Uomini smarriti, fragili e violenti - IISS Medi
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Uomini smarriti, fragili e violenti - IISS Medi
Uomini smarriti fragili e violenti1 di Fernando SODERO Il silenzio degli uomini è il titolo dell’ultimo saggio di Iaia Caputo, giornalista e scrittrice, che, questa sera alle ore 17.00, sarà presentato presso la Sala Civica del Comune di Copertino. Il libro, di scottante attualità per i contenuti ed il metodo d’indagine, s’interroga, senza facili moralismi, sui tabù degli uomini, incapaci di comunicare e di esprimere le loro paure, il loro smarrimento, la loro fragilità ed i loro desideri. Coloro che per secoli sono stati i dominatori del mondo, ora non lo sono più: pagano per fare sesso senza bisogno di sapersi desiderati, comprano con il denaro la libertà dalla reciprocità e rimpiangono il tempo in cui le donne erano geishe adoranti, femmine pazienti, accoglienti e consolanti. La nostalgia degli antichi benefici determina il corto circuito dei maschi contemporanei. Di fronte a donne sempre più forti e libere, l’uomo si ritrova in una condizione tragica in cui annaspa e naufraga. Ciò «che sempre più frequentemente va in scena in questi anni -sostiene la Caputo- è l’irrilevanza dei padri e la dominanza delle madri. E se gli uomini non hanno ancora deciso a quanto dei privilegi di un tempo sono disposti a rinunciare, anche lasciando un carico enorme di cure domestiche e affettive sulle spalle delle loro compagne, è certamente arrivato il 1 Nuovo Quotidiano di Puglia, 27.02.’13 momento per noi donne di uscire da quella zona d’ombra dove indugiamo, nella quale anche ora esercitiamo incontrastate il potere materno e insieme ci vittimizziamo per le illibertà e i pesi che questo comporta». In un Paese dove il 70 per cento dei femminicidi avviene in famiglia, dove più di sei milioni di uomini, in cerca di «accudimento iperfemminile», sono clienti abituali di trans e prostitute, dove il 50 per cento delle donne risulta inattivo, dove la misoginia pervade l’intero corpo sociale e la rappresentanza del gentil sesso nelle istituzioni, nei partiti e ovunque siano prese delle decisioni è a dir poco irrilevante, la questione maschile va posta con urgenza. Può capitare, infatti, che i padri uccidano i figli per punire in eterno una madre, che ha osato separarsi; che uomini, sconfitti dallo strapotere femminile, stuprino e traffichino in carne umana; che maschi, incapaci di ridefinire la loro virilità, sacrifichino l’eros scegliendo lo squallore del porno o accoltellino una donna perché ha scelto di andarsene. Nel libro, Iaia Caputo indaga sulla devirilizzazione della figura maschile; decodifica i gesti che hanno caratterizzato la politica e la sfera pubblica negli ultimi vent’anni, mettendone a fuoco l’arroganza, la volgarità e l’urgenza di costruire e denunciare un nemico e riflette sulle forme del desiderio maschile attraverso l’esemplarità del caso Marrazzo o dell’affaire Strauss Kahn, passando per il “ciarpame senza pudore” dell’era berlusconiana. «Nel vortice di cambiamenti tumultuosi, privi di orientamento, eppure incapaci anche di delegare il corpo a mettere in scena la sofferenza dello spodestamento, dell’incertezza, della fatica di ridefinire continuamente un’identità andata in pezzi e continuamente ricomposta alla rinfusa, alla bell’e meglio, gli uomini appaiono costantemente in bilico tra le scorciatoie offerte dagli antichi privilegi e gli adattamenti, magari dolorosi, alla realtà nuova che intorno a loro, spesso anche per loro, hanno costruito le donne, cominciando decenni fa». Da qui, la frustrazione, lo smarrimento, la paura, l’afasia. Gli uomini non parlano ed il loro silenzio, per quanto si possa imputare a codardia o a colpevole indifferenza, è soprattutto la causa di un drammatico malessere maschile, che nella dismisura di una sessualità (incapace di evolvere) e nella scorciatoia della violenza ha le sue derive più preoccupanti. In silenzio, qualunque sia il suo grado di cultura, l'uomo, rinunciando ad un'affettività più ricca e sprecando l’occasione di essere se stesso, resta sospeso in un’identità sempre più incerta. «Nominare le parole è il presupposto indispensabile per far esistere i fatti, i sentimenti, i problemi a cui quelle parole alludono. Ed è solo quando esistono le parole che iniziano ad esistere le cose. Evitare ancora a lungo di nominarle potrebbe provocare un cortocircuito drammatico tra la loro assenza e la pericolosità della realtà che dovrebbero invece, finalmente, illuminare».