75 La Cassazione consolida il concetto di edificabilità potenziale ai
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75 La Cassazione consolida il concetto di edificabilità potenziale ai
ICI La Cassazione consolida il concetto di edificabilità potenziale ai fini Ici Fabio Garrini, Guida Normativa, Il Sole 24 Ore 3 gennaio 2009, n. 50, p. 28 Corte di Cassazione, sentenza 24 ottobre 2008, n. 25676 In un periodo dove la produzione giurisprudenziale di Cassazione in materia di Ici è particolarmente fiorente, si deve segnalare una pronuncia che, conferma la nozione di edificabilità che negli ultimi tempi si è andata delineando in modo piuttosto netto ai fini Ici: va considerato edificabile il terreno che presenta possibilità edificatorie anche solo potenziali, indipendentemente dal fatto che il contribuente possa materialmente utilizzare tale terreno a scopo edificatorio. La sentenza 24 ottobre 2008 n. 25676 costituisce, infatti, occasione per fare il punto della situazione circa lo stato dell'arte della giurisprudenza in termini di terreni edificabili e di imponibilità Ici, ma allo stesso tempo offre la possibilità di proporre alcuni suggerimenti operativi per i contribuenti che si trovano a dover decidere che valore attribuire (e di conseguenza quante imposte versare) con riferimento a un determinato terreno edificabile; infatti, rispetto alle altre tipologie di immobili (terreni agricoli e fabbricati) la cui base imponibile è incardinata attorno a un dato catastale, con riferimento ai terreni edificabili occorre, invece, prendere in considerazione il valore venale, dato che è oggetto di apprezzamento e non sempre consente al contribuente di determinare un valore che lo ponga al riparo da contestazioni. GIURISPRUDENZA Caso concreto. Ma andiamo per ordine, prima di tutto analizzando il caso trattato nella sentenza in esame. Il giudizio riguarda un contribuente che possiede un appezzamento di terreno classificato dallo strumento urbanistico generale tra le aree destinate alla costruzione di attrezzature tecniche previo esproprio che il Comune doveva porre in atto. In realtà, decorso inutilmente il termine quinquennale di validità del vincolo finalizzato all'edificazione dell'opera pubblica senza che il Comune abbia realizzato un piano di lottizzazione o particolareggiato, di fatto il terreno risultava non materialmente utilizzabile a scopo edificatorio. Inoltre, osserva il contribuente, siccome il lotto oggetto di accertamento da parte del Comune ha superficie inferiore a quella minima consentita per l'edificazione e, comunque, non potrebbero essere rispettate le distanze minime, esso non si può considerare in alcun modo edificabile. La Corte di cassazione si è però dimostrata di parere del tutto diverso; secondo i giudici di legittimità, infatti, «... l'inutile decorso del termine del quinquennio di validità del vincolo finalizzato alla realizzazione dell'opera pubblica non ha nessuna influenza perché questo fatto non determina la regressione dell'area interessata all'eventuale anteriore destinazione agricola». In particolare, la Corte ritiene irrilevante il fatto che, con il venir meno del vincolo, di fatto il terreno sia materialmente non edificabile: si legge nella sentenza in esame come quelli eccepiti dal contribuente «... non possono costituire motivi idonei per negare la natura edificatoria» in quanto l'edificazione può comunque avvenire tramite «accorpamento con fondi vicini della medesima zona». EDIFICABILITÀ A fini impositivi. Malgrado la pronuncia possa a prima vista apparire singolare, essa è in linea con l'interpretazione di edificabilità ai fini fiscali - e, in particolare, per quanto in questa sede interessa, ai fini Ici - che si è andata a delineare, anche a livello normativo, nel corso degli ultimi anni. Il punto di svolta in tema di edificabilità è stato segnato dall'articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006, con il quale venne stabilito che nel caso di modifica allo strumento urbanistico, l'area che si è vista riconoscere potenzialità edificatorie si deve considerare fabbricabile sin dalla data dell'adozione comunale del Prg, indipendentemente dalla data di approvazione di questo e indipendentemente dal fatto che sia assente uno strumento attuativo necessario per procedere all'utilizzazione edificatoria dell'area. UNITELNews24 n. 16 75 Questo è infatti il provvedimento che ha definitivamente sancito il tramonto della tesi legalista (ossia di quella che individuava nell'atto di approvazione definitiva il momento in cui il terreno doveva scontare l'imposta come edificabile) e, più in generale, di tutte le tesi che fissano l'attenzione sul momento in cui interviene l'effettiva materiale utilizzabilità del terreno. Il decreto Bersani, al contrario, ha individuato quale momento in cui avviene la trasformazione da terreno agricolo a terreno edificabile quello in cui il Comune designa un determinato lotto di terreno quale edificabile, anche se tale lotto è ancora ben lungi dal poter essere materialmente utilizzato, in quanto prima di tutto è necessario che l'iter di approvazione dello strumento urbanistico pervenga a perfezionamento e inoltre, se richiesto dalle norme tecniche di attuazione con riferimento alla zona specifica nella quale è collocato tale lotto, anche che vi sia un piano attuativo per l'edificazione (si pensi, ad esempio, a una zona di espansione che solitamente richiede un piano di lottizzazione per poter avviare lo sfruttamento dei terreni in essa compresi). Con riferimento a tale disposizione si deve altresì ricordare che essa - come affermato dapprima dalla circolare n. 28/E del 2006, poi soprattutto, tra le altre, dalle sentenze della Corte di cassazione 25506/06 e 7742/08 - assume valenza interpretativa, quindi esplica efficacia anche con riferimento a strumenti urbanistici la cui adozione è antecedente alla data di entrata in vigore del Dl 223/2006 (ossia il 4 luglio 2006). Su tale disposizione è stata, poi, sollevata eccezione di costituzionalità, respinta dalla Corte costituzionale con ordinanza 25 febbraio 2008 n. 41: secondo la Consulta, in particolare, una corretta valorizzazione di tale area che tenga conto delle potenzialità non effettive o non attuali di edificazione assicura il rispetto dei principi di capacità contributiva (sulla questione si tornerà successivamente). PRONUNCE RECENTI Giudizio di legittimità. Visto il descritto impianto normativo che presiede all'individuazione della fattispecie di area edificabile, è ormai assodato che il concetto di edificabilità risulta evidentemente ancorato a una possibilità edificatoria anche solo potenziale e remota, purché quella sia evidenziata dalla destinazione riconosciuta al terreno in questione da parte dello strumento urbanistico generale. La possibilità effettiva per il contribuente di erigere un nuovo edificio - ovvero, in alternativa, di ampliarne uno esistente - non è l'elemento richiesto dalla norma per annoverare il lotto nell'ambito della fattispecie delle aree edificabili: potrebbe, infatti, verificarsi il caso tutt'altro che remoto nel quale un lotto sia individuato dallo strumento urbanistico (Prg o piano attuativo) come fabbricabile, ma il contribuente si trovi in realtà nell'impossibilità di mettere in atto un qualsiasi tipo di edificazione per un qualsiasi vincolo di natura urbanistica quale, ad esempio, la vicinanza alle strade, la vicinanza a fabbricati ovvero la vicinanza ai fondi finitimi. E la Cassazione, con numerose pronunce nel corso del 2008, ha dimostrato di sposare appieno tale concetto: vale la pena di esaminare alcune pronunce. Innanzitutto una pronuncia di analogo tenore a quella in esame: si tratta della sentenza 20 giugno 2008 n. 16858, nella quale la Cassazione ha affermato che un'area destinata a servizi pubblici deve essere considerata edificabile anche nel caso in cui il vincolo fosse scaduto. Tale decadenza, infatti, «... non influisce sulla permanente qualificazione dell'area come fabbricabile, per il solo fatto di essere inserita nel Piano regolatore, riguardando tale decadenza la sola perdita della facoltà di intervento da parte dell'Ente pubblico.». Ma soprattutto pare interessante la seguente affermazione: «non esclude l'edificabilità dell'area la esclusione di un intervento diretto del privato/possessore dell'area stessa». A conferma del concetto assolutamente astratto di edificabilità ai fini Ici, si deve ricordare quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 12 settembre 2007 n. 19131: «l'art. 1 d.lgs. 504/1992, in nessun modo ricollega il presupposto dell'imposta all'idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine a incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, giacché ai sensi del successivo articolo 5, il valore dell'immobile assume rilievo ai soli fini della determinazione della base imponibile e, quindi, della concreta misura dell'imposta. Ne consegue che deve escludersi che da un'area edificabile, assoggettata a vincolo urbanistico che la destini a espropriazione, sia, per ciò stesso, esente dall'imposta». Come a dire che l'area deve essere considerata edificabile anche se il possessore non la può in nessun caso destinare a edificazione in quanto l'unica destinazione prevista è quella dell'esproprio. Certamente questo vincolo all'edificabilità (che risulta assoluto per il possessore, ma è ammesso invece un utilizzo per il soggetto espropriante) avrà evidentemente delle conseguenze: non certo sulla qualificazione dell'area (che si deve considerare comunque edificabile), ma il relativo valore UNITELNews24 n. 16 76 risulterà ridotto a causa del fatto che il possessore non potrà utilizzare (perlomeno in prima persona) tale potenzialità. Ovviamente anche in Cassazione non può mancare una voce fuori dal coro: evidentemente ritenendo che anche gli ambiti impositivi che parevano essere più chiari meritassero un intervento controcorrente contribuendo a creare un po' di disorientamento tra gli operatori del settore, nella sentenza 24 ottobre 2008 n. 25672 è inopportunamente intervenuta con una pronuncia di segno opposto alle precedenti, osservando che l'area destinata alla sola edificazione di strutture pubbliche e in parte non utilizzabile in quanto soggetta a vincolo di rispetto stradale non può essere considerata edificabile. Mentre si può concordare sulla non edificabilità delle aree prospicienti alle strade, non altrettanto si può essere d'accordo, per le ragioni precedentemente esposte, in merito al trattamento tributario delle aree utilizzabili per la costruzione di strutture di interesse pubblico. Il fatto curioso è che entrambe le contrastanti sentenze 25672/08 e 25676/08 sono state pronunciate dalla medesima sezione nello stesso giorno e interessano un unico ente impositore (il Comune de L'Aquila), relativamente a due casi che paiono decisamente affini (quantomeno nel principio). Tale intervento però non modifica la constatazione che, ai fini Ici, si sia affermato un orientamento che vuole l'individuazione di un'area fabbricabile incardinata a un principio di edificabilità anche solo potenziale. Semmai è auspicabile un intervento definitivo delle Sezioni unite. VALORE DEL TERRENO Su un dato potenziale. Dopo aver proposto questa breve carrellata di recenti pronunce della Cassazione in tema di qualificazione dei terreni ai fini Ici, si può osservare come forse il fatto che venga considerato edificabile un terreno che risulta tale solo a livello astratto potrebbe sembrare iniquo. In realtà - occorre tenerlo bene a mente - ai fini Ici il Legislatore da sempre ha previsto una sorta di correttivo automatico nello stesso decreto istitutivo dell'imposta. La base imponibile delle aree edificabili, infatti, non è desunta da un dato catastale ma, al contrario, è costituita dal valore venale del bene: al riguardo è evidente che minore è la potenzialità edificatoria e più remoto nel tempo è il diritto a costruire, minore sarà la base imponibile e, quindi, l'imposta dovuta con riferimento a tale immobile. La vera questione si sposta quindi dalla natura che deve essere riconosciuta al terreno alla valorizzazione che a esso viene attribuita. In un caso come quello previsto nella sentenza in esame, per quanto detto, il terreno sarà considerato comunque edificabile, ma il valore risulterà necessariamente ridotto. Proprio questa graduazione del quantum garantisce, secondo la Corte di cassazione nell'ordinanza 41/08, il principio di capacità contributiva e, quindi, la costituzionalità dell'impianto normativo che regola la fattispecie di area edificabile ai fini Ici. Infatti, «... la potenzialità edificatoria dell'area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo a influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione, in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante». VALORIZZAZIONI Deliberazioni comunali. Ciò posto, è di tutta evidenza come il fatto che la base imponibile sia rappresentata da un valore soggetto ad apprezzamento come il valore venale, oltre che costituire un elemento di pregio per la corretta tassazione di tali immobili, si dimostri nella pratica anche un aspetto problematico in termini di corretta determinazione della base imponibile, viste le variabili individuate dallo stesso comma 5 dell'articolo 5 del Dlgs 504/1992 e che devono essere quindi tenute in giusta considerazione: zona territoriale di ubicazione; indice di edificabilità; destinazione d'uso consentita; oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione; prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Risulta pertanto non semplice per il contribuente individuare un valore dell'area edificabile che sia congrua e che al tempo stesso lo ponga al riparo da eventuali pretese future da parte dell'ente impositore: si può, infatti, verificare il caso in cui le due parti, l'una in sede di determinazione dell'imposta, l'altra in sede di verifica della congruità dei valori dichiarati, si trovino a quantificare diversamente il valore del lotto a seguito di un diverso peso dato in relazione a uno o più dei fattori che concorrono alla valutazione. UNITELNews24 n. 16 77 Se, infatti, alcuni contenziosi sorti tra contribuente e Comune sono nati in ragione di una palese sottostima delle aree, in molti casi le dispute derivano da un'oggettiva difficoltà per il contribuente a valutare correttamente tutti i fattori che influiscono nella corretta quantificazione del valore dell'area. Proprio al fine di ridurre la possibilità di insorgenza del contenzioso, l'articolo 59, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446 consente all'ente, tramite regolamento emanato ai sensi del precedente articolo 52, di individuare «periodicamente e per zone omogenee i valori venali di comune commercio delle aree edificabili». Si deve però analizzare attentamente la reale portata della facoltà concessa ai Comuni: a tali valori deve essere riconosciuta esclusivamente una natura di autolimitazione del potere di accertamento da parte dell'ente. In altre parole, il contribuente che si adegua a quanto deliberato dall'ente ottiene un dato blindato nei confronti di future contestazioni. Il fine è evidente: il Comune che adotta tali deliberazioni vuole incentivare i contribuenti ad adeguarsi a determinati valori minimi e, come contropartita, si priva della possibilità di indagare un eventuale maggior valore del lotto specifico. Vale la pena di proporre qualche esempio per ben apprezzare il meccanismo di applicazione di tale disposizione. Adeguamento con protezione: indipendentemente dal valore che possa essere riconosciuto a un determinato lotto di terreno, se quel lotto viene dichiarato per un valore almeno pari a quello deliberato nel regolamento comunale, il Comune è obbligato a ritenerlo congruo (e pertanto si deve astenere da qualunque procedura di accertamento) anche se risulterebbe possibile dimostrarne un valore superiore. Mancato adeguamento giustificato: Il fatto che siano fissati tali valori di riferimento da parte del Comune non comporta un obbligo per il contribuente di dichiarare necessariamente quanto richiesto dall'ente: se, infatti, risulta dimostrabile un valore di mercato inferiore al valore di riferimento proposto all'interno delle delibere, il contribuente ha pieno diritto di utilizzarlo per determinare la base imponibile e il Comune non potrà avanzare alcuna pretesa nei suoi confronti. Detto ciò, risulta comunque caldamente consigliabile che il contribuente che si accinga a dichiarare un valore non congruo rispetto ai parametri comunali si munisca di adeguati supporti probatori che argomentino la scelta effettuata. È estremamente probabile che egli sia chiamato a giustificare il proprio comportamento a seguito di una richiesta di informazioni, se non addirittura a seguito dell'emissione di un avviso di accertamento motivato con la semplice divergenza del valore dichiarato dal contribuente rispetto ai valori utilizzati dall'ente impositore. Al riguardo si deve ricordare che l'emissione di un atto basato sulla semplice divergenza del valore dichiarato rispetto a quello deliberato dall'ente si deve ritenere illegittima per difetto di motivazione. Mancato adeguamento non giustificato: situazione più delicata è quella del contribuente che decida di dichiarare meno del valore di delibera. Infatti, la preclusione all'attività di accertamento scatta quando il contribuente effettua un versamento calcolando l'imposta sulla base del valore deliberato (nell'esempio pari a 100), mentre né la norma né la circolare affermano chiaramente quale siano le conseguenze sul contribuente che non si adegua a tale valore; in altre parole, posto che sia documentabile un valore di 150, tale valore potrà essere preso a base per la verifica o comunque il Comune sarà vincolato al valore individuato nella delibera? Occorre soffermare l'attenzione su un passaggio della circolare n. 296/E del 1998: «... se il comune, avendo il contribuente dichiarato un valore inferiore a quello prefissato, intende accertare un maggior valore, l'accertamento deve essere motivato facendo riferimento ai valori di mercato e, quindi, può ben condurre alla determinazione di valori diversi da quelli indicati nel regolamento.». Dallo stretto tenore letterale del documento pare di dover dare risposta negativa all'interrogativo anzi posto: se il contribuente dichiara meno del limite deliberato dal Comune, quest'ultimo può procedere a verifica senza alcuna limitazione nel valore (quindi 150): poiché il contribuente non si è adeguato non opera il meccanismo di autolimitazione previsto dall'articolo 59 del Dlgs 446/1997. Ovviamente, come in ogni accertamento, è necessario che il valore accertato sia adeguatamente documentato. In altre parole, il limite vale solo nel caso di adeguamento spontaneo da parte del contribuente e non anche nel caso in cui il contribuente decida di dichiarare un valore inferiore e sia successivamente l'ente a contestare un importo superiore. UNITELNews24 n. 16 78 La disciplina in oggetto potrebbe essere assimilata a una sorta di concordato preventivo sul valore dell'area: se il contribuente si adegua al valore del Comune tombalizza il valore attribuito all'area, se al contrario decide di non avvalersene non ottiene nessuna conseguenza diretta in termini di accertamento (ossia nessun accertamento automatico sul valore tabellare), ma non può avvalersi della delibera autolimitante del Comune, il quale è libero di compiere qualsiasi verifica di valore. Se così fosse, ciascun contribuente dovrebbe pensarci bene prima di discostarsi (in diminuzione) dai valori deliberati. La questione pare meritevole di un chiarimento ufficiale. AREE DI ESPANSIONE Valorizzazione. Nella sentenza 23 luglio 2008 n. 20256 viene affrontato il tema delle aree edificabili destinate in parte a essere utilizzate a scopo edificatorio e in parte a essere destinate a zone verdi. Pare interessante riportare uno stralcio di tale pronuncia: «... le aree in questione devono essere considerate nel loro complesso, prescindendo dalla destinazione che ciascuna porzione di essa in concreto avrà dopo la realizzazione del processo edificatorio, solo all'esito del quale potranno distinguersi i fabbricati dal resto. Tuttavia, pur doverosamente prescindendo dalla edificazione, nella specie inesistente, ovvero da un concreto progetto di edificazione, ancorché inattuato (e dalle sue previsioni), non può in linea di principio negarsi che il differente livello di edificabilità di un'area (o delle parti che la compongono), astrattamente considerato, incida sul valore venale in comune commercio della medesima e perciò, in tali termini, non si può ritenere scorretta una determinazione del «valore venale in comune commercio» di un'area fabbricabile che tenga conto dei diversi livelli di edificabilità delle parti che la compongono, fermo restando che la valutazione dell'area medesima deve essere effettuata secondo il criterio del valore commerciale complessivo (pur tenendo conto dei differenti livelli di edificabilità delle parti che irritualmente la compongano) e non attraverso la sommatoria del valore commerciale di sue eventuali segmentazioni individuate in funzione della loro specifica edificabilità.». In particolare preme osservare come in relazione alla quantificazione del valore della parte destinata ad area verde i giudici di legittimità osservino che «... ove si fosse correttamente considerato il valore venale in comune commercio dell'area nel suo complesso, esso avrebbe già tenuto conto anche dei differenti livelli di edificabilità delle varie parti della medesima, rendendo la successiva sottrazione della somma di L. 40.000.000 un'indebita duplicazione.». Tali considerazioni sono particolarmente utili quando si tratta di quantificare delle aree di espansione, all'interno delle quali esiste certamente una frazione che non potrà essere edificata in quanto destinata a servizi: in base al ragionamento che precede, se la valorizzazione del comparto viene fatta considerando l'esistenza di tali porzioni di terreno, non si deve procedere ad alcuno scomputo, poiché la valorizzazione complessiva terrà già conto di tale vincolo. In altre parole, considerando ad esempio un comparto di 10.000 metri quadrati di terreno di cui 2.000 saranno destinati a standard, se il valore corretto al metro quadrato viene ritenuto 100 per il fatto che vi sono 2.000 metri quadrati non utilizzabili, allora tale valore unitario deve necessariamente essere utilizzato per la valutazione dell'intera superficie del comparto di 10.000 metri quadrati. Peraltro tale pronuncia conferma ulteriormente, se ce ne fosse bisogno, che la chiara linea interpretativa della Cassazione è quella secondo la quale vincoli all'edificabilità non incidono sulla qualificazione dell'area (che rimane comunque edificabile), ma piuttosto sono idonei a incidere sulla relativa valorizzazione. MODIFICHE AL PRG Comunicazioni ai contribuenti. Va ricordata una significativa (ma poco reclamizzata) disposizione introdotta dalla Finanziaria 2003 (legge 289/2002): il Legislatore ha previsto un importante adempimento a carico dei Comuni consistente nell'obbligo di notifica in relazione ai terreni che siano divenuti edificabili per varianti allo strumento urbanistico: l'obiettivo è diretto a evitare i disagi cui sono incorsi quei contribuenti che si sono visti notificare avvisi di accertamento per un'area edificabile che non ritenevano essere tale. L'obbligo a carico dei Comuni sussiste solo per i terreni che abbiano cambiato la loro destinazione urbanistica a far data dal 1° gennaio 2003 (entrata in vigore del provvedimento istitutivo dell'onere a carico dell'ente locale. Sull'obbligo di notifica dell'intervenuta edificabilità di un'area occorre riflettere sul coordinamento con il concetto di area edificabile introdotto dall'articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006. L'area deve considerarsi edificabile già a decorrere dalla data di adozione comunale dello strumento urbanistico. Pertanto occorre concludere che nel caso in cui siano intervenute variazioni al Prg la cui data di adozione sia UNITELNews24 n. 16 79 precedente al 1° gennaio 2003 non sarà necessario effettuare alcuna comunicazione ai titolari delle aree, indipendentemente dal fatto che l'approvazione risulti essere successiva a tale data spartiacque. UNITELNews24 n. 16 80