The Reconnection

Transcript

The Reconnection
«Tanta felicità» - Eric Pearl
“spiritualità e tecniche energetiche”
Dr. Eric Pearl
The reconnection
Guarisci gli altri
Guarisci te stesso
Copyright © Eric Pearl
Pubblicato da Hay House, Inc.
Titolo originale: The Reconnection
Sintonizzati con Hay House su:
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The Reconnection™ e Guarigione Riconnettiva™ sono marchi registrati.
Traduzione: Angela Sileo
Editing: Maria Luisa De Francesco
Revisione: Natalia Priore
Grafica di copertina e impaginazione: Matteo Venturi
Stampa: Fotolito Graphicolor snc Città di Castello (PG)
I Edizione: Gennaio 2009
VIII ristampa settembre 2012
© Edizioni My Life
My Life srl - Via Garibaldi, 77 - 47853 Coriano di Rimini
ISBN 978-88-6386-112-9
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta tramite alcun procedimento meccanico, fotografico o
elettronico, o sotto forma di registrazione fonografica; né può essere immagazzinata in un sistema di reperimento dati, trasmesso, o altrimenti essere copiato per uso pubblico o privato, escluso l’“uso corretto” per brevi citazioni in articoli e riviste, senza previa autorizzazione scritta dell’editore.
L’autore di questo libro non dispensa consigli medici né prescrive l’uso di alcuna tecnica come forma di trattamento per problemi fisici
e medici senza il parere di un medico, direttamente o indirettamente. L’intento dell’autore è semplicemente quello di offrire informazioni di natura generale per aiutarvi nella vostra ricerca del benessere emotivo e spirituale. Nel caso in cui usaste le informazioni contenute
in questo libro per voi stessi, che è un vostro diritto, l’autore e l’editore non si assumono alcuna responsabilità delle vostre azioni.
Elogi per The Reconnection
“Eric è un uomo straordinario col dono superbo di guarire. Leggete questo
libro e sarete trasformati!”
John Edward,
medium, autore di Crossing Over e After Life.
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“La prima volta che ricevetti il libro The Reconnection, mi misi a sedere e
lo lessi dall’inizio alla fine nell’arco di una sera. Fui ammaliata. Si legge
come un buon romanzo. Ma, a differenza di un romanzo, questo libro è la
verità, la verità riguardo un nuovo modo di guarire ed essere guariti, un
modo rivoluzionario e disponibile per tutti. Pieno di humour, di idee, di
quella comprensione approfondita e di quella umiltà che vengono solo con
la maturità di buon clinico e scienziato, Eric Pearl racconta la storia di come l’energia riconnettiva lo abbia trasformato e di come tutti noi possiamo
fare altrettanto. Se prendete sul serio l’idea della salute e della guarigione,
leggete questo libro!”
Dr. Christiane Northrup,
professoressa assistente di Ostetricia/Ginecologia,
presso l’Università del Vermont Collegio di Medicina;
autrice di Menopausa felice.
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“In quanto medico e neuro-scienziato, sono stata addestrata a sapere perché e come funziona un trattamento. Quando però si parla di Guarigione
Riconnettiva, non so come funzioni. So semplicemente che funziona, per
esperienza personale. Il lavoro di Eric Pearl è stato un grande dono per me,
e, attraverso questo libro, può essere lo stesso per voi.”
Dr. Mona Lisa Schulz,
autrice di Awakening Intuition.
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“Molti hanno atteso per decenni quello che il Dr. Eric Pearl ci ha dato nel
suo primo libro, cioè una maniera nuova, unica ed elegante di insegnare la
guarigione e la trasformazione. La vera rivelazione del suo lavoro, tuttavia,
è che Pearl svela a tutti i suoi segreti! Il libro non è solo divertente da leggere. Infatti, questo guaritore, intenzionalmente divertente e curioso, mostra
la facilità con cui la vera guarigione energetica può essere riconosciuta e
attivata all’interno di ognuno di noi. Sarebbe ora!”
Lee Carroll,
autore dei libri di Kryon e co-autore di I Bambini indaco.
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“The Reconnection, del Dr. Eric Pearl, è semplicemente il miglior libro sulla guarigione transpersonale e la medicina dello spirito tra quelli scritti negli ultimi anni. È un dono dell’Universo ed un contributo straordinariamente eccitante al cambiamento a livello mondiale che si sta verificando nel
nostro tempo. Se doveste leggere solo due libri quest’anno, assicuratevi che
questo gioiello sia uno di loro.”
Dr. Hank Wesselmen,
autore di Spiritwalker, Medicinemaker e Visionseeker.
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“Eric ha scritto uno stupendo libro sulla guarigione, che spinge alla riflessione ed è incentrato sulla pratica. Condivide non solo le sue intuizioni ed
esperienze personali con la grazia della guarigione, ma fornisce anche tecniche utili per produrre le guarigioni di cui tutti abbiamo bisogno nelle nostre vite, non solo per noi stessi, ma per gli altri. Lo humour e la sincerità di
Eric hanno reso questo libro un MUST.”
Dr. Ron Roth,
autore di Holy Spirit for Healing.
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“Questo libro offre intuizioni interessanti e nuove sulle dinamiche della
guarigione.”
Dr. Deepak Chopra,
autore di Guarirsi da dentro.
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“Questo è un libro che ispira la mente, conforta il cuore e celebra il processo di guarigione. La visione del Dr. Pearl riguardo la Guarigione Riconnettiva dovrebbe essere letta da professionisti sanitari che desiderano promuovere un livello maggiore di guarigione nei loro pazienti e, durante il
processo, guarire se stessi. The Reconnection dovrebbe essere letto anche
dai pazienti, in modo che possano non solo guarire se stessi, ma aiutare a
guarire gli altri e, attraverso il loro esempio, informare i loro medici tradizionali sulla medicina energetica contemporanea e sul potere curativo di
The Reconnection.”
Dr. Gary E. R. Schwartz e Dr. Linda G. S. Russek,
direttori del Laboratorio per i Sistemi di Energia Umana
presso l’Università dell’Arizona e autori di The Living Energy Universe:
A Fundamental Discovery that Transforms Science and Medicine.
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“Questo è un libro meraviglioso che descrive l’evoluzione di un medicoguaritore, raccontata con spirito, humour e profonde intuizioni. Le storie e
le esperienze uniche del Dr. Pearl, che conducono allo sviluppo della Guarigione Riconnettiva, sono una toccante fonte di ispirazione. Eric Pearl ha
ricevuto un dono senza eguali, il dono di guarire, dono che trasmette a tutti
noi. Il suo approccio alla Guarigione Riconnettiva è semplice, ma profondo
nei suoi effetti. Rappresenta una nuova e indiretta forma di guarigione energetica che oltrepassa le formule, le tecniche e i mantra con cui abbiamo
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dovuto lavorare finora su questo pianeta. Lo consiglio fortemente ai professionisti sanitari, così come a chiunque altro sia interessato a svegliare il
proprio potenziale di guarigione.”
Dr. Richard Gerber,
autore di Medicina vibrazionale.
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“The Reconnection è una storia vera e ben scritta, che potrebbe veramente
ispirare le persone a seguire il loro percorso spirituale e a divenire guaritori.”
Dr. Doreen Virtue,
autrice di Terapia degli Angeli - Angel Therapy.
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Ai miei genitori, per avermi dato la vita
e per avermi dato il coraggio
di vivere la verità della vita.
Ad Aron e Solomon, per avermi dato intuizioni
e per avermi dato la conferma
di cui avevo bisogno per proseguire.
A Dio, all’Amore, all’Universo,
per il semplice fatto di aver dato.
CONTENUTI
Introduzione di Gary E.R. Schwartz, Ph.D., e Linda G.S. Russek, Ph.D . . . . . . . . 15
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Parte I: IL DONO
Capitolo 1: Primi passi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Capitolo 2: Lezioni dalla vita dopo la morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
Capitolo 3: Cose da bambini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Capitolo 4: Un nuovo sentiero di scoperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
Capitolo 5: Aprire nuove porte, accendere la luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
Capitolo 6: La ricerca delle spiegazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
Capitolo 7: Il dono della pietra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
Capitolo 8: Intuizioni: presente e futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
Parte II: LA GUARIGIONE RICONNETTIVA E IL SUO SIGNIFICATO
Capitolo 9: Dimmi di più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
Capitolo 10: Stringhe e filamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
Capitolo 11: Le grandi domande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .123
Capitolo 12: Per dare, devi ricevere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
Capitolo 13: Togliersi di mezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
Capitolo 14: Settare il tono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
Capitolo 15: Cose da considerare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
PARTE III: VOI E LA GUARIGIONE RICONNETTIVA
Capitolo 16: Nella piscina dell’energia riconnettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
Capitolo 17: L’ambiente del guaritore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
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Capitolo 18: Accendere il guaritore dentro di voi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191
Capitolo 19: Trovare l’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201
Capitolo 20: Il terzo partner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207
Capitolo 21: Interagire con i pazienti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227
Capitolo 22: Che cos’è la guarigione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .237
Note di chiusura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247
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INTRODUZIONE
I
l libro che vi accingete a leggere si incentra sulla figura di un clinico
coraggioso e generoso, il Dr. Eric Pearl, il quale scoprì che la chiave
della salute e della guarigione è rappresentata da quella che egli stesso
definisce La Riconnessione (traduzione italiana di The Reconnection,
NdT). La prima volta in cui lo abbiamo sentito parlare presso il Programma di Medicina Integrativa del Dr. Andrew Weil all’Università dell’Arizona, fummo da subito colpiti dall’onestà e dalla franchezza del Dr. Pearl.
Avevamo di fronte un uomo intenzionato ad abbandonare un’attività chiropratica tra le più lucrative a Los Angeles, per intraprendere un viaggio di guarigione spirituale e per affrontare alcune delle più importanti e controverse questioni della medicina e della guarigione contemporanee.
L’energia e l’informazione che essa porta con sé, ha un ruolo centrale
nella salute e nella guarigione?
Le nostre menti possono connettersi con questa energia, e possiamo imparare ad utilizzare questa energia per guarire noi stessi e gli altri?
Esiste una realtà spirituale più ampia, costituita da energia vivente, con la
quale possiamo imparare a connetterci e che possa non solo favorire la nostra
personale guarigione, ma anche quella dell’intero pianeta?
Ci siamo chiesti: “Il Dr. Pearl aveva perso la testa? Oppure si era riconnesso con
la saggezza in fondo al suo cuore e con il cuore dell’energia vivente del cosmo?”
La verità è che quando incontrammo il Dr. Pearl per la prima volta, non lo
sapevamo. Tuttavia, il Dr. Pearl era impegnato a dimostrare con i fatti quello
che sosteneva a parole, il che comportava portare le sue affermazioni – e le
sue doti – in un laboratorio di ricerca il cui motto è “Se è vero, sarà rivelato;
se è falso, capiremo dov’è l’errore.”
Il Laboratorio per i Sistemi di Energia Umana presso l’Università dell’Arizona, si dedica all’integrazione della medicina mente-corpo, della medicina
energetica e della medicina spirituale. Il nostro scopo, nel lavorare assieme al
Dr. Pearl, non è stato quello di dimostrare che la Guarigione Riconnettiva
funziona, ma piuttosto di dare al processo di Guarigione Riconnettiva l’opportunità di dimostrare se stesso.
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Una connessione storica alla Riconnessione
Il mio rapporto personale col concetto di riconnessione risale al mio programma di dottorato ad Harvard verso la fine degli anni ’60. Fui introdotto
all’importante ricerca sull’auto-regolamentazione e sulla guarigione condotta
da uno dei più integrativi medici-scienziati nei primi trenta anni dello scorso
secolo.
Nel 1932, il Professor Walter B. Cannon dell’Università di Harvard ha
pubblicato il suo classico The Wisdom of the Body (La Saggezza del Corpo,
N.d.T.). Il Dr. Cannon descrisse come il corpo mantenesse il suo stato di salute fisiologica – dal greco, hael, che significa “integrità” – attraverso un processo da lui definito “omeostasi”. Secondo Cannon, la capacità del corpo di
mantenere la sua integrità omeostatica, richiede che i processi di feedback in
tutto il corpo siano connessi tra di loro e che l’informazione che percorre
questa rete di feedback sia fluida ed accurata.
Ad esempio, se connettete un termostato ad una caldaia di modo che in
qualsiasi momento la temperatura all’interno della vostra stanza raggiunga un
livello più basso di quello che avete impostato sul termostato, il segnale dal
termostato accende la caldaia e viceversa, e la temperatura nella stanza si
manterrà costante. Il termostato fornisce il feedback; il risultato è l’omeostasi
tra voi e la vostra stanza.
Tutto questo funzionamento avviene in virtù delle giuste connessioni
all’interno del sistema. Se disconnettete il feedback, la temperatura non si
manterrà costante. Questa, in poche parole, è l’idea alla base della connessione di feedback.
Quando ero un giovane ricercatore nel Dipartimento di Psicologia e Relazioni Sociali ad Harvard, elaborai il pensiero che condusse alla scoperta che
le connessioni di feedback sono di fondamentale importanza, non solo per la
salute e l’integrità fisiologica, ma per la salute e l’integrità a tutti i livelli in
natura. La connessione di feedback è fondamentale per l’integrità, che sia
energetica, fisica, emozionale, mentale, sociale, globale ed anche astrofisica.
Pensai che “la saggezza del corpo” di Cannon potesse riflettere un principio più ampio, universale. L’ho chiamato “la saggezza di un sistema” o più
semplicemente, “la saggezza della connessione”.
Quando le cose sono connesse, siano esse:
1. l’ossigeno connesso all’idrogeno attraverso legami chimici nell’acqua;
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2. il cervello connesso agli organi fisiologici attraverso meccanismi neurali, ormonali o elettromagnetici all’interno del corpo;
3. il sole connesso alla terra attraverso la forza di gravità e le influenze
elettromagnetiche all’interno del sistema solare...
... e le informazioni e l’energia circolano liberamente, ogni sistema ha la
capacità di essere in salute, di rimanere integro e di evolvere.
Quando ero professore di psicologia e psichiatria a Yale, tra la metà degli
anni ’70 fino alla fine degli anni ’80, pubblicai saggi scientifici che applicavano questo principio di connessione universale, non solo all’integrità e alla
guarigione mente-corpo, ma all’integrità e alla guarigione a tutti i livelli in
natura (Schwartz, 1977; 1984). Assieme ai miei colleghi proponemmo l’esistenza di cinque fasi principali per ottenere integrità e guarigione: attenzione,
connessione, autoregolamentazione, ordine e facilità.
Prima fase: attenzione volontaria. È semplice quanto sentire il vostro corpo e
l’energia che fluisce all’interno del corpo tra voi e l’ambiente che vi circonda.
Seconda fase: l’attenzione crea connessione. Quando permettete alla vostra
mente, coscientemente o meno, di sentire l’energia e le informazioni, questo processo promuove le connessioni non solo all’interno del vostro corpo,
ma tra il vostro corpo e l’ambiente circostante.
Terza fase: la connessione promuove l’autoregolamentazione. Come una
squadra di atleti o un gruppo di musicisti che assieme raggiungono livelli
elevati nello sport o nel jazz, le connessioni dinamiche tra i giocatori permettono alla squadra di organizzarsi e auto-controllarsi (“autoregolamentazione”), guidati dall’allenatore e dal direttore d’orchestra.
Quarta fase: l’autoregolamentazione promuove l’ordine. Quello che vivete
come integrità, successo o anche bellezza, riflette un processo organizzativo
reso possibile dalle connessioni che permettono l’autoregolamentazione.
Quinta fase: l’ordine è espresso con facilità. Quando tutto è connesso correttamente e le parti (i giocatori) possono svolgere i rispettivi ruoli, il processo
di autoregolamentazione può verificarsi senza sforzi. Il processo fluisce.
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È vero anche il contrario. Ci sono cinque fasi principali per raggiungere la
disintegrazione e la malattia: disattenzione, disconnessione, s-regolamentazione, disordine e malattia.
La mancanza di attenzione al vostro corpo (prima fase) comporta una disconnessione all’interno del vostro corpo, fra il vostro corpo e l’ambiente
circostante (seconda fase), promuovendo la s-regolamentazione nel corpo
(terza fase), che verrebbe riflessa nel disordine nel sistema (quarta fase), e
vissuta come malattia (quinta fase).
In poche parole, la connessione porta all’ordine e alla facilità, la disconnessione provoca disordine e malattia.
Leggendo l’opera del Dr. Pearl, troverete che queste fasi di connessione
esistono a tutti i livelli, da quello energetico, attraverso la connessione mentecorpo, a quello spirituale. La chiave per capire questo nuovo livello è nel
prefisso “ri”: ri-prestare attenzione, ri-connettere, ri-regolare, ri-ordinare la
guarigione.
Scoprire la Saggezza della Riconnessione
Nel musical Sunday in the Park with George (Domenica al Parco con George, N.d.T.) di Stephen Sondheim, sulla storia del pittore puntinista George
Seurat, la creazione della bellezza veniva descritta come un processo di connessione. Seurat era un maestro nell’organizzare e connettere puntini colorati,
creando belle immagini che ci stupiscono ancora oggi. Sondheim ci ricorda
dell’importanza di questo processo con le sue semplici parole: “Connetti, George, connetti”.
Durante la lettura del presente libro, parteciperete ad un viaggio di
guarigione connettiva. La vostra mente e il vostro cuore saranno ampliati e uniti come il Dr. Pearl connette i puntini della sua vita. Entrerete
nell’anima di un guaritore di talento che ha provato personalmente dubbi
e dolore alla scoperta del processo di riconnessione, e sarete testimoni del
profondo sollievo e della soddisfazione che provò nel vedere i suoi pazienti guarire.
Non è nostra intenzione insinuare che tutto ciò che è scritto in quest’opera
sia scientificamente riconosciuto. Tuttavia, neanche il Dr. Pearl, il quale condivide le sue esperienze, offre le sue conclusioni, lasciando che voi arriviate
alle vostre personali conclusioni, continuando il viaggio.
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Il Dr. Pearl è da lungo tempo impegnato nella medicina basata sull’evidenza dei fatti. Gli studi scientifici di base condotti nel nostro laboratorio sono
sorprendentemente coerenti con le sue previsioni, e futuri studi clinici sono in
programma. Come il nostro libro The Living Energy Universe (L’Universo
dell’Energia Vivente, N.d.T.) suggerisce, la saggezza per la guarigione può
essere tutta intorno a noi, nell’attesa di essere sfruttata così da servire ai suoi
scopi più elevati.
Vi auguriamo che possiate essere illuminati ed ispirati da questo libro come
lo siamo stati noi.
Dr. Gary E. R. Schwartz e Dr. Linda G. S. Russek
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Il Dr. Gary E. R. Schwartz è professore di psicologia, medicina, neurologia,
psichiatria e chirurgia ed è direttore del Laboratorio per i Sistemi di Energia
Umana presso l’Università dell’Arizona. È anche vicepresidente per la ricerca
e per l’educazione nella Fondazione Universo dell’Energia Vivente. Ha completato il suo dottorato in materie umanistiche presso l’Università di Harvard
nel 1971, ed è stato ricercatore in psicologia ad Harvard fino al 1976. È stato
professore di psicologia e psichiatria all’Università di Yale, direttore del Centro Psicofisiologico di Yale e co-direttore della Clinica della Medicina Comportamentale di Yale fino al 1988.
La Dr. Linda G. S. Russek è ricercatrice clinica di medicina e co-direttore
del Laboratorio per i Sistemi di Energia Umana presso l’Università dell’Arizona. È anche presidente della Fondazione Universo dell’Energia Vivente e
dirige la serie di conferenze Celebrare l’Anima Vivente (www.livingenergyuniverse.com).
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PREFAZIONE
“Tutti hanno uno scopo nella vita... un dono unico o un talento speciale da
dare agli altri. E quando usiamo questo talento unico per aiutare gli altri,
giungiamo all’estasi e all’esultanza del nostro spirito, che è l’obiettivo per
eccellenza di tutti gli obiettivi.”
Deepak Chopra
H
O RICEVUTO molti stupendi doni nella mia vita. Uno di
questi è la strabiliante capacità di guarire, dono che, lo vedrete leggendo queste pagine, non comprendo pienamente
(sebbene ci sia vicino). Un secondo dono è stato scoprire
che esistono veramente dei mondi al di fuori di questo. Un
terzo dono è l’opportunità che mi è stata data di scrivere questo libro e di
condividere con voi le informazioni che ho acquisito finora.
Quello che il primo dono ha di splendido è che, attraverso esso, capii che
avevo uno scopo nella mia vita e che ero stato benedetto non soltanto dal fatto
di essere in grado di riconoscere questo scopo, ma di viverlo attivamente e consapevolmente. Tra i doni della vita, questo è sinceramente uno dei più grandi.
Il secondo dono mi ha reso capace di riconoscere il mio vero Io, di capire
che sono un essere spirituale, e che la mia esperienza umana è solo questo: la
mia esperienza umana. È solo una delle esperienze della persona che sono. Ce
ne sono altre, come vedere il mio spirito presente in tutto ciò che faccio, e
come vederlo, e toccarlo, anche negli altri. È un dono stupendo, e sebbene lo
abbia avuto dentro me da sempre, non vi avevo fatto caso finora. Questo secondo dono mi ha dato la prospettiva del mio scopo.
Il terzo dono ha soffiato un nuovo elemento di vita nei primi due. Fino a
poco tempo fa, avevo condiviso il dono di guarire solo con pochi, una persona
alla volta. Pur amando quello che stavo facendo, sapevo che doveva essere
condiviso con più persone. Non gli stavo facendo un favore tenendomelo per
me... e non lo tenevo per me intenzionalmente. Lo vedevo come un dono (e lo
è), e quindi pensavo che non fosse possibile trasmetterlo ad altri, cosa che
invece è possibile.
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Esso è stato paziente con me. Sapeva che presto avrei riconosciuto il disegno più grande. Man mano che la sua capacità di trasportarsi in altri si manifestava, iniziai a tenere dei seminari in cui un gran numero di persone era in
grado di interagire con esso immediatamente. Scoprire che questo dono della
guarigione può essere attivato in altri attraverso la televisione è stato altrettanto entusiasmante. Per quanto riguarda la parola scritta, beh, questa sembra
conferire tutta una nuova dimensione al suo trasferimento. Quello che è avvincente nel comunicare attraverso la stampa e i mezzi di telecomunicazione
è che permette a molte più persone di vivere l’attivazione di questa capacità
di guarigione in loro stesse. Capii che era il momento di portare un cambiamento nella nostra comprensione; era giunto il momento che la razza umana
vedesse che, e non voglio sembrare eccessivamente religioso, ovunque vi siano due o più persone riunite, possano essere d’aiuto l’uno all’altro. Possiamo
facilitare la guarigione l’uno dell’altro. E oggi possiamo farlo a livelli prima
considerati irrangiungibili.
Capii che il mio dono non serviva solo per aiutare gli altri, ma per aiutare
gli altri ad aiutare altri. Questa consapevolezza mi ha dato un notevole mezzo
con cui iniziare a raggiungere il mio scopo.
Questo libro è a metà strada tra il manuale di istruzioni che nessuno mi ha
mai dato... ed un’attivazione perché possiate iniziare a modo vostro.
Se è vostra intenzione divenire guaritori, portare la vostra attuale capacità
di guaritori a livelli più elevati, o semplicemente toccare le stelle per sapere
che esistono per davvero, allora questo libro è stato scritto per voi.
Ma è stato scritto anche per me. È espressione del mio scopo nella vita, che
alla fine ho trovato. Forse dovrei dire che il mio scopo ha trovato me. Spero
aiuterà anche voi a trovare il vostro.
– Dr. Eric Pearl
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RINGRAZIAMENTI
VORREI RINGRAZIARE:
Sonny e Lois Pearl, i miei genitori, per avermi sostenuto in ogni modo.
Chad Edwards, la cui integrità, l’incessante energia e la profonda devozione
per la verità, hanno salvato questo libro.
Hobie Dodd, il cui straordinario amore, la fedeltà, l’amicizia e la fede, assieme
alla sua capacità di prendersi cura della mia vita privata e professionale, mi
hanno permesso di trovare il tempo di sedermi a scrivere questo libro.
Jill Kramer, la cui revisione ha trovato l’essenza del mio libro e ha permesso
che altri fossero in grado di fare lo stesso.
Robin Pearl-Smith, mia sorella, per aver curato il mio Sito Web, revisionato
incessantemente questo libro (assieme ai miei genitori, ad Hobie e a Chad
prima che fosse affidato a Jill), ed avermi aiutato a far sì che il mondo
comprendesse The Reconnection.
John Edward, per tutto il suo sostegno dietro le quinte.
Lorane, Harry e Cameron Gordon, i quali mi hanno aperto i loro cuori e mi
hanno dato una famiglia-lontano-dalla-famiglia e una casa-lontano-da-casa, aiutandomi ad essere tutto ciò che potevo essere.
Lee e Patti Carroll, la cui amicizia e fede mi hanno aiutato a sostenermi attraverso il processo di scrittura di questo libro.
John Altschul, il quale ha educatamente provato ad ignorare tutto questo, fino
a quando ha ottenuto la sua personale guarigione.
Aaron e Solomon, per la loro comprensione spirituale.
Fred Ponzlov, per aver dato se stesso e il suo tempo disinteressatamente.
Mary Kay Adams, per il suo costante sostegno e incoraggiamento.
Gary Schwartz e Linda Russek, per il loro tempo e l’energia investiti nella
ricerca e nella documentazione sulla Guarigione Riconnettiva, e per la
splendida Introduzione a questo libro.
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Dr ERIC PEARL - The Reconnection
Reid Tracy, per il modo in cui si è occupato di questo libro e per avermi trattato con gentilezza e rispetto.
Tutto lo staff della Hay House, inclusi Tonya, Jacqui, Jenny, Summer e Christy, per essere stati presenti e aver collaborato magnificamente in qualsiasi
momento siano stati chiamati.
Susan Shoemaker, la quale ha preparato innumerevoli tazze di tè mentre mi
leggeva tutto il libro ad alta voce, per ben due volte!
Joel Carpenter, che mi ha accolto in casa sua e si è sempre assicurato che
smettessi di scrivere almeno per mangiare.
Steven Wolfe, per essere un elemento basilare e stabilizzatore nella mia vita.
Craig Pearl, mio fratello, per non aver riso.
E Dio, l’Unico in questo libro
al quale non importa come scrivo il Suo nome.
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parte I
Il dono
“Per quanto tempo ancora lascerai dormire la tua energia? Per quanto tempo ancora sarai consapevole della tua immensità?”
Bhagwan Shree Rajneesh Una Tazza di Tè
Capitolo 1
Primi passi
“Esistono solo due modi per vivere la vita. Il primo è come se niente fosse un miracolo.
Il secondo è come se tutto fosse un miracolo.”
Albert Einstein
Il miracolo di Gary
“C
ome avrà fatto questa persona a salire le scale?” pensai, guardando attraverso la finestra accanto all’entrata del mio studio. Il mio nuovo paziente stava arrivando in cima alla rampa di scale. Si muoveva a piccoli
balzi intervallati da pause, durante le quali guardava
quello che sarebbe stato il passo successivo, preparandosi allo sforzo. Per una
volta in più mi domandai se quella di iniziare un’attività di chiropratico al
secondo piano di un edificio senza ascensore fosse stata la migliore fra le
scelte. Non era come aprire un’officina per la riparazione di freni al termine
di una discesa impervia?
Non avevo molte possibilità quando iniziai la mia pratica nel 1981 e, come
pareva, adesso ne avevo ancora meno... nonostante i motivi fossero diversi.
Nell'arco di dodici anni, la mia pratica di chiropratico si era sviluppata a tal
punto da diventare una delle principali in tutta Los Angeles. Come facevo a
trasferirmi?
Decisi di non uscire per aiutare questo uomo a salire gli ultimi due gradini.
Non volevo diminuire in nessun modo la sua imminente soddisfazione per il
compimento di un compito così arduo. Vedevo chiaramente nel suo volto la
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determinazione risoluta di un alpinista che si appresta a compiere gli ultimi
passi, prima di giungere sulla sommità del monte Everest. Quando raggiunse
il pianerottolo, non potei fare a meno di ricordare l’impavida arrampicata
lungo il campanile del Gobbo di Notre Dame.
Diedi un’occhiata ai miei appunti, che mi rivelarono il nome della persona:
Gary. Si era rivolto a me a causa del suo cronico dolore alla schiena. La cosa
non mi sorprendeva affatto. Nonostante fosse giovane e in salute, aveva una
postura contorta, che diveniva evidente nel momento in cui la sua figura si
presentava davanti agli occhi. La sua gamba destra era più corta della sinistra
di diversi centimetri, e nella parte destra il bacino era molto più alto. A causa
di questa difformità, zoppicava in maniera vistosa, spostando la parte destra
del bacino all’infuori ad ogni passo, spingendo il corpo in avanti per compensare. Il piede destro era piegato verso l’interno e poggiava sopra il sinistro,
così che le sue due gambe agivano come una sola grossa gamba, bilanciando
il peso della parte più alta del corpo. Per mantenere l’equilibrio, poi, la schiena si doveva inclinare davanti di circa trenta gradi, come se si preparasse a
tuffarsi in piscina. La postura e l’andatura avevano intensificato i problemi
alla schiena fin dall’infanzia.
Gary mi raccontò la sua storia; fin dalla sua nascita era come se la sua vita
fosse stata tutta in salita. Il medico aveva tagliato troppo presto il cordone
ombelicale, interrompendo così la fornitura di ossigeno al suo piccolo cervello. Nel momento in cui i polmoni cominciarono a funzionare, il danno era
ormai fatto, il cervello era stato danneggiato in un modo tale, che la parte
destra del corpo non riusciva più a crescere in modo simmetrico. Già a quattordici anni Gary aveva consultato più di venti medici nel tentativo di porre
un rimedio alla sua condizione. Per aiutarlo a migliorare la sua postura gli fu
allungato il tendine d’Achille sul calcagno destro. Non funzionò. Gli furono
date scarpe ortopediche e stampelle: nessun miglioramento. Quando gli spasmi di dolore che piegavano la sua gamba destra diventarono troppo intensi,
a Gary furono prescritti dei forti antidolorifici. Gli spasmi sembravano alimentati dalle cure, che non facevano altro che indebolirlo e disorientarlo.
Finalmente, si recò nello studio di un famoso e stimato professionista. Se
c’era una persona che poteva aiutarlo, Gary era sicuro che si trattasse proprio
di lui.
Dopo un’esame molto dettagliato il medico si sedette, lo guardò dritto negli occhi e disse che non c’era niente che si potesse fare. Egli disse che Gary
avrebbe avuto sempre problemi con la schiena e aggiunse anche che i suoi
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problemi sarebbero aumentati con gli anni, perché il suo scheletro avrebbe
continuato a deteriorarsi costringendolo su una sedia a rotelle. Gary fissò il
medico.
Egli aveva riposto tutte le sue speranze e le aspettative in questo professionista, e lasciò il suo studio sentendosi più a terra che mai. Fu quel giorno, per
dirla con parole sue, che “mentalmente depennò tutto l’ambiente medico”.
Passarono tredici anni. Mentre era al lavoro con una sua amica, disse che
il suo mal di schiena in quel periodo era più doloroso del solito. Curiosamente, quella donna era stata una mia paziente due anni prima, in seguito ad un
serio incidente di motocicletta. Fu lei a parlare a Gary di me.
Ora quella donna era qui.
Assorbito nella sua storia, alzai gli occhi sopra gli appunti e gli chiesi: “Sai
cosa succede qui?”
Gary mi guardò, in un certo senso sorpreso dalla domanda. “Sei un chiropratico, non è vero?”
Feci cenno di sì, decidendo consciamente di non dire altro. Nell’aria c’era
una sensazione di aspettativa. Ero l’unico a sentirla?
Portai Gary in un’altra stanza, lo misi sul tavolo e trattai il suo collo. Gli
dissi di tornare dopo quarantotto ore e gli dissi anche che la prima visita era
terminata.
Due giorni dopo, Gary tornò.
Come avevo fatto prima, lo misi sul tavolo in pochi secondi. Questa volta
gli chiesi di rilassarsi e di chiudere gli occhi e di non aprirli fin quando non
glielo avessi detto. Portai entrambe le mani trenta centimetri sopra il suo torace, con i palmi in basso, notando le varie ed ancora inusuali sensazioni,
mentre spostavo le mani verso la sua testa. Inclinai i palmi, portando entrambe le mani in prossimità delle tempie. Mentre le tenevo lì, vidi gli occhi di
Gary muoversi avanti, indietro e ai lati, con un’intensità che indicava chiaramente che era tutto tranne che addormentato.
Portai istintivamente le mani vicino ai piedi. Posi le mani di fronte alle
piante. Era come se le mie mani fossero sospese da una struttura di supporto invisibile. A causa del suo difetto di nascita, la gamba destra di Gary rimaneva ruotata verso l’interno anche quando era supino. Mentre guardavo
le piante dei piedi coperte dai calzini, non avevo la benché minima idea di
cosa avrei visto. Fu come se i suoi piedi fossero vivi; non vivi come lo sono
tutti i piedi, ma come se fossero diventati due distinte unità viventi, l’una
diversa dall’altra, e chiaramente non era Gary. Affascinato dallo spettacolo,
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osservai il movimento dei piedi. In ognuno di essi sembrava essere presente
una forma di coscienza indipendente.
Improvvisamente, il piede destro di Gary cominciò a muoversi come se
stesse “spingendo” leggermente il pedale dell’acceleratore. Mentre continuava a “spingere”, si aggiunse un secondo movimento: una rotazione verso
l’esterno che portò il piede destro dalla sua posizione originaria di riposo sopra quello sinistro, a una posizione con le dita dirette verso il soffitto proprio
come quelle del piede sinistro. Incapace di capire se stessi ancora respirando,
osservai in silenzio, mentre gli occhi di Gary continuavano a muoversi ritmicamente come l’asta di un metronomo. Il suo piede, che stava ancora puntando, ruotò all’indietro e tornò nella posizione originaria. Lo schema si ripeté.
Verso l’esterno, verso l’interno, verso l’esterno. Poi sembrò fermarsi. Rimasi
in attesa. E ancora in attesa. E ancora. Non sembrava accadere più niente.
Mi mossi lungo il tavolo fino a stare alla destra di Gary. Nonostante non
fosse mia abitudine toccare il corpo di una persona quando facevo interventi
di questo tipo, mi trovai obbligato a poggiare gentilmente le mani sulla parte
destra del bacino, la mano destra sopra quella sinistra, anche se non direttamente una sopra l’altra. Guardai giù verso i piedi di Gary. Ancora una volta il
piede destro cominciò a muoversi, prima nell’atto di spingere il pedale e poi
in quello rotatorio. Verso l’esterno. Verso l’interno. Verso l’esterno.
Attesi. Attesi ancora. Non sembrava accadere più niente.
Tolsi le mani dal bacino di Gary e con due dita picchettai gentilmente sul
suo torace. “Gary? Credo che abbiamo finito”.
Gli occhi di Gary si muovevano da una parte all’altra, anche se vedevo che
cercava di aprirli. Più o meno trenta secondi più tardi, quando si aprirono,
Gary apparve leggermente frastornato. “Il piede si muoveva” mi disse, come
se non l’avessi visto. “Riuscivo a sentirlo, ma non riuscivo a fermarlo. Sentivo molto calore dentro di me, poi ho sentito una sorta di energia che si formava nel mio polpaccio destro. Quindi... penserà che sia una cosa pazzesca, ma
era come se delle mani invisibili ruotassero il mio piede, anche se non sembravano veramente delle mani.”
“Ora si può alzare” gli dissi, facendo del mio meglio per non apparire sorpreso e allo stesso tempo cercando dentro di me di comprendere cosa fosse
accaduto. Gary si alzò e per la prima volta in ventisei anni rivelò la sua altezza: un metro e ottanta. E due gambe completamente indipendenti.
Lo guardai con stupore e pieno di gratitudine: la spina dorsale era diritta ed il
suo bacino bilanciato. La sua espressione cominciò a riflettere la comprensione
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di ciò che era appena accaduto. Fece un paio di passi di prova e gli dissi che
rimaneva ancora un po’ della sua zoppia, ma niente di lontanamente paragonabile all’andatura precedente.
Gary lasciò lo studio con un grandissimo sorriso stampato sulla sua faccia,
e io lo vidi scendere con grazia la rampa di scale.
Segnali
Da quel giorno, l’energia aveva chiaramente raggiunto un nuovo livello.
Perché? Non saprei dirlo. Era semplicemente saltata ad un nuovo livello; a
volte lo faceva ogni settimana, a volte nel giro di pochi giorni, a volte addirittura più volte nell’arco della stessa giornata. Anche allora sapevo che nonostante l’energia venisse attraverso me, non ero io a crearla o a direzionarla.
Era qualcun altro a farlo, qualcuno molto più potente di me. Nonostante mi
fossi documentato molto, ciò che mi stava succedendo non poteva esser fatto
rientrare in nessuna delle “energie di guarigione” che avevo letto nei libri.
Questa era molto più che semplice “energia”. Era qualcosa che portava con sé
una vita ed un’intelligenza che andava oltre le tante “tecniche” descritte nei
milioni di libri pubblicati durante la New Age. Era qualcosa di diverso. Era
qualcosa di estremamente reale.
Ciò che era accaduto quel pomeriggio con Gary non solo aveva cambiato
la sua vita, ma avrebbe cambiato anche la mia. Non che Gary fosse l’unico
paziente con il quale avevo lavorato usando questo metodo, cioè muovendo
le mani sopra il corpo. Era una cosa che facevo da oltre un anno. Non era
neanche l’unico paziente ad aver ricevuto una guarigione rimarchevole. Egli
però rappresentava il caso più estremo, il paziente che aveva mostrato la disabilità più severa e che era uscito dal mio studio con i maggiori benefici.
Almeno due dozzine dei migliori medici di tutta la nazione non erano stati
capaci di correggere o anche solo migliorare l’andatura, la postura e la rotazione del bacino e della gamba di Gary; ciò nonostante i suoi difetti ed il dolore erano spariti. In pochissimi minuti. Scomparsi.
Mi chiesi ancora una volta perché questa energia avesse scelto di apparire
attraverso me. Voglio dire, se anche fossi stato seduto su una nuvola alla ricerca della persona giusta su tutta la faccia della terra alla quale passare uno dei
più rari e ricercati doni dell’intero universo, non so se avrei attraversato l’etere, puntando l’indice e dicendo: “È lui! È lui. Date a lui questo dono.”
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Forse non era accaduto in questo modo, ma era così che a me sembrava.
Non avevo certo passato la mia vita in cima a una montagna in Tibet a
contemplare il mio ombelico mangiando ciotole di fango con le bacchette.
Avevo passato dodici lunghi anni a fare il mio lavoro, avevo tre case, una
Mercedes, due cani e due gatti. Ero un uomo che a volte faceva degli stravizi,
guardavo più televisione io di quanto non lo facesse un ragazzo di dodici anni
e facevo tutto ciò che “credevo” dovesse esser fatto. Avevo anche la mia bella dose di problemi, e in effetti, poco prima che queste circostanze bizzarre si
manifestassero avevano raggiunto il livello di guardia, ma in generale la mia
vita sembrava svolgersi secondo i piani.
Ma i piani di chi? Questa era la domanda che mi facevo. Perché quando
guardavo indietro, vedevo che erano stati messi certi segnali lungo la strada
della mia vita: strani avvenimenti, coincidenze ed eventi che, anche se uno ad
uno non significavano molto, presi tutti insieme e con il senno di poi sembravano dirmi che non mi trovavo realmente sulla strada che pensavo di aver
scelto per me.
Dove si trovava il primo segnale? Quanto indietro dovevo tornare? Se
l’aveste chiesto a mia madre, avrebbe risposto che dovevo guardare al giorno
che lasciai il suo grembo. La mia nascita era stata, con parole sue, “inusuale”.
Naturalmente molte madri ricordano il loro primo parto come qualcosa di
speciale e unico. Ma non è esattamente la stessa cosa. Alcune donne affrontano travagli lunghi interi giorni, altre danno alla luce i loro figli nella foresta o
sul sedile posteriore di un taxi. Mia madre? Morì mentre mi dava alla luce.
Ma non fu la morte a turbarla. Ciò che la turbò fu dover tornare a vivere.

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Capitolo 2
Lezioni dalla vita
dopo la morte
“C’è una ragione logica per tutto ciò che accade in questo
mondo e oltre, ed ha perfettamente senso. Un giorno,
comprenderai il proposito divino del piano di Dio.”
Lois Pearl
L’Ospedale
Q
“
uando nascerà questo bambino?”, diceva mia madre in
preda all’agonia. In sala travaglio, Lois Pearl, mia madre, aveva fatto gli esercizi di respirazione e aveva cominciato a spingere, spingere... ma non succedeva niente. Nossignore. Nessuna dilatazione. Solo dolore e
ancora dolore, mentre la dottoressa tornava a controllarla tra un parto e l’altro.
Cercò di non gridare; era determinata a non dare spettacolo. Dopo tutto, si
trattava di un ospedale. C’erano persone malate.
Eppure, quando la dottoressa tornò nuovamente, mia madre la guardò e,
con gli occhi pieni di lacrime, domandò: “Finirà mai tutto ciò?”
Preoccupata, la dottoressa mise una mano sull’addome di mia madre per
vedere se io avessi “mollato” abbastanza per poter esser tirato fuori. L’espressione del suo volto dimostrò che non era convinta. Ma considerato il dolore
lancinante di mia madre, si voltò verso l’infermiera e con riluttanza disse:
“Portatela dentro!” Fu messa su un lettino e trasportata in sala parto. Mentre
il medico continuava a premere sul suo addome, mia madre notò che la stanza
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si era riempita delle urla di una persona. Dio mio, pensò mia madre, questa
donna si sta coprendo di ridicolo! Si rese poi conto che, a parte il personale,
lei era l’unica persona in quella stanza; ciò significava che le urla erano le sue.
Stava dando spettacolo. Tutto ciò la infastidì molto.
“Quando finirà?”
La dottoressa la guardò in modo rassicurante e le fece assumere un pò di
etere. Fu come mettere un cerotto su un arto ferito.
“La stiamo perdendo...”
Mia madre riusciva a malapena a sentire la voce sopra il rombo dei motori,
degli enormi motori, come quelli di una fabbrica, non certo di un ospedale.
Quel suono, accompagnato da un prurito, aveva cominciato a formarsi attorno
alle piante dei piedi. Cominciò poi a salire lungo il corpo come se i motori si
stessero muovendo in alto ed il rumore diventasse sempre più intenso, eliminando completamente le sensazioni di una parte del corpo prima di spostarsi
a quella successiva. Le rimaneva solo un senso di stordimento.
Sopra il suono dei motori, il dolore del travaglio persisteva.
Mia madre sapeva che si sarebbe ricordata quel dolore per tutta la vita. La
sua ostetrica pensava che le donne dovessero vivere appieno “la totale esperienza” del parto. In due parole, niente antidolorifici. Neanche durante il parto, eccezione fatta per le poche boccate di etere quando le contrazioni raggiungevano il picco doloroso.
Stranamente, nessuno dei medici o degli infermieri appariva distratto.
C’era quest’enorme rumore e nessuno nella sala parto sembrava sentirlo. Mia
madre si chiedeva: “Come può essere?”
I motori quindi e lo stordimento conseguente, avrebbero dovuto essere un
sollievo. Ma quando i motori raggiunsero l’altezza della vita, mia madre fu
colpita da ciò che sapeva sarebbe successo quando fossero arrivati al cuore.
La stiamo perdendo...
No! Fu invasa da un senso di resistenza. Dolore o non dolore, non voleva
morire: immaginava le persone che amava distrutte dal dolore. Ma per quanto
lottasse, i motori non invertivano la direzione. Procedevano in alto, stordendola sempre di più, annullando la sua esistenza. Non riusciva a fermarli.
Quando capì, successe qualcosa di strano. Nonostante non volesse morire,
improvvisamente piombò su di lei un senso di pace.
La stiamo perdendo...
I motori raggiunsero lo sterno. Il loro rombo riempì la sua testa.
Poi cominciò ad ascendere...
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Il Viaggio
Non era il corpo di mia madre a vagare nell’aria. Era ciò che lei poteva
chiamare soltanto la sua anima. Veniva portata in alto, verso qualcosa. Non si
guardò indietro. Non più cosciente dell’ambiente fisico, sapeva di aver lasciato la sala parto ed i motori. Continuava ad elevarsi, a muoversi verso l’alto.
Nonostante non avesse una diretta conoscenza della vita dopo la morte o di
qualsiasi cosa di tipo “spirituale”, ciò non sembrava costituire un ostacolo.
Non è necessario un background spirituale per riconoscere quando la vostra
essenza fondamentale lascia il vostro corpo e comincia a salire. Può esserci
soltanto una spiegazione.
L’ultima memoria di mia madre dal tavolo del parto fu che, nonostante
stesse lasciando dietro di lei tutto ciò che le era familiare, non le importava.
Tutto ciò inizialmente la sorprese. Nel momento in cui smise di combattere e
“si lasciò andare” cominciò il suo viaggio. Per prima cosa ci fu una sensazione di pace totale, di tranquillità e di assenza di qualsiasi tipo di responsabilità
terrena. Nessuna preoccupazione della vita quotidiana la tormentava più. Nessuna scadenza da rispettare, nessun obbligo di tipo mondano, nessuna aspettativa, nessun limite da stabilire. Nessuna paura dell’ignoto. Una dopo l’altra,
tutte queste cose scomparvero... e fu un grande sollievo. Che grande sollievo!
Mentre tutto ciò accadeva, la sensazione di leggerezza entrò dentro di lei e
divenne cosciente del fatto che stava fluttuando. Si sentiva così leggera con la
scomparsa di tutte le responsabilità terrene, da ascendere ad un altro livello.
Fu così che cominciò l’ascesa di mia madre, che si interrompeva soltanto per
acquisire la conoscenza necessaria per procedere oltre.
Passò più livelli in successione, non ricordava un “tunnel” preciso, come
racconta la maggior parte delle persone che hanno avuto simili esperienze. Ciò
che ricorda è che lungo la strada incontrò “altri”. Questi altri erano più che semplici “persone”. Erano “esseri”, “spiriti”, “anime” di tutti coloro il cui periodo
su questa terra era appena giunto al termine. Queste “anime” parlavano con lei,
anche se parlare non sembra essere la parola giusta. La comunicazione era di
tipo non verbale, una sorta di trasferimento del pensiero che non lasciava nessun
tipo di dubbio su ciò che veniva espresso. Lì non esistono i dubbi.
Mia madre apprese che il linguaggio verbale, come noi lo conosciamo,
non aiuta la comunicazione, ma rappresenta un ostacolo. È uno degli ostacoli che ci vengono dati come parte della nostra esperienza di apprendimento sulla Terra. È anche parte di ciò che ci mantiene nell’ambito limitato di
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comprensione nel quale ci troviamo, al fine di acquisire la padronanza delle
nostre altre lezioni.
L’anima, “l’essenza” di una persona, è l’unica cosa che sopravvive e che
conta, capì mia madre. Le anime mostrano chiaramente la loro natura. Non
c’erano volti, corpi e niente dietro cui nascondersi e ciò nonostante era in
grado di riconoscere ogni essere per ciò che veramente era. La loro facciata
fisica non era più parte di loro. Veniva lasciata come un ricordo del ruolo interpretato nelle vite delle persone amate, da custodire gelosamente nei ricordi
delle loro esistenze. Questo testamento della verità dei loro vecchi esseri fisici è tutto ciò che resta sulla terra. La loro vera essenza trascende.
Mia madre capì quanto poco importante fosse il nostro aspetto esteriore, e
quanto sia basso il nostro attaccamento a questi valori. La lezione da imparare a quel livello era quella di non giudicare le persone dalla loro apparenza,
razza e colore, né sulla base del loro credo o del livello di istruzione. Deve
essere scoperto ciò che le persone realmente sono, per vedere ciò che è dentro
di loro, oltre l’aspetto esteriore, per ammirare la loro vera identità. Nonostante questa fosse una lezione che già conosceva qui, l’illuminazione appena
acquistata era infinitamente più intricata e infinitamente più espansiva.
Era impossibile giudicare il passare del tempo. Mia madre sapeva di essere stata lì abbastanza a lungo per salire su tutti i livelli. Sapeva anche che ogni
livello insegnava una diversa lezione.
Il primo livello era quello delle anime dirette sulla terra, quelle ancora non
pronte ad andarsene. Sono quelle alle quali è difficile separarsi dai propri familiari. Sono solitamente spiriti che sentono di non avere completato determinate cose. Possono aver lasciato dietro di sé persone malate o affette da handicaps, la cui cura era totalmente affidata loro (e che non vogliono abbandonare).
Queste anime rimangono su questo livello fino a quando non sono in grado di
liberarsi dei loro legami terreni. Sono su questo livello anche quelle anime che
hanno subito una morte improvvisa e violenta, che non ha dato loro tempo di
capire perché sono morte ed il processo attraverso il quale dovranno passare
per ascendere. In un modo o nell’altro, sentono ancora forti legami con il
mondo dei vivi e non sono pronte ad andarsene. Fin quando non capiscono di
non essere più in grado di operare su quel piano, di non appartenere più a quei
luoghi e di non essere più di quella dimensione, resteranno al primo livello, il
più vicino alla loro vita passata.
I ricordi di mia madre del secondo livello sembrano essere validi, ma quelli del terzo sono estremamente dettagliati.
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Arrivata al terzo livello, ricorda di aver provato una sensazione di pesantezza. Si sentì molto triste quando capì di trovarsi al livello delle persone che
si sono tolte la vita. Queste anime si trovano nel limbo. Sembrano isolate,
incapaci di muoversi in alto o in basso. Non hanno direzione. La loro presenza è di una qualità inutile. Sarà loro concesso di salire per completare la loro
lezione ed evolvere nel loro sviluppo? Non riusciva a capire se sarebbe stato
così. Forse sarebbe occorso più tempo, ma questa è una pura speculazione. Era
una risposta che mia madre non riusciva ad avere. Qualunque fosse la causa,
queste anime non erano in stato di quiete, e stare a questo livello non era una
cosa piacevole, non solo per chi si trovava lì, ma anche per quelli che passavano. La lezione di questo livello era indelebile e chiara: togliersi la vita interrompe i piani di Dio.
Ulteriori lezioni
Mia madre fu in grado di riportare altre lezioni sulla terra. Le fu mostrata
l’inutilità di piangere i morti. Se c’è un’esperienza spiacevole per gli spiriti, è
quella di vedere il dolore provato dalle persone che restano. Vogliono che noi
gioiamo della loro morte, che accompagnamo con “squilli di trombe” il loro
ritorno a casa, perché quando moriamo siamo dove vogliamo essere. Il nostro
dolore è per la perdita dello spazio occupato da quella persona nelle nostre
vite. La loro esistenza, che sia stata bella o meno, era parte del nostro processo di apprendimento. Quando queste persone muoiono, perdiamo la “fonte”
dalla quale deriva quella lezione. C’è da sperare soltanto di avere imparato ciò
che dovevamo imparare o che, riflettendo sulla loro vita e sul modo con il
quale essa ha interagito con la nostra, saremo in grado di farlo in un secondo
momento. Mia madre sapeva che il passaggio del tempo, dal momento in cui
abbandoniamo il cielo e scendiamo sulla terra, fino a quello del ritorno, nella
nostra coscienza eterna equivale ad uno schiocco di dita e che siamo tutti
“provvisori”. È allora che capiamo che così deve essere.
Le fu anche mostrato che non importa quanto ingiuste e terribili siano le
cose che accadono alle persone sulla Terra: non è colpa di Dio. Quando
vengono uccisi dei bambini innocenti o delle brave persone muoiono dopo
una lunga malattia, quando una persona viene ferita o sfregiata, niente di
tutto questo ha a che fare con la responsabilità o la colpa. Sono lezioni che
noi dobbiamo imparare, quelle nel nostro piano divino. Sono lezioni che ci
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vengono impartite per la nostra evoluzione, sia per chi dà che per chi riceve.
In un quadro più ampio, questi avvenimenti avvengono sotto la direzione e il
controllo della persona che le vive. L’azione, o ciò che ne risulta, è semplicemente la nostra orchestrazione degli eventi. Comprendendo tutto ciò, le fu chiaro che
non è appropriato chiedersi come possa Dio permettere che certe cose accadano
o, sulla base di questi eventi, chiedersi se Dio esista o meno. Mia madre adesso
capiva che c’era una spiegazione perfettamente logica per tutto questo. Ed era
così perfetta che si domandava perché non l’avesse capita prima. Guardando
l’intero quadro, capì che ogni cosa, ogni cosa, è come dovrebbe essere.
Mia madre capì anche che la guerra è uno stato temporaneo di barbarie, un
modo inetto ed ignorante di chiarire le differenze e che, ad un certo punto, non
esisterà più. Queste anime reputano la dipendenza dell’umanità dalla guerra
non solo primitiva, ma addirittura ridicola: giovani uomini che vengono inviati su campi di battaglia per conquistare un pezzo di terra. Un giorno, il genere
umano esaminerà nuovamente l’intero concetto e si chiederà il perché. Quando esisteranno molte anime evolute dotate di ampia intelligenza per risolvere
i problemi, tutte le guerre scompariranno.
Mia madre scoprì anche perché le persone che in apparenza avevano fatto
“cose terribili” durante la loro vita venissero ricevute senza alcun giudizio. Le
loro azioni erano diventate lezioni dalle quali dovevano imparare, per diventare esseri più perfetti. Devono evolversi partendo dalle loro scelte. Naturalmente, ciò significa che queste anime dovranno necessariamente far ritorno
sulla Terra fin quando non avranno assorbito la conoscenza derivante da quelle che sono state le conseguenze del loro comportamento. Passeranno attraverso questo ciclo di nascita e rinascita per tutto il tempo che sarà loro necessario ad evolversi e alla fine torneranno a Casa.

Una volta completate le lezioni, mia madre ascese al livello più alto. Una
volta giunta, smise di salire e cominciò a scivolare in avanti senza nessuno
sforzo, trascinata secondo un preciso progetto da una certa forza. Le forme e
i colori più belli le scorrevano accanto. Erano simili a paesaggi, tranne il fatto
che... non c’era terra. In qualche modo sapeva che erano fiori ed alberi e che
non c’era niente di simile sulla terra. Queste forme e colori indescrivibili non
presenti nel mondo che aveva appena lasciato, la riempivano di meraviglia.
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Gradualmente, mia madre divenne consapevole che stava procedendo sopra una specie di strada, un sentiero fiancheggiato da anime conosciute: quelle di amici, parenti e persone che conosceva da molte vite. Erano lì per darle
il benvenuto, guidarla e farle sapere che andava tutto bene. Era una sensazione indescrivibile di pace e tranquillità.
Alla fine di quella strada, mia madre vide una luce. Era come quella del sole,
così luminosa da temere che le avrebbe bruciato gli occhi. La sua bellezza era
indescrivibile. Non riusciva a guardare da nessun’altra parte. Stranamente, pur
avvicinandosi, non provò dolore agli occhi. Quella grande lucentezza le sembrava familiare, in un certo modo confortevole. Si trovò circondata dalla sua
corona e sapeva che quella luce era qualcosa di molto più di un raggio: era il
nucleo dell’Essere Supremo. Aveva raggiunto il livello della Luce che tutto
conosce, tutto arde, tutto accetta e tutto ama. Mia madre sapeva di essere finalmente a Casa. Il luogo al quale apparteneva. Quello da dove era venuta.
A quel punto, la Luce comunicò con lei senza usare parole. Con un paio di
pensieri le fornì così tante informazioni che da sole sarebbero bastate a riempire diversi volumi. La sua vita, questa vita, si dispiegò davanti a lei in una
sequenza di immagini. Era una cosa meravigliosa da vedersi: praticamente
tutto ciò che aveva fatto e detto le veniva mostrato. Riusciva a sentire la gioia
o il dolore che aveva dato agli altri. Attraverso questo processo ricevette la sua
lezione senza nessun giudizio. Nonostante non ci fosse alcun giudizio, sapeva
che era stata una buona vita.
Dopo un po’ le fu detto che sarebbe stata rimandata sulla Terra. Ma lei non
voleva tornare. La cosa era curiosa: nonostante avesse così tanto lottato per
non lasciare quel mondo, adesso non voleva farvi ritorno. Era circondata da
così tanta pace, dalla nuova comprensione e dai suoi vecchi amici. Voleva
rimanere lì per tutta l’eternità. Come si poteva solo pensare che volesse tornare indietro?
A queste domande silenziose, le venne risposto che ancora non aveva terminato il suo compito sulla terra; doveva fare ritorno per crescere suo figlio.
Il motivo per il quale era stata chiamata era per acquisire degli speciali consigli su come farlo!
All’improvviso mia madre si sentì spingere all’esterno del nucleo della
Luce, lungo il sentiero che aveva precedentemente percorso. Solo che adesso
stava andando nella direzione opposta, ben consapevole che stava facendo
ritorno sulla terra. Lasciare quelle anime così tanto familiari, quel colore,
quelle forme, la Luce stessa, la rattristò profondamente.
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Mentre si allontanava dalla Luce, la sua conoscenza cominciò a spegnersi.
Sapeva di essere stata programmata per dimenticare; non doveva ricordare.
Cercò disperatamente di aggrapparsi a quello che rimaneva, ben consapevole
che non si trattava di un sogno. Fece il possibile per conservare i ricordi e le
impressioni, molte delle quali se ne erano già andate; percepì un vuoto terribile. Tuttavia provava una grande pace interiore insieme alla consapevolezza
che quando sarebbe venuto il momento di ritornare a Casa sarebbe stata accolta con amore. Sapeva che almeno questa cosa l’avrebbe ricordata. La morte non le faceva più paura.
In quel momento, mia madre sentì il suono distante dei motori. Questa volta iniziavano dalla testa e attraversavano il suo corpo diretti verso il basso. Al
di là del rombo cominciò a sentire voci umane e poi il battito del suo cuore.
Quasi tutto il dolore era scomparso.
I motori si muovevano sempre più in basso e il loro rombo diminuiva progressivamente d’intensità, fino a scomparire, lasciando il posto ad un leggero
formicolio alle piante dei piedi. Poi scomparve anche quello. Era finita. Era
tornata a ciò che le persone amano credere “il mondo reale”.
Il medico, adesso decisamente più rilassato, le sorrise. “Congratulazioni,
Lois. È un bellissimo bambino.”
Il significato di tutto ciò
Mia madre non mi aveva ancora visto. Per prima cosa dovevano pulirmi,
pesarmi e contarmi le dita. Poi fui portato nella sua stanza. Mentre la trasportavano sulla sedia a rotelle lungo i corridoi, il senso di ciò che aveva appena
vissuto e assorbito la travolse improvvisamente. Sapeva intuitivamente di aver
già dimenticato molte delle cose che solo pochi minuti prima le appartenevano: perché il cielo è blu, perché l’erba è verde, perché il mondo è rotondo, qual
è il significato della creazione... e la logica perfetta di tutto ciò. Sapeva anche
che sicuramente esiste un Essere Supremo. C’è un Dio.
Ricordò anche una cosa di una chiarezza inequivocabile: “Veniamo messi
al mondo per imparare delle lezioni che ci rendono anime più complete. Dobbiamo vivere il nostro piano su questo livello prima di essere pronti a salire
ad un altro livello. Ecco perché alcune persone sono anime vecchie, mentre
altre sono anime giovani.”
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Oggi è possibile trovare molte di queste informazioni in libri sulla metafisica, ma non all’epoca. Le librerie non avevano sezioni dedicate alle pubblicazioni sulla New Age e queste lezioni non venivano certo insegnate o tramandate sotto forma di tradizioni religiose. Mia madre non aveva amici che
parlavano di queste cose e neanche, rientrata dall’ospedale, si mise alla ricerca dell’illuminazione; voleva solo che un feto recalcitrante uscisse dal suo
corpo prima di impazzire dal dolore!
Tuttavia era chiaro che mia madre era cambiata. Lo sentiva e sapeva anche
che, per somma ironia, parte del cambiamento derivava dall’aver lasciato dietro di sé i ricordi di tante lezioni. Per tutta la sua vita è stata un’estrema perfezionista, compulsiva direi. Adesso che la cosa che desiderava maggiormente era quella di incarnare ogni singolo principio che le era stato insegnato,
scopriva di averne dimenticato la maggior parte. Com’è possibile mettere in
pratica ciò che non si ricorda?
Per questo motivo mia madre decise che era ora di cominciare ad essere
più indulgente nei confronti di se stessa... e degli altri. Avrebbe lasciato che
un sottile strato di polvere potesse entrare in casa, non avrebbe più portato con
sé una bottiglia disinfettante per pulire i sanitari delle stanze d’albergo ed
avrebbe cominciato ad accettare le cose per quello che sono.
Mentre veniva spinta lungo il corridoio apparve mio padre, che le si affiancò tenendo il passo. Gli fece cenno di avvicinarsi. “Quando saremo nella stanza” sussurrò “devo dirti qualcosa che sono stata programmata a dimenticare.”
Una volta nella stanza, c’erano due donne nei rispettivi letti. Mia madre
sussurrò: “Non ripetere niente di ciò che sto per dirti, altrimenti le persone
potrebbero pensare che sia pazza.”
“Non lo farò.”
Cominciò a descrivere tutto quello che riusciva a ricordare. Mio padre ascoltava in silenzio e mia madre era sicura che lui non dubitava di ciò che lei gli
stava raccontando. Sapeva che non si sarebbe potuta inventare una storia simile.
Una volta finito, mia madre fu sopraffatta dal sonno. Disse a mio padre di
andare dritto a casa senza indugi e di scrivere al più presto tutto ciò che gli
aveva raccontato. Erano informazioni troppo importanti per potersi permettere il lusso di perderle. Anche lui era d’accordo.
Al suo risveglio, guardò la donna nel letto accanto al suo. La riconobbe,
l’aveva vista il giorno prima. Il suo primo pensiero fu: mamma mia quant’è
brutta! E poi disse tra sé: “Aspetta un attimo. Hai appena capito che l’apparenza di una persona non ha importanza.” L’ironia di tutto ciò la fece ridere.
41
“Hai parlato nel sonno tutta la notte” le disse la donna.
“Davvero?”
“Stavi recitando le Scritture.”
“Cosa ho detto?”
“Non lo so, parlavi una lingua incomprensibile.”
Una lingua incomprensibile? Mia madre non parlava nessuna lingua straniera e non conosceva nessuna lingua morta; l’unica scrittura che conosceva
era il Salmo 23, e per giunta in inglese.
Rimase distesa. Troppe domande. Se ancora avesse avuto un dubbio su ciò
che le era successo il giorno precedente, adesso non ne aveva più. In sala
parto era successo qualcosa di veramente insolito. Sapeva che non si trattava
di un sogno, non fosse altro perché i sogni non ci cambiano, almeno non così
in profondità. Com’è possibile entrare in un sogno con la paura della morte ed
uscirne non solo privi di tale paura, ma addirittura sentendosi perfettamente a
proprio agio e sapendo di essersi sempre sentiti in quel modo?!
Mia madre voleva scavare nel profondo di quella sua esperienza. In particolare voleva sapere cosa fosse successo al suo corpo nella sala parto quando,
priva di conoscenza, la sua coscienza era in comunione con esseri di pura luce.
Capì subito che scoprirlo non sarebbe stata una cosa semplice.
Quando mia madre chiese al dottore se si fosse verificato “qualcosa di
strano” in sala parto, le fu detto “no, è stato un parto normale”. Stando a ciò
che diceva il medico, l’unica complicazione, per giunta di lieve entità, era
stata la necessità di utilizzare il forcipe per mettere il bambino nella giusta
posizione una pratica molto comune a quel tempo.
Il codice del silenzio
Un parto normale?
Non poteva essere vero. La frase “parto normale” non coincideva affatto
con le parole “la stiamo perdendo”.
Mia madre parlò all’ostetrica che aveva lavorato con lei sia in sala travaglio
che in sala parto, ma nessuno si ricordava di averla sentita parlare lingue straniere e sembravano non esserci stati problemi.
“È andato tutto bene” le fu detto.
Se medici ed ostetrici fossero state le uniche persone presenti al fatto, la
cosa poteva dirsi conclusa. Mia madre però si ricordò della presenza di un’in42
fermiera ausiliare. Gli ausiliari hanno un'uniforme diversa dalle altre e portano avanti il loro lavoro in modo silenzioso ed efficace. Spesso la loro presenza non viene neanche avvertita e nella maggior parte dei casi il loro
contributo viene enormemente sottovalutato. Gli ausiliari non hanno bisogno
di nascondere la verità, quando le cose non vanno per il verso giusto.
Mia madre trovò l’infermiera e le disse: “So che è successo qualcosa in
sala parto.”
Dopo una lunga pausa, l’infermiera scosse le spalle dicendo: “Non posso
dire molto, ma tutto ciò che posso dirle è che... lei ha avuto molta fortuna.”
La stiamo perdendo?
Ha avuto fortuna?
Ciò bastava a confermare quello che già sapeva: quel giorno era accaduto
qualcosa di speciale in sala parto, qualcosa che andava oltre la gioia di avermi
messo al mondo senza il beneficio dell’anestesia. I medici, in effetti, l’avevano persa. Era morta, ed era ritornata. Cominciò a pensare di aver vissuto non
tanto un’esperienza di “quasi-morte”, ma una di “vita dopo la morte”. Il termine “quasi-morte” è un po’ annacquato. Mia madre non era stata vicina alla
morte. Mia madre era morta. E come tutte le persone che sono tornate dalla
morte, adesso era diversa. Capiva che tutto ciò che succedeva nella sua vita,
giusto o sbagliato che fosse, era esattamente ciò che serviva alla sua anima in
quel momento per poter progredire. “Torna indietro... fino a quando dimostrerai di aver imparato la lezione.” È parte dell’evoluzione.
Questa lezione si rivelò estremamente proficua e opportuna. Mi aveva appena dato alla luce e ai suoi occhi, fin dal momento della mia nascita, ero una
creatura estranea al reame delle cose normali.

Era un’esagerazione tipicamente materna? Forse, tranne per il fatto che mia
madre continuava a sostenere di avere le prove che dal primo momento in cui ha
posato il suo sguardo su di me, il giorno successivo alla mia nascita, sapeva che
non ero un bimbo “ordinario”. Ero l’unico neonato nella nursery ed entrando in
quella stanza con il biberon in mano, mia madre si avvicinò alla mia piccola culla
di vimini e guardò dentro. Giacevo sullo stomaco, sveglio. “Ciao, piccolo straniero” mi disse in segno di saluto. “Siamo io e te contro il resto del mondo. Io e te.”
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Quando sentii il suono della sua voce, puntai le braccia ed alzai la testa,
girando prima sulla sinistra e poi sulla destra, come se stessi ispezionando
l’ambiente. Mia madre osservò tutto ciò con una grande sorpresa. Poteva essere possibile? Le era sempre stato detto che i muscoli di un neonato sono
troppo deboli per poter compiere un’operazione del genere.
Mia madre posò il biberon su un tavolo vicino, poi esitò. Chissà quali germi
potevano essere annidati sulla superficie di quel tavolo... Si immaginava i germi arrampicarsi lungo il biberon e attraverso la tettarella contaminare il latte.
Ma non aveva appena imparato che era meglio ignorare queste piccole ossessioni che la consumavano e che c’è un motivo ed un equilibrio per tutto?
Quasi. Mia madre raggiunse un compromesso mettendo un fazzoletto di
carta tra la bottiglia ed il tavolo, poi mi prese in braccio. Dal primo momento
in cui mi aveva visto si era innamorata di me.
Più tardi, quando il medico passò a visitarla, mia madre le disse che avevo
alzato la testa. “I neonati non lo fanno” disse con assoluta fermezza, dopodiché venne ad esaminarmi.
Un secondo più tardi mia madre sentì la voce del medico provenire dall’altra stanza. “Giovanotto, ancora non dovresti saperlo fare...”
In quel momento mia madre sapeva che qualcosa di straordinario stava
accadendo.

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Capitolo 3
Cose da bambini
“I bambini dicono le cose più terribili.”
Art Linkletter
D
a bambino, mi dicono, imparavo velocemente, ma altrettanto
velocemente mi annoiavo. Avevo molta immaginazione ed
ero incostante, premuroso e temerario, affettuoso ed egoista.
Come la maggior parte dei bambini ero convinto che l’universo girasse intorno a me ed ai miei bisogni. Perché no? Nella
mia mente esistevano dei confini flebili tra ciò che io desideravo e ciò che mi
aspettavo di ricevere. Credevo che tutto dovesse andare a modo mio. Tutto
quanto.
Piani di famiglia compresi.
Mia madre sentì il primo guizzo di una nuova vita nel suo ventre quando
avevo più o meno due anni. La sensazione le venne data sotto forma di due
“battiti” distinti, cosicché si convinse che stava aspettando dei gemelli. Gli
addetti ai lavori le dissero che non era vero, anche quando la sua pancia cominciò a crescere enormemente... sempre di più... e sempre di più. Era una
donna alta e snella. Se la si guardava da dietro si notava solo la sua altezza e
la sua silhouette snella, ma quando si metteva di profilo era facile immaginare che si poteva tranquillamente appoggiare un vassoio sulla sua pancia.
Adoravo avvicinarmi e ascoltare le nuove vite scalciare nel suo stomaco.
Quando appoggiavo l’orecchio sulla sua pancia, le creature al suo interno
diventavano estremamente attive. Era una cosa che mi affascinava.
Qualche mese più tardi mia madre fece ritorno in sala parto, ma questa
volta le furono dati degli antidolorifici. Non sentì nessun motore e non ci fu
nessuna odissea.
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“Spinga” le dissero i dottori. Le voci sembravano provenire da una fitta
nebbia; spinse e si addormentò. Fu svegliata quasi subito. “Congratulazioni,
è una bellissima bambina.” Contenta e sotto l’effetto dei farmaci, fece un
cenno col capo e si riaddormentò. Pochi minuti più tardi la svegliarono ancora. “Spinga.”
Sapevo che sarebbe successo, pensò. E cominciò a spingere.
La cosa seguente che ricordava erano le parole: “Congratulazioni, è un
bellissimo bambino.” Sapendo che era finita, si lasciò scivolare in un sonno
profondo.
La svegliarono nuovamente. “Spinga.”
“No, un altro no!”
Risero. “No, questo è per gli annessi fetali.”
Quando i gemelli arrivarono a casa, fu sorpresa di scoprire che il suo primogenito, cioè io, appariva tutt’altro che contento.
“Cosa ti succede?”
“Non li volevo.”
“Avevi detto di sì” rispose mia madre.
“Non è vero.”
“Avevi detto che volevi un fratellino e una sorellina .”
A gambe divaricate, il pugno destro appoggiato saldamente sul fianco,
guardai mia madre dritta negli occhi. “Ti avevo detto che volevo un fratello o
una sorella. Oooooo una sorella. Prendine uno e portalo indietro.”
Non avevo proprio idea delle difficoltà che avrei incontrato ad abituarmi a dividere con i miei fratelli uno spazio che era stato mio fino a quel momento. Sarebbe stata un’enorme sfida (ok: una lezione per crescere) negli anni a venire.
Apri la porta
Ecco come viene visto un comportamento precoce: a volte è carino, a volte
no. Fin dalla più giovane età ho avuto problemi con l’autorità e problemi ancora più grandi con la noia. Era una combinazione imprevedibile. Se c’era
qualche cosa dalla quale avrei dovuto tenermi alla larga, potete stare sicuri che
era lì che sarei andato. Se c’era qualcosa che non avrei dovuto fare, l’avrei sicuramente fatta. Come dice mia madre, per tenermi occupato, diventai un maestro di “trucchetti” e spiegazioni. Arrendermi al sonno era solo un modo per
rinvigorire. E anche quando dormivo avevo paura che mi sarei perso qualcosa.
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Un esempio di uno dei miei scherzi coinvolse la mia nonna materna, Nana.
Pochi giorni dopo l’ingresso in casa di mio fratello e di mia sorella, Nana
venne da noi a fare la baby sitter. Tutto ciò consentiva a mia madre di tirare
un sospiro di sollievo. Mio fratello e mia sorella erano nella culla, e io stavo
guardando la TV. Tre pentoloni bollivano sul gas, uno pieno di pannolini e gli
altri due di bottiglie di latte in polvere, mentre un carico di bucato aveva appena finito di asciugarsi nel seminterrato. Nana scese a prendere i vestiti. Da
grande lavoratrice e donna intelligente quale era, cercò di fare le cose il più
velocemente possibile, perché sapeva che non era una cosa saggia lasciarmi
da solo per lungo tempo. Con le braccia cariche di bucato pulito, iniziò a salire le scale, quando vide che la porta del seminterrato stava per chiudersi.
Cercò di fare più in fretta, ma la porta si chiuse prima che potesse raggiungerla. Anche la serratura scattò.
Appoggiata alla porta con tutti i vestiti sulle mani, Nana riuscì a liberarne
una e a girare la maniglia. La porta era chiusa. “Eric, apri la porta” disse con
voce dolce e controllata.
Con voce altrettanto dolce e controllata le risposi: “Uhn-uh.”
“Dai, apri la porta.”
“Uhn-uh.”
Nana sapeva che un tono autoritario non avrebbe avuto successo con me.
Ma non aveva intenzione di farsi fregare da un ragazzino, per quanto precoce,
soprattutto in quel momento, con tre pentole che stavano bollendo sul gas in
una stanza e con due neonati in un’altra stanza. Tentò quindi con un approccio
diverso. “Scommetto che non ce la fai ad arrivare alla maniglia” disse, facendo leva sulla mia testardaggine.
“Sì, ce la faccio.”
“Io scommetto di no.”
Silenzio.
Nana cominciò a sudare. Era come se riuscisse a sentire gli ingranaggi del
mio cervello che valutava la situazione. Ma alla fine, come aveva sperato,
dovevo dimostrarle che ce la potevo fare. Spinsi verso l’alto la maniglia. La
sentiva scuotersi delicatamente.
“Scommetto che non sei capace ad aprirla” disse.
“Invece ce la faccio.”
Ancora una volta lei mi disse: “Scommetto che non ce la fai.”
Ci fu un’altra lunga pausa. I vestiti cominciavano a pesare. La serratura
consisteva in una piccola maniglia che doveva essere spinta e girata. Se la
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serratura veniva aperta si sarebbe sentito un piccolo click. Nana aspettava quel
rumore. Doveva essere veloce. Non voleva farmi male nell’aprire la porta
troppo velocemente, ma sembrava essere l’unica scelta.
Non resistetti.
Click.
Nana spinse la porta, che si aprì più velocemente di quanto si aspettasse. I
vestiti puliti e appena piegati caddero sul pavimento. Io finii a terra prima di
riuscire a scappare. Mi sedetti e piansi.
Nana andò a spegnere il gas, poi tornò a consolarmi.
Avevo solo due anni e mezzo, ma quel giorno mia nonna capì che la sua
carriera di baby sitter era già terminata.
Tra le nuvole
Nana era la madre di mia madre e Bubba era quella di mio padre. Bubba
era una donna di vecchio stampo, una di quelle che dava quei grossi baci stile
europeo sulle guance, con dei risucchi che avrebbero reso ridicolo un’aspirapolvere. Era piena di vita, dotata di un’energia infinita e di un grande senso
dell’umorismo, che spesso metteva i parenti “conservatori” in grande imbarazzo. Alle cene per le feste comandate sedeva sempre accanto a me, e quando
restavo a dormire da lei mi portava in giardino di prima mattina a cogliere le
fragole per poi cucinare una grande colazione. Poi mi prendeva in braccio e,
mentre faceva le faccende di casa, mi portava con sé come se fossi stato leggero come una piuma. Amavo quella sensazione, viaggiare attraverso lo spazio senza usare i piedi. Viaggiare più velocemente, ecco ciò che volevo. Dio
mio, quanto le volevo bene.
Un giorno di gennaio, Bubba entrò in ospedale e non ne uscì mai più.
Sembra che, mentre era distesa nel letto, avvertì un forte dolore al petto, si
sforzò per chiamare l’infermiera, ma non riuscì a raggiungere il bottone.
Ai miei genitori toccava l’arduo compito di gestire la scomparsa improvvisa di Bubba dalla mia vita.
“È andata a dormire” mi dissero, “ma non si sveglierà più.”
Ci pensai un poco, poi smisi. “Io posso svegliarla” dissi. “Scommetto che
se le mettiamo tre aspirine in bocca e mi metto a saltare sulla pancia, si sveglierà.” Quella di saltellare sullo stomaco era una mia strategia addizionale,
qualcosa da mettere in atto in caso non fosse bastata l’aspirina.
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Questa è stata una delle poche volte nelle quali ricordo di aver visto mio
padre piangere.
Il funerale fu celebrato subito dopo. Non mi fu consentito di andare. I miei
genitori pensavano che, a cinque anni, sarebbe stato troppo traumatico per me
vedere il corpo senza vita di mia nonna. Bubba se ne era andata, e tutti, tranne
me, la salutarono.
La notte a letto pensavo a lei. A volte piangevo in silenzio per non farmi
sentire. Mi mancava e nonostante all’epoca non comprendessi quel concetto,
non avevo avuto nessun senso di chiusura.
Nel frattempo sapevo anche che se non avevo potuto salutare Bubba lei non
mi aveva certo dimenticato. Sapevo esattamente dove si trovava e che mi
stava sorvegliando come aveva sempre fatto. Lo sapevo perché mi aveva sempre aiutato quando ne avevo bisogno, come quando giocavo fuori con i miei
amici e cominciava a piovere. Volevano tutti tornare a casa, il che significava
che avremmo smesso di giocare; quindi dicevo loro: “Aspettate, torno subito.”
Mentre tutti aspettavano sotto il porticato, raggiunsi il retro della casa dove
nessuno mi poteva vedere e guardando verso il cielo dissi: “Bubba, puoi far
smettere di piovere per favore?”
Nel giro di pochissimo smise di piovere. Sembrava proprio che Bubba non
mi avesse abbandonato.
In rotta con la scuola
Arrivò il tempo dell’asilo. Fin dal momento in cui varcai quella soglia, la
scuola mi annoiò a morte. Passavo la maggior parte del tempo a fantasticare,
ma non le tipiche fantasie di un bambino, come giocare a palla, essere un eroe
o combattere i mostri (qualche volta ho combattuto con un paio di uragani, ma
chi non l’ha fatto?). Immaginavo spesso di essere l’oracolo di Delfi. Non sapevo esattamente chi o cosa fosse l’oracolo di Delfi, ma mi immaginavo seduto in una caverna a ricevere fiumi di persone venute da lontano per ascoltare il mio consiglio.
Contemplavo anche atti che sapevo non essere possibili, come ad esempio
fare passare le mani attraverso i muri. Ero sicuro che se mi fossi chiuso in
camera per tre giorni avrei scoperto come fare. Era strano che nessuno lo sapesse fare. Forse avevano provato anche loro da bambini ed erano giunti alla
conclusione che si trattasse di una perdita di tempo.
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Se agli insegnanti non piaceva il mio sognare ad occhi aperti, potete stare
sicuri che piaceva ancora meno la mia mancanza di attenzione. Disturbavo
spesso, mi comportavo male, attiravo l’attenzione su di me, oppure li ignoravo e mi perdevo nel mio mondo. Prima della fine del primo anno di scuola ero
stato così tante volte nei guai che mia madre un giorno scoppiò a piangere
davanti al direttore.
“Quando finirà tutto questo?” disse mentre piangeva, ripetendo inavvertitamente le parole che aveva usato quando ero nato.
“Quando si interesserà a qualcosa” disse il direttore.
“E quando accadrà?”
“Potrà accadere in qualsiasi momento.” Il direttore fece una pausa poi si
mise a ridere. “Per mio figlio ho dovuto aspettare che andasse al college.”
Non è che non avessi interessi; semplicemente non si manifestavano a scuola. Quando mio nonno mi diede una scatola piena di vecchi orologi guasti, ne
rimasi affascinato. All’epoca gli orologi erano intricati misteri composti da
piccolissimi pezzetti che interagivano tra di loro (prima della rivoluzione digitale). Ogni volta che uno dei suoi orologi si rompeva, se non era possibile ripararlo, mio nonno lo metteva in una vecchia scatola con tutti gli altri che
avevano subito la stessa sorte. Un giorno mi portò questo “scrigno del tesoro”
pieno di orologi guasti. Nessuno funzionava e naturalmente erano troppo grandi perché potessi indossarli, ma la cosa non mi dispiaceva. Volevo giocarci lo
stesso. Cosa che effettivamente feci. Ne caricavo uno e immediatamente cominciava a ticchettare. Ne caricavo un altro che cominciava a muoversi e poi
si fermava. Un terzo non cominciò nemmeno a muoversi, cosicché lo scossi un
poco. Tenevo in mano quello che funzionava, poi lo lasciavo andare per qualche minuto. Lo riprendevo e continuava a funzionare. Tenevo l’altro e anche
questo cominciava a funzionare. Presto mi trovai a “riparare” i vecchi orologi
dei miei amici. Credo che sia più o meno il principio opposto di ciò che provoca l’arresto degli orologi, quando alcune persone li mettono al polso.
Ma per certe persone, l’abilità di riparare gli orologi senza doverli aprire, non
era tanto importante quanto quella di colorare rispettando i bordi e recitare poesie
a memoria. I miei risultati scolastici furono considerati così bassi che quando ero
in terza elementare venne a casa un’assistente sociale a fare un controllo sul
nostro ambiente familiare, per rendersi conto perché non ero bravo a scuola.
Immediatamente dopo il suo arrivo le chiesi se mi poteva spiegare il concetto di
“infinità”. Innervosita, si alzò e uscì di casa. “Dovrò parlarne al direttore” disse.
Anche se lo ha fatto, non mi ha detto mai cosa ha imparato.
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Questa volta, la chiusura
C’era un’ottima ragione per contemplare le cose di natura infinita, perché
più o meno nello stesso periodo avrei sofferto un’altra perdita importante: il
mio cane. Silk, un dobermann, aveva già due anni quando nacqui, eppure
sopportava gentilmente il mio comportamento infantile, compresa la mia abitudine di usare il suo labbro inferiore come impugnatura per alzarmi in piedi
appoggiandomi a lei mentre imparavo a camminare. Faceva delle grosse
smorfie di dolore, ma non perdeva mai la pazienza e nemmeno ringhiava. Era
come se in un certo senso sapesse che ero un bambino ed avevo bisogno del
suo amore e della sua protezione.
Amavo toccare le cose fredde, compresi gli orecchi di Silk. Quando dormiva accanto al mio letto, allungavo il braccio ed afferravo il suo orecchio tra
le dita, che in alto così si riscaldavano (e non era quello che volevo), cosicché
dopo pochi minuti passavo all’altro orecchio, per poi tornare al primo e così
via. Quando entrambi gli orecchi erano ormai diventati troppo caldi per rappresentare qualsiasi forma di interesse, facevo uscire Silk. Dopo circa dieci
minuti sentivo abbaiare. Era il suo segnale, sapevo che era pronta a rientrare
e a ricominciare tutto daccapo. Dopo altri due giri il rituale terminava ed io
me ne andavo a letto.
Quando avevo dieci anni, lei ne aveva dodici (in anni umani ottantaquattro)
e la sua salute non era buona. I miei genitori decisero che, nel momento in cui
fosse stato appurato che non si potesse fare nient’altro, l’avrebbero fatta sopprimere per non farla soffrire.
Quello fu per Silk il suo anno più difficile. C’erano volte in cui, nonostante provasse, questo cane che mi aveva insegnato a camminare, non riusciva a
reggersi in piedi. Era una cosa straziante per un adulto, figurarsi per un bambino. Scosse tutto il mio mondo. Era arrivato il momento di portarla dal veterinario, ed eravamo abbastanza sicuri che quella sarebbe stata la visita.
La festa del Ringraziamento era vicina. Decidemmo di aspettare la fine
delle feste. Il giorno del Ringraziamento mia madre diede a Silk un grosso
piatto di tacchino con sugo, patate e ripieno. Silk, la cui dieta raramente comprendeva piatti “umani”, per un momento esitò. Apparve confusa, si guardò
intorno alla ricerca della nostra approvazione finché non decise di non porsi
altre domande e consumò il suo ultimo pasto.
Il giorno seguente la portammo dal veterinario. Stavolta mia madre rimase
a casa. Memore della mancanza del senso di chiusura attorno alla perdita di
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Bubba, insistei per andare con mio padre. Seduto nella sala d’attesa che odorava di medicinali e con i quadri alle pareti sullo stile di Norman Rockwell
raffiguranti cani che giocano a carte, tutto sembrava terribilmente freddo. Mio
padre mi disse che avrebbero addormentato Silk. Volevo esserci anch’io? Seguii mio padre e il veterinario, mentre portavano Silk lungo il corridoio e in
giardino. Le dissi addio, poi guardai il veterinario farle l’iniezione. Dopo pochi secondi cadde con grazia a terra. Silk fu rialzata e portata in un forno
crematorio.
Quella notte e per molte altre notti piansi ancora per la perdita di qualcuno
che amavo. Tuttavia, questa volta c’era stata una chiusura. L’infinità non sembrava poi così tanto lontana, né l’eternità così lunga.
Natura/supporto
Passando dall’asilo alla scuola elementare, in qualche modo crebbe il mio
Sé. Mi annoiavo ancora con estrema facilità e passavo ancora tanto tempo a
sognare ad occhi aperti, ma in rare occasioni, quando mi veniva assegnato un
insegnante che mi ispirava veramente e mi faceva pensare, allora eccellevo
oltre ogni aspettativa. Sfortunatamente, come avviene ancora oggi, questi insegnanti rappresentavano l’eccezione piuttosto che la regola.
L’atmosfera a casa mi permetteva di essere più maturo dei miei anni. I miei
genitori mi trattavano da adulto: non mi trattavano dall’alto al basso, ma mi
coinvolgevano nelle conversazioni e nelle decisioni, riconoscendomi come
una persona la cui opinione era importante.
Non vedevo l’ora di tornare a casa dopo la scuola. Sembrava che ci fossero sempre persone affascinanti da incontrare. I miei genitori avevano molti
amici con background interessanti: antropologi, psicologi, artisti, medici, avvocati eccetera (e per rendere le cose ancora più meravigliose, queste persone
ispiravano deliziosi piatti di cucina, dagli aromi e dai sapori inimitabili).
Dal momento che l’atmosfera in casa mia era di totale apertura mentale, e
poiché venivo a contatto con persone così tanto diverse fra loro, era più che
naturale continuare a sfidare l’autorità di tipo dittatoriale ed estremamente
unilaterale. Anzi, dovrei dire, fu l’autorità di tipo dittatoriale e unilaterale che
continuò a sfidare me.
52

La direzione scolastica, al tempo della scuola superiore, era inflessibile
con gli studenti che arrivavano in ritardo. Nonostante abitassi molto vicino
alla scuola, ero quasi sempre in ritardo, tutte le mattine. Un minuto qui, un
minuto lì, niente di particolare, ma la direzione era di diverso avviso. Se gli
studenti fossero arrivati a scuola dopo il suono della campanella, avrebbero
avuto un’ammissione tardiva.
Il problema era che tale ammissione tardiva veniva concessa soltanto dietro
presentazione di una lettera proveniente da casa. Facevo così tante cose l’una
dopo l’altra che non sapevo mai se sarei arrivato in ritardo e non era possibile
ottenere la lettera se non tornando a casa e chiedendola a mia madre. Cosicché
persi praticamente sempre la prima mezz’ora di lezione. Era così impossibile
per me uscire di casa quindici minuti prima? Evidentemente no, ma il mio
atteggiamento non cambiò. Non sembravo avere lo stesso concetto di tempo
di tutti gli altri; era come se, lasciando casa alle 8:01 e camminando veloce,
fossi potuto arrivare a scuola alle 7:50.
Chiesi a mia madre se potevo scrivere le lettere al posto suo ed eventualmente anche firmarle. Considerando l’alternativa di perdere interamente la
prima ora andando avanti e indietro, finì per acconsentire, non senza riluttanza.
Un giorno fui sorpreso mentre mi auto-scrivevo la lettera. La persona addetta alla disciplina era un tipo con uno stile tutto suo, con un atteggiamento
militare ed il cui figlio sembrava il ritratto perfetto del ragazzo pieno di problemi comportamentali (ha perfettamente senso, non credete?). Indicando il
pezzo di carta sul quale stavo scrivendo mi domandò, con un tono arrogante:
“Cosa stai facendo?”
“Mi sto scrivendo una lettera per l’ammissione tardiva” replicai con molta
naturalezza.
“Devi seguirmi dal preside, per aver falsificato la firma di tua madre.”
“No. La falsificazione si ha solo a seguito di mancata conoscenza o mancato consenso, ed io li ho entrambi.”
Risposte del genere non facevano certo piacere ai miei insegnanti. “Come
ti chiami?” mi chiese.
“Eric Pearl.” Mi alzai, raccolsi tutte le mie cose e guardai quell’uomo diritto negli occhi. “P E A R L.” Poi mi voltai ed entrai in classe.
Tra questi eventi, e queste lezioni, procedeva la mia vita. Mio padre, assieme a suo padre e suo fratello, produceva distributori automatici. Faceva anche
servizio volontario di polizia. La mamma rimaneva a casa e si prendeva cura
di noi tre figli. Faceva anche qualche lavoretto part-time come modella in
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qualche sfilata. Mio padre usciva di casa alle sette di mattina, quando mia
madre cominciava a spingere le nostre colazioni giù per le nostre gole, come
fa ogni mamma uccello con i suoi piccoli. Non era possibile uscire di casa fin
dopo aver consumato un’ottima colazione ed essersi fatti riempire il cestino
della merenda, “con tutti e quattro i gruppi di cibo” (a quel tempo era ancora
un paradigma al quale i genitori ci sottoponevano). A tredici anni ebbi il mio
“bar-mitzvah”. A volte, di domenica, andavo a messa con gli amici.
L’asilo, le elementari, la scuola media, la scuola superiore, nuovi amici,
compiti, balli studenteschi, la patente, l’esame di ammissione all’università e
finalmente la laurea...
Verso altri lidi
Scoprii ben presto che il diploma delle superiori non significava per niente
“libertà”. I miei genitori erano determinati a tenermi vicino a loro. Ma, come
al solito, i miei piani erano diversi. Perché rimanere in New Jersey? Volevo
fare l’università in California. Neanche avessi detto “al Polo Nord”.
“È troppo lontano” insistettero i miei. Le discussioni, inizialmente ragionevoli, salirono piano piano di intensità, fino a diventare delle vere e proprie
litigate.
Alla fine fu raggiunto un compromesso: potevo frequentare il college a Miami in Florida. I miei genitori pensavano che fosse una cosa ragionevole. Non
solo Miami era due volte più vicina della California, ma mio nonno paterno,
Zeida, quello che mi aveva regalato la scatola piena di orologi, si era trasferito
lì dopo la morte di Bubba. L’idea era quella che Zeida avrebbe potuto tenere
d’occhio il figliol prodigo. Ero, dopo tutto, il primo figlio del suo primo figlio.
Fu così che i miei genitori mi persero per un intero anno.
Entrai all’università a Miami.
I miei genitori mi avevano sempre detto che potevo essere qualsiasi cosa
avessi voluto, se solo avessi diretto i miei pensieri in quella direzione. Questo
era un concetto estremamente potenziante con il quale sono cresciuto, ma per
me la mancanza di una bussola interiore divenne sempre più un problema con
il passare degli anni, e soprattutto quando venne il momento di pensare ad una
carriera. Sii qualsiasi cosa e fai qualsiasi cosa erano parole che non mi davano la benché minima direzione. Il problema di fondo era che niente mi interessava, e quindi non c’era niente su cui dirigere i miei pensieri.
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Mi dedicai totalmente ed immediatamente... ad un piano di studi completamente incoerente. Nel corso dello stesso anno considerai almeno tre diverse
lauree: psicologia, legge, danza moderna. Non avevo la benché minima idea
di ciò che volessi fare. E, come sempre, niente riusciva a catturare il mio interesse per lungo tempo.
Zeida pensò che vivendo da solo a Miami mi stessi evolvendo come persona e voleva che questo processo continuasse. Senza chiedere niente ai miei
genitori, aprì la porta alla possibilità di farmi passare il secondo anno di corso
nell’area del Mediterraneo. La prospettiva era estremamente interessante.
Mentre fluttuavano nella mia testa le visioni di Roma e di Atene, Zeida mi
definì il suo “mediterraneo”: Israele. Sempre un passo avanti, Zeida mi diede
una brochure per un anno di studi a Gerusalemme, al fine di seguire un programma per studenti americani. Si offrì poi di finanziare la cosa. Come potevano i miei genitori dire di no?
Molto più della terra che stilla latte e miele
La maggior parte degli studenti che si recavano in Israele lo facevano
aspettando di vedere Dio discendere dal cielo, e latte e miele scorrere come
fiumi nelle strade. Rimanevano tutti delusi. Comunque, ci andai pensando di
rimanere fuori dagli Stati Uniti poco più di un anno, quindi senza aspettative
non realistiche. Finii per innamorarmi di tutto. Fu, fino a quel momento, il più
bell’anno della mia vita. Ancora oggi mi capita di svegliarmi dopo aver sognato e pensato di essere ancora lì, tra i templi antichi e i panorami mozzafiato del Monte Sinai.
Quando ritornai negli Stati Uniti, ripresi la vita di sempre. Tutto ciò che
avevo trovato in Terra Santa non mi aveva svelato il mio vero obiettivo, o se
lo aveva fatto, non me ne ero accorto. Adesso quel dilemma si proponeva di
nuovo: scegliere una facoltà.
Un’idea mi era passata nella mente l’anno prima del mio viaggio. In
quell’anno avevo avuto un’esperienza con il Rolfing, un tipo di massaggio dei
tessuti profondi per liberare la muscolatura corporea. Alcuni miei amici avevano completato tutte e dieci le sedute previste dal metodo, ed avevo visto con
i miei occhi i cambiamenti ed i benefici apportati da questo ciclo di cure. Le
loro fotografie prima e dopo la cura erano tutto ciò di cui avevo bisogno per
decidere di essere “rolfizzato”.
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Le sedute finirono per cambiare l’idea che avevo di me stesso e sembravano avermi preparato ad un modo più aperto di vedere il mondo. Strutturato sul
concetto base di un ciclo di feedback mente/corpo, la teoria dietro il metodo
Rolfing è che, nel liberare i vari muscoli, viene liberato anche il dolore emotivo, vecchio e nuovo, in essi contenuto. Spesso, nel corso di queste sedute, si
vivono esperienze passate, mentre la sensazione fastidiosa abbandona la persona. Il risultato è che spesso la dimensione fisica e quella emotiva ne escono
trasformate. Questa nuova esistenza, libera da molti dei vecchi dolori, dà la
possibilità di muoversi, stare in piedi e supportarsi diversamente. Quando ci
si supporta diversamente, cioè quando si occupa uno spazio fisico diverso,
viene occupato anche un differente spazio emotivo.
Colpito sia dal concetto che dai risultati, pensai di diventare anch’io un
operatore di Rolfing. Ma i miei genitori pensarono che il Rolfing avrebbe
potuto passare di moda, rivelarsi una bufala e lasciarmi professionalmente a
terra. Forse, mi suggerirono, avrei dovuto considerare un campo della salute
con maggiori garanzie: la chiropratica. Se non altro, mi avrebbe dato un diploma riconosciuto.
D’accordo con loro, andai a Brooklyn a parlare con un chiropratico, che mi
fu presentato da un amico di famiglia. Il dottore mi spiegò la filosofia di base
che sta dietro all’arte e alla scienza della chiropratica. Mi spiegò che esiste
un’intelligenza universale che mantiene l’organizzazione e l’equilibrio
dell’universo stesso e che esiste un’estensione di quell’intelligenza, detta intelligenza innata, in ognuno di noi, che ci tiene vivi, in salute ed in equilibrio.
Questa intelligenza innata, o forza vitale, comunica con la parte restante del
nostro essere fisico, in larga parte attraverso il nostro cervello, il midollo spinale e tutto il nostro sistema nervoso, cioè il sistema di controllo del corpo.
Fino a quando la comunicazione tra il nostro cervello e il nostro corpo è aperta e scorre libera, restiamo nel migliore stato di salute possibile.
Quando una delle vertebre si muove o cambia posizione, il risultato può
essere una pressione sui nostri nervi, che inibisce o sopprime la comunicazione tra la parte controllata da questi nervi specifici e il nostro cervello. Il risultato di questa interferenza è che le nostre cellule possono cominciare a distruggersi e la nostra resistenza ad indebolirsi, producendo così il dis-agio, ciò
che precede la malattia. Quello che fa un chiropratico è rimuovere l’interferenza causata da questi disallineamenti (chiamati sublussazioni) della colonna
vertebrale, e ciò permetterà alla nostra forza vitale di riprendere il suo normale corso, riportandoci così ad uno stato di salute ottimale. In altre parole, è un
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processo di guarigione attraverso la rimozione della causa. Non tratta il sintomo, né cerca di nasconderlo.
Quando mi resi conto improvvisamente che il mal di testa delle persone
non era la conseguenza di una mancanza congenita di aspirina nel sangue,
come la pubblicità in televisione ci ha fatto credere, e che potevo fare qualcosa per aiutare gli altri, decisi che sarei diventato un chiropratico. Non smettevo di pensare all’enormità di questo passo e al ruolo che tutto questo avrebbe
avuto nella mia vita. Quello della sincronicità non era un concetto presente a
livello conscio.
All’improvviso, qualcosa fece click. Fui assalito dai ricordi d'infanzia delle mie fantasie - o si trattava forse di visioni? – in cui io aiutavo le persone
come l’oracolo di Delfi. Forse questo era per me la strada per fare qualcosa di
simile. Sicuramente, qualcosa detto dal dottore, aveva colpito nel segno. Qualcosa che sembrava perfetto e mi bastava. Stavo per fare il primo passo in una
nuova direzione, un passo che mi avrebbe portato più vicino al mio destino.

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Capitolo 4
Un nuovo sentiero
di scoperta
“Certo che sei sensitivo: semplicemente, non te ne rendi conto.”
La mia amica Debbie Luican
Di nuovo a scuola
I
l chiropratico di Brooklyn con il quale avevo parlato mi aveva raccomandato il Cleveland Chiropratic College di Los Angeles. Feci domanda e mi accettarono. Capitò quindi che i miei genitori perdessero
un figlio e che lo perdessero contro la California, dove ero sempre voluto andare. D’altro canto, guadagnarono un dottore, quindi penso che
le cose si compensassero.
Mi ricorderò sempre il mio primo giorno al college di chiropratica. La
classe del primo anno era grande, più di ottanta studenti. Dovettero abbattere
un muro per poterci sistemare tutti in una sola aula. L’istruttore chiese ad
ognuno di noi di dire quali fossero i motivi che ci spingevano a voler diventare chiropratico. Cominciò con gli studenti seduti a sinistra in prima fila che,
ovviamente, erano quelli più lontani da me, dato che mi trovavo nell’angolo
destro della stanza. Da quel punto, i racconti attraversarono le file di studenti.
Sedetti ascoltando, storia dopo storia, quello studente che era rimasto paralizzato fino a quando fu visitato da un chiropratico; il cancro di un altro era
scomparso; un altro ancora aveva recuperato la vista; c’era qualcuno a cui era
scomparsa un’emicrania che lo aveva accompagnato per tutta una vita e molto altro; una litania infinita di guarigioni permanenti, ben al di là di quanto un
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qualsiasi non-chiropratico avesse mai sentito. Soprattutto io. Zeida chiamava
i chiropratici “scrocchiaschiena”.
Arrivò finalmente il mio turno. Ottantatré teste si girarono per sentire la
mia storia, l’ultima della giornata. La mia doveva veramente essere il punto
più alto ed epico che avrebbe lanciato gli altri studenti fuori dalla stanza verso
i nuovi loro brillanti percorsi di vita? Penso proprio di no. Ero l’unico nell’aula a non essere mai stato da un chiropratico. Per quel motivo, ancora non sapevo esattamente cosa fosse un chiropratico. Mi ricordavo appena dei brani
della conversazione di venti minuti avuta con quel medico, circa la rimozione
delle interferenze che permette al corpo di guarire se stesso. Quella premessa
aveva un senso così totale per me quando mi fu spiegata, che non mi sarei
neanche preoccupato di testarla o di parlarne ad altri. Mi alzai, guardai la
folla di studenti e mi ascoltai mentre dicevo: “Bene... mi sembrava un’ottima
cosa.”
Le cose arrivano quando meno te lo aspetti
Eccomi di nuovo a scuola, ma questa volta era un po’ diverso. Per prima
cosa, questa era una scuola ed un corso di studi che avevo scelto. Era una
differenza abissale.
Non essendo un topo da biblioteca, mi piaceva socializzare, andare alle
feste ed esplorare la mia nuova città. Trovai un lavoro part-time in un negozio
di calzature perché, nonostante i miei genitori mi mandassero il denaro necessario agli studi, volevo guadagnare qualche dollaro in più per fare le cose che
io volevo fare. Un giorno, un ricercatore di un laboratorio di sismologia entrò
in negozio per comprare delle scarpe. Durante l’acquisto disse che, al laboratorio, prevedevano un terremoto nella parte sud della California entro le prossime ventiquattro ore.
“Lo hai raccontato a qualche altro commesso?” gli chiesi.
“No.”
“Bene. Allora non farlo.” Sorrisi. Sorrise anche lui; capì, pagò e se ne andò.
Pochi minuti dopo che se ne era andato, feci finta di avere una premonizione e dissi ai miei colleghi che avevo la sensazione che ci sarebbe stato un
terremoto nei prossimi tre giorni.
Come “avevo previsto” ci fu il terremoto. Tutti lo avevano sentito, era uscito
anche sul giornale. I miei colleghi rimasero profondamente impressionati.
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Qualche giorno più tardi, e senza l’intervento del sismologo, ebbi la sensazione che ci sarebbe stato un altro terremoto. Mi feci coraggio, rischiai e lo
dissi a tutti.
Che ci crediate o no, ci fu un altro terremoto.
Era come se qualcosa si fosse innescato dentro di me. Nel corso dei tre
anni successivi riuscii a prevedere con successo ventuno terremoti su ventiquattro.
Un pomeriggio, il mio compagno di stanza tornò a casa e trovò un messaggio che gli avevo lasciato: la terra tremerà. Mi disse che il terremoto era iniziato nell’istante esatto nel quale aveva letto il messaggio. La sua ragazza era
rimasta tutto il tempo accanto a lui... ad urlare.
Un altro giorno, mangiavo da solo in un ristorante e percepii l’inizio di
un’altra scossa, uno di quei terremoti che provocano un movimento “rotatorio”. Mentre cresceva d’intensità, mi guardai intorno. Nessuno reagiva. L’acqua non si stava muovendo in nessun bicchiere e le lampadine erano perfettamente diritte. Eppure in quello stesso momento io vedevo le lampade
muoversi. Era tutto reale. Per me. Mi alzai e corsi in strada senza riuscire a
capire perché nessun altro stesse scappando, perché tutto intorno a me andasse avanti nella tranquilla monotonia di Mayberry.
Mi sembrava impossibile. La terra tremava ancora: la sentivo. Era il terremoto più lungo che mi fosse mai capitato; allo stesso momento, la combinazione di questo movimento surreale e il fatto che nessun altro sembrava accorgersene mi portò a concludere che non stava accadendo veramente. Rientrai
nel ristorante. Ero contento di mangiare da solo; aver dovuto spiegare la mia
fuga improvvisa avrebbe potuto essere... leggermente difficile.
Ma se non si trattava di un vero terremoto, allora doveva essere un’altra
premonizione. Non c’era altra spiegazione.
Mentre tornavo a casa, passai in tintoria a ritirare i vestiti e dissi alla proprietaria del negozio che quella notte la terra avrebbe tremato. Risero tutti.
Più tardi, nel corso della stessa giornata, il terremoto arrivò. L’epicentro fu
localizzato a Culver City, esattamente dove vivevano i proprietari di quel
negozio.
Qualche settimana più tardi, dopo aver riempito sei federe di cuscino con
panni sporchi, tornai alla lavanderia. Con la vista ostacolata dalle pile di panni sporchi, tastai con i piedi in cerca della porta. Aprii lentamente e procedetti a tentoni in cerca del banco. Improvvisamente, una voce si levò così alta che
rischiai di buttare tutti i miei panni in aria.
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“È lui! È lui!” gridò la donna dietro il banco, con il tipico accento dell’ebreo
russo. “Ecco il mio indirizzo” mi disse mostrandomi un foglio di carta scritto
di suo pugno. “Voglio che mi telefoni prima che arrivi il prossimo!”.
Da quel momento, ogni volta che entravo in quel negozio, mi veniva chiesto di predire il prossimo terremoto. Ci provavo, ma non sembrava funzionare in quel modo. Era una cosa che non potevo forzare; le premonizioni le
avevo soltanto quando ero impegnato a fare qualcos’altro.
Senza rendermene conto, avevo imparato una profonda verità: le cose arrivano quando meno te le aspetti.
Resurrezione
Di tanto in tanto riuscivo a raggranellare, dal mio budget di studente, abbastanza denaro per vedere un film al cinema vicino al mio appartamento. Un
pomeriggio arrivai proprio in tempo per vedere Resurrection, un B-movie con
Ellen Burstyn. Ovviamente si trattava di una seconda visione dal momento
che Ellen Burstyn era candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista
proprio per quel ruolo.
Resurrection si basa sulla storia vera di una donna di nome Edna Mae che,
dopo un incidente in automobile, moriva in sala operatoria... per poi fare ritorno alla vita. Qualche tempo più tardi scoprì di avere il potere di guarire le
persone, una specie di “imposizione delle mani”. Per il solo fatto di toccare le
persone, entrando simultaneamente in uno stato di amore profondo, era in
grado di guarire la gente. A volte l’infermità o la malattia passavano a lei dopo averle rimosse da un’altra persona; a quel punto i sintomi uscivano anche
dal suo corpo. Altre volte la guarigione sembrava avvenire per grazia divina,
senza che lei dovesse fare alcunché.
Questo film mi affascinò così tanto da vederlo più volte. Portai anche i miei
amici a vederlo. Non avevo idea del perché questo film mi attraesse così tanto.
A quel tempo, aldilà che l’aspetto di guarigione trattato in quel film fosse interessante, ciò che veramente mi catturava era la similarità tra la situazione di
quasi-morte della protagonista e ciò che mia madre aveva passato quando ero
nato. Non avevo visto né letto niente su questo argomento, e questo film descriveva in modo estremamente accurato la stessa esperienza avuta da mia madre.
Ogni volta che lo guardavo, era come se assistessi a qualcosa di estremamente
familiare. Era come se riuscissi a vedere o ricordare qualcosa. Qualcosa...
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Altri indizi
Durante la mia esplorazione, scoprii anche quella che viene chiamata “psicometria”, l’abilità o l’arte di raccogliere informazioni sulle persone toccando
o tenendo in mano un oggetto di loro proprietà, generalmente un gioiello da
loro indossato. Dopo aver visto alcune persone praticarla, provai ad effettuarla e scoprii che mi apriva al ricevimento di informazioni estremamente accurate sulle persone, alcune delle quali non avevo mai incontrato. Durante questa mia breve sortita in questo processo, scoprii due “segreti”: quanto più
facevo muovere le mie dita sul gioiello che tenevo in mano, tanto più concentrato e focalizzato diventavo. Quanto più veloce parlavo, tanto più accurate
erano le informazioni. L’esplorazione persistente dell’oggetto che tenevo tra
le dita sembrava mettere a tacere la mia mente, nello stesso modo con il quale, per molti di noi, le nostre menti si rilassano quando guidiamo. Il parlare più
svelto apparentemente non mi dava tempo di anticipare le mie mosse. Le intuizioni arrivavano grazie all’immobilità della mia mente. Attraverso la rapidità del mio eloquio veniva il coraggio di dargli voce.
Ho menzionato questi punti non soltanto perché mi apparivano strani,
quanto per il fatto che suggerivano un’influenza da parte di “altri” nella mia
vita, a partire dagli anni dell’infanzia.
A parte questi eventi di per sé abbastanza coloriti, la mia attività principale
in questo periodo era quella di frequentare le lezioni e studiare, cosa alla quale non avrebbero mai creduto i miei insegnanti di scuola primaria e secondaria. La mia versione di “frequentare le lezioni” consisteva spesso nel sedere
nelle ultime file ed alzare il braccio per rispondere all’appello. Ciò nonostante, come all’inizio della mia carriera scolastica, riuscivo a prendere degli ottimi voti... e finalmente mi laureai in chiropratica.
Avevo provato indirettamente che quel vecchio direttore aveva ragione.
Avevo trovato qualcosa che mi interessava e ne avrei fatta la mia principale
ragione di vita.
Febbre, frenesia e visitatori
Un giorno, nel lontano 1983, poco dopo essermi laureato, mi resi conto di
non sentirmi troppo bene: avevo dei dolori, un leggero mal di testa e qualche
linea di febbre. L’idea di prendere l’aspirina per abbassare la febbre non è che
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mi attirasse molto, dal momento che sapevo che la febbre aveva un suo perché
e volevo che facesse il suo corso. Andai a letto, mi misi bene sotto le coperte,
bevvi molta acqua e vidi la TV (senza sensi di colpa: la parte migliore dell’essere a casa e a letto malati). Dopo pochi giorni decisi che, per farmi passare la
febbre, era arrivato il momento di fare qualcosa di più attivo. Quindi ogni
notte ammassavo le coperte una sopra l’altra, sudavo, cambiavo lenzuola e
pigiama almeno due volte al giorno.
Ogni mattina mi svegliavo e non stavo meglio della sera precedente. Finalmente, mi arresi e chiamai un medico. Mi prescrisse del Tylenol con della
codeina. Doveva essere qualcosa di speciale, qualcosa di veramente pazzesco
perché pensavo realmente che ci volesse un camion intero di codeina per
mandarmi lungo e disteso durante una maratona di Lucy, il noto telefilm. Dopo aver assunto quelle pillole, i ricordi che ho del resto della giornata sono
molto vaghi, come se avessi i capelli rossi ed un accento cubano.
La temperatura si alzò: quaranta, quarantuno. Finalmente, dopo un’altra
notte passata a cambiare lenzuola e pigiama (ero sicuro che se avessi continuato così la febbre sarebbe sparita), aprii gli occhi e per un solo momento
vidi che avevo “compagnia”. Lì, ai piedi del mio letto, si era radunato un
gruppo di “persone”. Mi sembrava fossero sette, differenti per statura e per
fattezze: alcuni erano alti, alcuni bassi ed altri sembravano dei piccoli nani.
Rimasero lì il tempo necessario perché io li vedessi, e perché loro si rendessero conto che io li avevo visti.
Dopodiché scomparvero.
Prima che la mia mente fosse in grado di processare a livello conscio cosa era
appena successo, respirai. Quel respiro sembrava simile a quello di un neonato,
nel senso che sembrava fosse il mio vero primo respiro della giornata, come se,
dal momento in cui avevo aperto gli occhi fino a quello in cui i miei “visitatori”
se ne erano andati, non avessi respirato. Non appena cominciai ad inalare, udii un
tintinnio nel torace. Capii subito di cosa si trattava: stavo morendo.
Chiamai il mio medico e gli dissi che stavo andando da lui, poi chiamai un
taxi chiedendo che mi venisse inviata una macchina con aria condizionata
perché eravamo in estate e, con la febbre che avevo, bastava il mio di calore.
Stavo in piedi a malapena, ma riuscii ad arrivare alla porta e ad uscire in
strada. Il taxi arrivò... ovviamente non c’era aria condizionata. Montai comunque, in preda al delirio.
Nel suo studio il dottore mi fece delle lastre ai polmoni e mi disse di andare
direttamente all’ospedale. Mi disse anche di non fare nessuna fermata interme64
dia. Sembrava che avessi la polmonite. Sospettando che in ospedale mi attendesse qualcosa di più di una semplice visita, saltai su un taxi, andai a casa e
presi un pigiama, lo spazzolino da denti e tutto quello che mi era necessario.
All’epoca non avevo una copertura sanitaria, quindi dovetti aspettare un
po’ prima di essere ammesso in corsia. La mattina seguente mi portarono in
una stanza dove rimasi per dieci giorni completamente intubato e rifocillato
con un cibo dello stesso tipo di quelli serviti ai clienti delle compagnie aeree
low-cost. Quando mi dimisero, il mio peso era sceso a sessantatre chili (considerate che sono alto un metro e ottanta). Qualche tempo dopo, il mio medico mi disse che aveva pensato che non ce l’avrei fatta.
Non ricordo molto del tempo passato in ospedale, ma so di aver perso gran
parte della memoria a breve termine, probabilmente come diretta conseguenza della febbre così alta.
(Per quanto concerne i cervelli surriscaldati, avete mai notato quanto simili siano le parole traspirazione [perspiration in inglese, N.d.T.] e apparizione
[apparition in inglese, N.d.T.]? Entrambe hanno due P e due I, cinque vocali,
quattro sillabe... e una può produrre l’altra). Chi erano quelle persone che
avevo visto ai piedi del mio letto a casa? Erano forse delle guide? Degli spiriti? Degli angeli custodi? Erano forse un gruppo di osservatori inter-dimensionali? O, più semplicemente, allucinazioni generate dalla mia febbre? In
altre parole, un’illusione? Oppure erano qualcosa che realmente esisteva ma
che soltanto la mia mente mi consentiva di vedere, ossia delle creature che
vivono su un piano entro una delle undici dimensioni dell’esistenza secondo
i principi odierni del pensiero quantistico?
Non so. Ma di una cosa sono sicuro: se non avessi visto quelle persone il
giorno in cui il mio torace si mise a tintinnare, avrei senz’altro continuato a bere
del succo e a raggomitolarmi nelle coperte, e quasi certamente sarei morto.
Era comunque qualcosa che ancora non ero pronto a fare. Avevo altri piani.
E forse qualcosa o qualcuno aveva dei piani per me.
Resurrezione - di nuovo
Come parte normale del percorso professionale da me scelto, diventai un
“esterno”. In effetti, un “tirocinante” presso uno studio chiropratico abilitato.
Nonostante sotto tanti punti di vista fosse qualcosa di gratificante, questa fase
della mia nuova carriera di chiropratico non è esattamente ciò che può
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essere definita un’attività lucrativa. Come tutti, pensavo che i medici sapessero come far funzionare uno studio. Mi sbagliavo. Nella pratica, c’erano molte
cose che non sapevo. Le relazioni con i pazienti rappresentavano il problema
principale. Il nostro accordo era che io avrei dato loro il 50% dei miei guadagni. Poiché trattavano i loro pazienti meno che gentilmente, diciamo così, non
doveva costituire alcuna sorpresa il fatto che trattassero i miei ancora peggio,
e considerato il modo in cui venivano trattati, molti dei miei pazienti non tornavano più.
Con una base di guadagno data solo dal 50% delle entrate e una base poco
solida di pazienti, riuscivo a malapena a pagare l’affitto dell’appartamento e
dello studio. Quanto più lavoravo, come esterno, tanti più soldi dovevo. Quanti
più soldi dovevo, quanto meno potevo permettermi di andarmene, fino a quando, dopo tre anni, fui costretto o ad andarmene o a porre fine alla mia carriera.
Me ne andai.
Quell’esperienza mi diede comunque qualche piccolo beneficio, anche se
marginale. Uno dei pazienti sembrava essere inestricabilmente legato al film
Resurrection che, come vi ho detto in precedenza, era uno dei miei preferiti.
Un’altra paziente era un membro della Academy of Motion Picture Arts and
Sciences, e mi portò alla cerimonia degli Oscar. Ero lì, in quel teatro a guardare
la cerimonia. Voltandomi, vidi Ellen Burstyn, una candidata inizialmente seduta nelle prime file, sedersi esattamente accanto a me. Strano pensai. Non mi
sembrava che all’inizio della serata quel posto fosse libero.
Dopo un po’, si alzò e se ne andò. Non l’ho più vista di persona, e neanche
più penso a quel quasi-incontro o a tutti quegli strani eventi che hanno segnato la mia vita: quegli “esseri” ai piedi del mio letto, le previsioni dei terremoti, la psicometria, gli orologi che “si accomodavano” da soli...
Perlomeno non ci pensai molto fino a tredici anni dopo, quando cominciarono le guarigioni.
Il fantasma di Melrose Place
In qualità di ex-esterno, senza molto tempo e denaro, presi la prima cosa
che mi potevo permettere: una stanza in un appartamento a Melrose Place, che
dividevo con due psicologi. Melrose Place, con tutti i suoi tre isolati, era considerato da molte persone una delle strade più interessanti di tutta Los Angeles, ma ovviamente le persone che l’avevano definita tale non avevano mai
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visto il mio nuovo studio. Trascinare i pazienti lungo una tortuosa rampa di
scale non era l’unico problema che avevo. Come tutti sanno, l’unico modo per
muoversi a Los Angeles è usare la macchina, e il parcheggio a Melrose Place
era una sorta di miraggio, cosa che mi spinse a stringere un accordo con i
proprietari del negozio di antiquariato in quell’isolato. Questo fu il motivo per
il quale molti dei miei pazienti-arrampicatori sociali andavano in giro a vantarsi che il loro chiropratico aveva un parcheggiatore privato.
Tutto ciò avvenne col tempo. All’inizio il mio più grande problema era
quello di trovare il modo di trasformare una sola stanza in uno studio da chiropratico. Usando tutta una serie di accorgimenti, riuscii a progettare tre stanze da quella camera, trasformando “la sala colazione” nella reception e letteralmente a infilare una scrivania ed una segretaria nella cucina più piccola che
possiate immaginare. Assunsi poi degli appaltatori per fare il lavoro.
Tutti coloro che hanno avuto a che fare con una ristrutturazione, sanno
bene che il lavoro può andare avanti per un tempo indefinito e superare di gran
lunga il budget iniziale. Per farla breve rimasi senza soldi e la banca non mi
poteva più concedere un prestito.
Ogni mattina arrivavo al mio studio completato per metà, ricevevo pazienti
e facevo un altro paio di cose: chiamavo la banca nel tentativo di farmi prestare
più denaro e stringevo le viti del mio nuovo sistema di illuminazione. A ventisette dollari a lampada, l’idea di avere delle luci incassate era sfumata, assieme
al preventivo iniziale e alla data di fine lavori prevista dagli appaltatori.
Per qualche motivo, ogni mattina le viti delle lampade si svitavano per tre
quarti. Mi trovavo all’angolo di una strada molto trafficata; quindi era possibile che le vibrazioni del traffico potessero essere la ragione di tutto ciò. Ecco
perché ogni mattina riavvitavo le lampade. Era un ciclo: la banca stringeva la
morsa su di me e io riavvitavo i miei sistemi di illuminazione.
Una sera, dopo che il mio “staff” se ne era andato a casa (una donna che
passava così tanto tempo a limarsi le unghie che non ho mai capito come mai
non ci fossero tracce di sangue su tutto ciò che toccava), rimasi da solo a lavorare con un paziente. Un leggero movimento attirò la mia curiosità e vidi
un uomo entrare nella stanza della caldaia. Sapevo che la porta era chiusa e
che quindi nessuno sarebbe potuto entrare. Rimane il fatto che vidi quell’uomo chiaramente: era alto circa un metro e settantacinque, aveva una faccia
rotonda e capelli molto corti. Aveva un vestito grigio e sembrava che avesse
più o meno trent’anni.
Sapevo, senza ombra di dubbio, che si trattava di un fantasma.
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La mattina seguente quando raccontai il fatto agli psicologi che dividevano
l’appartamento con me, rimasi sorpreso che entrambi fossero già al corrente
di questo visitatore. Non me ne avevano parlato perché avevano bisogno di
una terza persona per pagare l‘affitto ed avevano paura che la prospettiva di
un fantasma mi avrebbe spaventato.
La realtà era che del fantasma non mi importava più di tanto, mentre a lui
io sembravo dare fastidio. “Troppo scalpitio” disse un medium che pensava
di poter convincere il fantasma ad andarsene. “Non gli dà fastidio una persona
all’ora, ma tu stai portando troppi sconosciuti nella sua casa.”
Vidi questa persona mentre entrava nell’appartamento (il mio studio), trovare il luogo dove pensava che il fantasma passasse la maggior parte del suo
tempo e molto educatamente dire al fantasma che era morto, dopodiché gli
disse di “andare nella luce” o qualcosa del genere. Ci vollero più o meno trenta secondi.
Accadde una domenica, di notte. La mattina seguente entrai e diedi un’occhiata alle luci. Erano perfettamente avvitate, e così rimasero per cinque anni, fin
quando non le spostai perché dovevo ampliare le dimensioni del mio studio.
A qual punto squillò il telefono. Era la banca. Il mio prestito era stato approvato.
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Capitolo 5
Aprire nuove porte,
accendere la luce
“Tutto ciò che sta davanti e dietro a noi è poca cosa rispetto a
ciò che sta dentro di noi.”
Ralph Waldo Emerson
La zingara ebrea di Venice Beach
D
opo dodici anni avevo acquisito più della metà del secondo
piano dell’edificio di Melrose Place. Le cose andavano a gonfie vele. Lo studio aveva otto stanze per i trattamenti ed era
tenuto vivo da assistenti, terapeuti del massaggio, riflessologi
plantari, parcheggiatori e quanti più pazienti potessi riuscire a
gestirmi. Da un punto di vista emotivo, però, tiravo soltanto avanti.
Avevo appena terminato una relazione di sei anni che mi aspettavo sarebbe
durata per tutta la vita. In qualche modo riuscii a tirare avanti nei giorni immediatamente seguenti, quasi incapace di mettere un piede davanti all’altro. L’unica cosa più difficile dello svegliarsi al mattino e recarmi in studio era riuscire a
mantenere la concentrazione per i miei pazienti quando mi trovavo lì.
Come se non bastasse ciò che mi stava succedendo a livello personale,
nello stesso momento dovevo occuparmi di rinnovare completamente il mio
staff. La donna che lo aveva gestito fino a quel momento si trasferì dall’altra
parte dello stato assieme al suo fidanzato. Il momento della sua partenza coincise con un altro paio di partenze già precedentemente concordate. Occorsero
due persone per sostituire il precedente manager: una per gestire il lavoro
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dietro le quinte, come ad esempio il pagamento delle assicurazioni, i report
medici e la corrispondenza; l’altra per gestire le relazioni con i pazienti ed il
flusso dello studio. Questa posizione era chiamata front desk.
Come in uno show di Broadway (anche se in questo caso sarebbe meglio
dire una soap opera) il lavoro doveva proseguire e quindi iniziai a selezionare
persone per la posizione di front desk. Mi è sempre piaciuta in un receptionist la “personalità”, poiché un carattere socievole crea un legame con i pazienti, ed un carattere forte mi impedisce di annoiarmi.
Non avevo mai fatto un gran lavoro nell’assumere persone, ed un amico
che invece lo faceva per lavoro mi aiutò in tutto questo. Un altro paio di persone assistevano al processo di selezione. Mentre si susseguivano i candidati,
su tutte le altre, la figura di una donna catturò la mia attenzione, e anche quella di tutti gli altri. Che ci crediate o no, assomigliava, parlava e si comportava
come il personaggio recitato da Fran Drescher nel telefilm La tata: alta, con
capelli scuri e attraente, con un comportamento frivolo ed un accento acuto e
nasale tipicamente newyorkese, oltre ad una voce che avrebbe potuto mandare un diamante in mille pezzi. Era una ex aspirante attrice (come se esistesse
una cosa del genere).
Tutti mi dicevano: “Non assumerla, non assumere quella donna”. Ma io la
volevo. Più di ogni altra cosa, mi ricordava Bubba, e d’altro canto non credevo che una persona simile potesse esistere. Provai anche a non assumerla, ad
ascoltare il parere di gente più esperta che era venuta a darmi una mano, ma
questa figura mi affascinava troppo. Usare la logica non serviva a niente.
Si rivelò una relazione di amore/odio. Io l’adoravo, i pazienti la detestavano.
Un giorno mi disse che, dato tutto lo stress che avevo accumulato, una
giornata al mare mi avrebbe fatto bene. Tutto ciò significava, ovviamente, che
lei voleva andare al mare senza spendere una lira di benzina, ma che cavolo!
In fondo l’idea non era niente male. Quello stesso sabato ce ne andammo a
Venice Beach. Per un po’ ci rilassammo sulla spiaggia, poi lei si alzò e andò
a farsi un giro. Non appena tornò mi disse: “C’è una donna che legge le carte.
Hai proprio bisogno di fartele leggere.”
Non che avessi niente contro il farmi leggere le carte, è solo che avrei preferito andare da qualcuno che avesse delle credenziali migliori.
“Non mi va di farmi leggere le carte da una che se ne sta sulla spiaggia”,
le risposi.
Se una cartomante fosse davvero così brava, le persone andrebbero da lei,
pensai. Non si porterebbe certo un tavolino, delle sedie e tutti gli altri ferri
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del mestiere sul marciapiede di una spiaggia affollata, nel tentativo di fermare qualcuno ed effettuare una lettura.
Ma la mia receptionist insistette tantissimo, con le tipiche modalità della
tata del telefilm. Mi bastò guardarla negli occhi per capire che le proteste non
sarebbero servite a nulla. Poi mi confessò di aver incontrato questa donna ad
una festa e di averle detto che quel giorno sarebbe andata alla spiaggia. “Mi
imbarazzerebbe molto se non ti facessi leggere le carte”, disse, aggrottando la
fronte. “Per favoooore.”
Ormai sconfitto seguii la Tata sulla spiaggia infuocata per vedere questa
donna. Era seduta dietro un tavolo con le carte disposte nel tipico stile zingaresco. Dopo le dovute presentazioni mi disse: “Cocchino, abbiamo letture da
dieci e venti dollari.”
Cocchino? Davvero una zingara ebrea poteva parlare così?
Mi ero portato dietro più o meno venti dollari e pensando a quanta fame
avevo dissi: “Vada per quella da dieci.”
In cambio del mio denaro ricevetti una lettura decente, ma non memorabile del mio presente. Alla fine, quasi di sfuggita la donna disse: “Faccio qualcosa di veramente speciale che rimette in connessione i meridiani del tuo
corpo con la griglia che si forma tra i pianeti e che ci mette in contatto con le
stelle e gli altri corpi celesti.” Mi disse anche che come guaritore era qualcosa
di cui avevo bisogno. Mi disse anche che avrei potuto documentarmi su un
libro dal titolo Il libro della conoscenza: le chiavi di Enoch di J. J. Hurtak. la
cosa sembrava interessante, quindi le chiesi: “Quanto?”. Lei disse: “Trecentotrentatre dollari.” “No grazie” fu la mia risposta.
Sono le cose delle quali parlano al telegiornale. Mi sembrava già di sentire
la notizia: “Zingara ebrea a Venice Beach truffa un ingenuo chiropratico per
trecentotrentatre dollari...” L’immagine della mia faccia con su scritto stupido
appariva sullo schermo “...convincendo lo stesso a darle un vitalizio di centocinquanta dollari al mese per accendere candele in sua protezione.” Il solo
pensiero di aver preso in considerazione quell’offerta mi umiliò. Fu così che
io e la mia receptionist ci alzammo ed andammo ad usare tutto il nostro potere creativo per mettere insieme un pranzo decente con soli dieci dollari.
Potreste anche pensare che la storia finì qui, ma la mente umana lavora
spesso in modo misterioso. Non riuscivo a togliermi dalla testa le parole di
quella donna. Fu così che mi trovai a passare gli ultimi minuti della pausa
pranzo alla libreria Bodhi Tree vicino al mio studio, con l’intenzione di dare
un’occhiata veloce a Il libro della conoscenza: le chiavi di Enoch (il capitolo
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3.1.7 del quale mi aveva parlato la donna). La lezione più grande di quella
giornata fu che, se mai un libro fosse stato concepito per non essere letto rapidamente e con facilità, era proprio quello. Io comunque lessi tutto il capitolo. Questa cosa mi avrebbe perseguitato fin quando non l’avessi affrontata.
Aprii la scatola dei biscotti e chiamai quella donna.
Il lavoro doveva essere fatto in due giorni non consecutivi tra loro. Il primo
giorno le diedi i soldi, mi stesi su un tavolo a sentire la mia mente farfugliare
mentre la donna abbassava le luci e metteva musica in tipico stile New Age.
È la cosa più stupida che abbia mai fatto, mi dissi. Non riesco nemmeno a
credere di aver pagato tanto denaro ad una sconosciuta per farmi tracciare
con le mani delle linee lungo tutto il mio corpo. Lì disteso pensavo a tutti i
modi migliori con i quali avrei potuto spendere quel denaro, quando mi sorpresi a pensare beh, le hai appena dato il denaro, quindi potresti anche dare
un taglio ai pensieri negativi ed essere aperto a ricevere tutto ciò che c’è da
ricevere. Fu così che mi misi tranquillo e mi aprii. Quando la cosa finì la mia
mente mi disse che non era successo niente. Assolutamente niente. Io però
sembravo essere l’unico in quella stanza a saperlo. La donna mi mise a sedere come se la terra si fosse mossa, dicendomi di tenermi a lei mentre lentamente mi faceva percorrere il suo salotto.
“Radicati in terra” mi disse. “Torna nel tuo corpo.”
E poi la sentii: quella vocina non tanto tranquilla nella mia testa che diceva:
signora, non so cosa lei pensi sia successo, ma qualunque cosa sia, io di sicuro me la sono persa.
Avevo pagato per entrambe le sedute, quindi decisi che sarei tornato la
domenica seguente per la seconda. Quella notte successe una cosa stranissima.
Circa un’ora dopo essermi addormentato, la lampada accanto al mio letto, una
lampada che avevo da più di dieci anni, si accese improvvisamente e io mi
svegliai con la chiara sensazione che ci fossero altre persone in casa. Mi alzai
con molto coraggio, un coltello, uno spray al pepe, il mio fedele dobermann e
perlustrai l’appartamento. Non c’era nessuno. Tornai a letto con la sensazione
di non essere solo, che qualcuno mi stesse osservando.

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La seduta successiva cominciò più o meno come la precedente, anche se fu
subito chiaro che sarebbe stata tutta un’altra cosa. Le mie gambe non ne volevano sapere di rimanere ferme. Avevano quel tipico moto che una volta ogni
tanto colpisce le persone nel mezzo della notte. Quella sensazione si impossessò presto di tutto il mio corpo, assieme ad un freddo insopportabile. Non
riuscivo a fare altro che rimanere immobile sul tavolo e per quanto desiderassi balzare in piedi, scendere dal tavolo e togliermi quella sensazione, non
osavo muovermi. Perché? Perché avevo dato a quella donna più soldi di quanti non ne spendessi in cibo in una settimana, e volevo vivere la cosa fino in
fondo. Ecco perché!
La seduta finalmente finì. Era un giorno di agosto di caldo opprimente e
nonostante fossimo in un appartamento privo di aria condizionata, stavo quasi per congelarmi, con i denti che battevano mentre questa donna mi avvolgeva con delle coperte, sotto le quali rimasi per circa cinque minuti, fino a quando la temperatura del mio corpo non tornò alla normalità.
Adesso ero diverso. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, né mi era
possibile riuscire a spiegarlo; eppure non ero più la persona di quattro giorni
prima. In qualche modo riuscii ad arrivare alla macchina, che per fortuna sapeva la strada di casa.
Non ricordo più niente di quella giornata, neanche se ci sia stato un resto
della giornata. So soltanto che il giorno seguente mi ritrovai al lavoro.
L’odissea era cominciata.
Qualcosa sta succedendo
La mia memoria torna al momento nella quale misi piede nel mio studio.
Era come se parte del mio cervello fosse stata tolta dal mio cranio il giorno
precedente e fosse stata appena rimessa al suo posto.
Ma quella non era l’unica cosa strana. Mi trovai anche ad affrontare una
serie di domande: “Che ti è successo nel week-end? Sei diverso! Parli in modo diverso!” Certamente non avrei risposto: “Ho pagato una cartomante trecentotrentatre dollari per tracciare delle righe sul mio corpo con la mano;
perché me lo chiedete?”
Ad alcune domande è meglio non rispondere.
“Oh, non è niente” rispondevo con noncuranza, mentre mi domandavo
cosa fosse realmente successo nel fine settimana.
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Era sempre stata mia abitudine far stendere i pazienti ad occhi chiusi per
circa un minuto dopo i trattamenti. Questo dava loro tempo e modo di rilassarsi
e di lasciare che il trattamento “attecchisse”. Quel lunedì sette dei miei pazienti,
alcuni dei quali erano miei clienti da dieci anni, mentre altri li vedevo per la
prima volta, mi domandarono se mi fossi mosso intorno al tavolo mentre erano
distesi. Alcuni chiesero se non fosse entrato nessuno nella stanza, perché sembrava che più persone stessero camminando intorno al tavolo. Tre di loro dissero che era come se delle persone corressero attorno al tavolo e due mi confidarono che sembrava che qualcuno stesse volando sopra il tavolo.
Facevo il chiropratico da dodici anni e non avevo mai sentito niente di simile. Quello stesso giorno, la stessa cosa mi fu riferita da sette persone. Non
c’era bisogno che mi cadesse un pianoforte in testa per capire che stava succedendo qualcosa!
I pazienti mi dissero che sapevano dove si trovassero le mie mani ancora
prima che io li toccassi. Sentivano le mie mani anche quando queste erano
trenta centimetri lontane da loro. Diventò una specie di gioco vedere con
quanta accuratezza potessero determinarlo. Diventò qualcosa di più di un
gioco quando le persone cominciarono a ricevere delle vere e proprie guarigioni. Inizialmente le guarigioni erano meno plateali: dolori, fastidi e cose del
genere. Quando i pazienti venivano per trattamenti chiropratici, li aggiustavo
e poi dicevo loro di chiudere gli occhi, di rilassarsi e di riaprirli solo quando
glielo dicevo. Quando gli occhi erano chiusi, passavo le mani sopra i pazienti per qualche secondo. Quando questi si alzavano e si rendevano conto di non
avere più dolore mi chiedevano cosa avessi fatto.
“Niente, e non dirlo a nessuno!” diventò la risposta-tipo. Una risposta tanto efficace quanto il famoso approccio di Nancy Reagan contro le droghe:
“Just say no”, di’ di no.
Cominciarono presto a venire pazienti da ogni dove, in cerca di queste
guarigioni. Non avevo la benché minima idea di cosa succedesse, e nessuno
d’altra parte mi aveva dato il libretto delle istruzioni. Tenevo contatti regolari
con la donna a Venice Beach; dopo tutto dovevo parlare con qualcuno, perché
accadevano cose strane anche in casa e non potevo certo parlare di queste
cose ai miei amici “sani di mente”.
“Deve venire da qualcosa che era già dentro di te” disse la donna, per poi
aggiungere “forse ha qualcosa a che fare con l’esperienza di quasi-morte di
tua madre al momento della tua nascita. È molto strano. Non è mai successo
niente di simile prima.”
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Quel giorno sulla spiaggia mi aveva consigliato di cominciare ad assumere
“essenze di fiori”, intuendo anche specificamente quali essenze. Ne aveva
intuite sei e mi disse che dovevo mischiarne solo cinque per volta.
Quindi passai il processo per determinare quali prendere e quale lasciare
fuori. Questa procedura poteva essere molto divertente o molto irritante per
coloro che mi conoscevano all’epoca, perché... diciamo che non ero famoso
per la fermezza delle mie decisioni.
Ordinai finalmente le mie gocce, e quando arrivarono le mischiai in cucina con
una cura che sarebbe meglio definire reverenza. Riempivo un misurino da un’oncia con tre quarti di acqua. Aggiungevo sette gocce di ognuna delle cinque essenze in ogni bottiglia. Ne tenevo una vicino al letto, una in valigia, una assieme alle
medicine ed una nel cassetto della scrivania nel mio studio. Con ritualità sacrale
mettevo sette gocce del mio nuovo preparato sotto la lingua per quattro volte al
giorno e come se non bastasse ogni tre giorni facevo un bagno a base di acqua,
succo di metà limone e sette gocce del preparato. Per venti minuti mi immergevo
in vasca bagnando tutte le parti della mia testa e del mio corpo suscettibili di disidratazione come per esempio il naso (che poi capii doveva rimanere per la maggior parte del tempo sopra il livello dell’acqua). Le istruzioni della donna erano
molto precise ed io le seguivo con ancora molta più precisione.
Perché ve ne parlo? Perché in queste notti rituali, dopo aver chiuso tutte le
porte e inserito l’allarme, e dopo essere andato a letto, mi svegliavo con la
sensazione di avere delle persone in casa. Mi alzavo con il cuore in gola e
passavo in rassegna tutta la casa, con l’idea che in qualsiasi momento avrei
potuto trovare qualcuno... e scoprivo che una porta che avevo chiuso era aperta e/o una luce che avevo spento era accesa.
Porte che si aprono e luci che si accendono, una bella metafora. Allo stesso
tempo non guardavo tutti questi fenomeni da una distanza tale da poterli riconoscere. Sapevo soltanto che qualcosa di decisamente non ordinario stava
succedendo in casa mia e volevo risposte. La zingara non ne aveva, ma non
sembrava neanche preoccupata, e quindi non lo ero neanche io.
Ancora non sapevo che molto presto avremmo passato la zona di comfort.
Bollicine e sanguinamenti
Alcuni pazienti venivano ancora per trattamenti chiropratici, inconsapevoli delle “altre cose” che succedevano nel mio studio. Uno di questi pazienti mi
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era stato inviato dal suo ortopedico, incapace di risolvere il suo problema alla
schiena. Questa donna aveva quasi cinquant’anni e da tanto tempo soffriva di
questi dolori. Il giorno che venne da me il dolore era particolarmente intenso, e
non solo alla schiena. Mi disse di avere una malattia degenerativa al ginocchio
destro dall’età di nove anni, e che il dolore al ginocchio era quasi intollerabile.
La manipolai, quindi le chiesi di chiudere gli occhi e di non riaprirli fin
quando non glielo avessi detto. Mentre i suoi occhi rimanevano chiusi mi
avvicinai al ginocchio destro, tenendo le mani ad una distanza di circa quindici centimetri e muovendole con piccoli movimenti circolari. Sapevo che
c’erano sempre delle sensazioni nelle mani quando eseguivo queste operazioni, e stavolta la sensazione fu di calore. È tutto ciò che notai: calore, magari
un pochino più del solito.
Una volta terminato le chiesi di aprire gli occhi. Quando lo fece mi disse
di sentirsi meglio. Devo ammettere che mi stavo abituando a risposte di questo
tipo. Sembrava accadere molto spesso. Ciò che invece mi sorprese fu ciò che
successe subito dopo. Accompagnai la donna alla porta e quando fummo vicini alla scrivania, ci mancò poco che la receptionist non cadesse dalla sedia.
“Guarda!” squittì mentre indicava la mia mano. La guardai. I palmi erano
coperti di bolle, delle bolle piccolissime. Settantacinque, cento, forse ancora
di più. Dopo tre o quattro ore se ne erano andate.
Queste bolle si presentarono in più di un’occasione ed in un certo modo io
ero contento: era una manifestazione visibile di qualcosa altrimenti invisibile.
Era qualcosa che potevo mostrare alla gente: “Le vedi queste?”
Poi successe che i palmi delle mani cominciarono a sanguinare. Non sto
scherzando. Anziché bolle, usciva sangue; non rivoli di sangue come nei vecchi film o sul National Enquirer, quanto piuttosto come dopo aver poggiato
la mano su degli spilli. Era proprio sangue.
Se molti dei miei pazienti rimanevano in silenzio, altri le osservavano più
da vicino.
“È una iniziazione” disse qualcuno.
“A che cosa?” chiesi.
Nessuno lo sapeva.
E del resto, come potevano saperlo loro? Perché non lo sapevo io? Chi lo
sapeva davvero?
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In cerca di risposte
Non solo continuava la mia ricerca di una spiegazione, addirittura accelerava. Scoprii i nomi e i background di molte delle persone rinomate per la loro
conoscenza dei fenomeni spirituali e paranormali. Comprai le loro cassette che
ascoltavo in macchina, sviluppando domande che volevo sottoporgli.
Ogni tanto ci riuscivo.
Quando seppi che Brian Weiss, M.D. e autore di Molte vite, molti maestri
avrebbe tenuto un seminario di un giorno, mi organizzai per parteciparvi. Il
Dottor Weiss è uno dei massimi esperti mondiali nel campo delle regressioni
a vite precedenti. Aveva cominciato come un normale psichiatra e ipnoterapeuta, ma trattando alcuni pazienti si convinse della realtà delle vite precedenti e dell’effetto che esse possono avere su quella presente.
Speravo che, se avessi preso parte al seminario, avrei potuto parlargli durante una pausa per vedere se avesse potuto illuminarmi su ciò che stava
succedendo nella mia un-tempo-normale vita.
Ci fu un break, ma non ciò che mi aspettavo.
A quell’evento presero parte circa seicento persone, tutte desiderose di
parlare con il dottor Weiss nella speranza non solo che questi potesse essere
attratto da ciò che gli veniva detto, ma anche che avesse il tempo di parlare
con loro per farli sentire importanti. In effetti poche persone capivano o comunque erano interessate a saperlo, che seicento persone ad un minuto ciascuna significavano dieci ore di domande, più il tempo dell’intero seminario.
Io, naturalmente, ero uno di questi. E come tutti gli altri sentivo che le mie
domande dovessero essere poste. Quindi attesi il momento adatto per alzare
la mano, come una naturale interruzione della spiegazione, argomenti correlati alle mie domande e così via. La seconda opzione avrebbe dovuto aver
bisogno di molte imbeccate, poiché avrei dovuto introdurre la domanda con
un piccolo riassunto di ciò che mi stava succedendo, eventi che toccavano più
o meno ogni argomento trattato dal dottor Weiss.
Non solo le domande non venivano raccolte, ma i partecipanti non erano
neanche invitati a sottoporne.
Arrivò la pausa pranzo. Il seminario era a metà e ancora non avevo avuto
la mia occasione.
Dopo la pausa, il dottor Weiss annunciò che avrebbe condotto una regressione ad una vita passata sul palco e aveva bisogno di un volontario. Cinquecentonovantasette mani si alzarono (gli altri tre dovevano essere ancora in
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bagno). Il dottor Weiss annunciò che avrebbe scelto cinque persone e poi
avrebbe effettuato un test oculare su ognuna di loro per determinare il soggetto migliore. A quel punto gli altri quattro sarebbero tornati ai loro posti.
“Uno, due, tre, quattro, cinque...”, e il dottor Weiss scelse i volontari che
presero posto sul palco. Io non ero tra loro.
Quelli non scelti abbassarono le mani ansiosi di godersi lo spettacolo...
quando il dottor Weiss rivolgendosi al pubblico come se avesse perso qualcosa puntò il dito: “Tu! Non avevi forse la mano alzata?”
Guardandomi intorno, mi resi conto che tutti gli altri stavano guardando me.
“Sì” dissi imbarazzato e piuttosto incerto “ma non aveva già scelto cinque
persone?”
“Volevi venire su?” Certo che volevo andare su, che razza di domanda.
“Beh, sì” gli risposi.
“Allora vieni su” mi disse.
Dire che avrei voluto sprofondare in un piccolo antro aggiunge un altro importante livello alla parola minimizzare. Era più facile pensare di essere parte di
un gruppo di cinque persone piuttosto che l’unico a fare una cosa del genere.
Ma ci andai, dopo aver ricevuto un paio di gomitate amichevoli sulle costole ed un paio di neanche molto ben mimetizzati sguardi in cagnesco. Non
potevo certo biasimarli. Tutti volevano una regressione fatta da Brian Weiss.
Il dottor Weiss mi fece salire e mi descrisse il test oculare che avrebbe
condotto su ognuno di noi. Si trattava sostanzialmente di un test di suggestionabilità ipnotica nel quale dovevamo guardare in alto senza muovere la testa,
per poi chiudere lentamente gli occhi in modo che lui potesse vedere il movimento sotto le palpebre. Da questo era in grado di determinare quale di noi
fosse il soggetto più suggestionabile all’ipnosi regressiva.
Nel caso in cui non l’abbiate ancora capito, il più suggestionabile risultai
io. Forse lui lo sapeva già.
Mi fece sedere su un panchetto, mi disse di chiudere gli occhi, mi impartì
alcune suggestioni e quindi mi chiese: “Cosa vedi?”
Mi resi conto che guardavo in basso verso me stesso, anche se avevo gli
occhi chiusi. Vidi una pelle abbronzata, di un colore differente rispetto alla
mia, quella tipica della carnagione mediterranea. Capii improvvisamente di
essere un giovane ragazzo in un’epoca lontana, nel deserto. So anche che, per
gli standard odierni, apparivo più vecchio di quanto in realtà non fossi. Sulla
base di quanto dissi al dottor Weiss e a tutto il pubblico ero “un giovane ragazzo tra i dodici e i diciassette anni”.
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Descrissi l’ambiente che mi circondava: una corte interna di un grande edificio dotata di colonne in pietra. In mezzo alla corte stava un’altra colonna, più
alta di quanto i miei occhi non riuscissero a vedere. Era enorme, un metro e mezzo di diametro, grande abbastanza da potersi nascondere, cosa che effettivamente stavo facendo. A questo punto dissi ad alta voce: “Sono tornato in Egitto”,
mentre nella mia mente pensai: Dio! Egitto! Tutti dicono che tornano in Egitto.
Me lo sto forse inventando? Poi proseguii dicendo: “Vivo nel palazzo del faraone”, quindi sono un nobile. “Ma il mio sangue non è quello del faraone.” Sì,
certo, adesso sono pure Mosè. Non riesco a credere a ciò che sto dicendo.
Davanti all’occhio della mente si sviluppò una storia e, vera o non vera che
fosse, non riuscivo a fermarmi. Dissi che mi nascondevo dietro la colonna nel
tentativo di non essere visto da una guardia. Mi ricordo anche che tutto questo
mi appariva un po’ strano perché, dopo tutto quella era casa mia. Sapevo anche che il mio obiettivo era quello di introdurmi, non visto, lungo una rampa
di scale che portava ad una camera in basso, dove i maghi di corte tenevano i
loro ferri del mestiere.
A nessuno, neanche a me, era consentito accedervi. I maghi ritenevano di
essere gli unici in grado di usare quegli strumenti. Io invece sapevo di essere
l’unica persona in grado di saperli usare correttamente; i maghi si ingannavano o ingannavano tutti noi.
Sapevo anche che tra i tesori nella camera sotterranea si trovavano anche
degli scettri d’oro di lunghezza variabile, anche di quasi due metri. Erano
tutti coperti di gemme preziosissime; uno in particolare aveva una serie di
denti dorati. Questo aveva un’immensa pietra verde scura, uno smeraldo o una
moldavite, qualcosa che avrei conosciuto di lì a qualche tempo.
Subito dopo mi ricordo aver sentito il dottor Weiss dire: “Ok, portiamoci
alla fine di questa vita.”
Andai ancora avanti. Improvvisamente sapevo di esser morto e di aver lasciato quella vita. La coscienza che avevo a quel tempo mi diceva che il potere
non era nelle bacchette, ma in me, e che lo portavo con me da una vita all’altra.
Così finì la mia seduta. Da allora, così come oggi, non sono sicuro di non
essermi inventato tutto quanto. Quando ero sul palco, ho certamente sentito il
bisogno di uscire fuori con qualcosa da dire.
Dopo la fine del seminario, molte persone presenti mi dissero che se avessi assistito alla cosa avrei saputo che non si trattava di qualcosa di inventato.
Il dottor Weiss mi disse poi che durante la regressione avevo portato delle
informazioni che lui aveva già appurato per il libro al quale stava lavorando.
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Era molto difficile che io sapessi quelle cose prima di salire sul palco, mi
disse.
Non potevo altro che essere d’accordo. E nonostante non ci fosse niente in
quell’esperienza a dirmi che si trattava di una cosa vera, niente di tutto ciò
che avevo raccontato poteva essere provato nella mia ricerca sull’antico Egitto scritta in terza elementare.

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Capitolo 6
La ricerca
delle spiegazioni
“Riconosci ciò che vedi,
e ciò che è nascosto diventerà chiaro.”
Dai Vangeli apocrifi di Nag Hammadi
P
ensavo che qualcuno dovesse sapere cosa significassero tutti questi avvenimenti. Certamente le mie esperienze non erano uniche.
Qualcuno da qualche parte doveva avere la risposta.
Cominciai, ovviamente, con la donna di Venice Beach. Quando
sentì parlare delle bolle e dei sanguinamenti ammise di non avere
idea di cosa stesse succedendo e del perché. Non aveva più ipotesi sulle quali lavorare e tutti i luoghi comuni sulla New Age non la supportavano più; era
quindi arrivato il momento di contattare un’altra donna, la persona che “aveva insegnato a lei e a chiunque altro” questo lavoro. Mi diede un nome ed un
numero di telefono.
Era troppo tardi per chiamare quella sera, così la chiamai il giorno successivo e raccontai a questa mia nuova “insegnante” tutta la storia: le luci che si
accendevano, le porte che si aprivano, le “persone” che percepivo in casa e
quelle che i pazienti sentivano nel mio studio, fino ai palmi pieni di bolle e
sangue. Ero ottimista sulla possibilità di imparare qualcosa che mi fosse stata
d’aiuto. Dopo aver finito di raccontare ci fu un lungo silenzio dall’altra parte,
poi l’insegnate disse: “Non conosco nessuno che abbia mai risposto in questo
modo. È affascinante.” È tutto quello che mi disse.
Apparentemente “affascinante” ha per la New Age lo stesso significato di
“sono cavoli tuoi, figlio mio”. Ma non mi volevo dare per vinto. Il mese seguen81
te, su consiglio di un amico, contattai un sensitivo di Los Angeles famoso in
tutto il mondo. Quando fissai l’appuntamento non dissi cosa mi era accaduto;
non dissi neanche come mi chiamavo. Volevo vedere se riusciva a scoprire
qualcosa da solo e magari, se avesse qualche idea su ciò che stavo passando.
Il giorno del mio appuntamento, senza fiato, perso e in ritardo di mezz’ora,
entrai nel suo studio, sprofondai in una sedia e feci finta di non vedere la sua
occhiataccia, quell’aspetto dato da una contrazione sfinterica, che vi riporta
indietro ad ogni singolo rimprovero ricevuto sull’importanza di essere puntuale
e allo stesso tempo mette in discussione il vostro valore di essere umano. Ero
sicuro che nei suoi giorni di libertà questa persona inoltrasse al Congresso delle
domande per il riutilizzo della parola tardy (tardivo, ritardatario N.d.T) nel sistema scolastico. Questa lettura sarebbe stata breve, ne ero sicuro.
Il sensitivo dispose le carte con estrema professionalità, attento a non dare
il benché minimo segno di calore umano o compassione. Guardò le carte e poi
mi guardò negli occhi, con quella che poteva essere definita un’espressione
da quiz o un severo cipiglio. “Cos’è che fa nella vita?” mi domandò.
Non so cosa pensate voi, ma a cento dollari l’ora ciò che io pensai fu: “Sei
tu il sensitivo. Dimmelo tu.” Mi trattenni dal verbalizzare i miei pensieri.
“Sono un chiropratico” dissi, attento a non rivelare niente che potesse colorire la mia lettura.
“Oh no” disse lui “è molto di più. È qualcosa che esce dalle tue mani, le
persone guariscono. Andrai in televisione” continuò “e verranno da te persone
da tutto il paese.”
Questa era l’ultima cosa che mi sarei aspettato di sentire da quest’uomo,
specialmente considerato il modo con il quale era iniziata la seduta. Diciamo
la penultima cosa, perché dopo mi disse che avrei scritto dei libri. “Lasci che
le dica una cosa” gli risposi sorridendo. “Se c’è una cosa della quale sono sicuro è che non scriverò nessun libro.”
E dicevo sul serio. Io e i libri non siamo mai andati d’accordo. A quel tempo avevo letto sì e no due libri, uno dei quali dovevo ancora finire di leggere.
Il mio passatempo preferito è sempre stato guardare la televisione. Ero, senza
ombra di dubbio, un teledipendente.
Cosa strana, dopo essere stato dal sensitivo mi ritrovai a leggere. E ancora
a leggere. La mia dipendenza dalla televisione aveva subito un brusco stop,
sostituita, oso dirlo, dalla lettura. Non mi bastava mai: filosofie orientali, vita
dopo la morte, informazione canalizzata, esperienze UFO. Leggevo tutto,
scritto da tutti, ovunque.
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A poco a poco la mia vita veniva gestita da questa strana nuova energia. La
notte mentre ero disteso a letto le mie gambe vibravano e le mie mani erano
costantemente “accese”. Le ossa del cranio vibravano anch’esse e mi fischiavano gli orecchi. Con il tempo cominciai anche a sentire dei suoni e in rare
occasioni addirittura delle voci in coro.
“È andata. Sono diventato pazzo.” Ne ero ormai sicuro. Tutti sanno che,
quando si impazzisce, si sentono le voci. Le mie cantavano. E pure in coro.
Non mi bastava un canto a bocca chiusa, un vocalizzo o magari un piccolo
gruppo a cappella. No, io avevo tutto il Mormon Tabernacle Choir.
E i miei pazienti? Vedevano colori: fantastici azzurri, tonalità di verde,
viola, oro e bianco. Sfumature di una bellezza mai vista prima. Sebbene fossero in grado di riconoscere questi colori, mi dicevano di non averli mai visti.
Mi fu detto da alcuni pazienti che lavoravano nel cinema che questi colori non
esistevano e che, neppure usando tutte le tecnologie a disposizione, sarebbe
stato possibile riprodurli. Nel sentire queste parole mi tornarono in mente le
esperienze di vita dopo la morte di mia madre, quando parlava delle “forme e
sfumature indescrivibili” che non esistevano nel mondo che aveva lasciato, e
come la loro vista l’avesse riempita di meraviglia.
Manifestare sintomi
Che capissi o no la fonte dell’energia che usavo, le guarigioni continuavano. Anche se tornavo a domandarmi quali fossero le sue origini, raramente
mettevo in discussione i risultati. Se lo avessi fatto, ci sarebbero state delle
persone con le quali non avrei neanche provato a connettermi per effettuare
una guarigione.
Avevo pianificato di attraversare il paese alla fine di quell’anno (1993) per
passare le feste con Zeida. La notte prima di partire, fui invitato ad una cena.
Non avevo voglia di andare, perché di norma tendo ad agitarmi oltre un limite ragionevole prima di una partenza (cosa portare, cosa lasciare, cosa mi dimenticherò). Riuscii comunque ad andare a quella cena.
Quando arrivai il padrone di casa mi disse che uno degli ospiti era in uno
stato avanzato di AIDS. Fu chiaro nel momento in cui lo vidi: la pelle aveva
quel colorito grigio tipico di quella malattia in stato avanzato, portava con sé
su un carrello una flebo di morfina e manteneva l’equilibrio servendosi di un
sostegno. Soffriva anche di una complicazione detta citomegalovirus, o CMV,
83
che aveva colpito l’occhio destro, occludendogli completamente la visione in
quel lato del corpo.
Quest’uomo aveva passato il punto nel quale si spera ancora che il dolore
possa passare, ma sperava di poter almeno recuperare la vista. Il padrone di
casa mi chiese se avessi voluto lavorare con lui e io dissi: “Certo, ne sarei
felice.” Lo portai in un’altra stanza e ci lavorai per circa cinque minuti, al
termine dei quali disse che il dolore era quasi scomparso.
Pensammo entrambi che si trattasse di un ottimo risultato, e lasciai la stanza. Un paio di minuti più tardi mi disse che riusciva a vedere da entrambi gli
occhi. Fu un momento veramente eccitante.
Egualmente elettrizzante, ma in modo differente, fu quando il mattino seguente, svegliandomi, mi resi conto che il mio occhio, quello sinistro, era diventato tre volte più grande! Per qualche motivo, ogni qualvolta “acquisivo”
temporaneamente i sintomi di un’altra persona, questi si presentavano solitamente nella parte opposta del corpo; il perché non lo so. Il mio occhio mantenne quelle dimensioni per circa trentasei ore.
Le bolle e i sanguinamenti non mi davano grossi problemi ma questo era
ben altro. Cominciai a chiedermi: “Sto forse prendendo, quando effettuo questo lavoro energetico, la malattia della persona su di me? Mi sto attaccando
a questa malattia? Tutto questo darà luogo ad una sorta di risposta a catena
dentro di me?” Tutte queste domande mi rendevano un po’ inquieto.
Poi la risposta arrivò improvvisamente: non avevo bisogno di manifestare
fisicamente i sintomi o i problemi di un’altra persona affinché la guarigione
potesse aver luogo; parimenti, non mi servivano questi segni per dimostrare
che stesse succedendo qualcosa di vero e potente.
Dopo quella rivelazione, non ebbi più nessuna manifestazione di tipo fisico.
Qualcun altro invece sì.

84
Capitolo 7
Il dono della pietra
“Qualsiasi tecnologia che sia sufficientemente sofisticata è indistinguibile dalla magia.”
Da The Lost Worlds of 2001, di Arthur C. Clarke
N
ella nostra cultura, gennaio è l’inizio dell’anno, periodo dedicato
alle riflessioni sul passato e ai propositi per il futuro. Guardando
indietro all’anno 1993 ciò che vedevo era una serie di guarigioni
che mi riempivano di soggezione e domande. Guardando in
avanti vedevo... cosa vedevo? Quanto sarebbe durato tutto questo? Dove mi stava portando? Non ne avevo la benché minima idea, anche perché
all’epoca non avevo ancora incontrato Gary (vedi capitolo uno) e avevo comunque
fatto esperienza delle potenzialità che queste guarigioni avrebbero rappresentato.
Naturalmente, nelle sedute di guarigione procedevo con l’intuito: non c’era
un libretto delle istruzioni, nessuna illustrazione e nessun consiglio proveniente da specialisti in questioni “metafisiche”. Tutto ciò che potevo fare era continuare quello che stavo facendo, nella speranza che ciò che mi stava portando
questa energia avrebbe continuato a fare la sua parte.
Come spesso succede, non riuscivo a scorgere la fase successiva del processo, fino a quando questo non si manifestava. Appena rientrato nello studio,
dopo le vacanze, uno dei miei pazienti mi diede una piccola scatola bianca.
Ricordo di aver avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di strano nel ricevere un regalo per le feste dopo le feste stesse. Sebbene fosse proprio il tipo di
scatola in grado di contenere un piccolo gioiello, sapevo anche cosa vi avrei
trovato. Da quando erano iniziate le guarigioni i pazienti mi portavano dei
regali. Tutti pensavano che avessi bisogno di qualcosa.
85
Quel “qualcosa” generalmente ricadeva in una di queste tre categorie:
1. libri o cassette (ne ricevevo moltissimi);
2. statue (mi sono stati dati molti più modelli di Buddha, Mosè, Gesù, la Vergine Maria, Krishna e tutti gli arcangeli di quanti possiate immaginare);
3. cristalli. I cristalli erano di due tipi: giganteschi, che devono stare
nell’angolo di una stanza, posto che la stanza sia abbastanza grande, e
tascabili. Le persone che mi regalavano i cristalli tascabili, prendono il
termine tascabile davvero sul serio. Si aspettano di vedere quel cristallo nella mia tasca! L’unico modo per evitare di metterlo in tasca è riuscire a capire su quale chakra posizionarlo e trovare il filo del colore
giusto con cui farlo penzolare.
Non avevo intenzione di arrivare a quel punto e mi mettevo i cristalli in
tasca. Nel giro di poco tempo le mie tasche cominciarono a straripare. Ogni
volta che mi piegavo per eseguire una manipolazione, almeno uno dei cristalli cadeva per terra. Quando mi piegavo per raccoglierlo, tutti i cristalli di
quarzo rosa, gli unici lisci e a forma circolare, decidevano di saltare dalla mia
tasca e di rotolare per il corridoio come biglie. Sono sicuro che, quando i miei
pazienti vedevano questa scena, immaginassero che ne avessi perso qualcuno,
quindi ogni volta che aprivo una scatola, come quella che tenevo in mano, mi
aspettavo di trovare qualcosa di blu, rosa o luccicante. Ma con mia grande
sorpresa, questa volta scoprii una pietra di colore verde scuro dalla forma
strana e irregolare che, avvolta com’era in un bel panno di cotone, appariva
assolutamente fuori posto. Mi ricordo di aver pensato che non era proprio
niente di speciale. Non luccicava e non rifletteva luce, ed inoltre aveva una
forma veramente grezza. Non risplendeva di nessun magnifico colore, anzi,
ad essere sinceri, era proprio di un colore verdastro scuro, quasi affumicato e
tendente al nerastro. Al massimo ricordava, sia come colore che come consistenza, un avocado maturo. In altre parole non rappresentava per niente il mio
concetto di cristallo.
“Cos’è?” chiesi. “Moldavite” fu la risposta.
Hmmm... Moldavite. Fossile. Che bel nome. Credo che alcuni fossili possono effettivamente assumere questo colore, pensai. Devo ricordarmene per i
doni dell’anno prossimo. Forse riuscirò a trovare alcune pietre chiamate fungus, in modo che nessuno riceva lo stesso regalo.
Consapevole del fatto che specifici campi di influenza sono spesso attribuiti
ad altrettanti specifici cristalli, chiesi il significato della moldavite.
86
“Guarda il colore!” disse il mio paziente, come se avesse letto i miei pensieri. Ignorando completamente la mia domanda e la molto-meno-che-entusiasta
espressione del mio volto, prese la pietra dalle mie mani e la mise vicino alla
finestra in modo da farci passare la luce. Non ero preparato a ciò che avrei
visto. Quando la luce del sole entrava da dietro, questa pietra, precedentemente opaca, si trasformava in un luminoso e diafano smeraldo, estremamente
provocante nella sua luminosa traslucidità.
Feci di nuovo la domanda: “A cosa serve?”.
“è difficile da spiegare. Mettila in tasca e la prossima volta che vai alla
libreria Bodhi Tree potrai informarti”, disse il paziente.
Misi la pietra verde in tasca e, senza pensarci più, continuai a lavorare.
Non avevo idea che il mio mondo, che già stava vacillando sul suo asse,
stava per capovolgersi completamente.

Più tardi, nel corso della stessa giornata, Fred venne in studio. Fred era mio
paziente da circa un anno e mezzo. Quel giorno per prima cosa lo manipolai,
poi gli dissi di chiudere gli occhi e di riaprirli solo quando glielo avessi detto.
Come sempre misi le mani sopra di lui e le passai lungo il suo corpo, ma
quando arrivai alla testa, questa fece un salto all’indietro. Gli occhi strabuzzarono, la bocca si aprì e la lingua cominciò a muoversi, formando chiaramente delle vocali. Dalla bocca usciva dell’aria.
Questo era, a dir poco, sconcertante. L’energia continuava a fluire dalla mie
mani e pensai: so che sta provando a parlare.
Mossi le mani nel tentativo di localizzare una zona dove la sensazione
fosse più forte. Con delicatezza mi mossi prima da una parte poi dall’altra,
ma da Fred non uscì nessuna parola, solo la pantomima di labbra e lingua.
Era frustrante. Vedevo chiaramente che cercava di parlare e volevo veramente sapere cosa avesse da dirmi. Avvicinai gli orecchi alla bocca, ma non riuscii a sentire niente.
Questa situazione mi mise in profonda soggezione, e allo stesso tempo
sapevo che le stanze intorno erano piene di pazienti che non erano abituati ad
aspettare. Ero sicuro che tutti si stessero domandando: “Cosa sta facendo il
dottore?” Dovevo smettere di lavorare con Fred.
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Ritrassi le mani ma non sapevo cosa fare con Fred, perché la lingua continuava a muoversi e continuava ad emettere suoni che facevano dedurre che
presto sarebbe riuscito a parlare. Lo toccai con gentilezza sul torace dicendogli:
”Fred, abbiamo finito”. Aprì gli occhi, mi guardò ed io lo guardai. Non
disse niente e neanche io dissi niente. Si alzò come se si fosse trattato di una
normalissima visita e se ne andò.
Decisi di dimenticare tutto. Come ho già detto, Fred era mio paziente da oltre
un anno e mezzo, e fino a quel momento era stato tutto relativamente normale.
Pochi giorni dopo, Fred tornò per un’altra visita. Dopo la manipolazione
portai le mani sulla sua testa e boom, scattò di nuovo all’indietro, le labbra si
aprirono, la lingua cominciò a muoversi e, come era successo la volta precedente, cominciò ad uscire l’aria dalla bocca.
Sebbene mi aspettassi che succedesse qualcosa, l’intensità del fenomeno
mi fece fare un passo indietro. Ero senza parole.
In un certo senso avevo co-creato l’incontro di quella giornata, perché
quando avevo visto Fred in sala d’aspetto avevo fatto in modo di spostare gli
altri pazienti nell’altro studio, in modo da avere più tempo a disposizione e
senza interruzioni. Non appena i movimenti che avevo notato in Fred cominciarono a manifestarsi, lasciai che le mie mani andassero alla ricerca di una
connessione più forte con la sua energia, un punto nel quale avrei potuto amplificare le sue risposte.
Finalmente, Fred iniziò a parlare.
Quando la maggior parte di noi parla, apre semplicemente la bocca e lascia
uscire la voce, niente di speciale. Ma sentire una voce formarsi da sola nell’etere
è un pochino... sconvolgente. L’aria che avevo udito la volta precedente cominciò
ad evolversi in vere e proprie parole. La voce che le trasportava iniziò sotto forma
di uno squittio strascicato: “Siamo qui per dirti...” disse la voce “... di continuare a fare ciò che stai facendo...” la voce continuò in modo gracchiante “quello
che stai facendo... è portare luce e informazioni sul pianeta.”
Mentre Fred parlava, la sua voce cambiava, passando da un acuto ad un
tono più grave, ma le frasi rimanevano estremamente meccaniche, come se
la fonte di questa comunicazione dovesse imparare ad utilizzare le corde
vocali di Fred. Ciò nonostante, tutto quello che diceva, era perfettamente
comprensibile.
In quel momento tutti gli ambulatori si erano riempiti di pazienti, in un
certo numero. Le mie stanze non avevano porte, il che significa che niente
impediva a questa strana voce di essere sentita in tutto lo studio.
88
Non volevo ancora che Fred se ne andasse. Mi chiedevo se avrei avuto la
personalità per dire: “Mi scusi, signora voce dall’Universo, che ha viaggiato da
così tanto lontano per comunicare con me, ma questo non è il momento migliore. Può tornare un pochino più tardi? Alle sette e mezzo sarebbe perfetto.”
Scoprii di non essere così tanto sfacciato, ma comunque me la cavai. “Come posso parlarti ancora?” chiesi alla voce di Fred.
“Mi potrai trovare nel tuo cuore” disse la voce.
Questa non è una risposta, è un biglietto di auguri come quelli che si vendono a Hallmark! Volevo sentire di nuovo questa voce.
“Potrò sentirti tramite un’altra persona?” Il responso fu abbastanza vago.
“Potrò sentirti ancora attraverso questa persona?” chiesi ancora.
Ancora una risposta vaga. Non ero disposto a lasciare correre, e quindi
insistetti. Finalmente la voce disse: “D'accordo. Potrai parlarmi di nuovo
attraverso questa persona.”
Toccai gentilmente Fred sul torace dicendogli: “Fred, credo che abbiamo
finito.” Aprì gli occhi e schizzò giù dal tavolo schiacciandosi al muro e assicurandosi di bloccarmi l’accesso al telefono. Più tardi mi disse che aveva
pensato che avrei chiamato il manicomio e che lo avrei fatto internare. Nonostante non si ricordasse gran parte di ciò che usciva dalla sua bocca, era perfettamente consapevole di ciò che era successo, quanto meno a grandi linee.
Mi disse che gli era successo altre volte. Lo aveva raccontato solo ad altre due
persone e non voleva che lo sapesse nessun’altro.
Si era accorto della voce che iniziava a parlare attraverso di lui già dalla
seduta precedente. Pensava di averla controllata e che io non mi fossi accorto
di niente. Stavolta però aveva perso il controllo subito e la voce era uscita. A
Fred non importava questa perdita di controllo. Sapeva di non essere responsabile di quello che usciva dalla sua bocca, ma era seccato perché non era in
grado di capire in modo coerente ciò che stesse dicendo. Descriveva il processo in questo modo: sentiva una prima parola, una seconda ed una terza, ma al
momento che giungeva la quarta si era dimenticato la prima. Lo disturbava
anche non riuscire a mettere insieme quei pensieri nella sua mente.
Gli dissi che avevo sentito parlare di fenomeni come la canalizzazione e/o
il parlare in lingue sconosciute, e che fosse interessante conoscere una persona che lo facesse. Catalogai tutto questo come una cosa “alla Fred”.
Ma un paio di giorni più tardi successe ancora, con tre pazienti diversi! Una
dopo l’altra le loro teste balzarono indietro, gli occhi strabuzzarono, le labbra
si aprirono, le lingue si mossero e uscì aria dalle loro bocche. Non avevo cer89
to intenzione di assistere come se si trattasse di un esperimento in doppio
ceco. Sapevo che alla loro prossima visita avrebbero parlato. Volevo delle
risposte, e le volevo adesso.
L’occhio dorato
A quel punto tornai dal sensitivo che mi aveva parlato delle mani. Dopo
tutto lui era affidabile. Effettuava delle letture per i reali del Medio Oriente,
tutta l’amministrazione Reagan e per svariate celebrità. Gli telefonai e gli
raccontai tutto ciò che stava succedendo. Ascoltò con attenzione e disse: “Non
so proprio cosa sia.”
La risposta non fu di quelle che infondono sicurezza.
“Vai da questa signora francese a Beverly Hills. Ha studiato queste cose e
probabilmente ti potrà essere d’aiuto, se mai qualcuno sarà in grado di farlo.
Si chiama Claude” (non chiedetemi perché non si chiamasse Claudine o Claudette; non sono in grado di darvi una risposta).
Fu così che andai da Claude. Pensavo che sarei andato lì, le avrei mostrato
le mani e le avrei fatto sentire cosa emanavo. Poi, nel mio scenario mentale,
mi avrebbe spiegato di cosa si trattasse, avrei avuto un pochino più di chiarezza ed avrei continuato a vivere la mia vita.
Sembra proprio che fossi l’unico con questa aspettativa. Claude mi fece
sedere sul divano e mise un cristallo in ognuna delle mie mani. Poi aprì un
poster gigantesco con su disegnata una stella. Ogni parte della stella aveva
un colore diverso. Come se non bastasse aveva incollato su tutta la sua superficie dei piccoli occhietti abbastanza bizzarri, evidentemente per creare un
certo effetto.
Mi disse di guardare la stella ed i colori e poi chiudere gli occhi. Cominciò
a guidarmi nella visualizzazione dei colori di base. Non mi andava proprio di
farlo. Nella mia vita stava succedendo qualcosa di reale; se avessi voluto immaginare le mie spiegazioni del fenomeno me ne sarei potuto stare tranquillamente a casa. Invece ero lì.
Chiusi gli occhi tenendo in mano i cristalli. Claude disse: “Adesso immagina il blu. È tutto blu.”
Non so voi, ma quando chiudo gli occhi l’unico colore che vedo è un grigio
antracite. Comunque provai.
“Blu” disse. “Tutto è blu.”
Ci sto provando.
90
“Adesso il rosso.”
Rosso, pensai.
“Verde.”
Verde.
“Giallo.”
Giallo.
“Arancione.”
Arancione.
“Adesso immagina l’oro. Tutto è oro” disse Claude. “Il cielo è d’oro, la
terra è d’oro, le montagne sono d’oro e c’è una cascata d’oro.”
Ok, tutto il mondo è d’oro.
“Mettiti sotto la cascata d’oro” continuò “senti l’acqua d’oro caderti addosso.”
Questa donna sta passando il limite, pensai.
“Adesso immagina questo occhio d’oro, un occhio dorato gigantesco su nel
cielo. Farai le tue domande all’occhio.”
Proprio quello che avevo bisogno di sentire! Aprii gli occhi e le chiesi: “E
come mi risponderà? È un occhio.”
“Chiudi gli occhi e ti dirò quali domande fargli.”
“D’accordo” le dissi, e chiusi gli occhi.
“Chiedi all’occhio quanti filamenti di DNA hai.”
Nervoso e frustrato, aprii ancora gli occhi e la guardai. “Lo so quanti filamenti di DNA ho: sono un medico.” Le spiegai l’RNA e il DNA, i filamenti,
i doppi filamenti e le doppie eliche.
La donna ascoltò pazientemente. Dopodiché, come se ciò che avevo detto
non avesse la benché minima rilevanza, ripeté: “Chiedi all’occhio.”
Chiusi quindi gli occhi per la terza volta, chiedendomi come avrei fatto ad
uscire da quella situazione senza senso. Come avrei fatto a chiedere a quest’occhio (che non riuscivo a vedere) una cosa alla quale non poteva rispondere,
poiché si trattava di un occhio e non di una bocca, la cui risposta sapevo già
essere “due”, e lasciare l’appartamento di questa donna senza passare per un
gran maleducato? All’improvviso aprii gli occhi e, guardandola con l’innocenza di un neonato, mi sentii mentre pronunciavo la seguente frase: “Ne ho
tre. Ci sono dodici filamenti di DNA. Dodici.”
Nessuno mi aveva ancora detto che questa era una domanda divisa in due
parti e quindi non avevo idea del perché avessi risposto in quel modo. Anche
perché ciò che avevo appena detto andava contro tutto ciò che sapevo coscientemente fino a quel momento.
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“Oh” disse Claude “sei un pleiadiano.”
“Oh” risposi io, “e che cos’è un pleiadiano?”
Mi spiegò che quello delle Pleiadi è un sistema di sette stelle visibile dalla
terra (appena arrivato a casa controllai e constatai che aveva ragione).
Claude mi spiegò tutto. La Terra era considerata una stazione di luce e di
informazione per i viaggiatori dell’universo. Si fermavano sulla Terra per rilassarsi, ringiovanire e raccogliere informazioni, poiché la Terra era considerata una biblioteca vivente. Le persone che in quel particolare momento storico governavano il pianeta erano pleiadiani. Ad un certo punto c’era stata una
frattura ed uno scisma di natura ideologica e politica si formò tra due fazioni
di pleiadiani. Ognuno dei due gruppi voleva prendere il controllo, non solo
sull’altro gruppo, ma sull’intero pianeta. Ma poiché i membri di ogni singola
fazione possedevano la stessa forza e intelligenza, tutto ciò che potevano prevedere era un futuro fatto di continue battaglie per la conquista di una posizione di superiorità. Era inaccettabile per tutti, così fu stabilita una sorta di
tregua, fino a quando gli scienziati di un gruppo non riuscirono a trovare un
modo per disconnettere dieci degli originali dodici filamenti di DNA dai
membri dell’altro gruppo. Noi siamo ritenuti essere i discendenti di questi
pleiadiani modificati. E chi lo sapeva?
Quelli di noi dotati del terzo filamento, più vicini quindi ai nostri progenitori, erano tornati sulla terra per portare luce e informazione a tutto il pianeta.
Esattamente ciò che Fred mi aveva detto o, meglio, aveva canalizzato per me.
Non sto dicendo di essere un pleiadiano, o che i pleiadiani esistono realmente. Tutto ciò che a questo punto suggerisco è di continuiate a seguire
questa storia.
Concedermi alla causa
Andai alla libreria Bodhi Tree e mentre mi trovavo lì, decisi di fare qualche
ricerca sulla piccola pietra verde che avevo in tasca. Da ciò che appresi, la
moldavite non è un cristallo terrestre; si tratta di un meteorite caduto in Europa orientale circa quindici milioni di anni fa. Si dice che possegga l’abilità di
aprire la comunicazione (dipende dalla vostra fonte di informazioni) con angeli, entità ed esseri provenienti da altre dimensioni. È vero? Davvero questa
pietra ha la capacità di una comunicazione interdimensionale? Non so. Ciò che
so è che misi la pietra in tasca e la canalizzazione cominciò.
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Mi trovavo davanti ad una scelta. Le cose erano diventate un po’ strane
nella mia vita nel giro di un minuto, ancora prima che Fred cominciasse a
parlare. Dove mi avrebbe portato tutto ciò? Dovevo decidere se continuare o
meno lungo questo nuovo e sconosciuto sentiero. Cosa stavo facendo? Era
una cosa buona? Era una cosa negativa? Ascoltavo le voci “giuste”? Come
potevo esser sicuro delle intenzioni di chiunque si celasse dietro tutto ciò?
La mia risposta iniziale fu quella di chiedere a tutti coloro che pensavo
sapessero qualcosa: guaritori, medium, sensitivi ecc. La loro risposta fu praticamente unanime. Tutti pensavano che, fino a quando non fossi stato in
grado di determinare la fonte di queste voci, avrei dovuto starne lontano.
Mi trovavo di fronte ad un dubbio amletico. Come si faceva? Dovevo chiedere alla voce? Mi avrebbe lasciato con il vecchio dilemma “se è una voce
onesta ti dirà la verità e se è disonesta non lo farà”? Comunque andasse, la
risposta era sempre la stessa. Avrei dovuto colpirli con una pallottola d’argento? Mettere una collana di aglio? Comprarmi un’enorme croce? Trovavo veramente difficile da credere che questa voce (o queste voci) si sarebbero prese
la briga ed il tempo di viaggiare in lungo e in largo per l’universo, solo per
organizzare una burla galattica.
Mi resi conto che le emozioni attorno a questo processo avevano assunto
una gamma più ristretta di emozioni: dall’apprensione all’allarme, passando
per il panico. Divenne subito chiaro che tutti i consigli ben intenzionati che
avevo ricevuto, avessero un solo filo conduttore: la paura. Mi resi conto che
c’era un’altra scelta ben più grossa che dovevo compiere: se fossi stato disposto a basare le (potenzialmente) più grosse decisioni della mia vita sulla paura. Non lo ero. La risposta fu sia ovvia che incontrovertibile. Avevo deciso che
mi sarei concesso totalmente a tutto ciò che avrei incontrato sulla mia strada.

93
Capitolo 8
Intuizioni:
presente e futuro
“E avanti andiamo!”
I
Jackie Gleason
n studio, i tre pazienti che avevano parlato come aveva fatto Fred, tornarono per un nuovo appuntamento. Esattamente come avevo previsto,
boom, uno dopo l’altro le teste andarono all’indietro, gli occhi strabuzzarono, le lingue cominciarono a muoversi, l’aria cominciò ad uscire
dalla bocca... e cosa dicevano?
“Siamo qui per dirti di continuare a fare ciò che stai facendo. Ciò che stai facendo apporta luce ed informazioni al pianeta.” Esattamente ciò che aveva detto
Fred. Ma questi pazienti non conoscevano Fred. Neanche si conoscevano tra loro.
Due pazienti aggiunsero un’altra frase: “Ciò che stai facendo è riconnettere i filamenti.” Il terzo paziente disse qualcosa leggermente differente: “Ciò
che stai facendo è riconnettere le stringhe.”
Quando Fred tornò, mi disse di aver fatto della scrittura automatica, con la
sua calligrafia, e l’ultima riga (che parlava di me) diceva: “Ciò che sta facendo è riconnettere le stringhe.”
Due giorni dopo altri pazienti cominciarono a pronunciare queste frasi.
Facevo loro domande con estrema attenzione e scoprii che, a parte Fred, nessuno di loro aveva mai fatto niente di simile.
Per una qualsiasi ragione erano stati scelti quali veicoli per queste voci, ed
indipendentemente da quali altre parole uscissero dalle loro bocche, ripetevano le solite sei frasi.
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





Siamo qui per dirti di continuare a fare ciò che stai facendo.
Ciò che stai facendo apporta luce ed informazioni su questo pianeta.
Ciò che stai facendo è riconnettere i filamenti.
Ciò che stai facendo è riconnettere le stringhe.
Devi sapere che sei un maestro.
Siamo venuti grazie alla tua reputazione.
Pensai Ok, ciò che stai facendo è apportare luce e informazioni su questo
pianeta... Quindi aspettavo di ricevere queste informazioni...
Non sembravano giungere.
Bene, pensai, informazioni riguardo che cosa? Come far crescere frutti
giganti? Come allestire un sistema di difesa interplanetario? Come costruire
salsicce volanti? Ancora non avevo idea di cosa stesse succedendo.
Dissolvenza
Continuai ad attendere che le promesse si avverassero, ma nell’aprile 1994
qualcosa cominciò a cambiare. Per prima cosa le voci cominciarono a scarseggiare. La facilità con la quale le persone canalizzavano involontariamente
cominciò a diminuire e la stessa canalizzazione divenne meno frequente. Per
meglio dire, diminuirono drasticamente. Poi tutto finì. Con la sola eccezione
di Fred, non c’erano più canalizzazioni, non più voci.
Prima di tutto questo, a volte mi ero domandato se questa faccenda non
fosse una grossa burla. Forse la mia receptionist aveva scelto le persone a
casaccio e dando loro un foglio aveva detto: “Ecco cosa devi dire. Non fargli
vedere che hai il foglio”.
Le voci se ne erano andate e sapevo anche che non si era trattato di uno
scherzo. Niente avrebbe potuto essere più reale. Sentii un senso di vuoto.
Questi strani fenomeni, dopotutto, erano diventati il centro della mia vita.
Come poteva esser finito tutto?
Nel momento in cui le canalizzazioni cessarono, quelle sei frasi mi erano
state riferite da più di cinquanta persone. Ricordatevi inoltre che, con la sola
eccezione di Fred, nessuna di queste persone aveva mai avuto esperienze di
questo tipo e alcuni ne furono così spaventati da non tornare più. Tutto questo,
insieme alle coerenti descrizioni di varie entità, mi fece chiaramente capire
che, durante una seduta di guarigione, oltre a me e al paziente c’era qualcun
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altro nella stanza, e che l’altra persona, o “essere”, parlava per il tramite del
corpo della persona sdraiata sul lettino. Non so se i “canalizzatori” fossero come
delle radio che raccoglievano dei segnali dall’universo o se li ricevessero dalla
stessa sorgente centrale, ma poco importava. Il messaggio era chiaro e forte.
Questo spiegava perché le canalizzazioni subirono un’interruzione: avevo
capito il messaggio. Non era possibile poter negare, neanche io potevo farlo,
che qualcosa di reale e profondo stesse accadendo. Nonostante desiderassi
ancora un rafforzamento delle entità canalizzate, la sorgente aveva deciso che
avevo avuto tutto ciò di cui avevo bisogno. Era arrivato il momento di smettere di cercare e permettermi di vedere ciò che mi era già stato dato.
Quando passiamo attraverso esperienze come queste, sappiamo di connetterci con qualcosa proveniente da un altro luogo. Dimenticai rapidamente la
teoria della burla e mi misi in attesa. Ma quando queste “informazioni” misteriose che avrei dovuto ricevere non si presentarono, crebbe il senso di vuoto.
Cosa avevo fatto perché le voci mi avessero abbandonato?
Sentivo ancora le sensazioni nelle mie mani e continuai a lavorare con i
pazienti esattamente come avevo fatto. Le guarigioni continuavano. Fu in
questo periodo infatti che Gary venne da me, e ci fu quella che considero la
prima “grande” guarigione. A dispetto del mio dispiacere di non ricevere ciò
che pensavo fossero le informazioni che mi erano state promesse, continuavo
a lavorare con i pazienti e a muovere le mani su di loro come avevo sempre
fatto. Ogni tanto i muscoli facciali, in particolare quelli attorno alla bocca,
iniziavano a muoversi, senza peraltro mettersi a parlare.
Ciò nonostante, quando la sessione finiva, questi pazienti mi dicevano di
“aver visto” delle cose. I loro resoconti erano spesso simili: alcune forme,
colori... e certi tipi di persone. Chiamateli angeli, guide, entità, spiriti o qualsiasi parola vi sembri più appropriata. Qualunque cosa fossero, sulla base
delle descrizioni che ricevevo, apparivano spesso come persone reali.
Intuizioni e conferme
Più o meno nello stesso momento in cui “ebbi” l’intuizione di aver ricevuto un dono profondo, che io decisi di accettare, ricevetti una chiamata dai
produttori della serie televisiva The Other Side, che parlava di storie del mondo paranormale. Avevano sentito parlare di me e volevano che partecipassi al
programma. Accettai e portai Gary con me.
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Dopo che lo show fu trasmesso a metà 1995, persone provenienti da tutto il
paese si presentarono al mio studio. Una donna di nome Michelle venne da Seaside,
Oregon. Mentre era distesa sul lettino, cominciai a muovere le mani sopra di lei e
osservai le sue risposte muscolari involontarie mentre l’energia fluiva. Questo è
tutto ciò che vidi, ma quando finii, aprì gli occhi e disse: “Ho visto una donna. Credo sia un angelo custode. Mi ha detto che sarei stata meglio, che sarei guarita.”
La storia di Michelle
A Michelle fu diagnosticata una sindrome da fatica cronica e una fibromialgia. I suoi sintomi erano così seri che la maggior parte dei medici che l’avevano visitata pensava che avesse anche altre complicazioni. Tutto ciò portò ad
una continua prescrizione di antidolorifici e di medicinali di altro tipo. La sua
vita era un ciclo continuo di dolore e fatica. Piccole cose come lavare i piatti,
cucinare o anche solo alzarsi dal letto la mattina, diventavano spesso montagne insormontabili a volte impossibili da portare a termine. Suo marito doveva metterla sotto una doccia calda fino a quattro volte per notte per farle diminuire il dolore. Non riusciva a mangiare e pesava meno di quaranta chili.
Una sera mentre tutti in casa dormivano ingoiò una grande quantità di antidolorifici, mescolandoli assieme. Quando le medicine cominciarono a fare effetto si trovò a pregare: “Per favore Dio, aiutami. Non posso vivere in questo
modo, ma non voglio abbandonare i miei ragazzi.” Capì che non poteva più
restare ammalata, ma non sapeva neanche a chi chiedere aiuto.
Dovette essersi addormentata sul pavimento poiché la cosa seguente che ricordava fu quella di essere stata svegliata dal sole del mattino che entrava dalla finestra del bagno. Dolorante ed esausta, si trascinò fino al divano. Accese il televisore: stavano trasmettendo un talk show. Mi stavano intervistando assieme ad una
schiera di medici. La discussione riguardava i miei pazienti e come molti di loro
fossero guariti da afflizioni insolite. Mi guardò mentre spiegavo che le guarigioni
sembravano venire da una “forza superiore”, che in qualche modo passava attraverso di me. Michelle chiamò il canale televisivo e chiese il mio numero.
La prima seduta cominciò in una stanza tranquilla con luci soffuse e un’atmosfera sommessa. Posai leggermente un dito sul suo cuore e lei cadde subito in un sonno leggero. Misi poi le mani sopra la sua testa. Del calore entrò e
circondò il suo corpo. Il livello di energia nella stanza diventò estremamente
intenso, mentre i suoi occhi cominciarono a muoversi da una parte all’altra e
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le dita adottarono un movimento simile a quello delle marionette. Nello stesso momento ebbe un movimento involontario e continuo del ginocchio destro.
Ad un certo punto, la lasciai sola per un momento. Quando ritornai, Michelle mi disse di aver avuto la sensazione forte che un’altra persona fosse entrata
nella stanza. Sentì la voce soffice di una donna che cercò di dirle il suo nome.
Per lei era difficile esplicitarlo, poiché la comunicazione avvenne secondo ciò
che può essere descritta come una “quasi” voce. Inizialmente Michelle pensò
che questa donna avesse un comportamento un po’ eccentrico, ma poi le apparve chiaro che fosse frustrata perché Michelle non riusciva a capirla.
La donna disse a Michelle di essere il suo angelo custode e che il suo nome
fosse qualcosa come Parsley o Parcel. Più tardi riuscì a sentire il nome: Parsillia.
L’angelo poi le disse una cosa stranissima. “Sarai guarita. Ed andrai a raccontarlo in televisione.” Questo era, per il mio modo di pensare, non una cosa che
un angelo direbbe. Allo stesso tempo non spettava certo a me fare il correttore
di bozze. I medici avevano fatto tutto quello che era possibile per Michelle, ma
la presenza di Parsillia le disse che la sua vita stava ricominciando.
Dopo la seduta a Michelle tornò l’appetito.
La seconda seduta, il giorno seguente, fu altrettanto spettacolare. L’angelo
custode tornò e di nuovo molte parti del corpo di Michele si scaldarono, si
rilassarono e divennero molto calde. Divennero così calde che anche le gambe assunsero un colore rosa intenso. Ancora una volta Parsillia disse svariate
volte a Michelle che stava guarendo. Michelle infatti ebbe così tanta energia,
dopo la sua seconda seduta, da decidere di andare a fare shopping con sua
madre. Mentre erano fuori, sua madre dovette addirittura dire a Michelle di
fare piano. Fu una piacevole sorpresa per entrambe.
Durante la terza e la quarta seduta l’angelo disse a Michelle che era guarita e che avrebbe gradualmente notato altri cambiamenti. Michelle vide fiori
con dei colori mai visti prima e si sentì piena di felicità. Capì subito che ognuno di noi ha uno scopo. Le fu anche detto di passare più tempo con i figli.
Per Michelle la vita tornò ad essere normale. Riacquistò peso, cominciò ad
esercitarsi quotidianamente e mise su un’attività a tempo pieno.
Un po’ di conoscenza
Prima che Michelle venisse in studio, un certo numero di pazienti aveva
affermato di vedere apparire angeli o esseri dalla forma umana. Non avevo
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mai però sentito una storia tanto dettagliata ed elaborata come la sua. “Cosa
ti aspetti? Guarda cosa stai facendo”, mi dissi. “Sei destinato ad attrarre le
persone che credono di vedere gli angeli.”
Un paio di mesi dopo la guarigione di Michelle, venne in studio un uomo
di Beverly Hills. Non stava male; aveva sentito parlare di ciò che succedeva
nel mio studio e voleva sperimentarlo.
Dopo la seduta aprì gli occhi e mi disse: “Ho visto questa donna e mi ha
detto di dirti che era qui e che tu sai chi è. Sembrava avere un atteggiamento
un po’ eccentrico, ma che fosse frustrata per non riuscire a comunicargli con
chiarezza il suo nome. Era qualcosa che suonava simile a Parsley. Poi mi ha
detto: se avrai una guarigione, andrai in televisione a parlarne.”
Ero basito. Chi era questa pazza Parsley, l’angelo delle pubbliche relazioni? No, era una conferma.
Non vidi più quest’uomo. Non conosceva nessuno dei miei pazienti, ciò
nonostante sapeva dell’angelo col nome buffo.
Le cose cominciarono a farsi interessanti.
Una donna volò addirittura dal New Jersey con la figlia di undici anni affetta da scoliosi. Dopo la seduta aprì gli occhi ed apparve piuttosto sorpresa.
Come da abitudine chiesi: “Cosa è successo? Cosa hai notato?”
“Ho visto questo piccolo pappagallo multicolore che mi ha detto di chiamarsi George. Poi non era più un pappagallo, non era neanche una forma di
vita.”
Forma di vita. Lo aveva detto lei, erano le sue parole. Una ragazzina di
undici anni.
“Poi” aggiunse la ragazzina, “è diventato mio amico.”
Non molto tempo dopo un uomo, si presentò per una seduta al termine
della quale mi disse: “Mi sono trovato vicino a una statua, una grande statua
di marmo nei pressi di un vecchio lago greco o romano, molti e molti secoli
fa. Mentre guardavo verso la mia mano destra, ho visto questo piccolo pappagallo multicolore. Mi ha detto di chiamarsi George. E poi non era più un
pappagallo. E siamo diventati amici.”
A parte l’omissione di “forma di vita” erano esattamente le parole della
ragazzina.

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Mi sentii più vulnerabile del solito quando decisi di spiegare ciò che stava
accadendo a mia cugina. La sua opinione per me era importante. Feci un respiro profondo e mi feci forza. Con una cadenza goffamente impacciata, le
farfugliai frasi come “i palmi delle mie mani si riempivano di bolle”, “altre
volte sanguinavano” e “i miei pazienti perdono conoscenza e parlano con altre
voci”.
“Se me lo avesse detto qualsiasi altra persona” disse quando finii “non ci
avrei creduto. Ma so che non te lo sei inventato, ti conosco da sempre e hai i
piedi ben piantati per terra”. Sentire una cosa del genere dalla cugina che mi
faceva da babysitter mi fece subito capire che non avevo idea di come avessi
incontrato queste persone e che le percezioni che gli altri avevano di me erano
differenti dalle mie. Non pensavo che molte persone mi avrebbero creduto
quando raccontavo loro cosa mi stesse accadendo: perché sei tu, perché hai i
piedi per terra, perché sei realista, perché sei scettico...
Con i piedi per terra. Realista. Scettico. Sapevo di essere un po’ scettico,
fosse solo perché non credevo a queste persone, quando mi dicevano che
pensavano che io avessi i piedi per terra. Pensavo a me come a una persona
con i piedi per terra (quanto meno a volte), ma certamente non avevo idea di
essere percepito in quel modo.
Nonostante il sostegno di mia cugina, mi ci volle un po’ di tempo prima che
lo dicessi ai miei genitori. Non dimenticherò mai la risposta di mio padre: “Non
lasciare mai quello studio!”, come se gli angeli e il fantasma che infestavano il
fabbricato di Melrose Place, fossero in qualche modo confinati in quello spazio.
Fortunatamente queste guarigioni, compresi gli angeli e i colori, si materializzavano anche quando viaggiavo, e quindi sapevo che se queste entità fossero
state assegnate a Melrose Place, erano almeno in grado di guardare nella mia
agenda e di trovare un mezzo di trasporto per spostarsi con me.
Non che avessi bisogno di viaggiare così tanto, data la frequenza con cui
le persone venivano da me.
Il coraggio di proseguire
Le guarigioni si facevano sempre più stupefacenti e nonostante i risultati
fossero lusinghieri, non mi sembravano ancora abbastanza. Volevo ancora
sapere perché accadessero queste guarigioni. Cosa significava questo fenomeno? Da dove veniva? La mia ricerca della comprensione era infinita.
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Decisi di prendere parte ad un seminario di tre giorni del dottor Deepak
Chopra (il dottor Chopra è uno dei maggior esponenti della sintesi tra medicina e spiritualità, ivi compresa l’unione tra fisica quantistica e saggezza antica). La maggior parte dei partecipanti era costituita da medici ed altri professionisti. Forse per via del mio successo peculiare con Brian Weiss, pensai
che avrei potuto trovare un momento per fare al dottor Chopra una piccola
domanda, che avrebbe potuto darmi un’idea su ciò che mi stava accadendo e
sulle guarigioni. Notai la presenza di microfoni su piccoli palchi disposti
nella sala, che sembravano essere riservati per permettere al pubblico di partecipare.
Con l’andare del seminario nessuno, tra i membri dello staff, sembrava
accennare ai microfoni o alla possibilità di un’interazione con il pubblico. Il
tempo passava. Finalmente, poco prima della pausa pranzo del secondo giorno, non riuscì più a trattenermi. Alzai la mano e chiesi al dottor Chopra se
avrebbe, ad un certo punto, ammesso delle domande.
Il dottor Chopra mi sorprese facendomi lui una domanda: “Hai una domanda?”
“Si”, dissi.
“Vai al microfono e falla.” Mentre mi avviavo verso il microfono più vicino, in quello che sembrava essere un percorso infinito, cominciai a sentire il
volume dei miei passi in contrasto con l’improvviso silenzio che si era abbattuto sulla stanza, intervallato da pensieri molto rumorosi:
Chi è questa persona?
Perché ha chiesto di fare una domanda?
Volevo farla io una domanda!
Saremmo già potuti essere a pranzo.
E la proverbiale...
È meglio per lui che sia una buona domanda.
Quando mi avvicinai al microfono il dottor Chopra mi disse: “Qual è la tua
domanda?”
Non lo sapevo, ancora non l’avevo formulata. Per rendere le cose ancora
peggiori, mi resi conto che, se il dottor Chopra non avesse saputo alcune delle cose che mi erano accadute dal 1993, non sarebbe stato possibile fare nessuna domanda, anche dopo aver capito come formularla. Quindi, il più succintamente possibile, cercai di spiegare velocemente cosa era successo,
comprese le voci, i sanguinamenti e le bolle. Speravo che alla fine di questa
introduzione la domanda perfetta si sarebbe presentata alla mia bocca.
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Alla fine dell’introduzione mi trovai a dire: “Per favore, la prego di non
pensare che io non sia consapevole di come tutto questo possa accadere, perché lo so perfettamente. Mi chiedevo soltanto se avesse qualche consiglio o
qualche idea in proposito.”
Non era neanche una domanda. Guardai il dottor Chopra sporgersi in avanti da quel punto del palco.
Mi chiese: “Qual è il suo cognome?”
Feci un mezzo passo indietro: “Pearl!” bofonchiai.
Fece un cenno con il capo. “Ho sentito parlare di lei”. Guardò la sala. “Voglio che tutte le persone qui sappiano che ciò che quest’uomo ha detto è vero.”
Davanti a tutte le persone presenti, mi invitò al The Chopra Center for Well
Being a La Jolla, vicino a San Diego, per fare delle ricerche.
Seguì poi il consiglio: “Resta sempre come un bambino.” Cinque parole
che significavano davvero tanto.
Non le dimenticherò mai.
L’inizio delle ricerche
Come mi era stato predetto, sempre più produttori televisivi mi chiesero di
apparire nei loro show. Fox Tv voleva intervistarmi durante una grossa conferenza a San Francisco, assieme a persone del calibro di Andrew Weil, il
dottore dalla grande barba bianca autore del best seller Eating Well for Optimum Health (Mangiar bene per una salute ottimale, N.d.T.), un’opera a favore dell’interazione tra la medicina “tradizionale” e quella “alternativa”.
Prima di lasciare Los Angeles per il seminario, assolutamente inaspettata,
ricevetti una email dai miei genitori. Mi raccontarono una cosa abbastanza
sorprendente. Mio padre e il padre del dottor Weil avevano gestito lo stesso
cartello politico e avevano lavorato assieme in diversi progetti nella mia città
natale, anni addietro. I nostri padri erano amici. Prima di allora, non ero mai
stato al corrente di questa informazione.
Mia madre mi raccontò qualcosa di estremamente toccante sul padre del dottor Dan Weil. Agli inizi degli anni Ottanta, a mio padre furono impiantati quattro
by-pass. Durante la convalescenza Dan Weil, uomo compassionevole e cordiale,
scrisse una lettera a mia madre. La lettera evidenziava che durante la convalescenza molte persone mandano lettere e auguri al degente, dimenticando spesso
che è la persona che rimane a casa ad aver bisogno del supporto più grande. La
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lettera era gentile e piena di incoraggiamento, una cosa che i miei genitori non
avevano dimenticato. Dan Weil era passato a miglior vita e i miei genitori pensavano che al figlio avrebbe fatto piacere sentire quanto suo padre avesse toccato le loro vite. Scrissero una lettera e mi chiesero di fargliela avere.
Quando arrivai, Andrew Weil si trovava nella hall dell’albergo. Mi presentai e gli diedi la lettera. Chiese se poteva avere la lettera scritta dal padre per
poterla mostrare a sua madre. Scambiammo un paio di frasi cordiali, che io
pensavo essere le ultime che avrei scambiato con il dottor Weil.
Quella stessa notte ricevetti una telefonata dalla donna che, oltre ad aver
organizzato le interviste per la Fox, le avrebbe anche effettuate. La settimana
prima aveva avuto un incidente d’auto e si era rotta alcune costole, cosa che
la costringeva a camminare con un bastone e avere una respirazione molto
superficiale. Riusciva a mala pena a parlare, e non era la migliore condizione
per intervistare delle persone in televisione. Mi chiese se avessi potuta aiutarla quella sera. Le dissi che sarebbe stato un piacere. Si rivelò molto più di ciò.
Si rivelò un altro pezzo di quell’incredibile puzzle di sincronicità.
Il mattino seguente arrivai per l’intervista e scoprii che il turno del dottor Weil
sarebbe stato quello successivo al mio. Accadde che io, l’intervistatrice e lui ci
incrociassimo. Mentre il dottor Weil entrava, l’intervistatrice mi stava ringraziando dicendomi che non aveva più bisogno del bastone, affermando di essere in
grado di respirare profondamente e di essere in grado di condurre le interviste.
Il dottor Weil mi chiese cosa avessi fatto. Una volta terminato, mi invitò
all’Università dell’Arizona per una relazione da tenersi durante il suo programma per la medicina integrata (PIM). L’invito fu un onore che accettai con
gioia. Questo mi portò a Gary E.R. Schwartz, Ph.D., responsabile del Dipartimento per il Sistema dell’Energie Umane dell’Università dell’Arizona. Lui
e sua moglie, Linda G.S. Russek, Ph.D., sono gli autori di The Living Energy
Universe (L’Universo dell’Energia vivente, N.d.T.). Questa opera introduce
l’idea che ogni cosa, ad ogni livello di esistenza, è viva, dotata di una memoria e si evolve. Questo libro cerca di spiegare non solo alcuni dei più grandi
enigmi della scienza convenzionale, ma anche misteri come l’omeopatia, la
sopravvivenza dopo la morte e le abilità psichiche.
Il dottor Schwartz mi invitò a ritornare all’università per fare delle ricerche
sulle guarigioni. Accettai.

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Bivi
Gli eventi si succedevano sempre più velocemente. Ero tentato di continuare a lasciarmi trascinare, ma potevo farlo davvero? C’erano altre considerazioni da fare. Avevo passato una parte rilevante della mia vita a creare una
pratica di successo e questo mio coinvolgimento con “l’energia guaritrice” e
“gli spiriti canalizzati” non le aveva recato alcun beneficio. Per prima cosa,
come ho già detto, alcuni dei pazienti che canalizzavano erano stati così scossi dall’esperienza che non tornarono più. Ma non era la cosa peggiore. Immaginatevi di andare dal chiropratico e sentire voci strane provenire dalla stanza
accanto. Credo che molti di voi comincerebbero a farsi delle domande...
In molte occasioni mi sono detto: “Devi essere pazzo. Hai un mutuo, devi
pagare la macchina e hai una attività professionale che devi mantenere per
poter pagare tutto questo. Resta sulla chiropratica.”
Ma non era quello che intendevano le entità quando dicevano siamo qui per
dirti di continuare a fare ciò che stai facendo, e lo sapevo bene. Continuavo
quindi a fare questa “cosa” nuova. Anche quando le guarigioni diminuivano,
continuavo a lavorare con l’energia. Continuavo a fare ciò che stavo facendo.

Perché proprio a me? Era impossibile non pormi questa domanda. Mi è
stato detto che è una questione di ego, ma quando la propria vita viene letteralmente messa sottosopra ed i principi fondamentali della realtà accettati e
condivisi fin dalla nascita non si applicano più, diventa difficile non porsi
questa domanda.
Mi trovai a contemplare nuovamente la frase. Ciò che stai facendo è portare luce e informazioni sul pianeta. Questo significava chiaramente che ci
fosse qualcosa di più che semplicemente “guarire” le persone, almeno nel
senso tradizionale della parola guarire. Anche la frase “Devi sapere che sei un
maestro” aveva delle precise connotazioni. Il problema era che non riuscivo
a pensare a me stesso come ad un candidato per il ruolo di profeta. Mi piaceva bere, mangiare, divertirmi e stare fuori tutta la notte. È anche vero che la
mia passione per questi passatempi, in alcuni casi erano una vera e propria
ossessione, era molto diminuita sin da quel lontano giorno a Venice Beach,
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ed ancora di più dal giorno in cui, da dietro la finestra del mio studio, avevo
visto Gary arrampicarsi a fatica sugli scalini. Allo stesso tempo, altre persone
sembravano molto più “degne”, e ciò non aveva senso.
Parte di tutto questo può essere dovuto al fatto che sono un chiacchierone;
avevo spesso voglia di andare in giro a parlare di queste cose. Un altro motivo
può anche essere il fatto che io sia bravo a ridurre le distanze, e presentarmi
bene e lucido negli ospedali e nell’università dove sono spesso invitato a parlare a medici, educatori e ricercatori di un argomento che è, per non dire altro,
“al di fuori” della normalità. Allo stesso modo, non ho nessun problema a
parlare con le persone che si professano spiritualisti metafisici. Mentre questi
due gruppi che sembrano esistere agli estremi opposti tendono a passare la
maggior parte del loro tempo ad insultarsi o ad ignorarsi, io sembro possedere l’abilità di riuscire a metterli in contatto semplicemente come persone che
sono in grado di scambiarsi delle idee. Forse, alla fine della fiera, ero stato
scelto molto prima di rendermene conto. Forse ero stato scelto la notte stessa
in cui ero nato e mia madre era rinata, una notte in cui la magnifica Luce disse a mia madre che aveva un compito: crescermi. Forse, proprio in quell’istante, era stato scelto il mio futuro e il mio compito ed è possibile che ciò che
stava accadendo era che mi stavo riconnettendo ad esso.
Guaritore, insegna a te stesso
La guarigione di Gary e la seguente apparizione televisiva costituirono due
punti di svolta nella mia vita. Tutto d’un tratto mi trovai circondato da due
tipi di persone: quelle che volevano essere guarite e quelle che volevano che
io insegnassi loro a fare le guarigioni. Col tempo, vari tipi di scuole e organizzazioni cominciarono a contattarmi con la solita richiesta.
“Non puoi insegnarlo”, mi ripetevo. Come avrei potuto? Nessuno me lo
aveva insegnato. Era semplicemente... arrivato.
“Certo che puoi” era l’inevitabile risposta. “Moltissime persone insegnano
come guarire. Le librerie sono piene di libri ed altro tipo di materiale in materia”. Quelle persone cominciavano poi a snocciolare una lista di titoli ed
autori, molti dei quali vi saranno sicuramente familiari. Ma più leggevo ed
ascoltavo, più mi rendevo conto che, sostanzialmente, le istruzioni impartite
erano niente di più che queste: “Fate stendere il vostro cliente supino (o su una
sedia). Mettetevi su di un lato della persona (il vostro libro sarà felice di dirvi
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qual è il lato migliore), mettete la mano destra qui e quella sinistra lì, e poi
spostate la destra dove si trova la sinistra, spostando quest’ultima più in alto
lungo il corpo del vostro cliente...” (State tranquilli. Non solo il libro vi dirà
dove mettere le mani volta per volta, vi dirà anche da quale parte guardare e
in quale direzione camminare. Come se non bastasse, vi dirà anche cosa pensare mentre state facendo tutto ciò).
Questo, mi rendevo conto, non era guarire. Era un tango, e il mondo non
aveva certo bisogno di un’altra scuola di ballo.
I milioni di corsi e seminari sull’argomento non sembravano essere di maggiore aiuto, fossero essi grandi o piccoli, economici, cari o terribilmente cari.
Parliamo di uno di questi. Per diventare un guaritore non è necessario spendere quarantamila dollari per un corso quadriennale che studia altri guaritori
ed ipnotisti nel corso dei secoli. Parafrasando il dottor Reginald Gold, chiropratico e filosofo, tutto ciò non fa di voi un guaritore, vi rende semplicemente uno storico. In altre parole, molte scuole di guarigione non insegnano affatto a guarire: insegnano la storia dei guaritori. Imparerete ciò che questo
guaritore o tutti i guaritori pensavano e, se siete particolarmente sfortunati,
imparerete anche ciò che anche voi dovreste pensare.
Ogni volta che iniziavo una nuova esperienza formativa, libro, materiale
audio, seminario che fosse, le mie aspettative erano sempre alte, per poi scoprire che mi veniva sempre offerta la solita minestra riscaldata. Quella che mi
era stata proposta, era stata per così tanto tempo a temperatura ambiente che
si era formata su di essa una crosta... Eppure durante i seminari metà dei partecipanti sedevano estasiati, come se perle inestimabili di una nuova saggezza
venissero servite davanti ai loro occhi. L’altra metà sedeva sorridente e ogni
tanto faceva cenni affermativi con la testa. Non era lo stesso cenno con il capo
che si fa quando, da soli in una stanza, si legge un libro o si sente qualcuno
alla radio; questi facevano cenni con movimenti così ampi per dimostrare agli
altri che l’insegnante stava dicendo qualcosa che loro già sapevano, e che la
loro asserzione convalidava ulteriormente la cosa per tutti quelli che si trovavano nella stanza (ricordatevi che la ricerca della crescita spirituale non sempre preclude il far sentire gli altri inferiori).
Suffragato dalle prove derivanti da queste esperienze, fui ancora più sicuro
di ciò che avevo detto: “Non si possono insegnare le guarigioni”, e indovinate un po’? Credo ancora che sia così.
Perché allora scrivo questo libro? Perché mentre mi concentravo sulla ricerca per scoprire se (o come) la guarigione potesse mai essere insegnata, non
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notai un fenomeno che con sempre più crescente frequenza si presentava nel
mio studio. Un sempre maggiore numero di persone, che avevo trattato per le
guarigioni, telefonava, solitamente dopo la prima seduta, per dire che, quando
tornava a casa, le televisioni, gli stereo, le luci, i frigoriferi e in generale tutte
le apparecchiature elettriche si accendevano e si spegnevano ad intermittenza.
Raramente si verificava un’interruzione permanente, anche se poteva essere normale domandarselo, dal momento che gli apparecchi si potevano fermare per periodi di tempo compresi da qualche minuto a svariati giorni. Solitamente, quanto più grande era l’elettrodomestico, quanto più rimaneva fuori
uso. Era come se gli elettrodomestici avessero acquisito una vita propria. A
queste persone sembrava che in un certo qual modo comunicassero con loro.
Credo sia proprio così. Sono dell’idea che ci sia qualcuno che dice: “Ciao,
siamo veramente qui. Esistiamo davvero”.
Le stesse persone mi dicevano di sentire qualcosa nelle loro mani, strane
sensazioni: calde ed elettriche, fredde e ventilate. Mi dicevano anche che quando tenevano le mani vicine a qualcuno con un dolore o una sorta di malattia,
molto spesso i sintomi di quella persona diminuivano o addirittura scomparivano: la psoriasi scompariva, così come l’asma e ferite croniche, che guarivano
per sempre. Questi risultati si potevano avere il giorno successivo o proprio in
quel momento. Col passare del tempo telefonate di questo tipo continuarono ad
esserci. Fu grazie a ciò che io capii che, nonostante la guarigione non possa
essere veramente “insegnata”, tale abilità può comunque essere “comunicata”
alle persone. Ciò che può essere insegnato è quindi la ricognizione e il perfezionamento di questa abilità, cosa che cerco di fare mediante questo libro.
Mi decisi finalmente a chiamare una delle organizzazioni che mi aveva
contattato e decisi di tenere un corso. Dissi che si occupassero di trovare le
persone, dopodiché avremmo cominciato.
Quel giorno arrivò. Per strada, nel traffico senza speranza dell’ora di punta
di Los Angeles, decisi di non usare nessuno dei miei appunti. Quando entrai
nella stanza erano già tutti seduti. Venticinque persone. Non mi aspettavo un
numero così alto. Arrivai vicino al podio, lo spostai e, togliendomi le scarpe e
sedendomi a gambe incrociate sul tavolo che per una strana ragione era stato
messo in quel punto e sembrava essere in grado di reggermi, dissi: “So che
siete venuti qui per sentire ciò che ho da dirvi stasera e non vedo l’ora di scoprirlo anche io.”
Cominciai con il raccontare cosa mi era successo nell’agosto del 1993, risposi alle domande, quindi “attivai” le mani dei partecipanti. Insegnai loro
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come giocare (o, se preferite, lavorare) con queste nuove frequenze energetiche, e dopo aver detto di chiamarmi se fosse successo qualcosa di interessante, lasciai andare un gruppo di nuovi “guaritori” su questo pianeta che nulla
sospettava.
Dopo ciò, il telefono squillò senza sosta. Di nuovo, chi poteva saperlo?
Chi è lo studente adesso?
Eccomi qui. Il viaggio è stato lungo, strano, in certi momenti eccitante e a
volte un po’ spaventoso, e penso di essere proprio dove dovrei stare in questo
momento. Che ironia della sorte: lo studente terribile, quello che non riusciva
ad apprendere, che marinava la scuola e si metteva contro le autorità scolastiche ogni volta che ciò era possibile, era diventato un insegnate. Quanto segue
in questo libro è una parte di quel processo. Nel condurre seminari nel corso
degli anni ho scoperto che, con poche istruzioni, le persone riescono a connettersi con questa energia e ad usarla nel modo in cui essa vuole essere usata.
In un certo senso, imparare ad usare queste energie è come ballare bene il
tango. Possiamo riuscirci guardando le figure in un libro, ma la curva di apprendimento è molto più corta. I risultati sono migliori se si guarda un video.
Ma allo stesso tempo, un video non è efficace come avere delle istruzioni direttamente da un insegnante qualificato.
Stessa cosa in questo caso. La parte restante di questo libro vi darà molte
informazioni impartite con le parole. Ulteriori informazioni, comunque, saranno impartite da qualcosa che non sono parole. Potete chiamarle codificazioni, vibrazioni o in qualsiasi altro modo. Così potrete iniziare a commutare
e a trasportare energia dopo aver letto tutto ciò, perché, a vari gradi, l’abilità
di possedere e utilizzare queste nuove frequenze è impartita a coloro che entrano in contatto con esse, attraverso la parola scritta o con altre forme di comunicazione. No, non è la stessa cosa di un apprendimento faccia a faccia, ma
è comunque un potente inizio.
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