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CAPITOLO 4 CIRCUITI BASATI SU OP-AMP 4.1 Richiami ed approfondimenti sugli amplificatori operazionali L’amplificatore operazionale è uno dei componenti integrati più utilizzati per la progettazione a frequenze non troppo elevate; a causa della complessità del circuito e per poter applicare in modo efficace la retroazione, mantenendo guadagni elevati, non si riesce, infatti, con operazionali convenzionali ad andare al di la delle decine di MHz. Il nome “operazionale” deriva dalla semplicità con cui si riescono a realizzare, con tale componente, le operazioni di elaborazione dei segnali. Tali dispositivi si prestano alla realizzazione di funzioni sia lineari che non (amplificatori invertenti, non invertenti, sommatori, integratori, ma anche amplificatori logaritmici, esponenziali, modulatori, moltiplicatori, convertitori analogico digitali, ecc.). L’operazionale ideale è schematizzabile come in figura 1: v+ v- + vu _ fig. 1 e dovrebbe realizzare una funzione del tipo v u = A (v + − v − ) (1) Idealmente si vorrebbe un amplificatore in grado di realizzare una pura operazione di differenza, ossia con un CMRR = ∞, il che significa una componente di guadagno di modo comune praticamente trascurabile. In più, un’operazionale ideale, oltre ad avere un guadagno molto elevato, tendente ad infinito, dovrà possedere un’impedenza di ingresso infinita e una impedenza d’uscita uguale a zero, cioè: zI = ∞ zO = 0 Un’altra caratteristica, che vale in condizioni ideali, è la sua indipendenza dalla frequenza, cioè la (1) vale indipendentemente dalla frequenza del segnale. Tutte queste caratteristiche, che valgono sempre all’idealità, per certi range di tensione e parametri possono essere ben approssimate e, dunque, essere ritenute vere, 138 semplificando così notevolmente la progettazione. Uno schema a blocchi per un operazionale reale può essere il seguente: VIN Amplificatore differenziale Stadio di guadagno Traslatore di livello Stadio di uscita Vu Lo stadio di guadagno è solitamente realizzato con una catena di amplificatori (emettitore comune) e, assieme all’amplificatore differenziale, costituisce un blocco utile ad elevare il guadagno. Il traslatore di livello serve ad aggiustare i livelli di continua, ossia, se in ingresso si ha tensione nulla, si vuole che essa rimanga tale anche in uscita, cioè il riferimento dovrà essere zero, qualora la tensione in ingresso sia zero. Infine lo stadio d’uscita, che solitamente deve pilotare dei carichi, è costituito praticamente da un amplificatore di “potenza” che dovrà fornire livelli di corrente e potenza sufficientemente elevati da potersi interfacciare con il mondo esterno; in generale tale blocco viene realizzato con un push-pull. Un primo aspetto interessante è costituito dalla risposta in frequenza, alla quale si è già accennato parlando di compensazione, al fine di raggiungere la stabilità. La compensazione può anche essere inserita solo per migliorare la risposta di un amplificatore e non necessariamente per motivi di stabilità. Si consideri un amplificatore con funzione di trasferimento a tre poli a parte reale negativa (i risultati che si otterranno saranno estendibili, con qualche considerazione ad amplificatori a più poli): A( s ) = A0 s s s 1 + 1 + 1 + p1 p 2 p 3 con p1, p2, p3 ∈ R+ sviluppando il denominatore si ottiene A( s ) = A0 1 + a1 s + a 2 s 2 + a 3 s 3 in cui si è posto 1 1 1 + + p1 p 2 p 3 1 1 1 a2 = + + p1p2 p1 p 3 p2 p 3 1 a3 = p1p 2 p 3 a1 = (2) Una situazione di particolare interesse pratico si ha in presenza del cosiddetto polo dominante, cioè quando vale: p1 << p2 < p3 (3) 139 se vale la (3), infatti, i coefficienti espressi nella (2) assumono la seguente forma a1 ≅ 1 p1 ⇒ a 1 = 1 p1 p 2 p2 a = 2 p3 a2 ≅ ⇒ a3 ⇒ 1 a1 a p2 ≅ 1 a2 a p3 ≅ 2 a3 p1 ≅ avendo potuto trascurare, dalla (3), p2 e p3 rispetto a p1. La semplificazione introdotta dal polo dominante risulta interessante specie se si tiene conto del fatto che è possibile calcolare in modo esatto i coefficienti a1 e a2 attraverso il metodo delle costanti di tempo. Questo, se vale l’ipotesi di polo dominante, consente di ricavare in modo semplice il primo e il secondo polo della funzione di trasferimento del circuito in esame. Tale metodo stabilisce che il coefficiente a1 può essere espresso nel seguente modo: a1 = M ∑ i =1 R iio C i (4) La (4) esprime la somma di costanti di tempo, a circuito aperto, associate alle varie capacità e valutate calcolando la Rii, che è la resistenza vista dalla capacità Ci quando tutte le altre capacità sono dei circuiti aperti. Si deve, tuttavia, sottolineare che ciò vale per tutte le M capacità indipendenti, ossia quelle per cui la tensione ai capi è realmente una variabile di stato (sono solo queste le capacità che fanno nascere un polo nella funzione di trasferimento). Quindi, due capacità in parallelo (fig. 2.a) non sono indipendenti, dal momento che, data la tensione ai capi dell’una (prima variabile di stato), quella ai capi dell’altra è identica. Per tre capacità in loop, invece, (fig. 2.b) fissata la tensione su due di esse la terza è automaticamente definita, quindi, quest’ultima non è una variabile di stato. Analogamente succede per due capacità in serie (fig. 2.c), perché , dal momento che possiedono la stessa carica, la tensione viene automaticamente fissata e le variabili indipendenti non saranno, dunque, due ma una soltanto. a) b) fig. 2 c) In tal modo, tramite il coefficiente a1 è possibile calcolare il polo dominante e, di conseguenza, la frequenza di taglio del sistema, senza dover scrivere l’intera funzione di trasferimento. Tale metodo, quindi, semplifica notevolmente le cose. Per ciò che riguarda il coefficiente a2, invece, esso può essere espresso nel seguente modo: 140 a2 = M ∑ i =1 R Ci ⋅ o ii M ∑ R ijj C j = i +1 (5) j in cui il primo termine rappresenta, come per il coefficiente a1, una somma di costanti di tempo a circuito aperto, mentre il secondo termine rappresenta le costanti di tempo in cortocircuito. In particolare, la Rjj è la resistenza che si vede dalla capacità Cj quando la i-esima capacità Ci è un cortocircuito e tutte le restanti capacità sono degli aperti. La (5), grazie alla relazione di reciprocità, può essere scritta nel modo seguente: R iio C i ⋅ R ijj C j = R iij C i ⋅ R ojj C j per i,j = 1,2,…,M che permette di calcolare il coefficiente a2 scegliendo la più comoda fra analisi diverse: considerando, in un caso, le costanti di tempo relative alle capacità i-esime e, nell’altro caso, considerando quelle relative alle capacità j-esime. Il coefficiente a2, così calcolato, assume un notevole significato nella verifica delle ipotesi di polo dominante; noto a1, infatti, si dovrà calcolare anche a2 e, quindi, il polo p2, per vedere se vale effettivamente la (3) e, soprattutto, quanto buona è tale ipotesi. Il calcolo di a2, a differenza di quello di a1, risulta spesso piuttosto lungo e noioso, anche se semplice e meccanico. L’ipotesi di polo dominante può essere ritenuta valida e soddisfacente quando la differenza tra il polo p1 e il polo p2 è dell’ordine delle due o tre ottave. In tal caso, l’approssimazione ottenuta nel calcolo di p1 con il metodo delle costanti di tempo è dell’ordine del 10%, commettendo, quindi, un errore relativamente piccolo. 4.1.1 Risposta in frequenza degli amplificatori Quando si parla di amplificatori una delle non idealità più importanti di cui tenere conto è, senza dubbio, quella della risposta in frequenza. Se si considerano, ad esempio, parametri quali il guadagno, le resistenze di ingresso e di uscita dell’amplificatore operazionale, solitamente, a patto di usare un numero sufficiente di stadi, è possibile ottenere prestazioni molto vicine all’idealità; la cosa, invece, non è più vera per quanto concerne la risposta frequenziale. Se da un lato, infatti, l’aumento del numero di stadi avvicina all’idealità dal punto di vista delle resistenze, dall’altro esso comporta un aumento del numero di poli, che limita la risposta in frequenza. La non idealità dell’operazionale, dunque, è dovuta proprio al fatto che la banda di risposta risulta finita, contrariamente a quanto si vorrebbe. Si consideri un semplice amplificatore ad un solo polo, per il quale si ha A( s ) = A0 1+ s ωT (1) in cui ωT è la pulsazione di taglio (alla quale il guadagno si riduce di 3dB) del sistema in esame. Si retroazioni, ora, tale amplificatore con una rete puramente resistiva B (rete algebrica), come mostrato in figura 1: 141 + _ A B fig. 1 La funzione di trasferimento del sistema risulta: A0 1 + A0 B AR ( s ) = s 1+ ω T (1 + A0 B ) (2) La (1) può essere riscritta nel seguente modo AR ( s ) = A0R s 1+ R ωT in cui A0R rappresenta il guadagno in continua del sistema retroazionato ed ωTR la pulsazione di taglio della sua funzione di trasferimento. Le espressioni di questi ultimi due parametri sono: A0 R A0 = 1 + A B 0 ω R = ω (1 + A B ) 0 T T (3) Come si può osservare, la retroazione ha portato ad un calo del guadagno, ma anche ad un aumento della banda, come evidenziano rispettivamente la prima e la seconda delle (3). Si ricorda, inoltre, che dalla (3) si deduce: ω TR A0R = ω T A0 = GBP definito come Gain Bandwidth Product (prodotto guadagno larghezza di banda). Tale fattore è fondamentale nei sistemi a polo dominante, in quanto essendo ωT ed A0 fissati dall’amplificatore ed essendo il loro prodotto una costante, per intervenire sul sistema complessivo si può agire su ωTR e A0R, solo aumentando l’uno e diminuendo l’altro o viceversa. Ovviamente, quanto migliore sarà l’amplificatore, tanto maggiore sarà il GBP. Per trattare, ora, la stabilità del sistema di figura 1, si considera il metodo del luogo delle radici . Come si può notare dalla funzione di trasferimento espressa dalla (1), la posizione del polo sarà a -ωT , come viene mostrato in figura 2: 142 jω x -ωT σ fig. 2 E’ poi possibile tracciare il luogo delle radici in funzione del guadagno d’anello, rappresentato in figura 2 dalla freccia in grassetto. Si osserva che, al crescere di tale guadagno, il polo tende a -∞, cioè tende ad assumere valori sempre più negativi, cosicché il sistema non avrà problemi di stabilità. Si vuole, ora, prendere in esame un amplificatore non invertente, il cui schema circuitale è quello di figura 3: RF Rs Vo Vi fig. 3 Nel caso ideale, non avendo l’amplificatore limiti di banda, si avrà: VO A0 1 R = ≅ =1+ F Vi 1 + A0 B B RS essendo B = RS RS + RF Nel caso di un amplificatore reale, tenendo conto che il GBP è finito, risulta: ω TR = GBP GBP (1 + A0 B ) ≅ GBP ⋅ B = R A0 A0 (4) avendo supposto A0 sufficientemente elevato. Dalla (4) risulta, quindi, evidente come il sistema retroazionato abbia una pulsazione di taglio ωTR tanto maggiore quanto più è grande B e, di conseguenza, quanto più piccolo è il guadagno del sistema stesso. Sarà, allora, necessario trovare un compromesso tra guadagno e larghezza di banda. Un caso più interessante è quello di un amplificatore a due poli, la cui funzione di trasferimento è la seguente: 143 A0 = 1 + a1 s + a 2 s 2 A( s ) = Nell’ipotesi di polo dominante, ossia A0 1 s2 1 s + + 1 + ω 1 ω 2 ω 1ω 2 (5) ω 1 << ω 2 si può scrivere ω1 ≅ 1 a1 ω2 ≅ a1 a2 Se si retroaziona il sistema con la rete resistiva precedentemente utilizzata, si ottiene: A0 AR ( s ) = (1 + A0 B ) 1 1 s 1 s2 + 1+ + ω 1 ω 2 1 + A0 B ω 1ω 2 (1 + A0 B ) A0R = 1 + a1R s + a 2R s 2 Assumendo valida anche per il sistema retroazionato l’ipotesi di polo dominante si ha: ω 1R ≅ ω R 2 1 1 = (1 + A0 B ) = ω 1 (1 + A0 B ) R a1 a1 a 1R a ≅ R = 1 ≅ ω2 a2 a2 Da ciò si deduce come l’ipotesi di polo dominante fatta per il sistema in catena aperta non si rifletta necessariamente per il sistema retroazionato, infatti, per quest’ultimo ω2R si trova nella stessa posizione di ω2 mentre ω1R cresce all’aumentare del guadagno avvicinandosi e sovrapponendosi, al limite, ad ω2R. Quindi l’assunzione ω1R<<ω2R non è valida per il sistema retroazionato anche se ω1<<ω2 per il sistema in catena aperta. Anche per questo sistema si può studiare la stabilità attraverso il luogo delle radici: jω -(ω1 + ω2) / 2 s1 x -ω2 x -ω1 s2 fig. 3 144 σ Come si evince dalla (5), i poli di tale sistema sono posti alle pulsazioni -ω1 e -ω2 e si spostano sul piano complesso come indicato dalle frecce in grassetto di figura 3. Si può osservare come, partendo da un sistema con poli reali, all’aumentare della retroazione e, quindi, del guadagno, i poli convergano verso il punto medio e possano diventare complessi coniugati (jω ≠ 0), influendo così sulla risposta del sistema. Dalla figura 3, tuttavia, si può dedurre che un sistema a due poli è sempre stabile, in quanto i poli, pur muovendosi, non potranno mai spostarsi nei quadranti σ positivi. Per un sistema a tre poli, infine, vedremo soltanto la stabilità tramite il luogo delle radici: jω s1 x -ω3 x -ω2 x -ω1 σ s2 In questo caso specifico, all’aumentare della retroazione, i poli si muovono in due modi distinti: il polo a pulsazione ω3 tende a valori sempre più negativi, mantenendosi, però reale, mentre i poli a pulsazione ω1 e ω2 tendono a diventare complessi coniugati, disegnando una curva i cui rami attraversano anche il primo e quarto quadrante del piano complesso. I poli, allora, potranno arrivare ad assumere parte reale positiva (σ > 0), causando l’instabilità del sistema. A questo proposito, sarà necessario introdurre una qualche compensazione, al fine di migliorare sia la stabilità che la risposta dell’amplificatore. Si consideri, a tale scopo, un sistema a due poli retroazionato con una rete puramente resistiva, la cui funzione di trasferimento sarà: A0 AR ( s ) = 1 1 1 + + ω1 ω 2 (1 + A0 B ) s 1 s2 + 1 + A0 B ω 1ω 2 (1 + A0 B ) in cui si è posto 145 = A0R s s2 + 1+ Q ω 0 ω 02 (6) ω 0 = ω 1ω 2 (1 + A 0 B ) ω0 Q = ω + ω 1 2 La (6) può essere facilmente confrontata con la risposta del circuito (L-C-R) analizzato nel paragrafo riguardante la progettazione dei filtri, ossia: H ( s) = 1 s s2 1+ + 2 Qω 0 ω 0 AR ( s) = A0R (7) in cui si è posto 1 ω 0 = LC Q = ω 0 RC → pulsazione (oppure 1 ) ω 0 LG → fattore di risonanza di merito o qualità Dalla (7) si nota che, a meno di una costante moltiplicativa (A0R), le risposte dell’amplificatore retroazionato e del filtro coincidono. Si ricorda, inoltre, che invece del fattore di merito Q, spesso si usa il coefficiente di smorzamento K, definito come: K = 1 2Q La (7) fa notare che la risposta ottenuta con un circuito in cui è presente un induttore è simile a quella fornita da un amplificatore retroazionato che ha solo capacità; ciò consente di sostituire eventuali induttanze ingombranti. Su tale considerazione si basa il progetto dei filtri attivi, che hanno proprio la caratteristica di utilizzare componenti attivi per la realizzazione di filtri compatti; in essi si impiegano, oltre agli operazionali, capacità e resistenze, ottenendo lo stesso effetto, in termini di risposta, di quello che si avrebbe con un filtro che comprende, invece, induttanze. Ciò è, soprattutto, fondamentale qualora si vogliano progettare filtri di ordine superiore al secondo e a frequenza relativamente bassa, dove gli induttori diventano particolarmente ingombranti. Tali progetti verranno presi in esame e approfonditi nel seguito. Si vuole, per il momento, analizzare la risposta del filtro in esame; in figura 4 se ne riporta il modulo della funzione di trasferimento: 146 |H| curva a smorzamento nullo K = 0, Q = ∞ ln ω0 ln ω 0 K Q fig. 4 Le curve più interne di figura 4 sottolineano, partendo dal centro verso l’esterno, un andamento via via crescente al decrescere di K (o al crescere di Q). Una delle proprietà fondamentali è data dalla condizione per cui: se K > 1 2 Q < oppure 1 2 (8) la risposta di figura 4 non presenta picchi. Per K = 0 la risposta ha un picco ad ∞, che si riduce all’aumentare di K stesso; quando vale la (8), la risposta ha completamente esaurito il suo picco. Si può, inoltre, analizzare il luogo delle radici parametrizzato in Q: jω K=1 Q=0.5 s1 K<1 Q>0.5 x -ω2 x -ω1 s2 σ K>1 Q<0.5 L’andamento qualitativo della risposta temporale al gradino, infine, sarà quella di figura 5: 147 vu(t) K<1 Q>0.5 risposta sottosmorzata risposta sovrasmorzata K=1 Q=0.5 fig. 5 I parametri più importanti, sui quali si può basare una misura della qualità del transitorio, sono: Ø Massima sovraelongazione (o massimo sorpasso) S: differenza fra il valore massimo raggiunto dall’uscita e il valore finale; normalmente si dà in % del valore finale. Ø Tempo di ritardo Tr: tempo per raggiungere il 50 % del valore finale. Ø Tempo di salita Ts: tempo occorrente perché l’uscita passi dal 10 al 90 % del valore finale. Ø Tempo di assestamento Ta: tempo occorrente perché l’uscita rimanga entro il ±5% del valore finale. Ø Istante di massima sovraelongazione Tm: istante al quale si presenta la massima sovraelongazione. Si ricorda che, all’aumentare di Q e, quindi, della retroazione, i poli tendono a spostarsi divenendo complessi coniugati. In particolare, la curva che stabilisce la transizione da poli reali a poli complessi è quella per cui Q = 0.5 e K = 1. Per Q < 0.5 e K > 1 si ottiene quella che viene detto sovrasmorzamento, mentre per Q > 0.5 e K < 1 si parla di sottosmorzamento. Dalla figura 5 si nota che, all’aumentare di Q o al diminuire di K, la risposta del sistema diventa più rapida, ma questo si paga in termini di sovraelongazione (overshoot), ossia un comportamento ondulatorio non gradito, a cui corrisponde un assestamento delle variabili di controllo. È possibile, dunque, aumentare la velocità di risposta del sistema, ma a causa dell’ondulazione, verrà anche aumentato il tempo di assestamento Ta. Tutto ciò, a parità di retroazione, dipende fortemente dalla posizione originale dei poli; partendo, infatti, da poli molto lontani, prima di arrivare al punto in cui essi iniziano a diventare complessi coniugati si ha un margine consistente per poter far crescere il guadagno; se i poli sono vicini, invece, anche con una debole retroazione cominciano a diventare complessi e si cade nella situazione precedentemente descritta di notevole ondulazione prima di arrivare a regime. Tutto ciò sottolinea che, indipendentemente dalla stabilità, può essere necessario compensare per evitare che, inserendo una retroazione, i poli diventino complessi e siano causa di una risposta oscillatoria del sistema. Tipicamente, i valori di K per i quali si tende ad operare sono quelli per cui K > 0.6, ai quali corrisponde un overshoot di circa il 10%. Se il sistema che si considera presenta tre o più poli, le considerazioni di tipo qualitativo svolte in precedenza rimangono valide, in quanto, per ciò che concerne la 148 stabilità e la risposta , si richiede che vi sia un polo dominante. L’aumento del numero di poli, dunque, porta ad una notevole complicazione dal punto di vista analitico se si vuole calcolare precisamente la risposta (e in questo caso si ricorre al calcolatore), ma se l’amplificatore è ben progettato, il suo comportamento qualitativo non si discosterà molto da quello di un sistema a due poli, per il quale valga l’ipotesi di polo dominante. Si riprendono, ora, le argomentazioni relative alle tecniche di compensazione, in particolare, quella a polo dominante. Secondo tale tecnica, l’introduzione di una capacità, sufficientemente grossa, rende il sistema equiparabile ad un sistema con un solo polo, la cui rotazione di fase massima è di 90°, che garantisce la stabilità. Si vuole, ora, studiare cosa succede ai poli se si inserisce una capacità che introduce un polo dominante. Si faccia riferimento al metodo delle costanti di tempo; dopo la compensazione si avrà, allora: a 1c = a 1 + R cco C c (9) in cui a1 e a1c si riferiscono, rispettivamente, al sistema prima e dopo l’inserimento della capacità e dove Cc rappresenta la capacità di compensazione. Se la (9) deve esprimere l’introduzione di un polo dominante, si dovrà avere: R cco C c >> a 1 (10) Usando la (10), si può allora ottenere la pulsazione relativa al polo dominante del sistema compensato, che varrà: ω 1c ≅ 1 1 ≅ o c a1 R cc C c avendo ipotizzato valida la (10) e avendo utilizzato il metodo delle costanti di tempo. Per a2 si ha, invece: M a 2c = a 2 + R cco C c ⋅ ∑ R iic C i i =1 i≠c in cui si è tenuto conto anche di tutte le costanti di tempo associate alla nuova capacità, cioè quelle che forniscono il valore di Rcco visto da Cc quando tutte le capacità sono degli aperti e quelle che forniscono le Riic viste dalla capacità Ci quando la Cc è un cortocircuito e le restanti un aperto. Resta da definire il modo in cui inserire la capacità; esistono, infatti, due situazioni distinte che permettono di effettuare una ben precisa scelta: M 1) Se a 2 << R C c ⋅ ∑ R C i o cc c ii allora i =1 i≠c 2) Se R cco C c M R cco C c ⋅ ∑ R iic C i i =1 i≠c M a 2 >> R C c ⋅ ∑ R C i o cc a 1c ω ≅ c ≅ a2 c 2 c ii allora i =1 i≠c 149 a 1c R cco C c ω ≅ ≅ a2 a2 c 2 A questi due risultati corrispondono due soluzioni estreme e, a seconda della situazione a cui si farà riferimento, si potrà avere o un’indipendenza assoluta del 2° polo dalla capacità Cc inserita (caso 1) oppure si potrà verificare una diretta proporzionalità tra il 2° polo del sistema e la capacità Cc di compensazione (caso 2). Quest’ultima situazione, allora, non solo consente di inserire un polo dominante, ma permette anche di spostare il 2° polo verso l’alto. Questo fenomeno è detto Pole Splitting ed è particolarmente vantaggioso, in quanto l’inserimento del polo dominante, grazie allo spostamento del 2° polo, può avvenire a frequenze non eccessivamente basse, ottenendo buone prestazioni in termini di banda (tale effetto è ottenibile in pratica con una compensazione basata sull’effetto Miller). Un’altra tecnica di compensazione si basa sulla cosiddetta tecnica di cancellazione polo zero. La funzione compensata risulta: s ωz Ac ( s ) = A ( s ) s 1+ ωp 1+ in cui si è considerata la funzione del sistema non compensato e la si è moltiplicata per la funzione di trasferimento contenente le due pulsazioni, ωz e ωp, alle quali corrispondono rispettivamente uno zero ed un polo. L’azione di questa tecnica di compensazione è quella di cancellare il polo, a {Re} < 0, più basso in frequenza tramite lo zero, a {Re} < 0, introdotto. Il primo polo del sistema viene quindi sostituito dal polo ωp della rete di compensazione. Questo dovrà agire da polo dominante, ma il suo valore andrà calcolato adesso sulla base del polo ω2 del sistema (e non con il polo a ω1 come nel caso della compensazione a polo dominate classica). Questo metodo, se correttamente applicato, può aumentare enormemente la banda del sistema. Di fatto, questo tipo di tecnica è abbastanza scomoda e difficile da usare, in quanto i poli del sistema di partenza non sono determinabili in modo rigoroso e preciso, poiché sono strettamente legati ai parametri di processo di realizzazione dell’amplificatore, che essendo soggetti a dispersione impediscono l’esattezza di calcolo. Dal momento, poi, che i poli nascono da componenti attivi, fortemente sensibili alla temperatura, alle condizioni di polarizzazione e all’invecchiamento dei componenti stessi, essi potranno variare anche da componente a componente. Lo zero, dunque, potrà solo nominalmente effettuare la cancellazione del primo polo del sistema, che sarà tanto più efficace quanto minore sarà la dispersione dei parametri del componente. Ciò permette di introdurre un altro importante argomento quando si parla di compensazione, ossia l’insensibilità alle variazioni dei parametri per la realizzazione di un progetto efficiente. Un confronto tra le tecniche di cancellazione e di polo dominante vede, dunque, vincere la seconda, che pur limitando notevolmente la banda, risulta tuttavia più robusta di una tecnica che richiede un notevole grado di accuratezza nel controllo della dispersione dei parametri. La rete che realizza una compensazione polo zero è del tipo: 150 RA RB CB in cui RA è la resistenza di uscita dello stadio precedente. Le pulsazioni del polo e dello zero risultano: ωz = 1 RBC B ωp = 1 C B (R A + R B ) Un’altra tecnica abbastanza utilizzata è quella chiamata Zero-Phantom (zero fantoccio). In questo caso, l’azione di compensazione non è più interna all’amplificatore, ma si agisce a livello di rete di retroazione. Se, infatti, fino ad ora abbiamo visto reti correttrici che tendevano a modificare i poli dell’amplificatore, ora si interviene sull’espressione della funzione di trasferimento della rete di retroazione B, che non sarà più algebrica, ma dinamica. L’azione di questo genere di compensazione è di introdurre uno zero negativo, cioè a {Re} < 0, nella rete di retroazione. Come esempio si consideri un amplificatore invertente compensato con una capacità C: C RB RA Vo Vi fig. 6 Per il circuito di figura 6 vale: s RA ωz B = ⋅ R A + RB 1 + s ωp 1+ Lo zero, essendo negativo, permette di creare un anticipo di fase. Si vuole, dunque, che tale zero si posizioni nell’intorno del punto in cui il guadagno tende ad essere unitario, in modo da aumentare la fase e impedire che arrivi a –180°, senza però far crescere il guadagno (si ricordi che in presenza di uno zero il guadagno cresce di 20dB/decade). A tale scopo, la pulsazione del polo ωp dovrà essere superiore a quella dello zero ωz (in modo da non intervenire nell’intorno del guadagno unitario), e lo zero dovrà, a sua volta, modificare sostanzialmente la fase e poco il guadagno. Il trucco sarà, allora, 151 quello di realizzare una rete anticipatrice che, cercando di mantenere il guadagno unitario, anticipi la fase. Entro certi margini questa tecnica funziona bene e può dare prestazioni, in termini di banda, interessanti. Per il circuito di figura 6 le pulsazioni di polo e zero sono: ωz = 1 RBC ωp = 1 C (R A // R B ) Quelle finora descritte rappresentano le più comuni tecniche di compensazione; ne esistono molte altre; si pensi ad esempio alle tecniche che si basano su doppi anelli di retroazione e che migliorano notevolmente le prestazioni del sistema. Solitamente, per gli operazionali, per i regolatori o per circuiti di controllo in generale, il costruttore fornisce informazioni abbastanza dettagliate sulle modalità con cui effettuare una compensazione. 4.1.2 Analisi dei parametri reali degli op. e loro compensazione Si vogliono, ora, analizzare un insieme di parametri che differiscono dal caso ideale a quello reale. Riferendosi in modo particolare all’amplificatore operazionale, si può affermare che parametri come la resistenza d’ingresso RI, la resistenza d’uscita Ru e il guadagno AV possiedono valori finiti e non infiniti (RI e AV) o nulli (Ru), come si può ipotizzare, invece, nel caso ideale. Ciò complica notevolmente le cose in fase di progetto, in quanto se l’operazionale non è particolarmente buono e, dunque, vicino all’idealità, sarà necessario tenerne conto nella scelta dei componenti che realizzano il circuito. Si consideri, come esempio, un amplificatore invertente RF Rs vi vo RL fig. 1 Se l’operazionale fosse ideale si avrebbe: vo R = − F vi RS Nel caso non ideale, invece, si dovrà considerare almeno il circuito equivalente 152 RF Ro RS 1 vi v 2 Ri + _ Av vo RL fig. 2 In figura 2 si è indicato con Ri la resistenza d’ingresso dell’operazionale, con Av il generatore di tensione comandato e con Ro la resistenza d’uscita dell’operazionale. Scrivendo, ora, l’equilibrio delle correnti ai nodi 1 e 2 si ricava: nodo 1 ⇒ G S (v i + v ) + G i v + G F (v o + v ) = 0 (1) nodo 2 ⇒ G o ( Av − v o ) − G L v o − G F (v o + v ) = 0 (2) Mettendo a sistema la (1) e la (2) si ottiene: vo GS = − (G S + G i + G F )(G o + G L + G F vi GF + AG o − G F ) (3) Esistono due condizioni sotto le quali la relazione espressa dalla (3) si avvicina all’idealità e precisamente sono: Ø G o >> G L + G F Ø G S + G F + Gi << G F A vo GS ≅ − (G S + G i + G F vi GF + A ⇒ ) vo G R ≅ − S = − F vi GF RS ⇒ In caso di non idealità, quindi, le resistenze RL, RF, RS devono essere scelte anche tenendo conto dei parametri reali dell’operazionale; questo ovviamente complica il progetto. Si dovrà tenere conto anche di altre non idealità, ad esempio non più legate alla banda dell’operazionale o ai parametri del componente, ma alla sua simmetria. Se, infatti, un operazionale è realizzato con una struttura simmetrica, ci si potrà avvicinare maggiormente all’idealità. Nel caso in cui ciò non si verifichi, si possono trovare livelli di corrente e tensione, sui due transistori bipolari, completamente diversi, con conseguenze a volte spiacevoli. Se, ad esempio, in ingresso si ha tensione nulla, in 153 uscita si potrà trovare una tensione diversa da zero, proprio a causa della asimmetria del circuito. Poiché, inoltre, i transistori in ingresso hanno bisogno di essere polarizzati, si avrà un assorbimento di corrente che può avere, come vedremo, effetti rilevanti. Si vuole, ora, fornire una descrizione più precisa dei parametri che sono causa di uno scostamento dall’idealità di un amplificatore operazionale: Ø Correnti di polarizzazione (o di Bias) d’ingresso: a tale proposito si definisce un parametro convenzionale che permette di confrontare la qualità di un operazionale rispetto ad un altro. Tale parametro è: IB = I B1 + I B 2 2 (4) ossia la media delle correnti assorbite ai due ingressi quando la tensione di uscita è nulla (Vu = 0). La IB è dell’ordine dei nA per un amplificatore operazionale bipolare e dell’ordine dei pA per un amplificatore operazionale realizzato con dei FET. Se le IB1 e IB2 fossero uguali, potrebbero essere facilmente eliminate con metodi semplici. In realtà, non lo sono a causa della inevitabile asimmetria del circuito. Ø OFFSET di corrente in ingresso: la corrente di offset è così definita I i0 = I B1 − I B 2 con Vu = 0 tale corrente è provocata dalla asimmetria del circuito, dovuta ad inevitabili diversità dei componenti causate da differenze nei parametri di processo difficilmente prevedibili e controllabili. Ciò rende chiaro, dunque, il motivo per cui sia praticamente impossibile eliminare, in fase di costruzione dell’operazionale, il problema delle correnti di Bias. Ø DRIFT della corrente di offset: tale parametro è definito come ∆ I i0 ∆ϑ (5) che rappresenta la variazione della corrente di offset rispetto alla temperatura. Definendo la (5) si parla spesso di deriva termica. Ø Tensione di OFFSET in ingresso: l’asimmetria dell’amplificatore porta a variazioni di tensione tra ingresso e uscita laddove non sarebbero previste. Se, infatti, si desidera ottenere in uscita una tensione nulla, sarà necessario applicare in ingresso una tensione diversa da zero, quindi, la tensione di offset è definita come quella tensione da applicare in ingresso al fine di ottenere, in uscita, tensione nulla. La tensione di offset viene, solitamente, indicata con Vi0 ed è dell’ordine dei mV o meno. Ø DRIFT della tensione di offset: la variazione della tensione di offset rispetto alla temperatura è così definita 154 ∆ Vi0 ∆ϑ Una volta definite la corrente e la tensione di offset, si può osservare come esse influenzino l’uscita dell’operazionale. A tale scopo, si consideri il circuito di figura 3, in cui viene rappresentato un amplificatore la cui configurazione può essere assunta sia come invertente che come non invertente, in quanto, dal punto di vista dello studio dei fenomeni dell’offset, si prescinde dalla presenza degli ingressi, che vengono collegati ad un nodo comune (massa). Ciò è possibile perché il circuito è lineare e, quindi, valendo il principio di sovrapposizione degli effetti, si può studiarne la risposta in assenza di segnale d’ingresso, prendendo come ingressi le correnti di offset: R2 R1 IB1 IB2 Vu fig. 3 Si considerino i seguenti valori delle resistenze: R 1 = 100 k Ω R 2 = 1M Ω si assuma, inoltre, che la corrente di polarizzazione sia tale per cui valga I B 1 = I B 2 = I B = 100 nA (6) dove con IB si indica la corrente di Bias definita nella (4) e con IB1 e IB2 si indicano le correnti di base dei transistori. In virtù dell’ipotesi di cortocircuito virtuale il nodo con segno meno può essere considerato a massa e, dunque, si può scrivere: V u = R 2 I B 1 = R 2 I B = 100 mV (7) che permette di constatare come, in presenza di uno zero in ingresso, non si abbia, a causa delle correnti di bias, assolutamente uno zero in uscita. Per eliminare tale effetto si può modificare il circuito di figura 3 inserendo una resistenza sul morsetto positivo, come mostrato in figura 4: 155 R2 R1 IB1 1 2 |Vi0| IB2 Vu R* fig. 4 Si vuole determinare il valore di R* al fine di avere Vu nulla. Sotto tale condizione R1 ed R2 sono in parallelo e si può definire Rp = R1 // R2 Uguagliando, ora, le tensioni ai nodi 1 e 2, si ottiene quanto cercato R * I B 2 = R p I B1 da cui R* = I B1 Rp = Rp I B2 Se, dunque, IB1 ed IB2 sono uguali, come ipotizzato, l’introduzione di una resistenza pari ad Rp permette di compensare completamente la corrente di Bias, indipendentemente dai valori di IB1 ed IB2. In realtà, tali correnti non sono mai perfettamente uguali, a causa delle asimmetrie del circuito e, come già detto, la loro differenza definisce la corrente di offset che, variando statisticamente e dipendendo fortemente dalle condizioni ambientali, impedisce una compensazione completa della IB. Supponendo, ora, di avere introdotto la R* e, quindi, di avere eliminato parzialmente la IB, si vuole vedere l’influenza della corrente di offset sull’uscita. Si supponga di avere: I i 0 = 20 nA e si faccia, inoltre, l’ipotesi semplificativa che la IB2 = 0. Ciò non altera il risultato, in quanto R* cancella comunque l’effetto della corrente di bias. Si ottiene in questo modo: V o = I B 1 R 2 = ± I i 0 R 2 = ± 20 mV (8) che permette di osservare come l’effetto di bias venga notevolmente diminuito rispetto a quanto trovato nella (7). Senza perdita di generalità (il circuito è lineare e vale il principio di sovrapposizione degli effetti) si può considerare nulla la corrente di offset e assumere che esista una tensione di offset diversa da zero, ossia: 156 V i 0 = 5 mV Si assume sempre IB2 = 0 e si ottiene R V u = ± 1 + 2 V i 0 = ± 55 mV R1 Ciò che emerge da questa analisi è che le correnti di offset dipendono fortemente dai valori assoluti delle resistenze R1 ed R2 e il loro effetto sarà tanto più consistente quanto più il valore di tali resistenze sarà elevato (vedi (8)). Per ciò che riguarda, invece, la tensione di offset, essa dipende dal rapporto delle resistenze che, a sua volta, è legato al guadagno dell’amplificatore; un guadagno elevato, dunque, aumenta tale fenomeno. Per eliminare la tensione di offset si può ricorrere alla soluzione circuitale mostrata in figura 5: R2 +E R1 Vo RA RB -E fig. 5 in cui la tensione V+ può variare in un range espresso dalla relazione: V + = ±E RB R A + RB Agendo, quindi, sul potenziometro e dimensionando opportunamente le resistenze RA ed RB si riesce ad ottenere una tensione dell’ordine delle decine di volt, che permetterà di compensare la tensione di offset. Questo metodo vale, naturalmente, solo per il circuito in esame alla temperatura fissata e dovrà, di volta in volta, essere modificato al variare della stessa temperatura. Esistono, tuttavia, circuiti e sistemi di complessità superiore che consentono l’eliminazione della tensione di offset e che vengono, in generale, descritti nei fogli applicativi allegati ai componenti che si acquistano. Come ultima considerazione si vuole prendere in esame un circuito equivalente, spesso utilizzato nello studio delle problematiche riguardanti la tensione e correnti di offset. 157 Vi0 | Ro + ½Ii0 IB v + _ Ri Av Vu0 IB fig. 6 Si ricorda che Vi0 e Ii0 possono avere versi opposti a quelli visualizzati in figura 6, data la definizione di tali tensioni e correnti. I simboli e generatori usati sono coerenti con le definizioni viste in precedenza. Finora si sono considerati circuiti di tipo statico (solo resistenze), tuttavia, l’offset può presentare un effetto ancora più deleterio su circuiti di tipo dinamico, come ad esempio in un circuito integratore, il cui schema viene riportato in figura 7: C R vu fig. 7 Un circuito di questo tipo risulta essere molto sensibile ai problemi di offset, in quanto, non distinguendo il particolare tipo di tensione in ingresso, esso integra il valore fornitogli, generando una rampa. Ciò verrà, dunque, eseguito sia per un valore di tensione corretto che per quello di offset, senza distinzione alcuna, impedendo così di distinguere il disturbo dal segnale. L’integrazione nel tempo della tensione di offset genera, inoltre, un comportamento divergente che costringe a stabilire un limite sul tempo di integrazione stesso, al fine di impedire la saturazione del dispositivo. Per questa particolare configurazione risultano molto fastidiose anche le correnti di bias, che fanno aumentare in modo indesiderato la carica sulla capacità e di conseguenza la tensione ai suoi capi, nonché la tensione di uscita. In conclusione, tensione e corrente di offset generano una tensione di uscita non nulla, anche in assenza di segnale di ingresso. L’integratore, quindi, genererà una risposta anche in assenza di segnale. Per completare il discorso sull’operazionale, si introducono, ora, altri parametri fondamentali: • PSRR: Power Supply Rejection Ratio (rapporto di reiezione dell’alimentazione) viene definito come 158 PSRR = ∆ Vi0 ∆ V cc e indica il rapporto tra la variazione della tensione di offset e la variazione dell’alimentazione. Il PSRR tiene conto, allora, della sensibilità dell’operazionale alle variazioni dell’alimentazione e, solitamente, viene espresso in dB. Tale parametro assume, in genere, valori piccoli, in quanto grazie alla stabilizzazione dell’alimentazione effettuata con un regolatore e a rimedi tecnologici/circuitali, il PSRR viene ben compensato. • FPB: Full Power Bandwidth (banda di frequenza a piena potenza) si indica con il parametro fp. La FPB rappresenta la frequenza massima alla quale, dando una sinusoide in ingresso, si ha in uscita una sinusoide non distorta e di ampiezza massima pari al massimo swing di tensione consentito per l’operazionale. La fp definisce una banda in frequenza molto diversa rispetto alla banda definita dalla frequenza di taglio fT, che è propria di un’analisi ai piccoli segnali. La fp si riferisce, infatti, ad una condizione di funzionamento in regime di grandi segnali. Con la fp si terrà conto, dunque, di fenomeni che con lo studio della dinamica finora svolto non si sono visti, in particolare, di ciò che viene definito Slew-Rate (SR). Al fine di spiegare in cosa consiste il fenomeno dello slew-rate, si consideri un circuito inseguitore di tensione ad un solo polo, come quello mostrato in figura 8: + fig. 8 La funzione di trasferimento di tale circuito risulta A (ω ) = 1 1+ j ω ω∗ in cui si osserva che si è in presenza di un dispositivo a guadagno unitario (A0 = 1) con un polo in ω*. Tale pulsazione è, come visto, anche il GBP, essendo: GBP = A 0ω ∗ = 1 ⋅ω ∗ Se, ora, il circuito di figura 8 viene eccitato con un gradino di ampiezza E, si ottiene quanto mostrato in figura 9: 159 vi, vu E t fig. 9 La risposta del dispositivo è di tipo esponenziale (fig. 9: tratto a tratteggio), ossia: t − τ vu (t ) = E 1 − e (9) e la derivata della (9), che ne definisce la pendenza, risulta dv u dt = 0 E = Eω τ ∗ (10) da cui si evince che la variazione dell'uscita sarà tanto maggiore quanto più sarà elevato il GBP e, nel caso specifico, quanto più lo sarà ω*. Tali considerazioni risultano valide solamente se ci si riferisce ad ampiezze del gradino molto piccole, addirittura infinitesime; se, invece, l'ampiezza è grande e finita la risposta del sistema non avrà più andamento esponenziale ma lineare (fig. 9: tratto obliquo), con una pendenza che definisce lo slew-rate, variabile in un range di 10 (mV/µs) ÷ 100 (V/µs), a seconda della bontà dell'operazionale. Lo slew-rate è fondamentalmente causato da due fattori: 1. Limitata disponibilità di corrente da parte del blocco differenziale dell'operazionale. Se si pensa, infatti, a come quest'ultimo è realizzato, si può osservare che il suo stadio di ingresso, di tipo differenziale, potrà erogare al massimo una quantità di corrente pari a quella imposta dal generatore di corrente. 2. Elevata capacità di compensazione, tipicamente presente nel blocco di retroazione dello stadio di guadagno. Si può schematizzare, allora, il tutto come segue: Cc - I + GAIN Vo fig. 10 in cui si è considerato uno stadio di guadagno a cui viene riferita la capacità di compensazione in retroazione Cc e un generatore di corrente I. Se lo stadio GAIN è 160 buono, la corrente assorbita in ingresso è praticamente trascurabile e il generatore di corrente costante alimenta solamente la capacità, la cui tensione aumenterà in modo lineare, da cui1: dv o I = = cost. dt C (11) La (11) esprime, dunque, il fatto che, data una corrente finita servirà del tempo affinché tale capacità si carichi e, quindi, la crescita della tensione di uscita diventerà lineare. Ciò rappresenta un limite, in quanto se si lavora con segnali grandi e si vuole sfruttare lo swing logico dell'operazionale, si possono ottenere comportamenti indesiderati. Se in ingresso, infatti, si fornisce una sinusoide a frequenza elevata, a causa dello slew-rate si avrà, in uscita, una distorsione simile a quella evidenziata in figura 11 dalla sinusoide contrassegnata con i rombi: fig. 11 Mentre, dunque, l'ingresso sale e scende in modo sinusoidale, l'uscita presenta un andamento lineare e, quindi, seguirà l'ingresso solo parzialmente. La massima sinusoide ottenibile in uscita è espressa dalla seguente relazione: V 0 ( t ) = E sen( 2 π f p t ) la cui derivata massima definisce lo slew-rate SR: SR = dv 0 = E 2 π f p cos (2 π f p ) = E 2π f p max dt (12) da cui si ricava il legame diretto tra SR e fp: 1 Si ricorda che, supponendo l'ingresso a tensione nulla, la tensione d'uscita si può ipotizzare essere pari a quella ai capi della capacità. 161 fp = SR 2π E 4.2 Filtri attivi Il filtro elettrico è un particolare circuito che consente di effettuare un'elaborazione di segnali in funzione delle bande di frequenza a cui essi sono allocati. I filtri che si prenderanno in esame saranno quelli di tipo lineare e, all'interno di tale categoria, si distinguerà tra filtri attivi e filtri passivi. I filtri passivi sono circuiti realizzati con resistenze, induttanze e capacità (filtri concentrati) oppure microstrisce e guide d'onda, se le frequenze in gioco sono molto elevate e i fenomeni di propagazione elettromagnetica sono tali per cui le dimensioni dei componenti risultano piccole rispetto alla lunghezza d'onda (filtri distribuiti). Il filtro concentrato, a causa della presenza dell'induttanza, risulta spesso ingombrante e viene, quindi, usato laddove le potenze in gioco sono elevate e non c'è necessità di parlare di integrazione oppure ad alte frequenze, dove l'induttanza assume dimensioni minori, e grazie all'impiego di materiali particolari quali, ad esempio, il GaAs (materiale a basse perdite) si può arrivare anche all’integrazione. Un induttore fatto con il GaAs assume la forma di una spirale e viene realizzato depositando del metallo su un substrato e realizzando un ponte, al fine di estrarre l'elettrodo di contatto: Lo stesso induttore non potrebbe essere realizzato in silicio, a causa principalmente delle alte perdite di questo materiale. Per soddisfare, dunque, le sempre più stringenti necessità di integrazione, sono stati realizzati i cosiddetti filtri attivi. I filtri attivi sono circuiti che, grazie a componenti attivi e alla retroazione, permettono di ottenere l'effetto di filtraggio che realizzerebbe un'induttanza senza che quest'ultima sia fisicamente presente. Per meglio chiarire il concetto, si pensi a quanto osservato per un sistema di amplificazione a due poli: si ricorda che l'effetto da esso prodotto era simile a quello generato da un filtro RLC. I componenti usati per realizzare i filtri attivi sono, dunque, amplificatori operazionali, transistori ecc… Le induttanze, in generale, sono componenti non graditi, per i soliti motivi di ingombro e dissipazione, ma anche perché sono spesso fonte di irradiazione elettromegnetica, causa della cosiddetta EMI (ElettroMagnetic Interference). Non si deve, inoltre, dimenticare che tali componenti, utilizzano nuclei di materiale ferromagnetico o, a frequenze più alte, ferriti; queste per loro natura sono non lineari e possono dare luogo a notevoli fenomeni di non linearità. Risulta possibile, tuttavia, evitare l'uso delle induttanze solamente nel range di frequenze in cui gli operazionali e, in generale i 162 componenti attivi, riescono ad avere buone prestazioni, ossia nel range 10 Hz ÷ 10 MHz. Si vogliono, ora, fornire alcuni concetti fondamentali e alcune definizioni che consentono di comprendere meglio il processo di realizzazione di un filtro. Se il filtro fosse ideale, la sua caratteristica avrebbe un andamento del tipo mostrato in figura 1: |H| H0 STOP BAND PASS BAND ω fig. 1 In figura 1 viene rappresentato un filtro di tipo passabanda, la cui funzione è quella di far passare le componenti che cadono in una certa banda di frequenze (banda passante o pass band) ed eliminare, invece, tutte le componenti che non rientrano in tale banda (banda oscura o stop band). Il filtro considerato è di tipo ideale e, come tale, presenta caratteristiche di selettività molto elevate (ideali) ed un'attenuazione infinita in banda oscura. La funzione di trasferimento, inoltre, risulta essere unitaria in banda passante (idealmente, la f.d.t. dei filtri attivi potrebbe assumere valori anche maggiori di uno). Esistono, poi, altri tipi di filtri ideali, quali l'elimina banda, il passa basso ed il passa alto, le cui caratteristiche fondamentali sono note. In un filtro reale l'andamento finora descritto potrà essere soltanto approssimato e per studiarne il comportamento si consideri la caratteristica del filtro passa basso (figura 2), dal momento che quest'ultima presenta un maggior grado di generalità, in quanto da essa è sempre possibile ricondursi alle caratteristiche degli altri filtri attraverso trasformazioni frequenziali: ripple |H| H0 H1 γ m ax γ m in H2 0 fc fs f transition (maschera del filtro) fig. 2 Come si osserva in figura 2, un filtro reale è soggetto ad un fenomeno detto ripple, che consiste in un'ondulazione della funzione di trasferimento presente in generale sia in 163 banda passante che in banda oscura. Il valore massimo consentito del ripple in banda passante è espresso come: γ max γ min = H 0 − H1 (dB) = H 0 − H (dB) si definisce, inoltre, con 2 l'attenuazione del filtro che, a differenza dei filtri ideali, non assume mai valori infiniti ma sempre finiti. Si possono individuare anche i seguenti parametri: Ø fs : frequenza d'inizio della banda oscura Ø fc : può essere definita, a seconda delle specifiche del filtro, come frequenza di fine banda passante, se vista in funzione del ripple oppure come frequenza di taglio a 3dB, cioè frequenza alla quale H0 si riduce di 3 dB, se vista in funzione della f.d.t. Ø fc : banda passante Ø fs - fc : banda di transizione Ø fc / fs : indice di selettività Si osserva che più sono stringenti le caratteristiche del ripple, di attenuazione e di selettività, ossia più si vuole ideale la caratteristica di figura 2 (il che si ottiene se fc = fs e la f.d.t. risulta piatta) e più saranno necessari componenti con elevate prestazioni ed in maggiore numero, con un conseguente aumento dei costi. Ciò che rimane, tuttavia, importante da soddisfare è che il filtro abbia un'impedenza d'ingresso e d'uscita buone, al fine di poter essere inserito in un circuito senza modificarne le prestazioni e, dunque, la sua caratteristica. Tutto ciò risulta realizzabile con circuiti che utilizzano operazionali, poiché con tali componenti diventa facile realizzare filtri con buone caratteristiche di impedenza d'uscita ed ingresso. Il limite di tali oggetti è che possono essere impiegati per un range di frequenze non eccessivamente elevato. Se le frequenze aumentano, mantenere i giusti livelli di impedenza complica il progetto. Le famiglie di filtri che si prenderanno in esame sono le seguenti: • • • • filtri di Butterworth filtri di Chebyshev filtri Ellittici filtri di Bessel e si presterà particolare attenzione ai primi, accennando solamente alle caratteristiche degli altri. 4.2.1 Filtro di Butterworth Tale topologia di filtri consente, per così dire, una transizione morbida tra banda passante e banda oscura, di tipo monotono e, conseguentemente, priva di ondulazioni. Le funzioni approssimanti utilizzate sono sempre espressioni di tipo polinomiale, in quanto sono le più facili, poi, da realizzare in termini circuitali; in particolare, i filtri di Butterworth si basano su polinomi definiti polinomi di Butterworth, che sono caratterizzati dai due seguenti gradi di libertà: 1) il grado n del polinomio, che rappresenta, in sostanza, l'ordine n del filtro 164 2) la pulsazione ω0 in corrispondenza della quale il modulo della risposta si riduce di 3 dB. Il filtro alla Butterworth presenta una funzione di trasferimento di questo tipo: H (s) = H0 Bn (s) dove con Bn(s) si è indicato il polinomio di Butterworth di grado n. Di seguito viene riportata una tabella di polinomi di grado variabile fra 1 e 8: come si può notare, sono termini polinomiali del primo e del secondo ordine, derivanti dalle seguenti espressioni: s +1 ω0 termine del 1° ordine s2 s + +1 ω 02 ω 0 Q termine del 2° ordine e così via. In tabella vengono riportate le medesime espressioni in forma normalizzata, cioè con ω0 = 1. Le caratteristiche di questa tipologia di filtri sono quelle mostrate in figura: 165 in cui si nota l'attenuazione nulla a bassa frequenza e una comune pulsazione di taglio a 3dB. Tutte le caratteristiche, infatti, indipendentemente dal grado n, passano per uno stesso punto, mentre la pendenza di ciascuna vale -20⋅n dB/decade, ossia, quanto più è alto l'ordine del filtro tanto più aumenta la sua attenuazione e la sua selettività, dal momento che ci si avvicina più velocemente alla banda oscura. L'espressione del modulo di Bn(ω) assume la seguente forma: B n (ω )= ω 1 + ω0 2n Si può facilmente dimostrare che ω0 rappresenta la pulsazione di taglio a 3dB, infatti: B n (ω 0 ) = 1+1 = 2 di fatto, quindi, indipendentemente dal valore n del filtro, si ottiene H (ω 0 ) = o anche, in dB: H (ω 0 ) dB = H 0 H 0 2 (dB ) − 3 dB La caratteristica ad ω0 risulta, quindi, indipendente dall'ordine n del filtro; ciò che, invece, dipende da n è la pendenza in banda passante e l'attenuazione che il filtro introduce. La rappresentazione polinomiale, dunque, risulta comoda in quanto, avendo prodotti di termini del primo e secondo ordine, la realizzazione del filtro può avvenire con la cascata di celle topologicamente uguali l'una all'altra (la struttura circuitale è uguale per tutte le celle, anche se i valori dei componenti sono diversi da cella a cella). Le realizzazioni polinomiali sono, pertanto, molto comode dal punto di vista implementativo. I filtri alla Butterworth vengono anche definiti filtri massimamente piatti, infatti, per ω = 0, si annullano 2n-1 derivate rispetto ad ω. Le radici del polinomio alla Butterworth possono essere calcolate analiticamente sfruttando le tabelle che forniscono i coefficienti del polinomio stesso o, più semplicemente, possono essere rappresentate su un piano complesso come segue: 166 jω -1 1 α= π / n σ fig. 1 Le radici del polinomio giaceranno tutte sulla circonferenza di raggio unitario (in realtà, il raggio sarebbe ω0, ma si suppone di aver normalizzato e di avere ω0 = 1) e, in particolare, si troveranno tutte sul semipiano sinistro, in quanto si suppone che il filtro sia stabile e che i suoi poli siano a parte reale minore di zero. I poli risultano separati da un angolo α = π / n, ed in particolare: per per n pari n dispari ⇒ sono tutti complessi coniugati ⇒ per n dispari ho un polo reale che vale -1 Si prenda, come esempio, un polinomio di grado n = 3: si otterrà un polo reale in -1 e due poli complessi coniugati a ±π/3, ossia 60° (figura2: poli asteriscati): jω ∗ 60° 45° -1 1 σ ∗ fig. 2 Se, invece, il grado del polinomio è n = 4, essendo l'ordine pari non ci sono poli reali, ma soltanto complessi coniugati e l'angolo che li separa sarà di π/4, ossia 45° (figura 2: poli cerchiati). Per definire la posizione dei poli si utilizza il fattore di merito o, analogamente, il coefficiente di smorzamento definito nel seguente modo: K i , n = cos (2 i + n − 1 )π 2n che si lega al fattore di merito tramite la relazione 167 i = 1, 2 ,..., n 2 (1) 1 2Q K = La (1), in generale, consentirebbe di ricavare i coefficienti del polinomio e di determinare così le radici. Tale formula, tuttavia, è scomoda, poco usata ed in pratica viene spesso preferito l'utilizzo delle tabelle. Un'ultima considerazione riguarda il modulo della risposta del filtro che, finora, è stata definita in funzione della pulsazione a 3dB, in realtà, si può anche definire in funzione della pulsazione per un dato ripple come segue: B n (ω ) ω 1 + ω0 = 2n ω 1 + ε 2 ωc = 2n dove ωc è la pulsazione per cui risulta B n (ω c ) = 1+ ε 2 =γ max ossia il ripple massimo. Si avrà, inoltre ω0 = ωc n ε Si è, dunque, ottenuta una definizione alternativa per la maschera del filtro. 4.2.1.1 Esempio numerico Si considerino le seguenti specifiche1: banda passante banda f c = 3 KHz γ max dB = 1 dB H =1 0 oscura f s = 15 KHz γ min dB = 40 dB Si dovrà, ora, decidere l'ordine n e il tipo di filtro, al fine di soddisfare le specifiche richieste. Supponendo di utilizzare un filtro alla Butterworth, per determinarne l'ordine si dovrà avere: 1+ ε 2 = γ da cui si ricava 1 max = 10 γ dB max 20 ε = 0.50885 Se viene fornito f0 il valore di γdBmax è per definizione 3dB, in caso contrario deve essere specificato. 168 Utilizzando, ora, l'attenuazione del filtro si ottiene: B n (ω s ) = ω 1 + ε 2 s ωc dove ωc = 2πfc e, quindi 2n =γ min = 10 γ min dB 20 ωs f = s ωc fc L'ultima incognita rimasta è, dunque, n che risulta n = 3.28 che rappresenta l'ordine esatto del filtro per avere un'attenuazione di 40dB. Essendo quest'ultimo valore il γmin, si considererà un'approssimazione all'intero più vicino per eccesso del grado n, da cui si assumerà n = 4. Dalla tabella dei polinomi si potranno, ora, ricavare l'espressione polinomiale relativa a tale valore di n e i valori numerici dei coefficienti del polinomio stesso, ossia: (s 2 )( + 0 . 765 s + 1 s 2 + 1 . 848 s + 1 ) da cui si ricavano i coefficienti Ki: 1 = 0 . 765 = 2 K 1 Q1 1 = 1 . 848 = 2 K 2 Q2 con Q fattore di merito e K fattore di smorzamento. Si può calcolare, infine, la frequenza f0, ossia: ω0 = ωc n ε ⇒ f 0 = 3 , 552 Hz La funzione di trasferimento del filtro sarà, così, completamente definita: H (s ) = s2 2 ω0 1 s 2 s s + + 1 2 + + 1 ω 0Q1 ω 0Q 2 ω 0 (1) a questo punto, rimarrà solo da vedere come le funzioni del tipo della (1) possano essere realizzate in termini circuitali. 169 4.2.2 Filtro passa-alto Considerando questo particolare tipo di filtro, si introdurranno una serie di considerazioni qualitativamente valide anche per il filtro passa-banda ed eliminabanda. E' per questo motivo che le ultime due topologie di filtri citate non verranno analizzate nel dettaglio, ma solamente accennate. Le caratteristiche di tipo passa-alto si ottengono da quelle passa-basso appena studiate attraverso la seguente trasformazione: ω s = 0 ω0 s s = ossia ω 02 (1) s in cui si è indicata con s la variabile di Laplace relativa al passa-basso e con s la nuova variabile di Laplace relativa al passa-alto. La verifica della validità della (1) è immediata se si considera un filtro di Butterworth del primo ordine. Sia data la funzione di trasferimento di un filtro passa-basso di Butterworth del 1° ordine: H (s ) = 1 (2) s +1 ω0 si applichi, ora, la (1) alla (2) 1 ω +1 sω 0 2 0 = 1 ω0 +1 s = s ω0 1+ s ω0 che definisce la funzione di trasferimento del filtro di Butterworth di tipo passa-alto del 1° ordine. Se il filtro è del 2° ordine (n = 2), si avrà: H (s ) = 1 s2 s 2 + + 1 ω 0Q ω0 ⇒ ω 04 s2 s 2 ω 02 1 = ω 02 s s2 1 1 + 2 ⋅ 2 + ⋅ +1 1+ ω 0Q ω 0 ω0 s ω 0Q per s → ∞ si ottiene H = 1, mentre per s → 0 si ottiene H = 0, che definisce proprio la funzione di trasferimento di un passa-alto. Questo significa che la trasformazione fa nascere uno zero nell'origine, dell'ordine del filtro (s2 per n= 2, s per n= 1) e permette di realizzare la funzione di trasferimento richiesta. La trasformazione definita nella (1) può essere applicata anche al modulo della funzione di trasferimento (dominio jω): B n (ω )= ω 1+ 0 ω 2n 170 = ω 1+ε c ω 2 2n in cui, sostanzialmente, si scambiano tra loro ω e ω0. In ultima analisi si avrà: ω0 = n ε ⋅ω c 4.2.3 Realizzazione delle celle dei filtri e loro implementazione circuitale 4.2.3.1 Cella passa-basso La realizzazione di questi particolari filtri avviene grazie all'utilizzo di componenti attivi, quali ad esempio operazionali e la particolarità del circuito realizzato sta nell'indipendenza del filtro stesso dal carico al quale esso viene collegato. Ciò fa di questi filtri dei circuiti molto flessibili e, dunque, di facile e sufficientemente ampio impiego, a differenza dei filtri passivi che, pur potendo impiegare il polinomio di Butterworth, necessitano di una adeguata valutazione dell'impedenza di carico e sorgente della circuiteria a monte della quale dovranno essere inseriti. Tutto ciò è vero sia per il filtro complessivo che per la singola cella che lo compone; ad esempio, in un filtro che viene realizzato con due celle, si dovrà prestare molta attenzione al collegamento tra di esse, affinché la funzione di trasferimento non subisca delle variazioni dovute ad eventuali effetti di carico. La cascata, infatti, di due blocchi avrà una funzione di trasferimento pari al prodotto delle singole f.d.t. di ciascun blocco se e solo se non ci sono effetti di carico, ossia se l'impedenza d'ingresso del blocco successivo è molto elevata e l'impedenza d'uscita del blocco precedente è molto bassa. Per i filtri i cui blocchi sono realizzati con operazionali, tali proprietà sono garantite dai componenti stessi e, dunque, vale la relazione seguente: H (s ) = n ∏ i =1 H i (s ) Il limite di questi filtri è legato alla frequenza, in quanto le proprietà finora descritte rimangono valide solamente se gli operazionali mantengono delle caratteristiche prossime all'idealità (Zin ≅ ∞ , Zout ≅ 0) e ciò è vero fino ad una certa frequenza, oltre la quale iniziano a farsi sentire gli effetti reattivi. In funzione della qualità dell'operazionale, quindi, ossia del suo GBP, si potranno avere frequenze più o meno elevate (più è alto il GBP e maggiori saranno i valori delle frequenze alle quali si potrà arrivare). Tipicamente, le caratteristiche dei filtri attivi devono essere imposte dai componenti esterni all'operazionale e, in particolare, non deve entrare in gioco la limitazione di frequenza dell'operazionale stesso. Devono, infatti, essere le reti esterne all'operazionale che fissano le caratteristiche del filtro. Si vorrà, quindi, che le frequenze pericolose dell'operazionale siano sufficientemente lontane da quelle di lavoro dei filtri. Per le applicazioni che vedono l'utilizzo di tali filtri, solitamente frequenze audio (10 ÷ 100 KHz), il problema non sussiste. Con operazionali particolarmente buoni, si può arrivare anche ad applicazioni per frequenze di qualche MHz. Si vuole, ora, vedere la realizzazione dei termini del 1° e del 2° ordine. Per il 1° ordine il grado di libertà che si dovrà fissare sarà ω0 e per il 2° ordine si dovranno 171 fissare ω0 e Q, utilizzando un operazionale e dei componenti resistivi e capacitivi, che forniranno ulteriori gradi di libertà e potranno garantire un buon guadagno del circuito. Ø Realizzazione di una cella del 1° ordine (passa-basso) La struttura circuitale di una cella del 1° ordine può essere quella mostrata in figura1: RF Rs vi vu + R STRUTTURA NON INVERTENTE C fig. 1 Nella realizzazione del filtro di figura 1 si è utilizzato un semplice filtro RC collegato all'operazionale, che fornisce tutte le caratteristiche di isolamento necessarie. La cella contenente l'operazionale viene detta a guadagno controllato, in quanto il guadagno è definito da RF ed Rs; la funzione di trasferimento può essere vista come quella di una cascata tra un operazionale in configurazione non invertente e un filtro passivo di tipo RC, che non viene caricato dall'operazionale, poiché l'impedenza d'ingresso di quest'ultimo è da considerarsi infinita. Si può, allora, scrivere: R H (s ) = 1 + F Rs 1 ⋅ 1 + sRC in cui si sottolinea l'indipendenza delle f.d.t. dei due blocchi, grazie all'elevata impedenza d'ingresso dell'operazionale. Si avrà ancora: ω0 = H 0 1 RC = 1+ RF Rs Un altro circuito, spesso utilizzato per la realizzazione di celle del 1° ordine, è quello mostrato in figura 2: 172 RF Rs - vi R vu + STRUTTURA INVERTENTE C fig. 2 per cui vale: H (s ) = − ω0 = RF 1 ⋅ R s 1 + sRC 1 RC H 0 = − RF Rs Ø Realizzazione di una cella del 2° ordine (passa-basso) La prima cella del 2° ordine che verrà presa in esame è la cella di Sallen-Key, mostrata in figura 1: RF Rs R1 R2 vu + vi C1 cella di SALLEN-KEY C2 fig. 1 Anche in questo caso il blocco di guadagno è costituito da un amplificatore non invertente; gli altri due blocchi sono costituiti da due filtri passivi di tipo RC in cascata. La funzione di trasferimento che ne risulta (si lascia per esercizio il calcolo abbastanza agevole con il metodo delle costanti di tempo) è del tipo: H (s ) = 1+ RF Rs R 1 + s (R 1 + R 2 )C 2 − R 1 C 1 F + s 2 R 1 R 2 C 1 C 2 Rs 173 da cui si ricavano subito: H0 = 1+ RF Rs 1 R1 R2C1C2 ω0 = 1 R = (R1 + R2 )C2 − R1C1 F ω 0Q Rs (coefficiente di s) che sono i parametri del polinomio di Butterworth necessari a sintetizzare la cella con le caratteristiche richieste. Si può osservare come il numero di gradi di libertà presenti sia molto maggiore rispetto a quanti effettivamente ne servano per il soddisfacimento dei vincoli; si hanno, infatti, cinque gradi di libertà (RF/ Rs,C1,C2,R1,R2), mentre ne sono richiesti soltanto 3, dovendo determinare ω0, Q e H0. In fase progettuale, invece di utilizzare tutti i gradi di libertà, si è soliti ricorrere a realizzazioni semplificate, in particolare si può avere: a) Progetto a guadagno unitario In tal caso si rinuncia al guadagno della cella e, quindi, si avrà: H0 =1 RF =0 Rs da cui La cella si semplifica e lo stadio di guadagno si riduce ad un semplice inseguitore di tensione, come evidenziato in figura 2: R1 R2 + vi C1 vu C2 fig. 2 Si otterrà, allora: H0 = 1 ω0 = 1 R1R2C1C2 1 = (R1 + R2 )C2 ω 0Q b) Progetto a costanti di tempo uniformi In questo caso non si agirà più sul blocco di guadagno, bensì sulle resistenze e sulle capacità delle due reti RC, scegliendo uguali le loro costanti di tempo, ossia: 174 R1 = R2 = R C1 = C2 = C ottenendo così H0 = 1+ RF Rs 1 R = 2 RC − RC F ω 0Q Rs 1 RC 1 R = 2 − F = 3 − H0 Q Rs ω0 = ⇒ Si osserva come si siano disaccoppiati i parametri che definiscono ω0 e Q, ma come, allo stesso tempo, si sia introdotto un vincolo sul massimo guadagno. Infatti, 1/Q dovrà sempre essere maggiore di zero, affinché i poli del sistema siano complessi coniugati a parte reale minore di zero e, dunque, si avrà: 1 = 3 − H0 > 0 Q ⇒ H0 < 3 che limita il massimo guadagno a valori minori di tre. Esistono altre varianti della cella del 2° ordine, per esempio, quella che considera il blocco di guadagno in configurazione invertente, ma per brevità non le vedremo. 4.2.3.1.1 Esempio numerico Si vuole progettare un filtro di Butterworth per il quale si è già determinato l'ordine e la frequenza f0 a 3dB, per un ripple e una selettività assegnati. Si assumano: n=5 f 0 = ( f 3dB ) = 1KHz Dal momento che non sono stati imposti vincoli sul guadagno, è bene procedere con un progetto a costanti uniformi, che semplifica la scelta dei componenti passivi. Innanzitutto si dovrà determinare ω0, cioè: ω 0 = 2πf 0 = 6.2832Krad / sec Cercando nella tabella dei polinomi di Butterworth, si trova l'espressione corrispondente al polinomio di ordine n = 5 e si possono ricavare i coefficienti di smorzamento o i fattori di merito: 1 = 2 K1 = 0.618 Q1 1 = 2 K 2 = 1.618 Q2 e, dunque, il polinomio di Butterworth sarà: 175 [(s + 1 )(s 2 ] + 0 . 618 s + 1 )(s 2 + 1 . 618 s + 1 ) Dal momento che si è scelto un progetto a costanti uniformi dovrà essere: R1 = R2 = R C1 = C2 = C da cui ω0 = 1 RC ⇒ RC = 1 1 = ω 0 6.2832Krad / sec Si osserva come la scelta di RC sia indipendente dal valore di Q e come ciò semplifichi notevolmente la progettazione. Si ricorda, a tale scopo, che nella scelta di R e C si dovrà tenere conto che i valori di tali componenti in commercio sono stabiliti e, quindi, si dovranno scegliere delle coppie RC che approssimino bene i dati, ma che esistano sul mercato. Di qui l'importanza dell'indipendenza della scelta da Q. Due valori che permettono tutto questo sono, ad esempio: R = 5.9KΩ C = 27nF in cui si dovrà fare attenzione a scegliere valori di C sufficientemente piccoli, ma non confrontabili con le C parassite del circuito in relazione alle frequenza in gioco. Procedendo, si ottiene: RF 1 = 2− Rs Q RF Rs ⇒ RF R s = 1.382 a 1 cella = 0.382 a 2 cella scegliendo Rs = 10 KΩ si ricava, infine: RF(1) = 13.7 KΩ 1a cella RF( 2) = 3.83KΩ 2a cella avendo scelto valori commerciali delle resistenze. Si osserva che la scelta di RF ed Rs fornisce un ulteriore grado di libertà, in quanto è vincolato solo il valore del loro rapporto. In generale, nella scelta delle resistenze si dovrà fare attenzione che queste siano “piccole” rispetto all'impedenza d'ingresso dell'operazionale e “grandi” rispetto all'impedenza d'uscita, in modo da non essere mai confrontabili con le non idealità dell'operazionale. Solitamente, i margini sono ampi, ma in presenza di operazionali di qualità non adeguata si dovrà prestare particolare attenzione alla scelta delle resistenze (in termini più precisi, la scelta delle resistenze dovrà essere tale da rendere trascurabili eventuali effetti di carico dell’operazionale o sull’operazionale). Il circuito finale è il seguente: 176 RF(2) RF(1) Rs Rs - - R R R R + + + C C R C C C La prima cella sarà del 1° ordine e, dal momento che non ci si è preoccupati del guadagno, sarà costituita da un inseguitore e da un circuito RC; le altre due celle avranno le stesse costanti di tempo, come si è scelto in fase progettuale. 4.2.3.2 Cella passa-alto La realizzazione di celle passa-alto risulta abbastanza semplice, in quanto la trasformazione frequenziale necessaria si traduce, in termini circuitali, nello scambio tra le resistenze e capacità che, naturalmente, intervengono nei poli del sistema. La cella passa-alto del 1° ordine sarà, allora, quella di figura 1: RF Rs vi + C R fig. 1 e la sua funzione di trasferimento risulta: R H (s ) = 1 + F Rs Per una cella del 2° ordine si avrà, invece: 177 sRC ⋅ 1 + sRC vu RF Rs C1 C2 vu + vi R1 R2 la cui funzione di trasferimento risulta: s 2 R 1 R 2 C 1 C 2 1 + H (s ) = R 1 + s (C 1 + C 2 )R 1 − R 2 C 2 F Rs RF Rs 2 + s R 1 R 2 C 1C 2 e vale ω0 = 1 R = (C1 + C2 )R1 − R2C2 F ω 0Q Rs 1 R1R2C1C2 Considerando i due casi possibili di progetto si avrà: a) Progetto a guadagno unitario Posti H0 =1 RF = 0 si ottiene 1 = (C1 + C2 )R2 Q0ω 0 b) Progetto a costanti di tempo uniformi Posti R1 = R2 = R C1 = C2 = C si ottiene ω0 = 1 RC 1 R = 2− F Q Rs 178 (⇒ H 0 < 3) che, come si può osservare, sono gli stessi risultati trovati per la cella passa-basso. 4.2.3.2.1 Esempio numerico Si supponga di voler realizzare un filtro del 3° ordine di tipo passa-alto, con frequenza f0 di 2KHz, ossia: f 0 = ( f 3dB ) = 2 KHz n=3 Nella realizzazione di tale filtro si vuole utilizzare un progetto a guadagno unitario, per cui H0 = 1 Si calcola, innanzitutto, la pulsazione: ω 0 = 2πf 0 = 12.5664Krad / sec dalla tabella dei polinomi di Butterworth si ricava, per n = 3: 2K = 1 =1 Q e il polinomio corrispondente sarà: [(s + 1 )(s 2 ] + s + 1) Ora, da ciò che si è ricavato si possono ricavare R e C relative alla cella del 1° ordine1: 1 ω 0 = (1) (1) R C R (1) = 7.96KΩ ⇒ (1) C = 10nF Si dovrà, ora, progettare la cella del secondo ordine. Avendo già scelto una capacità della cella del 1° ordine pari a 10 nF e avendo un numero elevato di gradi di libertà, si può assumere di mantenere il valore di C anche per le celle del 2° ordine, quindi: C1 = C2 = C (1) = 10nF Si possono, a questo punto, ricavare le resistenze R1 ed R2 utilizzando le formule viste per un progetto a guadagno unitario: 1 L'apice (1) nelle formule indica che si sta considerando la cella del 1° ordine. 179 1 = ω 0 R1 (C1 + C2 ) Q ω0 = ⇒ R1 = 3.97 KΩ 1 R1R2C1C2 ⇒ R2 = 16KΩ Si osserva che il valore di R1 non è commerciale, quindi, per una maggiore precisione sarebbe necessario reiterare il procedimento e trovare dei valori di R1 ed R2 commerciali, ad esempio, variando il valore scelto per C. La struttura del filtro risulterà: C C (1) C(1) (1) + + vi R(1) R1 vu R2 4.2.3.3 Celle passa-banda ed elimina-banda La realizzazione di un filtro passa-banda non richiede alcun tipo di approssimazione ulteriore rispetto ai casi precedenti, se si pensa di costruire il filtro come cascata di un passa-basso (L.P.) e di un passa-alto (H.P.), ossia: Caratteristiche Schema a blocchi L.P. L.P. H.P. H.P. B.P. B.P. Ricordando che la cascata di due f.d.t. equivale al prodotto, scegliendo opportunamente le caratteristiche dei filtri LP ed HP e ponendoli in serie, si ottiene proprio la caratteristica di un filtro passa-banda (B.P.); se, invece, i filtri vengono messi in parallelo ciò che si realizza è un filtro elimina-banda (R.B.), ossia: 180 Schema a blocchi Caratteristiche L.P. L.P. Σ H.P. H.P. R.B. R.B. (Reject Band) o S.B. (Stop Band) fig. 1.b fig. 1.a Essendo i due filtri in parallelo, la f.d.t. complessiva sarà data dalla somma delle due, come mostrato in figura 1.b (si ricorda che tra i due blocchi sarà sempre necessario un nodo sommatore, che potrà essere realizzato, ad esempio, con un operazionale). La realizzazione di un passa-banda o di un elimina-banda attraverso la serie o il parallelo di un passa-basso e un passa-alto presenta un problema non trascurabile: l'elevata sensibilità alle variazioni parametriche. I valori di resistenze e capacità, spesso scelte in funzione dei valori esistenti in commercio, sono causa di uno slittamento delle caratteristiche rispetto a quanto previsto. Se si vogliono, quindi, realizzare filtri passabanda o elimina-banda con caratteristiche molto larghe, non ci sono problemi, mentre se tali filtri devono essere molto selettivi, la dispersione dei parametri può causare un avvicinamento eccessivo tra l'inizio della banda oscura di un filtro e l'inizio della banda passante dell’altro, che impedisce di ottenere la caratteristica desiderata e genera, invece, filtri che o fanno passare tutto o non fanno passare niente. Se, dunque, è richiesta un'elevata selettività, si deve ricorrere a implementazioni di celle che realizzino direttamente la funzione di trasferimento del passa-banda o dell'eliminabanda. 4.2.3.4 Cella passa-tutto Quando si parla di filtri, si è soliti analizzare nei dettagli la caratteristica di ampiezza tralasciando, spesso, il fatto che associata ad essa esiste anche la caratteristica di fase. Ciò che viene, sostanzialmente, chiesto alla caratteristica di fase è principalmente la sua linearità in banda passante, al fine di soddisfare la condizione di non distorsione. Se, si richiedono aggiustamenti di fase è possibile inserire delle celle che le realizzino e che prendono il nome di celle passa-tutto. Tali celle, com'è ovvio, non alterano minimamente il modulo della funzione di trasferimento, bensì consentono di agire sulla fase. Due esempi possibili vengono illustrati in figura 1 e 2: 181 R1 R1 vi vu + R C fig. 1 La f.d.t. risulta: H (s ) = 1 − sRC 1 + sRC o nel dominio delle frequenze H (ω ) = 1 − j ω RC 1 + j ω RC Il modulo e la fase risultano, quindi: H (ω )=1 ∠ H (ω ) = − 2 arctg (ω RC ) (1) Si osserva che, in funzione della pulsazione, agendo sul prodotto RC si è in grado di ottenere una certa pendenza della caratteristica di fase. La (1) può subire una variazione da 0° a -180° agendo esclusivamente su R. Un'altra cella passa-tutto, duale a quella di figura 1, è la seguente: R1 R1 vi + C vu R fig. 2 La f.d.t. risultante è uguale a quella del caso precedente, a meno del segno: H (ω ) = − 1 − j ω RC 1 + j ω RC mentre il modulo e la fase risultano 182 H (ω ) ∠ H (ω ) = π − 2 arctg (ω RC =1 ) La relazione di fase introdotta da questa cella va, invece, da 180° a 0°. Per concludere la trattazione sui filtri attivi realizzati con operazionali, si riportano altri tipi di approssimazioni per la realizzazione di tali circuiti. Finora sono stati trattati i cosiddetti filtri di Butterworth; esistono, tuttavia, altre tipologie di filtri che prendono il nome di filtri di Chebyshev, Ellittici e di Bessel . 4.2.4 Filtri di Chebyshev La funzione di trasferimento di tale filtro è la seguente: H (ω ) 2 = H 2 0 ω 1 + ε 2 C n2 ω0 ω in cui con Cn si indicano i polinomi di Chebyshev. Tali filtri presentano un ripple ω0 in banda passante (nella quale la f.d.t. non è monotona come avveniva per i filtri alla Butterworth), ma si guadagna notevolmente in termini di selettività del filtro stesso. Tollerando, quindi, il ripple in misura maggiore rispetto ai filtri alla B., i filtri di C. consentono di avere maggiore selettività, a parità di celle o, dualmente, a parità di prestazioni si riduce il numero di celle, e dunque si risparmiano i componenti. 4.2.5 Filtri Ellittici La funzione di trasferimento risulta: H (ω ) 2 H 02 = 1 + ε 2 R n2 (ω ) dove con Rn(ω) si indicano le funzioni razionali di Chebyshev. Questi filtri consentono un ripple sia in banda passante che in banda oscura, ma presentano una selettività ancora più marcata. Si ricorda che esistono anche altri tipi di filtri, quali, ad esempio, i filtri General Purpuse o, meglio, filtri a variabili di stato, che consentono di generare direttamente funzioni di trasferimento di tipo passa-basso, passa-alto, ecc.. 183 4.2.6 Filtri SC (Switched Capacitor) Si è accennato al fatto che i filtri attivi presentano il problema della dispersione dei parametri che condiziona la precisione dei valori di R e C realizzabili. A livello integrato, la realizzazione di resistenze e capacità di valore preciso è problematica, inoltre la presenza di resistenze comporta problemi di dissipazione, oltre che di ingombro. Risulta quindi difficile realizzare valori precisi del prodotto RC e conseguentemente di ω0 = 1/RC. Per problemi di integrazione, di consumo e di precisione sulle frequenze a cui operano, dunque, i filtri attivi presentano dei limiti che possono essere superati con l'impiego di nuovi filtri, detti SC (Switched Capacitor: filtri a capacità commutata), nei quali si eliminano le resistenze e si sfruttano degli interruttori e delle capacità per sostituirne l'effetto. Ciò comporta, innanzitutto, il vantaggio di non avere più un'elevata occupazione d'area e la possibilità di utilizzare capacità molto piccole. Ne deriva una notevole compattezza e, dunque, la possibilità di realizzazione in tecnologia integrata, oltre alla notevole compatibilità con circuiti misti (analogico-digitali), grazie alla loro realizzazione con i MOS. Se serve, quindi, si ha la possibilità di integrare nello stesso chip sia funzioni digitali che analogiche. Non essendoci più le resistenze, poi, viene meno anche il problema della notevole dissipazione. Per ciò che riguarda le pulsazioni di taglio di tali filtri, non si ha più la dipendenza dal prodotto RC, ma saranno funzione di un rapporto di capacità, che comporta meno problemi realizzativi e quindi una maggior precisione nella definizione della frequenza stessa. Gli interruttori e le capacità, infine, generano una resistenza equivalente il cui valore dipende dalla frequenza di commutazione degli switch; variando, dunque, tale frequenza (che dovrà essere qualche ordine di grandezza superiore a quella dei segnali) è possibile variare la resistenza equivalente del filtro e, di conseguenza, la frequenza del filtro stesso. In questo modo non si agirà più sui valori dei componenti, ma si agirà in modo elettronico potendo, più comodamente, cambiare le caratteristiche di banda passante del filtro. Lo svantaggio di tali tipologia di filtri è che le bande di frequenza alle quali essi possono arrivare sono inferiori di uno o due ordini di grandezza rispetto a quelle dei filtri attivi realizzati in modo convenzionale; per gli SC si arriva a bande di, al massimo, i MHz. Questo tipo di filtri rimane, comunque, inserito nel contesto dei filtri attivi, in quanto utilizzano ancora gli operazionali, in cui al posto delle resistenze verranno inseriti gli interruttori e le capacità. La cella fondamentale è circuitalmente realizzata nel modo evidenziato in figura 1: V1 Φ Φ S1 S2 fig.1 184 V2 Il circuito di figura 1 rappresenta due interruttori realizzati in tecnologia MOS, controllati in modo complementare da un segnale di clock Φ e dal suo negato sfasati tra loro. Si fa, inoltre, l'ipotesi che durante l'intervallo di commutazione del clock le tensioni V1 e V2 siano costanti, cioè si ipotizza che la frequenza di commutazione sia molto più veloce dei segnali esterni. Sotto tale ipotesi, la carica Q trasportata dal nodo 1 al nodo 2 sarà pari alla variazione di tensione. In sostanza, quando il primo interruttore S1 è chiuso la capacità si porta alla tensione V1, quando, poi, S1 si apre ed S2 si chiude la capacità si porta alla tensione V2. Se si suppone che sia V1 > V2, la variazione di carica ai capi della capacità sarà: Q = C (V 1 − V 2 ) Indicando con T il periodo di commutazione del clock, in termini medi equivalenti si ottiene: I eq = Q = C (V 1 − V 2 ) f s T (1) con T = 1/fs ed fs = frequenza di switching o di commutazione. Ora, dalla (1) si può scrivere (V 1 − V 2 ) = I eq 1 = R eq Cf s (2) La (2) ha le dimensioni di una resistenza, quindi, sotto l'ipotesi che la velocità di commutazione degli interruttori sia grande rispetto alla frequenza di variazioni dei segnali, si può rappresentare il circuito equivalente come: Req V1 V2 Si osserva che la resistenza equivalente Req dipende da fs e, dunque, agendo sulla frequenza di switching, si può agire sulla Req stessa, cioè si è ottenuto un resistore controllato. Un'altra ipotesi importante è che la resistenza Ron associata ai MOS sia sufficientemente piccola, in modo tale che le costanti di tempo associate ai fenomeni di carica e scarica delle capacità siano da ritenersi trascurabili e si abbia, di conseguenza, una bassa dissipazione. A questo punto il filtro passa-basso attivo, in termini di capacità commutate, diventa ciò che viene rappresentato in figura 2.b: 185 Φ vi - R vu + Φ + vi C fig. 2.a Cs C vu fig. 2.b La parte tratteggiata di figura 2.b è equivalente alla resistenza R = 1 Cs fs e la frequenza di taglio del filtro risulta ω0 = 1 C = s fs RC C (3) La (3) conferma come la frequenza di taglio del filtro dipende da un rapporto di capacità più facilmente realizzabile rispetto ai valori assoluti, in quanto la variazione dei parametri dovuta al processo di realizzazione si riflette su entrambe le capacità e nel loro rapporto può essere trascurata. La f0, inoltre, può essere ora controllata dalla fs. Si osservi che la sostituzione di una resistenza con la cella a due interruttori non è sempre così semplice e immediata, a causa delle modalità di connessione degli interruttori e delle capacità che può portare, in certe situazioni, alla saturazione dell’operazionale. 4.3 Circuiti non lineari basati su amplificatori operazionali Si vogliono, ora, considerare dei circuiti che realizzano funzioni non lineari sfruttando gli amplificatori operazionali. 4.3.1 Convertitori AC/DC di precisione Parlando di AC/DC, si era osservato come il campo di operazione di tali circuiti fosse sufficientemente grande rispetto alle cadute ai capi dei diodi. Operare con tensioni molto basse, al limite sotto la soglia dei diodi, rappresenta, dunque, un problema. Se si vogliono raddrizzare tensioni così piccole si dovrà utilizzare, allora, quello che viene detto super diodo o diodo a caduta molto bassa. Tale dispositivo viene realizzato con un operazionale, nella cui catena di retroazione viene inserito un diodo. In tal modo, la soglia del diodo stesso viene divisa per il guadagno dell'operazionale. 186 4.3.1.1 Raddrizzatore a semplice semionda Lo schema più semplice per un convertitore a semplice semionda è quello rappresentato in figura 1: vi + vu vo R Raddrizzatore a semionda fig. 1 Analizzando la figura 1 e supponendo tutto ideale1, affinché il diodo conduca dovrà essere: vo > Vγ (1) con Vγ soglia del diodo. Alla soglia della conduzione si avrà: ( ) v o = A0 v i − v − = A0 v i (2) Sostituendo, ora, la (2) nella (1), si ottiene: vi > Vγ A0 (3) Dalla (3) si osserva proprio che la soglia del diodo viene abbassata e si ricava: vu = Vγ A0 vi − 1 + A0 1 + A0 ed essendo A0 molto grande si può scrivere vu ≅ vi Se, ora, vi < 0 il diodo si spegne e l'operazionale satura negativamente. Tale aspetto è indesiderato, in quanto all'applicazione successiva di un segnale maggiore di zero, risulterà particolarmente difficile riportare il dispositivo dalla saturazione alla conduzione, a causa dei problemi legati allo slew-rate e, in generale, alla dinamica. Si può, allora, modificare il circuito di figura 1 come segue: 1 Si suppone che sul ramo di retroazione non scorra corrente. 187 R2 D2 R1 vi - D1 vu + fig. 2 Si ottengono, allora, le seguenti relazioni: se vi < 0 ⇒ D 1 on D 2 off si realizza, così, un amplificatore invertente, avendo chiuso l'anello di retroazione dell'operazionale tramite la resistenza R2. Si ottiene: vu = − R2 vi R1 mentre se vi > 0 ⇒ D 1 off D 2 on l'operazionale viene retroazionato negativamente, con retroazione unitaria, in modo tale da non saturare mai. Si avrà, allora, sempre: vu = 0 La caratteristica dello schema di figura 2 risulta, a questo punto la seguente: vu R2 /R1 vi fig.3 Al fine di aumentare o diminuire l'amplificazione si può agire sul rapporto R2 / R1. Una delle principali limitazioni di questo circuito è legata allo slew-rate dell'operazionale. L'uscita dell'operazionale, infatti, dovrà commutare in modo sufficientemente veloce 188 da -Vγ a Vγ , ossia dalla condizione di diodo D2 spento e D1 acceso, a quella opposta. Si ha, dunque, una transizione di due volte la soglia, che deve avvenire in modo molto veloce. In termini di slew-rate ciò significa: SR = ∆V0 ∆t ⇒ ∆T = 2V γ ∆V0 = SR SR e per Vγ = 0.6V ed SR = 1V/µs si ottiene ∆T = 1 . 2V µ s = 1 .2 µ s 1V Si ricorda che lo slew-rate è diverso a seconda che si considerino valori di V0 positivi o negativi, in quanto il differenziale contenuto nell'operazionale si comporta in modo diverso a seconda dei valori considerati e, dunque, i tempi di carica e scarica delle capacità risulteranno diversi. A tal fine il costruttore fornisce un valore di SR in salita e uno in discesa. Il ∆T ottenuto fornisce, comunque, un'idea del tempo "morto" che intercorre fra una transizione e l'altra e durante il quale non viene elaborato alcun segnale. Durante tale tempo, quindi, si genera un disturbo, a meno che non si verifichi la condizione: T >> ∆ T (4) La (4) comporta una notevole limitazione sul range di frequenza a cui operare. In tal modo non si potrà sicuramente arrivare a frequenze dell'ordine del MHz. 4.3.1.2 Raddrizzatore ad onda intera Una possibilità per realizzare un raddrizzatore ad onda intera è di considerare un ponte di diodi (ponte di Graetz) inserito nella retroazione dell'operazionale, come mostrato in figura 1: RL vi R + fig. 1 Si dimostra che vale la seguente relazione: 189 vu RL vi R vu = Il problema di questo schema è rappresentato dal carico fuori massa, ossia un carico flottante che spesso risulta scomodo. È per tale motivo che si preferisce lo schema di figura 2, che risolve il suddetto inconveniente : R vi R vA R1 D1 - R vC 2 1 + i vu + D2 vB R fig. 2 In questo circuito, che utilizza due operazionali, si ha l'uscita riferita al morsetto comune. Le condizioni sui diodi sono le seguenti: se vi > 0 ⇒ D 1 on D 2 off allora, l'uscita del 1° operazionale, indicata con vA, sarà: vA = − R vi R1 essendo, in questo caso, il 1° blocco un amplificatore invertente retroazionato con una resistenza R e avente resistenza d'ingresso R1. Si ha, inoltre: vB = 0 e, quindi vu = − R R v A = 1 vi R R dove il 2° blocco di figura 2 è ancora un blocco invertente con resistenza di retroazione e resistenza d'ingresso pari ad R. L'altra condizione sui diodi sarà, invece: 190 se vi < 0 ⇒ D 1 off D 2 on In questo caso, in virtù del principio di massa virtuale, si può affermare che: v B = vC e, facendo l'equilibrio delle correnti al nodo negativo dell'operazionale, si ottiene: vi v v + C + B = 0 R 2R R ⇒ vC = - 2 R vi 3 R1 quindi, la tensione d'uscita, in virtù del principio di corto circuito virtuale, sarà: v u = v C + Ri = v C + R vC 3 = vC 2R 2 Riassumendo, dunque, si ottiene: vi > 0 vi < 0 R vu = − vi R 1 vu = R vi R1 ⇒ vu = R vi R1 4.4 Limitatori I limitatori sono circuiti che lasciano passare i segnali la cui ampiezza è maggiore o minore di un certo valore stabilito o, addirittura, stabiliscono un intervallo entro il quale (o all'esterno del quale) dovranno cadere le ampiezze dei segnali utili. Se il livello del limitatore è lo zero, anche un AC/DC diventa un limitatore, in quanto lascia passare i segnali con vi < 0 o > 0 e, quindi, è un limitatore con livello fissato a zero. Dal momento che un limitatore dovrebbe avere un valore arbitrario del livello, sarà necessario agire sulla caratteristica dell'AC/DC e spostare il livello al valore desiderato. Per ottenere quanto detto si consideri il seguente schema circuitale: 191 R2 R2 D2 vi D2 R1 - R1 vi D1 - D1 vu + vu + EB + fig. 1.b fig. 1.a Si osserva che, rispetto alla configurazione precedentemente considerata, in figura 1.a i diodi sono stati rovesciati. Se si vuole fare l'analisi, si ottiene: vi > 0 ⇒ D 1 = on vu = − vi < 0 ⇒ D 2 = on vu = 0 R2 vi R1 Il circuito considerato in figura 1.a rappresenta un limitatore rispetto allo zero. Se, tuttavia, esso viene modificato come in figura 1.b, in cui è stata aggiunta una batteria, il livello del limitatore si sposterà in alto e a destra di una quantità pari al valore di tensione della batteria stessa, che in questo caso è pari ad EB. Se, infatti, si considera la caratteristica nei due casi, si ha: vu EB vi EB R2 /R1 fig.3: in grassetto si considera la caratteristica del circuito di figura 1.a, in tratteggio quella del circuito di figura 1.b Una soluzione alternativa per variare il livello del limitatore da zero a quanto si desidera è fornita dal circuito di figura 4: 192 R2 D2 vi R1 1 - D1 R3 vu + EB + fig. 4 Facendo un equilibrio al nodo 1, supponendo D1 ON e D2 OFF, si ottiene: vi v E − B + u = 0 R1 R3 R2 Se D1 è ON, la corrente scorre verso la tensione vu (da massa verso vu), quindi, quest'ultima sarà negativa e precisamente: vu = − R2 R vi + 2 E B ≤ 0 R1 R3 da cui vi ≥ R1 EB R3 A questo punto, la caratteristica risulta traslata verso destra nel modo seguente: vu EB R2 R3 vi fig.5 combinando le configurazioni analizzate attraverso dei blocchi sommatori e potendo stabilire con precisione dove far piegare la caratteristica, si possono realizzare funzioni 193 analogiche lineari a tratti. Esempi di caratteristiche ottenibili sono dati dalle figure seguenti: vu vu vi vi 4.5 Amplificatori logaritmici ed esponenziali (antilogaritmici) Nella elaborazione e trasmissione dei segnali è spesso utile o necessario effettuare una compressione della dinamica dei segnali. Tale operazione, che prevede di amplificare maggiormente i livelli bassi rispetto a quelli alti, consente, ad esempio, di ridurre la sensibilità ai disturbi. Effettuare una compressione, dunque, permette di ridurre la dinamica dei segnali ad una dinamica realmente trattabile per i circuiti che devono elaborarli e, contemporaneamente, consente di rendere l'intera catena di elaborazione meno sensibile ai rumori. L'operazione più semplice di compressione da effettuare è quella logaritmica, perché si basa su giunzioni bipolari che hanno già in sé la funzione logaritmo. Si vuole far riferimento ad una compressione del tipo: V u = K log 10 Vi VR (1) La (1) è la tipica espressione di una amplificatore logaritmico fornita dal costruttore. Supponiamo di voler considerare un esempio numerico e sia: K = 2V V R = 0 . 1V si vuole valutare la variazione ∆Vu che corrisponde ad una dinamica di segnale che va da Vimin a Vimax. Si dovrà avere, dunque: ∆ V u = K log 10 V i max − K log VR 10 V i min = K log VR 10 V i max V i min (2) Se, ora, si suppone di avere una variazione del segnale di 10V, si otterrà: ∆Vi → 1V ÷ 10 V ⇒ ∆ V u = 2V ∆Vi → 1 mV ÷ 10 mV ⇒ ∆ V u = 2V da cui si evince che, passando per un'operazione di tipo logaritmico, i livelli dei segnali più bassi vengono amplificati maggiormente, mentre quelli alti vengono attenuati o 194 poco amplificati, a seconda della scala usata; ciò comporta, ovviamente, anche una minor sensibilità ai disturbi. L'elemento base per la realizzazione di tale operazione è costituito dalla relazione esponenziale o logaritmica contenuta nei diodi e nei bipolari. Solitamente, si preferiscono i transistori bipolari per i quali la relazione esponenziale vale per un range elevato di correnti; in particolare vale: IC = α F IE − IR con IR corrente inversa, la cui espressione è del tipo VVBC e T − 1 I R = I CS Se si lavora a VBC = 0, che è quanto si fa solitamente, si può scrivere IC = α F IE che può essere riscritta come I C = α F I ES VVBE VVBE e T − 1 = I e T − 1 S (3) La (3) risulta fondamentale, in quanto vale per diverse decadi di corrente, cioè fino a 6, 10 decadi. Lo schema di principio che realizza quanto detto è rappresentato in figura 1, dove nella catena di retroazione dell'operazionale viene inserito un bipolare: IC vi R + vu fig. 1 Si osserva che VBC = 0, in quanto il morsetto di base del bipolare è a massa e quello di collettore è a massa virtuale, inoltre: V u = − V BE IC VVBE = IS e T V − u ≅ I ⋅ e VT = V i S R 195 (4) Nella (4) si è trascurato l'uno rispetto alla (3), poiché si è considerata la VBE sufficientemente grande. Inoltre, dal momento che la IC scorre anche su R, deve valere pure l'ultimo termine scritto. Considerando, dunque, la (2) si ha: V u = − V T ln Vi V = − V T ln i − ln I S RI S R (5) Il problema che si riscontra ora e che è evidenziato dalla (5) è la dipendenza termica, non tanto rappresentata dalla VT , quanto piuttosto dalla IS. La IS, infatti, tende a raddoppiare il proprio valore ad ogni aumento di 10°C della temperatura. Per eliminare questo problema si dovrà considerare uno schema più realistico, quale, ad esempio, quello di figura 2: VCC R1 vi R + R2 2 - vu - 1 + + V2 R4 R3 fig. 2 Si vuole calcolare la tensione V2+ al morsetto positivo del secondo operazionale; si avrà: V 2+ = V BE 2 − V BE 1 = V T ln IC2 I − V T ln C 1 IS2 I S1 Facendo l'ipotesi che IS1 = IS2, cioè che i due transistori siano identici (il che è lecito, dal momento che si parla di tecnologia integrata), si ottiene: V 2+ = V T ln IC2 I = − V T ln C 1 IC2 I C1 essendo I C1 = 196 Vi R IC2 = V CC − V 2+ V − I B 2 ≅ CC R1 R1 (6) Se il transistor è buono, la IB2 è trascurabile, inoltre, la V2+ essendo una differenza tra due VBE, sarà sufficientemente piccola e, in particolare, trascurabile rispetto a VCC. Da tutto ciò ne deriva l'ultimo termine espresso nella (6). L'uscita sarà, allora: R V R V u = − V T 1 + 3 ln i ⋅ 1 R4 R V CC (7) Dalla (7) si osserva come la simmetria del circuito abbia permesso di eliminare la IS, ma come non sia ancora stato completamente risolto il problema della dipendenza termica, data la presenza della VT che, anche se poco rilevante (≈0.5% per ogni grado centigrado), è bene comunque eliminare. A tal fine, si possono usare termistori PTC (Positive Temperature Coefficient), ossia, resistori dipendenti dalla temperatura, il cui valore aumenta con essa e che dovranno essere sostituiti alla R4. Se, allora, la VT cresce all'aumentare della temperatura, crescerà anche la resistenza sostituita ad R4 che, se scelta bene, tenderà ad annullare l'effetto provocato dalla VT stessa. Il costruttore, solitamente, fornisce la funzione espressa dalla (1), nella quale non vi è più la dipendenza termica, VR viene scelta dal progettista (tensione di riferimento) e K è una tensione costante, solitamente programmabile, che dice di quanto si vuole che l'uscita vari per ogni decade di variazione di Vi . I migliori amplificatori prevedono, al massimo, una variazione pari a 4 ÷ 5 decadi di Vi ; esistono, infatti, due problemi che limitano tale dinamica: se Vi diventa alta, aumenta anche la corrente nel transistore e, dunque, risulta significativo l'effetto ohmico rispetto a quello esponenziale, fino a dominare su quest'ultimo. Si perde, così, l'andamento esponenziale della caratteristica, per lasciare posto ad un andamento lineare. Per correnti troppo basse, invece, entrano in gioco le correnti di polarizzazione dell'operazionale, che si sovrappongono in qualità di disturbi alle correnti del transistore, facendo perdere, anche in questo caso, l'andamento esponenziale. In quest'ultimo caso, dunque, viene posto un limite inferiore alle correnti e alla Vi ; l'effetto ohmico pone, invece, un limite superiore. Il range che assicura una buona realizzazione è, dunque, di 4 ÷ 5 decadi. Una volta realizzata la compressione logaritmica ed elaborato il segnale, sarà necessario realizzare l'operazione inversa, ossia la decompressione logaritmica. Lo schema di base utilizzato è duale a quello visto per la compressione, ossia: R vi i + fig. 3 197 vu Si può, così, calcolare la tensione d'uscita: VVBS T V u = Ri = RI S e − 1 ≅ RI S ⋅e − Vi VT in cui si ricorda che la i è uguale alla corrente di collettore del transistor e dove si è trascurato l'uno, in quanto si suppone di avere tensioni d'ingresso sufficientemente maggiori della tensione termica. Nel caso specifico, si osserva anche che Vi è pari a VBE, a meno del segno. Per questo schema potrebbero essere ripetute le medesime considerazioni viste per l'amplificatore logaritmico, a proposito della dipendenza della vu da IS e da VT e si potrebbero prendere in esame schemi circuitali rivolti ad eliminare tali dipendenze. Dal momento che la trattazione non differisce di molto da quanto già visto per gli schemi logaritmici, si preferisce tralasciarla. Si vuole, invece, osservare come, dato un certo blocco che esegue un'operazione diretta, si possa usare la retroazione per eseguire l'operazione inversa. Ciò consente, dunque, di eseguire in termini molto generali l'inversione di una data funzione. Gli schemi circuitali possibili sono due: dato un blocco al cui ingresso è presente un segnale Si e alla cui uscita è presente il segnale Su e che esegue l'operazione diretta f(Si) (f può essere una qualsiasi operazione, quale ad esempio il logaritmo, il prodotto, la radice quadrata, ecc.), si ha: Si Su f(Si) fig. 4 e l'operazione inversa può essere ottenuta con lo schema: F R 1 vu + vi fig. 5 Come si può osservare, in virtù del cortocircuito virtuale, si può scrivere: v i = F (v u e, quindi vu = F −1 Un altro schema può essere il seguente: 198 ) (v i ) R 1 F R - vi 2 vu + fig. 6 Essendo l'impedenza dell'operazionale di valore infinito, al morsetto meno non entrerà corrente, ma scorrerà tutta sulle due resistenze R. Valendo, inoltre, il principio di cortocircuito virtuale, al nodo 1 si avrà una tensione pari a - vi . Da ciò si può scrivere: − v i = F (v u ) ⇒ vu = F −1 (− v i ) Come si nota, l'operazione di inversione raffigurata negli schemi di figura 5 e figura 6 è diversa e, in particolare, l'utilizzo dell'uno o dell'altro circuito sarà condizionato dalla particolare operazione da eseguire. Non tutte le operazioni, infatti, sono eseguibili indipendentemente dal segno della tensione. Si supponga, come esempio, che il blocco F realizzi l'operazione di elevamento al quadrato; nei due casi, allora, si avrà: 1) 2) v i = k ⋅ v u2 > 0 - vi = k ⋅ v 2 u > 0 ⇒ vi > 0 (8) ⇒ vi < 0 (9) il circuito di figura 5, quindi, funziona solo se la tensione di ingresso è positiva, in caso contrario, l'incongruenza matematica espressa dalla (8) si traduce elettricamente nell'instabilità del circuito e nella conseguente saturazione. Per il circuito di figura (6) si ha esattamente il caso contrario, cioè la vi dovrà sempre essere negativa, pena la saturazione. 199