo facendone un albergo. Arrivato vicino ad una casa abbastanza malridotta, una vecchia mi salutò calorosamente e mi fece accomodare. Io mi addormentai subito. Non so a che ora mi svegliai, ma sentii delle voci: una femminile e flebile, l’ altra rude e maschile. Mi alzai e andai a vedere: uno spirito parlava con la vecchia proprietaria dell’ albergo; stavano negoziando un’ anima. Il giorno dopo chiesi alla vecchia: “Di che anima parlavi stanotte?” “Parlavo con la morte, che tutto può, della tua anima. Mi sta obbligando a dargliela!Tu puoi fermarla!È da due secoli che va avanti così: ho fatto un patto con lei per avere l’ immortalità, però, dopo molti anni, mi sono stancata di uccidere gente per una noiosa vita eterna. Ma ho fatto un patto: non posso venire meno alla parola data. L’ unico modo per porre fine al mio supplizio è sconfiggere la morte. Tu mi puoi aiutare” rispose la vecchia. “Ti credo” mentii ”Domani ne parleremo più a lungo” e, con un peso nel cuore, me ne andai a dormire. I giorni seguenti, anche se c’ era maltempo, furono fin troppo sereni. Mi stavo quasi dimenticando di quella orribile notte. Quasi. Volevo spiegazioni: avevo programmato che quella notte sarei andato a vedere la cantina, nella speranza di trovare informazioni. Quindi, dopo mangiato, mi diressi verso la porta della cantina: avvertivo un terribile e familiare olezzo, quasi come di cadavere…ma no, era impossibile! Mi decisi ad entrare … e la situazione degenerò: un ammasso informe di squartati e imputriditi cadaveri sovrastava la scena; la vecchia non mentiva: dovevo sconfiggere la morte… ma come? La vecchia era la mia ultima speranza. Corsi in camera sua, con l’ intento di scoprire il punto debole della morte: arrivai sulla porta e bussai. Una voce roca mi rimproverò e se ne andò. Ero stanchissimo e andai a letto. Il mattino mi svegliò la vecchietta e subito le chiesi quale fosse il punto debole della morte; lei mi rispose: “C’è una pietra nascosta nell’ albergo: se usata da un uomo puro di cuore sconfigge ogni oscurità, quindi anche la morte. Ma la morte stessa ha nascosto questo strumento: lo trovi nel luogo dove si mettono le anticaglie. Non ti so dire altro”. Sapevo dove andare: in soffitta. Arrivato, mi investì un fetore di muffa. Mi avviai verso una botola seminascosta che avevo notato mentre entravo: ecco uno scrigno! Lo aprii, ci trovai una pietra che luccicava e la presi: infilatala in tasca, andai al piano di sotto, pronto ad affrontare la morte. Mi misi in cammino verso la cantina e, una volta lì, chiamai a gran voce la morte.”Chi mi chiama? “chiese la stessa voce che avevo sentito poco tempo prima, la prima volta che ero entrato nell’ albergo. Poi svenni dalla stanchezza. Al mio risveglio mi aspettava un omaccione: la morte. Senza paura alzai la pietra e un lampo di luce ci avvolse. Ricordo la vecchia che mi ringraziava. Ora che scrivo sono passati due mesi. Ho ripreso la mia vita da barbone di sempre. Adesso mi si è avvicinato un cagnolino. Lo guardo in faccia : ha gli occhi completamente rossi. “Ci rivediamo “ mi dice… Autori: Matteo Scuto e Paolo Stagnaro OFELIA E LA CASA STREGATA Tanto tempo fa, in una piccola casa in un bosco, abitava una coppia di marito e moglie. Dopo qualche anno nacque una figlia molto bella, Ofelia, dagli occhi marroni e i capelli biondi e che indossava gli occhiali. Era una bambina molto vivace! Dopo dieci anni Ofelia divenne grande, quindi la casa era un po’ piccola per tutta la famiglia; pertanto i genitori decisero di trasferirsi in città, in una casa nascosta da molti alberi. Arrivati nella nuova dimora, dopo un lungo e freddo viaggio, Ofelia trovò una signora strana, molto strana, con occhi neri profondi e capelli bianchi. La famiglia entrò in casa e la madre, molto gentilmente, disse alla signora: “Salve, signora Gastal!”. “Salve signora Clany!” rispose la signora Gastal, con voce arrogante e scocciata “Lei è mia figlia Ofelia e lui è mio marito!”. “Buongiorno signora Gastal!” rispose il padre di Ofelia. La signora Gastal, che era la proprietaria della casa, li accompagnò nelle loro stanze e non volle mostrarne alcune. Ofelia si insospettì. Appena la signora Gastal se ne andò Ofelia entrò nella biblioteca, una delle stanze “proibite”. Prendendo un libro dal secondo scaffale, si aprì una stanza segreta, vi entrò e scoprì che c’erano tante ragnatele. Ofelia non urlò per non destare sospetti e, spaventata, uscì dalla stanza dopo aver rimesso il libro al proprio posto. La giornata passò velocemente. Giunta l’ora di cena, la mamma preparò una minestra, che dentro alla pentola era buonissima, ma che, quando la mamma la mise nei piatti, sembrava della melma…….ed era proprio vero! “BLEH !” disse Ofelia, assaggiandola . La mamma, alla fine, chiese se per quella sera potessero mangiare la minestra prendendola direttamente dal pentolone ….ma Ofelia e il papà dissero che forse per quella sera sarebbe stato meglio digiunare. Andarono a letto stanchi…Ofelia non riusciva più a dormire e così passò la notte in bianco. Il mattino seguente la mamma di Ofelia, Nadia, e il papà, Carlo, si avviarono per la città e incontrarono in un negozio la signora Gastal . “Buongiorno signora Clany! Come va oggi? Vi siete trovati bene nella casa? Non avete aperto le porte delle stanze che non vi ho fatto vedere? Non siete andati in biblioteca, VERO?” disse la signora Gastal. “Benissimo....e non abbiamo fatto niente di tutte quelle cose che lei aveva detto di non fare, vero Ofelia?” Ofelia si guardò le mani perplessa, mentre pensava tra sé e sé quando avrebbe confessato alla madre ciò che aveva fatto. Proprio in quel momento disse tutto ai genitori e alla signora Gastal, che si arrabbiò, dicendo loro che la città non era sicura per loro. Arrivati a casa, la mamma sgridò Ofelia. La sera mangiarono in un ristorante vicino, poi andarono a dormire. Il giorno seguente Ofelia si svegliò presto, andò in cucina e vide un vaso bellissimo; si avvicinò e il vaso si spostò. Ofelia era così curiosa che si avvicinò a tutti gli oggetti che potevano capitarle sotto il naso. La madre si alzò e la guardò, le chiese che cosa stesse facendo . “Ofelia ma che fai?”. “Niente mamma, stavo guardando gli oggetti. Cosa c'è di strano?”. “Niente, ma perché stai così vicina? Attenta, perché possono cadere! La padrona ci sgriderà!” . Ofelia da piccola raccontava tutto alla mamma e adesso, anche se era grande, continuava a farlo; quindi le rivelò tutto. Insieme si avviarono verso la biblioteca e tirarono giù il libro che permetteva di aprire un passaggio segreto; entrarono in una stanza dove c'erano due sarcofagi. Nadia, stupita, pensò di raccontare il fatto a Carlo, ma il marito stava ancora dormendo. Quando Carlo si svegliò Nadia gli disse tutto, sia della biblioteca con la stanza segreta sia dei vasi che si muovevano se ti avvicinavi. La sera Nadia, Carlo e Ofelia vollero andare in una delle stanze che la signora Gastal non aveva fatto vedere alla famiglia. Erano pieni di paura. Carlo entrò per primo e poi fece entrare Ofelia e la mamma. All'ingresso della stanza trovarono una statua piena di sangue vestita con abiti eleganti; si spaventarono e andarono sempre più vicini: addosso alla statua c'erano dei morsi di vampiro..... Ofelia sentì entrare qualcuno dalla porta principale: era la signora Gastal, che aveva le chiavi della casa e poteva entrare quando voleva! I tre uscirono velocemente dalla stanza “proibita” e, senza farsi vedere, andarono nelle proprie stanze. “Come va?” disse la signora Gastal. “Benone , ma lei cosa ci fa qui?” disse Carlo. “Adesso me ne vado. Volevo assicurarmi che steste bene!” “Noi stiamo bene. A domani!” “A domani!” rispose la signora Gastal, uscendo dalla casa. Carlo, Nadia e Ofelia tornarono nella stanza…non riuscivano a spiegarsi come dei morsi di vampiro potessero trovarsi su una statua di pietra. Poi andarono a mangiare nel ristorante vicino, come al solito, visto che in casa qualsiasi cosa fosse messa nei piatti si trasformava in melma. Al ristorante parlarono solo del fatto che un vampiro non poteva mordere del marmo. “Forse aveva così tanta fame che ha morso una statua!” disse Ofelia. Uscirono dal ristorante e, invece di tornare a casa, andarono a cercare la signora Gastal, per verificare che non fosse un vampiro. “Eccola! “urlò Carlo. Era nel negozio dove l'avevano vista l'ultima volta; entrarono e cercarono di portarla con loro, ma lei non voleva. “Deve venire! È urgente!” urlò Ofelia La signora Gastal si convinse e uscì con loro. Nadia le fece una serie di domande per verificare se fosse un vampiro. Arrivati a casa, la signora Gastal si addormentò e Carlo ebbe l'occasione per prelevarle del sangue. “SANGUE VAMPIRESCO” rivelò il verificatore di sangue. La notte la signora Gastal si svegliò e entrò in una stanza. Ofelia , che si era svegliata per prendere dell'acqua, la vide e andò a svegliare i genitori, che la assalirono alle spalle. La donna iniziò ad urlare a squarciagola, Carlo e Nadia le dissero di stare calma e di non mordere nessuno . “Fermi! Io non sono un vampiro! Se avete visto la statua piena di sangue non fatevi ingannare! La hanno costruita ad Halloween alcuni ragazzi. E riguardo agli oggetti che si muovono sappiate che all’interno ci sono delle calamite!”. “Scusi signora, non volevamo… ci scusi!” disse Carlo, dispiaciuto. La donna venne liberata e scappò via velocemente; scendendo le scale in fretta e furia non vide uno scalino e si inciampò, rotolò a terra e si ruppe alcune ossa. La famiglia Clany chiamò un'ambulanza che la portò via . Dopo qualche ora Carlo, Nadia e Ofelia ricevettero una telefonata: la signora Gastal non era riuscita a sopravvivere e loro avevano ereditato tutti i suoi beni, compresa la casa. Due giorni dopo i signori Clany e Ofelia andarono al funerale,notarono che c'erano solo loro … evidentemente la signora Gastal non aveva amici! La famiglia decise di continuare a vivere nella casa della signora Gastal. Dieci anni dopo Ofelia, divenuta ormai una bella ragazza di vent’anni, si sposò con un giovane del paese e andò a vivere in una casa più grande. I signori Clany vissero ancora pochi anni nella casa della signora Gastal , poi si trasferirono . Autore: Ludovica Carola Vitale IL SOGNO DELLA MORTE Dopo la cena andai subito a dormire nella mia camera. Quella sera ero molto preoccupato, perché il giorno dopo avrei dovuto scrivere un testo horror, a scuola, con il mio compagno di classe Matteo. Mi addormentai quasi subito e nel sogno mi sentii chiamare da una voce lontana: “Alberto….Alberto...”. Mi voltai e vidi spuntare dall’ombra il mio amico Matteo. Anche Matteo si era addormentato e aveva iniziato a sognare quel sogno. Matteo guardò davanti a sé e vide una figura umana; subito pensò che fosse un fantasma e si mise ad urlare. Io, sentendolo gridare, lo chiamai, rassicurandolo che ero Alberto. Corsi verso di lui e, dopo un po’, ci trovammo insieme. Matteo vide in lontananza una piccola casetta. Dissi di andarci dentro, giusto per trovare un riparo. Avvicinandoci, vedemmo che il tetto era diroccato. Aprii la porta e vidi un uomo con una spada infilata nel torace. Matteo, curioso, diede un calcio al cadavere e d’improvviso uscirono dei millepiedi velenosi. Urlai e dissi: “Matteo! Usciamo da questo posto orribile!”. Il mio amico, impaurito, uscì dalla casetta e si mise a correre verso la fitta foresta. Io, da dietro, vidi un enorme ragno che stava inseguendo Matteo velocemente. Egli urlò: “Aiuto!...Albi salvami ti prego!”. Io, preoccupato per lui, gli dissi di camminare lentamente per non innervosire il ragno. Matteo riuscì a seminarlo mentre lo seguivo. Dopo un po’ di cammino vedemmo in lontananza una grotta. Decidemmo di entrare a vedere che cosa ci fosse là dentro. Matteo entrò, curioso di sapere cosa ci fosse all’interno. Sentimmo degli strani rumori che si dirigevano verso di noi. Mentre stavamo camminando all’interno, la grotta iniziò a tremare pericolosamente. Matteo iniziò a urlare, io cercai di tranquillizzarlo cantandogli una canzone. All’improvviso sentimmo un grande masso staccarsi sopra la nostra testa. Io e il mio fedele compagno urlammo impauriti. Stavamo per essere colpiti e… …di botto ci svegliammo ognuno nel nostro letto. Era stato solo un sogno…un sogno da incubo! Autori: Matteo Crasta e Alberto Berlese IL BUCO NERO E LA STREGA MALVAGIA Nella cittadina di Updown, a nord di Sidney, in una casetta piccola e mal ridotta viveva una ragazza di 12 anni, bionda e con occhi azzurri lineamenti molto raffinati; la povera ragazza, dato e dai che era molto povera e aveva un fratellino di sei mesi, preferiva rinunciare ad alcuni pasti per darli a lui: praticamente era quasi anoressica. La ragazza si chiamava Sabrina, era amata da tutti i suoi amici, non frequentava la scuola e i suoi genitori avevano abbandonato lei e il fratellino da quando erano nati. Una sera Sabrina si trovava in camera sua, erano circa le 22.00, e stava leggendo un libro di fiabe a suo fratello Giovanni; all’improvviso sentì delle voci, che la chiamavano, provenire dall’armadio situato ai piedi del letto; un po’ spaventata, si diresse verso esso e lo aprì…vide che dentro al suo armadio era nato un buco nero, dal quale uscì un mostro gelatinoso e ghiacciato,verde come il vomito e con occhi incandescenti. Sabrina chiuse l’armadio e tornò da suo fratello, finì di leggere la fiaba e, spaventatissima quanto convinta che fosse uno dei suoi soliti incubi, andò a letto. La sera dopo, alla stessa ora, le successe la stessa cosa, ma questa volta suo fratello non c’era perché era dai vicini. Stavolta la voce proveniva dalla libreria…Sabrina afferrò il libro e vide la stessa scena della sera prima: il mostro, però, era più potente e riuscì a risucchiarla e a portarla in un altro mondo. Appena arrivò lesse l’insegna che indicava una città e diceva:-BENVENUTO NELLA CITTÀ DÌ APARAJAI, LA REGINA PIÙ POTENTE MAI ESISTITA-. Entrando nella città vide che tutte le persone si offendevano e si ferivano l’un l’altra. In un angolo accanto a una delle case vide un anziano: aveva vestiti colorati, a differenza degli altri che indossavano indumenti neri o grigi, tutti gli stavano lontani e lui sembrava triste, più triste degli altri. La ragazza, dunque, si avvicinò a lui e gli chiese:-Mi scusi signore,forse la disturbo, ma sono da poco arrivata in questa città, a causa di un buco nero che mi ha trasportata qui, e vorrei sapere la storia della città e poi perché tutti si odiano Il signore le rispose con molta dolcezza: -Signorina, nessuno mi parla perché la regina Aparajai lo ha vietato, poiché io sono povero: se qualcuno la vedesse qua potrebbe fare la spia e potrebbe morire, quindi le consiglio di non starmi vicina-. Essa, intimorita dalla strega misteriosa ma ancora curiosa, gli rispose:- Non ho paura di morire, ma, per favore, la prego, mi dica tutto ciò che sa sulla città della regina-. Il signore rispose:- Va bene le dirò tutto, ma, la prego, venga nella mia umile dimora, là nessuno la vedrà- . Sabrina, allora, seguì il vecchio uomo che le spiegò che la regina Aparaja era una strega molto cattiva e che non perdonava niente e nessuno; lui era suo fratello gemello, a cui lei aveva sottratto il trono; la sovrana dava ai sudditi l’ordine di essere crudeli con tutti tranne che con lei, i sudditi perciò erano sempre tristi. L’unico modo per sconfiggere la regina era rompere la sua bacchetta: in questo modo tutti sarebbero tornati belli, giovani e gentili . A quelle parole Sabrina tranquillizzò il vecchio, che nel frattempo si era messo a piangere per la disperazione, e gli disse che lo avrebbe aiutato con sua sorella. L’uomo la ringraziò e le disse che poteva alloggiare da lui. La notte Sabrina non dormì e pianificò una visita alla regina. La mattina seguente si vestì con abiti lussuosi, che il vecchio teneva come ricordo dell’ormai defunta madre, e si avviò per le strade del mercato. La regina, che controllava tutto dall’alto del suo castello, la vide e, pensando che fosse una nobile, diede l’ordine di invitarla a castello. Una volta arrivata, la ragazza disse di essere la regina di un paese lontano e di essere giunta in città, perché alcuni suoi sudditi le avevano riferito che la regina Aparaja era inospitale e molto cattiva e aveva un castello terrificante. La regina, molto offesa, le disse che erano bugie e le fece visitare il castello; arrivarono nella camera da letto della regina, dove la sovrana si accorse dell’attenzione dell’ospite verso la bacchetta; quindi volle parlargliene e la descrisse in lungo e in largo: disse anche che la bacchetta era fatta di roccia e che, una volta spezzata, il suo potere si sarebbe disperso nell’aria. Una volta finita la visita, la regina la invitò a bere del tè, nel quale mise una pozione per leggere nella mente di Sabrina; capì, quindi, le sue intenzioni e la gettò in una pozza d’acqua, infestata di coccodrilli, che la ferirono gravemente. Sabrina tornò dal vecchio, che la mandò al mercato a comprare basilico, cannella e una polvere chiamata Raentare, con cui la guarì . Sabrina decise di tornare al castello, ma entrando di nascosto dalla porta dei servi. Una volta dentro, vide la bacchetta vera e capì che quella in camera della regina era finta; per raggiungerla, però, bisognava fare un percorso ricoperto con lame taglienti e arrugginite, poi attraversare un muro che lanciava stelle ninja. Sabrina esitò un po’, ma ormai aveva fatto un promessa e voleva mantenerla, così saltellò tra le lame arrugginite e infine passò indenne attraverso le stelle; quasi alla fine del percorso una le ferì un braccio ma, nonostante questo, si fece forza, afferrò la bacchetta e la ruppe. Una volta rotta la bacchetta, la regina e il vecchio tornarono normali, le nubi e la tristezza che regnavano sulla città sparirono, i colori degli indumenti si accesero. Sabrina, però, morì . La regina Aparaja rimase scioccata dalla crudeltà che aveva provato nei confronti della ragazza e decise di ridarle la vita. L’unico modo per salvarla era farla reincarnare in qualcuno e allora una guardia si offrì. Quando la guardia si tolse l’armatura si scoprì che era una ragazzina come Sabrina e che era identica a lei. La giovane, visto il corpo di Sabrina, in tutto identico a lei tranne che per una voglia scura a forma di cometa sul fianco, si ricordò che tempo prima i genitori le avevano parlato di una gemella identica a lei e le avevano rivelato una formula per rianimare i morti. Questa venne pronunciata dalla regina: - SAMINI MORULI GIOVE O SIKISabrina si rianimò e, una volta in vita, venne informata dalla regina che, insieme alla sorella gemella, sarebbe dovuta tornare sulla terra sotto forma di spirito, per tramandare , nella notte del 14 ottobre, ad altre gemelle esperienze divertenti e indimenticabili relative al paese della regina Aparaja. Le ragazze accettarono l’incarico e, prima di andare via, parteciparono al gran buffet che era stato organizzato per l’incoronazione del vecchio diventato re. La leggenda narra che ogni 14 ottobre le gemelle entrano nei corpi di gemelle e fanno vivere loro meravigliose avventure . Autore: Carola Canapini IL MACELLAIO CANNIBALE In una notte buia e tempestosa dei ragazzi in macchina vennero travolti da un pirata della strada, alcolizzato e drogato; rotolarono giù da un burrone finirono in una e buca; i quattro ragazzi, spaventati, gridarono e attirarono l’attenzione di un uomo, che li portò nella propria macelleria. Il macellaio offrì loro un pezzo di carne, ma i ragazzi, fissandolo attentamente, si accorsero che non era una normale bistecca di maiale, era qualcos’altro di molto strano … La notte, dopo aver faticato ad addormentarsi per gli strani avvenimenti del giorno, uno di loro fece un incubo orribile: nel sogno l’uomo che li aveva ospitati era uno spietato assassino. Il ragazzo si svegliò di colpo e, terrorizzato, svegliò gli altri, ai quali raccontò il sogno. Successivamente i ragazzi videro una strana ombra e corsero nella cella frigorifero, dove trovarono cadaveri umani scuoiati, senza braccia, gambe e testa. In quel momento l’ ombra che li seguiva lì catturò e li legò. Questa prese uno di loro e lo tagliò a metà con l’affettatrice. I ragazzi superstiti gridarono a squarciagola, disgustati dalla scena orripilante, ma nessuno lì sentì. Il Macellaio Cannibale prese un altro ragazzo e lo spolpò, divorandolo lentamente. Poi, mentre l’assassino non faceva attenzione ai ragazzi, perché era occupato a gustarsi il loro amico, questi ultimi riuscirono a slegarsi, a prendere dal tavolo un machete insanguinato e a scagliarlo contro il cannibale, decapitandolo. Riuscirono a scappare da quel posto orribile e tornarono a casa dai genitori, preoccupati per la loro assenza. Raccontarono tutto ai propri cari e vissero per sempre, avendo il ricordo delle vicende vissute, simili a scene da film horror. Autori: Nicholas Rossi e Lorenzo Cordano UNA VACANZA FINITA MALE In una calda sera d’ estate, un gruppo di quattro amici, due maschi di nome Luigi, il più pauroso, e Johnny, il più coraggioso, e due femmine, Gaia la ragazza di Johnny e Cloe la fidanzata di Luigi, felici di aver passato la maturità, andarono vicino ad un lago famoso per i suoi colori. Si diceva che negli abissi di questo lago ci fosse lo spirito di un uomo morto, che aggrediva e uccideva tutti quelli che andavano a trascorrere qualche giorno di divertimento nell’unica villa lì vicino. Questi ragazzi, però, non credevano alla leggenda, così presero la decisione di trascorrere comunque la loro vacanza in questo luogo, veramente spettacolare per il bel paesaggio che si poteva ammirare. Arrivarono nella villa, grande, spaziosa e costruita in legno. Si sistemarono comodi: Gaia e Johnny nella stanza “XY”, Cloe e Luigi nella stanza “XZ”. La sera seguente, dopo aver preso un aperitivo molto ricco a base di tramezzini e toast, tornarono nella villa, felici e rilassati, e andarono a dormire. Il giorno seguente organizzarono una gita in barca sul lago. Durante il tragitto incontrarono il signore, che aveva raccontato loro la leggenda, e gli dissero: “Guardi, capitano, come vede siamo ancora vivi dopo aver dormito una sera nella villa!”. Allora, chiamato in causa, l’uomo rispose: “Io vi ho avvisato. Se non ve ne importa niente, cavoli vostri!”. Quando tornarono dal lago erano le 19.00 precise. Appena entrarono in casa si accorsero che tutti i loro vestiti erano spariti. Allora Luigi disse: ”Sarà mica vero quello ha detto il capitano?”. Johnny rispose: ”Non crederai alle parole di quel vecchio marinaio?”. E Luigi: “Penso abbia detto la verità”. “Senti, noi la pensiamo diversamente! Se tu credi che esista lo spirito, vattene a fare un giro fuori!” rispose Johnny. Luigi, arrabbiato con Johnny, uscì di casa e andò nel bosco vicino alla villa: la maggior parte delle vittime era morta proprio lì! Mentre camminava lanciava dei legnetti trovati per terra, intrisi di piccole gocce di sangue; ma lui non si accorse di questo particolare. Ad un certo punto si fermò di colpo, perché sentì un rumore assordante…ma lo ignorò e continuò a camminare… passati cinque minuti, si trovò davanti un’anima bianca, quasi trasparente, con una lancia in mano e a circa tre metri di distanza. Luigi si bloccò dalla paura, mentre lo spirito, uscito del tutto dal lago, scagliò l’arma colpì in pieno il ragazzo, trapassandolo e facendogli uscire il cuore dal petto. In preda alle sofferenze Luigi morì. Nel frattempo, nella villa, Gaia sentì un forte dolore alla pancia, e, quando la guardò, vide che si era gonfiata… Allora chiamò Johnny, che, appena si rese conto che la ragazza stava male e che la pancia stava mutando le sue dimensioni, la portò velocemente dal medico, che la visitò in un istante. Ad un certo punto il dottore vide un piccolo cuoricino e disse: “È un bambino! Ed è una femmina!”. Dopo la visita i due tornarono a casa, dove li aspettava una brutta notizia. Entrarono e Cloe, con le lacrime agli occhi, disse che Luigi era scomparso e che l’ aveva ritrovato morto nel bosco. Sconvolti, tutti andarono nelle loro camere, tranne Gaia che andò al lago per prendere un po’ di fresco. Dopo trenta minuti Gaia vide dei cerchi nel lago e si affacciò dal pontino per vedere cosa fossero…. Si avvicinò con il viso sino a toccare l’ acqua e, ad un tratto, dal lago spuntò una mano che le afferrò il collo e la trascinò negli abissi sino a farla affogare. In seguito il fantasma tagliò la testa alla ragazza morta: il lago diventò quasi completamente rosso di sangue e a galla rimase solo la testa di Gaia. Arrivata l’ora di cena, Cloe e Johnny si accorsero che Gaia non era ancora tornata, allora uscirono a cercarla e videro la testa di Gaia che galleggiava sulla superficie del lago. Johnny, disperato per la morte di Gaia e della loro bambina, andò in camera a piangere. All’improvviso sentì un cigolio nell’armadio e controllò se ci fosse qualcuno dentro; lo aprì e vide il fantasma del lago e del bosco con un coltello in mano con la punta sporca di sangue. Johnny andò indietro e scontrò la schiena contro il muro; quindi il fantasma, dopo averlo bloccato, lo pugnalò un po’ di volte al cuore e il ragazzo morì dissanguato. Lo spettro, dunque, scese in cucina, dove si trovava Cloe: le spaccò una bottiglia di vetro sulla testa e, per finirla, le infilò un cavatappi nello stomaco. Infine il fantasma concluse il suo piano e andò a riposarsi per l’ultima volta nel lago. Lo spirito negli ultimi anni aveva ucciso tutti quelli che si erano azzardati ad andare nella sua villa. E continua a farlo tuttora… Autori: Valeria Polipodio e Edoardo Eugenio Costa LA VENDETTA DELLE DUE GEMELLE Si narra che in un villaggio isolato, situato nella foresta oscura, vivesse una famiglia composta da due genitori e due gemelle, chiamate Peste e Malle. Si diceva che al passaggio delle due gemelle la gente o gli animali morissero, perché le due ragazze erano state vittime di una maledizione fin da piccole. Per questo motivo i genitori e gli abitanti decisero di lasciarle morire, gettandole in un fiume senza che Peste e Malle se ne accorgessero. Il giorno seguente, come previsto, Peste e Malle furono spinte giù nel fiume. Due giorni dopo la madre delle gemelle, mentre si stava facendo la doccia, vide nello specchio due spettri. Allora pensò che fossero allucinazioni a causa della morte delle sue figlie ma…gli spettri si avvicinarono sempre di più a lei e la uccisero, infilandole violentemente un’ascia nel cuore e succhiando il sangue delle sue vene. I fantasmi decisero anche di scrivere col sangue della madre la data della sua morte, in segno di vendetta nei confronti di tutti quelli che non avevano opposto resistenza all’uccisione delle gemelle. Il giorno dopo, alla stessa ora, ci fu un‘altra vittima, ovvero il vicino, che morì affogato nella vasca. Il padre delle gemelle, andando in bagno, vide la moglie morta per terra con un ‘ ascia infilata nel cuore e circondata da sangue; notò le scritte e capì che ad averla uccisa erano stati i demoni delle anime delle gemelle . Dopo un po’ di tempo, quasi una settimana, si notò che morivano tutte le persone del villaggio, che erano state concordi nell’uccidere le due povere ragazze . Dopo poche settimane arrivò il momento del padre. Era andato al lago Muerta per pescare e distrarsi un po’ da quello che era successo nelle ultime settimane. All’improvviso, guardando l’acqua, gli sembrò di vedere qualcosa e si avvicinò, ma subito le gemelle lo tirarono giù sul fondo, affogandolo. Dopo aver ucciso tutti, le gemelle se ne tornarono sul fondo del fiume e decisero che se qualcuno le avesse disturbate loro lo avrebbero ucciso, staccandogli braccia, gambe e testa, mentre dormiva. Per questo motivo il villaggio diventò un posto isolato e tutte le gemelle nate in seguito morirono per mano dei loro genitori, come Peste e Malle. Per secoli si tramandò questa leggenda e ancora oggi si dice che le gemelle continuino ad uccidere persone e bambini. E si raccomanda ai genitori di non raccontare tale leggenda ai propri figli, se no potrebbero fare la stessa fine di Peste e Malle !!! Dopo aver letto questo racconto,è probabile, anzi è certo, che tra due giorni qualcuno vi telefonerà e subito dopo un caro parente morirà nel vostro bagno e… nello specchio rimarrà per sempre impressa l’ immagine di due spettri spaventosi , con il sangue uscente dalla bocca, con gli occhi fuori dalle orbite e mangiati dai vermi. P.S. : Si consiglia ,dopo la lettura, di nascondersi sotto il letto e accertarsi che i coltelli non siano nei “ paraggi “ e che siano al loro posto, in un cassetto . Ora vi auguriamo una mostruosa e terrificante giornata . Autori: Giulia De Mattei e Laura Orrù ALBERTO E IL MANIERO MALEDETTO Alberto Bianchi era un normale ragazzino di tredici anni, a cui piaceva viaggiare con i suoi genitori. Uno di questi viaggi li spinse fino in Transilvania, dove affittarono una casetta di campagna vicina a un piccolo paesino, reso famoso per il suo castello medioevale, su cui ultimamente giravano strane voci su gente scomparsa durante le visite. Alberto e i suoi genitori erano sempre affascinati dalle rovine medioevali, quindi, il giorno dopo il loro arrivo, andarono a visitare quel maniero, nonostante girassero brutte voci su di esso. Arrivati al castello, verso il pomeriggio, dopo aver visitato il borgo, rimasero subito affascinati dall’atmosfera antica che si respirava al suo interno. Era stata assegnata loro una guida, che fece avere loro la migliore impressione possibile del castello. Ad Alberto piacque molto il maniero e quindi, con i suoi genitori, rimase a lungo nell’ edificio medioevale. Rimasero così a lungo che calò la notte sul paese e si mise a piovere a dirotto, impedendo alla famiglia di tornare a casa. Alberto e la sua famiglia furono quindi costretti a fermarsi a dormire nel castello, che fungeva anche da piccolo hotel, in modo tale da far avere loro due camere: una per Alberto e un’ altra per i suoi genitori. Alberto, però, coricatosi, non riusciva a dormire: era inquieto, pur se non ne capiva la ragione, dato che era in un ambiente tranquillo ed era stata una bella giornata. Ad un certo punto, si riuscì ad addormentare, vinto dalla stanchezza, ma solo per qualche ora perché, quando scoccò la mezzanotte, qualcuno fece provenire da un’altra stanza, forse quella dei suoi genitori, un rumore strano. Andò nella camera dei suoi genitori, per chiedere se fossero stati loro ad aver fatto quello strano rumore. Così, arrivato nella camera dei suoi genitori, chiese se avessero prodotto loro quel rumore sgradevole. I suoi genitori gli dissero:- No, pensavamo che fossi stato tu che russavi come fai di solito – e quindi Alberto ridisse loro:- No, ho sentito qualcuno trascinare qualcosa di pesante, forse un mobile- . Così, genitori e ragazzo, andarono in giro per l’ edificio in cerca dei proprietari. Li cercarono all’ ingresso e nella loro camera, dove non trovarono assolutamente nulla. Quindi, cominciando a ispezionarla per bene, trovarono una porta assai misteriosa dietro ad un mobile, oltre la quale trovarono i padroni dell’albergo che stavano facendo un rituale strano. La stanza era rischiarata da una sola piccola lanterna – da cui, stranamente, gli ospiti della famiglia Bianchi stavano lontani -, ma non abbastanza da impedire la vista di un particolare ripugnante: la presenza di cadaveri insanguinati, aventi tutti due piccole feritine circolari sul collo. I pensieri dei tre sfortunati villeggianti subito furono confermati dai canini, che i padroni mostrarono loro in un sorriso non proprio amichevole. Subito i Bianchi fuggirono, chiudendosi alle spalle la porta e sbarrandola con un tavolo. Si consultarono brevemente sul da farsi, concludendo di dover scappare. Ma, in quel momento, i vampiri sfondarono la porta, costringendo i genitori a far scappare Alberto, dato che lo amavano più di loro stessi. Lui fuggì, fuggì sentendo le urla dei suoi, fuggì a casa, dove prese dell’ aglio e un crocifisso, sperando nell’ attendibilità delle leggende, per usarli contro i vampiri. Stava per tornare al castello, ma si trovò, purtroppo, davanti ai suoi nemici, che dissero :- Volevi sorprenderci, eh? Per questo morirai, come i tuoi genitori! Maledetto, muoriiiiiiii!!!- e si avventarono su Alberto. Lui, allora, li stordì con l‘ aglio e li lasciò lì, accanto al crocifisso (tanto era quasi l’alba, si sarebbero inceneriti a breve), avviandosi velocemente verso il castello, come vittorioso. Arrivato lì, bloccò la trasformazione in vampiro dei suoi genitori con l’ aglio. Il giorno seguente avrebbero abbandonato la zona, per tornare a casa e non tornare mai più in Transilvania. Autori: Stefano Garibaldi e Francesco Gastaldi DENNY, IL FRATELLO DEL DEMONIO In una notte tempestosa, mentre la famiglia Framen si stava recando all’aeroporto di Genova, lungo la strada, vide un ragazzino vestito elegantemente. La famiglia pensò che il giovane fosse lì per un appuntamento, ma quando gli si avvicinò, egli chiese di essere accolto perché i suoi genitori lo avevano abbandonato. La famiglia, avendo pena per il ragazzo, lo prese con sé, ignara della vera identità del ragazzo. I Framen si imbarcarono per la California precisamente per San Francisco. In volo, incuriositi dal ragazzo, gli chiesero il nome: lui rispose “Denny”. I due figli dissero subito i loro nomi: ”Noi invece siamo Davide e Nicolò!”. I ragazzi incominciarono a chiacchierare e proseguirono fino alla fine del viaggio. Arrivati a destinazione, si recarono all’hotel, dove posarono le valigie. L’hotel non piacque ai Framen perché incuteva timore. La sera in cui arrivarono era tempestosa, il che non migliorava l’aspetto dell’hotel. Entrati, capirono che sarebbe stata una vacanza da incubo; lo intuirono quando videro la testa di un’ alce appesa alla parete del salotto; inoltre i proprietari non erano molto amichevoli e avevano un aspetto un po’ inquietante; infine quando arrivarono in camera si udirono strani rumori, cosa che non era gradita, in quanto la famiglia era abituata al silenzio. Il padre decise di investigare sul rumore, che secondo lui proveniva dalla soffitta, quindi andò in soffitta e vide un topo che aveva fatto cadere un vaso di ceramica. A cena Denny non aveva fame e si chiuse in camera. La famiglia rimase sconcertata dal suo comportamento, poiché, durante il viaggio, aveva detto più volte di avere molto appetito. La famiglia, triste, iniziò a cenare senza Denny. Il mattino seguente Denny non era più in camera, ma, in compenso, vi era un cadavere sanguinante appeso per i piedi ad un filo elettrico. Poi i Framen videro sul muro una scritta fatta con il sangue che diceva: “ Andatevene entro oggi, se no morirete a partire dal più piccolo!”. La famiglia, ignara del pericolo che avrebbe potuto correre, ignorò l’avvertimento e continuò la vacanza in modo tranquillo. Da quel momento in poi accaddero cose strane e Denny non si fece più vedere. Da quel giorno in poi i Framen trovavano, ogni giorno, un cadavere appeso in camera di Denny. Dopo un po’ la famiglia iniziò a preoccuparsi sino a che, un giorno, trovò il cadavere di Davide. La famiglia, distrutta dall’avvenimento, tornò a Genova, dove trovò Denny, che disse di essere stato lui ad uccidere Davide. Quindi il ragazzo brandì un pugnale e si pugnalò più volte alla testa, ma non morì… i genitori si spaventarono tantissimo perché si trovarono davanti un bambino con un pugnale piantato in testa, che camminava verso di loro per ucciderli. Infine Denny si staccò il pugnale dalla testa e incominciò dal più piccolo : Nicolò! Lo squartò in due … poi toccò alla madre e infine al padre. Così si concluse la terribile vacanza della famiglia Framen. Autori del testo: Nicolò Gentili e Davide Garipoli UN BIGLIETTO PER L’INFERNO Era il mio sedicesimo compleanno e i miei tre migliori amici avevano organizzato una bella giornata al parco divertimenti. Arrivammo lì per le tre del pomeriggio e devo dire che non avevo mai visto un posto pubblico così desolato. Ci avvicinammo alla cassa per prendere i biglietti, il volto della cassiera era coperto da un cappuccio blu scuro, si sentiva soltanto la sua voce inquietante. La strana signora ci disse: “ Salve tesorucci, ecco qui i vostri quattro biglietti e ora, buon inferno! Scusate, volevo dire buon divertimento!” Ci allontanammo con inquietudine e con un leggero brivido. Appena entrati, le porte si chiusero alle nostre spalle e il terrore fu confermato. Il parco era completamente deserto e, per una giornata d’inizio luglio, mi parve un po’ strano, comunque decidemmo di fare la prima giostra: ”La dimora degli zombie”. Appena entrati nella casa, sentimmo dei colpi inquietanti e un secondo dopo vedemmo degli zombie di plastica al di là delle finestre; quella scena non ci spaventò molto, ma, ad un tratto, sentimmo dei passi avvicinarsi a noi, ci girammo di scatto ed un orribile e mostruoso zombie ci iniziò a rincorrere urlando: “Cervello, cervello, lo voglio!” A un tratto Bred, uno dei miei amici, trovò per terra un bastone di legno molto appuntito, che afferrò e infilzò nella testa di uno di quegli orribili mostri, che intanto stavano arrivando a dozzine; dopo cominciammo a correre verso la porta della casa, che, una volta fuori, chiudemmo, intrappolando gli zombie. Ci dirigemmo verso il cancello del parco, ma le porte erano chiuse. Ci stavamo già agitando, quando sentimmo un altoparlante che diceva: ”Non uscirete vivi da qui finché non farete tutte le giostre del parco!” Cercai di non perdere la calma e di tranquillizzare i miei amici, ma non ce ne fu bisogno, perché loro si stavano già dirigendo verso la giostra dei vampiri. Fu un’esperienza terribile, anche perché incontrammo, oltre ai vampiri, un ciupacapra, che, con la sua terribile proboscide proveniente dalla gola, provò a entrare nella mia, ma, per fortuna, uno dei miei amici, Fill, mi salvò. Ci stavamo dirigendo verso “gli autoscontri della morte”, quando un demone arrivò di scatto e rapì Fill; Juliette, che lo amava, si mise a piangere, però le sue lacrime durarono poco perché dovevamo finire le giostre, salvarci e recuperare il nostro amico. Superammo infiniti giochi, quando, alla fine del penultimo, dopo aver sconfitto grazie a Juliette un licantropo, ci ritrovammo davanti ad una porta che aprimmo e dietro la quale vedemmo una scena raccapricciante: Fill era appeso a testa in giù ad una corda, con la gola sgozzata, il corpo squarciato e pieno di sangue; la testa era penzolante, con gli occhi senza orbite, gli arti erano tagliati a metà, la carne e la pelle penzolavano e sulla schiena era incisa una scritta:” Scappate o farete una fine peggiore!” A quel punto ci afferrammo per le mani e cominciammo a correre, non ci fermavamo più da quanto eravamo spaventati; arrivati al cancello, tutte le giostre stavano scomparendo alle nostre spalle e si stavano trasformando in demoni a parte una, l’ultima, la più difficile e spaventosa; se non l’avessimo superata saremmo morti…come Fill! Entrammo nell’ultima giostra:”L’ultimo Inferno”. Appena entrati, sentimmo un odore di sangue marcio e di cadavere, quella stanza era il posto più squallido e disgustoso che io avessi mai visto. Iniziammo a percorrere il corridoio e, arrivati nella stanza principale, ci ritrovammo circondati dai demoni; a quel punto cominciammo a combattere, ma Juliette sentì la presenza di qualcuno molto speciale per lei e capì che Fill si era trasformato in un demone assassino. Era molto difficile combattere contro di loro perché, una volta prese, uccidevano le loro vittime risucchiandone l’anima; ad un tratto il nostro, ormai ex, amico cercò di uccidere Juliette, ma lei, astutamente, prese dal pavimento (fatto di legno) un pezzo di trave spaccata e gliela infilzò nel cuore uccidendolo. Quando i demoni ci stavano per uccidere, sapendo che si nutrivano delle nostre paure, cominciammo a ricordare i momenti più belli che avevamo passato insieme; a quel punto i demoni cominciarono ad urlare e a rimpicciolirsi; intanto la giostra stava scomparendo e noi, ormai usciti fuori, ce ne stavamo andando via dal parco, quando vedemmo arrivare la polizia insieme ai nostri genitori, compresi quelli di Fill. Non so come riuscirono a giustificare la scomparsa di loro figlio, ma la polizia disse loro che era soltanto scomparso e che, con un’ indagine approfondita, avrebbe scoperto cosa gli fosse successo. Soltanto noi sapevamo la dura verità. Avevo veramente comprato un biglietto per l’inferno! Autori: Giorgia De Mattei e Daniela Calestru IL KILLER MISTERIOSO Il mio nome è George e vi racconterò cosa mi è successo negli ultimi vent’anni, anche se molto probabilmente non mi crederete….. Ero alla centrale di polizia più importante di New York, avevo ricevuto un invito all’addestramento pomeridiano quando… arrivò un uomo barbuto, presentandosi dicendo : “Io mi chiamo Scram e sono capo della società segreta SECTOR 51. So che la tua esperienza nello svelare misteri fuori dalla normalità è eccellente, quindi ho deciso di assumerti”. Io ero contentissimo, fino a quando mi disse: “Ho deciso che il tuo primo caso sarà trovare il mio diario degli appunti, riguardanti degli avvistamenti sulla Mietitrice. Per ora posso dirti solo che compare di notte e che prende l’anima alle persone, penso che sia il suo nutrimento quotidiano per così dire.” Detto questo, tornò nel suo ufficio. Iniziai a riflettere sui posti dove un capo avrebbe potuto nascondere il proprio diario. Poi capii che l’oggetto in questione si trovava nel suo ufficio. Quindi sgattaiolai nell’ufficio del capo; quando entrai notai che il capo stava dormendo, allora, con molta cautela, presi il diario e scappai fuori dall’edificio. Poi controllai tutte le informazioni contenute nel diario e attesi il calare del sole. Sorta la luna, mi misi a correre verso casa. Arrivato al mio appartamento, mi chiusi a chiave e attesi l’arrivo della Morte. Le porte iniziarono a scricchiolare e le maniglie a ruotare, come se qualcuno volesse entrare; poi la porta si spalancò e vidi una specie di spettro con una falce in mano: ero sicuro che volesse uccidermi. Si avvicinò a me e disse con una voce tetra: “Questa è la tua fine, George !” A queste parole accesi la luce, ed egli scomparve in una nube di fumo. Dopo che lo spettro scomparve vidi una bombola fumogena usata e mi ricordai che nell’ufficio di Scram c’erano delle scatole contenenti delle bombole identiche a quella. Il mattino seguente mi diressi al SECTOR 51 ed entrai nell’ ufficio del capo; sbirciai nei cassetti della scrivania, trovai i fumogeni e, quando stavo per prenderne uno per analizzarlo, qualcuno, all’improvviso, mi colpì alla testa e mi fece svenire. Quando mi risvegliai mi ritrovai legato ad una sedia , in una stanza buia; sentii una voce conosciuta e capii che era quella di Scram ; poi vidi una persona che si avvicinava cautamente, era Scram! Si sedette accanto a me, dicendo: “Sono io lo spettro che ti ha aggredito l’altra sera, anche se so che lo sapevi già… e perciò dovrò ucciderti!”. Poi si strappò la pelle e rivelò la sua vera forma: aveva gli occhi gialli pieni di odio e di rabbia , la pelle marrone squamosa e viscida. Mi si avvicinò con intenzioni non amichevoli, provò a graffiarmi, ma sbagliò, colpendo la corda che mi tratteneva attaccato alla sedia, così potei liberarmi. Scram mi si avventò contro; prima che riuscisse a colpirmi, estrassi la mia pistola dal giubbotto e sparai un colpo che uccise definitivamente la creatura. Uscii dall’appartamento e avvisai le forze dell’ordine dell’accaduto. Nella mia carriera ho vissuto tante altre esperienze simili, ma nessuna come questa. Autori: Mattia Laganà e Lorenzo Ubbiali LA CASA MALEDETTA La notte di Halloween tre ragazzi di 14 anni, di nome Larry, Tom e Julia, mentre gironzolavano in cerca di dolcetti, videro in lontananza, nel bosco, una casa diroccata su una collina che li attirò molto. I tre ragazzi, incuriositi, iniziarono ad addentrarsi nella boscaglia; subito sentirono dei fruscii tra le foglie, ma non si spaventarono, pensando che fosse uno scoiattolo; dopo un po’, però, videro una lunga ombra davanti a loro e improvvisamente un lupo dalle dimensioni enormi balzò da dietro un albero: aveva una folta pelliccia nera, la testa era come quella di un lupo ma con dei denti molto più affilati e con una cicatrice sull’ occhio sinistro. Dalla bocca colava una lunga bava verde che gocciolava sino a terra; la bestia, inferocita, con un balzo atterrò davanti ai tre ragazzi. Loro, spaventati, si girarono e cercarono una via di fuga, ma la bestia con un'artigliata fece crollare un grosso albero davanti a loro: non c’era più via di uscita. L’animale, con un balzo, cercò di azzannare Larry, ma lui, veloce, afferrò un bastone molto appuntito e glielo conficcò nel ventre. La bestia cadde a terra ormai morta; i ragazzi, spaventati, decisero di tornare indietro, ma si ricordarono che la strada era sbarrata da un grosso albero . Allora, sconsolati, stabilirono di continuare a salire, in cerca della casa che in precedenza avevano visto. Salendo videro che, ai bordi del sentiero, c’erano carcasse di animali sventrati, e proseguirono il cammino anche se terrorizzati; dopo qualche ora la salita non era ancora finita; ad un certo punto videro un enorme serpente che dormiva arrotolato su se stesso. Julia, spaventata a morte da quella orribile creatura, lanciò un urlo assordante, la bestia si svegliò di colpo inferocita. Con un balzo saltò addosso a Julia e la spinse a terra, mordendola ad un braccio. Ad un tratto i ragazzi si accorsero che erano arrivati vicino alla casa e che la porta d’entrata si stava aprendo. Il serpente, allora, strisciò via impaurito. I ragazzi entrarono dentro la casa, pensando che ci fosse qualcuno ad accoglierli, ma, appena varcata la soglia, la porta alle loro spalle si chiuse con un orribile fragore. Julia si mise a piangere, un po’ per il dolore del morso e un po’ per la paura, e subito Larry la consolò; in seguito i tre ragazzi, pur molto spaventati, si avventurarono per la casa. Appena girato un angolo videro un’ ombra sfrecciare davanti a loro. I tre ragazzi indietreggiarono e sentirono un rumore alle loro spalle; quando si girarono videro Tom con un pugnale conficcato nella schiena : Tom era morto. Larry cercò di rianimarlo, ma era troppo tardi. Poi un piccolo uomo, con la pelle rinsecchita e gli occhi rossi come il diavolo, si schierò davanti a loro e Julia capì che era stato lui a ad uccidere Tom; per questo afferrò un attizzatoio e glielo conficcò nel petto. Il mostro, come impossessato dal demonio, iniziò a pronunciare delle strane parole in latino e, dopo poco, si dissolse. I due ragazzi continuarono a vagare nella casa e si ritrovarono in un salone grandissimo. Julia crollò a terra pallida e Larry, accortosi della ferita al braccio, pensò che il libro di formule racchiuso in una teca di vetro, che aveva visto poco prima, potesse aiutarla; quindi si avvicinò per prenderlo, ma una creatura, con la parte superiore del corpo di una bellissima donna e la parte inferiore di un orribile ragno, brandendo uno scettro di diamanti, si avvicinò a Larry. Il ragazzo, allora, senza paura l’affrontò in un combattimento mortale. Subito lo scettro della creatura divenne una lancia d’oro e a Larry comparve in mano, magicamente, una spada romana. Lo scontro ebbe inizio. Larry cercò di tagliare al mostro una zampa, ma questo, con straordinaria agilità, schivò il suo fendente e cercò di trafiggerlo con la lancia. Il ragazzo parò il colpo, ma questo era stato così forte che il giovane venne sbattuto contro il muro. Allora la bestia cercò di trafiggere l’avversario, ma Larry rotolò su un fianco e la lancia si conficcò nel muro. La donna-ragno cercò di estrarla, ma Larry si rialzò e, con un fendente, le staccò la testa. A quel punto il mostro si dissolse. Larry, quindi, ruppe la teca e prese il libro, cercando una formula per guarire Julia. Scoprì che l’unico modo per guarirla era il bacio del vero amore e, con molta passione, le diede un bacio in bocca. Lei subito si riprese. Si rialzarono e, presi dal terrore, si addentrarono nei corridoi della casa. Dopo qualche minuto videro la porta da cui erano entrati e la aprirono; in fretta e furia uscirono correndo, e, una volta fuori, la casa iniziò a sgretolarsi alle loro spalle. Subito pensarono di aver ucciso tutti i mostri che si trovavano in quella dimora, ma, dopo un attimo, dalle ceneri della casa uscì una orribile creatura: era alta dieci metri, la sua pelle era composta di lava fusa e la testa era di lucertola. L’animale non fece caso a loro, ma si diresse verso la città, con l’intenzione di distruggerla; Larry, in maniera molto coraggiosa, riuscì a provocare una frana per bloccare l’avanzata del mostro. La frana colpì il mostro in pieno petto, scaraventandolo in un burrone sottostante. Julia corse verso Larry e lo baciò, ma un attimo dopo un uncino trapassò il corpo del ragazzo. Poi l’uncino tranciò anche il braccio di Julia, che urlò per il terribile dolore e per la morte di Larry. Disperata, la ragazza corse verso la casa, prese un pezzo di carta e un pezzo di carbone e scrisse: QUI GIACCIONO I CORPI DI TRE RAGAZZI: TOM MORRISON ,MORTO ASSASSINATO DAL CUSTODE DELLA CASA STREGATA ,LARRY TOMSON , MORTO PER SALVARE TUTTI NOI DAL DIAVOLO IN PERSONA E IO, JULIA ROBERS, MORTA PER…… Julia non riuscì a terminare la lettera, ma noi sappiamo quello che voleva scrivere. La ragazza prese una grossa scheggia di legno e se la conficcò nel petto, ma non morì così; avanzò verso il fossato, in cui si trovava il corpo di Larry, e si buttò dentro, volendo morire vicino al ragazzo. Nel volo disse queste esatte parole : “LARRY ORMAI NON HO PIU’ VIA DI SCAMPO DALLA MORTE E VOGLIO SOLTANTO MORIRE CON TE, PERCHE’ TI HO SEMPRE AMATO”. I genitori dei tre ragazzi li cercarono insieme alla polizia per anni e anni, ma l’unica cosa che trovarono fu il biglietto scritto da Julia. Si narra ancora oggi che le loro anime vaghino per l’eternità in quell’ orribile e incantato bosco alla ricerca l’ una dell’ altra. Autori: Alessandro Ragazzoni e Diego Damonte IL RAGNO SCHELETRICO Un giorno Jarker e Carter, due bambini di 11 anni, stavano passeggiando nel loro orto. Ad un certo punto trovarono una zucca viola, allora andarono da loro nonno e gli dissero: “Ma nonno, questa è una melanzana!” Poi fece sera e i due bambini andarono a letto, lasciando la zucca viola sul comodino. Subito dopo la zucca si trasformò in una specie di ragno scheletrico. La mattina dopo i due bambini si accorsero che la zucca non c’era più! “Tanto non si poteva mangiare!” disse Jarker. I due bambini andarono a scuola, ma arrivarono in ritardo. Poco dopo l’inizio delle lezioni Jarker e Carter si accorsero che la scuola stava per essere attaccata da un ragno scheletrico che avrebbe potuto distruggere un’ intera città. Il nonno andò a prendere i nipoti in elicottero, prima che crollasse la scuola; insieme a lui i ragazzi cercarono di scappare via da quella città, purtroppo però si accorsero che erano bloccati, perché il ragno aveva costruito una ragnatela gigante che circondava la città. Ad un certo punto Jarker si rese conto che il ragno era invulnerabile. In seguito i ragazzini si accorsero che il ragno stava attaccando il loro elicottero; l’essere mostruoso “sparò” una ragnatela che bloccò le eliche dell’elicottero, il quale cominciò a precipitare. Carter si buttò nel vuoto, cadde in un lago e perse i sensi; si risvegliò in una caverna, dove c’era un uomo che comandava a distanza qualche cosa di meccanico: venne a scoprire che era il ragno. Allora, senza farsi scoprire, scappò e tornò dal nonno, dicendogli che l’ unica cosa che potesse sconfiggere il ragno era una pompa d’acqua, in quanto la creatura era fatta di materiale elettrico. Quindi “spararono” dell’acqua addosso al ragno e lo distrussero. Il giorno dopo morì il nonno. Da allora vissero tutti felici e contenti (o quasi). Autori: Jacopo Ercolani e Emanuele Cardi LA MUMMIA MALEDETTA Molto tempo fa due ragazzi di nome Jack e Jenette, lui di 14 anni, biondo, magro, alto e con la particolarità di avere un occhio marrone e uno blu, e lei di 13 anni, castana, alta ma un po’ grassottella, stavano giocando a pallone. Ad un certo punto la palla andò a finire in una vecchia casa abbandonata ,che un tempo era appartenuta ad uno scienziato un po’ pazzo di nome Jerry Stewart. I due ragazzi, anche se timorosi, entrarono nell’abitazione. Appena dentro, videro la stanza in cui era andato a finire il pallone e si diressero subito in quella direzione. Così presero la palla e andarono verso la porta d’uscita, ma scoprirono che… avevano tutte cambiato posto! Così provarono ad aprirle tutte e, quando sbirciarono nella penultima porta, scoprirono uno strano marchingegno (che fosse una macchina del tempo?). I ragazzi, curiosi, vi entrarono dentro e si misero a schiacciare bottoni a destra e a manca. Ma, ad un certo punto, la macchina si illuminò e li teletrasportò in Egitto, davanti alla piramide di Tutan Kamon. I ragazzi si guardarono intorno spaesati e, quando si resero conto di dove fossero capitati, disperati cercarono un riparo, perché ormai era già notte e non avevano provviste. Allora, vedendo la piramide, decisero di passarci la notte. Quando ci entrarono non videro niente di strano e quindi si addormentarono vicino all’entrata. Dopo qualche ora di sonno sentirono degli strani rumori provenienti dai piani superiori e così, curiosi, andarono a vedere di che cosa si trattasse. Quando aprirono la porta videro macchie di sangue dappertutto e, più avanti, un corpo squarciato, ormai del tutto putrefatto. Riconobbero quel volto…era il famoso archeologo Albert Jineuse. I ragazzi, spaventati, scapparono, ma non si accorsero che, davanti a loro, c’era una botola chiusa male, in cui Jack inciampò. Vista la scoperta, decisero, anche se spaventati da quello che avevano visto, di andare a vedere che cosa si celasse lì sotto. Entrarono nella botola e scoprirono un passaggio segreto, che li portò in una stanza piena di ragni, ragnatele e teschi. Ormai era mezzogiorno e i due ragazzi iniziarono ad avere fame. Jenette, sbadatamente, si appoggiò al muro e questo aprì un passaggio segreto che li condusse in una specie di dispensa, che gli operai probabilmente utilizzavano quando era loro concesso di mangiare durante la costruzione della piramide. I ragazzi si accorsero, però, con loro grande sorpresa, che c’era un lungo cunicolo con in fondo una luce. Jack e Jenette, allora, pensando che fosse l’uscita, proseguirono, ma non si accorsero che un’oscura presenza li stava seguendo. Arrivati in un vicolo cieco, si accorsero che la luce che avevano visto poco prima apparteneva solo alla fiaccola di un vecchio signore mal ridotto, che per i due ragazzini aveva una faccia conosciuta. Quando si avvicinarono lo riconobbero… era loro padre! Gin Pietruzzi era appunto scomparso tre anni prima. Fratello e sorella andarono ad abbracciarlo, ma lui disse loro di non avvicinarsi. Loro non capirono e fecero il contrario di quello che aveva ordinato il padre e così una mummia saltò fuori dal nulla e li imprigionò. Il padre rivelò chi era la mummia di… TUTAN KAMON! Quando quell’essere spaventoso se ne andò pensarono ad un piano per uscire. Ad un certo punto Jenette disse che aveva un’ idea: si alzò, prese la forcina dai capelli, la mise nella serratura e ci fece due o tre giri. La porta si aprì e così uscirono finalmente da quella prigione. I tre si misero a correre nella direzione da cui erano arrivati ma, ad un certo punto, Gin inciampò e cadde con un tonfo sordo che svegliò la mummia, che, nel frattempo, stava dormendo. Così essa andò a vedere dove fossero i suoi “carcerati” ma, non trovandoli, si mise a cercarli; nel frattempo padre e figli si erano rimessi a correre per trovare l’uscita. Ad un certo punto videro che la mummia era alle loro calcagna, quindi il padre prese una fiaccola che era attaccata alla parete e la tirò addosso all’essere, che prese subito fuoco non diventando altro che cenere. Così andarono verso l’uscita e,davanti alla macchina del tempo, spiegarono al padre come erano arrivati lì. Lui li aiutò a far ripartire l’aggeggio e ritornarono finalmente a casa. Autori: Vanessa Sardonico e Beatrice Fiore