Ultimo numero de Il Bolscevico in formato pdf
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Nuova serie - Anno XLI - N. 7 - 23 febbraio 2017 Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale Appoggiando il referendum della Cgil lottiamo per abolire i voucher e il precariato Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI PAG. 2 Il governo dà la stella di “sceriffo” ai sindaci Decreti antimigranti Gentiloni-Minniti-Orlando Facilitate le espulsioni, i richiedenti asilo senza diritti e costretti a lavorare gratis PAG. 5 Il precario suicida: “Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere” Un suicidio per colpa dei governi Renzi e Gentiloni Poletti dimettiti. Giovani ribellatevi e conquistate il futuro 9 Aprile 1977-2017 PMLI 40 ANNI Tenendo alta la bandiera del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e dritta la barra verso il socialismo e la conquista del potere politico da parte del proletariato IL PMLI FESTEGGIA I SUOI 40 ANNI AL SERVIZIO DEL PROLETARIATO E CONTRO IL CAPITALISMO E I SUOI GOVERNI Firenze 9 Aprile 2017 ore 10 Sala ex Leopoldine - Piazza Tasso, 7 L’INIZIATIVA È APERTA AL PUBBLICO PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Comitato centrale Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it Contro il raduno dei fascisti e xenofobi Genova antifascista in piazza La polizia di Gentiloni e Minniti carica gli antifascisti PAG. 4 PAG. 4 Non si ferma il “genocidio bianco” nell’hinterland partenopeo Viva le studentesse e gli studenti in lotta! Battaglia a Bologna contro i tornelli all’Università La dirigenza Unibo chiama la celere che fa irruzione nella biblioteca universitaria. Responsabilità del sindaco PD Merola. Gli studenti: “Dalla zona universitaria non ce ne andremo mai” Solidarietà agli studenti dalla Commissione giovani del CC del PMLI PAG. 3 Comunicato dell’Organizzazione di Modena del PMLI La “giornata del ricordo” è un oltraggio ai valori della Resistenza e del socialismo PAG. 12 Morti 8 bimbi in 20 giorni nella “Terra dei fuochi” Le responsabilità della giunta regionale De Luca richiamano quelle locali di Bassolino e Caldoro e quelle nazionali di Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni PAG. 8 Aperte le trattative per la costruzione dello stadio della Roma La Raggi cede ai palazzinari e cementificatori rimangiandosi le sue promesse elettorali Un’opera faraonica costosa per la collettività, urbanisticamente mostruosa e a rischio idrogeologico PAG. 7 Volantinaggio a Napoli Militanti e simpatizzanti del PMLI lavoriamo uniti per applicare le contro il governo indicazioni di Scuderi sul Partito Gentiloni di Antonio Leparulo PAG. 11 PAG. 11 2 il bolscevico / lottare per abolire i voucher e il precariato N. 7 - 23 febbraio 2017 Appoggiando il referendum della Cgil lottiamo per abolire i voucher e il precariato Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI Con la decisione della corte costituzionale che all’inizio di gennaio ha dato il via libera al referendum promosso dalla CGIL per l’abrogazione dei voucher, ritorna prepotentemente sulla scena politica la messa in discussione di una delle forme oramai più diffuse e odiate di sfruttamento del lavoro, in particolare giovanile: il voucher. Da regola del lavoro “accessorio” a piaga sociale La storia dei voucher, già ampiamente documentata dal PMLI e da “Il Bolscevico” attraverso numerosi articoli e reportage è la storia della legalizzazione del lavoro nero in Italia. Introdotti nel 2003 per regolare le attività lavorative di tipo accessorio e di natura meramente occasionale, i voucher sono rimasti inapplicati fino al 2008, quando il governo Prodi li lanciò in via “sperimentale” in agricoltura e in particolare nella vendemmia. Il primo anno furono venduti 500mila voucher, nel 2011 si erano raggiunti i 15 milioni, nel 2015 si sono superati i 115 milioni di voucher. Nel periodo compreso tra gennaio e ottobre 2016 sono stati venduti 121,5 milioni di voucher del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi dieci mesi del 2015, pari al 32,3%. Lo comunica l’Inps, sottolineando che nei primi dieci mesi del 2015 la crescita dell’utilizzo dei voucher, rispetto al 2014, era stata pari al 67,6%. Una cifra che nel 2016 ha raggiunto la cifra record di 145 milioni di buoni-lavoro venduti con un aumento previsionale del 26,3% rispetto al 2015. A livello nazionale nel 2016 il 64% dei buoni-lavoro sono stati venduti nel Nord (93,2 milioni), e il restante 36% tra Centro (26,3 milioni) e Mezzogiorno (25,8 milioni di voucher). A livello regionale, le prime 5 regioni col numero più alto di voucher venduti nel 2016 sono: la Lombardia (27 milioni), il Veneto (18,5 milioni), l’Emilia Romagna (18,2 milioni), Piemonte (11,9 milioni) e la Toscana (10,6 milioni). Si aggiudicano il primato per la vendita di voucher nel 2016 le province di: Milano (9,8 milioni), seguita da Torino (5,6 milioni), Roma (5,1 milioni), Brescia (4,2 milioni), Bologna (3,9 milioni). Con la “riforma” Fornero del lavoro del 2012 il campo di applicazione dei voucher si è esteso a settori come l’industria, l’edilizia, i trasporti. Questi ultimi hanno venduto il 50% dei voucher nel 2016 (73 milioni). Seguono turismo (21 milioni), commercio (18,4 milioni) e servizi (14,9 milioni). Gran parte dei lavoratori pagati a voucher (l’82% secondo l’Istat) ha un unico committente, a dimostrazione che non si tratta di lavori semplicemente stagionali ma di veri e propri “contratti”. E il turn-over è quasi al 70%. Un’arma di sfruttamento nelle mani dei capitalisti Le cifre esorbitanti qui riportate dimostrano dati alla mano di come il fenomeno voucher sia ormai una piaga sociale che condanna e nega a milioni di lavoratrici e lavoratori in larga parte giovani la possibilità di avere un lavoro stabile e una sicurezza per il futuro. Per il padronato italiano impegnato a salvaguardare i propri astronomici profitti nella grave crisi del capitalismo, i voucher costituiscono una forma nuova di sfruttamento del lavoro a bassissimi costi e, insieme, di erosione dei diritti conquistati dalle precedenti generazioni di lavoratori attraverso la lotta ed il sangue. Istituendoli e allargandoli, i governi borghesi succedutisi nello scorso decennio hanno dimostrato di curare unicamente gli affari del grande capitale anziché gli interessi delle masse lavoratrici. È lampante che l’avvio sia venuto proprio dal “centro-sinistra” borghese. I voucher quindi altro non sono che la legalizzazione del lavoro nero, scavalcano qualsiasi forma di contratto sindacale dando ai padroni il potere illimitato di negare ogni tutela ai lavoratori, di mantenere bassi i salari e di prevenire le lotte visto che hanno la possibilità di licenziare a piacimento. Una situazione, portata alle estreme conseguenze da tutti i governi che si sono succeduti dal 2003 ad oggi, ma è in particolare coi governi cosiddetti di “centro sinistra” (Prodi e Renzi) che il sistema voucher è decollato. Ora, Gentiloni che ha preso il posto del nuovo duce Renzi, e ne porta avanti le politiche antipopolari antioperaie e guerrafondaie ha annunciato a fine 2016 una serie di correzioni riguardo le “riforme” del Jobs Act e i voucher, in particolare per quest’ultimi ha millantato promesse di riduzione dei tetti annuali per l’utilizzo e di aumento dei controlli e sanzioni nei confronti dei padroni che utilizzino in maniera illegale i buoni lavoro. Una sparata puramente propagandistica con la quale Gentiloni tenta di ammorbidire una situazione ostica per voucher e governo, soprattutto dopo che la corte costituzionale ha dato il via libera ai referendum. Dare forza al referendum per l’abrogazione dei voucher nella strategia per l’abolizione del precariato Il PMLI che è sempre stato in prima linea nella lotta contro i voucher lancia oggi un nuovo appello a intraprendere una lotta intransigente contro i voucher fino alla loro abrogazione. Il prossimo referendum è un’occasione imperdibile da sfruttare per dare nuovo slancio e portare possibilmente alla vittoria questa battaglia e i marxisti-leninisti non faranno mancare la loro partecipazione e appoggio. Una lotta che deve essere portata avanti con tutti i mezzi necessari, un passo importante sarà la creazione dei comitati referendari su tutto il territorio nazionale in vista del referendum per l’abrogazione dei voucher, comitati che dovranno vedere la partecipazione del più ampio fronte unito possibile di tutte le forze politiche e sociali in campo. Auspichiamo anche che dopo il referendum, indipendentemente dall’esito, questi comitati potranno diventare un punto di riferimento e di coordinamento di massa per portare avanti la lotta per abolire il precariato nella sua interezza. Le lavoratrici ed i lavoratori più coscienti e combattivi che non sono sottoposti al ricatto del voucher e godono dei contratti a tempo indeterminato devono impegnarsi su questo fronte di lotta unitaria. Infatti molto spesso chi è vittima dei voucher non ha la possibilità di iscriversi ad organizzazioni sindacali che tutelino i suoi diritti, pena la perdita di quel poco lavoro dato dal padrone. La solidarietà di classe è fondamentale in questa battaglia: i lavoratori devono essere in prima linea nel far pressione sui sindacati, in particolare all’interno della CGIL affinché facciano propria questa battaglia e non la mantengano su un piano prettamente referendario e riformistico ma la spostino su un piano di lotta di classe. Ovviamente questa battaglia non è la fine della guerra, ma sarebbe una importante vittoria sul fronte dei diritti dei lavoratori da inserire nella lotta più generale per abolire l’intero sistema del precariato. Che, come abbiamo detto, è insieme compressione dei diritti dei lavoratori e utile strumento nelle mani della borghesia per soffocarne le lotte. Visto però che ormai il precariato è endemico e parte integrante del sistema economico capitalista, se non si abbatte quest’ultimo, difficilmente si potrà eliminare il precariato. Lottiamo tutti uniti e sviluppiamo la lotta di classe e di massa per l’abolizione dei voucher! Sosteniamo la campagna referendaria promossa dalla CGIL per abrogare i voucher! Lottiamo per abolire il precariato e conquistare il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per tutte le lavoratrici e lavoratori! La Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI Firenze, 13 febbraio 2017 N. 7 - 23 febbraio 2017 solidarietà alle studentesse e agli studenti di bologna / il bolscevico 3 No ai manganelli in università! Solidarietà alle studentesse e agli studenti di Bologna Il Partito marxista-leninista italiano condanna senza appello la violenta e vigliacca repressione poliziesca di stampo fascista che si è abbattuta sulle studentesse e sugli studenti che occupavano la biblioteca “36” dell’Università di Bologna, per protestare contro l’installazione dei “tornelli” che restringerebbe- ro l’accesso alla biblioteca ai soli possessori del badge universitario. Con questa repressione, le autorità accademiche con alla testa il rettore Ubertini, senza tralasciare le gravi responsabilità dei governi comunale e nazionale, hanno voluto dire che l’università neoliberale, aziendalizzata e chiusa è in- toccabile e che alla protesta e alla rivendicazione di diritti e servizi si risponderà con il manganello. Questa è ormai la regola del regime neofascista e piduista vigente. Ai problemi di diffusa tossicodipendenza e piccola criminalità dell’area si risponde aprendosi non chiudendosi, rivitalizzando la zona con ini- ziative culturali, artistiche e ricreative e combattendo la povertà dilagante che, insieme allo smantellamento del welfare, è alla radice di tali problemi. Noi incoraggiamo le studentesse e gli studenti dell’Università di Bologna ad andare avanti nelle loro giuste battaglie, a rivendicare ciò che gli spetta (dalla mensa a prezzi popolari ad un vero diritto allo studio), senza lasciarsi intimidire dalla repressione. Al contempo invitiamo i collettivi a ragionare sul fatto che ciò è possibile solo allargando la mobilitazione, lavorando pazientemente per convincere e coinvolgere le masse studentesche. Ora più che mai è urgente mettere in campo una grande mobilitazione per l’università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti. Costruendovi innanzitutto il governo alternativo studentesco. La Commissione giovani del CC del PMLI 10 febbraio 2017 Viva le studentesse e gli studenti in lotta! Battaglia a Bologna contro i tornelli all’Universita’ La dirigenza Unibo chiama la celere che fa irruzione nelle biblioteca universitaria. Responsabilità del sindaco PD Merola. Gli studenti: “Dalla zona universitaria non ce ne andremo mai” Solidarietà agli studenti dalla Commissione giovani del CC del PMLI Dal nostro corrispondente dell’Emilia-Romagna Le studentesse e gli studenti bolognesi stanno combattendo una grande battaglia di piazza contro le imposizioni del preside Francesco Ubertini e la repressione delle “forze dell’ordine” guidate dal questore Ignazio Coccia sotto la direzione della giunta comunale targata PD del sindaco Virginio Merola. Le proteste sono nate dall’installazione decisa dall’università di Bologna, per volere in primis del preside Ubertini, di tornelli all’ingresso della biblioteca di Discipline umanistiche denominata “36” in riferimento al numero civico in cui è ubicata in via Zamboni, giustificata col pretesto del “degrado” in cui verserebbe la zona e della necessità di garantire l’accesso alla biblioteca ai soli possessori del badge universitario. Gli studenti denunciano che in realtà Unibo (la dirigenza universitaria), che già da tempo ha messo in campo provvedimenti per limitare il diritto allo studio e rendere l’università una sorta di caserma, vuole porre fine a quel luogo di socialità e aggregazione antifascista e antirazzista che è divenuto il “36”, “uno dei pochi spazi rimasti liberi, accessibili e attraversati da migliaia di studenti ogni giorno. Uno spazio di studio, incontro, aggregazione e socialità che vogliamo sempre più aperto e vissuto”. I collettivi universitari, tra cui il CUA (Collettivo Universitario autonomo), hanno risposto all’installazione dei tornelli con una petizione che ha raccolto oltre 600 firme in appena 2 giorni consegnata il 2 febbraio alla prorettrice Trombini che si era assunta la responsabilità di agire di conseguenza e di far rimuovere i tornelli ma poi si era rimangiata la parola. Per questo le studentesse e gli studenti hanno continuato la mobilitazione forzando più volte i tornelli e garantendo il libero e pubblico accesso alla biblioteca. In risposta le “forze L’irruzione della Celere dentro la biblioteca universitaria occupata da giorni dalle studentesse e dagli studenti contro l’installazione dei tornelli La polizia manganella gli studenti che presidiano l’entrata della bibilioteca “36” dell’università di Bologna dell’ordine” hanno ripetutamente tentato di forzare l’occupazione del “36” e denunciato una ventina di studenti. Dopo quasi 20 giorni di mobilitazione con presidi, assemblee, petizioni, nel pomeriggio dell’8 febbraio gli studenti hanno restituito la biblioteca alle masse smontando definitivamente i tornelli costati “decine di migliaia di euro spesi contro la volontà degli studenti e delle studentesse, decine di migliaia di euro che si devono spendere, sì, ma per rendere più economici i pasti in mensa ad esempio, o per comprare nuovi libri che tutti possano consultare, o ancora per garantire nuove borse di studio o agevolazioni sugli affitti”, denunciando come “Ubertini vorrebbe radere al suolo questa comunità per importare modelli di socialità e studio che ci ricordano troppo da vicino le grandi aziende, le fiere del lavoro gratuito stile Expo e tutto ciò che all’incontro oppone l’individuazione, la solitudine e l’egoismo. Non lo accetteremo mai”. Ma la dirigenza Unibo ha imposto una vera e propria “serrata” barricando le porte del “36”, poi smontate dagli studenti che ne hanno proclamato l’autogestione, e successivamente ha chiesto l’intervento della celere, accorsa prontamente il giorno seguente su ordine del questore, che ha caricato addirittura all’interno della biblioteca picchiando selvaggiamente chi vi si trovasse all’interno per studiare. Anche all’esterno è scoppiata la battaglia tra i picchiatori in divisa e le centinaia di studenti accorsi per protestare contro lo sgombero, battaglia che si è svolta nelle vie e piazze limitrofe e sostenuta con coraggio dalle studentesse e dagli studenti mentre le “forze dell’ordine” non solo provvedevano a caricare ripetutamente ma si accanivano anche contro singoli studenti che cercavano riparo dalla furia fascista della polizia che li rincorreva per la strade. Il giorno seguente un partecipato e combattivo corteo ha sfilato contro la vigliacca irruzione nella biblioteca a colpi di manganello, per l’ennesima chiusura della biblioteca e per chiedere le dimissioni del questore Ignazio Coccia e anche del rettore Ubertini, “perché colpevole e responsabile di aver voluto più volte che la celere intervenisse contro le istanze studentesche”, promettendo che “dalla zona universitaria non ce ne andremo mai. Aggredire studenti e studentesse che studiano è scellerato, e adesso è tempo del contrattacco! Chi è privo di tutto, di diritti e garanzie, è disposto a dare battaglia fino alla fine pur di prendersi e tenersi tutto ciò che da una vita gli è negato”. Anche in questa occasione si è ripetuta la repressione neofascista della polizia che prima ha impedito l’accesso del corteo in via Zamboni e poi ha caricato gli studenti che provavano ad avanzare, ma che anche in questo caso non si sono fatti intimorire e hanno dato battaglia, cambiando più volte il percorso del corteo e bloccando il traffico in vari punti. Sabato 11 si è svolta l’ennesima manifestazione di una mobilitazione che non accenna a fermarsi perché non è accettabile che ad una biblioteca pubblica sia impedito l’accesso libero delle masse e perché non è accettabile che alle giuste istanze degli studenti si risponda sempre col manganello, in perfetto stile fascista. Il corteo, che era aperto dallo striscione “Contro la Bologna della repressione e dell’austerità. Apriamo spazi di autogestione, conflitto e libertà”, è partito da piazza Verdi per sfilare nel centro città : “Siamo la Bologna che resiste quella dei picchetti, quella sui tetti delle case occupate, degli spazi autogestiti come Xm24, Atlantide, Crash e tutti quegli spazi che vivono di autogestio- ne, mense popolari e progetti autorganizzati”, hanno detto chiaramente i collettivi respingendo il tentativo di criminalizzazione messo in campo dalla Procura ed espresso solidarietà a Sara e Orlando, i due studenti finiti ai domiciliari per gli scontri del giorno precedente. A loro e a diversi esponenti dei collettivi il procuratore di Bologna Giuseppe Amato contesta il reato di “associazione a delinquere”. Nel corso della manifestazione, è stato rilanciato l’appuntamento per l’assemblea studentesca in programma martedì 14 in via Zamboni 38, e lanciato un appello perché giovedì 16 diventi una giornata nella quale aprire “spazi di mobilitazione in tutte le università d’Italia, in solidarietà con gli studenti e le studentesse che a Bologna sono stati aggrediti dentro la propria biblioteca!”. Il corteo si è concluso davanti all’ingresso del Comune per denunciare le responsabilità del sindaco PD Virginio Merola. Costui ha difeso “la scelta di installare i tornelli all’ingresso di una biblioteca universitaria. Una scelta sacrosanta che non inficia in alcun modo il diritto allo studio e la possibilità di frequentare liberamente le strutture universitarie. Anzi...”; e che da subito si era espresso in favore della repressione delle proteste affermando che “il primo segnale che dobbiamo dare è in termini repressivi”, proponendosi di ottenere dal governo i nuovi poteri in materia di sicurezza che i sindaci hanno chiesto al ministro dell’Interno Minniti e che garantirebbero “la possibilità di fare ordinanze non contingibili e urgenti, di dare i daspo agli spacciatori, come per gli ultras allo stadio e di adottare sanzioni non solo amministrative ma penali”. Ad esempio, contro chi scrive sui muri, continua il forcaiolo Merola, “ci servirebbero provvedimenti più pesanti perché oggi quando becchiamo uno che imbratta i muri gli facciamo una multa da 500 euro e lo accompagniamo dai genitori, che in genere lo difendono”. Com’è scritto nel comunicato della Commissione giovani del CC del PMLI “ll Partito marxista-leninista italiano condanna senza appello la violenta e vigliacca repressione poliziesca di stampo fascista che si è abbattuta sulle studentesse e sugli studenti … Ai problemi di diffusa tossicodipendenza e piccola criminalità dell’area si risponde aprendosi non chiudendosi, rivitalizzando la zona con iniziative culturali, artistiche e ricreative e combattendo la povertà dilagante che, insieme allo smantellamento del welfare, è alla radice di tali problemi… Ora più che mai è urgente mettere in campo una grande mobilitazione per l’università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti. Costruendovi innanzitutto il governo alternativo studentesco”. 4 il bolscevico / interni N. 7 - 23 febbraio 2017 Il precario suicida: “Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere” Un suicidio per colpa dei governi Renzi e Gentiloni Poletti dimettiti. Giovani ribellatevi e conquistate il futuro È doloroso e terribile leggere le ultime parole di un ragazzo che aveva tutta la vita davanti ma che è arrivato a togliersi la vita perché stanco di non trovare un lavoro stabile e di non vedere alcun futuro all’orizzonte. Ma questo è accaduto a Michele di Udine, suicidatosi il 7 febbraio scorso dopo aver lasciato una lettera d’addio che i genitori hanno voluto rendere pubblica per diffondere le ragioni della protesta del giovane trentenne. La lettera di Michele Michele era stanco di una realtà che sentiva sbagliata, dalla quale aveva ricevuto solo rifiuti e disillusioni, nella quale non aveva modo di sentirsi valorizzato né realizzato, che non gli permetteva di avere una prospettiva. “Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la responsabilità è una grande qualità.” “Questa”, scrive ancora Michele, “è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni”. E sembra dar voce ad un’intera generazione di giovani quando dichiara: “Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive”. Un’accusa ben precisa e lucida Su gran parte dei mass media abbiamo letto interpretazioni fumose e confuse, che danno l’idea di un ragazzo depresso e deluso dalle condizioni avverse e infine arreso alla cattiva sorte. Addirittura c’è chi dissuade dall’usare la lettera di Michele come un “manifesto” per i precari. Tutte interpretazioni che però assolvono i veri responsabili di questa trage- Un presidio di denuncia del suicidio di un giovane precario dia, parte della ben più vasta catastrofe della mancanza di prospettive per i giovani. Le parole di Michele in realtà sono tutt’altro che strumentalizzabili, anzi sono accuse ben precise e lucide. Innanzitutto perché Michele aggiunge un post scriptum assai eloquente: “Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi”. Come minimo il ministro del Lavoro dovrebbe prendere atto del totale fallimento delle sue politiche e dimettersi, non avesse la faccia di bronzo e l’arroganza da “me ne frego” di mussoliniana memoria con cui aveva già esultato per l’emigrazione dei giovani. Né il governo né la maggioranza PD né Mattarella hanno trovato nulla da ridire. Più in generale, però, le responsabilità ricadono sui governi Renzi e Gentiloni che, sulla scia dei loro predecessori, hanno agito solo per salvare i profitti del grande capitale industriale e finanziario in crisi, battendo cassa sui diritti dei giovani. Come potremmo dimenticarci che Renzi è salito al governo giurando e spergiurando sui giovani a cui avrebbe restituito lavoro e dignità, e invece gli ha regalato il Jobs Act, i voucher, la truffa della “Garanzia giovani”, il lavoro gratuito mascherato da “volontariato” o “servizio civile”? E tutto perché i capitalisti in quest’epoca di crisi economica hanno bisogno di tutelarsi con manodopera meno costosa, meno tutelata e meno capace di lottare per i propri diritti, visto che può essere lasciata alla porta ad un momento all’altro e ricattata con l’alto tasso di disoccupazione. Non si può ignorare, tra l’altro, che il suicidio arriva a pochi giorni dalla notizia che i senza-lavoro sono oltre il 40% dei giovani fino ai 24 anni. Gli autori delle politiche sul lavoro degli ultimi anni possono forse considerarsi innocenti? Certo, Michele parla di “realtà” e non di capitalismo e sfruttamento padronale, ma la realtà sociale non si forma certo da sola, né è immutabile, ma è il frutto delle contraddizioni esistenti nella società fra gli sfruttatori e gli sfruttati. Dev’essere il capitalismo, non i giovani, a soccombere! Ormai dall’inizio della crisi il capitalismo, esaltato come portatore di benessere e progresso, dimostra il suo vero volto di barbarie, oppressione e sfruttamento a vantaggio di un pugno di ricchi. Ed è persino arretramento rispetto ai redditi e ai diritti conquistati dalle vecchie generazioni: Michele apparteneva alla generazione, i nati negli anni Ottanta, che era considerata fortunata perché vissuta in un’epoca d’oro piena di possibilità. E che il guardiano della grande finanza Mario Draghi ha più precisamente definito “generazione perduta”, alla quale è stato tolto tutto. Doveva essere il fiore all’occhiello del “trionfo” del capitalismo e della globalizzazione imperialista; è diventata il certificato della sua bancarotta. Senza contare la marcia cultura individualista ed edonista secondo cui chi ha successo economico è un vincente, chi è ai margini della società è un perdente. Senza tenere conto delle possibilità economiche di partenza di ciascuno e creando così il triste e grigio “mito” del successo individuale a scapito della solidarietà. È questo il sistema che sopravvive rubando il futuro ai giovani e che per questo non può restare in piedi. A soccombere non devono essere le vittime, cioè i giovani e gli sfruttati, ma i carnefici, cioè il capitalismo. Perché ciò avvenga spetta ai giovani stanchi dello sfruttamento lavorativo, della precarietà e della disoccupazione unirsi e far sentire la propria voce, mobilitarsi e lottare non soltanto per resistere, ma soprattutto per vincere e conquistare quello che gli spetta. Mai più un altro Michele! Giovani, ribellatevi al capitalismo e conquistate il futuro, che ve lo può assicurare solo il socialismo. Contro il raduno dei fascisti e xenofobi Genova antifascista in piazza La polizia di Gentiloni e Minniti carica gli antifascisti In risposta all’ oltraggioso raduno nazi-fascista organizzato da “Forza Nuova” a cui sono state invitate varie altre organizzazioni xenofobe e razziste europee coalizzate e mascherate dietro la cosiddetta “Alleanza per la pace e la libertà”, l’11 febbraio oltre un migliaio di antifascisti con alla testa l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) sono scesi in piazza a Genova per protestare e impedire ai caporioni in camicia nera di infangare il ricordo e la memoria storica di una delle città simbolo della Resistenza fra le prime a essere insignita con la medaglia d’oro. In testa al corteo, partito da piazza Ragazzi del ’99, lo striscione dell’Anpi “Genova non dimentica”. Presenti la Camera del Lavoro di Genova, la Fiom Cgil, la Filt, i lavoratori portuali della Culmv, varie associazioni antifasciste, dall’Arci a Legambiente, il presidente dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza, i centri sociali, Aut Aut 357, CSOA Emiliano Zapata, Collettivo Dege- neriot, Ex Latteria Occupata, Alternativa Libertaria Genova, Csoa Terra di Nessuno, gruppi studenteschi e alcune organizzazioni di migranti. Tutta la zona intorno a via Caprera dove ha sede il covo di Forza Nuova, nonché luogo di svolgimento del convegno, è stata sigillata da un cordone di blindati e “forze dell’ordine” a difesa dei “relatori” in camicia nera fra cui figurano Roberto Fiore (leader di Forza Nuova), Udo Voigt (eurodeputato per il Partito Nazionaldemocratico di Germania), il francese Yvan Benedetti e l’inglese Nick Griffin, entrambi leader di movimenti nazionalisti. Imponente il dispiegamento di celerini e cellulari dietro le grate di circa 3 metri che chiudono sui due lati via Caprera. Giunti nei pressi della zona rossa a Piazza Sturla i manifestanti hanno intonato “Bella Ciao” e lanciato slogan contro il raduno nazi-fascista. “Vogliamo esprimere il nostro sdegno rispetto alle presenze che arriveranno a Genova - ha spiegato Massimo Bisca, presidente provinciale Anpi - persone con- dannate nei loro paesi per avere esaltato le SS, partecipato a pestaggi, aver negato l’Olocausto, essere Genova 11 febbraio 2017. Il corteo antifascista indetto dall’ANPI contro il provocatorio raduno nazi-fascista organizzato da Forza nuova stati xenofobi, razzisti. Idee che sono l’esatto contrario di valori per cui tanti uomini e donne genovesi hanno combattuto e dato la vita”. Ma non appena il corteo si è avvicinato alle transenne poste a protezione della zona rossa, la polizia di Gentiloni e Minniti ha caricato i manifestanti a suon di lacrimogeni e manganellate. “Credo che Genova abbia risposto positivamente, fascisti e nazisti si devono riunire in un sottoscala e questo è un gran risultato” ha commentato il segretario della Fiom genovese. Infatti la sera prima Forza Nuova aveva tentato di trasferire il convegno all’Ac Hotel di Quarto che poi è stato costretto a disdire la prenotazione. In un comunicato i lavoratori della Compagnia unica del porto di Genova ricordano: “La storia di questa città è caratterizzata da lavoratori e partigiani che hanno impegnato e dato la loro vita contro la dittatura fascista partendo proprio dalle fabbriche e dal porto. È per noi un punto fermo che si trasmette alle generazioni successive, ribadito tutte le volte che qualcuno ha tentato di ripresentarsi (come il 30 giugno 1960) con quelle idee di odio e di intolleranza... Noi non chiudiamo la porta alla nostra memoria di classe. Questa è proprio la nostra storia ed oggi non bisogna permettere questa presenza di filo nazisti e xenofobi”. In un volantino diffuso in tutte le fabbriche genovesi e durante il corteo la Fiom ha aggiunto che “Chi ha torturato e ucciso per schiacciare le lotte dei lavoratori impegnandoli poi in guerre per la difesa dei profitti dei vari padroni non può avere cittadinanza nella nostra città. Una generazione di operai, impiegati, dirigenti sindacali, di uomini e donne ha dato la propria vita per impedire un futuro al fascismo... Per il rispetto che dobbiamo a quella storia – conclude la Fiom – e per la difesa del nostro futuro invitiamo i lavoratori e lavoratrici, i delegati e tutti gli antifascisti a scendere in piazza”. interni / il bolscevico 5 N. 7 - 23 febbraio 2017 Il governo dà la stella di “sceriffo” ai sindaci Decreti antimigranti Gentiloni-Minniti-Orlando Facilitate le espulsioni, i richiedenti asilo senza diritti e costretti a lavorare gratis Il 10 febbraio il Consiglio dei ministri (Cdm) presieduto da Gentiloni ha approvato una serie di provvedimenti, tra cui due decreti tra loro collegati recanti disposizioni urgenti per “l’accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali” di accoglimento e respingimento di immigrati e richiedenti asilo e per la “tutela della sicurezza delle città”. I due decreti, che portano la firma del ministro dell’Interno Minniti e di quello della Giustizia Orlando, non sono ancora stati depositati in parlamento, ma dalle linee generali e da alcune norme principali che sono state pubblicate nel comunicato finale della riunione e illustrate nella conferenza stampa del governo, si possono senz’altro definire come decreti antimigranti, presi al solo scopo di riproporre e legalizzare sotto altro nome i famigerati Cie (Centri di identificazione ed espulsione, già ampiamente riconosciuti come veri e propri lager), accelerare al massimo la selezione e l’espulsione dei migranti giudicati privi dei requisiti di rifugiati, anche forzando le regole e i diritti giurisprudenziali, dare un drastico giro di vite alla libertà e ai movimenti dei migranti nelle città e nei territori assegnando anche più poteri di controllo e repressivi ai prefetti e ai sindaci. Col primo decreto illustrato dal Guardasigilli Orlando, riguardante l’accelerazione delle procedure, si istituiscono infatti presso i tribunali di 14 capoluoghi di regione, altrettante sezioni “specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini”, che avranno competenza in generale sulle controversie riguardanti i migranti, e in particolare sul riconoscimento dello stato di rifugiati o della loro espulsione. Contemporaneamente a ciò vengono introdotte misure per la semplificazione e l’efficienza delle procedure “innanzi alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale”, nonché riguardo ai “procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell’immigrazione”. A tale riguardo – come ha accennato Orlando - sarà adottato “un nuovo modello processuale in Camera di consiglio con udienza eventuale”, con sentenza emessa “in composizione monocratica”, e con la riduzione da sei a quattro mesi del termine di definizione del provvedimento, che sarà preso con “decreto non reclamabile ma ricorribile in Cassazione”. Leggi speciali per esseri umani di serie B Tutto ciò significa in pratica una drastica riduzione delle garanzie giuridiche a tutela del migrante richiedente asilo, che nella maggior parte possibile dei casi non potrà nemmeno partecipare all’udienza, o eventualmente partecipare solo in videoconferenza, e nel caso di partecipazione l’udienza sarà videoregistrata. E quel che è peggio in caso di diniego non avrà diritto all’appello ma soltanto al ricorso in Cassazione: viene cioè soppresso per i mi- granti il secondo grado di giudizio che spetta di diritto a tutti, compresi criminali comuni, mafiosi e politici corrotti. Per quanto il “giovane turco” Orlando abbia avuto la faccia tosta di sostenere che queste norme “non indeboliscono le garanzie”, è evidente a chiunque che siamo in presenza di una palese violazione delle garanzie giuridiche per i migranti e richiedenti asilo, trattati come esseri umani di serie B al punto da ideare la costituzione di una sorta di “magistratura speciale”, separata da quella ordinaria e dotata di una “giurisprudenza speciale” riservata appositamente a tale “sottospecie” umana. Non è ancora chiaro poi come potrebbe il respinto esercitare il ricorso in Cassazione, anche a prescindere dai costi, dati i tempi lunghi richiesti dalla procedura: verrà intanto espulso nel paese di provenienza, e poi da lì dovrebbe presentare il ricorso? Sembrerebbe una cosa ridicola, se non fosse allucinante. Infatti, nel periodo tra il respingimento della richiesta di protezione internazionale e la sentenza dell’eventuale ricorso del migrante, che ne sarà di lui? Minniti ha spiegato che a questo scopo saranno costruiti in ogni regione dei Centri permanenti per i rimpatri (Cpr), per un totale di 1.600 posti, che andranno a sostituire i vecchi Cie, con tempi di detenzione che aumenteranno dagli attuali 90 a 135 giorni, e in essi potrà essere internato fino a tre mesi anche chi rintracciato nel territorio si rifiuta di farsi prendere le impronte digitali. E si è affrettato a precisare che per ogni centro ci sarà un “garante” con libero accesso per il controllo del rispetto dei diritti umani. Ma non ha spiegato quali siano i suoi poteri e i suoi ambiti di giurisdizione. È forte il sospetto che questi nuovi centri, dietro il pretesto di parcheggiare i migranti in attesa di espulsione, non siano altro che la riproposizione dei vecchi Cie sotto altro nome, sospetto avvalorato anche dallo stanziamento di 19,5 milioni di euro in più per i respingimenti. Giro di vite sulla “sicurezza urbana” Minniti ha anche annunciato che i Comuni potranno impiegare i richiedenti asilo, “su base volontaria e gratuita”, per essere impiegati in “lavori socialmente utili”. In pratica potranno disporne come mano d’opera gratuita. Non si sa ancora a quali condizioni (assicurazione, orario di lavoro ecc.), e soprattutto quali siano questi “lavori utili”, se cioè si tratterà di servizi pubblici in aggiunta a quelli normalmente programmati, o se, come è lecito temere date le sempre maggiori ristrettezze finanziarie dei comuni e il blocco delle assunzioni, verranno impiegati come mano d’opera gratis per risparmiare sul personale regolare, il che configurerebbe un vero e proprio sfruttamento servile. Se a tutto ciò si aggiunge che col decreto per la “sicurezza urbana” si rafforzano i poteri di ordinanza dei “sindaci sceriffi”, con nuove misure di carattere amministrativo, come multe da 300 a 900 euro, fino al Daspo (interdizione a frequentare determinate zone cittadine o territoriali su disposizione di prefetti e sindaci), e per tutta una serie di motivi che suscitano allarme sociale, come lo spaccio e la prostituzione “con modalità ostentate”, ma anche pericolosamente pretestuosi per giri di vite autoritari e finanche fascisti come il “decoro urbano”, il “commercio abusivo”, l’accatonaggio e l’“occupazione di aree pubbliche”, non ci vuol molto a capire che siamo in presenza di un pacchetto di provvedimenti antimigranti, antidemocratici e discriminatori degni della più vieta propaganda della Lega fascista e razzista di Salvini e Maroni, nonché delle sparate xenofobe del qualunquista Grillo. La sola differenza è che questi personaggi squallidi lo fanno apertamente e non se ne vergognano, mentre il governo PDNCD lo fa pretendendo anche di farlo per ragioni “umanitarie” e nell’“interesse” degli stessi migranti: “L’obiettivo strategico non è chiudere le nostre porte ma trasformare sempre più i flussi migratori da fenomeno irregolare a fenomeno regolare, in cui non si mette a rischio la vita ma si arriva in modo sicuro nei nostri paesi e in maniera controllata”, ha avuto infatti la faccia tosta di dichiarare Gentiloni nel presentare i due decreti antimigranti. Un’ipocrisia, la sua, smascherata dal presidente del Centro Astalli, un servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia, padre Camillo Ripamonti, a giudizio del quale col provvedimento del governo “si è molto concentrati sul velocizzare espulsioni e rimpatri di chi soggiorna illegalmente ma non si affronta il tema principale: le quote di ingresso dei lavoratori migranti non vengono attivate ormai da diversi anni. Non esistono vie legali per arrivare a chiedere asilo in sicurezza. Queste sono le principali urgenze da affrontare, ormai da tempo. Oggi in Italia per i migranti non c’è modo di entrare legalmente né per lavorare né per chiedere protezione da guerre e persecuzioni”. “La vicinanza elettorale porta il governo a solcare territori pericolosi per le libertà. Dunque dopo bocciature severe, anche istituzionali, dei Centri di identificazione e espulsione (Cie), ora i centri di detenzione per immigrati si moltiplicano e si creano 1.600 posti di reclusione amministrativa”, ha denunciato in un comunicato stampa il presidente dell’Associazione Antigone e della Coalizione italiana Libertà e Diritti civili (Cild). “Inoltre – ha aggiunto Patrizio Gonnella sottolineando la pericolosità antidemocratica dei provvedimenti del governo - dopo la recente bocciatura da parte della Corte Costituzionale si danno poteri di ordinanza ai sindaci su un terreno, quello della sicurezza, già praticato in modo illiberale, informe e talvolta ridicolo. La sicurezza spetta ai prefetti ed ai giudici, non ai sindaci. Le città hanno bisogno di servizi e non di sceriffi”. Scandalo dei “Corsi d’oro” per disoccupati e giovani da inviare al lavoro Condannato a 11 anni di carcere il deputato Genovese (ex Pd ora Fi) “Era il capo di un’associazione a delinquere” Il 22 gennaio la prima sezione del tribunale di Messina presieduta da Silvana Grasso ha condannato il già renziano del PD, Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina e ora parlamentare di Forza Italia, a 11 anni di carcere per lo scandalo dei “corsi d’oro” della Formazione professionale. Genovese è ritenuto il capo di una associazioe per delinquere che per molti anni ha drenato risorse regionali per 60 milioni di euro destinati alla formazione di giovani e disoccupati da avviare al lavoro professionale. Tra i 22 componenti dell’associazione anche il cognato di Genovese, Franco Rinaldi, ex deputato regionale del PD e ora di FI, condannato a 2 anni e mezzo di reclusione così come le mogli di Genovese e dello stesso Rinaldi, le sorelle Chiara ed Elena Schirò, rispettivamente a 3 anni e mezzo e 6 anni e mezzo. Condannato anche l’ex consigliere comunale di Messina Elio Sauta: 6 anni e 6 mesi. Melino e Natale Capone 3 anni; Stefano Galletti 3 anni e 6 mesi; Graziella Feliciotto, Cettina Cannavò e Salvatore La Macchia a 2 anni; Natale Lo Presti 3 anni; Roberto Giunta 5 anni e 6 mesi; Giuseppina Pozzi, Liliana Imbesi, Orazio De Gregorio e Domenico Fazio un anno e 3 mesi; Antonino Di Lorenzo e Carmelo Favazzo 3 anni. Assolti Francesco Buda, Salvatore Natoli e Paola Piraino. I due parlamentari sono stati condannati anche all’in- terdizione dai pubblici uffici per tutta la durata della pena. Il tribunale ha condannato Francantonio Genovese anche ad una multa da ventimila euro e ha disposto la confisca dei beni gia precedentemente sequestrati come garanzia del risasrcimento del danno alle parti civili tra cui la Regione siciliana e l’assessorato regionale alla Formazione che verrà quantificato in sede civile. L’inchiesta ruotava attorno a tre centri di formazione professionale che operavano in provincia di Messina: Lumen, Aram e Ancol. I riflettori della magistratura furono accesi inizialmente sull’Ancol, per accertare la legittimità dei finanziamenti ottenuti dalla Regione per 13 milioni e 600mila euro, dal 2006 al 2011. Le indagini, dirette dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dai pm Camillo Falvo, Fabrizio Monaco ed Antonio Carchietti, hanno fatto emergere l’esistenza di un vero e proprio sistema truffaldino grazie al quale venivano gonfiati i prezzi delle prestazioni di servizio o degli acquisti di beni necessari per l’attività degli enti. In particolare gli inquirenti hanno accertato prestazioni totalmente simulate e sovrafatturazione delle spese di gestione. Grazie a questi artifici, i rappresentanti legali dei centri di formazione, attraverso la compiacenza dei titolari di alcune società con i quali erano legati da vincoli di parentela o di fiducia, riuscivano - secondo gli inquirenti - a documentare spese a prezzi no- tevolmente superiori a quelli di mercato. I centri in questione, che hanno come scopo l’organizzazione - senza fini di lucro - di corsi formativi, avrebbero così ottenuto finanziamenti per importi di gran lunga superiori ai costi effettivamente sostenuti. Già nel marzo 2014 la Procura di Messina aveva chiesto l’arresto di Genovese. Due mesi dopo la Camera, al termine di furiose polemiche politiche, ha autorizzato la richiesta di arresto nei confronti di Genovese che è costretto a costituirsi prima in carcere e poi ai domiciliari. Sia Genovese - che era stato anche segretario regionale del PD e aveva portato in dote a Renzi un consistente pacchetto di circa 40 mila voti - sia Rinaldi un anno e mezzo fa hanno deciso di passare a Forza Italia. La condanna, adesso, comporterà quasi certamente, sulla base della legge Severino, la sospensione di Rinaldi dalla carica di deputato regionale. Portando così fuori da Sala d’Ercole quello che era stato il boss delle preferenze, con oltre diciottomila voti. Il posto di Rinaldi potrebbe essere preso da Francesco Calanna, “commissario straordinario” dell’Ente per lo sviluppo agricolo (Esa), primo dei non eletti nel Collegio di Messina, candidato con le liste del PD, animatore del Megafono, il movimento del governatore Crocetta e politicamente molto vicino al senatore Giuseppe Lumia. 6 il bolscevico / giunta raggi N. 7 - 23 febbraio 2017 Raggi indagata anche per la nomina di Romeo I movimenti: Con la nuova giunta di Roma nulla è cambiato L’ex assessore Berdini: “Sindaca impreparata, con accanto una banda” Sono già due i procedimenti per abuso d’ufficio avviati nei confronti della sindaca di Roma Virginia Raggi. Il primo riguarda l’inchiesta per la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, da vicecapo dei vigili urbani alla Direzione Turismo del Campidoglio e per la quale è accusata anche del reato di falso. Nel secondo la sindaca M5S è indagata per abuso d’ufficio in concorso con il suo fedelissimo Salvatore Romeo, già capo della sua segreteria politica. Fu lei a firmare la delibera approvata all’unanimità dalla giunta pentastellata con cui il 9 agosto 2016 cooptò il suo “brocker assicurativo” e, secondo alcune voci “amante”, da semplice funzionario del Dipartimento Partecipate con stipendio di 39 mila euro annui, alla guida della sua segreteria con un mensile quasi triplicato di 120 mila euro. Un vantaggio economico che, secondo i giudici, non poteva essere attribuito a Romeo e che poi è infatti sceso a 93 mila euro dopo l’intervento dell’Authority anticorruzione (Anac). Tutto in barba alle commedianti “battaglie contro le parentopoli, per la trasparenza e la meritocrazia” di cui amano sciacquarsi la bocca i Cinquestelle. La nomina di Romeo fu aspramente criticata dall’allora assessore al Bilancio, Marcello Minenna, e dall’allora capo di gabinetto Carla Raineri la quale fra l’altro avvertì la Raggi che si configurava un abuso d’ufficio proprio come descritto in un esposto di 21 pagine presentato alla Procura di Roma subito dopo le sue dimissioni. La Raineri si dimise l’1 settembre dopo che l’Anac “interpellata in modo strumentale dall’amministrazione M5S” aveva dato parere sfavorevole alla sua nomina. In realtà è logico immaginare che la vera causa del suo defenestramento furono proprio i “gravi contrasti” con il quadriunvirato Cinquestelle (Raggi-Marra-Romeo e Daniele Frongia, vicesindaco dimessosi dopo l’arresto di Marra, ora assessore allo Sport), il quale, sotto la regia occulta del vicepresidente della Camera e candidato premier dei Cinquestelle, Luigi Di Maio, ha condotto la marcia sul Campidoglio a suon di bugie, ricatti, minacce e in stretta continuità con i protagonisti di mafia capitale. Nel suo esposto Raineri sottolinea fra l’altro che: “La delibera per la nomina di Romeo è stata portata in giunta il 9 agosto 2016 senza essere prima passata al vaglio del gabinetto. Di norma le delibere vengono trasmesse al gabinetto alcuni giorni prima per un esame di legittimità”. La delibera in questione, ricorda la Raineri, è “inusualmente approdata direttamente in giunta allorché io e gli assessori ci trovavamo già seduti al tavolo nella sala delle bandiere e nessuno in quella occasione ne ha illustrato i contenuti prima di porla al voto”. Inoltre nella delibera in questione non era indicato il compenso di Romeo, ma si rimandava a varie categorie contrattuali. dunque, secondo Raineri, si approfittò dell’assenza per ferie del capo dell’Ufficio Risorse Umane del Campidoglio, Laura Benente, che avrebbe dovuto vistare la delibera, ma era in cattivi rapporti con l’amministrazione, e la firma fu del vice Gianluca Viggiano. Quindi la delibera andò direttamente in giunta senza passare al vaglio del suo gabinetto. Insomma, considerati i passaggi, compreso l’avere ignorato il parere contrario dell’avvocatura comunale, la delibera che porta alla nomina di Romeo sembra studiata apposta per evitare eventuali rilievi sul nuovo stipendio. ficio e per violazione di norme ambientali consumati in combutta con alcuni protagonisti di “Mafia Capitale”. Insieme all’ex assessore al Bilancio, Marcello Minenna e al capo di gabinetto Carla Raineri, si dimettono uno dopo l’altro che il dg Atac Marco Rettighieri, l’amministratore unico Armando Brandolese e il presidente di Ama Spa (Azienda Municipale Ambiente) Alessandro Solidoro. Altro che “i 43 successi più importanti” conseguiti dalla sindaca di Roma nei primi 7 mesi di governo pubblicati sul blog a firma Beppe Grillo! Raggi e la sua “banda” La sindaca Raggi in compagnia del fedelissimo Romeo, già capo della segreteria politica Il burattinaio Di Maio Un colpo di mano studiato a tavolino ancor prima che la Raggi venisse eletta sindaca e confermata anche dalle conversazioni nella ormai famigerata chat “Quattro amici al bar” dove tra Marra e Romeo si sprecano i riferimenti alla “macrostruttura”. Ovvero la modifica della pianta organica dei dirigenti del Campidoglio. In particolare Marra rassicura Romeo: “Ho messo in fila le cose per lo staff del sindaco. Ho segnalato incarichi e possibili retribuzioni. Ho lasciato tutto a V.”, probabilmente Virginia Raggi. “Ho appena finito di studiare i nominativi per gli incarichi delle strutture di diretta collaborazione del sindaco e del vicesindaco”, scrive Marra a Romeo su WhatsApp a maggio 2016. Dunque Raineri e Minenna, Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] che l’aveva voluta capo di gabinetto al posto di Daniele Frongia a cui la Raggi aveva promesso quella poltrona, pagano a caro prezzo l’insubordinazione ai diktat del quadriunvirato che fa capo al burattinaio Di Maio. Illuminante in tal senso è l’sms con cui, nei giorni delle sue dimissioni, Minenna svela alla Raineri tutto il mercimonio dei Cinquestelle per le nomine in Capidoglio e aggiunge: “La storia di Di Maio (il riferimento è all’incontro di luglio con Marra ndr) è assolutamente vera e lo sai avendola vissuta quasi in diretta. Così come sai che misi a parte anche la Taverna. Ho sms con entrambi e fui scaricato. D’altronde, erano i referenti di Direttorio e mini Direttorio per Roma. Quindi erano loro l’ancora di salvezza. Sono certo che Di Maio sapeva tutta la storia di Cantone (il parere chiesto all’Anac ndr) ben prima di noi. Si capì benissimo dall’interazione”. Minenna fa protocollare in comune anche una lettera con la quale comunica alla sindaca e alla giunta “che devono intendersi revocati tutti i voti favorevoli da me manifestati a tutte le assunzioni effettuate da Roma Capitale ai sensi dell’articolo 90 Tuel (la norma di legge sugli enti locali)”. In particolare, aggiunge, “quella di Salvatore Romeo”, per la sua “intrinseca illegittimità “, poiché “il suo status di dipendente pubblico già assunto a tempo indeterminato dell’amministrazione capitolina, non è stato reso noto nelle motivazioni della delibera”. Nel giro di appena sei mesi è andata a finire che Raffaele Marra, capo di gabinetto e capo del personale del Comune di Roma, legato a doppio filo alla destra romana e già collaboratore di Alemanno e della Polverini finisce il 16 dicembre scorso a Regina Coeli per corruzione. Raggi, Romeo e l’ex assessora all’Ambiente Paola Muraro sono indagati dalla Procura rispettivamente per abuso di uf- Intanto le polemiche e i veleni non accennano a placarsi. A rilanciarle è stato l’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini che il 9 febbraio durante un colloquio con il giornalista Federico Capurso de “La Stampa” nel commentare il totale fallimento della giunta Raggi ha fra l’altro affermato che: “Trovo la situazione esplosiva, questa città non tiene... è stato fatto un errore dopo l’altro. Prima con la nomina di Raffaele Marra, poi la polizza di Romeo, e se è uscita questa cosa su L’Espresso, fra qualche giorno magari ne esce un’altra. Non si può dire che sia finita la musica. I Cinque Stelle mi hanno chiesto aiuto per affrontare alcune battaglie insieme. Anche per questo, non ho fatto gli esami con il direttorio. Sono l’unico assessore, credo, ad essere entrato di diritto, ma non mi aspettavo tutto questo”. Sulla sindaca Raggi, che tra l’altro secondo Berdini se l’intende con Romeo “sono amanti”, l’ex assessore all’Urbanistica ha aggiunto: “Su certe scelte sembra inadeguata al ruolo che ricopre. I ‘grand commis’ dello Stato, che devo frequentare per dovere, lo vedono che è impreparata. Ma impreparata strutturalmente, non per gli anni. Se vai, per dirne una, a un tavolo pubblico e dici che sei sindaco di Roma, spiazzi tutti. Lei invece… Mi dispiace. Mi dispiace molto - continua Berdini - Se lei si fidasse delle persone giuste… Ma lei si è messa in mezzo a una corte dei miracoli. Anche in quel caso, io glie l’ho detto: ‘Aei sindaco, quindi mettiti intorno il meglio del meglio di Roma’. E invece si è messa in mezzo a una corte dei miracoli... s’è messa vicino una banda... È forte il sapore del rimorso e della rabbia per non essere stato ascoltato quando, da mesi, aveva avvisato la sindaca dei pericoli che Marra e il raggio magico portavano con sé. Io sono amico della magistratura, Paolo Ielo lo conosco benissimo, è un amico, ma lei è stata interrogata otto ore. Anche lì c’è qualcosa che non mi torna. Come se ne esce? Non lo so. Io questo non lo so”. Subito dopo la pubblicazione del colloquio Berdini nell’annunciare le sue dimissioni, subito “congelate” dalla Raggi (ma in un secondo momento diventate “irrevocabili”), ha cercato in tutti i modi di smentire e ridimensionare le sue “chiacchere” che, a suo dire, sarebbero state carpite alla chetichella da un “mascalzone. Non ho mai detto certe cose, è repellente ragionare su questo piano. Il ragazzo avrà contraffatto con i mezzi tecnologici a disposizione. Mi sono state messe in bocca parole inaudite da questo piccolo delinquente”. In una nota pubblicata sul suo sito internet “La Stampa conferma parola per parola il colloquio con l’ex assessore Berdini pubblicato nell’edizione odierna a firma del giornalista Federico Capurso. Se umanamente si può comprendere l’imbarazzo dell’assessore, questo comunque non giustifica in alcun modo gli inaccettabili giudizi che Berdini ha pronunciato sul collega per cercare di smentire quanto riferito”. Anzi l’intervista è stata “alleggerita di alcuni intercalari poco pubblicabili. Non c’erano attacchi più forti alla Raggi, c’erano alcune parolacce, usate come esclamazioni, ma le abbiamo tolte”. Come ad esempio: “Quando parlava della polizza e della Raggi, con la sindaca che aveva detto di non saperne nulla, Berdini diceva ‘a chi cazzo lo vuoi raccontare’? E poi quando parlava di questa ‘banda’, che la Raggi si sarebbe messa intorno, invece di dire banda Berdini ha detto una banda di assassini”. Insomma anche Berdini è finito nel mirino della “banda Raggi” per le perplessità espresse in merito alla grande speculazione edilizia che si preannuncia intorno al progetto per il nuovo stadio dell’As Roma. E mentre la giunta e il consiglio comunale si apprestano a dare il via libera ai palazzinari di inondare Roma con una nuova colata di cemento, centinaia di attivisti aderenti ai vari movimenti di lotta (Carovana delle Periferie, rete Decide Roma, Usb e Forum Salviamo il Paesaggio) che si battono contro i tagli alla scuola, all’edilizia pubblica, alla sanità e per la tutela dei posti di lavoro e del territorio, si sono riuniti il 7 febbraio nella sala della protomoteca del Campidoglio per denunciare fra l’altro che fino a “Qualche mese fa speravamo che tutto cambiasse, ma non è cambiato niente... Abbiamo vissuto questi mesi con spirito di collaborazione, ma vediamo che anche il ragionamento, insufficiente, sull’onestà è stato vanificato dagli accadimenti recenti... L’assemblea non si capacita di come i consiglieri comunali della larghissima maggioranza a 5 Stelle abbiano esultato per l’approvazione del bilancio. E di come ci si inchiodi al rispetto di procedure che andrebbero messe in discussione, come la legge Madia sull’esternalizzazione dei servizi locali... Questa è la modalità della vecchia politica” in perfetta continuità con tutte le altre cosche parlamentari e di “Mafia Capitale”. giunta raggi / il bolscevico 7 N. 7 - 23 febbraio 2017 Aperte le trattative per la costruzione dello stadio della Roma La Raggi cede ai palazzinari e cementificatori rimangiandosi le sue promesse elettorali Un’opera faraonica costosa per la collettività, urbanisticamente mostruosa e a rischio idrogeologico Sembra proprio che, contrariamente alle recenti dichiarazioni della sindaca Virginia Raggi nelle quali afferma che la decisione definitiva sarà rimandata alla prossima conferenza dei servizi, l’accordo sulle cubature del maxi-impianto della AS Roma, sia stato già trovato. Secondo molti quotidiani, le parti avrebbero già messo a punto i termini dell’accordo: il progetto iniziale prevedeva per il “business park” 900mila metri cubi di nuove costruzioni, mentre l’allora assessore Berdini ne chiedeva il taglio di almeno il 60%, abbattendo così la cubatura a 330mila. A questa controproposta la As Roma e il costruttore Parnasi hanno risposto rilanciando a 600mila il totale dei nuovi cubaggi. Ed è qui che si è inserito nella contrattazione finale l’ex-vice sindaco Frongia, in oscuro accordo con Parnasi, per chiudere con una riduzione di un ulteriore 10% rispetto a quei 600mila. Un vero e proprio tradimento rispetto alle posizioni dell’ex assessore all’urbanistica Paolo Berdini, che ha considerato il patto un via libera alla speculazione firmato proprio da chi aveva promesso di combatterla, ma anche al programma elettorale dell’allora candidata cinquestelle che aveva opposto il “No” alle cubature extra, quale uno dei suoi maggiori cavalli di battaglia. Tor di Valle è divenuto invece il più grande crocevia di interessi, stimabili in 3 miliardi di euro, da investire per la costruzione dell’intero complesso; e quando ci sono tanti interessi in mezzo ed una possibile ritrovata popolarità, dopo le scandalose vicende di Raggi & Co., ricavata dal mondo calcistico, nuovo “oppio dei popoli”, non c’è Movimento o etica che tenga. rate necessarie per la funzionalità dell’insieme. Una specie di piccola Eur dunque, dove il piano regolatore prevede impianti sportivi con modeste cubature. Tutto ciò sarebbe consentito non da una legge sugli stadi, della quale ogni tanto si sente parlare anche se non esiste, ma grazie a una norma inserita forzosamente e all’ultimo momento nella legge di stabilità del 2014, e quindi approvata solo per volontà del governo con voto di fiducia. Desta perplessità, o meglio, apre gli occhi sui reali fini dell’opera per la quale l’impianto sportivo è solo un contorno, la questione dei parcheggi previsti: nessuno Stadio europeo, grande o piccolo, vecchio o nuovo, presenta una dimensione di parcheggi a raso vasta 22 ettari. Un incredibile quanto inutile consumo di suolo. Ed il paragone non vale solo per gli impianti sportivi, perché anche di prendere posizione poiché “non parla di cose di calcio”, come se fosse il calcio il nocciolo della questione. In realtà il progetto che sta per essere ufficializzato ha in sé enormi oneri di urbanizzazione e solo chi è in malafede non riesce a notare che in un contesto del genere lo stadio vero e proprio rappresenta solo il cavallo di Troia per realizzare tutto il resto. Inoltre è stata scelta un’area che ha bisogno di un enorme investimento pubblico, che potrebbe anche non essere risolutivo, data la sua conformità e le sue caratteristiche. In primis il rischio idrogeologico pare insormontabile; secondo alcuni esperti quella zona non è solo una delle più complicate di Roma, ma anche d’Europa e del mondo, se si considera l’edificazione. Esiste un documento del Comune di Roma che parla per quell’area di “regimazione” del fosso di Vallerano, un affluente sotter- La regia delle banche Chi ha scelto dunque quell’area? Probabilmente chi aveva interessi, come Parnasi ed Unicredit. La grande Banca d’affari, ex proprietaria del 31% di quote della società giallorossa, poi cedute a Pallotta nel 2014, è anche la stessa che ha finanziato Parnasi nell’acquisizione dei terreni da girare per il nuovo stadio. Nel 2016 Parnasi, abbondantemente indebitato per circa 500 milioni con finanziarie e banche, sigla con la stessa Unicredit un accordo per il piano di ristrutturazione aziendale al quale seguono pesanti licenziamenti fra i lavoratori, dando vita a Parsitalia. Unicredit, quindi ha tutto l’interesse che Parsitalia rientri più rapidamente possibile, senza rischi. Quale migliore occasione di una boccone così goloso come la colossale cit- richiesta della Lazio o di altre società sportive. Ma, è vero, ci stiamo dimenticando che in questa vicenda lo sport non c’entra nulla. I nuovi palazzinari del Movimento 5 stelle romano e l’epurazione di Berdini Roma, infine, ha già nel piano regolatore una dotazione di milioni di metri cubi largamente inutilizzati poiché ci sono 185 mila alloggi sfitti o invenduti e parecchi metri quadrati di uffici altrettanto vuoti. Nella sua trattativa, tali argomentazioni sono state avanzate anche dall’assessore all’urbanistica Berdini, contrario a un progetto di queste dimensioni, anche se possibilista verso un intervento in forma “ridotta”. Sessantotto anni, ingegnere specializza- intervista “rubata” dalla telecamera di un giornalista precario nella quale Berdini esprime parole poco edificanti sulla Raggi e sulla sua giunta. In estrema sintesi ha definito la Raggi “impreparata”, circondata da “corte dei miracoli” che pare più una “banda” che un gruppo di tecnici. Da mesi però si parla della possibilità che Berdini sia cacciato dalla giunta vista la sua contrarietà al progetto del nuovo stadio, che vorrebbe fosse realizzato nel quadro dei vincoli del piano regolatore, ossia senza le tre torri e la centralità commerciale previsti dal disegno attuale, e con al massimo 300 mila nuovi metri cubi. Alla fine è stato lui che se ne è andato sbattendo la porta. Si tratta comunque di una nuova epurazione dunque a chi mette il bastone fra le ruote agli scagnozzi di Grillo, anche se essi cercano di limitare in qualche modo la piaga della speculazione. Il progetto, i costi e i rischi Un milione di metri cubi a Tor di Valle, in una fragile ansa del Tevere non lontana dall’Eur, località difficilmente accessibile, servita solo dalla Roma-Lido, la peggiore ferrovia d’Italia. Questo è in estrema sintesi la “location” del “business park” di Pallotta. Delle nuove cubature previsto, lo stadio e le altre funzioni connesse alle attività sportive rappresentano solo una minima parte, meno del quindici per cento, del complesso immobiliare che comprende tre grattacieli alti più di duecento metri e tanti altri edifici destinati ad attività direzionali, ricettive e commerciali senza rapporti con lo stadio, ma destinati a compensare il costo delle infrastrutture dichia- Il piano della grande speculazione edilizia legata alla costruzione del nuovo stadio di Roma se si guarda alle più grandi strutture per il divertimento in Italia, e perfino ai più grandi centri commerciali, in nessun caso si arriva a numeri simili. Anche lo slogan lanciato dal capitano della Roma Totti “#FamoStoStadio” è diventato il tormentone della campagna messa su dai club romanisti riunitisi nel “comitato per il sì” che già annunciano “promozione” in tutte le curve. Lo stesso slogan è stato ripreso anche con i cartelli innalzati in Aula da alcuni consiglieri capitolini del Pd. Renzi che si è naturalmente schierato per il Sì, mentre nicchia Bersani che si rifiuta raneo del Tevere. Roma è percorsa da tanti fiumi sotterranei che, se da un lato la mettono a riparo dal rischio sismico, evidenziano fortemente il rischio idrogeologico. Per convogliare le acque piovane dai parcheggi, servirebbero idrovore per una spesa di oltre 9 milioni di euro, più altre opere idrauliche generali e molto probabilmente non risolutive per altri 16/16 milioni. Ne consegue in generale un progetto non sostenibile dal punto di vista finanziario poiché l’urbanizzazione costerebbe oltre 270 milioni, mentre la AS Roma ha posto il contributo massimo a 50. tadella dell’amico Pallotta che, insieme a Goldman Sachs e Rotschild, è già alla caccia di nuovi investitori? In pratica a Roma si stanno dando le chiavi della città in mano al privato, in piena continuità col passato e con “Mafia capitale”. Siamo probabilmente di fronte alla più grossa speculazione fondiaria tentata a Roma dopo l’Unità d’Italia e conta poco non sapere neppure quale sarà il destino dello stadio Olimpico e del vecchio stadio Flaminio, ormai vergognosamente abbandonato. Per non dire della futura difficoltà a negare lo stesso trattamento a una eventuale to in urbanistica, Berdini ha un passato di militanza dal Pci a Rifondazione Comunista, ed è un ambientalista attivo, membro di Italia Nostra e per quattro anni, dal 2009 al 2012, del Consiglio nazionale del Wwf. Fin da quando il suo nome era comparso sul taccuino del toto-assessori e poi annunciato tra i primi aderenti alla squadra di governo Raggi, donandole una certa dose di autorevolezza e affidabilità presso ampi settori dell’opinione pubblica, le quotazioni del M5S erano salite presso ambienti prima difficilmente raggiungibili. Oggi però il suo destino pare segnato a seguito di una Roma in sintesi, dopo decenni di governo del territorio realizzato con l’assenso dei principali proprietari fondiari, dei maggiori costruttori e immobiliaristi, rimane la stessa anche se “targata” 5 Stelle. La giunta Raggi, la questione “stadio”, Marra, Paola Muraro, Salvatore Romeo, così come le vicende che hanno coinvolto il movimento a Roma dimostrano che i vertici pentastellati rappresentano la continuità con i giochi di potere borghesi che dicono di contrastare; altro che alternativa, essi rappresentano un vero e proprio puntello al capitalismo. 8 il bolscevico / interni N. 7 - 23 febbraio 2017 Nel famigerato “giorno del ricordo” Mattarella rilancia le bugie dei fascisti sulle foibe In occasione del famigerato “giorno del ricordo”, il 10 febbraio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, coerentemente con il suo essere democristiano e anticomunista, ha rilasciato una dichiarazione per rilanciare le bugie dei fascisti sulle foibe. A suo dire si è trattato di “feroci crimini”, di “una strage di italiani”, di “criminali pulizie etniche”. Le stesse menzogne sono state pronunciate dalla presidente della Came- ra Laura Boldrini alla vergognosa commemorazione alla Camera dove erano stati radunati ignari studenti di ogni ordine e grado, accompagnati dagli insegnanti. Niente di più falso. In realtà nella zona di Trieste, in Istria, a Fiume e nella costa dalmata negli anni tra il 1943 e il 1945 furono giustiziati dei criminali fascisti da parte dei partigiani comunisti, ed emigrarono numerose famiglie di anticomunisti. “All’origine di questi fatti stanno lo snaturamento dell’identità nazionale del popolo jugoslavo e dei suoi diritti, le vessazioni a cui è stato sottoposto dall’imperialismo, dal nazionalismo e dal fascismo italiano prima e, in seguito, dall’aggressione e dall’occupazione nazifascista”. Così come è detto ed è dimostrato dall’articolo de “Il Bolscevico” del 2005 “Sulla questione delle foibe: origine, storia, cause e responsa- bilità” che si trova sul sito del PMLI al seguente link http:// www.pmli.it/questionefoibe. htm. Bambini internati dai fascisti italiani nel campo di concentramento di Arbe (oggi Rab) che fu creato nel luglio del 1942 ed ospitò complessivamente circa 21.000 internati tra sloveni, croati ed ebrei diventando il più esteso e popolato campo di concentramento italiano. Il campo si caratterizzò per la durezza del trattamento riservato agli internati di etnia slava, dei quali un gran numero perì di stenti e malattie In piazza studenti e le vittime del decreto salvabanche Contestata la Boschi a Pisa Nel pomeriggio dello scorso 6 febbraio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Maria Elena Boschi è stata oggetto di una pesantissima contestazione a Pisa, dove si era recata per tenere una lezione magistrale presso la Scuola Normale dal titolo ‘La nuova frontiera dei diritti’. A protestare erano due gruppi distinti, uno di universitari e l’altro delle vittime del decreto salvabanche di cui hanno beneficiato anche suo padre e la Banca Etruria in cui era in posizione di vertice. Di fronte all’evidente provocazione che a salire in cattedra sui diritti sia proprio una ministra che ha peraltro concepito e dato il suo nome all’Italicum fascistissimum, alcuni studenti universitari, che protestavano per i tagli di servizi alle università italiane e che contemporaneamente hanno offerto la loro solidarietà agli ex obbligazionisti di Banca Etruria, hanno esposto uno striscione su cui è scritto “Cara Boschi, quali pari opportunità? Salvate le banche per tagliare scuola, università, salute, sociale! Che schifo!”. A loro volta gli ex obbligazionisti hanno esposto una foto della Boschi e uno striscione contro il salvabanche. Intervistati, alcuni manifestanti hanno manifestato la loro intenzione di non indietreggiare nella protesta contro la Boschi e l’ex pre- sidente del Consiglio Matteo Renzi, responsabili di tale decreto che li ha mandati nel lastrico. “Ci appare surreale – ha sostenuto la presidente dell’associazione Vittime del Salva Banche Letizia Giorgianni che era presente alla manifestazione – che chi ha attentato alla Costituzione, fallendo in un tentativo di riforma bocciato dagli italiani, la stessa persona che ha privato del diritto ai propri risparmi tanti cittadini, per la prima e unica volta nella storia repubblicana, possa salire in cattedra a parlare di cose che, evidentemente, più di chiunque altro ignora”. Dentro la sede universitaria, al termine della sua lezione, la Boschi, informata nel frattempo delle proteste che montavano nella piazza davanti all’ateneo, ha avuto anche l’ardire di lamentarsi per essere stata attaccata in quanto donna, una litania già sentita e risentita ad esempio dall’ex ministro del lavoro responsabile della mostruosa controriforma pensionistica che ha provocato il fenomeno degli esodati Elsa Fornero. Lungi dal dare una risposta ai motivi delle proteste, la Boschi ha affermato che in generale l’impeto polemico contro di lei sarebbe “molto collegato all’essere donna in quanto tale, erano attacchi collegati al genere più che al lavoro svolto”, nascondendo ai risparmiatori truffati dalla banca diretta anche da suo padre e agli studenti privati ogni giorno di più dei loro elementari diritti non interessa a quale sesso appartiene chi li priva dei loro diritti, interessa soltanto manifestare pubblicamente la loro rabbia e contrarietà verso chi ha compiuto a suo tempo porcherie giuridiche anticostituzionali e avrebbe dovuto avere il buon senso di non salire in cattedra per tenere una lezione di diritto. Pisa 6 febbraio 2017.La protesta degli studenti contro la Boschi organizzata fuori dell’ateneo Non si ferma il “genocidio bianco” nell’hinterland partenopeo Morti 8 bimbi in 20 giorni nella “Terra dei fuochi” Le responsabilità della giunta regionale De Luca richiamano quelle locali di Bassolino e Caldoro e quelle nazionali di Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni Redazione di Napoli Si tratta di un vero e proprio “genocidio bianco” quello che si sta consumando lentamente, silenziosamente e da anni nell’hinterland napoletano con decine di morti che riempiono i muri della città del cosiddetto “triangolo della morte”, ossia nella parte che va da Nola ad Acerra e precisamente vicino all’inceneritore inaugurato dal rinnegato Bassolino con il beneplacito del neoduce Berlusconi, fino alla zona del giuglianese e del casertano dove il pentito Schiavone ha individuato centinaia di rifiuti tossici e nucleari mai smaltiti negli ultimi dieci anni con le giunte antipopolari Bassolino e Caldoro. Un disastro che vede la indomita protesta dei Comitati territoriali ambientali e ora delle madri di queste terre che hanno visto nell’ultimo periodo la scomparsa della loro prole. Si tratta di 8 bimbi che in un colpo e nel giro di pochi giorni dall’inizio dell’anno sono morti nella maniera più atroce, dilaniati da tumori e leucemie, nell’indifferenza delle istituzioni nazionali e locali in camicia nera. Clamoroso quello che sta avvenendo a Casalnuovo, un comune di 50mila abitanti alle porte di Napoli, dove è raddoppiata la mortalità per cancro dei giovani da 1 a 14 anni. Un dato che è confermato dal progetto “Sentieri” del 2016 dell’Istituto Superiore della Sanità che parla di un “eccesso di tumori sui bambini già all’età di un anno, in particolare viene interessato il sistema nervoso centrale”, ossia tumori al cervello già in tenera età. Tutta “colpa” dell’aria si potrebbe dire che secondo uno studio del Cnr e dell’Università “Parthenope” di Napoli in solo tre mesi di osservazione era carica di un flusso di anidride carbonica di 5.500 kg l’ora, pari a quasi 2mila automobili che scaricano nell’ambiente. Tra i responsabili di questo inferno si può citare Mario De Biase, ennesimo commissario per la bonifica della vasta area di Giugliano in Campania che ha il compito di mettere in sicurezza 30mila tonnellate di materiale tossico interrato; così si giustifica: “i lavori per il risanamento della discarica Resit vanno a rilento, siamo stati fermi due anni perché la ditta vincitrice dell’appalto, la ‘3R’, venne indicata in rapporti con soggetti di Mafia capitale e poi revocata l’interdittiva antimafia”. Quando poi si chiede come affrontare il dramma delle ecoballe, 5 milioni e 60mila tonnellate di spazzatura impacchettata, De Biase lancia la favoletta che in cinque anni i terreni delle zone interessate saranno di nuovo coltivabili (sic!). Ormai si è fissi sulla politica dello scaricabarile, ma rimangono chiare a noi marxisti-leninisti le responsabilità politiche di questo genocidio che non risparmia nemmeno bimbi, giovani e giovanissimi e che si dividono equamente gli ultimi governi nazionali (in particolare Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) e quelli locali in camicia nera, ossia Bassolino, Caldoro e ora De Luca, incapaci di dare una concreta risposta alla questione ambiente, cominciando con l’assunzione immediata degli operatori ecologici formati con il progetto “Bros” e finendo per la bonifica immediata e sistematica delle zone del giuglianese, del casertano e del vesuviano. PMLI / il bolscevico 9 N. 7 - 23 febbraio 2017 Radicare ed estendere il PMLI per dargli un corpo da Gigante Rosso Ne abbiamo fatta tanta di strada, e tutta in salita, per costruire il Partito. Ma abbiamo le energie per scalare le prossime vette ancora più alte, che richiedono durissimi sforzi e un impegno più qualificato. Anche perché abbiamo pochissimi mezzi e risorse economiche e siamo oggetto di un assordante silenzio stampa. La nostra è la tipica situazione in cui si trovano i pionieri che aprono una nuova strada nell’incredulità e nello scetticismo degli osservatori. (…) Oggi più che preoccuparci di quando arriverà il socialismo, di quando avverrà la svolta rivoluzionaria della lotta di classe, di quando il proletariato si schiererà con noi, dobbiamo preoccuparci di dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso radicandolo ed estendendolo nelle città e regioni dove siamo presenti, in modo da ricavarne le forze per espanderlo in tutta Italia. Questo deve essere il nostro obiettivo strategico a medio termine. Questo è quello che ci è richiesto dall’attuale lotta di classe e dall’attuale situazione del nostro Paese. Se non ce la facciamo a raggiungere tale obiettivo a medio termine, non ci resta che rilanciarlo una o più volte fino a conquistarlo. Non tutto dipende da noi, cioè dalle nostre capacità e dal nostro impegno. Noi abbiamo in mano solo metà della chiave del problema, l’altra metà l’hanno la lotta di classe, il proletariato e le nuove generazioni. La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta, assieme a quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole e delle università. Frequentiamola il più possibile per diffondere i messaggi del Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più ad esse. Gli ambienti in cui operiamo devono essere conosciuti a fondo e studiati in maniera sistematica e tale da aiutarci a intervenire con volantini, documenti, comunicati stampa, articoli ben calibrati e fondati sulla realtà concreta. (…) Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao ci hanno lasciato in eredità un grande patrimonio ideologico, politico e organizzativo, facciamolo fruttare. Ciascuno in base alle proprie possibilità e capacità e secondo il posto e il ruolo che il Partito ci ha assegnato. Con tranquillità e serenità,senza affanni, un passo per volta, imparando e insegnando gli uni dagli altri, dando il meglio di noi stessi, tenendo ben alte le bandiere dei grandi maestri del proletariato internazionale, del socialismo, dell’anticapitalismo, dell’antimperialismo, dell’antifascismo, dell’antirazzismo, dell’internazionalismo proletario e del PMLI. (Brani tratti dal discorso “Da Marx a Mao” pronunciato da Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, a Firenze l’11 settembre 2016 in occasione della Commemorazione per il 40° Anniversario della scomparsa di Mao) PMLI / il bolscevico 11 N. 7 - 23 febbraio 2017 Militanti e simpatizzanti del PMLI lavoriamo uniti per applicare le indicazioni di Scuderi sul Partito di Antonio Leparulo Il Partito ha chiesto al compagno Antonio Leparulo, Responsabile dell’Organizzazione di Modena, una riflessione sul paragrafo “Il Partito” del discorso del compagno Giovanni Scuderi, “Da Marx a Mao”, in base all’esperienza della propria istanza. Ecco quanto ha scritto. “Per combattere e sconfiggere il capitalismo e i suoi governi, occorre un forte, radicato e legato alle masse partito autenticamente proletario, rivoluzionario e marxista-leninista”. Così inizia il paragrafo “Il Partito” del discorso del compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, a nome del Comitato centrale, per il 40° Anniversario della scomparsa di Mao “Da Marx a Mao” pronunciato l’11 settembre 2016. Questa frase dà molta importanza al nostro Partito e ai suoi militanti nonché ai simpatizzanti ed amici, poiché, direttamente o indirettamente facciamo parte di un autentico Partito marxista-leninista al servizio del proletariato. Lo dimo- Nuovo volantinaggio Le masse napoletane approvano il Documento dell’UP del PMLI contro il governo Gentiloni Napoli 12 febbraio 2017. La diffusione in piazza del Gesù del volantino del PMLI contro il governo Gentiloni (foto il Bolscevico) Dal corrispondente della Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli Domenica 12 febbraio, a Piazza del Gesù, la Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli del PMLI ha diffuso centinaia di volantini dal titolo: “Opponiamoci al governo Gentiloni di matrice renziana antipopolare, piduista e fascista. Lottiamo per aprire la strada al socialismo e al potere politico del proletariato”. Alle 10.30 i compagni, guidati dal compagno Andrea, Segretario della Cellula partenopea, hanno iniziato la diffusione favoriti da un clima soleggiato, riscontrando sin da subito l’apprezzamento dei passanti, attratti dal rosso del volantino, che concordavano senza alcun equivoco che il governo Gentiloni è di matrice renziana e che per tale motivo non poteva che continuare a danneggiare le masse popolari e il proletariato in primis. Diversi conservavano in tasca il volantino anche dopo averlo letto. Data la posizione della piazza - nel pieno centro storico di Napoli – i compagni hanno divulgato il volantino anche ai numerosi turisti di passaggio, sia italiani che stranieri. Nel giro di un’ora, un’ora e mezza i volantini venivano esauriti tra l’ approvazione di chi ha già capito che il governo Gentiloni nulla farà per il Sud e il Mezzogiorno. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 15/2/2017 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 stra innanzitutto la grandiosa coscienza di classe che solo i seguaci del PMLI riescono ad esprimere anche nelle piazze che, nonostante i nostri mezzi limitati e le poche forze che disponiamo, riusciamo a frequentare in maniera costante, ricevendo l’apprezzamento delle masse popolari, non badando ai sacrifici e agli attacchi cui siamo sottoposti da parte della borghesia e dalle sue istituzioni e partiti. Come afferma Scuderi, “La nostra stessa esperienza dimostra che solo coloro che vogliono veramente e nei fatti trasformare l’Italia e se stessi, costi quel che costi, sono capaci di affrontare e superare tutte le avversità e le prove della lotta di classe, nonché quelle della propria vita personale: disoccupazione, licenziamenti, malattia, vecchiaia, problemi familiari. Il che non significa che non possa sopraggiungere, come accade specie tra i militanti più deboli ideologicamente e più sensibili alla propaganda borghese e dei falsi comunisti, un momento di scoramento, di pessimismo, constatando la lentezza della crescita numerica del Partito, la lontananza dell’avvento del socialismo e le difficoltà per ottenere il consenso e l’appoggio delle masse che già ci conoscono”. Non è un caso che il 9 Aprile 2017 il PMLI festeggerà i suoi primi 40 anni al servizio del proletariato e contro il capitalismo e i suoi governi, siamo molto fieri dell’evento e si trovano sicurezza e forza proletaria rivoluzionaria dalle parole del nostro Segretario generale “Ne abbiamo fatta tanta di strada, e tutta in salita, per costruire il Partito. Ma abbiamo le energie per scalare le prossime vette ancora più alte, che richiedono durissimi sforzi e un impegno più qualificato. Anche perché abbiamo pochissimi mezzi e risorse economiche e siamo oggetto di un assordante silenzio stampa. La nostra è la tipica situazione in cui si trovano i pionieri che aprono una nuova strada nell’incredulità e nello scetticismo degli osservatori” e da Mao “Il risveglio politico del popolo non è una cosa facile. Per eliminare le idee errate diffuse fra il popolo, dobbiamo fare seri e considerevoli sforzi”. Dobbiamo sforzarci di essere avanguardie proletarie all’interno e al di fuori del Partito, Mao su questo ci dà grande forza: “Chi non ha paura di morire di mille ferite, osa disarcionare l’imperatore, questo è l’indomabile spirito necessario nella nostra lotta Il compagno Leparulo interviene alla 38° commemorazione di Mao tenutasi a Firenze il 7 settembre 2014 per il socialismo e il comunismo”. Studiare le cinque opere fondamentali dei cinque grandi Maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, studiare il nostro territorio, studiare i problemi delle masse applicando la parola d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare”, in base alla linea ed allo Statuto del Partito, nonché dai documenti del Comitato centrale, se stiamo fermi, non studiamo e non agiamo, non daremo mai un corpo da Gigante Rosso al PMLI e non daremo nessun aiuto alla causa del proletariato. I militanti del PMLI non sono semplici iscritti, il PMLI non è il partito cui si bussa alla porta per ritirare la tessera, i militanti sono avanguardie proletarie formate dal Partito che li segue passo passo durante la candidatura, fino ad arrivare alla conferma della militanza col passaggio a membro effettivo del Partito. Spiega Scuderi: “Ai nuovi militanti, fin dal primi giorni in cui entrano nel Partito, dobbiamo spiegare a fondo tali indicazioni affinché essi siano pienamente coscienti della scelta ideologica, politica e organizzativa fatta, che non può non comportare una svolta radicale della propria vita. Essi vanno presi per mano per tutto il periodo della loro candidatura, e lasciandogliela solo quando siamo sicuri che sono in grado di camminare ideologicamente, politicamente e organizzativamente con le proprie gambe. Non a tutti è concesso di essere marxisti-leninisti, anche se tutti i membri del proletariato, del popolo e delle masse giovanili possono diven- tarlo. Ci vuole la stoffa di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, dei martiri comunisti italiani e dei vari paesi, dei fondatori del PMLI fedeli alla causa”. Affermò Stalin, commemorando Lenin nel 1924 “Noi comunisti siamo gente di una fattura particolare. Siamo fatti di una materia speciale. Siamo coloro che formano l’esercito del grande stratega proletario, l’esercito del compagno Lenin. Nulla è più elevato dell’onore di appartenere a questo esercito. Nulla è più elevato dell’appellativo di membro del partito che è stato fondato e diretto dal compagno Lenin. Non a tutti è dato essere membri di un tale partito. Non a tutti è dato sopportare i rovesci e le tempeste che l’appartenenza a un tale partito comporta. I figli della classe operaia, i figli del bisogno e della lotta, i figli delle privazioni inimmaginabili e degli sforzi eroici: ecco coloro che innanzitutto, debbono appartenere a un tale partito. Ecco perché il partito dei leninisti, il partito dei comunisti, si chiama al tempo stesso partito della classe operaia”. Oggi il nostro obiettivo strategico a medio termine è dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso, se non ce la facciamo nell’immediato non dobbiamo scoraggiarci, dobbiamo perseguirlo fino a conquistarlo. Lavorando con grande forza nelle piazze, il nostro ambiente naturale e di lotta, “assieme a quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole e delle università” affinché le nostre posizioni vengano accettate dalle masse occupandosi delle loro problematiche. Per far ciò il compagno Scuderi ci dà indicazioni sul metodo di lavoro “Nei nostri interventi orali e scritti teniamo sempre presente tre cose: massima dialettica, argomentazione e documentazione”. Un altro tema fondamentale su cui dobbiamo riflettere è quello delle contraddizioni nel Partito. “Le contraddizioni in seno al popolo e le contraddizioni antagonistiche, fin qui il nostro Partito – rileva il compagno Scuderi - le ha affrontate in maniera corretta attraverso la critica e l’autocritica in modo franco, leale, sincero e con spirito unitario. Dobbiamo continuare a fare così anche in futuro. È la nostra forza. Quando le nostre opinioni non vengono condivise, non è il caso di prendersela sul piano personale, di drammatizzare o rompere col Partito. Bisogna sempre saper aspettare che i nuovi avveni- menti e i fatti ci diano ragione. Se ogni militante o simpatizzante attivo rompesse col Partito per una qualsiasi questione, anche se importante e rilevante, alla fine il PMLI cesserebbe di esistere. Chi se ne avvantaggerebbe allora? Il proletariato o la borghesia, l’antimperialismo o l’imperialismo? Rimaniamo uniti e in cordata, aiutandoci l’un l’altro a scalare le montagne che ci attendono nella nostra Lunga Marcia politica e organizzativa”. Dalle parole di Scuderi si evince la forte natura di classe e marxista-leninista del Partito; tutti, nessuno escluso, anche i simpatizzanti attivi se abbiamo a cuore la causa del proletariato, del socialismo e del PMLI e ci identifichiamo in essa, come sinceri rivoluzionari non possiamo rompere con il Partito. Il Partito si fonda sul centralismo democratico, sulla critica e sull’autocritica e raccoglie a sé i sinceri rivoluzionari. Se non vi è confronto, se non si risolvono anche le più piccole incomprensioni, il Partito ne risentirà, anche sul piano dei rapporti tra compagni, militanti o simpatizzanti. Dobbiamo essere coscienti che la borghesia, sotto qualsiasi forma si manifesti, farà di tutto per corromperci, per metterci l’uno contro l’altro per disgregare il Partito. Noi tutti, militanti e simpatizzanti attivi, dobbiamo essere lo scudo rosso del PMLI, tutti uniti dietro di esso per applicare le indicazioni di Scuderi sul Partito. La storia e il tempo ci daranno ragione. Viva i grandi Maestri del proletariato internazionale! Prendiamo esempio da Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao per trasformare l’Italia e noi stessi! Viva il marxismo-leninismopensiero di Mao! Gloria eterna a Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao! Con Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao per sempre contro il capitalismo per il socialismo! Opponiamoci al governo Gentiloni di matrice renziana, antipopolare, piduista e fascista! Lottiamo per aprire la strada al socialismo e al potere politico del proletariato! Lavoriamo uniti per dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso! Tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo! Avanti con forza e fiducia verso l’Italia unita, rossa e socialista! Con i Maestri e il PMLI vinceremo! Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] 12 il bolscevico / no al “giorno del ricordo” N. 7 - 23 febbraio 2017 Comunicato dell’Organizzazione di Modena del PMLI La “giornata del ricordo” è un oltraggio ai valori della Resistenza e del socialismo La giunta comunale di Modena, guidata dal sindaco del PD Gian Carlo Muzzarelli, si appresta a celebrare, davanti al monumento dedicato ai “martiri” delle foibe, in Piazzale Natale Bruni, il 10 febbraio, come ogni anno, il “giorno del ricordo” delle “vittime” delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, istituito nel 2004 dal parlamento dominato dalla maggioranza neofascista del neoduce Berlusconi. Questa giornata è la rappresentazione dell’ignobile parlamento italiano borghese complice da sempre dei crimini contro l’umanità perpetrati dal sistema imperialista e capitalista e l’attuale linea del governo Gentiloni, senza dubbio, non se ne discosta. L’istituzione della “giornata del ricordo” maschera le atrocità commesse dai nazisti tedeschi e dai fascisti italiani quando invasero la Jugoslavia procedendo a un processo di italianizzazione forzata, mettendo a bando la lingua slovena e croata, la libertà di stampa e i partiti antifascisti. Furono inoltre costruiti campi di concentramento nazi- fascisti dove circa 11mila persone morirono di fame e malattie. Omettendo queste gravi atrocità si parla delle foibe come un fenomeno a sé stante, come una sorta di follia scagliata contro gli italiani “brava gente”. La speciale attenzione a questi fatti ci dice che la Resistenza jugoslava è stata grandiosa e di conseguenza il revisionismo neofascista, attraverso i massmedia al soldo del capitalismo e della borghesia reazionaria, criminalizza intenzionalmente il concetto di Resistenza antifascista e quindi inevitabilmente condanna anche la Resistenza italiana. Gli storici revisionisti, nascondendo le atrocità nazifasciste nei confronti delle popolazioni slave vogliono influenzare l’opinione pubblica attraverso l’ignobile e improponibile concetto della “memoria condivisa”, equiparando così carnefici e vittime. Come dicevano i partigiani jugoslavi contro l’occupazione nazifascista “Morte al fascismo, libertà al popolo!”. L’Organizzazione di Modena del PMLI 10 febbraio 2017 Dietro al “giorno del ricordo” si nascondono le peggiori atrocità commesse dal fascismo italiano e dal nazismo di Stefano Dondi, simpatizzante dell’Organizzazione di Modena del PMLI Una vera giornata della vergogna italiana, quella istituita il 10 febbraio 2004, celebrata annualmente e denominata con infamia: “giorno del ricordo”. La propaganda nazionale mass-mediatica, messa in opera a viva voce dai vili poteri forti costituiti di stampo capitalista-imperialista e la nefasta montatura ideologica tronfia di patriottismo nazionalista, relativa alla celebrazione dei cosiddetti “martiri delle foibe ed esodo giuliano-dalmata” è l’epitaffio legislativo dell’ignobile parlamento italiano democraticoborghese, sovrastruttura politicoculturale complice da sempre dei crimini dell’umanità attuati dal sistema capitalista e imperialista; infatti, nel corso della storia (contemporanea), dall’istituzione del parlamento italiano nel secondo dopoguerra ad oggi, con l’attuale linea ideologica condotta dall’antipopolare governo Gentiloni di matrice renziana, si può constatare, senza alcun dubbio, la propria precisa presa di posizione ideologica di carattere liberalereazionaria, e cioè, fascista! Codesti politicanti, lacchè della borghesia capitalista e imperialista, si succedono e si alternano vicendevolmente tra un governo italiano e l’altro, attraverso scambi di potere, favoritismi e gratificazioni istituzionali con annessi massimi privilegi e notorietà pubblica. La famigerata istituzione della “giornata del ricordo” maschera le peggiori atrocità commesse dall’imperialismo nazifascista nel corso del XX secolo; questa è la verità, codesta è la memoria storica. A proposito del revisionismo attuato a spron battuto attraverso la suddetta istituzione del “giorno del ricordo”, è doveroso richiamare le atroci affermazioni di Benito Mussolini nel 1920: “Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”. Affermazioni da carogna con la “C” maiuscola. Gli eventi nel confine orientale Entriamo nella verità e nella memoria storica, facendo luce sugli eventi nel confine orientale, quando durante la II guerra mondiale, i nazisti tedeschi, i fascisti italiani e gli alleati ungheresi e bulgari invasero la Jugoslavia. Dalla divisione dei territori conquistati all’Italia spettarono una metà della Slovenia, la Dalmazia e l’intero Montenegro. A cavallo degli anni ’20 del secolo scorso, avvenne l’italianizzazione forzata nei territori limitrofi oltre-confine, precedentemente annessi: giunsero funzionari e operatori italiani che sostituirono i lavoratori locali, l’italiano diventò la lingua ufficiale, mentre vennero messe al bando la lingua slovena e croata. Le scuole slovene furono chiuse e i loro insegnanti costretti al licenziamento, al confino o all’emigrazione. Si fecero cessare le attività delle associazioni culturali non italiane; i partiti antifascisti vennero posti fuori legge insieme alla stampa locale (tranne quella allineata, cioè italiana!). Durante l’invasione nazifa- Eccidio compiuto dai fascisti italiani nel villaggio sloveno di Radoh scista, la Slovenia divenne “provincia di Lubiana” governata dal feroce squadrista fascista, Emilio Grazioli che fascistizzò la provincia creando una serie di istituzioni repressive cui aderirono, in nome dell’anticomunismo, molti nobili e i vertici della Chiesa. Operai, artigiani, intellettuali, studenti e contadini slavi non furono disposti ad accettare l’occupazione nazifascista, così si formò il Fronte di liberazione in collegamento con il movimento di liberazione diretto da Tito. Nel febbraio del 1942, il nuovo comandante della II armata fascista, il generale Mario Roatta, agì con tale ferocia che la città di Lubiana divenne un enorme campo di concentramento circondato da filo spinato e diviso in settori senza possibilità di collegamento. Ci fu un enorme rastrellamento e, in pochi giorni, le caserme si riempi- Studiare, capire e agire in base al paragrafo Il Partito del discorso di Scuderi “Da Marx a Mao” pubblicato su “Il Bolscevico” n. 34/16 e sul sito http://www.pmli.it/articoli/2016/20160914_34a_discorsoScuderiMarxMao.html rono di migliaia di civili arrestati. La Croazia venne riconosciuta come regno indipendente ma con un Savoia proposto come regnante; inoltre, l’amico e pupillo di Mussolini, Ante Pavelić (designato come primo ministro) e i suoi Ustaša (i fascisti croati) in sinergia con l’esercito italiano, fecero partire una feroce caccia al serbo che seminò terrore con saccheggi, torture, mutilazioni, deportazioni nei campi di concentramento e uccisioni di massa. In Montenegro le truppe di occupazione si distinsero per brutalità nei confronti dei civili tanto da essere soprannominate pali kuće (brucia case). È questo il periodo di maggiore violenza da parte delle milizie fasciste italiane. Alla fine della seconda guerra mondiale la Jugoslavia risulterà uno dei Paesi con il più elevato numero di perdite: un milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti di cui oltre 250 mila risultano morti per mano italiana, e solo una piccola parte di essi in combattimento. Il generale Roatta e il generale Robotti misero in atto una vastissima azione contro gli antifascisti deportando intere popolazioni. La circolare 3C, famigerato documento di morte, prevedeva la fucilazione di ostaggi soprattutto se comunisti, la fucilazione di uomini adulti che provenivano da paesi in cui erano avvenuti atti di sabotaggio contro i nazifascisti, la deportazione del resto della popolazione: donne, bambini, vecchi, il bombardamento e l’incendio con i lanciafiamme dei villaggi. In questa circolare è inserita la seguente frase sul comportamento da tenersi con gli slavi: “non dente per dente, ma testa per dente”. L’opera di assimilazione (forzata) nei confronti delle popolazioni slave che entrarono a far parte del territorio nazionale italiano fu messa in atto dagli occupanti con la costruzione di campi di concentramento, brevetto tedesco sì, ma che gli italiani seppero gestire in pieno con l’internamento di almeno 100.000 prigionieri sloveni, croati e montenegrini; di conseguenza, circa 11mila persone, donne, uomini, bambini, intere famiglie, morirono nei campi di concentramento, di fame e malattie. I lager italiani furono numerosi, i più conosciuti quelli di Hvar, Rab, Lopud, Gonars e Visco in provincia di Udine, Cairo Montenotte (Savona), Alatri (Frosinone), Monigo (Treviso), Chiesanuova di Padova, Renicci di Anghiari (Arezzo), Ferramonti di Tarsia (Cosenza), molti altri campi, istituiti e sparsi sulla dorsale appenninica e sulle isole hanno conosciuto la propria vergognosa pagina di deportazioni, internamenti e morte. In realtà chi è finito nelle foibe? Omettendo fatti ed eventi precedentemente citati, si arriva a parlare delle “foibe” come un fenomeno a sé stante, come una sorta di follia scagliata contro gli italiani “brava gente”. Ma in realtà chi è finito nelle foibe? I profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del 1943; e con l’occupante tedesco per quanto riguarda il 1945. Questo diventa evidente quando si vanno ad analizzare i documenti ufficiali, rilevanti, che però la gran parte degli “storici” in tanti anni non ha assolutamente elaborato, accontentandosi di riprendere i temi e le argomentazioni della propaganda neofascista. Occorre aggiungere che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda attuale revisionista: è assodato che in Istria nel 1943 le persone uccise sono circa 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti. Nel 1945, le persone “infoibate” furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. C’è poi l’episodio della foiba Plutone, da cui furono estratti 18 corpi, in cui gli “infoibatori” erano appartenenti alla Decima Mas (fascisti) e criminali comuni infiltrati fra i partigiani, i quali furono arrestati e processati dagli jugoslavi stessi. Se si analizzano il contesto e le documentazioni esistenti, si constata una varietà di casi che non possono assolutamente corrispondere ad un progetto di “pulizia etnica” da parte degli jugoslavi. Per quanto riguarda il cosiddetto “esodo”, occorre rinnovare di nuovo la memoria, e cioè, che durante i giorni dell’amministrazione jugoslava, furono istituiti tribunali del popolo e vennero portati a processo solo coloro che avevano collaborato con i nazifascisti. Fuori dai tribunali la repressione fu usata contro chi premeva per la giustizia di strada e le vendette di piazza; non si hanno notizie di rilevanti episodi di violenze ai danni degli italiani, i processi che videro alla sbarra traditori e nemici del popolo erano rappresentati dai fascisti (certamente italiani), ma anche da tutti quelli che avevano in qualche modo appoggiato il precedente regime nazifascista e che si opponevano alla liberazione della Jugoslavia, tra questi, anche i giuliani proprietari di fabbriche, miniere e campi che prevedevano la fine dei propri profitti con l’avvento del socialismo. Si confonde il cosiddetto “esodo”, anche con la scelta di coloro (italiani) che rifiutarono l’avvento del socialismo in Jugoslavia, e cioè, gli anticomunisti di varia estrazione, i liberali, gli elementi fascistoidi e soprattutto coloro che appartenevano alla classe padronale. La grande attenzione a questi fatti ci dice che la resistenza jugoslava fu grandiosa. Di conseguenza il revisionismo neo-fascista, attraverso la feccia mass-mediatica perversa assoldata dal capitalismo, criminalizza intenzionalmente il concetto paradigmatico di Resistenza antifascista, inevitabilmente si condanna anche la Resistenza italiana; lo dimostrano le ignobili pubblicazioni di Giampaolo Pansa. E’ questo il bieco lavoro con cui gli storici revisionisti speculano e si divertono perché, nascondendo le efferate atrocità attuate dal nazifascismo per oltre venti anni nei confronti delle popolazioni slave, si vuole influenzare l’opinione pubblica attraverso l’ignobile e improponibile concetto della “memoria condivisa”, equiparando così, carnefici e vittime. cronache locali / il bolscevico 13 N. 7 - 23 febbraio 2017 Per dire No allo slargo intitolato al caporione fascista Almirante Presidio antifascista a Catania Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania del PMLI Domenica 12 febbraio si è svolto a Catania un presidio antifascista davanti al municipio di S. Gregorio per contestare la scelta dell’amministrazione comunale di “centro-destra” del sindaco Carmelo Corsano, con l’appoggio di una lista civica, di intitolare uno slargo al noto caporione fascista Giorgio Almirante. Il presidio è stato indetto dall’associazione “Noi democratici” (Formazione socioculturale uscita dal PD per dissensi) che si è battuta con forza perché questa decisione non fosse attuata. Oltre agli organizzatori erano presenti l’Anpi, il PMLI e altre associazioni. In molti hanno protestato e contestato questo atto considerandolo un’offesa alla memoria di chi ha dato la vita nella lotta al fascismo. L’Anpi, in un comu- Il PMLI è stato accolto con interesse dai manifestanti nicato, denuncia: “Ci sembra del tutto improponibile intitolare uno slargo ad un uomo come Almirante che ha partecipato come protagonista alla rivista del nascente razzismo fascista, contribuendo in prima persona alla persecuzione antiebraica. Almirante ha svolto un ruolo importante nella repubblica di Salò, firmando anche il bando di fucilazione di giovani italiani che rifiutavano di arruolarsi nella Rsi. L’Anpi si oppone con fermezza all’intitolazione prevista per il 12 febbraio”. I fascisti hanno alzato la testa grazie al revisionismo storico attuato proprio dalla “sinistra” di regime che sostiene “non ci sono più nemici ma avversari politici”, mentre il fascismo esiste ancora ed è di nuovo al potere nella forma della seconda repubblica neofascista funzionale al capitalismo. Il PMLI ha partecipato al presidio portando la solidarietà antifascista alla popolazione di S. Gregorio per aver subito questa offesa, per lo più senza essere consultata, e alle forze Catania 12 febbraio 2017. Un momento del presidio antifascista davanti al municipio di S. Gregorio contro la decisione di intitolare uno slargo al noto caporione fascista Almirante (foto il bolscevico) sociali che si sono battute per far sì che lo slargo fosse intitolato alle vittime del fascismo. I marxisti-leninisti sono stati accolti con interesse dai manifestanti che hanno dialogato con i compagni con reciproco rispetto, hanno scambiato le loro opinioni sentendosi uniti nel fronte antifascista. Il compagno Sghembi, dell’Organizzazione locale del PMLI, ha chiarito che il fascismo di oggi è di tipo nuovo, non dichiarato ma di fatto ha portato all’affossamento della Costituzione democratico-borghese del ‘48. al punto che oggi c’è una generalizzata rivalutazione del fascismo e il governo centrale e i governi locali si permettono di concedere ad un criminale fascista, come Almirante, il titolo di uno slargo non tenendo conto delle proteste della popolazione. Dopo la vittoria del NO che ha bloccato la controriforma costituzionale, la lotta deve continuare contro il capitalismo, per i diritti delle masse popolari a partire dal lavoro, dove il 40,1% dei giovani sono disoccupati e costretti ad emigrare, per colpa del Jobs Act, per ripristinare, l’articolo 18, anche se la Consulta ne ha bocciato il referendum, e contro i voucher. Pronti a lottare contro i tagli alla scuola pubblica, alla sanità e per una alimentazione e una vita sana. Il PMLI è sempre pronto al dialogo e disponibile a costruire un fronte unito antifascista perché sia la popolazione di S. Gregorio a decidere il nome da dare allo slargo. Occorre intensificare la mobilitazione per mettere fuorilegge le organizzazioni neo fasciste, per abbattere il governo Gentiloni, per la libertà delle masse popolari dall’oppressione capitalista dei suoi governi centrale e locali, per il socialismo. Intanto il sindaco di Pelago Zucchini (PD) scarica le proprie responsabilità sui migranti Valdisieve: disastro accoglienza per i richiedenti asilo Dal corrispondente dell’Organizzazione di Rufina del PMLI Il 22 dicembre scorso il sindaco di Pelago Zucchini (PD) ha inviato una lettera indirizzata al sindaco della città metropolitana Nardella, al presidente dell’Anci Matteo Biffoni e al prefetto di Firenze, riguardante la contrarietà del comune di Pelago a sostenere il peso di CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI FEBBRAIO 10-17 Osrl Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil, Osp-Ugl, Faisa-Cisal, OrsaAutoferro Tpl.Fast-Mobilità e Orsa-Ferrovie - Sciopero del personale del trasporto pubblico locale e ferroviario con PRGDOLWjGLYHUVLÀFDWHVXOWHUULWRULR Slc-Cgil – Telecomunicazioni - Telecom Italia-Tim – Sciopero degli straordinari/reperibilità e ultimi 90 minuti di ogni turno di lavoro dal 17/2 al 16/3 17 21 23 Unione Nazionale Giudici di Pace, Associazione Nazionale Giudici di Pace – Sciopero dei Magistrati professionali e onorari Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Ta - Sciopero personale delle aziende del settore trasporto aereo rappresentate da Assaereo, Assaeroporti, Fairo e Assohndlers e di Aviation Services Spa,Aviapartner Handling Spa,WFS Ground Handling Srl, Consulta Spa, GH Aircraft Clening Services Srl,LP Industrial Spa,On Board Catering Srl,AYS,Full Cleaning, AC95 SP Anpac – Sciopero personale navigante (piloti e assistenti di volo) Air Italy SpA Cub-Trasporti -Aereo – Sciopero personale Gruppo Alitalia-Sai RSA Anpav-Aereo – Sciopero personale navigante di cabina del Gruppo Meridiana Osr Filt-Cgil/Fit-Cisl/Uilt-Uil/Ugl-Ta Aereo – Sciopero del personale delle aziende Handling che effettuano pulizie di bordo presso l’aeroporto di Fiumicino 23-24 Rete dei 65 movimenti - Presidio a Roma davanti a Montecitorio per il ritiro dei decreti attuativi della “riforma” della scuola MARZO 8 Usb,Usi-Ait, Sial-Cobas, Slai-Cobas, - Sciopero Generale di tutte le categorie pubbliche e private in adesione all’iniziativa di “Non una di meno” di sciopero globale delle donne 17 Cobas, Unicobas – Sciopero generale della scuola contro la legge 107 e i decreti attuativi Ospiti ricoverati in strutture fatiscenti ulteriori arrivi di richiedenti asilo; pare siano 25 quelli previsti nella struttura “Il Peraccio” nella frazione di Paterno. Il sindaco, che capeggia una giunta di cui fa parte il PRC, ha chiesto il riequilibrio della distribuzione dell’“accoglienza diffusa del modello toscano”, coinvolgendo nei bandi per le strutture ricettive quei comuni che non hanno finora accolto alcun richiedente asilo. All’origine di questa richiesta, c’è un incontro avvenuto proprio a Paterno, in un’assemblea del 19 dicembre, nella quale la popolazione ha fatto emergere i disagi relativi al trasporto pubblico della direttrice Saltino-Pontassieve, e la quasi completa saturazione della capienza degli autobus che effettuano il servizio della mattina intorno alle sette in direzione Pontassieve, frequentato da molti studenti. Secondo alcuni partecipanti all’assemblea, la causa del sovraffollamento dei bus sarebbe da ricercare nell’uso dei mezzi pubblici da parte di un folto numero di richiedenti asilo ospitati nelle strutture a Saltino-Vallombrosa-Tosi. Le reazioni delle altre forze politiche comunali Questa presa di posizione del sindaco ha ricevuto le critiche della lista d’opposizione “Pelago insieme per cambiare” di Sinistra Italiana, che considera offensiva e non pertinente la distinzione fatta fra “cittadini” e richiedenti asilo, anziché considerarli tutti utenti di un servizio pubblico. Secondo il consigliere Rubino anche il rilanciare l’accusa di non pagare il biglietto, porta in se il rischio conseguente di alimentare forme di razzismo. Il sindaco ha minimizzato dichiarando che era necessario motivare la richiesta con “trasparenza” e nell’ambito della “legalità”. Zucchini ha poi sottolineato che, secondo gli accordi tra prefettura e cooperative che si occupano dell’accoglienza, il diritto allo spostamento e le risorse per prendere i mezzi pubblici ci devono essere. A seguito della vicenda, il sindaco del PD ha incassato piena solidarietà dall’opposizione di destra “Pelago 2.0” che, per bocca del consigliere Luca Vigni, ha dichiarato: “in un paese civile e moderno all’appello del sindaco dovrebbe seguire un’immediata presa di posizione per trovare soluzioni adeguate e impedire da una parte nuovi disagi agli utenti e dall’altra soluzioni a un problema quanto mai attuale”. Sottolineando che quello sollevato da Zucchini è “un problema scomodo a tutti”, la destra punta strumentalmente il dito contro la sedicente omertà delle amministrazioni locali targate PD che non arrivano, almeno fino ad oggi, a definire pubblicamente gli immigrati stessi un problema. La posizione del PMLI L’Organizzazione di Rufina del PMLI condanna l’opportunismo del sindaco Zucchini che, allineandosi ai toni emersi nell’assemblea di Paterno, non fa altro che giustificare e fomentare forme di razzismo, di xenofobia e non accettazione nei confronti dei richiedenti asilo da parte della popolazione, vittima a sua volta delle politiche neoliberiste e dello smantellamento graduale e ultradecennale della spesa pubblica e dello “Stato sociale” tanto care al PD. È giusto che un sindaco chieda l’aumento del servizio di trasporto pubblico, ma vorremmo ricordargli quali sono il ruolo e le responsabilità politiche del suo partito nella privatizzazione dei trasporti pubblici e nelle politiche di tagli alla spesa pubblica. Privatizzazioni, come nel caso specifico, atte a tutelare i profitti di aziende e cooperative non solo per quanto riguarda i trasporti, ma anche sulla pelle dei migranti, come dimostra la situazione della frazione del Saltino in cui la gestione del centro di accoglienza è stata affidata ad un’associazione temporanea d’impresa dove spicca la presenza, oltre che di una cooperativa di Napoli, la Alma Mater, della PLM, una pasticceria di Prato. Perché il sindaco Zucchini non mette a conoscenza la popolazione su chi gestisce l’accoglienza e su chi sono i vertici di queste due aziende? La popolazione sa in quali strutture fatiscenti e mancanti pure dell’impianto di riscaldamento, come nella struttura del Saltino, vengono ricoverati i richiedenti asilo? Forse è stata scambiata l’accoglienza con la ghettizzazione? Forse i 31 euro al giorno più Iva che le imprese intascano per l’accoglienza di ciascuno dei 102 richiedenti ospitati al Saltino non è sufficiente per fornire loro un abbonamento per il trasporto, sempre che l’accusa di non pagare il biglietto abbia fondamento? Sterile ci pare la posizione espressa da “Pelago insieme per cambiare” che si sofferma solo sulla critica del metodo e dello stile della lettera del sindaco, non proponendo alternative nello specifico e nel merito della questione. Condanniamo invece con forza la fascista ricetta del capogruppo di Fratelli d’Italia alla regione Toscana Donzelli espressa su “il Giornale” del 25 gennaio secondo cui la pretesa di rendicontazione delle spese da parte dei soggetti che svolgono i servizi d’accoglienza, è uno specchietto per le allodole in quanto il nocciolo della proposta per risolvere la questione è quella di fermare tout-court gli sbarchi dei migranti. Inoltre, pensiamo che quanto proposto in tema di integrazione dalle amministrazioni di tutta la Valdisieve quali feste, cene, partite di calcetto, latenti progetti educativi spesso realizzati esclusivamente con giovani volontari, possa rappresentare solo un contorno a un vero e concreto inserimento effettivo nel tessuto sociale. Come si vede la negazione dei diritti per profughi e migranti è una costante anche nella Toscana governata dalla “sinistra” borghese. Sono stati finanziati sporadici “progetti” finalizzati soprattutto a creare opportunità economiche e a ingrassare associazioni e cooperative coinvolte, secondo la filosofia della sussidiarietà, ma non sono stati garantiti i diritti fondamentali dei migranti. Anche in Valdisieve è completamente assente una politica progressista che riconosca pari diritti sociali, civili e politici a tutti gli immigrati. Lo Stato deve garantire con regole universalistiche, attraverso la fiscalità generale e le strutture pubbliche, il soddisfacimento dei diritti essenziali delle masse popolari, dei lavoratori immigrati e dei richiedenti asilo, quali una degna e effettiva accoglienza, il lavoro, la casa, l’istruzione e la cultura, l’assistenza sanitaria e previdenziale, la pensione il riposo. La questione dell’immigrazione non troverà una giusta soluzione finché sarà gestita con la logica capitalista dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e con la speculazione; in questo caso siamo di fronte a un’emergenza umanitaria senza precedenti che tra le sue cause principali annovera secoli di colonialismo e imperialismo. Ma forse per le istituzioni borghesi al servizio e subordinate al capitalismo, l’immigrazione serve solo ad abbassare il “costo del lavoro” e a mettere in competizione fra loro le masse lavoratrici locali e immigrate. Considerando queste ultime solo come manodopera di riserva a bassissimo costo, da ricattare e ipersfruttare quotidianamente, si garantiscono lauti profitti ai padroni, anche in un periodo di crisi del capitalismo come quello odierno. Sarebbe quindi opportuno che la sedicente “sinistra” istituzionale, a partire dal sindaco Zucchini e da tutti gli altri amministratori della Valdisieve, facesse finalmente la dovuta autocritica riguardo alla propria responsabilità politica, sociale e umanitaria. esteri / il bolscevico 15 N. 7 - 23 febbraio 2017 Non si accontenta del ritiro del decreto “salva corrotti” Il popolo romeno in piazza chiede le dimissioni del governo Il primo ministro romeno Sorin Grindean annunciava il 5 febbraio il ritiro del decreto che era stato approvato dal suo governo per depenalizzare una serie di reati legati alla corruzione di fronte alle proteste di piazza che da sei giorni consecutivi si svolgevano a Bucarest e in decine di altre città della Romania; nella capitale erano almeno 170 mila i manifestanti e oltre 300 mila nelle altre città che chiedevano il ritiro del decreto bollato come “salva corrotti” e che decidevano di restare in piazza chiedendo le dimissioni del governo. La più massiccia protesta di piazza dal 1989, dalla rivolta che fece cadere la dittatura di Nicolae Ceausescu, metteva in difficoltà l’esecutivo a guida socialdemocratica e causava il 9 febbraio anche le dimissioni del ministro della Giustizia Florin Iordache, l’autore della legge contestata. In seguito alle proteste iniziate fin dalla presentazione del decreto all’inizio di gennaio si era già dimesso il ministro del Commercio Florin Jianu; in poco più di un mese sono saltate due poltrone dell’esecutivo entrato in carica il 4 gennaio. L’esecutivo guidato da Sorin Grindean è formato dalla coalizione tra il Psd (Partito Social Democratico) e l’Alde (Alleanza Liberal Democratica) che alle elezioni politiche dell’11 dicembre 2016 avevano ottenuto rispettivamente il 42% e il 19% dei voti validi. E una solida maggioranza parlamentare che però non ha riscontro nel paese a fronte di una diserzione delle urne che aveva toccato il 60% dei circa 18 milioni di elettori e ridotto la rappresentatività reale dei partiti della coalizione a circa un quarto dell’elettorato. L’esecutivo di Grindean succedeva ai due precedenti costretti alle dimissioni da imponenti manifestazioni di piazza; nel febbraio del 2012 si era dimesso il premier Emil Boc, sostenuto dalla formazione di centrodestra del Partito Democratico Liberale mentre nel 2015 era stata la volta del socialdemocratico Victor Ponta, costretto a farsi da parte per accuse di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale dopo la tragedia della morte di 64 persone in una discoteca a Bucarest a causa di un incendio scoppiato per mancanza di norme di sicurezza e di controlli. Bucarest 13 febbraio 2017. La gigantesca manifestazione di protesta contro la corruzione e per le dimissioni del governo Nonostante questi precedenti il governo di Grindean approvava a fine gennaio un decreto d’emergenza predisposto dal ministro Iordache che entrava in vigore con effetto immediato per la depenalizzazione di una serie di reati legati alla corruzione. Il decreto, che sarebbe dovuto entrare in vigore il 10 febbraio, prevedeva tra le altre la punizione col carcere per reati quali l’abuso d’ufficio solo se fosse stato provato un danno per lo Stato superiore a 44.000 euro; una norma che sembrava costruita apposta per fornire un sal- vacondotto al leader del Psd, Liviu Dragnea, il premier di fatto alle spalle di Grindean, che nonostante avesse vinto le elezioni di dicembre non ha potuto sedersi sulla poltrona di capo del governo perché sospeso dagli incarichi pubblici per l’accusa di abuso d’ufficio, per un valore di 24.000 euro, e per frode elettorale in occasione del referendum presidenziale del 2012. Assieme al varo della legge “salva corrotti” il governo aveva in programma di portare in parlamento anche una proposta per scarcerare 2.500 am- ministratori pubblici condannati a meno di cinque anni per reati non violenti. Gran parte di questi, assieme all’ex primo ministro Victor Ponta, a cinque ministri, 16 deputati e 5 senatori, sono finiti sotto accusa e condannati per abuso d’ufficio tra il 2014 e il 2016 per rispondere alle proteste popolari contro il dilagante fenomeno della corruzione nelle istituzioni. Nonostante il giro di vite degli ultimi due anni la Romania resta in cima alla classifica, redatta dall’organizzazione Transparency International, delle nazioni più corrotte dell’UE, si tro- va al quarto posto dietro Italia, Grecia e Bulgaria. Il semplice ritiro del decreto “salva corrotti” non poteva accontentare il popolo romeno che restava in piazza a chiedere, dopo quelle del ministro della Giustizia, le dimissioni del governo. “Ladri”, “dimissioni”, “Noi resistiamo”, continuavano a gridare quotidianamente i manifestanti sotto le finestre del governo in Piata Victorie a Bucarest. La partita non è chiusa, tanto più che il 10 febbraio la Corte di Cassazione dava il via libera al processo con accuse di frode e di falsa testimonianza a carico di Calin Tariceanu, il presidente del Senato e leader del partito liberale che sostiene il governo. In soccorso del governo arrivava l’iniziativa del presidente romeno Klaus Iohannis che invitava il parlamento a affidargli il compito di indire un referendum popolare sul tema della lotta alla corruzione; il 13 febbraio il parlamento di Bucarest votava la proposta all’unanimità pensando di offrire alla piazza un diversivo che induca i manifestanti a tornare a casa in attesa che il presidente decida la data del referendum. Per le violenze della polizia su un giovane nero In rivolta le periferie di Parigi Il presidente francese François Hollande si recava nel pomeriggio del 7 febbraio nell’ospedale parigino dove era ricoverato il giovane nero operato d’urgenza in seguito alle gravi ferite inflittegli una settimana prima da quattro poliziotti durante l’arresto a Aulany-sousBois, un quartiere della periferia della capitale. La visita ufficiale del presidente e il precedente annuncio dell’incriminazione dei poliziotti erano il tentativo delle istituzioni di calmare la rivolta delle periferie di Parigi contro la violenza sul giovane nero e non solo; la protesta de- nunciava il generalizzato comportamento repressivo, violento e spesso impunito della polizia contro gli abitanti dei quartieri periferici, i cittadini francesi di serie B, spesso immigrati di seconda o terza generazione. Il 2 febbraio il giovane era stato gravemente ferito in occasione di un controllo di identità, condotto dagli agenti nel quartiere di Aulany-sous-Bois come un vero e proprio rastrellamento, era arrivato in commissariato con il volto tumefatto e “importanti lesioni” che “corrispondono chiaramente” all’introduzione di un manganello nel retto del giovane, come confermava il referto medico dell’ospedale di Aulnay. L’agente responsabile della violenza si difendeva parlando di un “incidente” ma la versione del giovane era confermata da immagini di videosorveglianza della polizia municipale e da diversi testimoni. Il ministro dell’Interno Bruno Leroux annunciava il 5 febbraio la sospensione dal servizio dei quattro agenti con l’accusa di violenza sessuale e violenza volontaria e contemporaneamente la procura rendeva nota che gli agenti intervenuti per controllare l’identità di una decina di persone sospettate di spaccio di stupefacenti avevano usato gas lacrimogeni e lo sfollagente telescopico a causa della resistenza opposta dal giovane. L’incriminazione degli agenti non bastava a fermare la protesta dei quartieri periferici della capitale che iniziava il 4 febbraio da Aulany-sous-Bois, con centinaia di manifestanti che la sera protestavano per le strade dando fuoco a alcune auto, e si allargava nei due giorni successivi in particolare a Bobigny e Argenteuil. Il primo ministro Bernard Ca- zeneuve chiedeva una punizione “esemplare” per i poliziotti colpevoli assieme alla “fermezza” contro i manifestanti. La destra dei repubblicani attaccava le manifestazioni e la razzista Le Pen garantiva che una volta al governo si sarebbe sbarazzata “di questa feccia”. Con una campagna elettorale per le presidenziali di fatto già avviata si pronunciava anche il candidato socialista Benoît Hamon che condannava gli “atti inammissibili” commessi a Aulnay-sousBois dagli agenti ma aggiungeva che c’era anche “bisogno di ristabilire una relazione di fidu- cia tra la polizia e la popolazione”. Intanto il governo Valls ha pensato a rafforzare i poteri della polizia e presentato il 7 febbraio in parlamento una nuova legge sulla sicurezza pubblica, che ha già passato il vaglio del Senato, che estende alla polizia le regole della gendarmeria sul ricorso all’uso di armi da fuoco: finora i poliziotti potevano usare le armi da fuoco solo in caso di legittima difesa mentre i gendarmi, come i militari, possono usare le armi con maggiore libertà. Il parlamento israeliano approva l’annessione di territori in Cisgiordania L’Onu: Illegale Il 4 febbraio circa 5.000 palestinesi ed ebrei hanno manifestato a Tel Aviv contro lo stato “razzista” di Israele e le demolizioni delle case palestinesi e arabe in Cisgiordania e nel Sinai. Molti i cartelli in arabo ed in ebraico che denunciavano “Basta con il razzismo del governo, chiediamo uguaglianza”, “ebrei e arabi insieme, combattiamo il fascismo” e “se il governo è contro il popolo, la gente sarà contro il governo”. Due giorni dopo il parlamento israeliano rispondeva approvando con 60 voti a favore e 52 contrari la legge nota come Regulation Bill che decreta tra le altre una “sanatoria” per legalizzare retroattivamente quasi 4.000 case costruite senza permesso su 800 ettari di terra palestinese. A queste costruzioni si aggiungeranno le almeno 6.000 abitazioni la cui costruzione è stata approvata dal governo di Tel Aviv nelle ultime due settimane. La legge voluta dal governo del fascista Netanyahu serviva a impedire che in futuro si potessero verificare situazioni simili a quella dell’insediamento di coloni di Amona, costruito in Cisgiordania su terra privata palestinese e dichiarato illegale dalla Corte Suprema israeliana. Ma non solo. Con la legge sulla sanatoria, per la prima volta il parlamento israeliano impone di fatto ufficialmente una legge israeliana in un’area della Cisgiordania assegnata al controllo civile e militare di Israele in base agli accordi di Oslo. Detto in altre parole costituirebbe il primo passo verso l’annessione diretta di questo territorio ad Israele, a completamento della distruzione della case e delle coltivazioni e dell’espulsione dei palestinesi avviata in Cisgiordania fin dalla nascita della prima colonia di Kiryat Arba a Hebron, costruita nel 1968 un anno dopo la guerra dei Sei Giorni e l’inizio dell’occupazione militare. Oramai quasi il 20% della Cisgiordania è annessa di fatto a Israele, lungo la linea di frontiera dove il regime sionista ha costruito il muro illegale e in vaste aree fertili dove ha costruito a macchia d’olio le colonie e spezzettato i restanti territori abitati e coltivati dai palestinesi in enclavi distanti e discontinue. Una politica perseguita dai governi della destra e in misura minore anche da quelli laburisti. Gli obiettivi annessionisti del governo Netanyahu erano denunciati persino dal leader laburista Hertzog che durante il dibattito in parlamento affermava che “questo governo sta approvando un provvedimento che è un grave pericolo per Israele. Questa legge rappresenta de facto un’annessione di territori”. Esattamente quello che voleva il partito di Casa Ebraica, presente nella coalizione governativa, vicino ai coloni e promotore della legge: “questo è un passaggio storico per completare il processo che noi vogliamo portare avanti: l’applicazione della piena sovranità su tutte le città e le comunità della Giudea e Samaria (la Cisgiordania per gli israeliani, ndr)”. Dopo il varo della legge due organizzanizzazioni non governative israeliane, Adalah e il Centro israeliano per i diritti civili presentavano ricorso alla Corte suprema affermando che la nuova legge è in contrasto col diritto internazionale e incompatibile anche col sistema legale israeliano poiché viola il diritto di proprietà dei palestinesi. I palestinesi, denunciavano le due Ong, “si trovano alla mercè altrui, privi di difese legali, esposti al rischio di essere privati delle loro proprietà a beneficio dei coloni israeliani”. Ma anche se il ricorso avesse effetto non inciderebbe più di tanto dato che gli insediamenti demoliti su sentenza della Corte sono una infima minoranza rispetto quelli costruiti dal governo di Tel Aviv che può contare sul rinnovato appoggio del presidente americano Trump. La strisciante annessione della Cisgiordania da parte di Israele era denunciata dai delegati della Lista Araba Unita, un’alleanza di 4 principali partiti arabi d’Israele che ha 13 seggi alla Knesset e condannata duramente dal segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat che però si preoccupava soprattutto per la realizzazione dell’impossibile obiettivo della soluzione dei due Stati. “Il parlamento israeliano – affermava Erekat – ha appena approvato una legge che legalizza il furto di terra palestinese. Tutti gli insediamenti nella Palestina occupata sono illegali e rappresentano un cri- mine di guerra”. Il provvedimento israeliano è una “violazione della risoluzione 2234” contro le colonie in Cisgiordania votata lo scorso dicembre dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ricordava il presidente palestinese Abu Mazen. E l’Onu chiamato in causa rispondeva col segretario generale Antonio Guterres che esprimeva “profondo rammarico” per la legge che “è contraria al diritto internazionale e avrà conseguenze legali per Israele”. Posizione giusta ma si tratta di vedere quale sarà l’effettiva reazione delle Nazioni Unite, finora a risultato zero. L’Unione europea non si dannava l’anima neanche un po’ e lasciava all’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell’Ue, l’italiana Federica Mogherini, il compito di produrre un tweet col quale “esortava” il governo israeliano a “non applicare la legge votata dalla Knesset”. O L A V I V E L A B O L G O R E P SCIO O Z R A M 8 ’ L DEL No alla violenza maschile sulle donne la piattaforma contro la violenza O M A I G G O maschile sulle donne, sulle lesbiche APP e sulle persone transessuali le donne a lottare contro il governo O M A INVITI Gentiloni e il capitalismo, per il socialismo. Perché solo abbattendo il capitalismo e il potere della borghesia e instaurando il socialismo con il proletariato al potere è possibile realizzare la piena emancipazione delle donne, la totale parità tra le donne e gli uomini e costruire un mondo nuovo PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it Stampato in proprio “Le donne portano sulle loro spalle la metà del cielo e devono conquistarsela” Mao Zedong