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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI VALUTAZIONE
settembre-ottobre 2015, n.14
!!
SOMMARIO
Mita Marra: “La Rifoma Madia e le novità sul
fronte della valutazione delle performance”
Vincenzo Lorenzini: “Mentre in Italia si
riorganizza l’amministrazione pubblica, come
cambia la valutazione della performance?”
Erica Melloni: “Cosa manca tra trasparenza e
performance?”
Lucio Pier Paolo Verre: “La stratificazione
della cultura valutativa nella PA italiana dal
dopoguerra ad oggi”
La Riforma Madia e le novità sul fronte della valutazione delle performance
Mita Marra - Presidente dell’Associazione Italiana di Valutazione
Dopo più di un anno di interregno,
lo schema di decreto seguito alla
legge Madia (L. 124/2015), varata
lo scorso agosto, assegna
ufficialmente al Dipartimento della
Funzione Pubblica (DFP) il
compito di promuovere e
coordinare le attività di
valutazione e misurazione delle
performance amministrative. Da
quando il coordinamento di tali
funzioni era stato dal presidente
Cantone deliberatamente
“rimosso” dalla missione
dell’Autorità nazionale per l’anticorruzione (ANAC), gli Organismi
indipendenti di valutazione (OIV)
attivi in Italia si erano trovati a
operare nella più totale anarchia in
seguito al soft power esercitato
attraverso le linee guida CiVIT
sulla formulazione dei piani e dei
sistemi di misurazione della
performance. Il ruolo ora
codificato del DFP ruota in
particolare intorno a tre funzioni
chiave per il futuro della
valutazione nella PA e per la
nostra associazione, vale a dire:
1
1) L’integrazione del ciclo della
performance con la
programmazione economicofinanziaria e con tutti i controlli
interni, adottando sistematici
indicatori di rendimento e
consolidando le attività di
valutazione per settore e/o per
dimensione, anche su un arco
temporale pluriennale, con
maggiore indipendenza.
2) La costituzione di un elenco di
valutatori OIV - o aspiranti tali che abbiano i requisiti di
competenza, esperienza e
integrità da definirsi con un
ulteriore decreto del Ministro
Madia.
3) La promozione delle attività di
valutazione attraverso la
diffusione di “linee guida” e
buone pratiche, incoraggiando il
confronto con le esperienze
nazionali e internazionali anche
attraverso la costituzione di una
rete degli OIV.
Rispetto al primo punto, come già
sostenuto nell’articolo in corso di
pubblicazione sulla rivista Risorse
Umane con cui l’AIV ha avviato
una collaborazione proprio sul
tema valutazione nella PA*, non si
può non condividere che il
processo di misurazione dei
rendimenti organizzativi si debba
integrare con l’esame della
programmazione economica e con
la revisione degli aggregati
finanziari come peraltro già gli
stessi decreti legislativi 118 del
2011 e 126 del 2014 richiedono ai
fini dell’armonizzazione dei
sistemi contabili. Diventa, allora,
imprescindibile individuare e
sfruttare le complementarietà
esistenti tra tutti i controlli interni,
i sistemi della qualità nonché le
valutazioni delle politiche
pubbliche, sulla qualità percepita
dei servizi pubblici e non ultime
forme sperimentali di revisione
intelligente della spesa**. In altri
termini, occorre integrare
strumenti analitico-valutativi
differenti ancorché finalizzati allo
stesso
obiettivo
di
razionalizzazione della spesa e
miglioramento della produttività.
A tal fine, risulta del tutto evidente
che parcellizzare le attività
valutative genera il rischio che
queste siano strumentalizzate a fini
particolaristici e balcanizzate
all’interno di processi
amministrativi politicizzati e autoreferenziali. Concretamente,
integrare mandati valutativi
differenti significa avviare una
capillare ricognizione dei conti
pubblici e far funzionare il SIOPE,
vale a dire il sistema di rilevazione
settembre-ottobre 2015, n.14
2
telematica degli incassi e dei
pagamenti effettuati dai tesorieri
di comuni, ASL, enti parco, e
Camere di Commercio. La “smart
spending”, ad esempio, propone di
utilizzare i dati disaggregati sulla
spesa locale per operare tagli
selettivi e investimenti mirati,
potenzialmente più redditivi. Le
migliori esperienze di spending
review realizzate nel mondo sono,
infatti, valutazioni che si basano
su dati disaggregati, condotte
tempestivamente su scala micro,
in singole organizzazioni o sistemi
di organizzazioni complesse per
rimodulare la programmazione
delle politiche pubbliche.
Uno sforzo di integrazione è
anche richiesto per rendere
complementari i sistemi di
controllo di gestione e i sistemi di
accreditamento e certificazione
della qualità. Tali sistemi e
strumenti analitici generano
informazioni utili alla gestione se
disegnati per venire incontro alle
esigenze conoscitive del
management. Non si può gestire il
servizio di trasporto pubblico di
un comune di medie dimensioni,
ad esempio, se non si conosce
quanti utenti sono serviti, così
come non si riesce a programmare
e a valutare i risultati di
un’agenzia di protezione
ambientale regionale se non si
ottiene il dato accurato sui
controlli effettuati sulle imprese
rispetto alle procedure accreditate
come qualitativamente adeguate in
ciascun settore di intervento. In tal
senso, occorre sistematicamente
interrogarsi sull’utilità dei sistemi
di valutazione e misurazione della
performance per verificarne la
congruità e l’adattabilità rispetto
alle mutevoli esigenze dei contesti
organizzativi e socioeconomici in
continua evoluzione. In
circostanze di elevata incertezza
politica e economica, e in
presenza di una elevata
complessità degli interventi da
realizzare e dei problemi sociali
da risolvere, bisogna essere
sempre all'erta per cogliere l’
‘emergere’ del cambiamento e
dotarsi di strumenti flessibili per
intercettare gli effetti attesi e
inattesi dei programmi e
apprendere dall’esperienza.
Ma ancora più radicale è lo sforzo
di integrare saperi e competenze
che sottendono le diverse forme
analitico-valutative e i diversi
approcci metodologici che
vengono ricondotti sotto
l’onnicomprensiva formula di
“valutazione”.
Nell’articolo di
Risorse Umane appena
menzionato mi soffermo a lungo
sull’esigenza di superare artificiali
steccati disciplinari e professionali
che finiscono per avallare pratiche
inefficienti e clientelari ancora
troppo diffuse nella PA italiana,
nonostante l’imperativo alla
trasparenza contro qualsiasi
corruttela (v. Melloni in questo
numero).
Il tema dell’integrazione dei
diversi saperi valutativi si collega
al secondo punto sopra
evidenziato, quello cioè legato alla
costituzione di un elenco
nazionale di valutatori
“accreditati”.
Mettere assieme
diversi saperi valutativi, infatti,
chiama in causa le competenze e
le conoscenze dei valutatori,
rispetto a cui il coordinamento
interno dei soci professionisti di
AIV, noto con l’acronimo CESP,
si è a lungo impegnato a elaborare
criteri e standard. Sulla
professionalizzazione della
valutazione, il CESP e tutta
l’associazione sono tuttora
impegnati ad approfondire il
dibattito sia sulle dimensioni
cognitive sia sugli aspetti
esperienziali della professione. Mi
preme qui solo puntualizzare che
la componente “reputazionale”
legata alla professione del
valutatore impone di evitare di
creare elenchi al solo fine di
assegnare un bollino blu. Il banco
di prova del valutatore è
evidentemente l’esperienza che
sovente sfugge a qualsiasi
etichetta. Di qui nasce l’esigenza
della formazione continua —
universitaria e professionale —rispetto a cui AIV ha dato prova di
essere, finora in Italia,
l’organizzazione non governativa
culturalmente più qualificata,
senza alcuno scopo di facile e
opportunistico guadagno.
In ultimo, per ritornare al tema
accennato in apertura, vale a dire
il coordinamento del DFP per la
promozione della valutazione, mi
preme qui ribadire l’esigenza di
evitare centralistici interventi di
omologazione delle attività
valutative. Generiche linee guida
settembre-ottobre 2015, n.14
deresponsabilizzano i valutatori
locali e finiscono per uniformare
sistemi e prodotti valutativi
malgrado l’eterogeneità dei
contesti e dei processi
amministrativi. Occorrerebbe,
piuttosto, assicurare forme di agile
coordinamento reticolare, capaci
di calarsi nelle specificità delle
unità locali sostenendone
l’autonomia e l’indipendenza.
In questo numero 14 della
Newsletter AIV (settembre-ottobre
2 0 1 5 ) Vi n c e n z o L o re n z i n i
(coordinatore del gruppo tematico
PA e performance) cura l’analisi
puntuale della legge Madia,
evidenziandone le novità in
particolare in tema di valutazione
delle performance. Erica Melloni
(direttivo AIV e direttore
dell’Area
Politiche
Amministrative e Istituzionali
dell’Istituto di Ricerche Sociali IRS) esamina la relazione
problematica tra valutazione e
trasparenza in tema di anticorruzione rispetto ai nuovi
obblighi che la legge Madia
impone alla PA. Lucio Verre
chiude questo numero con
un’analisi critica dell’evoluzione
della cultura valutativa nella
pubblica amministrazione dal
dopoguerra in poi.
Il prossimo numero della
newsletter raccoglierà una serie di
contributi di valutatori
internazionali che si
confronteranno nell’ambito della
conferenza annuale dell’American
Evaluation Association, che si
terrà dal 9 al 14 novembre
prossimo a Chicago.
Invitiamo i lettori ad intervenire
con commenti agli articoli e a
suggerire approfondimenti ai temi
trattati.
Per proporre contributi scrivete a:
[email protected]
Note
3
*Marra, M. (2015), “Più luci che
ombre nella valutazione della PA:
l’esigenza di integrare saperi e
processi”, Risorse Umane, n. 4/5:
37-52.
**Allegro, I. e Formato, R.
(2014), Smart Spending: Oltre i
tagli - Strumenti e metodi per
migliorare la Spending Review
negli enti locali (e non solo),
Mondadori, Milano.
Mentre in Italia si
riorganizza
l’amministrazione
pubblica, come
cambia la
valutazione della
performance?
Vincenzo Lorenzini - GT Valutazione
delle performance nelle Pubbliche
Amministrazioni
([email protected])
1 - Le novità normative in
materia di OIV
Alla legge delega che la ministra
Madia presentò in Parlamento un
anno fa come una rivoluzione, con
cui si vuole mettere mano alla
riorganizzazione della pubblica
amministrazione, per vedere la
luce c’è voluto un anno.
In effetti, il primo passo il governo
lo fece con l’emanazione del
decreto legge n°90 dell’agosto
2014; esso fu convertito in legge
con significative modifiche in
materia di valutazione della
performance.
A tal proposito si ricorderà l’art.19
in cui, al comma 9, le competenze
in precedenza attribuite all’ANAC
furono trasferite al Dipartimento
della funzione Pubblica; al comma
10, invece, il governo s'impegnò
ad emanare entro 6 mesi un
Regolamento (DPR) con le
seguenti norme generali regolatrici
della materia:
a) semplificazione degli
adempimenti a carico delle
amministrazioni pubbliche;
b) progressiva integrazione del
ciclo della performance con la
programmazione finanziaria;
c) raccordo con il sistema dei
controlli interni;
d) validazione esterna dei sistemi
e risultati;
e) conseguente revisione della
d i s c i p l i n a d e g l i o rg a n i s m i
indipendenti di valutazione.
A settembre inoltrato, finalmente,
quel Regolamento è stato
approvato dal Consiglio dei
Ministri ed inviato alle Camere
per il prescritto parere; un parere
non vincolante per cui il testo
presumibilmente non cambierà:
per avere effetti dovrà soltanto
essere pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale.
Grazie a questa decisione, il
Dipartimento della Funzione
pubblica assume il potere di
definire un percorso ed
un’organizzazione che, in base a
criteri validi a livello di tutta la
PA, dovrebbe superare lo stallo in
materia di nomina degli OIV in
cui ci troviamo dopo la chiusura
della Commissione CiVIT e la sua
trasformazione in Autorità
anticorruzione. Non ci sarà più
l’obbligo da parte degli enti
pubblici centrali di richiedere il
parere in vista della nomina, ma si
fa la scelta di creare un Elenco
nazionale composto da esperti
aventi i titoli di professionalità,
esperienza ed autorevolezza per
svolgere questa delicatissima
funzione con la necessaria
indipendenza rispetto all’Ente sul
quale l’OIV è chiamato a svolgere
un pannello di funzioni che
spaziano dalla validazione del
sistema di misura fino al
monitoraggio sulla corretta
attuazione della premialità ed alla
proposta di valutazione della
performance conseguita dall’ente
nel suo complesso, dalle strutture
organizzative e la valorizzazione
dell’apporto dei singoli alla
produttività dell’equipe di lavoro
i n c u i s o n o e ff e t t i v a m e n t e
collocati.
Rispetto al passato vengono
modificate alcune competenze: le
più rilevanti derivano
dall’abrogazione di alcune parti
del D.lgs 150/09 che riguardano il
Sistema di misura, la performance
organizzativa ed individuale,
l’obbligo di trasmissione dei
documenti, il passaggio delle
competenze di cui all’ex art.13
(CiVIT/ANAC) al Dipartimento
della Funzione Pubblica presso la
Presidenza del Consiglio dei
Ministri (DFP). Oltre le modalità
di nomina, per gli OIV sono
variate le funzioni relative alla
realizzazione delle indagini volte
a rilevare il clima organizzativo
settembre-ottobre 2015, n.14
4
del personale dipendente.
Il cantiere resta aperto perché
siamo in attesa delle eventuali
modifiche ed integrazioni sul tema
previste nell’art.17 della L.
124/2015 (Riforma Madia). Ad
oggi, il Dipartimento della FP
accentra su di sé un grande potere
di gestione del Sistema Nazionale
di Valutazione; esso è solo
parzialmente mitigato dalla
previsione che – a cura della FP
stessa – sia possibile autorizzare la
strutturazione di alcuni comitati di
coordinamento (Settori) che
dovrebbero restare sotto la
supervisione del livello
ministeriale: un approccio, al
momento, fortemente
“centralizzante”.
Da una prima lettura dello schema
di DPR, volendone schematizzare
i contenuti, si può prefigurare il
seguente scenario:
1 - Il Dipartimento promuove e
coordina le attività di valutazione
e misurazione della performance
delle Amministrazioni pubbliche.
2 - Le funzioni attribuite al DFP
sono molteplici, e prendono in
considerazione una miriade di
aspetti operativi che riguardano:
a) la tenuta e l’aggiornamento di
un Elenco nazionale dei
componenti degli OIV;
b) la verifica del loro operato e la
razionalizzazione del numero,
con possibili integrazioni tra
amministrazioni contigue e la
previsione di gestioni associate
delle attività valutative
indipendenti (OIV multi
amministrazione);
c) la definizione degli importi
massimi dei compensi, modulati
in base alla complessità
organizzativa, tenendo conto
delle somme complessivamente
utilizzate per tali organismi
(nell’ordine di oltre 20.000
unità);
d) la promozione ed il supporto
alla collaborazione tra più OIV
appartenenti a Settori omogenei
della PA, anche tenendo conto
dei “Ruoli unici” di cui alla
riforma Madia stessa;
e) l’aggiornamento e la
formazione dei componenti
degli OIV, con l’intervento della
Scuola nazionale di
amministrazione (SNA),
secondo programmi coordinati
in base ai Settori omogenei
delineati dal Dipartimento;
3 - Sotto l’egida del DFP, inoltre,
si fa intendere la possibilità che
siano individuati alcuni Settori/
comparti di Enti pubblici
omogenei per funzioni e
dimensioni (Agenzie Nazionali
tipo ANVUR, eventuali aggregati
di Piccoli o Grandi Comuni, di
Città metropolitane, di Aree vaste,
di Enti Regionali, di Aziende
Sanitarie, di Aziende Ospedaliere,
etc.) nei quali potranno essere
creati dei Comitati di
coordinamento fra gli stessi OIV,
ove fossero istituiti secondo le
nuove indicazioni del
Dipartimento stesso.
4 - Vi e n e c o s t i t u i t a u n a
Commissione Tecnica per la
performance, con funzioni
consultive per la gestione delle
attività amministrative e direttive
che faranno capo al Dipartimento.
Essa sarà costituita da 5 membri
individuati dal Ministro con
proprio decreto per 2 anni,
prorogabili per altri 2; ad essi non
sarà attribuito alcun compenso,
ma verrà riconosciuto solo il
rimborso spese di viaggio e
soggiorno.
La Commissione Tecnica di cui
sopra terrà i rapporti con le varie
amministrazioni articolate nei
Settori decentrati, nella logica di
impiantare un Sistema Nazionale
per la valutazione della pubblica
amministrazione.
5 - A Roma, presso il DFP, viene
costituita una “Struttura
operativa” di supporto alla
Commissione tecnica con 25
addetti; questi ultimi sono figure
di dipendenti dei ministeri o degli
Enti periferici, opportunamente
comandati presso il dipartimento
FP (5 dirigenti e 20 funzionari) i
quali, oltre allo stesso stipendio in
essere, avranno diritto ad un
salario accessorio parificato a
quello dei dipendenti della
Presidenza del Consiglio dei
Ministri: è garantito un
finanziamento dedicato di 750.000
€ per l’anno 2015 e del doppio
per il 2016.
6 - Sempre al DFP spetta la
promozione delle “Rete Nazionale
per la Valutazione delle pubbliche
settembre-ottobre 2015, n.14
amministrazioni”, una prospettiva
interessante rispetto al Sistema
Nazionale della performance
evocato nella legge delega, che si
presume verrà definita coi i decreti
delegati previsti dall’art.17 della
“Riforma”.
In conclusione, visto che ci
troviamo a metà del guado, come
Associazione e come GT
Valutazione di AIV dobbiamo
essere vigili, trovando le strade
giuste per incidere sensibilmente
sulle scelte del Governo e
mettendo a frutto il lavoro
preparatorio di questi ultimi anni.
Al contempo, dobbiamo aprire la
strada alle legittime prospettive
d’impiego dei nostri iscritti sia
negli OIV che nel Sistema
nazionale di misura e valutazione;
non solo, dobbiamo essere pronti a
dare il nostro contributo d’idee e
di competenze pratiche, sia sulla
formazione di figure esperte e
professionalizzate, titolate ad
essere inquadrate nel prossimo
Elenco nazionale, sia attraverso
l’inserimento di alcuni nostri
colleghi “esperti” presso il
Dipartimento della Funzione
Pubblica.
2 - I punti più rilevanti della
Legge delega n°124/2004
(Riforma Madia)
5
Negli ambienti ministeriali si è
sentito dire: non è più necessario
far riferimento al Regolamento ex
DL 90/2014 in quanto la scelta di
creare un Sistema nazionale di
valutazione particolarmente
strutturato verrà ripresa con forza
dalla Riforma Madia, in quanto
alcune innovazioni sulla dirigenza
pubblica e sul personale
dipendente non potranno
funzionare senza intervenire
ancora su aspetti davvero delicati
che riguardano il “ruolo” degli
OIV, dato che le loro valutazioni
sono strettamente connessi al
funzionamento ed alla gestione
pratica dei tre ruoli unici.
Si tratta di gestire
coordinatamente sia la dirigenza
statale, che quella regionale che
degli enti locali (art. 11) ed ancor
più, in ottica di semplificazione, si
avrà la possibilità di scrivere
alcuni testi unici relativi ad una
nuova disciplina del lavoro che
riguarderà oltre tre milioni di
dipendenti pubblici (art. 17).
Procedendo con ordine all’esame
della legge delega – la n°124 del 7
Agosto 2015 – la prima
considerazione riguarda il numero
degli articoli (dove si prescrivono
decreti delegati che il Governo è
tenuto ad emanare nei prossimi
mesi). Si tratta di 23 articoli, ma
alcuni di questi hanno valenza
molto generale, tanto che alcune
norme sono già entrate in vigore;
altri articoli - davvero pochi hanno tempi di attuazione entro 90
giorni; alcuni decreti dovranno
uscire entro 6 mesi, ma la maggior
parte hanno tempo fino a 12 mesi
per vedere la luce.
Il decreto legislativo che richiede
una più lunga gestazione, a quanto
risulta, è quello di cui all’art. 11,
che interviene sulla nuova
regolazione della dirigenza
pubblica, sì che alcuni aspetti
avranno 18 mesi per essere
definitivamente normati.
Ad un’attenta analisi del testo, il
fulcro innovatore della “Riforma
Madia” lo troviamo in 3 articoli: il
n° 8 di riorganizzazione
dell’amministrazione dello stato; il
n° 11 relativo alla dirigenza; il n
°17 (riordino della disciplina del
lavoro dipendente). Qui si trovano
le nicchie legislative più delicate
riguardanti la valutazione delle
performance. Altri richiami si
trovano in articoli che trattano
materie apparentemente lontane
dal tema della valutazione, ma
sono rari e poco significativi.
Nel primo articolo, per esempio, si
evoca la necessità di prevedere la
digitalizzazione del processo di
misurazione e valutazione della
performance per permettere un
coordinamento a livello nazionale.
PUBBLICA AMMINISTRATO
A proposito di semplificazione dei
procedimenti amministrativi,
nell’art. 5 si concedono sei mesi
per l’uscita di un apposito
regolamento - entro il 28 Febbraio
2016 con un DPR - tramite il
quale si taglieranno del 50% i
tempi della burocrazia per
intervenire in caso di rilevanti
insediamenti produttivi, opere
pubbliche e attività
imprenditoriali.
Con tale strumento, con il
coinvolgimento delle Regioni e
degli enti locali, si individuano i
procedimenti amministrativi che
sono da semplificare e accelerare,
al fine di sostenere la crescita
economica riducendo i tempi degli
stessi procedimenti.
All’art. 7, preso atto che viviamo
in un sistema imbrigliato in mille
rivoli burocratici, si insiste sulla
necessità d’investire sulla
trasparenza, attraverso la quale si
abbassano i costi, si migliora la
qualità dei servizi pubblici, si
svolge un giusto controllo sociale
che agisce da deterrente per
combattere i numerosi fenomeni
corruttivi che affliggono il nostro
Paese.
Sono quindi previste delle
correzioni al decreto n. 33 del
2013, con una definizione più
aggiornata degli obblighi in
materia di trasparenza delle
amministrazioni pubbliche e
l’inserimento nei siti Internet delle
informazioni sugli appalti
pubblici, sui tempi medi di attesa,
sulla tempestività dei pagamenti
nei confronti delle imprese
creditrici e sui risultati della
valutazione. Si chiede di
pubblicare i contenuti dettagliati
del Piano nazionale anticorruzione
e dei piani per la prevenzione
della corruzione adottati da
ciascun ente; è previsto l’utilizzo
delle banche dati per rendere
trasparente l’azione delle
pubbliche amministrazioni, dando
la possibilità ai cittadini di
accedere liberamente ai dati e alle
informazioni degli enti pubblici e
nel rispetto dei limiti relativi alla
tutela della privacy; sono previste
sanzioni per le amministrazioni
che non consentono un pieno
accesso alle informazioni e
l’istituzione di una white list,
ovvero di elenchi di imprese non a
rischio mafia per la partecipazione
agli appalti pubblici.
Diverse lettere di questo settimo
articolo richiamano la questione
della trasparenza che, come
sappiamo, resta di competenza
dell’ANAC, ma è strettamente
correlata e coordinata con il tema
settembre-ottobre 2015, n.14
6
della misurazione e valutazione
della performance e con le
funzioni da assumere dagli
O rg a n i s m i i n d i p e n d e n t i d i
valutazione (OIV); si prevede di
rendere pubbliche le
determinazioni di tale organismo
di cui si evoca l’attribuzione di
una precipua funzione nell’ambito
di una rete sistemica articolata in
appositi settori omogenei della PA;
si individueranno pure i soggetti
competenti all’irrogazione delle
sanzioni per la violazione degli
obblighi di trasparenza. A tal
proposito molti esperti presenti
negli OIV, almeno quelli più
impegnati, hanno manifestato
l’esigenza di acquisire dei poteri
sanzionatori, da usare con
parsimonia, ma considerati utili
per riuscire ad affermare una loro
autorevolezza istituzionale.
Con l’art. 8 si introduce una
funzione innovativa: l’analisi,
definizione e valutazione delle
politiche pubbliche presso la
Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
In aggiunta, con un decreto del
Presidente del Consiglio dei
Ministri
(DPCM) da adottare
entro sei mesi dalla data di entrata
in vigore del primo dei decreti
legislativi, sono da definire i
criteri per la ricognizione
dettagliata ed esaustiva di tutte le
funzioni e competenze attribuite
alle amministrazioni pubbliche,
statali e locali.
Con l’art. 11
che tratta della
Dirigenza pubblica, invece, si
punta a creare un mercato del
lavoro della dirigenza di ruolo,
valorizzando un sistema di
rilevazione e valutazione delle
loro competenze e capacità. Si
assegneranno gli incarichi sulla
base di interpelli che tengano
conto del tipo di ente in cui essere
nominati, anche sulla base delle
valutazioni ottenute dai dirigenti
negli incarichi precedenti.
Istituiti i tre ruoli unici coordinati
per i dirigenti dello Stato, delle
Regioni e degli Enti locali, si
unificano tutti gli aspetti di
gestione di queste figure di
dirigenti/manager; si interviene
sulla periodicità dei concorsi e, in
casi specifici, di corsi-concorso
per il reclutamento dei dirigenti; a
tal fine si ridefinisce il ruolo della
Scuola
Nazionale
dell’Amministrazione fortemente
potenziata con l’apporto di
istituzioni prestigiose nazionali ed
internazionali.
La novità essenziale riguarda la
durata limitata degli incarichi e la
mobilità tra i ruoli: il dirigente
assume la funzione per quattro
anni, rinnovabili per altri due anni
senza procedura selettiva per una
sola volta, purché il dirigente
abbia ottenuto una valutazione
positiva; si aggiunge una
prospettiva decisamente
innovativa, ovvero la decadenza
dal ruolo unico del dirigente che
abbia ottenuto una valutazione
negativa; a ciò si aggiunge la
possibilità, in caso di perdita
d’incarico, di collocarlo in qualità
di funzionario fino ad
un’eventuale nuovo superamento
di un concorso pubblico. Si parla
chiaramente di una sistematica
valorizzazione dei risultati ai fini
della carriera; gli incarichi della
dirigenza sanitaria vedranno
applicata una nuova disciplina per
il conferimento a tempo, fondato
sulla trasparenza delle procedure e
la valutazione dei profili da
impiegare nell’ente stesso.
Come si vede, questo è un articolo
base, che va ad impattare
incisivamente sull’attuale stato
giuridico del personale dirigente e,
di conseguenza, produrrà effetti di
stimolo sulla produttività e sulla
qualità del lavoro di tutto il
personale dipendente pubblico;
anche qui si richiamano i concetti
della necessità di attivare un
idoneo sistema di misurazione e
valutazione della performance.
Ancora una volta, attraverso il
successivo articolo 16, si prevede
una sistematica rivisitazione delle
procedure e dei criteri comuni per
l’esercizio di deleghe legislative di
semplificazione da recepire in testi
unici organici di facile
applicazione con cui si mira a
migliorare e semplificare la qualità
della legislazione sul lavoro
pubblico, anche per quanto attiene
le società partecipate dalle PA ed i
servizi pubblici locali.
Nell’art. 17, quello con cui si
provvede al riordino della
disciplina del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni
pubbliche, sono previsti 18 mesi di
tempo per l’emanazione di un
settembre-ottobre 2015, n.14
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apposito decreto – atteso perciò
entro il 28 febbraio 2017 – che
introduce le innovazioni
necessarie per rendere più
efficiente l’organizzazione del
lavoro pubblico e per valorizzare
chi fa bene.
Questo è l’articolo col quale si
stabilisce il riordino del Sistema
nazionale di valutazione
(modifiche al 150/09 del ministro
Brunetta) con rafforzamento del
principio di separazione tra
l’amministrazione cui compete
l’indirizzo politico e l’autonomia
dei dirigenti nell’attività
gestionale.
Qui merita una segnalazione il
testo in cui si evoca l’introduzione
di un sistema informativo
nazionale, finalizzato alla
formulazione di indirizzi generali
e parametri di riferimento in grado
di orientare la programmazione
delle assunzioni anche in
relazione agli interventi di
riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche, con il
rafforzamento della funzione di
coordinamento e di controllo da
parte del Dipartimento della
funzione pubblica della
Presidenza del Consiglio dei
Ministri, in relazione alle
assunzioni del personale
appartenente alle categorie
protette.
In questo stesso articolo si
modificano le attribuzioni
dell'ARAN; si deve notare che
stanno per essere attribuite a
questa istituzione - da sempre
competente sulla contrattazione
dei comparti pubblici - importanti
nuove funzioni di supporto
tecnico allo sviluppo di questa
riforma epocale, tra le quali spicca
l'attuazione del sistema
informativo nazionale, e la
rilevazione delle competenze dei
lavoratori pubblici, compreso il
controllo sull'utilizzo delle
prerogative sindacali. Un passo da
chiarire a fondo riguarda la
possibile attribuzione all’ARAN
di funzioni di supporto tecnico
alle amministrazioni rappresentate
nello svolgimento delle funzioni
di misurazione e valutazione della
performance e nelle materie
inerenti alla gestione del
personale.
In un passaggio del testo di questo
articolo, infine, si evoca la facoltà,
per le amministrazioni pubbliche,
di promuovere il ricambio
generazionale mediante la
riduzione su base volontaria e non
revocabile dell'orario di lavoro e
della retribuzione del personale in
procinto di essere collocato a
riposo, garantendo loro, attraverso
la contribuzione volontaria ad
integrazione, la possibilità di
conservare il valore della
pensione, ed al contempo favorire
l'assunzione anticipata di nuovo
personale.
Si potrebbe perviene, così, al
progressivo superamento della
dotazione organica come limite
alle assunzioni; in sostanza gli enti
sono vincolati esclusivamente ai
limiti spesa già fissati e finanziati,
anche al fine di facilitare i
processi di mobilità tra gli enti.
In questo articolo si ribadisce
l’esigenza della semplificazione
delle norme in materia di
valutazione dei dipendenti
pubblici già trattata nel D.L. 90,
all’art.19 comma 9 e 10, per
quanto riguarda il riconoscimento
del merito e della premialità.
Infatti si formulano indirizzi per la
razionalizzazione e integrazione
dei sistemi di valutazione, anche
al fine della migliore valutazione
delle politiche. Si chiarisce
l’indicazione agli Enti pubblici di
sviluppare sistemi distinti per la
misurazione dei risultati raggiunti
dall'organizzazione e dei risultati
raggiunti dai singoli dipendenti.
In tal modo si prevede il
potenziamento dei processi di
valutazione indipendente del
livello di efficienza e qualità dei
servizi e delle attività delle
amministrazioni pubbliche e degli
impatti da queste prodotti, anche
mediante il ricorso a standard di
riferimento e confronto. Si fa
riferimento, infatti, alla riduzione
degli adempimenti in materia di
programmazione anche attraverso
una maggiore integrazione con il
ciclo di bilancio; si ritorna a
trattare del coordinamento della
disciplina in materia di
valutazione e controlli interni; si
prevedono forme di
semplificazione specifiche per i
diversi settori della pubblica
amministrazione. Qui viene
ribadito quanto era contenuto nel
comma 10 dell’art.19 del D.L.
90/14, ma qui si prevede uno
strumento giuridicamente ben più
potente: un decreto legislativo,
non un regolamento recepito con
un semplice DPR.
Val la pena effettuare una
precisazione rilevante: le deleghe
di cui alla dirigenza pubblica
possono essere esercitate
congiuntamente mediante
l'adozione di uno o più decreti
legislativi. Per ultimo, si fa un
richiamo fondamentale che
riguarda il ricorso alle prestazioni
del personale già in quiescenza:
gli incarichi, le cariche e le
collaborazioni di cui alla riforma
sono consentiti a titolo gratuito se
riferiti ad incarichi dirigenziali e
direttivi, ferma restando la gratuità
e la durata che non può essere
superiore a un anno, non
prorogabile; si precisa che il
divieto
riguarda
le
amministrazioni comunque
inserite nel conto economico
consolidato della PA individuate
dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT), nonché le autorità
indipendenti, inclusa la Consob.
La fattispecie riguarda solo
l’incompatibilità degli incarichi di
studio e di consulenza attribuiti a
soggetti collocati in quiescenza,
già appartenenti ai ruoli delle
stesse amministrazioni, che
abbiano svolto, nel corso
dell'ultimo anno di servizio,
funzioni e attività corrispondenti a
quelle oggetto dello stesso
incarico di studio e di consulenza
che s’intende attribuire.
Gli ultimi articoli della riforma,
dal n°18 al n°23, non prendono
più in esame il tema della
valutazione della performance;
trattano argomenti di rilievo
generale ed uno dei più importanti
- l’art. 18 - riguarda il riordino
della disciplina delle
partecipazioni societarie delle
pubbliche amministrazioni
finalizzato alla drastica riduzione
del loro numero ed ancora una
volta alla semplificazione
settembre-ottobre 2015, n.14
8
normativa. Si prevede la
distinzione tra i diversi tipi di
società pubbliche in relazione alla
loro attività e agli interessi che
perseguono; si impone della
razionalizzazione e riduzione del
sistema delle partecipate con limiti
alla loro costituzione e precisi
criteri per il loro mantenimento e
funzionamento (economicità,
efficienza); si prevedono sanzioni
per la mancata attuazione della
razionalizzazione e la più precisa
definizione del regime di
responsabilità
degli
amministratori, con il
rafforzamento dei criteri
pubblicistici nella gestione delle
società (tetto alle retribuzioni,
trasparenza); si prevede inoltre la
definizione dei compensi degli
amministratori legati ai risultati di
gestione, compresi dei piani di
rientro e l’eventuale
commissariamento per le società
in perdita.
All’art. 19 i servizi pubblici locali
d’interesse economico generale
vengono diversamente disciplinati
per dare un impulso riformatore in
un settore che in precedenza aveva
mostrato larghi segni di
inadeguatezza; al successivo
articolo si rivede il tipo di
responsabilità e le procedure
processuali con cui si imputano da
parte della Corte dei Conti precise
responsabilità al decisore politico
ed anche ai dirigenti.
Con l’art. 21 si modificano ed
abrogano le disposizioni di legge
che prevedono l'adozione di
provvedimenti attuativi per
conseguire una netta
semplificazione legislativa delle
norme entrate in vigore dopo il 31
dicembre 2011 e fino alla riforma
Madia: la proposta di abrogazione
o modifica di disposizioni sarà
adottata a cura del Presidente del
Consiglio dei ministri, con il
concerto del Ministro delegato per
le riforme costituzionali e i
rapporti con il Parlamento entro
novanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge, con uno o
più decreti legislativi.
All’art. 22 è inserita la clausola di
salvaguardia con cui si precisa
come verranno applicate le norme
della riorganizzazione prevista
dalla legge, facendo salva
l’autonomia delle Regioni e
Province autonome, mentre all’art.
23 si ribadisce l’assoluta
indifferenza finanziaria a crescere,
mentre resta libero l’effetto della
“spending review” insita in larghe
parti della presente riforma.
3
La
posizione
dell’Associazione e del GT
Valutazione
Nel nostro consesso associativo
sono numerosi i soci che verranno
toccati direttamente o
indirettamente dalla “riforma
Madia”; tutti coloro che a vario
titolo si occupano di valutazione
della performance nella PA, sono
interessati alle innovazioni
annunciate, sia che operino in
veste di dipendenti pubblici,
oppure come consulenti o docenti
presso le amministrazioni. Un
discreto numero, come noto, sono
impegnati all’interno degli OIV,
gli organismi indipendenti istituiti
in base all’art. 14 del D.lgs 150/09
(Riforma Brunetta).
Ci piace ricordare che negli ultimi
due Congressi AIV, tenutisi a
Napoli e Genova, si sono svolte
apposite sessioni di studio in cui
sono stati trattati vari aspetti della
“Riforma Madia” ed abbiamo
discusso approfonditamente sia
dello stato dell’arte che delle
tecniche di misura e valutazione
della performance; ne abbiamo
parlato sia nel Convegno
Nazionale organizzato a Pescara il
7/8 novembre 2014, che nel
Convegno romano organizzato
nella sala concessa dal Senato per
discutere del ruolo della
“valutazione delle politiche
pubbliche” inserito come
innovazione nell’ambito della
riforma costituzionale.
Il tema della Valutazione della
performance è stato affrontato a
fondo nei Corsi residenziali
organizzati dal GT valutazione,
due a Montevarchi ed uno a
Genova. Nella giornata conclusiva
del Congresso di Genova ne
abbiamo discusso direttamente
con alcuni esponenti politici
impegnati sulla “riforma”, insieme
a direttori della macchina
parlamentare impegnati
nell’approvazione sia della legge
delega sulla riorganizzazione della
PA , c h e d e l l a r i f o r m a
costituzionale del Senato.
settembre-ottobre 2015, n.14
Ora si apre un periodo decisivo,
durante il quale gli “esperti” del
governo redigeranno i testi di circa
15 decreti delegati previsti nella
Legge n°124/2015; sarà un nostro
preciso impegno, operando come
GT Valutazione nella PA, di
tenerci reciprocamente aggiornati
sui vari passaggi istituzionali,
formulando ipotesi o avanzando
proposte nell’intento di farsi
ascoltare dai tecnici del Ministero
della FP, al fine di consentire al
nostro Paese di spingere sul
massimo sviluppo della cultura
valutativa e sull’ascolto delle
nostre posizioni. Se ci saranno
spazi, potremo impegnarci ad
esporre le metodologie applicate
dai nostri soci e, quindi, a farle
conoscere come possibili buone
pratiche da applicare nei diversi
settori in cui si andrà ad articolare
la pubblica amministrazione.
Cosa manca tra
trasparenza e
performance?
Erica Melloni - IRS
([email protected])
9
Il decreto legislativo 150/2009,
meglio noto come “Riforma
Brunetta”, è stato a lungo discusso
per il messaggio fortemente
sanzionatorio assegnato alla
valutazione del personale delle
pubbliche amministrazioni (i ben
noti fannulloni). Se questo tema si
è rapidamente annacquato fino
praticamente a uscire dal dibattito,
altri due assi portanti della riforma
sono stati più duraturi: il primo è il
richiamo al ciclo della
performance, con l’introduzione
dei piani e delle relazioni di
performance annuali “a
scorrimento triennale”. Il secondo
è l’introduzione di obblighi
specifici in tema di trasparenza,
che ogni amministrazione deve
richiamare nel Piano triennale
della trasparenza e dell’integrità e
tramite la pubblicazione di tutta
una serie di informazioni nella
p a g i n a d e l l a “ Tr a s p a r e n z a ,
valutazione e merito”,
quest’ultima obbligatoriamente
presente nei siti web di tutti gli
enti pubblici e organizzata
seguendo una determinata
struttura.
In attuazione del decreto 150, sono
tornati sulla materia, con
specificazioni ed ulteriori
obblighi, le delibere CiVIT
105/2010 “Linee guida per la
predisposizione del Programma
triennale per la trasparenza e
l’integrità”; 2/2012 “Linee guida
per il miglioramento della
predisposizione
e
dell’aggiornamento del
Programma triennale per la
trasparenza e l’integrità”; 50/2013
“Linee guida per l’aggiornamento
del Programma triennale per la
trasparenza e l’integrità
2014-2016”; quindi, il decreto
legislativo 33/2014 “Riordino
della disciplina riguardante gli
obblighi di pubblicità, trasparenza
e diffusione di informazioni da
parte delle pubbliche
amministrazioni”; infine, la
delibera ANAC n. 144/2014:
“Obblighi di pubblicazione
concernenti gli organi di indirizzo
politico nelle pubbliche
amministrazioni”. E’ stato poi
attivato da ANAC in
collaborazione con il CNR il
P o r t a l e d e l l a Tr a s p a r e n z a ,
destinato a contenere le principali
informazioni sulla performance e
sulle attività in materia di
trasparenza e anticorruzione delle
singole amministrazioni.
Se da una parte queste
disposizioni hanno tracciato la
strada per una maggiore e più
sistematica politica della
trasparenza delle amministrazioni
pubbliche italiane, va anche
rilevato che questi obblighi, non
sempre coerenti e con diversi
problemi di duplicazione,
producono anche significativi
oneri aggiuntivi per la PA, e in
diversi casi si traducono in
applicazioni meramente
adempimentali, con siti web
formalmente corretti ma
insignificanti dal punto di vista dei
contenuti; inoltre, un rapido
sguardo al Portale della
Tr a s p a r e n z a ( c h e i n c l u d e
Ministeri, Enti pubblici,
Università) mostra un deciso
sbilanciamento dei dati pubblicati
sul fronte della pianificazione
piuttosto che sui risultati delle
attività, e comunque una netta
preferenza per documenti e
relazioni, piuttosto che per tabelle
e numeri. A ciò si aggiunga che
molte delle relazioni sono ancora
nei vecchi formati pdf non
navigabili. Insomma, la strada per
la trasparenza come strumento per
rendere più comprensibile cosa fa
la pubblica amministrazione e
quali risultati produce, è iniziata
ma è ancora lunga da percorrere*.
Proprio il tema della trasparenza è
stato nuovamente toccato dalla
riforma della PA approvata ad
agosto scorso (Legge 124 del 7
agosto 2015). La legge 124,
all’art. 7, segnala l’esigenza di
apportare alcuni correttivi al
decreto 33/2013. La legge
richiama inoltre l’importanza degli
open data e della trasparenza
della PA come migliore politica
contro la corruzione, e delega il
governo ad adottare uno o più
decreti legislativi per
razionalizzare, semplificare ed
integrare gli obblighi in materia di
anticorruzione e trasparenza. La
legge 124/2015 dispone inoltre
l’obbligo per la PA di pubblicare
alcuni indicatori di particolare
rilievo, e cioè:
• le fasi dei procedimenti di
aggiudicazione ed esecuzione
degli appalti pubblici;
• il tempo medio di attesa per le
prestazioni sanitarie di ciascuna
struttura del Servizio sanitario
nazionale;
• il tempo medio dei pagamenti
relativi agli acquisti di beni,
servizi, prestazioni professionali
e forniture, l'ammontare
complessivo dei debiti e il
numero delle imprese creditrici,
aggiornati periodicamente;
• le determinazioni dell'organismo
di valutazione.
Per quanto preliminari e tutte
ancora da sviluppare, sembrano
corrette le indicazioni della nuova
riforma che prefigurano da una
parte la semplificazione della
molteplicità di obblighi di
pubblicazione introdotti negli
ultimi anni, e dall’altra la
previsione di alcuni indicatorichiave da pubblicare
obbligatoriamente (anche se la
settembre-ottobre 2015, n.14
10
(anche se la lista sembra
francamente un po’ troppo
stringata rispetto alle esigenze).
Ma perché tanta attenzione al
tema della trasparenza, e cosa lega
questo tema a quello più generale
del miglioramento della
performance della pubblica
amministrazione?
Innanzitutto va ricordato questo
tema è ampiamente presente
nell’attuale dibattito
internazionale sull’open
government. Vari sono gli esiti
attesi dall’apertura di dati pubblici
(Ubaldi 2013), tra cui promuovere
l’accountability delle
amministrazioni, sostenere il
maggior coinvolgimento dei
cittadini nelle scelte e nelle
modalità di erogazione dei servizi,
promuovere l’innovazione,
favorire la crescita economica (ad
esempio, tramite la
commercializzazione di prodotti
basati sull’elaborazione di dati
pubblici; una survey condotta
dalla Commissione Europea nel
2006 stimava tra i 10 e i 48
miliardi di euro il valore
complessivo del mercato collegato
all’informazione del settore
pubblico).
Facendo un confronto con il
dibattito e le esperienze
internazionali, è possibile notare
che in Italia è stato promosso un
particolare tipo di trasparenza
incentrato sul fronte del dirittodovere all’informazione, ma
soprattutto sull’obiettivo di
incrementare il controllo diffuso
sulla pubblica amministrazione.
Questo tema è stato chiaramente
esposto dal decreto legislativo
150/2009, che all’art. 11 comma 1
dichiarava che: “La trasparenza è
intesa come accessibilità totale
(…) allo scopo di favorire forme
diffuse di controllo del rispetto
dei principi di buon andamento e
imparzialità”.
Secondo uno dei maggiori
ispiratori della riforma del 2009,
Pietro Ichino, di fronte ad una PA
autoreferenziale era necessario
“ re n d e re i m m e d i a t a m e n t e
accessibili in rete tutti i dati
inerenti al funzionamento delle
amministrazioni e agli obiettivi
assegnati a ciascun dirigente; far
sentire il più possibile ai politici e
ai dirigenti delle strutture
pubbliche il fiato dell’opinione
pubblica sul collo e vigilare
contro l’ingerenza indebita dei
politici nella gestione, offrendo
una sponda solida ai dirigenti più
corretti e professionalmente dotati
che vi si oppongono”**.
Questa impostazione è stata
ancora ripresa dalla nuova riforma
del 2015, che sottolinea
esplicitamente il rapporto tra open
government e lotta alla corruzione.
Insomma, trasparenza come
controllo diffuso contro
l’illegalità, prima di tutto, e poi
come stimolo a migliorare i
risultati dell’azione pubblica.
L’ipotesi causa-effetto richiama il
meccanismo di “naming and
shaming” identificato da Pawson e
Tilley (1997): secondo questo
schema di azione, si cerca di
trasformare un comportamento
deviante o caratterizzato da bassa
performance tramite un percorso
che prima identifica il soggetto
deviante, poi rende pubblico il suo
operato, quindi lo sanziona (ad
esempio tramite critiche, censure,
reprimende…), in attesa della
risposta che dovrebbe prevedere il
tentativo del soggetto deviante di
rientrare nei ranghi.
E’ venuto il momento di discutere
in che misura queste ipotesi hanno
retto alla prova dei fatti e se sono
possibili e praticabili nuovi
percorsi di trasparenza più
chiaramente incentrati sul
miglioramento della performance.
In che misura le PA sono state
oggetto di attenzione per la
mancata pubblicazione di dati e
quante di esse si sono attrezzate
per agire meglio? In quali termini
la trasparenza si è tradotta nel
miglioramento dei dati di
performance degli Enti? E cosa si
può fare per il miglioramento
della policy, in termini sia di
efficacia, sia di efficienza?
In attesa che si proceda ad una
seria valutazione di questa policy
(magari per meglio definire i
contenuti dei decreti legislativi
previsti dalla nuova riforma), vale
la pena sollecitare alcuni elementi
per la discussione.
In primo luogo, e come
considerazione generale, non si
può non osservare come la politica
nazionale per la trasparenza ponga
l’attenzione esattamente sul polo
opposto rispetto a quanto avviene
a livello internazionale. In questo
dibattito, il meccanismo che
settembre-ottobre 2015, n.14
11
giustifica l’investimento per la
trasparenza della PA si basa
sull’assunto che essere trasparenti
significhi essere più credibili; in
altre parole, la trasparenza è una
‘proprietà’ della reputazione degli
enti pubblici (e per la verità anche
di quelli privati, con particolare
riguardo ai “donors”) e quindi un
elemento su cui le amministrazioni
sono chiamate ad entrare in
competizione virtuosa. Se
intendiamo costruire una nuova
pubblica amministrazione capace
di innovarsi ed avere un migliore
dialogo con i cittadini,
probabilmente dovremo
concentrarci più sulle eccellenze
che sui ritardatari, più sulla
costruzione di credibilità e su
sistemi di trasparenza efficaci, che
sul controllo di potenziali (e certo
esistenti) devianze attraverso la
produzione di documenti e
attestazioni.
In secondo luogo, l’incentivo della
trasparenza non può vivere e
prolificare se si basa solo su
aspetti formali (ad esempio su
Piani e Relazioni di performance,
che interessano pochi addetti ai
lavori e comunque riguardano
aspetti di processo più che di
risultato), ma bisogna spostare
l’attenzione su aspetti sostanziali
dell’azione pubblica. Uno dei più
potenti meccanismi di
competizione fra enti è quello del
benchmarking, che può favorire
valutazioni e scelte autonome da
parte di cittadini ed utenti. Quando
sono resi disponibili informazioni
coerenti e comparabili tra le
performance di enti omogenei (ad
esempio, gli ospedali, le
università, ecc), i cittadini possono
compiere scelte informate, ed in
genere lo fanno; i ricercatori ed i
valutatori possono elaborare
analisi e comparazioni; ecc..
Promuovere la raccolta e
pubblicazione di alcuni, pochi dati
di performance comparabili per le
varie categorie di enti, magari
cominciando da alcuni settori
strategici, dovrebbe essere un
punto nell’agenda della PA dei
prossimi anni (si veda a questo
proposito il progetto Hospital
Compare*** americano, dove i
cittadini possono comparare la
performance di tutti gli ospedali
sulla base di una serie di indicatori
chiave, incluse le valutazioni di
qualità fornite dai cittadini stessi).
In terzo luogo, come ha
sottolineato Ubaldi (2013),
trasparenza e open government
aprono nuove prospettive nel
modo di lavorare della PA con gli
utenti, e richiedono anche una
nuova generazione di funzionari,
capaci di interagire diversamente
con le tecnologie, saper trattare e
presentare i dati, interagire con i
cittadini, ad esempio con le
diverse forme di feedback che da
questi arriveranno sempre più in
futuro alla PA tramite i social
network (a scapito dei vecchi
questionari di valutazione, ad
esempio). Si tratta di competenze
nuove che richiedono quadri
logici, tecniche e formazione
specifica, indispensabili a creare la
pubblica amministrazione del
futuro.
Riferimenti bibliografici
Pawson, R. e Tilley, N. (1997),
Realistic Evaluation, Sage,
London.
Ubaldi B. (2013), “Open
Government Data: Towards
Empirical Analysis of Open
Government Data Initiatives”,
OECD Working Papers on Public
Governance, no. 22, OECD
Publishing.
Note
*http://
consultazionebanchedati.portaletra
sparenza.it/
**http://www.pietroichino.it/?
p=27191
***https://www.medicare.gov/
hospitalcompare/search.html
La stratificazione
della cultura
valutativa nella PA
italiana dal
dopoguerra ad oggi
Lucio Pier Paolo Verre - Comune di
Tempio Pausania ([email protected])
Oggi la valutazione in Italia sta
assumendo una importanza
crescente nel settore pubblico. La
scuola, l’università, i ministeri, gli
enti locali, i finanziamenti europei,
le politiche sono soggetti/oggetti
di valutazione. Nonostante la
relativa diffusione di norme e
direttive al riguardo, non sono in
molti a capire veramente di cosa si
stia parlando. Quale la ragione?
Perché non esiste una cultura
valutativa, nel senso attuale del
termine, diffusa e condivisa?
Ritengo che una risposta possa
essere proposta basandosi
sull’evoluzione della cultura
burocratica italiana. Infatti una
valutazione delle organizzazioni
pubbliche e delle persone che ci
lavorano è sempre stata fatta, ma
su presupposti diversi da quelli
odierni. Il funzionamento della
pubblica amministrazione italiana
è stato interpretato attraverso
l’utilizzo di un modello
ottocentesco che si rifaceva alla
cultura
positivista.
L’organizzazione complessa era
vista come un insieme di
componenti semplici che svolgono
azioni elementari definibili con
regole determinate in ogni
dettaglio. Se ogni “rotellina” del
meccanismo svolge la propria
funzione correttamente, tutta la
macchina è efficiente e svolge il
compito per il quale è stata creata.
Chi ha saputo governare meglio il
modello organicista ottocentesco è
stata la cultura burocraticogiuridica che ha interpretato la
pubblica amministrazione come
un insieme di “organi” che
svolgono specifiche “funzioni”.
Gli organi e le funzioni sono
governati da regole precise e ben
definite, le leggi, che permettono
di attuare i due principi cardine del
funzionamento democratico della
PA previsti dalla Costituzione
italiana*: l’imparzialità e il buon
andamento (efficienza e efficacia)
della pubblica amministrazione.
Quindi la valutazione sul corretto
f u n z i o n a m e n t o d e l l a PA è
consistita, per anni,
essenzialmente sul controllare che
ogni organo svolgesse le funzioni
assegnate secondo quanto previsto
dalle norme. In definitiva era un
controllo sugli atti adottati dalla
pubblica amministrazione in
settembre-ottobre 2015, n.14
12
quanto essa agiva solo per
provvedimenti pubblici. Ogni
azione della PA era scomposta, e
lo è tuttora, in azioni facenti parte
di un procedimento
amministrativo predefinito dalla
legge e la cui conclusione consiste
nell’adozione di un
provvedimento. La modalità di
funzionamento della PA sancisce il
principio che la forma è la
sostanza
dell’agire
amministrativo. Sono gli anni
della proliferazione dei controlli
preventivi sugli atti da parte di
svariati organismi pubblici istituiti
tramite norme (Co.Re.Co., Corte
d e i C o n t i , TA R , e c c . ) . L a
valutazione positiva sulla
i m p a r z i a l i t à , e ff i c i e n z a e d
efficacia della pubblica
amministrazione consisteva
esclusivamente sulla regolarità
degli atti adottati poiché, da tale
regolarità, non poteva che
discendere il buon andamento
dell’azione pubblica. In tale
contesto la cultura giuridica si
afferma sempre più come la
cultura necessaria e sufficiente al
corretto funzionamento della PA.
La cultura giuridica, e gli uomini
che ne detengono i saperi, è la
cultura dominante nella gestione
del potere pubblico in Italia.
Ma mentre tale potere afferma il
suo dominio, la società italiana
attraversa un forte cambiamento
tecnologico e sociale derivato
dalla diffusione dell’informatica,
della telematica e delle nuove
tecnologie. Le comunicazioni e le
azioni sociali avvengono in tempi
sempre più rapidi e necessitano di
risposte pubbliche altrettanto
sollecite. Il legislatore si rende
conto, sotto la pressione sociale,
che la PA è intrinsecamente
insufficiente a dare risposte
adeguate, perché l’adeguamento ai
bisogni sociali necessità di
continui adattamenti che si
possono attuare solo con
modifiche normative; la lentezza a
fornire le risposte alle necessità
operative diventa il principale
elemento del distacco tra la
pubblica amministrazione e i
cittadini e le imprese. Intorno ai
primi anni ’90 una nuova cultura,
di matrice economicista e
efficientista, si affaccia alla
gestione del potere
amministrativo. Viene introdotto il
controllo di gestione nelle
pubbliche amministrazione come
sistema di valutazione
dell’efficienza e dell’efficacia
dell’azione**. Si introduce la
misurazione di variabili come
indicatori di efficienza e efficacia
e il controllo economico, e non più
solo finanziario, sul
funzionamento delle
organizzazioni pubbliche. I
modelli di riferimento si basano
sulla “scelta razionale” come
principio guida dell’azione.
Nonostante tale sviluppo culturale
e operativo, la cultura di tipo
economico stenta a raggiungere il
potere detenuto da quella
giuridica. In alcuni casi diverge e
si scontra con i tecnicismi
giuridici, ma rimane subalterna
alla formulazione e approvazione
delle norme regolatrici. Così si
assiste ad un atteggiamento
“bipolare”, nel senso psicologico
del termine, e in alcuni casi
schizofrenico del sistema giuridico
italiano. Da una parte si vogliono
premiare i comportamenti
efficienti dei funzionari e dei
dirigenti e dall’altra si puniscono
severamente le difformità in base
ai controlli formali sugli atti e sui
procedimenti.
I cittadini e le imprese, in questa
situazione, sono ormai totalmente
insofferenti verso una pubblica
amministrazione diventata
autoreferenziale e tanto
inefficiente da mettere a rischio il
funzionamento del tessuto
economico e sociale del paese.
Da questo fallimento riformista,
alla fine degli anni 2000, compare
la terza cultura: quella di matrice
sociologica e psico-sociale che
prevede l’adozione di modelli
partecipativi nella governace dei
territori e di trasparenza nei
comportamenti delle PA***.
Nasce il D. Lgs. 150/2009 che
prevede la valutazione delle
performance complessive delle
amministrazioni pubbliche e
individuali delle persone che vi
lavorano. La confusione che
l’introduzione di un ulteriore
modello culturale e
comportamentale ha generato, è
stata enorme perché tale modello
non è stato preceduto da un
adeguato piano nazionale di
formazione e riconversione del
personale esistente o dalla
acquisizione di personale già
formato.
Altrettanto
forte
è
l’incompatibilità generata da
modelli organizzativi non
adeguatamente integrati nelle
regole applicative. Non è
pensabile che un dipendente
pubblico
mantenga
contemporaneamente una adesione
procedurale alle direttive, una
assunzione di responsabilità per
scegliere i comportamenti più
efficienti e una discrezionalità per
il raggiungimenti dell’efficacia
voluta da cittadini e imprese in un
sistema punitivo di norme che
indicano il contemporaneo
perseguimento di strade differenti
e contrapposte.
Nel tentativo di dare finalmente un
impulso riformatore definitivo,
vengono emanate altre norme,
ancora in corso di definizione
perché rinviano a decreti
governativi, non ancora emanati.
La complessità operativa, tra la
redazione del Documento unico di
Programmazione (DUP), dove la
definizione strategica diviene
vincolante per l’attuazione delle
politiche nell’arco del mandato
elettorale, e la redazione del
bilancio di previsione e
approvazione (attribuzione
gestionale delle risorse e degli
obiettivi e loro valutazione nei
risultati raggiunti) del Piano
esecutivo di gestione (PEG) e del
Piano delle performance, sta
diventando veramente onerosa in
termini di efficienza della PA. Se a
questi adempimenti si aggiungono
quelli relativi alla trasparenza,
all’anticorruzione e alla
alimentazione dei dati sulle
piattaforme nazionali, il rischio è
quello di fermare il sistema.
Per armonizzare i tre pilastri
culturali presenti, a mio parere
tutti estremamente utili al corretto
funzionamento delle PA, sarebbe
necessario un approccio
pedagogico che potrei riassumere
in una metafora: se vogliamo che i
settembre-ottobre 2015, n.14
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nostri figli crescano autonomi,
indipendenti e in grado di agire
nel rispetto dei valori di onestà,
libertà, rispetto degli altri,
indispensabili al vivere civile, non
possiamo pretendere di imporgli
comportamenti corretti solo con la
forza di regole che puntualizzano
ogni dettaglio dell’agire corretto o
con la chimera di vantaggi
individuali su base competitiva,
ma piuttosto con la
responsabilizzazione e la
costruzione del senso del dovere e
della collaborazione in vista del
raggiungimento di fini comuni.
Questo risultato è raggiungibile, a
mio parere, solo con il buon
esempio e la libertà di scelta in un
contesto di regole generali chiare
e non derogabili. Forse è
necessario recuperare il valore
della discrezionalità non come
esercizio di arbitrio, ma come
espressione di saggezza di cui la
valutazione è la componente
tecnica.
In ultimo i sistemi di controllo
dovrebbero concentrarsi sulla
valutazione dei risultati e non dei
processi. I presupposti sono che
tale valutazione sia veramente
indipendente dall’ente sulla quale
si effettua (l’indipendenza deve
essere necessariamente sia
economica che di pensiero) e
venga svolta da persone che siano
specificatamente formate in
valutazione. Le norme sulla
valutazione, affinché siano
efficaci nell’applicazione,
dovrebbero essere “sostenibili”,
cioè non dovrebbero prevedere
solo quale modello utilizzare (il
sistema), ma dovrebbero
considerare il contesto nel quale
sono calate; nel caso specifico
dovrebbero contemplare anche la
previsione del sistema di
formazione e certificazione dei
valutatori.
Note
*Cfr. Legge costituzionale; Legge
10 febbraio 1953, n. 62 (c.d.
Legge Scelba)
**Cfr. Legge 8 giugno 1990, n.
142; Legge 15 maggio 1997, n.
127; D. Lgs. 18 agosto 2000, n.
267
***Cfr. D. Lgs 27 ottobre 2009, n.
150; D. Lgs 23 giugno 2011, n.
118; D. Lgs 10 agosto 2014, n.
126; Legge 7 agosto 2015, n. 124
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