Condannati dalla fisica
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Condannati dalla fisica
Scienza Condannati dalla isica Peter Hofmann, Nautilus, Stati Uniti. Foto di Bruce Gilden Sono i processi isici e non solo quelli biologici a determinare il nostro invecchiamento. Certo, trovare una cura per il cancro o per l’alzheimer migliorerà le nostre vite, ma non ci renderà immortali. E non ci permetterà neanche di vivere molto più a lungo L’ interno di ogni cellula del nostro corpo è come una città affollata, piena di strade, mezzi di trasporto, biblioteche, fabbriche, centrali elettriche e discariche. I suoi lavoratori sono macchine proteiche, che metabolizzano il cibo, eliminano le scorie o riparano il dna. I carichi sono trasportati da un posto all’altro da macchine molecolari che camminano sulle funi tese delle proteine. Mentre fanno il loro lavoro, tutte queste macchine sono circondate da migliaia di molecole d’acqua, che le investono senza uno schema preciso mille miliardi di volte al secondo. Questo è quello che i fisici chiamano con un eufemismo “moto termico”. Una deinizione più adatta sarebbe “violento caos termico”. Come riescano le macchine molecolari a fare un buon lavoro in queste condizioni è un vero mistero. In parte la spiegazione è che le macchine proteiche delle nostre cellule, come minuscoli ingranaggi, trasformano l’energia casuale che ricevono dal bombardamento dell’acqua nel movimento molto preciso che fa funzionare le cellule. Trasformano il caos in ordine. Anni fa ho scritto un libro (Gli ingranaggi di Dio, Bollati Boringhieri 2014) in cui esaminavo il modo in cui le macchine molecolari facevano ordine nelle nostre cellule. Mi interessava capire come la vita riuscisse a evitare di precipitare nel caos. Con mia grande sorpresa, poco dopo l’uscita del libro sono stato contattato da alcuni ricercatori che stavano studiando l’invecchiamen- 52 Internazionale 1160 | 1 luglio 2016 to biologico. All’inizio non capivo quale fosse il collegamento: non sapevo niente sull’invecchiamento, a parte quello che avevo imparato osservando i processi del mio corpo. Poi ho capito che con i miei studi sul funzionamento delle macchine molecolari avevo spinto quegli studiosi a chiedersi se il caos termico fosse una delle cause dell’invecchiamento. Nell’immediato il moto termico può sembrare utile, perché fa funzionare le macchine molecolari, ma è possibile che alla lunga sia dannoso? Dopotutto, in mancanza di un apporto di energia esterno, l’agitazione termica casuale tende a distruggere l’ordine. Questa tendenza è ben descritta dal secondo principio della termodinamica, per cui tutto invecchia e si deteriora: gli ediici e le strade si sgretolano, le navi e le rotaie si arrugginiscono, le montagne si sbriciolano. Le strutture inanimate non sono in grado di contrastare l’efetto devastante del moto termico. Ma per le creature viventi non è così: le macchine proteiche riparano e rinnovano costantemente le cellule. In questo senso, la vita contrappone la biologia alla E allora perché gli esseri viventi muoiono? È la dimostrazione del trionfo della isica sulla biologia? isica in un duello mortale. E allora perché gli esseri viventi muoiono? L’invecchiamento è il trionfo inale della isica sulla biologia? O fa parte della biologia stessa? Il testo fondamentale per gli studi sull’invecchiamento è An unsolved problem of biology di Peter Medawar, biologo britannico e premio Nobel per la medicina nel 1960. In questo studio del 1952 Medawar metteva a confronto le due spiegazioni: da una parte c’era la “senescenza”, o la vecchiaia come necessità biologica; dall’altra l’invecchiamento come “logoramento” dovuto agli efetti accumulati dello stress. La prima spiegazione era biologica, la seconda riguardava la isica. Il concetto di una senescenza innata implica che la vecchiaia e la morte sono imposti dall’evoluzione per fare spazio alle generazioni più giovani. Questa idea fa pensare che dentro di noi ci sia un grande orologio che conta le ore della nostra vita. In efetti degli orologi simili esistono. I più famosi sono i telomeri, piccole porzioni di dna che si accorciano ogni volta che una cellula si divide. Il loro studio ha portato a risultati controversi: non è chiaro se l’accorciamento di queste porzioni sia la causa o l’efetto dell’invecchiamento. I telomeri non si accorciano in modo regolare: anche se esiste una quantità minima che viene tagliata via a ogni divisione, si accorciano più rapidamente quando la cellula è già danneggiata. Molti ricercatori oggi sono convinti che questo accorciamento sia un sintomo più che la causa dell’invecchiamento. Lo stesso Medawar sosteneva la teoria MAGnuM/COnTrASTO (3) Leslie, Regno Unito del “logoramento”, che spiegava il fenomeno da un punto di vista isico. Secondo lui l’orologio biologico dell’invecchiamento era inutile. Per spiegare il motivo portava come esempio un oggetto inanimato: una provetta da laboratorio. Tutti sanno che ogni tanto le provette si rompono involontariamente. Per mantenere costante il loro numero, ogni settimana se ne comprano delle nuove. Dopo qualche mese, quante sono le provette giovani e quante quelle vecchie? Se partiamo dal presupposto che la probabilità che si rompano accidentalmente è indipendente dall’età (ipotesi molto ragionevole), e confrontiamo il numero di provette con la loro età, otteniamo una Teresa, Stati Uniti Kimberly, Stati Uniti curva di decadimento esponenziale simile a uno scivolo per bambini. La “curva della sopravvivenza” comincia scendendo ripida e poi è piatta in fondo. Anche se le provette non invecchiano (le vecchie non si rompono più facilmente delle nuove), la continua probabilità di rottura fa diminuire in modo signiicativo il numero delle vecchie. Ora supponiamo che gli esseri umani, come le provette, abbiano la stessa probabilità di morire a qualsiasi età. Il numero di anziani rimarrebbe comunque piccolo. Prima o poi saremmo tutti vittime della probabilità. Il problema è che le curve della sopravvivenza costruite per le popolazioni di esse- ri umani non somigliano per niente a quella delle provette di Medawar. Cominciano piuttosto piatte, con un piccolo numero di perdite in giovane età (eccetto che alla nascita), e superata una certa età improvvisamente scendono più ripide. Per ottenere una curva simile dobbiamo aggiungere un altro fattore al modello di Medawar: perché il rischio che si rompano aumenti, nel corso del tempo le provette devono accumulare una serie di piccole crepe. In altre parole, devono invecchiare. Se il rischio di rottura aumenta in modo esponenziale, arriviamo alla cosiddetta funzione di Gompertz-Makeham, una legge matematica perfetta per spiegare la curva della sopravvivenza umaInternazionale 1160 | 1 luglio 2016 53 Scienza na perché – continuando a usare l’esempio delle provette – prevede sia un rischio di rottura costante sia uno che aumenta esponenzialmente. Questo aumento esponenziale è già stato osservato negli esseri umani, per i quali una volta compiuti i trent’anni il rischio di morire raddoppia ogni sette anni. Ma cosa lo origina? Il moto termico non è l’unico a danneggiare le nostre cellule. Altri processi comuni, in particolare il metabolismo dei mitocondri, non sono perfetti e tendono a produrre radicali liberi, atomi altamente reattivi che possono danneggiare il dna. Messi insieme, il rumore termico e la produzione di radicali liberi rischiano già di per sé di danneggiare le cellule. In genere i danni vengono riparati o, se non sono riparabili, la cellula viene spinta al suicidio, o apoptosi, e di solito è sostituita da una cellula staminale. Ma alla ine i danni si accumulano. Il dna può essere riparato solo quando esiste una sua replica intatta da copiare. Le proteine danneggiate si srotolano e si appiccicano le une alle altre formando degli aggregati. I meccanismi di difesa e di apoptosi sono compromessi. Le “cellule senescenti” cominciano ad accumularsi negli organi provocando iniammazioni. Le cellule staminali non vengono attivate o si esauriscono. I mitocondri danneggiati producono meno energia, necessaria per alimentare le macchine molecolari che riparano il dna. È un circolo vizioso o, in termini tecnici, un circuito di retroazione positiva. Dal punto di vista matematico, questo circuito porta a un aumento esponenziale del rischio, il che spiega la forma delle curve della sopravvivenza umana. Età e sopravvivenza La letteratura scientifica propone varie spiegazioni dell’invecchiamento: l’aggregazione delle proteine, i danni al dna, le iniammazioni, i telomeri. Ma queste sono tutte risposte biologiche a una causa di fondo: l’accumulo dei danni provocati dal degrado termico e chimico. Per dimostrare che questo accumulo causa l’invecchiamento, dovremmo poter osservare esseri umani con temperature interne diverse. Questo ovviamente non è possibile, ma esistono organismi che possono avere temperature interne diverse senza subire danni, almeno nell’immediato. In un recente studio pubblicato sulla rivista Nature, un gruppo di ricercatori della facoltà di medicina di Harvard, negli Stati Uniti, aferma di aver veriicato che nel verme C. elegans (un organismo con una struttura semplice e quindi molto studiato) l’in- 54 Internazionale 1160 | 1 luglio 2016 Nell’ambito della ricerca, è in atto un vivace dibattito per stabilire se classiicare l’invecchiamento tra le malattie vecchiamento dipende dalla temperatura e di aver scoperto che la forma della curva di sopravvivenza rimane essenzialmente la stessa ma si allunga o si contrae quando la temperatura si modiica. I C. elegans allevati a una temperatura più bassa hanno una curva di sopravvivenza più lunga rispetto a quelli esposti a una temperatura più alta. Inoltre, il rapporto tra allungamento della vita e temperatura sembra seguire uno schema familiare a qualsiasi scienziato: è lo stesso che c’è tra il tasso di rottura di un legame chimico e la temperatura del moto termico casuale. Ho osservato un possibile collegamento tra rottura del legame chimico e invecchiamento anche nel mio laboratorio. Quando mi sono imbattuto per la prima volta nella funzione di Gompertz-Makeham, mi è sembrata stranamente familiare. Il mio laboratorio usa un microscopio a forza atomica, in grado di misurare le minuscole forze che agiscono tra due molecole, per studiare la probabilità di sopravvivenza di singoli legami molecolari. In uno degli esperimenti mettiamo una proteina su una supericie piatta e un’altra su una piccola molla. Lasciamo che le due proteine si leghino e poi tiriamo lentamente la molla per applicare una forza crescente alle due molecole. Alla ine il legame si spezza e noi misuriamo la forza necessaria per ottenerne la rottura. Questo processo è casuale e dovuto al moto termico. Ogni volta che ripetiamo l’esperimento, la forza necessaria per spezzare il legame è diversa. Ma il rapporto tra probabilità di sopravvivenza del legame e forza applicata somiglia a quello tra sopravvivenza umana ed età. Questa somiglianza conferma i risultati degli esperimenti con i C. elegans, e fa pensare a un collegamento tra la rottura dei legami delle proteine e l’invecchiamento, e tra l’invecchiamento e il moto termico. Nell’ambito della ricerca, è in atto un vivace dibattito per stabilire se classiicare l’invecchiamento tra le malattie. Molti ricercatori che studiano malattie speciiche, sistemi cellulari o componenti molecolari vorrebbero che il loro argomento di ricerca venisse etichettato come “causa” dell’in- vecchiamento. Ma il numero di ipotesi avanzate esclude questa eventualità: non possono essere tutte cause dell’invecchiamento. Leonard Haylick, che è stato il primo scienziato a scoprire l’invecchiamento cellulare, ha fatto notare in un articolo su Nature che “il denominatore comune alla base di tutte le moderne teorie sull’invecchiamento è il cambiamento della struttura delle molecole, e di conseguenza del loro funzionamento”. La causa inale, secondo Hayflick, sarebbe quindi “una crescente perdita di fedeltà molecolare o un crescente disordine molecolare”. Questi fenomeni si manifestano, per la loro stessa natura, in modo casuale e quindi diverso da persona a persona. Ma la causa fondamentale rimane la stessa. Se questa interpretazione fosse corretta, l’invecchiamento non sarebbe una malattia ma un processo naturale dovuto alla isica termica nanoscopica. Fino agli anni cinquanta del novecento, i progressi sull’aspettativa di vita umana erano dovuti quasi interamente all’eliminazione delle malattie infettive, un fattore di rischio costante che non dipende in modo speciico dall’età. Di conseguenza, l’aspettativa di vita (l’età mediana alla morte) è notevolmente aumentata, ma la durata massima della vita no. Alla ine il fattore di rischio che cresce in modo esponenziale ha la meglio su qualsiasi riduzione del fattore di rischio costante. Continuare a eliminare i fattori di rischio costante è utile, ma solo ino a un certo punto, perché si tratta di fattori che hanno a che fare con l’ambiente (incidenti, malattie infettive), mentre i rischi che crescono in modo esponenziale sono dovuti a un logoramento interno. Trovare una cura per il cancro o l’alzheimer può migliorare la nostra vita, ma non ci renderà immortali, e non ci permetterà neanche di vivere molto più a lungo. Questo non signiica che non possiamo fare nulla. Le ricerche sui cambiamenti molecolari sono necessarie, perché possono farci capire se alcune molecole chiave si rompono per prime, e se il loro crollo innesca una serie di cedimenti a cascata. Se queste componenti chiave esistono, avremo un bersaglio preciso per eventuali interventi e riparazioni, possibilmente tramite le nanotecnologie, la ricerca sulle staminali o l’editing genetico. Vale la pena provarci. Ma dobbiamo avere chiara una cosa: non sconiggeremo mai le leggi della isica. u bt L’AUTORE Peter Hofmann insegna isica alla Wayne state university di Detroit, negli Stati Uniti.