Quel giorno bevevo Jgermester. non so perche

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Quel giorno bevevo Jgermester. non so perche
Quel giorno bevevo Jägermäester. Non so perché.
"Satan Is My Motor"
“I've got wheels,
Of polished steel,
I've got tires that drive,
The road,
I've got seats that selflessly,
Hold my friends,
And a trunk that can carry,
The heaviest of loads,
I've got a mind that can steer me,
To your house,
And a heart that can bring you,
Red flowers,
My intentions are good,
And earnest, and true,
But under my hood,
Is internal combustion power,
And Satan is my motor,
Hear my motor power,
Satan is my motor, motor,
Hear my motor power,
Satan is the only one,
Who seems to understand,
I've got brakes,
I'm wide awake,
I can stop this car,
At anytime,
At the very last second,
I can change directions,
Turn completely around,
If I feel so inclined,
I've got a mind that can steer me,
To your house,
And a heart that can bring you,
Red flowers,
My intentions are good,
And earnest, and true,
But under my hood,
Is internal combustion power,
And Satan is my motor,
Hear my motor power,
Satan is my motor, motor,
Hear my motor power,
Satan is the only one,
Who seems to understand,
Satan is my motor,
Satan is my motor,
Satan is my motor,
1
Satan is my motor,
Satan is my motor,
Satan is my motor,
Hear my motor power,
Satan is the only one,
Who seems to understand...”
Cake
da “Prolonging the magic”
La sciarpa d’ordinanza dell’esercito croato. Non mi pare che l’armata croata sia rimasta
nell’immaginario collettivo come simbolo d’efficienza, difatti.
Non sono capace di farmi il nodo alla cravatta. In occasioni come queste ci pensa mio
padre. Del resto a me sta bene così; mi sento al sicuro, mi sento amato, nulla mi potrà far male
finché mio padre alzerà i lembi del colletto della mia camicia: fin tanto che le mani sul mio
collo ce le ha lui, non le può mettere nessun altro.
Nel medio evo degli anni ottanta pubblicitari, bastava un’aranciata per assaporare la
sensazione amara della crescita ed un amaro per quella della dolce vita milanese.
Ora, non so se esso sia in corrispondenza biunivoca con una pubblicità effettivamente
esistita, ma ho il ricordo di un uomo aitante e sicuro di sé 1 e accanto a lui, di fronte allo
specchio, della sua impubere progenie (presumibilmente). Il prototìpico papà sta
insegnando al prototìpico figlio come ci si fa la barba. Nel ricordo, sono ambedue
maxillo-schiumati in maniera esagerata. Addirittura dall’aggetto nasale di entrambi sporge
un ulteriore gnocco burroso (in scala per il figlio) che ci fa immaginare la presenza d’una
mamma burlona/e/spumo-spennellante. Forse invece, la mamma è stata semplicemente
chiusa fuori del bagno perché non interferisca col rito d’iniziazione, con inutili piagnistei
muliebri del tipo: oddìomio! Oddìomio! Ora si taglia, ora si taglia! O, peggio: guardaunpò
che casino che avete lasciato qua per terra.
Tutta quella schiuma pannosa è portatrice di senso, insomma. Significa che il papà e il
bambino, insieme ‘giocano ai grandi che si radono’.
Ora, per via del rincoglionimento postadolescenziale non so dire se fosse realmente così,
ma mi pare che nell’insegnare al figlio l’arte tosatoria, il ‘maschio come non se ne fabbricano
più’ protagonista della reclàme, volgesse il guardo oltre la fumosa cortina dei ricordi fino al
giorno in cui – egli stesso, ancorché bimbo implume – divenne depositario dei segreti della
bilama, nell’ambito d’un cerimoniale sostanzialmente identico: il protopadre (attualmente
nonno) officiante; il protofiglio adepto.
Capite? Non semplicemente una rasatura, ma gioco; prova di passaggio all’età adulta;
valori condivisi. Un legame peloso tra generazioni diverse. Un bar-mitzwah meno giudaico e
più gillette.
1
Ancora non c’erano “Sex & City” o “Allie Mc. Beal”. Gli sceneggiati che vedevamo erano “Fonzie” e “La casa
nella prateria”, “I Chips” e “Stursky & Hutch”. Quando Poncharello rimorchiava, noi non dubitavamo. Quando
Almanso chiedeva la mano di Laura a papà Ingols, mia cugina sospirava. Quando Fonzie dava un pugno al jukebox, percuotevo il frigorifero.
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Immagino che di fronte allo specchio di quello spot si siano svolti discorsi del tipo “ti sta
succedendo una cosa strana, vero? Questo che senti è diventare grandi…”
Quando mio padre mi ha fatto il “famoso discorsetto” avevo sedici anni. Mio padre s’è
pure incazzato perché mentre me lo faceva, io ridevo come un deficiente.
Mio padre (tardivamente è vero, ma che ci volete fare?) voleva darmi (a me che pure non
sono ebreo) un mio bar-mitzwah ed io che non lo avevo capito, l’ho pure coglionato. Mio
padre non poteva sapere che mi ero trovato il mio personale bar-mitzwah, come al mio solito
in un posto nascosto, in un’azione insospettabile: annodarsi la cravatta. Per me l’archetipo
padre/figlio è coperto dalla figura ‘cravatta’.
Mettersi la cravatta. Vestirsi bene. Vestirsi “da grande”. Non a caso, mi vesto ancora come
un cretino.
Mio papà non mi ha mai insegnato a spaccare la legna o a costruirmi un natante di fortuna
con un coltellino svizzero ed una lente d’ingrandimento; né sarebbe in grado di farlo; né, del
resto, mi servirebbe. Non ne ho bisogno: mio padre mi fa il nodo alla cravatta, a me.
Siamo in auto assieme e sembriamo i Blues Brothers o i Reservoir Dogs. Arriviamo e ci
guardano tutti. Ehi! MI guardano TUTTE! Qualcuna mi fissa addirittura ed io la ricambio
sorridendo.
Bella mossa cugina!, penso. Io non mi sarei mai sposato né capisco come possa averlo
fatto tu che sei addirittura più piccola di me, ma apprezzo il sacrificio per apportare nuove
giovenche al cugino.
Hai ragione! Qualcuno doveva pur farlo! O io per te, o tu per me…Hai preso la
decisione più giusta. Grazie. Ma ora bando alle chiacchiere e buttiamoci nel turbine dei sei una
parente dello sposo o della sposa? No perché non credo d’averti mai vista prima, altrimenti mi
sarei ricordato di te, bambina…
Ecco che mi succede una cosa tipica: quando, già individuata la preda , mi avvicino
felino a spiccare il balzo dell’amore, s’inserisce in rotta di collisione una ultra-ciccia e per di
più, over-anta:
«Che bel giovanotto che ti se fatto! Io mi ti ricordo che eri alto così e ora invece, che sei
alto così, quasi non ti riconoscevo».
La pisellotta di prima si sganascia e coglie l’occasione fornitale dall’esemplare di
megattera di terra, per sfuggirmi.
«Grazie, anche te stai benissimo!» faccio, in un vano tentativo di divincolarmi, ma la
megattera di terra è un animale che non dà scampo:
«Ma, hai capito chi sono?».
No, non solo non ho capito, ma non me ne frega neanche un cazzo:
«Certo che ho capito!» - fingo con fare sbrigativo - « non sei cambiata affatto, Mar..
Lucian..Simon…», come cazzo potrebbe chiamarsi una megattera?
«Ma se non ti ricordi neanche come mi chiamo! Eh, eh!»,
«Mi è solo passato di mente…», la mia bella intanto è stata raggiunta da un cercopiteco,
probabilmente il proto-ominide con cui s’accoppia. Tanto vale restare un altro po’ e scoprire il
nome della megattera di terra.
«Dài, indovina!»,
«No guarda, non lo so…»,
«Eddài, indovinaaaa…»,
«Forse Free Willy?»,
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«Come?»,
«No, niente…»,
«Mi chiamo Agostina, ti ricordi adesso?»,
«AGOSTINAAA!!!» (Chi cazzo sei?),
«Eh, lo sapevo che ti saresti ricordato…e ti ricordi che giocavi con lui?», un ragazzo con
tre peli sulle guance (ehi, vado subito a dirne quattro a tuo padre!), mi guarda perplesso come a
dire per favore non diciamo puttanate!, ma io sono in pieno ‘Actor’s Studio’ e continuo la
recita ad oltranza:
«Certo…Mi…»,
«Ernesto»,
«…chel..’rnesto…ERNESTO, COME NO! Mi avrai rotto come minimo tre
transformers! E quanti pomeriggi passati sul Forza Quattro di mio cugino…Scusate mi
chiamano…». È un trucco di bassa lega, lo so, ma non ne potevo più.
Olà! Questa la conosco per davvero! È un’amica di mia cugina. Fonti certe la danno cotta del
sottoscritto. Sapete quelle infatuazioni nate fra le bambole? Quei desideri che le bambine non
confessano soprattutto a sé stesse e poi le rodono di dentro come un canchero fino ad assumere
proporzioni gigantesche? Fino a divenire degni di chiamarsi amori? Be’ lei per me, più o meno
è questo quello che prova, solo che sfortunatamente non mi ricordo il suo nome.
Da ragazzina a dire il vero era un po’ cozzerella, ma adesso è decisamente fatta per il
sottoscritto.
Le sorrido da lontano sussurrandole un ciao.
Mi sorride da lontano sussurrandomi: «Ciao!».
Sono soddisfatto, per ora. Non voglio farle sapere di essere affamato. Me la giocherò più in là.
Con la dovuta non chalanche.
«Ciao carissimo!» chi cazzo è?
Mi giro e dopo un rapido resùmé mentale collego immagine ad individuo: una zia di mia
cugina: una stronza.
Si tratta della madre di una mia compagna delle elementari (e ovviamente cugina della
mia ma che, ringraziando “l’Antagonista”, però non ha nessuna parentela col sottoscritto): una
stronza.
Insiste: «Sei da solo caro? Non ce l’hai la fidanzata?»,
«Eggià.»,
«Esattamente come l’ultima volta che ti ho incontrato, del resto»,
«Eggià.».
C’è anche suo padre: lo “stronzo-famiglia”. Una famiglia di stronzi deve pur avere un
capostipite. Lo stronzo principe.
Ora a parlare è Stronza-figlia:
«Andreacaro, come stai?»,
«Io benone, tu gravemente gravida a quanto posso vedere» è mostruosa: le froge del
naso del calibro delle nocciole, le pere (prima inesistenti) si sono fatte per l’occasione del
calibro delle noci di cocco. È evidente che sta alla fine di quello stato pietoso, tutto vomito e
manie ormonali, che è la gravidanza.
«Sì, sono all’ottavo mese»,
«Be’, che si dice allora in questi casi…» - (potevi stare più attenta?) - «…auguri!».
Bella mia, non oso dirti di che calibro avrai il buco tra poco.
Curioso…tutta quella fatica a tenertela stretta stretta, per poi ritrovartela larga larga.
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Carina questa. Peccato che l’ho sciupata così.2
Sempre Stronza-figlia:
«Andrea ti presento GianRicciardo…» - abbiamo uno stronzo-acquisito, quindi! - « il
mio compagno», sicché lo stronzetto sarà un bastardo? Sarà nato fuori dal coniugio benedetto?
Non me la spettavo questa mossa hippy da una famiglia di liberal-/social-/catto-/militarbenpensanti. Bah! I tempi che cambiano.
«GianRicciardo è brand-manager per la “kikkoman italia”!»,
«La salsa degli involtini primavera?»: io, ovviamente.
«esattamente…»
Lo stronzo-acquisito è assai tall ed ha teeth (too many and too large) su un muso lamptanned. Completo old grey da english gentleman un po’ finocchio. Nulla a che vedere con la
mia eleganza non dozzinale. E poi vogliamo mettere la mia cravatta double face (grazie
papà!), con la sua boring regimental? È perfectly shaved. Come lo stronzo-famiglia, del resto.
Probabilmente Stronzo-famiglia, a corto di figli maschi da educare alla tosatura, ha adottato
Stronzo-acquisito. Stronzo-acquisito lo chiamerà persino papà. Papà m’insegni a farmi la
barba? (tipo a trent’anni compiuti, però.)
Si eseguono rasature, rigorosamente con sole lame Wilkinson.
In compenso Stronzo-acquisito almeno ha l’eleganza della gente d’Albione di tacere.
Sterontius familias mi si rivolge per la prima volta:
«E tu Andrea di cosa ti occupi? nella vita intendo…» mah! Ti dirò…più che altro bevo.
Bevo un po’ quello che capita: rum, tequila, vino, grappa, Zabov, sambuche estere e
nazionali…ogni tanto un sigaro…ogni tanto una scopata… sempre più di rado in effetti … e
ah! quasi dimenticavo! Con gli amici si è fondato un club delle seghe… le pippe insomma!… sì
ed io ne sono l’onoratissimo presidente…
«Studente».
«Ancora? E quando ci decidiamo a portare a casa un po’ di dindi?..» - dindi? «…scheeerzo caro!…»,
«Certo.»,
«E cosa studi?»
«Ingegneria.»
«Ah! bene, bene…E quanto ti manca?», che palle!
«Un esame e la tesi», finito? Posso andare?
«E che ingegneria? Sai, adesso sono nate queste facoltà ridicole tipo ingegneria
dell’ambiente e territorio, ingegneria delle telecomunicazioni, ingegneria informatica…»
«Meccanica.»,
«Be’… meccanica… bene! Ingegneria meccanica è mooolto divertente»,
«Si vabbè!». Non ho resistito oltre.
Mi dirigo verso un altro mucchio di persone. Il mio occhio miope e astigmatico riconosce le
fattezze di una giovane Raquel Welsh fasciata in un abito elegantissimo scuro.
Ehi! Ehi! Ehi! Chi sei? Sei una sensuale giara modellata sul tornio della lussuria? O
forse sei un eccitante maccherone trafilato al bronzo della lascivia? Oppure sei un “Amazin’ &
Hi-tech” oggetto alieno del piacere erotico?
2
Da Totò [op. citat.]
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«Mi-, ‘ste cazzo de scarpe coi tacchi m’hanno fatto venì le visciole [sic.] sotto li piedi!
Poi una dice che non ce se veste mai c’a fregna’n tiro! Anvedi chi cazzo ce sta! Bella zi’! Ma
quâ sgalletata de tu fia? Sì! t’ha detto a te che c’aveva ‘r marchese! Quella chissà ‘ndocazzo è
annata! Lucianino, bello de zia! Piscione pisellone de tu zia!».
Oh! Oh! Oh! Chi sei? Un orcio di liquame nauseabondo? Un’olla di vomito ribollente
boli maldigeriti? Una boccia riempita con una spremuta di gavigne dal frazzo pauroso? Un
tegame smanicato pieno d’escrementi sciamanti mosche e cavolaie? Un secchio tracimante
moccio appiccicoso? Chi sei, eh ? dillo! Un camallo travestito da ragazza? Un maniaco
coprolalico in gonnella?
Una ragazza in disparte vede la scena e sembra disgustata. È una figa anche lei. Però
diversamente dalla sua collega (che, a proposito, le somiglia) pare che le parolacce voglia dirle
solo a letto. Mi avvicino con fare dinoccolato; lei lascia fare. Lasseiz faire.
«Ciao, piacere Andrea!», faccio e nel frattempo la bacio sulla guancia e indugio un po’
dietro l’orecchio. Così. Per guadagnare tempo. Buon profumo.
«Piacere, Milena.»,
«Hai un ottimo profumo Milena.»,
«Grazie, sei molto gentile». Lasseiz passaire.
Poi sgravo. Ovviamente. Andavo troppo bene.
«Certo che gente che c’è in giro…» e indico la Raquel coprolalica di prima,
«È malata…»,
«Come scusa?» (no, non te li fa’ mai i cazzi tua!!!),
«È mia sorella Patrizia…è così dalla nascita…»,
«Ma come?...»,
«Si chiama sindrome di Tourette. Patrizia è tourettica. Quando ha un attacco non si
controlla. Urla oscenità, è assalita da mille tic. Soffre molto.»,
«Ah…non sapevo, scusa.»,
«Non importa, non potevi saperlo.».
Mi sto vergognando a bestia e si vede, sono tutto rosso. Per fortuna sta per cominciare
la cerimonia e così, con la scusa di prendere posto, mi allontano.
Siamo tutti seduti. Il futuro marito di mia cugina è in posizione e guarda i suoi testimoni –
sono gli amici di sempre – in una smorfia umidiccia. Deglutisce in continuazione e sorride
stolidamente. È evidente a tutti quanti qua dentro che vorrebbe scappare.
Vorrei, poterti essere d’aiuto amico, ma io sono solo Satana ed in chiesa gioco fuori
casa. Devi farcela da te.
Avanti! Fallo! Scappa! Io ti coprirei le spalle. Ma ora, altrimenti poi è troppo tardi.
Non guardare il crocifisso che è inutile. Dio aiuta chi si aiuta da sé. È il Demonio
quello che piglia una qualche minima iniziativa personale.
Troppo tardi. Ta-tà-tà-tà. Ta-tà-tà-tà: marcia nuziale.
Mi volto e vedo Stronza-madre in versione occhio liquido che si stringe a Stronzofamiglia. Sulla panca dietro alla loro, in formazione doppio-invertita there are: Lord Stronz-inlaw & his fiancé. Incredibile!
Quel mazzetto di stronzi è in completa estasi!
Oh?!…. Ma che state a fa’ ?
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È solo una fottuta lagna! Una musichetta che facevo assieme alla “Barilla” sulla
diamonica…
Che è tutto questo abbracciarsi? Questo brancicare il corpo di chi ti titilla le tette o di
chi ti toccaccia il tarello?
Quel ‘Ta-tà-tà-tà. Ta-tà-tà-tà’ è una campanella più sonora di quelle pavloviane.
Dleng-dling-dlang-dleng-dling-dlang e il cane sbava.
Ta-tà-tà-tà. Ta-tà-tà-tà. Ta-tà-ttà-ttà-ta-ttà-tà-taratà-tà-ttà. e gli stronzi si ammucchiano.
Con la solennità conferitale dallo strascico avanza mia cugina a braccetto col padre. Lo
sposo è decisamente nel guano di gallina – il più olezzante. Eppure ora pare farsi più calmo.
Non è nervoso. È emozionato.
Questo ragazzo ha stile, dopotutto. Accetta il suo destino a testa alta.
Non tanto sano di mente, questo no; ma stiloso come 2-Pac nella ferale sparatoria,
questo sì.
S’accende il rito mentre io mi spengo.
Sull’altare, dietro la scrivania di Dio, sono in tre. Mia cugina e il suo sposo 2-Pac hanno voluto
che fosse un diacono a fare loro gli obbligatori cazziatoni matrimoniali. Sì, quelle cose tipo che
devono lavarsi ed odorarsi vicendevolmente per l’eternità e che guai a sbandare fuori
dall’autostrada tracciata dalla Chiesa con le ruspe del pentimento e della contrizione.
Be’, pare che il diacono comunque non abbia la patente divina (la M?) necessaria a
celebrare matrimoni, così a questi è stato assegnato il ruolo del presentatore (fa colore, indica
verso l’alto, incita le folle al tumulto, manda i consigli per gli acquisti…), mentre dietro di lui
un sacerdote – è il caso di dire, con “tutti i crismi” – fa il regista e dice cose tipo scambiatevi un
segno di pace, di’ soltanto una parola, la messa è finita in quanto latore unico presso noi
mortali della raccomandata divina e, di conseguenza, l’unico autorizzato a sparare le Sue
potenti formule magiche.
Alla sua sinistra, una terza figura talarata. Non so dire chi sia, né il suo grado di
autorità nel gran consiglio Jedi diocesano. È anziano. Non parla, pure sembra abbia molta
voce in capitolo e in capitolati: la Forza scorre potente in lui. Lo sento.
Lo Yoda egumeno scruta le folle dal pulpito in cerca del peccato, ma mi sa che non ci
vede bene, perché non sembra riconoscere il Satana che alberga in me.
A Yoda oggi si richiede il solo compito di capo claque: con fermezza guida gli agnelli di
Dio.
Palmi che paralleli salgono verso l’alto significa che ci dobbiamo alzare.
Dorsi discendenti, che ci si deve sedere.
Non faccio caso a nulla se non all’elaborata coreografia messa in piedi da Yoda.
Tre vecchi che recitano una farsa; l’organo che sottolinea i cambi sequenza.
Lo spettacolo è pauroso ed affascinante al contempo: Yoda, un vecchio, che col potere
telecinetico jedi muove in alto e in basso un centinaio di persone contemporaneamente.
La folla è in delirio, io in catalessi.
Imbambolato dall’epifania che mi s’è rivelata: la gente ci crede.
E non solo in Dio, ma anche nell’istitu-to/-zione del matrimonio.
Dicono di no, ma poi con la scusa del facciamo contenti i nonni, ci tengono proprio a
vestirsi da pagliacci per quel giorno.
7
La vita d’ognuno è un film. Certe scene madri semplificano la sceneggiatura.
Alleggeriscono le responsabilità: e che facevo, non mi sposavo?
Allo stesso modo, prevedere certi personaggi canonizzati (come Dio) alleggerisce i
dialoghi, facilita la comprensione della trama. Purtroppo però, quando i personaggi sono
troppi e stereotipati, il difficile è non ridurre lo spessore psicologico del protagonista.
Il fatto che, per il solo motivo d’essere presente qui, oggi, la tribù degli stronzi veda già
un biglietto staccato per lo spettacolone sempiterno del paradiso, non mi stupisce più di tanto;
quello che mi stupisce è che qui TUTTI la pensino così.
Personalmente sono assai meglio disposto a credere nella geranomanzia; almeno le gru
esistono (e di certo stanno in cielo) veramente.
E poi come fai a dire che non è possibile, scusa?
Una cantilena sacra (o sacrilega) mi riporta in vita:
Voce fuori campo: «Rinunci a Satana?»
Coro: «Rinuncio!!» (con entusiasmo)
Voce fuori campo: «Rinunci alle sue seduzioni?»
Coro: «Rinuncio!!» (con ancora piu’ entusiasmo)
Mi viene in mente un pezzo di una poesia di Carducci:
“A te disfrenasi
il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
re del convito.
Via l’aspersorio,
Prete, e il tuo metro!
No, Prete, Satana
Non torna in dietro!”
Non rinuncio no che non rinuncio! Che rinunci? È arrivato “rinunci”…anvedi quesso!
Mi limito ad un ghigno 666 volte più efficace di 1000 parole; difatti ora Yoda pare
essersi accorto della mia presenza. Difatti.
E difatti difatti.
Difatti…
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“Un cambiamento d’ambiente è la tradizionale premessa fallace
in cui ripongono le loro speranze gli amori e i polmoni condannati.”
Vladimir Nabokov
Siamo tutti quanti al ristorante. Di solito durante questi pranzi di nozze sei al tavolo con
sconosciuti, ma che la coppia di sposi (o chi in vece loro ha organizzato il ricevimento) ritiene
possano esserti affini. In genere la collocazione degli invitati è affissa su d’un cartello il quale,
di norma, poggia su un cavalletto da pittore sistemato in prossimità dell’entrata della sala da
pranzo. Detta collocazione trova una rappresentazione schematica di non immediata
interpretazione:
cerchio piccolo centrale Ù tavolo sposi
cerchio medio alla sinistra della sposa Ù parenti stretti della sposa
cerchio medio alla destra dello sposo Ù parenti stretti dello sposo
cerchio medio/grande in basso a sin. rispetto al tavolo dei parenti stretti della sposa Ù
amici intimi della sposa che sono più frequentati di altri parenti che troveranno posto in un
tavolo ancora più esterno che…
Mi avvicino al cartellone per cercare il mio nome/posto, quando mi volto e…
Qua-qua-qua-qua-quaandooOoOooo, t’innamorerai di mEeeee? Fa’ che non sia troOoppo
tardIiii…sei mia, bella! Sei mia! L’amica di mia cugina ex-cozzerella, mi guarda e distoglie lo
sguardo. Mi riguarda e ri-distoglie lo sguardo. Ah-ah! Cu ié? Che fai? Prima ttalia e po’di
nnascusi? Che fai di veggogni? Non di veggognavi prima però, eh? Mm’ dd’iciesti: “Turi,
come siete béllo! Sembrate l’accangèlo Gabbièle!»
S’è fatta quell’ora. Blocco mio cugino e mi faccio dare informazioni:
«Come si chiama quella là, l’amica di tua sorella?».
Si chiama Alessia. È importante sapere il nome di una ragazza, soprattutto in un caso
come questo; andrò da lei e le dirò: ciao ALESSIA! Ti trovo bene ALESSIA. Cos’è che hai
fatto tutto questo tempo, ALESSIA? Non possiamo permetterci il lusso di perderci
nuovamente di vista, cara ALESSIA! Aspe’, che lo memorizzo sul mio cellulare. Come hai
detto che ti chiami? E giù grosse risa! Senza contare che poi lei penserà: si ricorda il mio nome
dopo tutto questo tempo! Allora non gli ero così indifferente come credevo! Forse era solo
timido! E io non mi sono accorta dei suoi segnali…ma adesso che sono una donna fatta –
grazie ai preziosi consigli di Top Girl e Gioia – ne farò un sol boccone! Più o meno…
«Ciao Alessia!»,
«Ciao Andrea.» (ehi, si ricorda il mio nome!),
«Ti trovo veramente bene…»,
«Grazie.»,
«Cos’è che fai adesso, Alessia?»,
«Lavoro…»,
«Ah! io studio…»,
«Ah…»,
«Mmmm…vabbuò! io vado in cerca del mio posto, tu che fai?»,
«No grazie, aspetto una persona. Vai pure.»,
«Ok. Allora ciao…»,
«A dopo.».
Conversazione entusiasmante, non trovate?
9
Come al solito sul “quadretto dei tavoli” ci stanno disegnati cerchi (Ù tavoli) con su
scritti i nomi degli invitati. Una constatazione curiosa cattura la mia attenzione. La struttura
dei tavoli ricorda quella di un sistema planetario, il cui sole è il tavolo degli sposi. C’è una
forza di gravità affettiva che curva lo spazio della sala e attrae i cerchi Ù tavoli Ù pianeti
tenendoli coesi. Maggiore è l’affetto che lega i componenti di due tavoli, minore sarà la
distanza tra i tavoli stessi. In simboli:
F =Ψ
dove:
(a1 ± a 2 ±,..., a m ) × (b1 ± b2 ±,..., bn )
d
F è la forza di gravità affettiva
d, la distanza tra i tavoli
a le masse affettive degli m componenti del primo tavolo
b, le masse affettive degli n componenti del secondo tavolo
Ψ una costante di proporzionalità.
Il posto che mi è stato riservato è alla fine dell’universo conosciuto.
M’interrogo sulla mia destinazione.
Sarà respirabile quell’atmosfera? Ci sarà l’acqua? E il vino? Come saranno gli alieni nei
miei confronti? Saranno ostili, oppure disponibili? Il loro cervello sarà abbastanza evoluto?
Sarà possibile una qualche forma di comunicazione? Ci saranno alieni-donne? I nostri sessi
saranno compatibili, oppure la loro vulva dentata è così perché plasmata dall’evoluzione
extraterrestre ad accogliere un pene usa&getta?
Leggo i nomi dei miei compagni planetari all’interno del mio cerchio:
Elena_Michela_Ernesto_Federica_Andrea
Bene, bene, bene. Abbiamo tre pulzelle da dividersi in due…
Passiamo alle presentazioni:
Elena: va pazza per le big babol alla panna fragola, non le piace studiare né il calcio in
tivù; odia la prof. di mate mentre ama Chicco con addirittura 5, e dico 5, x.
Elena ama Chicco xxxxx. Chicco ha sedici anni, Elena quattordici. Direi che basta.
Michela: Michela conosce Elena da quando erano piccole così, infatti sono migliori
amiche no amicissime anzi amiche per la pelle. Non stanno in classe insieme, perché Michela
è più grande di Elena, infatti ha quindici anni. Però Elena e Michela (scopro relativamente
presto) vanno a nuoto insieme. A Michela piace studiare (e come asserisce il Blasco, non se ne
deve vergognare) e disegnare; piacciono i ragazzi fighi (e a chi quelli brutti, bella mia?) e le
moto; piace il pattinaggio sul ghiaccio e la ginnastica artistica. Ah! dimenticavo…anche la
Nutella.
Federica: Federica è la mia preferita. Parla pochissimo e mi fissa quando non guardo
nello sterangolo che la contiene. Poi, quando occhieggio da quella parte fa la vaga.
10
A Federica piacciono i cavalli, i delfini, i cuccioli, i pulcini, i gattini, i coniglietti e
l’odiosamato Brad Pitt. A Federica non piace la pasta al sugo né le espressioni. Federica di
anni ne ha tredici.
Ernesto: Ernesto è quello di prima. Di anni ne ha diciassette. Mangerà pochissimo e
soprattutto non berrà vino ché si è iscritto ad un torneo di calcetto con gli amici e sta a dieta;
gioca in porta. L’anno scorso sono arrivati quarti. Quest’anno hanno detto che rispetto a
l’anno scorso è l’anno buono perché hanno le maglie diverse da quelle dell’altr’anno e in più
hanno anche il tifo che l’anno scorso non ce l’avevano e mo’ invece ce l’hanno. Quest’anno.
Ce l’hanno. L’altr’anno no. Mo’ sì.
Andrea: Andrea è in occasioni come queste che dà il meglio di sé. Usa il plurale
maiestatico come il mago Otelma.
Noi nasciamo il venti6, zero6, millenovecentosettanta6 e di conseguenza in quest’anno
della Nostra vita n’abbiamo venti6. Tre anni prima della messa in commercio del 2°album [
per la A&M] dei “The Police”: “Regatta De Blanc”. C’esprimiamo con parole roscide di bava
per l’aumentata salivazione, non sappiamo a causa di quale ipertrofia glandolare. Siamo
alcolisti soddisfatti. Conosciamo tutte e trenta le categorie filosofiche in cui si dividono i
cocktails, come i Cobbler e i Long e Short drink e financo i meno noti, come per esempio i
Sangaree, i Crusta, i Pousse-café, gli Highball, gli Straight, i Flipp nonché i Toddie. Siamo
erotomani e feticisti del piede, ma non disponiamo di abbastanza pazienza da praticare il coito
con regolarità. Abbiamo un debole per le rosce. Siamo onanisti felici, in fin dei conti. Altre
manie? La coprolalia e la glossolalia. Ora che ci penso, anche un po’ di melomania.
Megalomania? Forse, anche. I discorsi delle persone Ci interessano sempre meno. Men che
mai, quando non riguardino i seguenti argomenti:
- I Libri;
- I Film;
- La Musica;
- Il Sesso;
- L’Alcool;
- La Cronaca Nera;
Ci davano morituri da dieci anni e in ogni caso, assicuravano non saremmo arrivati sani ai
trenta. Siamo ancora in tempo per confermare certe previsioni. Del resto ce la stiamo mettendo
tutta a furia di shottini. Non dovessimo riuscirvi, Ci rivolgeremmo alla sempreverde pratica del
suicidio. Come Pavese. Come Mishima, come Hemingway, Berryman, Primo Levi e Jack
London; Kosinski, Koestler, Rothko e Crane. Senza contare Socrate. Ma quello non vale ché
si è ammazzato per un motivo serio. Lasceremmo un biglietto con su scritto “che noia!”. Ma
quest’idea non è Nostra, ma di Ted Heller, quindi non lo faremmo (crediamo). Del resto,
Siamo convinti, non riusciremmo a portare a termine IL PROPOSITO poiché, sospettiamo il
Nostro istinto di conservazione più potente della Nostra noia.
Il tùdero s’è perso qualche parte del riprensibile sermone, mentre le tre ragazzine mi
fissano allibite.
«Vabbuò, buon appetito!», dico e comincio a mangiare.
5 secondi.
…4…
…3…
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…2…
…1 e vengo imitato anche dagli altri commensali. Federica no, è in difficoltà.
«Dall’esterno…» le faccio, perché ho capito.
«Come, scusa?»,
«Non badare alle forme strane delle posate. Tu prendile dall’esterno verso l’interno del
piatto, man mano che si susseguono le portate, e vedrai che vai bene.»,
«Grazie.», mi risponde con riconoscenza, forse più per averle offerto una ragione valida
per potermisi rivolgere senza apparire interessata, che per il consiglio in sé.
«Bevi?», faccio rivolgendomi ad Ernesto.
«No grazie che quest’anno sono titolare in po..»,
«Senti smettila di fare il professionista in ritiro, non sei il portiere della nazionale e sei
ad un matrimonio. MA TRI MO NIO. FE STA, capito? E poi, per favore, smetti anche di
parlarmi di calcio ché tanto non ci capisco niente. Ti ho solamente domandato se ti va un
bicchiere di vino.»
«Non ho mai provato…».
Oddio, oddio, oddio! Ma da dove viene questo? Diciasset’anni e non ha mai assaggiato
un goccetto?
«Be’, allora assaggialo…»,
«E se poi non mi piace?»,
«Che cacchio, se non ti piace lo lasci là nel bicchiere del vino! Mica l’hai pagato tu,
no?»,
«Allora lo assaggio…scusa Andrea…un’ultima cosa…»,
«Dimmi.»,
«Qual è il bicchiere del vino?»,
«Allora sentimi bene: quello grande è per l’acqua, quello fino e leggero per lo spumante.
Gli altri due sono uguali e sono entrambi da vino. Evidentemente oggi serviranno anche il
rosso, dopo. Il bianco va col pesce in linea di massima. Il rosso con la carne. Tutto qua. Pensi
di potercela fare?»,
«Sì.».
«Possiamo anche noi?»: Michela, fattasi per l’occasione, portavoce dell’ala femminile.
Azz’! Tredici, quattordici e quindici anni…del resto io mi sono ubriacato per la prima
volta ad undici. Che faccio, il vecchio bacchettone?
«Io non ho visto niente.»
Federica: la voce dell’innocenza:
«Come mai tu sai tutte queste cose sul vino?»,
«Me le hanno insegnate i miei.» e in effetti è vero.
Dopo il secondo bicchiere sono già rotti a Bacco. Ingordi ed incoscienti vanno per il
terzo, dopo il quale sono già nel divertente mondo incantato. Gli è bastato poco. Beati loro.
Elena si sporge e fa segno a tutti di avvicinarci che non può parlare ad alta voce. Nel
frattempo colgo l’occasione (proprio come un’altra) di tracannare in modo compulsivo un
caricatore da cinque pezzi di Vermentino.
«Sentite qua! Allora ci sta una principessa che non ha ancora trovato il suo principe
azzurro. Una notte la principessa, mentre sta per coricarsi , sente bussare alla porta della sua
stanza da letto. Toc toc, fanno e la principessa, chi è? Nessuno risponde, allora la principessa
scende dal letto, s’infila le pantofole e va ad aprire, ma non vede nessuno. Allora la principessa
dice, ma chi sarà stato? e torna indietro. Mentre sta tornando indietro sente bussare un’altra
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volta. Richiede chi è, ma anche questa volta non sente niente. Torna indietro, riapre la porta e
neanche stavolta vede nessuno. Stavolta però sente toccarsi un piede, allora guarda in basso e
vede un piccolo rospo. La principessa a questo punto, prende il rospo e se lo poggia sul palmo
della mano e dice: oh! Ciao rospetto! Tu sei quel rospetto che se gli do un bacio si trasforma in
un bel principe? E il rospo: no. quello è mi’fratello! Co’ me, se scopa!»
Un altro po’ e mi strozzo…Ah! i bambini…Lasciate che i bambini vengano a me!
Lasciate che diventino i Bambini di Satana.
Sono nel bel mezzo del festino degli alcolisti minorenni, quando:
«Andrea scusami…ti volevo salutare ché sto andando via…»
È Alessia con un ragazzo. Un bel ragazzo devo ammettere.
«Lui è Luca», gli porgo la mano sorridendo sinceramente. Mi sta simpatico anche se
non saprei dire perché.
«Piacere, Andrea.»,
«Luca…»,
«Be’…noi andiamo allora…» fa Alessia.
«Ciao…».
«Vuoi dell’aranciata, Andrea?» mi fa Michela.
«Sì, grazie.»
Nel medio evo degli anni ottanta pubblicitari, bastava un’aranciata per assaporare la
sensazione amara della crescita: Il Lui e la Lei della pubblicità sono a scuola. Al liberatorio e
fatidico suono della campanella, gli studenti affamati premono per guadagnare l’uscita
dall’edificio preposto alla loro erudizione. Un fiume inonda l’in altre ore desertico corridoio.
Affluenti dalle porte delle aule. Il delta è il cancello.
Lui invano tenta di catturare l’attenzione di Lei che – non cattiva, non arrogante, ma
peggio – semplicemente, non s’accorge di Lui:
egli è diafano agli occhi di Lei.
Il corpo di Lui, rispetto agli occhi di Lei, riflette in maniera anomala certe lunghezze
d’onda della luce.
Semplicemente in vi si bi le.
Lei è una star inarrivabile. Lui una caccola.
Un signor nessuno, neanche degno d’avere la enne maiuscola.
È affranto. È sconsolato. È nel mucchio dei vinti.
Poi (è pur sempre una reclàme questa…) si dirige allo spaccio scolastico ed ordina una
aranciata amara Sanpellegrino e a questo punto lo avrete capito pure voi dove va a parare:
corre, spintona, ansima, combatte per portare in dono quei trentatré centilitri
d’amarezza adulta a Lei.
Com’era prevedibile, Lei – solo ora – s’accorge di Lui. Del resto una latta di
sanpellegrino non viene volando; solo ora vede la mano che la sorregge; risale lungo l’ulna, poi
l’omero, poi il profilo di Lui.
Prima le indicavano la luna e lei vedeva solo il dito.
Hanno dovuto porgergliela, la luna, perché la vedesse.
A questo punto Lei bacia Lui sulla guancia, previ sorriso reciproco e sorso condiviso.
Gran finale sottolineato dal jingle: la prima volta che ti senti grande.
Non voglio più sentirmi grande. Via la cravatta. Del resto sto al tavolo dei bambini io, o
no?
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Ernesto è in pieno delirio alcolemico, è lì che fissa il vuoto captando idee da un
Iperuranio di calcetto e correlazioni comprovate tra regimi dietetici e successi sportivi, almeno
credo. Federica è intenta ad eviscerare la sua porzione di tacchino dalla fàrcia, passandola nel
piatto dell’edace Michela che, al contrario, se la fa sparire nel cavo orale quasi senza soluzione
di continuità. Nel frattempo l’inappetente Elena è intenta a decussare col coltello a mo’ di
bisturi, la buccia di una patata novella.
Ernesto, acchiappata al volo un’iperuranica di cui sopra ce la porge:
«Secondo voi, se uno si mangia un po’ alla volta può sopravvivere?». Non c’è alcun
dubbio. Il ragazzo è scemo.
«In che senso?»,
«Cioè uno si taglia, mettiamo, un piede e se lo mangia. In fondo adesso è senza un
piede, quindi deve nutrire un corpo che è il suo di sempre, meno il piede che però ora gli ha
fatto da cibo»,
«E poi?»,
«E poi continua a mangiarsi pezzi di sé stesso. È chiaro che gli servirà, in proporzione,
meno nutrimento perché LUI è di meno. Quindi potrebbe andare avanti così per lungo.»,
«Embè?»,
«Embè che?»,
«Che vuoi dire con questo?»,
«No, niente…»
«Però dovrebbe essere bello vivere senza dover mangiare più niente…» - fa Federica «…c’è una cosa che fate per farvi contenti? Una cosa che fate voi per voi stessi? Io, per
esempio, a casa ho un albero che ha piantato mio nonno e quando sono triste salgo sull’albero
e appena sono su e guardo tutto dall’alto mi sento subito felice»,
«Io gioco a calcetto. Mentre gioco non penso più né alla scuola, né ai miei…»,
«Io lascio apposta i soldi nei vestiti, così poi quando me li rimetto, magari dopo due
mesi, ritrovo i soldi che avevo lasciato e che non mi ricordavo più d’avere e sono contenta»,
«Io vado al maneggio a portare le carote ai cavalli. Quando ti mangiano nella mano ti
fanno il solletico con la lingua e una volta che mi sono messa a ridere per il solletico non mi
ricordo più che era per il solletico e continuo a ridere per ogni cosa e mi sento proprio bene.».
«E tu Andrea?»
«…Cameriere! Mi porta un amaro per favore…».
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