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Una piccola Toscana
Dal 4 al 22 agosto 2016 (dal 13 al 20 giugno 2014)
di Carlo Camarotto
Presentazione
Nel 1920 una delle sorelle di mio nonno partì con mille speranze dall’Italia per ricrearsi una nuova
vita in Francia, speranze che furono, almeno per la maggior parte, realizzate. Da lì in poi, fino al
1936, la seguirono cinque dei suoi sette fratelli, più i genitori. Dell’intera famiglia solo due non
emigrarono, una sorella che scelse una via di mezzo e si trasferì a Genova e mio nonno, cui un
animo vagabondo impose scelte diverse, meno convenzionali: visse e lavorò in Svizzera, in Belgio,
in Germania, per un po’ anche in Francia, poi scoppiò la guerra e, dopo un periodo di galera nel
paese transalpino, non si sa bene se come disertore o prigioniero, ritornò nella sua terra natia, dove
si sposò ed ebbe due figlie, di cui la maggiore fu mia madre. Da parte paterna, quindi, tutti i parenti
di mia madre, i nonni e gli zii, vissero in Francia, a pochi chilometri gli uni dagli altri, in un lembo
di terra fatto di leggeri colli sinuosi dove il suolo era fertile, facile da coltivare, in abbondanza e
dove il clima mite permetteva la crescita di quei frutti e di quegli ortaggi che già coltivavano in
Italia. Una vera terra promessa che attirò molte altre famiglie italiane e in breve gli emigrati
cominciarono a sposarsi tra loro dando vita a una nuova generazione, i cugini “francesi” di mia
madre.
Mio nonno era un tipo impetuoso e decisamente autoritario, tanto che crebbe le sue figlie più con il
bastone che con la carota. Ma quando era in Francia a trovare i familiari, svariate volte tra la fine
degli anni ‘50 e i primi anni ‘60, si prendeva una pausa educativa e lasciava una maggiore
autonomia alle figlie. Le estati adolescenziali francesi di mia madre coincisero con un senso di
libertà mai provato in Italia. Ecco spiegato come mai ho sempre visto il volto di mia madre
distendersi in un sorriso non appena sentiva parlare francese oppure suonare la Marsigliese o Le vie
en rose. Il solo pensiero della Francia le portava alla mente ricordi di avventure proibite, di vivide
emozioni, di spensierata vitalità giovanile. Abbiamo tutti bisogno di possedere un duraturo pensiero
felice a cui aggrapparci nei momenti difficili, un salvagente per sostenersi negli agitati flutti della
vita: per mia madre quel “pensiero” era la Francia.
Per il suo settantesimo anno di vita ho deciso di farle il regalo che sapevo l’avrebbe fatta più
contenta: un viaggio in Francia per riabbracciare i cugini ancora in vita, da fare in aereo, tanto per
esaudire un altro dei suoi tanti desideri ancora irrealizzati. Due anni dopo ho affittato per due
settimane una casa a pochi passi dai cugini e in Francia ce l’ho portata in macchina. Quello che
segue è il diario confuso di quei due viaggi, principalmente focalizzato sul secondo, ma con varie
contaminazioni del primo.
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TAPPA 1
Dal 4 al 6 agosto 2016 (13 giugno 2014)
Viaggio d'andata
Giovedì 4 agosto 2016
Busalla
Al momento di salire in macchina nel mio animo si mescolano le emozioni per le imminenti
scoperte, le tensioni per la vita lavorativa abbandonata da poco troppo tempo e un po’ di timori per
l’ignoto che si andrà ad affrontare. Quello che un po’ più mi preoccupa è il lungo tragitto in
macchina che ci porterà a macinare in tre giorni oltre 1300 chilometri. Le bambine sono
visivamente emozionate, ignare della noia che sicuramente le ghermirà nei prossimi tre giorni,
mentre Caterina è piuttosto rilassata, avendo già sulle spalle più di un mese di ferie (bello essere un
professore). Eccitazioni e timori si mescolano anche nell’animo di mio nipote, pre-adolescente alla
prima vera esperienza di viaggio (prima volta all’estero), in mia sorella, anch’essa poco avvezza a
partire alla scoperta del mondo, e nei miei genitori. Loro quattro sono stipati nella seconda
macchina, più piccola della nostra, ma più carica di valigie. È con questa piccola carovana di mezzi,
animi e bagagli che partiamo alla volta di Genova, o meglio di Busalla, dove incontrare i
discendenti di una sorella di mio nonno, quella che aveva sì deciso di emigrare, ma lo aveva fatto
rimanendo in suolo italiano. L’idea di base dell’intero viaggio è quella di permettere alla terza e
quarta generazione, rispettivamente quella di mia madre e la mia (partendo dalla prima generazione
dei comuni bisnonni), di rivedersi dopo molti anni e alla quinta, quella dei miei figli, di conoscersi
per la prima volta. Il primo filo di un legame che si spera possa essere ingrossato in futuro. Ma a
margine di tutti gli incontri che ci aspetteranno, ci sarà anche la possibilità di scoprire luoghi mai
visitati, in quella che mi immagino sarà un’autentica esperienza di viaggio.
Busalla, piccola cittadina dell’entroterra genovese nell’alta valle Scrivia, rappresenta un po’ tutto
quello che non mi è mai piaciuto della Liguria, terra dove ho trascorso quasi sei mesi di militare. In
quella esperienza ho sempre sofferto di uno strano senso di claustrofobia, dovuto al deciso
sovrappopolamento ligure, in cui si vive stretti in un abbraccio comunitario da togliere il fiato.
Troppe costruzioni, generalmente poco curate, cinte da strade strette e impervie. Lì vi vive la cugina
di mia madre, mentre sua figlia ha una bella casa a Carpeneta, una piccola frazione di Casella che
conta meno di un centinaio di abitanti. Carpeneta se ne sta arroccata su un versante di un colle a
circa cinquecento metri d’altitudine e per raggiungerla si devono percorrere stradine impervie,
strettissime e dalla pendenza proibitiva, ma l’aria che si respira è più fresca e ventilata rispetto al
fondovalle, con una atmosfera da vera montagna. Purtroppo le case sorgono le une appressate alle
altre e le strade sono davvero pessime, come se non si fossero adeguate allo scorrere del tempo e
fossero ancora quelle di quando ci si spostava a dorso di mulo.
Per la notte alloggiamo all’Albergo Birra, un albergo in prossimità dell’uscita autostradale di
Busalla ospitato in un palazzo liberty ancora accuratamente decorato. È un albergo che odora di
storia, in cui si respira un’atmosfera di fine ‘800 che fa compiere un balzo nel passato, senza però
rinunciare a tutti i comfort dell’era moderna. Le scale di marmo logore e in alcuni punti spezzate dal
tanto calpestio, le ringhiere in ferro battuto, i soffitti altissimi, le immagini belle époque delle tante
bottiglie di birra Busalla lasciate in cestini di vimini un po’ ovunque. L’antica birreria Busalla,
attiva fin dal 1906, è proprio lì di fianco all’albergo, come anche il piccolo pub in cui poter gustare
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la birra a chilometri zero. Il piccolo contesto è piacevole, anche se con il grave inconveniente che
tra albergo, pub e birrificio il parcheggio interno risulta sotto dimensionato. Per i clienti
dell’albergo si adopera alacremente il gestore dello stesso, che si fa lasciare giù le chiavi in
reception e sposta macchine per tutto il pomeriggio, incastrandole sotto un porticato stretto stretto
con un’invidiabile precisione.
Il nostro arrivo è un evento da celebrare con una lauta cena a base di specialità tipiche liguri, come
cuculli (frittelle di farina di ceci), pansoti, pasta al pesto, coniglio alla ligure, vari affettati, eccetera.
Tutti seduti intorno a un tavolo a chiacchierare, nel modo più consono a un italiano di riallacciare
vecchi rapporti o intrecciarne di nuovi. Tradizione comune che amo particolarmente. Ed è così, con
la pancia piena fino a quasi a scoppiare, che si conclude il nostro primo bel giorno di viaggio.
Note
Albergo Birra (Loc. Birra 3a, 16010 Savignone): voto 8
Ristorante Chiara (Via Carlo Garre’ 14, 16010 Savignone): voto 7. Pietanze abbondanti e
discretamente saporite (non eccelse, comunque). Locale un po’ troppo chiassoso.
Venerdì 5 agosto 2016
Avignone
Al risveglio il cielo grigio stende una lieve aria cupa sulla località Birra, ma quando riusciamo a
ricaricare le macchine, intorno le nove e mezza, un timido sole comincia già ad apparire dietro le
nuvole.
Dopo svariati chilometri le bambine sopportano ancora bene il tedio del viaggio e tra dormite e
sguardi persi arrivano in Francia senza un lamento. Il paesaggio ai lati dell’autostrada non cambia
molto tra la parte francese e la riviera ligure, almeno finché non ci spostiamo verso l’interno appena
dopo Cannes. Il paesaggio si fa ancora più arido e alcune affascinanti conformazioni rocciose
portano alla mente l’Arizona. In Francia le case si concentrano in agglomerati urbani piuttosto vasti,
ma che tra loro interpongono zone quasi completamente prive di costruzioni. Corriamo a tratti in
valli dove l’unica opera umana riconoscibile è l’autostrada stessa. Difficile in tali frangenti credere
di essere in Europa.
Superiamo velocemente la Costa Azzurra e, lasciando Marsiglia a sud, puntiamo il muso verso
Avignone, la nostra meta odierna. La stanchezza a questo punto si fa sentire per tutti, in particolar
modo per le bambine che non ne possono più di stare in macchina, ed è un vero sollievo fermarsi
nell’ampio parcheggio di Rue Martin Luther King, nei pressi dell’Ibis Budget Hotel. Siamo a un
passo dalle rive del Rodano, appena fuori dalle mura della città vecchia, una cinta di bastioni in
pietra perfettamente conservata lunga oltre quattro chilometri, fatta costruire nel XIV secolo quando
in città fu trasferita la Santa Sede. In tale periodo Avignone si arricchì, oltre che delle mura, anche
di numerose opere d’arte e di meravigliosi edifici, il più grandioso dei quali è il medievale Palazzo
dei Papi, residenza fortificata del pontefice. Anche dopo il ritorno a Roma della Santa Sede nel
1377, Avignone rimase sotto il controllo papale fino al 1791, quando fu annessa alla Francia.
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Il tempo di sistemarsi in albergo e siamo subito in cammino lungo il passeggio alla base delle mura.
Un vento sostenuto spira vigoroso e per sfuggirgli entriamo presto nella città vecchia passando per
la prima piccola porta che si apre nei bastioni. Strette vie dal fascino antico ci portano fino alla
pedonale Place de L´Horloge, ricca di artisti di strada, tavolini di ristoranti per turisti e una grande
giostra di cavallini per bambini. Il Palazzo dei Papi è lì vicino, appena oltre una strettoia tra due
case che permette che la visione dell’enorme facciata avvenga solo all’ultimo momento, in un
istante di meraviglia. Il Palazzo dei Papi è il più grande palazzo gotico del mondo, fatto erigere nel
1309 da Papa Clemente V e rimasto sede del potere pontificio per circa settant’anni. Le sue
dimensioni colossali attestano la munificenza del papato, mentre le mura spesse tre metri, le
saracinesche e le torrette di guardia ne sottolineano le necessità difensive. È diviso in una parte più
antica dell’inizio del 1300 e una parte più recente della metà del 1300. Pur essendo così poco
distanziate nel tempo, le due parti sono facilmente distinguibili per una diversa architettura, cupa e
solida la prima, più ariosa e slanciata la seconda. La maestosa facciata che si impone su Place du
Palais, e da cui si accede all’ingresso, fa parte della costruzione più recente, voluta da Papa
Clemente VI. Il palazzo è completamente spoglio, ma alcune stanze conservano splendidi affreschi
alle pareti e la grandiosità di altri ambienti trasmette intatta la sontuosità di questa splendida dimora
papale. Il chiostro della parte vecchia, con l’erba verde accuratamente tagliata nel centro, è un luogo
dove regna una rigenerante pace ombrosa, mentre le stanze del tesoro, nascoste ai piani più bassi del
palazzo, hanno un fascino nascosto e proibito. Infine la vista dalla torre sul Rodano e sulla città
dona un respiro di ampi orizzonti, immortalando splendide visioni di questa regione provenzale di
indubbia bellezza.
A nord del palazzo una strada pedonale in salita conduce ai giardini Rocher des Doms (Jardins des
Doms), da cui si possono ammirare altre visioni del Rodano e del ponte spezzato di Saint Bénezet,
completato per la prima volta nel 1185 per collegare Avignone con la contrapposta Villeneuve-lèsAvignon. Del ponte non rimangono che quattro arcate a partire dalla riva meridionale, il resto fu
spazzato via da una piena del fiume verso la metà del XVII secolo. È da lassù che ci godiamo uno
splendido tramonto, respirando a pieni polmoni la freschezza di queste poche ore alla scoperta della
bella città di Avignone. Un tempo breve, ma intenso e piacevole. Rigenerante.
Note
Le autostrade francesi sono generalmente piuttosto care, ma il primo tratto dal confine italiano lo è
in modo particolare. Il gpl (a self-service) è anch’esso ben più caro che in Italia, mentre la benzina è
leggermente più economica.
Palazzo dei Papi: ingresso 11 €, ridotto 9 € (giovani e anziani), gratuito sotto i 12 anni. Audioguida
2 €.
Ibis Budget Hotel (Boulevard Saint Dominique 8, 84000 Avignone): voto 7,5. Giovanile, ma
impersonale. Camere comunque pulite e funzionali. Buon rapporto qualità/prezzo.
Restaurant La Grille (Place de L´Horloge, 84000 Avignone): voto 3. Trappola per turisti. Piatti
miseri e servizio scortese. Statene lontani.
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Sabato 6 agosto 2016
Arrivo alla gîte rural
Samedì noir per il traffico in Francia. Ce ne accorgiamo non appena imbocchiamo l’autostrada per
Montpellier: oltre quaranta minuti fermi alla prima barriera, poi in colonna perenne a causa di un
incidente. Dopo un paio d’ore e appena cento chilometri percorsi, decidiamo di uscire
dall’autostrada e imboccare strade normali per tagliare di netto il congestionato nodo autostradale di
Narbonne. Percorrere le strade che da Béziers portano fino a Carcassonne ci permette di osservare
più da vicino il Languedoc, fatto di terre bruciate dal sole punteggiate di borghi medioevali
arroccati su basse colline rocciose. È un piacere andare su e giù per le strade collinose tra campi di
granoturco e vite, con un bel sole a evidenziare forme e colori tipicamente mediterranei. I circa
ottanta chilometri di strade normali scorrono quindi piacevoli, anche se l’idea della lontananza della
nostra meta persiste, gettando una lieve ombra sul nostro umore.
Di Carcassonne, splendida cittadina medioevale cinta da fiabeschi bastioni e resa celebre
dall’omonimo gioco da tavolo, riusciamo a scorgere solo le belle fattezze da un punto panoramico
in un’area di sosta sull’autostrada, che riprendiamo in direzione di Tolosa. Il tempo continua a
essere soleggiato, caldo e molto ventoso e la stanchezza ormai inizia a fare presa su tutti, con le
bambine che non ne possono davvero più di stare inchiodate ai seggiolini.
A destinazione ci arriviamo esausti poco dopo le sei di sera, dopo oltre nove ore dalla partenza. La
gîte rural che abbiamo affittato per due settimane è adagiata tra colli lievemente ondulati coltivati a
girasole, granoturco e sorgo, con qualche borgo di case in pietra a circondare l’immancabile
chiesetta gotica: il Pais du Dropt, la regione a nord-ovest del Lot et Garonne, dove vivono i più cari
parenti di mia madre. Arrivarci è un balzo in un ambiente bucolico e rurale che permette ampie
visuali e respiri. Pochissime case punteggiano il paesaggio e il traffico è praticamente inesistente,
tanto d’avere l’impressione di essere le uniche persone in movimento in un quadro armonioso e
pacifico. La gîte è il retro della casa di una coppia di agricoltori: ampia, con sei stanze da letto e tre
bagni, arredata con mobilio lievemente datato. Odora un po’ di vecchio, ma l’ambiente che la
circonda è speciale, con un ampio giardino che permette allo sguardo di scendere oltre un campo di
granoturco e un arboreto di prugne fino alle chiome scure di un bosco di querce. A pochi passi c’è
un laghetto neanche troppo piccolo dove è possibile pescare e, passeggiando ai margini del bosco, è
possibile intravedere cervi e caprioli che vi si aggirano furtivi. I rumori umani sono banditi da
questo splendido angolo di mondo e l’animo può così riappacificarsi con una natura bucolica
quanto mai viva.
Questo sarà il nostro rifugio per le prossime due settimane.
Note
Il nodo autostradale di Narbonne, dove si uniscono la A9 che unisce Montpellier al confine
spagnolo e la A61 proveniente da Bordeaux (e che passa per Tolosa), è di norma molto
congestionato. Vivamente sconsigliato affrontarlo di sabato (soprattutto un sabato d’agosto).
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Gîte Toupinerie Bas (Montignac-Toupinerie - Lot et Garonne): voto 9. Non proprio economica,
ma in grado di ospitare fino a undici persone. La struttura è funzionale, anche se un po’ datata, ed è
posizionata al centro delle campagne del Pays du Dropt in un contesto bucolicamente divino.
Venerdì 13 giugno 2014
Aquitania
Due ampi respiri per lasciar scivolar via il nervosismo che mi attanaglia le vene, un po’ per
l’imminente partenza dell’aereo che sta rollando in pista, un po’ per le ultime due ore passate a
cercare di gestire una bambina di tre anni in preda a uno stato lamentoso illogico e non consono.
Sei, dico sei, motivi diversi per frignare, con il culmine ai controlli dove si è rifiutata di consegnare
la borsetta nuova appena regalata dalla nonna. Urla, pianti, lacrime, in una coda sempre più
incuriosita e forse un po’ indispettita. Se il viaggio inizia così, ho pensato, siamo messi male.
Invece, non appena l’aereo ha preso quota, tutto si è tranquillizzato. Cecilia ha smesso di lamentarsi
e ha iniziato a guardare fuori dal finestrino sempre più entusiasta, leggera ed effervescente. Per
un’ora e mezza ha cantato felice di quanto fosse bello volare, emozionata a ogni nuvola e a ogni
scorcio di terra lì sotto. Il viaggio era iniziato per lei, e non solo per lei. Mia madre stava andando in
Francia e questo era sufficiente a renderla felice. Al suo primo volo pareva ben più navigata: “Mi
pare di aver sempre volato”. Le paure di mio padre poi erano ben nascoste, coperte da un perenne
sorriso e da quella maschera di contegno che indossa da sempre, probabilmente da quando è nato. Io
e Cate eravamo di nuovo in movimento, la prima volta da quando abbiamo messo al mondo le due
stupende creature che tanto ci fanno dannare quando ci riempiono di gioia la vita. E anche questo
era sufficiente a renderci più leggeri e pronti ad assaporare l’attimo.
L’Aquitania è verde, un verde che ti ammalia già dal finestrino dell’aereo, per poi catturarti e farti
suo una volta giunto a terra. La densità dei francesi è mediamente poco più di un terzo di quella
degli italiani, ma molti di loro sono addensati nei pressi di Parigi, quindi in Aquitania questa
proporzione è ancora più a loro favore. In Pianura Padana siamo francamente troppi e per di più
abbiamo costruito in ogni dove, ben al di sopra delle nostre effettive esigenze. Nei dintorni di
Bordeaux le persone sono poche, disperse, e non hanno costruito più del dovuto. Il resto è verde,
che sia dei campi coltivati, dei boschi oppure dei giardini fioriti poco importa. È un impatto di
naturalità che allieta, alleggerisce l’animo, ti riappacifica con il mondo.
A parte la circonvallazione esterna di Bordeaux che, all’ora di punta del tardo pomeriggio, è
stracolma di macchine, già sull’autostrada verso sud-est in direzione Tolosa il viaggio si fa più
solitario, più personale. La strada dritta e la poca presenza di macchine permette a tutti di osservare
il paesaggio e di godere della sua armoniosità. La fanno da padrone le vigne, con i frutti verdi
appena abbozzati sui rami, o i campi di girasoli e grano, ma ci sono anche ettari e ettari di boschi a
circondare i borghi medioevali che si intravedono sui colli lontani ai lati dell’autostrada. Questa è
terra di bastides, cittadine fortificate del XIII e XIV secolo che, diversamente dalla tipica città
medioevale con vicoli stretti e tortuosi, erano realizzate a pianta quadrata o rettangolare ed erano
attraversate da strade ampie e dritte (le charretieres) che si intersecavano secondo uno schema a
griglia. Molte sono le cittadine che hanno mantenuto inalterato questo schema, con ancora molti
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edifici dell’epoca a impreziosire la piazza centrale o le strade per accedervi. Sarà nostra cura
visitarne alcune delle più belle.
Correndo rapidi non ci mettiamo molto a giungere a destinazione, anche se il sole ancora alto ci
imbroglia sulla reale ora di arrivo. In Aquitania l’ora è la stessa che in Italia ma, stando molto più a
ovest, praticamente al di là di Greenwich, il sole viaggia un bel po’ in ritardo rispetto quanto siamo
abituati. Sono già passate le sette di sera e il sole è ancora alto nel cielo, per nulla indebolito
dall’incedere della sera.
Dall’Italia ho prenotato da dormire in una chambres d’hôtes, il termine francese per indicare una
sorta di bed & breakfast, ospitato in una stupenda casa restaurata del XVIII secolo. L’interno de La
Roseraie è stato sapientemente arredato con un gusto che mescola antico e moderno in un connubio
affascinante. La visione sui campi offerta dalle finestre delle camere è poi quanto mai rigenerante.
La casa dei cugini di mia madre è nemmeno a un chilometro di distanza. Un buon posto dove
passare i prossimi cinque giorni.
Note
Chambres d’hôtes La Roseraie (Peyriere - Lot et Garonne): voto 9,5. I soffitti altissimi, i solai di
legno che cigolano al passaggio, le anguste scale a chiocciola che collegano gli ampi e luminosi
corridoi centrali. Tutto odora meravigliosamente di storia. Splendidamente arredata.
--------------------------------------------------------------------------------------------Racconto di viaggio creato Domenica 11 dicembre 2016
e pubblicato nella sezione viaggi all’indirizzo internet
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