I Millennium Development Goals e la salute: quanto buon vino nella

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Giorgio Tamburlini
Gli Obiettivi del Millennio, per risultare efficaci nel promuovere lo
sviluppo umano, dovrebbero essere più chiaramente improntati al
principio base da cui sono nati, la social justice, essere realmente
universali e, quindi, valere per tutti.
Meno 5 alla scadenza del 2015: a che punto siamo?
In vista della scadenza, nel 2015, per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio (MDG)
[Leggi l’approfondimento: Da dove vengono gli Obiettivi del Millennio – PDF: 1,30 Mb],
si moltiplicano, soprattutto da parte delle Agenzie delle Nazioni Unite, gli appuntamenti
dedicati a fare il punto della situazione e ad “accelerare gli sforzi” per il raggiungimento di
uno o l’altro degli MDG.
La dimensione salute, come é noto, è ben rappresentata negli MDG: tre di questi (4, 5 e 6)
sono di competenza sanitaria e riguardano la salute di donne e bambini e la lotta alle
pandemie, e un’altro (MDG 1) si riferisce alla nutrizione. Come non sfuggirà a chi ne scorre
l’elenco, tutti gli aspetti dello sviluppo considerati dagli MDG giocano un ruolo
fondamentale nel determinare lo stato di salute.
Restando nell’ambito degli obiettivi riguardanti direttamente la salute, il quadro
della situazione non è soddisfacente: in generale,un progresso c’è stato, ma è
lontano dall’essere sufficiente a raggiungere le mete prefissate[1].
La mortalità under 5 è scesa da 90 a 65 in 18 anni (1990-2008), quindi, di meno di un
terzo contro i due terzi previsti[2]. Ancor meno favorevole è la situazione relativa
all’obiettivo 5, relativo alla salute materna: il target 5A, relativo alla mortalità materna.
Era ancora più ambizioso (riduzione di tre-quarti entro il 2015), mentre sono circa 350.000 i
decessi stimati per anno[3,4], con una riduzione, rispetto al 1990, difficile da quantificare
per l’incertezza riguardo alle stime attuali ed ancor più riguardo a quelle passate. Tuttavia,
in ogni caso, anche utilizzando i dati più favorevoli, non supera il 25% [4]. Quanto all’AIDS,
si è arrestata la curva di crescita dei nuovi casi, ma si è lontanissimi dall’assicurare
l’accesso alle cure a tutti color che ne hanno bisogno.
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Quel che più conta, vi sono enormi disparità anche nel progresso (che è stato significativo e
“sufficiente” in America Latina, minore nel Sud-Est asiatico, e ancora minore, e in molti
paesi nullo, nell’Africa subsahariana) sia tra paesi sia all’interno dei paesi. Anzi, le
differenze tendono ad aumentare tra paesi ricchi e poveri, e tra ricchi e poveri
all’interno di ciascun paese, come ben messo in rilievo dal rapporto appena reso pubblico
da parte dell’UNICEF, di cui si consiglia vivamente la consultazione[5].
Con qualche eccezione di rilievo: il Brasile, ad esempio, grazie a politiche di
redistribuzione del reddito all’interno di una crescita sostenuta e a riforme
progressive anche in campo sanitario, ha ridotto sensibilmente il gap tra ricchi e
poveri, in relazione ad indicatori di mortalità “under 5” e malnutrizione (Figura 1).
Figura 1
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Il dibattito sugli MDG: sono serviti a qualcosa? Possono essere “riformati”?
Sono domande legittime da porsi e per le quali possonoessere abbozzate delle risposte,
anche con l’intento di suscitare dibattito. Dibattito che non può che essere centrato solo sui
risultati, ma deve tener conto anche dei principi ispiratori, per comprendere in che misura
questi hanno condizionato i risultati, del modo in cui la comunità internazionale ha condotto
le cose e, infine, della modo in cui gli MDG possono ora essere riproposti e riformulati.
In sintesi, si può affermare che:
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Vi sono pochi dubbi, anche tra i più critici, che l’esistenza di obiettivi, quantificati,
in diverse dimensioni dello sviluppo umano abbia sortito l’effetto di far assumere
impegni sia alla comunità internazionale sia ai singoli governi, e di mobilitare
energie e risorse finanziarie. All’esistenza di questo meccanismo di obiettivi condivisi, e
largamente pubblicizzati, si può almeno in parte attribuire la tendenza alla crescita
dell’aiuto pubblico allo sviluppo – che ha avuto luogo negli ultimi anni. A ciò vanno aggiunti
gli impegni assunti nel corso del recente Summit di New York (22 settembre), con oltre 40
miliardi di dollari impegnati nel settore della salute di donne e bambini (in realtà, si
continua a dire di madri e bambini, dimenticando l’aspetto fondamentale della salute
riproduttiva); in altre parole gli MDG 4 e 5.
Ovunque, in meeting internazionali e nazionali, di agenzie ONU o di ONG, si fa il punto della
situazione rispetto agli MDG. Molti paesi, perché convinti, perché tirati per la giacca,
perché timorosi di confronti, paragoni e classifiche, hanno preso la cosa sul serio, varato
nuovi programmi e attribuito nuove responsabilità.
Pochi dubbi vi sono anche sul fatto che l’esistenza degli MDG – e ci si riferisce qui in
particolare a quelli direttamente connessi alla salute – abbia prodotto molta più
attenzione al monitoraggio ed alla valutazione della situazione rispetto al passato,
ed abbia dato origine a importanti iniziative in questa direzione. Un esempio il
countdownto2015 in relazione alla salute di donne e bambini (vedi anche Salute maternoinfantile: il rapporto “countdown to 2015” del 19.03.2009), che produce profili (indicatori di
esito, di copertura e, in minor misura, di policy adottate) sintetici, informativi e aggiornati
sulla situazione di 68 paesi a più alta mortalità materna e under 5.
Il monitoraggio e la valutazione costituiscono di per sé uno stimolo al pensiero ed all’azione.
Molti più dubbi vi sono su quanto effettivamente questo gran lavorìo sia stato
capace di mobilitare risorse e azioni nella giusta direzione. Tra tutti gli MDG, quelli di
competenza sanitaria, centrati in partenza in buona parte su indicatori di mortalità – e
comunque in questo senso spesso riduttivamente interpretati -, tendono a stimolare azioni a
breve termine, focalizzate esclusivamente su interventi tesi a ridurre la mortalità
aggredendo le sue cause ultime. È ben vero che all’interno degli stessi MDG sanitari vi sono
anche obiettivi di maggior prospettiva.
Ad esempio, nell’ambito del MDG 5 il secondo target si riferisce all’accesso delle donne ai
servizi per la salute riproduttiva. Ma, di fatto, è accaduto che le misurazioni e le valutazioni
si sono concentrate sulla parte relativa alla mortalità, e le azioni e le risorse
conseguentemente. La quantità di risorse finanziarie dedicate, ad esempio, alla salute
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riproduttiva – a dispetto della sua evidente importanza come presupposto fondamentale
della salute materna e infantile – è rimasta ferma negli ultimi 10 anni su livelli molto bassi,
rispecchiando gli ostacoli di natura prettamente ideologica posti da alcuni influenti attori
internazionali fino a l’altro ieri (per intenderci, fino alla caduta dell’amministrazione Bush
ed alla svolta impressa in proposito dalla nuova amministrazione USA). Ancora una volta,
molta enfasi è stata data ai cosiddetti “interventi efficaci” (che nel frattempo sono passati da
23 a 49, rendendo ridicola la presunzione di attaccarli all’albero asfittico dei sistemi sanitari
dei paesi poveri, senza una preventiva opera di rafforzamento degli stessi), ma senza
associarli a politiche in grado di migliorare stabilmente le condizioni di vita delle persone,
che pure hanno chiaramente dimostrato in molti paesi di essere “la strada maestra”.
Un esempio per tutti: lo Sri Lanka ha investito – già da diverse decadi e quindi senza
aspettare gli MDG – in: educazione universale per tutti, donne comprese; accesso
universale alle cure, a partire dal parto assistito da personale qualificato, ecc. Ed
ha infatti ridotto la mortalità materna del 87% in 40 anni, fino a 30 per centomila e
può vantare una mortalità under 5 da paese industrializzato (11 per mille) a
dispetto di un profilo economico da paese povero (reddito procapite di poco più di
1000 dollari).
Gli MDG di competenza sanitaria, se intesi riduttivamente, possono quindi essere mete
fuorvianti se il loro perseguimento non è fondato su un solido insieme di politiche indirizzate
ai determinanti della salute, come peraltro sarebbe in realtà previsto dagli attuali MDG 1, 2
e 3 e 7. Che questo approccio più comprensivo si stia facendo strada, pare si possa evincere
da alcune delle dichiarazioni conclusive del recente summit di New York (“we recognize that
all MDG are interlinked and mutually reinforcing and …therefore we underline the need to
pursue them in an holistic way”), che sottolineano la necessità di un approccio combinato e
non settoriale. Purché questo approccio non venga ancora una volta enunciato, ma
dimenticato per strada da agenzie, governi e soprattutto dai donatori, che vogliono risultati
visibili e subito.
E qui sta uno dei problemi: le priorità di fatto, se non le politiche enunciate, di molte
agenzie, inclusa l’OMS, e di molti governi dei paesi poveri, sono fortemente
influenzate dalle priorità dei donatori e dei diversi Fondi e iniziative globali che i
donatori contribuiscono a finanziare.
La questione riguardante se e come gli MDG possano essere rilanciati e riformulati ha una
risposta dubitativa. Nella sua relazione al recente summit Ban Ki Moon lascia pensare che si
andrà in questa direzione, riferendo di “further steps to advance the MGD development
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agenda beyond 2015”: prudenti e misurate dichiarazioni, volutamente generiche perché
necessitano di ulteriori e faticosi accordi per diventare più precise e cogenti. Nel frattempo,
questo quesito è affrontato con grande attenzione da un recente ponderoso rapporto
prodotto da una Commissione ad hoc promossa dal Lancet[6].
In breve, gli Autori ritengono che gli MDG abbiano contribuito ad una maggiore
consapevolezza e azione da parte della comunità internazionale e dei governi, ma
che, a dispetto della loro apparente onnicomprensività, abbiano mancato di
rappresentare adeguatamente una visione complessiva e coerente dello sviluppo a
partire dalle sue basi, e siano stati poco attenti agli aspetti relativi all’equità (i
target non sono stati articolati come obiettivi di equità e quindi non si sono curati
della distribuzione dei progressi nella popolazione).
Resta aperto, forse reso più apparente proprio dalla corsa agli MDG di competenza
sanitaria, il problema delle risorse e il problema della governance della salute globale. Alle
risorse impegnate con gran clamore nei vari Summit corrisponde quasi sempre una scarsa
capacità di metterle effettivamente a disposizione: la UE si era ad esempio impegnata a
mettere a disposizione degli aiuti allo sviluppo lo 0.7% del PIL ma si è fermata allo 0.58 (ma
l’Italia allo 0,1%!!!) e di impiegarle in maniera coordinata ed armonizzata. Continua,
invece, la moltiplicazione degli attori sulla scena mondiale: ogni mese fa la sua
apparizione un nuovo fondo, supportato da questa o quella first lady (incluse le ex),
o una nuova strategy. Ora è in vista un impegno del Global Fund, accanto ad AIDS, Tbc e
malaria, anche nella salute materno-infantile, il che praticamente sancirebbe
definitivamente la messa all’angolo del OMS come agenzia tecnica di riferimento per la
salute. I Fondi, le Partnership e le Iniziative Globali assumono personale e trattano
direttamente con i governi, mentre l’OMS ha difficoltà a svolgere il suo ruolo tecnico, già
messo in discussione da recenti scelte errate, in presenza di continui tagli e di fondi che
arrivano già destinati a specifiche iniziative, da realizzarsi in specifici paesi e con specifici
gruppi tecnici. Quale autonomia, dunque? Quale capacità di pianificazione
strategica?
Si dovrebbe (i paesi ricchi dovrebbero) inoltre pensare di smetterla di fissare gli obiettivi
per gli altri e non anche per se stessi. Problemi di diseguaglianza discriminazione e diritti
umani non mancano nei paesi ricchi, quindi i “nuovi” MDG dovrebbero essere estesi a tutti i
paesi.
Se così fosse, e se in coerenza con l’ispirazione originaria alla social justice i nuovi
target dovessero essere molto attenti alla distribuzione dei risultati nei vari gruppi
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di popolazione, ne vedremo delle belle, ad esempio, che nel Regno Unito (che
differenza di molti altri, almeno queste cose le conta) le donne di origine africana
muoiono di parto 7 volte di più che le donne autoctone. E si dovrebbe anche stabilire
target, e monitorarli, e attribuire nomi e cognomi ai paesi off track (come si dice nel gergo
MDG), anche per quanto riguarda gli attuali obiettivi dell’MDG 8 (non a caso l’unico senza
target quantificati) che definiscono le cose da fare da parte dei paesi ricchi: per esempio
riguardo il commercio equo, il trasferimento di tecnologie, i farmaci essenziali e gli aiuti allo
sviluppo.
In conclusione, gli MDG, per risultare efficaci nel promuovere lo sviluppo umano,
dovrebbero essere più chiaramente improntati al principio base da cui sono nati, la
social justice, essere realmente universali e quindi valere per tutti. Dovrebbero
rappresentare una guida per affrontare i problemi dello sviluppo, e le conseguenze
del sottosviluppo, comprese quelle riguardanti la salute, come tali, promuovendo
politiche e interventi a monte e non solo a valle della catena causale, e divenire un
riferimento per tutti i protagonisti, a partire dalle comunità locali, e non solo per la
platea dei donatori e delle agenzie internazionali. Vedremo quanto questo sarà
possibile. Curare le cause non è nell’interesse di tutti.
Giorgio Tamburlini. European School for Maternal Newborn anch Child Health, Trieste.
Centro per la Salute del Bambino – onlus, Trieste. Osservatorio Italiano Salute Globale.
Bibliografia
United Nation. Millennium Development goals
The Countdown Report 2010
Trends in Maternal Mortality: 1990 to 2008. Estimates developed by WHO, UNICEF,
UNFPA and The World Bank, 2010.
Hogan MC, Foreman KJ, Naghavi M, et al. Maternal mortality for 181 countries, 1980-2008:
a systematic analysis of progress toward Millennium Development Goal 5. The Lancet 2010;
375: 1609-23.
UNICEF Progress for children. Achieving the MDGs with equity. UNICEF New York,
settembre 2010.
Lancet and London International Development Centre Commission. The MDGs: acrosssectional analysis and principles for goal setting after 2015. Lancet, 2010; 376:991-1023.
Paris declaration.
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