Luoghi ritrovati. La "Collezione I di disegni e mappe" dell`Archivio di

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Luoghi ritrovati. La "Collezione I di disegni e mappe" dell`Archivio di
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STRUMENTI
CC
LUOGHI RITROVATI
LA COLLEZIONE I DI DISEGNI E MAPPE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (SECOLI XVI-XIX)
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO
DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI
ROMA
2014
LUOGHI RITROVATI
LA COLLEZIONE I DI DISEGNI E MAPPE
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (SECOLI XVI - XIX)
Inventario a cura di
DANIELA SINISI
PUBBLICAZIONI DEGLI ARCHIVI DI STATO
CC
STRUMENTI CC
LUOGHI RITROVATI
STRUMENTI
LA COLLEZIONE I DI DISEGNI E MAPPE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (SECOLI XVI-XIX)
ISBN 978-88-7125-341-1
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Luoghi ritrovati
La Collezione I di disegni e mappe dell’Archivio di Stato di Roma
(secoli XVI - XIX)
Inventario a cura di
DANIELA SINISI
ROMA
2014
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO
DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI
2014
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A Paolo, Francesca e Laura
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PUBBLICAZIONI DEGLI ARCHIVI DI STATO
STRUMENTI CC
Luoghi ritrovati
La Collezione I di disegni e mappe dell’Archivio di Stato di Roma
(secoli XVI - XIX)
Inventario a cura di
DANIELA SINISI
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO
DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI
2014
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DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI
Servizio III - Studi e ricerca
Direttore generale per gli archivi: Rossana Rummo
Direttore del Servizio III: Mauro Tosti Croce
Cura redazionale: Serena Dainotto
© 2014 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
Direzione generale per gli archivi
ISBN 978-88-7125-341-1
Vendita: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - Libreria dello Stato
Piazza Verdi 10, 00198 Roma - [email protected]
Stampa: Mura S.r.l.
via Palestro 34 - 00185 Roma
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S OM MAR I O
PRESENTAZIONI
Mauro Tosti Croce
VII
Eugenio Lo Sardo
IX
SAGGI
DANIELA SINISI, Per una storia della Collezione di disegni e mappe
ORIETTA VERDI, Restauro, conservazione, riproduzione digitale, delle
piante e dei disegni
PAOLO BUONORA, Fiumi di carta
SUSANNA PASSIGLI - ADRIANO RUGGERI, Piante cinque e seicentesche
dell’Agro Romano conservate nella Collezione di disegni e mappe
LUIGIA ATTILIA, I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e
mappe: documenti per la tutela e la conservazione delle “antichità
e belle arti”
MARIA GRAZIA BRANCHETTI, Stampe artistiche e cartografia della
Collezione I di disegni e mappe
3
31
39
55
137
159
BIBLIOGRAFIA
a cura di SERENA DAINOTTO
179
INDICI
a cura di SERENA DAINOTTO
Indice dei nomi di persona e degli enti
Indice dei luoghi
203
213
In allegato: DVD contenente l’Inventario in formato Access e gli
Indici dei nomi di persona e dei luoghi
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VI
Credits
Abbreviazioni e Indici dei nomi e dei luoghi: Serena Dainotto
DVD - Progetto informatico: Salvatore Miele
Inventario: Daniela Sinisi
Elaborazione schede per l’inventario: Rachele Brumat, Margherita Desideri, Valentina
D’Innocenzi, Daniela Martino, Monica Meccoli, Giovanna Montani, Francesco Russo,
Luca Saletti
Elaborazione schede per il restauro: Maria Cristina Dioguardi con la collaborazione
di Luca Saletti e Francesco Russo
Indici: Valentina D’Innocenzi e Monica Meccoli (nomi di persona); Rachele Brumat
(nomi di luogo).
Riproduzioni digitali: Rachele Brumat e Luisa Salvatori con la collaborazione di Paola
Ferraris e Roberto Leggio
Apparati iconografici: Rachele Brumat
Si ringraziano
il personale dell’Archivio di Stato di Roma, che ha partecipato con impegno alle varie
fasi del lavoro: Simonetta Ceglie, Stefania Cristiani, Maria Cristina Dioguardi, Maria
Pia Fossi, Maria Idria Gurgo, Antonella Parisi, Vincenza Pizziconi, Luisa Salvatori; ed
inoltre Annapia Bidolli, Patrizia Ferrara, Luigi Londei, Maria Grazia Pastura, Mauro
Tosti Croce, per aver sostenuto la realizzazione del progetto; un ringraziamento particolare a Maria Grazia Branchetti, Serena Dainotto, Luisa Falchi, Marina Morena,
Gemma Pusceddu, Carlo M. Travaglini, Orietta Verdi, per il loro fattivo contributo di
idee e di “opere”; infine un grazie di cuore a Salvatore Miele per la pazienza, l’intelligenza e la professionalità con cui ha elaborato il programma per la schedatura e
l’indicizzazione delle 3750 unità che compongono la Collezione I di disegni e mappe.
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Nell’ambito delle collane editoriali della Direzione generale per gli
archivi già da tempo occupano un posto significativo i volumi dedicati
alla descrizione delle fonti cartografiche presenti in molti Archivi di Stato.
Tra i titoli pubblicati si possono almeno citare: La Toscana dei Lorena
nelle mappe dell’Archivio di Stato di Praga. Memorie ed immagini di un
granducato. Catalogo e mostra documentaria, Firenze 31 maggio - 31
luglio 1991, Roma 1991; I disegni degli ingegneri della Camera di
Soprintendenza comunitativa di Pisa, a cura di C. Caciagli e R. Castiglia.
Roma 2001 (Strumenti CLI); In presentia mei notarii. Piante e disegni nei
protocolli dei notai capitolini, 1605-1875. Repertorio, a cura di O. Verdi,
Roma 2009 (Strumenti CLXXXVII); Carte di terra per una Repubblica di
mare. Saggi introduttivi all’inventario on line dei fondi cartografici, a
cura di P. Caroli e S. Gardini, Roma 2012 (Strumenti CXCIII).
Tali volumi, soprattutto i più recenti, costituiscono il coronamento di
campagne di digitalizzazione intraprese per tempo dagli Archivi di Stato
in questo specifico settore. Non a caso alcune pubblicazioni, come peraltro quella che qui si presenta, recano un cd contenente la banca dati realizzata e che documenta con esaustività il fondo conservato.
Come già era stato sottolineato più di 30 anni fa a proposito di una
mostra dedicata a «Le mappe e i disegni dell’Archivio Gonzaga di
Mantova» e ribadito più di recente da Costantino Caciagli nel volume I
disegni degli ingegneri della Camera di Soprintendenza comunitativa di
Pisa, è opinione diffusa che l’iconografia non consenta di per sé un’analisi esauriente dei fatti storici che divengono comprensibili solo nel rapporto con la documentazione tradizionale.
Il documento cartografico non è dunque pienamente leggibile se non
nel suo nesso con le altre carte alle quali è unito tramite il vincolo archivistico. Ciò impone di evitare, come a volte si è verificato in passato, che
la documentazione cartografica venga ad essere artificiosamente estratta
dal suo contesto archivistico e analizzata in sé e per sé. Non si deve dunque considerarla come una galleria di belle immagini da godere da un
punto di vista puramente estetico, perché comprendere un territorio significa soprattutto ricostruire il processo che ha portato a darne una rappresentazione grafica.
Ugualmente importante è il modo in cui è stato rappresentato sulla
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VIII
Mauro Tosti Croce
carta quel determinato territorio: «nell’interpretazione delle motivazioni
che hanno spinto l’estensore della mappa antica a dare risalto a certi
dati, omettendone altri, nella comparazione delle ottiche attraverso le
quali un territorio o un oggetto è stato disegnato (…) si è in grado di
capire il significato delle alterazioni (…) di interpretare anche figurativamente le stratificazioni del mondo reale, di percepirne (…) il ritmo
degli incrementi e delle rielaborazioni» (R. Navarrini, Le mappe e i disegni dell’Archivio Gonzaga di Mantova. Mostra cartografica a cura
dell’Archivio di Stato di Mantova, in «Rassegna degli Archivi di Stato, XLI,
1981, pp. 142-144).
L’interesse della Direzione generale per questa documentazione
emerge anche dal fatto che nel 2011 è stato creato un Portale dei territori
che nasce come area tematica del Sistema Archivistico Nazionale (SAN) e
con l’intento di creare un canale di accesso unificato alla documentazione catastale e cartografica, presente sul web. Finora infatti gli Archivi di
Stato impiegavano applicativi di volta in volta diversi che hanno impedito
all’utente di effettuare un’interrogazione trasversale in grado di mettere
in contatto dati cartografici e catastali provenienti da più Istituti archivistici. Il Portale consente invece di accedere via web, contemporaneamente, alla documentazione catastale e cartografica conservata negli
Archivi di Stato di Genova, La Spezia, Milano, Trieste e Venezia, a cui si
aggiungeranno in prospettiva, anche altri istituti in modo da creare una
rete a livello nazionale che possa consentire a un utente, anche da remoto, di consultare e visualizzare attraverso un unico canale di accesso il
grande patrimonio cartografico posseduto dai nostri Istituti.
Nel licenziare il volume vorrei esprimere il mio più sincero ringraziamento a Daniela Sinisi che, pur essendo ormai in quiescenza, ha voluto
condurre in porto questo monumentale lavoro che consente di accedere
a un fondo cartografico tra i più ricchi, rimasto finora privo di strumento
di corredo.
MAURO TOSTI CROCE
Direttore del Servizio Studi e Ricerche
Direzione generale per gli archivi
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Sono immagini che emergono dal lavoro, a volta ingenue, a volta di
altissimo livello, unite in una raccolta senza un filo conduttore, solo per
evitare i furti e le dispersioni, dovuti all’attrazione sconsiderata per l’icona, quel suo suscitare l’inconscio desiderio di possedere un feticcio (i
colori!), al di là e al di sopra del valore venale dell’oggetto. È un fascino
che va oltre la mercificazione ed assume presso chi ne è schiavo e a spese
di chi deve conservare, un senso quasi magico, in cui si invertono realtà
e significante.
Vi cogliamo attimi della vita quotidiana delle campagne romane,
con i pastori vicini alle loro lestre, il colore giallo delle messi, il sonno che
coglie nei caldi giorni della mietitura. Chi ha disegnato una mappa con
confini e strade non ha resistito alla tentazione di riportare un frammento della vita osservata. Una nota iconografica utile a far capire il destino
di quel luogo nella sua dimensione agricola o pastorale.
Altre volte il cartiglio solenne e i simboli delle professioni (architettiagrimensori-ingegneri) introducono il binomio scienza e potere.
L’autorità ha chiesto all’esperto una perizia precisa e inoppugnabile. È un
atto giuridico, valido a tutti gli effetti con la sua dichiarata veridicità,
corroborata da sigilli e sottoscrizioni.
Le “acque” sono le protagoniste più frequenti di questi disegni. È un
elemento difficile da contenere, pericoloso e mortale da un lato, benefico
e fertile dall’altro. Tormenta gli uomini, li spinge a combattere e li
costringe a contenerla nei mesi piovosi e a desiderarla nell’arsure delle
lunghe estati. Gli alvei si spostano, I fiumi esondano, i declivi franano, gli
acquitrini e i canali vanno ripuliti e curati con un costante intenso lavorio per rifare ponti, viadotti, strappare la vegetazione molesta, evitare i
ristagni dove alligna la malaria (di cui al tempo non si conoscevano le
cause). Il Tevere è il centro di tutte le attenzioni con i suoi porti cittadini
di Ripa e di Ripetta, il suo corso tormentoso e le sue piene distruttive. Ma
le acque sono anche quelle del mare, spazi infiniti per il commercio, ed
acqua salsa da cui trarre il prezioso sale, così raro in tante regioni del
globo. Ancona e Civitavecchia. Due ottimi porti, bisognosi però di costanti lavori e di fortificazioni imponenti per gli attacchi che vengono dal
mare, non solo quelli dei Barbareschi ma anche quelli degli eretici,
Olandesi ed Inglesi. A partire dalla seconda metà del Seicento saranno
queste potenze marinare le vere padrone del Mediterraneo. Decideranno
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X
Eugenio Lo Sardo
come e quando e con chi si commercia, forniranno le mense cattoliche
dei cibi necessari alla lunga quaresima ed esporteranno quei pochi
prodotti, come l’allume, indispensabili alle industrie dei paesi europei.
Non solo i nemici ma anche le epidemie giungono con le navi e le merci.
Ed ecco la risposta: i lazzaretti. Edifici complessi, moderni, isolati con
cura, e diretti da organismi ad hoc deputati, gli Uffici di Sanità marittima, uno dei primi interventi statali per la cura della salute pubblica.
Infine, in questo rapidissimo excursus le proprietà, i beni. Le ville, i casali,
le tenute, i palazzi in un’epoca pre-catastale (o ai suoi limiti) qui e lì si
producono platee illustrate con dovizia di particolari e precisione professionale.
Non mancano multiformi curiosità: macchine, schizzi architettonici,
strumenti musicali, resti archeologici, sempre però con una iconografia
più giuridica che artistica.
Tutto ciò che sfugge al linguaggio dello scultore o del pittore, ciò che
non deve prestarsi ad interpretazione, per la opinabilità dei sensi e dei
sentimenti, si può ritrovare in queste pagine descritto ed illustrato con la
scientificità e la passione che la collega Daniela Sinisi ha sempre profuso
nelle sue opere e nei suoi lavori.
EUGENIO LO SARDO
Direttore dell’Archivio di Stato di Roma
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TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI
AABBAA
=
ANTICHITÀ
AC
=
AUDITOR CAMERAE
ASC
=
ARCHIVIO STORICO CAPITOLINO
AS ROMA
=
=
ARCHIVIO
ASV
=
ARCHIVIO SEGRETO VATICANO
BAV
=
BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA
BNCR
=
BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE ROMA
DGA
=
DIREZIONE GENERALE
ICAR
=
ISTITUTO CENTRALE
PER GLI
ICCD
=
ISTITUTO CENTRALE
PER IL
ICCU
=
ISTITUTO CENTRALE PER IL CATALOGO UNICO DELLE BIBLIOTECHE
ITALIANE E PER LE INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE
IGM
=
ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE
ING
=
ISTITUTO NAZIONALE
RCA
=
REVERENDA CAMERA APOSTOLICA
SAN
=
SISTEMA ARCHIVISTICO NAZIONALE
SGI
=
SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA
SRSP
=
SOCIETÀ ROMANA
CDM
E
DI
BELLE ARTI
STATO
DI
ROMA
Collezione di Disegni e Mappe
DI
PER GLI
ARCHIVI
ARCHIVI
CATALOGO
DELLA
GRAFICA
STORIA PATRIA
E LA
DOCUMENTAZIONE
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1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:22 Pagina 1
SAGGI
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Topografia della pontificia città di Benevento umiliata alla santità D.N.S. Papa Pio Sesto
dai consoli della medesima, 1781 (AS ROMA, CDM, I, cart. 7, n. 21)
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DANIELA SINISI
Per una storia della Collezione di disegni e mappe*
Aristotele sosteneva che noi uomini “pensiamo per immagini”. Dunque già nell’antichità era sentita l’importanza, per conoscere meglio e
comunicare, di avere a disposizione carte, schemi e diagrammi; Anassimandro, del resto, nel 550 a.C. aveva dato pratica applicazione a tale
bisogno, creando l’Ecumene, la prima carta del mondo conosciuto.
Da allora si è sempre continuato a raffigurare con immagini simboliche porzioni piccole o grandi di territorio e l’esigenza di creare carte e
mappe si è andata affermando sempre di più, man mano che le conoscenze e la tecnica venivano ampliandosi.
Nei tempi più recenti, poi, è cresciuto in maniera esponenziale l’utilizzo ed anche l’apprezzamento da parte di un pubblico vasto, della cartografia in generale e pure della cartografia storica1, che sono divenuti
strumenti irrinunciabili di conoscenza.
Ai tempi d’oggi, anzi, tempi di diffusione a livello mondiale di internet
e social networks, si può senz’altro dire, in sintesi, che “declina la carta,
trionfano le carte”: basta pensare alla vera e propria invasione di mappe, diagrammi e atlanti, onnipresenti nell’editoria come nei programmi televisivi.
In effetti questa esplosione di visualizzazione trova le sue ragioni in
diverse esigenze profonde della mente umana, quali l’esigenza di “quantificazione” (la carta ci consente di cogliere in un colpo d’occhio la quantità),
la necessità di dare una “raffigurazione sensibile alle idee”, attraverso esempi, schemi, simboli (per rendere intuitivi concetti anche molto complessi), il
bisogno di farsi capire, in società sempre più multiculturali e multilinguistiche, utilizzando un linguaggio fatto non di parole ma di “ideogrammi”2.
* Per i riferimenti bibliografici in forma sciolta, in questo e negli altri saggi, si rinvia alla
Bibliografia.
1
Sulla cartografia storica in Italia si veda la recente bella opera di Andrea Cantile (cfr.
CANTILE).
2
Queste brevi osservazioni, che ho utilizzato come premessa al lavoro di inventariazione della Collezione I di disegni e mappe dell’Archivio di Stato di Roma, riprendono alcuni concetti esposti nell’interessante articolo di MAURIZIO FERRARIS, Il sapere in una mappa, pubblicato
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4
Daniela Sinisi
Se, dunque, il disegno, la rappresentazione visiva di una realtà geografica, di uno spazio, di un territorio, sono stati fondamentali per la
conoscenza fin dall’antichità per tutto il genere umano, si può però dire
che essi divennero veramente essenziali anche e soprattutto negli Stati
dell’epoca moderna e contemporanea.
Dovettero essere prodotte, in specie negli stati europei, con incremento esponenziale dal Cinquecento all’Ottocento, decine di migliaia di
unità grafiche e cartografiche in tutti gli Stati europei, dalle grandi monarchie nazionali ai piccoli, ma non meno importanti, Stati dell’Italia preunitaria, unificati tra il 1860 ed il 1870 nel Regno d’Italia.
Le finalità da raggiungere con l’ausilio di una pianta, di una mappa,
di un catasto, di un disegno tecnico o di un cabreo, potevano essere le
più varie: rafforzare la difesa del territorio o elaborare piani strategici in
caso di guerra, facilitare il razionale governo del territorio statale attraverso la corretta regimentazione delle acque interne oppure provvedere alla
manutenzione o conservazione dei porti e dei fondali marini o, ancora,
alla predisposizione di un sistema stradale nazionale, provinciale e
comunale. Poteva essere richiesta l’immediatezza e l’efficacia di una
mappa laddove ci si proponesse di distribuire con più rigore ed equità il
carico fiscale imposto dallo Stato sul patrimonio immobiliare dei sudditi
(si pensi ai numerosi catasti di cui dalla metà del ‘700 e poi nell’800 gli
Stati italiani più progrediti si dovettero dotare).
Anche se si volessero delineare o ridefinire i confini con gli stati limitrofi oppure procedere alla costruzione, manutenzione, ristrutturazione o
cambiamento di destinazione d’uso di palazzi, case, terreni, caserme e
rocche di pubblica proprietà, ci si doveva senz’altro poggiare sulla evidenza di un disegno o di una pianta.
Un’unità grafica, poi, era sicuramente utile e necessaria non solo per
supportare la politica degli Stati e degli enti territoriali, ma anche per
dimostrare e definire giuridicamente o giudizialmente la proprietà o il
possesso di un terreno conteso fra due privati, per attestare l’utilizzo o il
valore di un immobile o per modificare, migliorare e ampliare una casa,
un casale, un palazzo e dotarli di strutture di supporto che li rendessero
più fruibili per il proprietario.
nella pagina culturale del quotidiano «La Repubblica», il 14 maggio 2011. Qui viene ben sottolineata, appunto, l’importanza dei disegni e delle carte nella storia dell’umanità, dai tempi antichi all’epoca contemporanea, epoca in cui si assiste, come dice l’autore, ad un vero “trionfo
delle carte”. La Collezione di disegni e mappe che qui si presenta ci dimostra che già in epoca
moderna era in atto un primo “trionfo”!
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
5
È impossibile fare un elenco, neppure lontanamente esaustivo, di
tutte le motivazioni che indussero Stati, enti e privati a servirsi, con l’ausilio di tecnici, periti, agrimensori, geometri, architetti ed ingegneri sempre più numerosi e specializzati, della meravigliosa efficacia dei disegni.
Quel che è certo è che la stragrande maggioranza di essi per quanto
riguarda l’Italia è ancora conservata in centinaia di istituti come biblioteche, musei, gallerie, archivi (di Stato o di enti e privati) e in migliaia di
raccolte e collezioni, anche se con altrettanta certezza si può dire, purtroppo, che molte di quelle unità grafiche sono andate disperse o distrutte, moltissime sono “espatriate” e si trovano oggi in musei e biblioteche
di altri paesi, altre ancora sono andate ad alimentare il mercato antiquario
legale o illegale, particolarmente attento alla bellezza e al pregio dei documenti iconografici e cartografici, oltreché al loro contenuto informativo3.
Nello Stato italiano di oggi esistono, comunque, molti e importanti
istituti di conservazione di collezioni di unità grafiche e di collezioni di
grafica, intendendo qui per collezioni di grafica quelle che comprendono
sia unità manoscritte che a stampa, primo fra tutti l’Istituto Nazionale per
la grafica, creato nel 1975, con sede stabile oggi nel bellissimo palazzo
Poli di Roma4.
Tra le biblioteche citeremo la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma5,
ma anche le altrettanto importanti biblioteche di Firenze e Napoli e, tra
3
Negli ultimi venti anni i carabinieri del Nucleo che opera a tutela dei beni culturali italiani hanno effettuato indagini anche sui beni archivistici e, in particolare, sui materiali grafici
e cartografici, tra i più soggetti a furti e vendite illecite, spesso con l’ottimo risultato di recuperare importanti piante, disegni, mappe. Anche l’Archivio di Stato di Roma deve al loro impegno la restituzione di alcune pregevoli unità grafiche appartenenti a vari fondi e, soprattutto,
alla Collezione di disegni e mappe.
4
Voglio qui ringraziare la d.ssa Antonella Fusco, dirigente dell’Istituto, che è sempre
stata prodiga di utilissimi consigli durante i lunghi anni di elaborazione dell’inventario. La d.ssa
Fusco ha tra l’altro promosso dal giugno 2010 in poi, una serie di interessanti quaderni, dei
quali il primo è stato dedicato proprio alla rassegna delle collezioni pubbliche di grafica italiana (cfr. ING 2010).
5
Nei primi anni di questo secolo, l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU), in
stretta collaborazione con la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ha promosso un’interessante iniziativa che ha visto coinvolti rappresentanti di diversi istituti ed enti, provenienti da
tutto il territorio nazionale (biblioteche, archivi di Stato, enti territoriali, istituti culturali ed universitari, musei). Scopo del progetto è stato quello di giungere ad elaborare, facendo dialogare
tutte le professionalità coinvolte, una proposta di scheda unificata per la catalogazione sintetica
in vista della digitalizzazione, dei numerosissimi materiali iconografici e cartografici conservati
in Italia. Per l’Archivio di Stato di Roma è stata chiamata a far parte della Commissione chi scrive, insieme al collega Paolo Buonora, esperto di digitalizzazione dei documenti dell’Archivio
di Stato di Roma e, in particolare, dei documenti cartografici (cfr. ICCU 2006).
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:22 Pagina 6
6
Daniela Sinisi
gli istituti, l’Istituto Geografico Militare (IGM) e la Società geografica italiana (SGI).
Possiamo però affermare con una qualche fondatezza che è negli
archivi di Stato italiani che studiosi e utenti delle sale di consultazione
possono reperire il maggior numero di unità grafiche, specie presso i
grandi Istituti posti nelle città che furono ex capitali di Stati preunitari.
Qui esistono collezioni vaste e importanti di unità grafiche ed iconografiche, che però non esauriscono, per gli studiosi, il panorama di fonti
visuali presenti nei nostri istituti per i secoli XVI-XX: moltissimi infatti
restano, come vedremo proprio nel caso dell’Archivio di Stato di Roma,
i disegni e le piante ancora conservati nei loro archivi di origine e, in
parte, non conosciuti e descritti dagli archivisti.
La quantità, l’importanza documentaria e in alcuni casi il pregio artistico delle unità grafiche conservate negli archivi di Stato furono, del
resto, noti, sin dal momento della formazione dell’amministrazione archivistica, a studiosi e utenti intenzionati ad approfondire le loro ricerche su
territori, città, paesaggi e monumenti, che ne hanno infatti incrementato
la consultazione, specie dagli anni successivi alla II guerra mondiale.
Dopo l’istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, nel
1975, inoltre, anche per questo tipo di materiali si accrebbero di molto
non solo la consultazione da parte dei ricercatori, ma anche le attività di
valorizzazione da parte delle istituzioni preposte al settore.
Fu l’ultimo ventennio del Novecento che vide, soprattutto dopo
l’emanazione della legge n. 431 del 1984 e dei relativi piani territoriali
paesistici, un’accelerazione dello studio dei documenti cartografici, da
parte delle università e di enti culturali e territoriali e, soprattutto, delle
regioni (istituite da non molti anni) e dei comuni, organismi che per missione istituzionale sono i massimi tutori dei territori affidati alle loro
responsabilità.
Proprio in quegli anni si rafforzarono proficue sinergie tra le più
importanti istituzioni culturali e territoriali e le istituzioni preposte alla
tutela e conservazione del patrimonio archivistico nazionale: fine di siffatto sforzo comune doveva essere proprio il censimento, la catalogazione e la valorizzazione di questo straordinario tesoro.
Così, nel 1986, l’amministrazione archivistica si fece promotrice di un
importante convegno sulla cartografia storica che si tenne nelle sedi di
Genova, Imperia, Albenga, Savona e La Spezia, dal 3 all’8 novembre6,
convegno al quale si collegarono alcune mostre storico-documentarie iti6
Cfr. Cartografia e istituzioni.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:22 Pagina 7
Per una storia della Collezione di disegni e mappe
7
neranti dedicate allo stesso tema.
A tale occasione culturale, cui parteciparono i massimi esperti del settore (geografi, cartografi, architetti, storici e studiosi del territorio), oltreché, ovviamente, molti archivisti e bibliotecari italiani e stranieri, si deve
far senz’altro risalire un fervore di iniziative finalizzate, anche grazie
all’utilizzo delle nuove tecnologie che in quegli anni si stavano affermando, ad una descrizione informatizzata ispirata a standard internazionali7.
Da Venezia a Torino, alla stessa Genova, a Napoli, Bari e Palermo,
tanto per citare i soli archivi maggiori, numerosi progetti tesi alla fotoriproduzione, al restauro e alla descrizione di materiali grafici, furono ideati e realizzati da allora in poi, un po’ ovunque in Italia.
Infine, specie dagli anni Novanta, le piante, i disegni, le mappe
divennero tra le fonti più utilizzate per la realizzazione di mostre storicodocumentarie di alto livello scientifico o anche didattico divulgativo,
dedicate alla storia delle città e dell’urbanistica, dell’agricoltura e del paesaggio, di paesi, di strade e di contrade, delle pianure e dei monti, dei
fiumi, dei mari e delle coste, delle paludi e dei terreni coltivati, dei confini e dei campi di battaglia8.
Il patrimonio grafico e cartografico dell’AS Roma
Nell’Archivio di Stato di Roma, come si è già accennato, sono custodite numerosissime unità grafiche e cartografiche, per lo più riferite ai
secoli XVI-XIX9.
Nella stragrande maggioranza dei casi, carte e disegni, magari allegati
7
Cfr. ORMANNI; si vedano anche nello stesso volume Cartografia e istituzioni i saggi di
BALDACCI 1986 e PRINCIPE. Importanti osservazioni sulla catalogazione dei materiali cartografici
sono contenute anche nel volume Catalogazione, studio e conservazione della cartografia storica (VALERIO).
8
Anche l’Archivio di Stato di Roma, attraverso il suo Servizio per le manifestazioni culturali, ha realizzato negli ultimi 15 anni, con ottima accoglienza da parte dei visitatori, una serie
cospicua di mostre ed eventi culturali dedicati a vari momenti ed aspetti della storia di Roma
e dei territori dello Stato pontificio, utilizzando in maniera privilegiata proprio le unità grafiche
delle Collezioni di disegni e mappe (nonché le mappe del Catasto gregoriano) conservate
presso l’Istituto. Solo per citare le due più rilevanti e articolate, ricordo le mostre curate da
Maria Grazia Branchetti e Daniela Sinisi, la prima dedicata all’avvio delle strade ferrate nello
Stato pontificio, La maravigliosa invenzione, e la seconda Lazio pontificio tra terra e mare,
dedicata allo studio ed alla storia delle zone costiere nella regione laziale al tempo dei papi,
alla quale si ricollega la interessante pubblicazione, anch’essa costruita su una fonte “visiva”
della fine del Settecento, sulla costa laziale (cfr. DAINOTTO).
9
Due sole unità sono datate al XX secolo.
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8
Daniela Sinisi
a progetti, perizie o relazioni, sono ancora oggi conservati nei tanti archivi
delle magistrature, tribunali, istituzioni centrali e periferiche che, per conto
della suprema autorità del Papa re si succedettero alla guida di vari settori
e ambiti di governo dello Stato pontificio10, oppure dei tanti uffici notarili
che coadiuvarono Stato e privati nell’espletare importanti funzioni amministrative o nel tutelare giuridicamente l’interesse dei singoli11.
Rilevante è poi anche il patrimonio grafico contenuto negli archivi di
persone, famiglie, di congregazioni religiose e ospedali, che ricoprirono
spesso ruoli di primaria importanza per funzioni svolte, per ricchezza e
ampiezza dei patrimoni posseduti e gestiti. Cito, solo a titolo di esempio,
i grandi ospedali romani e in particolare il Santissimo Salvatore, il Santo
Spirito in Saxia, il San Giacomo e il San Rocco, proprietari di estesissimi
beni immobili nelle province dell’Italia centrale e specie nel Lazio, dei
quali ci restano numerose raffigurazioni e piante descrittive, catasti di
beni e cabrei.
È da sottolineare però che è certamente nelle grandi istituzioni ottocentesche (prima e dopo la creazione dei Ministeri pontifici) che l’utilizzo
del disegno fu sentito dalle pubbliche autorità come non solo utile, ma
come davvero essenziale strumento per attuare una corretta azione amministrativa in molti settori: è infatti in questi archivi ottocenteschi che si può
reperire il più rilevante numero di unità grafiche, allegate alle “pratiche”,
anche in vista del fatto che in quel periodo varie istituzioni cominciarono
ad emanare disposizioni legislative che rendevano obbligatorio l’utilizzo
di un disegno o di una pianta per predisporre e compiere lavori, impo-
10
Il patrimonio documentario dell’Archivio di Stato di Roma, pregevolissimo per quantità
e qualità, comprende un nucleo centrale di fondi che caratterizza l’Istituto: sono gli archivi che
attestano l’attività istituzionale delle magistrature centrali dello Stato pontificio per i secoli XIVXIX. Solo per citarne alcune tra le più importanti – che verranno spesso menzionate anche nel
data-base di descrizione delle unità grafiche, specie nel campo denominato “provenienza
archivistica” - ricorderemo la Congregazione del buon governo e le altre Congregazioni cardinalizie, in particolare quella delle acque, la Reverenda Camera Apostolica con tutti i suoi uffici
ed articolazioni interne, i tribunali centrali dello Stato, ad esempio il Tribunale dell’Auditor
Camerae (AC). Per le istituzioni ottocentesche, dopo la Restaurazione ricordiamo i grandi
archivi del Camerlengato, del Tesorierato generale, della Presidenza generale del censo e della
Prefettura generale di acque e strade che furono precedenti istituzionali importanti dei veri e
propri ministeri pontifici istituiti da Pio IX nel 1847. Per una rassegna esauriente dei numerosissimi diversificati archivi conservati dall’Istituto archivistico romano, si veda la fondamentale
Guida generale degli Archivi di Stato, alla voce ROMA oltre all’agile volumetto Il patrimonio
documentario dell’Archivio di Stato di Roma, edito dalla Scuola di Archivistica Paleografia e
Diplomatica.
11
Particolarmente importanti quali conservatori anche di documenti grafici si sono rivelati i notai romani, riuniti in diversi uffici e collegi. Si veda a tal proposito il recente, accurato
studio di Orietta Verdi sui notai capitolini (VERDI 2009).
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
9
stare studi preliminari, realizzare progetti. Come esempi citerò quelli del
Camerlengato e del Ministero del commercio e dei lavori pubblici, organismi che attuarono, tra l’altro, dalla Restaurazione in poi, le prime forme
efficaci di tutela dei beni culturali nello Stato della Chiesa12.
Esistono poi, presso l’Archivio di Stato di Roma, intere serie e più
ancora “miscellanee o collezioni” di disegni e mappe che risultano composte esclusivamente (o, meglio, quasi esclusivamente) da documenti
grafici.
Primo fra tutti voglio citare lo straordinario complesso di alcune
migliaia di mappe e mappe ridotte del Catasto gregoriano (con i relativi
brogliardi), realizzate in poco più che un ventennio a cavallo tra l’esperienza napoleonica e il restaurato potere pontificio per tutti i comuni
dello Stato del Papa13. Si tratta in effetti di due “serie” organiche di documenti catastali (mappe di grande formato in scala 1/2000 – 1/1000 e
mappe ridotte in scala 1/8000- 1/4000) che fanno parte integrante dell’archivio della Presidenza generale del censo, istituita nel 1816.
Altro “catasto” o, più esattamente, complesso di circa 400 piante di
proprietà immobiliari (tenute e casali dell’Agro Romano), di pregevolissima fattura e di datazione assai antica, è quello noto al pubblico come
Catasto alessandrino14. Anch’esse costituiscono in effetti una serie di un
archivio pontificio, quello della Presidenza delle strade, organismo che
sovrintese alla viabilità urbana ed extraurbana e in particolare alla conservazione e manutenzione delle strade consolari.
Infine citiamo la serie grafica dell’estesissimo archivio della Congregazione del buon governo - la serie XIV - che comprende piante, disegni,
Si veda il bel lavoro promosso dalla Soprintendenza archeologica di Roma Colori dell’Archeologia. Nel catalogo è di taglio archivistico il saggio Conoscere documentare, conservare
di chi scrive alle pp. 5-10.
13
Molti lavori sono stati realizzati, o sono in corso di realizzazione, sugli archivi della Presidenza generale del censo e archivi collegati. Ricordo qui solo quello sulla Cancelleria del
censo di Roma (VITA SPAGNUOLO) e il volume sul catasto gregoriano (LONDEI 2009) con il saggio
di Luisa Falchi, (FALCHI 2009).
14
Copie ed estratti delle piante del Catasto alessandrino (come pure del Catasto gregoriano sopracitato) sono diffusamente presenti nella Collezione I. Le piante del Catasto alessandrino sono state analiticamente descritte per il progetto Imago dell’AS Roma da Daniela
Sinisi e Orietta Verdi, che hanno curato pure l’inventariazione dell’intero fondo della Presidenza delle strade, del quale il Catasto alessandrino, come si è detto, costituisce una serie. Le
piante vennero redatte in seguito alla disposizione del papa Alessandro VII (1660), secondo la
quale i proprietari delle tenute e casali dell’Agro Romano venivano sottoposti a tassazione in
base alla qualità e quantità dei terreni posseduti e all’utilizzo di una o l’altra delle strade consolari, di accesso a Roma. Molte di esse sono copie di piante più antiche, anche cinquecentesche, presentate per l’occasione all’Ufficio notarile delle strade dai proprietari delle tenute.
12
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10
Daniela Sinisi
profili relativi a porzioni di territorio dei comuni alla cui amministrazione
fiscale-finanziaria era preposto dalla fine del Cinquecento questo fondamentale organismo di governo.
Forse più nota al grande pubblico e ancora più consultata è però
proprio la Collezione di disegni e mappe dell’Archivio di Stato di Roma,
articolata in Collezione I, II e III e composta di circa 165 cartelle comprendenti alcune migliaia di pezzi15.
Ad esse si aggiungono le cartelle A,B,C,D e la cosiddetta Miscellanea
di mappe, brogliardi, disegni, stampe, quasi del tutto sprovviste di mezzi
di corredo.
La Collezione di disegni e mappe - come ha ben spiegato Elio Lodolini nelle sue pagine dedicate alla formazione dell’Archivio di Stato di
Roma16 - fu una delle prime “miscellanee” che nacquero in seno al neo
istituito Archivio romano già alla fine dell’Ottocento, in ossequio all’allora
diffusa opinione secondo la quale nell’Istituto si conservassero in prevalenza “cimeli o curiosità”. Del resto la natura particolarmente attraente,
anche sotto il profilo estetico, di tale tipo di documenti, era già stata, proprio negli anni dell’Unità, segnalata da Biagio Miraglia che proponeva,
infatti, di “raccogliere ed ordinare tutti i progetti, tutti i disegni, tutte le
piante” che affermava di aver visto “disperse” in vari archivi, in gran
numero e in stato deplorevole.
La raccolta auspicata dal Miraglia iniziò a costituirsi subito, nei primi
anni dopo la presa di Roma da parte dell’esercito sabaudo e divenne
cospicua nel primo trentennio di attività dell’Archivio di Stato17: si procedette ad estrapolare per lo più le unità grafiche dai loro archivi di provenienza (senza che gli archivisti dell’epoca lasciassero alcuna traccia di
tale arbitraria estrapolazione dai contesti documentari originali), ma gli
accrescimenti avvennero anche in piccola parte attraverso acquisti o
doni. Le unità vennero descritte in un elenco alfabetico-toponomastico
che fa riferimento alle singole località, quasi tutte appartenenti allo Stato
della Chiesa, tra le quali un posto privilegiato occupa, ovviamente, Roma
che ne fu, come è noto, la capitale, prima di diventare la capitale del
15
La Collezione è distinta in tre parti (I, II, III), anche se non è individuabile un criterio
logico o cronologico che sottenda a tale suddivisione.
16
Cfr. LODOLINI E. 1976.
17
I primi passi della formazione della Collezione sono documentati nella cosiddetta
Miscellanea della Soprintendenza, e negli Atti della Direzione conservata anch’essa presso l’AS
Roma, sulla quale la collega Annalia Bonella sta conducendo da alcuni anni un accurato lavoro
di studio e schedatura.
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
11
Regno d’Italia. Non numerose sono le eccezioni per il periodo di antico
regime (poche piante si riferiscono ad esempio a località della Toscana,
del Veneto e della Lombardia, quasi sempre comprese in zone di confine
con lo Stato ecclesiastico) ma, per la fine del XIX secolo, è senza dubbio
da ricordare, ad esempio, la cospicua serie di carte topografiche a stampa
relative a varie province italiane del nuovo Regno, in particolare quelle
contenute nella cartella 129 della Collezione I.
Lavori per la valorizzazione delle collezioni grafiche dell’Archivio di Stato
di Roma
Di tali serie e collezioni conservate presso l’Istituto archivistico romano venne avviata una mirata politica di valorizzazione a partire dalla fine
degli anni Ottanta: si pose l’attenzione sui problemi della conservazione,
del restauro e della fotoriproduzione18 e vennero intrapresi i primi parziali tentativi di schedatura e indicizzazione informatizzata. Si avviò,
quindi, uno studio preliminare teso alla creazione di un data-base da utilizzare per la descrizione standardizzata delle migliaia di pezzi contenuti
soprattutto, ma non solo, nelle collezioni di disegni e mappe.
Collaborarono allora al progetto, curato da chi scrive, per la parte
informatica Gemma Pusceddu, responsabile della rete informatica dell’Archivio di Stato e Salvatore Miele, consulente informatico dell’Istituto.
Venne predisposto un data-base in formato “access” - che ha consentito,
parecchi anni dopo, l’inizio del lavoro di vera e propria schedatura e
indicizzazione - con una prima immissione di dati realizzata a partire
18
È in questi anni, sotto la direzione di Lucio Lume, che fu intrapreso il primo (e unico,
ad oggi) lavoro di fotoriproduzione a tappeto di tutte le unità comprese nelle tre principali
Collezioni. I microfilm che allora furono prodotti, pur nei limiti di una riproduzione in bianco
e nero e di non eccelsa qualità, se rapportati agli standard delle tecnologie digitali, hanno a
lungo costituito per gli utenti della sala di consultazione dell’AS Roma, una possibilità di studio
“da vicino” di una fonte così importante, ma anche di così difficile conservazione, come è quella delle unità grafiche, che, spesso di grande formato, e comunque esposte, per la loro stessa
natura, più di altri documenti al rischio di usura e lacerazioni, devono essere necessariamente
escluse dalla libera consultazione. Per la serie delle mappe del Catasto urbano di Roma e dei
maggiori centri urbani dello Stato pontificio, nonché per le piante del Catasto alessandrino, si
potette procedere, invece, dalla fine degli anni Novanta, ad attuare un assai più perfezionato
progetto di digitalizzazione, sostenuto dalla Direzione generale per gli archivi e curato, per l’AS
Roma, da Paolo Buonora (Progetto IMAGO, I e II). Negli stessi anni si avviò il progetto di
restauro delle diverse centinaia di unità delle Collezioni in cattivo stato di conservazione, ancora non concluso, diretto da Orietta Verdi. Su tale progetto si veda la presentazione di O. Verdi
in questo stesso volume.
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12
Daniela Sinisi
dall’anno 2006, grazie alla collaborazione volontaria e gratuita di studenti
della Scuola di Archivistica Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di
Stato di Roma.
Tra il 2006 e il 2011, con finanziamenti provenienti dalla Direzione
Generale per gli Archivi e, infine, con l’attribuzione dei fondi dell’8 per
mille accordati per il 2010 al progetto di inventariazione e restauro delle
unità contenute nella Collezione I, è stato possibile portare a compimento
la descrizione di circa 3750 unità (per un totale di più di 18000 “pezzi”)19.
Il data-base per la descrizione della Collezione di disegni e mappe20
Nella scheda descrittiva è presente in alto un’area dedicata alla
segnatura/collocazione composta da:
- denominazione del fondo (Collezione di disegni e mappe);
- serie (per ora solo la Collezione I, come si è detto);
- cartella (che è l’unità di conservazione; ogni cartella contiene in
19
La Collezione I di disegni e mappe, si compone di cartelle (unità di conservazione)
numerate da 1 a 130 e comprende piante, sezioni, prospetti, spaccati, carte topografiche, corografiche e geografiche, iconografie, profili, vedute, atlanti, cabrei, disegni architettonici, disegni
tecnici e industriali, in foglio unico o in più fogli, tavole o tipi. Le unità grafiche, corredate da
indici o legende, sono talvolta allegate o collegate, come già accennato, a documentazione
scritta, come relazioni, progetti, stime, perizie etc. Nel vecchio elenco toponomastico (Inventario n. 109, ancora oggi utilizzato dagli utenti della sala di consultazione dell’AS Roma), sotto
la collocazione attribuita con il numero di cartella e il numero di “foglio”, si può nascondere,
in effetti, una miriade di “pezzi”, talvolta anche 50 o 60 e anche più, come nel caso di album,
catasti o cabrei con le relative descrizioni: la consistenza reale delle unità non è mai stata infatti
indicata dagli archivisti otto-novecenteschi che provvidero alla redazione del vecchio inventario (peraltro sprovvisto dell’indicazione degli autori anche nella Guida generale degli archivi
e quindi da considerarsi opera collettiva degli archivisti romani).
20
Come si è già ricordato, si è potuta per ora portare a conclusione la schedatura e indicizzazione delle unità contenute nella Collezione I, che è comunque la più importante ed estesa. Lo stesso software potrà essere utilizzato, se vi saranno le risorse umane e finanziarie necessarie, e se l’iniziativa avrà, come si auspica, una buona accoglienza da parte del pubblico e
delle Istituzioni culturali, per le altre collezioni e serie grafiche conservate nell’Istituto. Per il
controllo e l’approfondimento dei vari elementi delle schede descrittive, sono stati utilizzati
numerosi repertori generali e tematici (toponomastici, geografici, biografici, prosopografici e
araldici), specie in relazione all’individuazione dei toponimi dello Stato pontificio - che rappresentano l’assoluta maggioranza di quelli indicizzati – e ai nomi di ufficiali, magistrati, tecnici
(architetti, periti, agrimensori) appartenenti all’Amministrazione pontificia o in stretta collaborazione con essa. Tali repertori sono citati nella bibliografia generale a cura di Serena Dainotto.
Va ricordato che molte informazioni utili e, talvolta, indispensabili per la certa identificazione
di autori, sottoscrittori o di località minori, contrade, “vocaboli”, sono state direttamente tratte
dal web, attraverso ricerche spesso lunghe e laboriose che hanno permesso però in non pochi
casi di sciogliere dubbi e incertezze.
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
13
media circa 20 unità);
- u.n. (unità numero)21;
- sub u.n. (sotto unità numero).
Il complesso di queste indicazioni consente un facilissimo reperimento delle unità da richiedere da parte degli studiosi per la consultazione dell’originale (laddove ciò sia consentito dall’Istituto), poiché non
sono state volutamente apportate variazioni di rilievo rispetto al vecchio
elenco/inventario cartaceo. Sarebbe stato, infatti, in caso contrario,
necessario elaborare complicate tavole di raffronto, dato che la Collezione è stata in tutte le sue unità citata numerosissime volte in articoli, saggi
e pubblicazioni italiani e stranieri.
Segue, poi, una serie di campi per la descrizione di ciascuna unità,
che può, come si è detto, essere composta da una o più piante ( le quali
costituiscono comunque sempre l’oggetto prioritario della descrizione)
ed eventualmente da uno o più documenti scritti:
- denominazione (o titolo); vi si riporta esattamente tutto quello che si
trova scritto nel cartiglio o nella didascalia della pianta o, in alcuni
casi, sul verso della pianta stessa, in forma integrale oppure abbreviata, quando necessario. È da ricordare che sono rispettate la grafia e
l’ortografia originali utilizzate dall’autore della tavola, che spesso,
quindi, non corrispondono alle correnti norme oggi in uso22. Se la
denominazione è originale, compare a schermo, sulla sinistra del
campo, il segno di spunta nell’apposita casella. Va precisato che anche
la denominazione non originale è normalmente tratta, comunque, da
scritte, legende, indici presenti sul recto o sul verso della pianta che si
descrive; solo in rarissimi casi la denominazione è invece attribuita
dallo schedatore, oppure è resa più trasparente con precisazioni e
aggiunte, nel caso che essa non risulti sufficientemente chiara, soprattutto in merito alla univoca individuazione delle località e/o aree geografiche. In questo caso essa è inserita in un apposito riquadro sotto-
21
Nel vecchio elenco-inventario n.109, più volte citato, era utilizzato il termine “foglio”,
termine che poteva ingenerare confusione e fraintendimenti e che si è pertanto sostituito con
unità (u.n.). Raramente l’unità può contenere più sottounità (sub u.n.), relative alla stessa località ma non provenienti dallo stesso archivio o “pratica” o, in una minoranza assoluta di casi,
addirittura a località completamente diverse, rispetto a quella della sub-unità designata come
/001. Per la richiesta dell’originale si dovrà fare riferimento al numero di cartella e al numero
di unità (le ex “unità bis” contenute nell’inventario 109 sono contrassegnate nella scheda informatica come sub u.n. 002).
22
I documenti allegati o collegati a ciascuna unità grafica, sono descritti sommariamente nel
campo descrizione, dove si riporta anche, se presente, l’eventuale titolo di ciascun documento.
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14
Daniela Sinisi
1. Topografia del Stato d’Ascoli della Marca con suoi confini, a stampa, 1680 (AS ROMA,
CDM, I, cart. 6, n. 247)
stante il campo denominazione.
La lingua utilizzata è quasi sempre quella italiana e in rari casi quella
francese (piante relative ai periodi di dominazione francese, tra fine ‘700
e inizi ‘800); in pochi casi è stata utilizzata la lingua latina;
- tecnica di esecuzione; si è scelto di indicare qui, mettendo il dato in
evidenza separatamente rispetto al campo descrizione, se l’unità sia
manoscritta o a stampa (fig.1).
Pochi sono i casi di commistione delle due tecniche;
- altezza/larghezza; anche qui si è pensato di dare maggiore risalto
all’indicazione delle due dimensioni della pianta, soprattutto al fine di
fornire immediati riferimenti per una conservazione adeguata (e quindi per una corretta consultazione) dei grandi e grandissimi formati,
spesso soggetti a maggiore usura; laddove l’unità però comprenda più
piante o mappe di misure diverse, le misure sono state rilevate per
ciascuna pianta, riportandole analiticamente, come vedremo, nel
campo descrizione;
- scala; è sempre riportato il tipo di scala (grafica o numerica). In caso
di scala grafica si è indicata la lunghezza del listello di riferimento,
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
15
2. Caveta delle Lumiere, 1708 (AS ROMA, CDM, I, cart.1, n.33)
2a. Particolare della scala di canne numero
venti romane
nonché, ovviamente, l’unità di misura23 utilizzata dall’autore per redigere la pianta.
A tal proposito si segnala che, poiché i territori raffigurati nelle unità
grafiche schedate sono numerosissimi, sebbene situati nella stragrande
maggioranza dei casi entro i confini dello Stato pontificio, anche le unità
di misura utilizzate sono altrettanto numerose e variano da zona a zona
e da secolo a secolo. Fino almeno all’inizio dell’Ottocento, infatti, quando
l’esperienza napoleonica apportò novità rilevanti anche per quanto
riguarda l’omogeneizzazione delle unità di misura in tutte le regioni d’Italia che fecero parte dell’impero napoleonico, furono utilizzate unità
23
Per le unità di misura utilizzate nelle varie epoche e nei vari Stati italiani, cfr. MARTINI.
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Daniela Sinisi
3. Pianta fatta da me sottoscritto Perito Eletto per parte degl’Illustrissimi Signori Marchesi
Guido, e Giulio Fratelli Corelli, et Altri Litis Consortes, Mediante la quale si mostra l’Andamento dell’Argine Circondante il quale anticamente si vedea fra la Via del Porto di
Fusignano, e quella delle Vallerie..., 1741 (AS ROMA, CDM, I, cart. 1, n. 30), in basso a
destra, scala di pertiche duecento di Ravenna
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
17
molto diverse sia nei vari Stati italiani sia all’interno dello stesso Stato
pontificio, da provincia a provincia e, talvolta, addirittura da città a città.
Così a Roma e territorio circostante si utilizzarono prevalentemente le
canne e i palmi romani, gli staioli e le catene (fig.2), ma, fuori del territorio della capitale si continuarono a utilizzare le unità di misura locali,
come avvenne ad esempio a Ferrara o a Bologna o a Ravenna (fig.3) tanto per citare tre importanti realtà territoriali dello Stato - tutt’al più
affiancate al riferimento alla misura romana.
Dopo la Restaurazione invece si utilizzò più diffusamente il sistema
metrico decimale e, come unità di misura, il metro (volutamente denominato nelle mappe catastali del Catasto gregoriano, “canna censuaria”,
in ossequio ad una tradizione che si voleva ininterrotta dal ripristinato
regime pontificio);
- datazione: è articolata in data iniziale (originaria o attribuita) e data
finale (originaria o attribuita), cui talvolta si aggiungono, in un campo
a parte, la data topica e le note alla cronologia. Nella maggior parte
dei casi esiste sul documento grafico una sola data con indicazione di
giorno, mese e anno, o del solo anno, data che è stata in questo caso
inserita nel campo “data iniziale”. Quando i documenti grafici e/o
scritti, presenti nell’unità sono numerosi, è possibile che anche l’arco
temporale cui essi si riferiscono comprenda più mesi o addirittura
anni; in questo caso si è indicata, come di consueto, la data del primo
documento e quella dell’ultimo.
Talvolta i documenti grafici non recano data: ci si è serviti, allora,
delle sottoscrizioni di geometri, periti, architetti oppure dei riferimenti a
personaggi che ricoprirono cariche istituzionali rilevanti, oppure delle
sottoscrizioni di notai, per riuscire ad indicare almeno il secolo di produzione dell’unità grafica, ma se possibile, anche un più preciso arco tem-
XX sec.: 2; 0%
XIX sec.: 2432; 64%
senza data: 43; 1%
XVI sec.: 21; 1%
XVII sec.: 258; 7%
XVIII sec.: 994; 27%
Cronologia della Collezione I di
disegni e mappe. - Le unità che
nel grafico risultano del tutto
sprovviste di datazione sono
quelle risultate mancanti alla
revisione del 2013 oppure quelle
che, in cattivo stato di conservazione, non sono state oggetto di
schedatura analitica e delle quali
non si è potuto pertanto verificare la datazione (grafico elaborato
da Luca Saletti).
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18
Daniela Sinisi
4. Dipartimento del
Tronto, s.d., post 1812
(AS ROMA, CDM, I,
cart. 6, n. 249). La
data è stata attribuita
in base alla data di
istituzione del Dipartimento del Tronto da
parte dell’Amministrazione napoleonica
porale (come si è poi specificato nelle note alla cronologia): in questo
caso sotto “data iniziale” è indicato il secolo in cifre arabe e, ad esempio,
per l’Ottocento, l’indicazione sarà “18…”. (fig.4)
Soltanto in un limitato numero di casi si è fatto riferimento genericamente ad un secolo, in base alle sole modalità di esecuzione o alla grafia
utilizzata nella pianta. Infine, in pochissimi casi, si è, in mancanza di altri
dati certi, riportata la data presente nel vecchio inventario (che peraltro
non sempre risulta attendibile)24;
24
Le unità della Collezione I si riferiscono ai secoli XVI-XIX con una maggioranza assoluta di piante ottocentesche. Solo due unità sono datate al sec. XX. Le unità che nel grafico
risultano del tutto sprovviste di datazione sono quelle risultate mancanti alla revisione del 2013
oppure quelle che, in cattivo stato di conservazione, non sono state oggetto di schedatura analitica e delle quali non si è potuto pertanto verificare la datazione.
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
19
5. Pianta della grotta di Nettuno a Tivoli nella porzione coperta e dei lavori ivi eseguiti
nell’anno 1829. Tipo I, 1829 (AS ROMA, CDM, I, cart. 4, n. 164)
- descrizione; si sono qui riportate, nella maniera più chiara ma anche
più sintetica possibile, una serie di indicazioni utili per descrivere
“estrinsecamente”25 l’unità e relative a:
- consistenza dell’unità, che può essere composta di una sola pianta,
di un solo foglio di mappa, ma spesso anche di numerose piante,
profili o altro, accompagnati o non da relazioni, progetti etc;
- modalità di realizzazione grafica (a inchiostro, ad acquerello, a
penna etc.);
- numerazione, originale (fig. 5) o moderna (generalmente a matita),
ed eventuali misure di ciascun foglio, se non omogenee;
- presenza di legende, indici, descrizioni e scritte esplicative diverse26
25
Non si è generalmente indicato il supporto delle piante perché è sempre omogeneo
(carta, raramente carta telata o cerata). In pochissimi casi è utilizzata la pergamena, in un unico
caso la pianta è costituita da un plastico.
26
Tra le scritte - che si sono riportate integralmente e nella originaria lingua latina, sciogliendo le abbreviazioni - ricordo in particolare quelle apposte sul verso della pianta, quando
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20
Daniela Sinisi
6. e 7. Memoria sopra il porto di Ancona. Tavola V; Tavola XVI, 1807 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 2, n. 64), particolari dell’ornamentazione delle tavole
8. Pianta della venerabile chiesa di S.
Maria delle Gratie con sua fabrica annessa, posta nel castello di Foce…, 1717 (AS
ROMA, CDM, I, cart. 1, n. 48), particolare
del cartiglio ornato
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
21
apposte sul recto o sul verso del documento grafico (fig. 6);
- presenza di ornamentazioni, decorazioni, stemmi e signa notarili
(figg. 7 e 8);
- presenza di simboli grafici per l’orientamento della pianta, come
rose dei venti, (fig.9), frecce indicanti il nord, aghi magnetici. In tutti
9. Profilo della livellazione della caduta
dell’Arone e Mappa del corso del fiume
Arone nel sito della diferenza, 1740 (AS
ROMA, I, cart. 6, n. 234 r. e v.). Si noti l’utilizzo della rosa dei venti per l’orientamento della pianta. Sul verso, esibizione della
pianta presso il notaio del Tribunale dell’AC, Urbanus (20 luglio 1740)
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22
Daniela Sinisi
10. Mappa della città di
Ancona, pianta de relitti
di mare di proprietà della
R.C.A. desunta dalla
mappa originale… esistente presso questo Direzione Generale del Censo,
1825 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 2, n. 98), con particolare delle sottoscrizioni
questi casi si è utilizzata la sintetica espressione “è indicato l’orientamento”;
- sottoscrizioni degli autori e di coloro che collaborarono, a diversi
livelli, alla predisposizione, alla redazione o alla revisione o copia
essa fosse esibita negli atti del notaio - cancelliere di un Tribunale (il più rappresentato è certamente quello dell’Auditor Camerae): la pianta stessa costituiva in tali casi documento utile
per la discussione della causa e per il giudizio del giudice incaricato. La formula citata ha consentito di individuare con certezza l’archivio di provenienza e, talvolta, la serie dell’archivio
del tribunale alla quale essa apparteneva originariamente (ad es. Iura o Cedulae).
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
23
della pianta (incisori, disegnatori, revisori), oppure all’autentica (notai
e testimoni), ciascuno con la propria qualifica (fig. 10);
- segnature e numeri d’ordine; si sono qui segnalati soprattutto i numeri
di protocollo (con la eventuale presenza di timbri dell’istituzione da
cui proviene il documento);
- note; lo schedatore ha liberamente utilizzato questo campo per approfondire il contesto in cui fu realizzata l’unità grafica, oppure per fornire notizie storico-istituzionali sulle magistrature ai cui archivi appartenevano le piante, o sulla biografia dei tecnici, spesso assai illustri,
che le realizzarono.
Nel campo note è data pure l’indicazione delle unità risultate mancanti alla revisione del 2013 e di quelle che, per motivi di cattivo stato di
conservazione, non sono state analiticamente descritte dagli schedatori,
delle quali vengono quindi forniti i soli, scarni dati presenti nel vecchio
inventario 109. Sono qui pure forniti, laddove si sia ritenuto opportuno, i
rinvii ad altre unità della stessa Collezione collegate con l’unità schedata;
- provenienza archivistica (a.p.). Un discorso a parte va fatto per questo
campo della scheda non strettamente necessario per la descrizione dell’unità grafica, ma che si è voluto inserire, invece, come ulteriore indicazione e possibile ausilio per la ricerca di documentazione negli
archivi. Infatti, come si è detto più volte, la stragrande maggioranza
delle piante, disegni e mappe presenti nelle collezioni dell’Archivio di
Stato di Roma furono, al tempo della formazione delle miscellanee
stesse, estrapolate dai tanti fondi archivistici, senza che gli archivisti
dell’epoca si preoccupassero di lasciare un qualsiasi riferimento.
In particolare sono ben rappresentati nella Collezione I gli archivi,
ampi, complessi e articolati, della Reverenda Camera Apostolica (RCA),
soprattutto quelli del Tesoriere generale e della Computisteria generale,
di alcune delle Presidenze camerali - prima fra tutte la Presidenza delle
strade con i suoi notai privativi - dei notai segretari e cancellieri della
RCA (notai della RCA)27.
Molte unità provengono con certezza poi dai principali tribunali centrali pontifici, camerali e non: in ordine di frequenza possiamo citare il
Tribunale dell’Auditor Camerae (Tribunale dell’AC), seguito dal Tribunale della Camera apostolica e dal Tribunale della sacra rota.
27
Nell’indicare l’archivio di provenienza, per quanto riguarda gli estesi archivi camerali,
ci si è spesso limitati a scrivere soltanto RCA, senza altre specifiche. Si tenga conto peraltro
che alcune delle piante potrebbero essere state estrapolate dai fondi Camerale II e III, ordinati
per materia e per luoghi. Sugli archivi camerali si veda in particolare PASTURA.
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Daniela Sinisi
Ben rappresentate sono pure le Congregazioni cardinalizie e, in particolare, la Congregazione del buon governo e, soprattutto, la Congregazione delle acque, dal cui archivio provengono numerosissime unità,
specie per i secoli XVII-XIX (di esse si è potuto con certezza indicare l’archivio di provenienza nella maggioranza dei casi) e sicuramente alcune
delle carte, piante e profili di livellazione più belli esteticamente e più
ricchi di informazioni sui territori raffigurati28.
Poche le certezze, invece, per l’indicazione della provenienza da
archivi privati, quali famiglie o persone, congregazioni religiose o ospedali, che quindi risultano pochissimo rappresentati29.
Per l’attribuzione dell’archivio di provenienza ci si è serviti di vari
elementi, in taluni casi combinati tra loro, presenti sul recto o sul verso
dell’unità grafica descritta, o, anche, nei documenti scritti ad essa collegati: dichiarazioni del perito, architetto o agrimensore, autore/autori della
pianta, di essere stati deputati da una certa autorità a redigere la pianta
stessa e l’eventuale relazione; esibizione negli atti del notaio cancelliere
di un tribunale pontificio, della pianta - utilizzata come elemento del contenzioso - attestata da una scritta redatta secondo un apposito formulario,
comprendente la denominazione del tribunale (ad es. AC ), i nomi delle
parti in causa (citati nella formula notarile pro…, contra…), la sottoscrizione del notaio cancelliere con la data di presa in carico dell’atto; presenza di dediche e indicazioni di destinatari o committenti, nella didascalia o nel cartiglio o nella legenda dell’unità grafica, etc.
Nei casi in cui l’attribuzione sia sembrata certa, si è indicata tout-
28
Sulla Congregazione del buon governo e sul suo imponente archivio, è indispensabile
ricorrere al fondamentale inventario LODOLINI E. 1956, con ampia e documentatissima introduzione storico-archivistica. Da tale archivio provengono sicuramente numerose unità grafiche
della Collezione. Per approfondire invece l’argomento della gestione delle acque interne e
della Congregazione che a tale settore sovrintese dall’inizio del XVII secolo, si veda in questo
stesso volume il saggio di Paolo Buonora, Fiumi di carta e la bibliografia ivi citata. Sull’istituzione della cinquecentesca Congregatio super viis, pontibus et fontibus, precedente istituzionale della congregazione delle acque (in particolare per il settore degli acquedotti), si veda la
regestazione dei decreti cardinalizi presenti nel registro n. 1 (1567-1588) del piccolo ma importante fondo conservato presso l’AS Roma, GENOVESE - SINISI.
29
Soltanto con lunghissime ricerche storiche e archivistiche sarebbe stato possibile – e in
pochissimi casi – individuare l’appartenenza ad uno di questi archivi. Per qualche esempio ben
documentato si veda il saggio di S. Passigli e A. Ruggeri, dedicato alle piante di alcune tenute
dell’Agro romano, in questo stesso volume.
30
Per l’indicazione dell’a.p. (archivio di provenienza) si è fatto riferimento alle denominazioni contenute nel repertorio dei fondi archivistici dell’Archivio di Stato di Roma, (GRAZIANI). Nel complesso, si può calcolare che, tra certi e probabili, si sia riusciti a determinare gli
archivi di provenienza in circa il 70% dei casi, per la Collezione I.
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
25
court la denominazione dell’archivio di provenienza30.
Nel caso più frequente, invece, in cui l’attribuzione è sembrata solo
possibile o probabile, la denominazione dell’archivio di provenienza è
stata indicata tra parentesi quadre. Si è però preferito fornire l’indicazione
comunque, anche considerando un possibile margine di errore, basandola su considerazioni di tipo storico istituzionale, deduzioni logiche o analogie riscontrate dall’archivista31.
Tutto quello che finora abbiamo detto è riferibile, in particolare, agli
archivi delle istituzioni pontificie del periodo di antico regime.
Più complesso ancora il discorso della determinazione delle provenienze si fa per gli archivi ottocenteschi, in particolare per il periodo che
va dalla Restaurazione alla caduta definitiva del potere pontificio (1870),
in rapporto alle numerosissime riforme istituzionali dell’amministrazione
centrale e di quella periferica, cui i pontefici procedettero a più riprese
e nei vari ambiti, in quel cruciale cinquantennio ed anche alla produzione stragrande di documentazione rispetto al passato – da parte di organismi che stanno sempre più ampliando i loro compiti istituzionali e le
loro funzioni – cosa che rende assai complesso il potersi orientare in
masse spesso sterminate di carte d’archivio.
Nascono, ad esempio, in quest’arco temporale, istituzioni più moderne
anche se pensate in continuità con altre già esistenti all’interno della RCA,
quali il Tesorierato generale con le sue amministrazioni (con l’organo collegato della Computisteria generale della RCA) e il Camerlengato, vero e
proprio “panministero”, che si occupa di numerosissime branche dell’amministrazione, precedendo di qualche anno il Ministero del commercio,
belle arti, industria, agricoltura e lavori pubblici32.
Nasce anche un nuovo, complesso e potente organismo di sovrinten-
31
In moltissimi casi, in assenza di elementi obiettivi, si è preferito non dare nessuna indicazione, anche se, in base al contesto storico istituzionale, si potrebbe forse dedurre la provenienza dell’unità. Voglio qui ricordare in particolare che nella Collezione I vi sono numerose
unità, relative in specie ai secc. XVIII-XIX, che raffigurano territori, strade, confini, mulini, posti
in aree di pertinenza dei comuni dell’ex Stato pontificio. Tali piante sono, probabilmente, in
buona misura da attribuire all’articolato archivio della Congregazione del buon governo, ma le
ricerche, comunque di incerto risultato, in questo caso comporterebbero modalità complesse
e tempi assai lunghi per effettuare le necessarie verifiche. Si è preferito, perciò, non dare alcuna indicazione di provenienza in questi casi, per evitare di fornire agli utenti piste di ricerca
erronee o addirittura fuorvianti.
32
Sul Ministero del commercio e lavori pubblici, si veda in particolare l’inventario (con studio storico-istituzionale) LODOLINI TUPPUTI. Ricordo ancora una volta che il settore che potremmo
chiamare dei lavori pubblici di acque e strade è certamente quello meglio rappresentato in assoluto nelle unità della Collezione I, non solo per l’Ottocento ma anche per i secoli precedenti.
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Daniela Sinisi
denza e gestione della catastazione e della imposizione fiscale sui beni
immobili presenti nei vari comuni dello Stato pontificio, quale fu la Presidenza generale del censo33.
Ancora, per fare un altro esempio, fu completamente riformato tutto
l’importante settore dei lavori pubblici di acque e strade, prima negli anni
immediatamente successivi alla Restaurazione, con l’istituzione di organi
consultivi quali il Consiglio d’arte o, tecnici, come il Corpo degli ingegneri di acque e strade, poi, con l’unificazione nel 1833 in un solo grande
organismo che sovrintendesse, come era auspicato da tempo, a tutti i
lavori pubblici statali: la Prefettura generale di acque e strade.
Anche l’amministrazione degli “affari interni”34 - da fine Cinquecento
affidata per quel che concerneva la supervisione delle amministrazioni
comunali dal punto di vista finanziario, alla Congregazione del buon
governo - viene riformata radicalmente con l’istituzione nel 1816 della
Direzione generale di polizia che aveva competenze sul cruciale settore
dell’ordine pubblico. Nel 1833 venne istituita la Segreteria per gli affari di
Stato interni, che preludeva al vero e proprio Ministero dell’Interno, mentre parallelamente si ridisegnò ex novo la struttura dell’amministrazione
periferica dello Stato (articolata in legazioni e delegazioni, governi e
comuni). Infine fu rinnovato completamente l’assetto dei tribunali pontifici, ispirandolo a criteri di maggiore razionalità e uniformità sul territorio35.
In questo complesso di istituzioni nuove o rinnovate irrompe, poi,
alla fine del 1847, il motuproprio di Pio IX che istituisce i veri e propri
Ministeri36, trasformando ancora, nell’ultimo ventennio di potere papale,
lo scenario politico e amministrativo dello Stato ecclesiastico.
33
Dalla Presidenza del censo e dal suo grande archivio provengono numerose unità della
Collezione I. Ricordo qui che ad essa sono state comunque attribuiti anche alcune copie o
estratti di mappe catastali, effettuati dalla Presidenza per scopi non precisati nelle unità grafiche stesse.
34
Va ricordato che gli archivi dei due massimi organismi di governo per quel che riguardava la politica interna dello Stato pontificio, la Sacra Consulta e la Segreteria di Stato, non
sono presenti nell’Archivio di Stato di Roma
35
Su questo periodo fondamentale di trasformazioni istituzionali sono stati scritti numerosissimi e documentati saggi e volumi, che qui è impossibile ricordare analiticamente. Resta
fondamentale lo studio di A. Caracciolo in CARAVALE - CARACCIOLO; per una prima informazione,
sintetica ma puntuale, anche sugli archivi conservati dall’AS Roma, si veda in particolare LO
SARDO 1994 e, sulla riforma dei tribunali pontifici VENZO.
36
Tra gli archivi dei ministeri pontifici ricordo tra gli altri quello importante e finora non
citato, del Ministero delle armi, anch’esso molto ben rappresentato - con i suoi precedenti istituzionali (Congregazione delle armi, Presidenza delle armi) - nel campo “archivio di provenienza”, in molte piante della Collezione I.
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27
In un quadro, dunque, di organismi che si susseguono ma che spesso sovrappongono le loro competenze oppure cadono in parziale desuetudine o mutano articolazioni interne, è ovvio che sia molto difficile ed
anche archivisticamente rischioso, indicare con plausibile attendibilità le
provenienze delle moltissime unità datate o databili al XIX secolo (dopo
la breve ma intensa esperienza napoleonica, della quale peraltro sono
documentati alcuni aspetti nella stessa Collezione): chi utilizzerà l’inventario ne dovrà tenere necessariamente conto.
In questi casi, soprattutto per il trentennio di transizione che va dalla
Restaurazione alla istituzione dei Ministeri, si è talvolta indicato, per un
certo ambito di competenza (ad es. l’amministrazione di acque e strade)
un gruppo di archivi (ad es. Presidenza delle strade o Prefettura generale
di acque e strade o Consiglio d’arte o Corpo degli ingegneri pontifici di
acque e strade) - specie in assenza di una datazione precisa presente
sull’unità grafica e di elementi identificativi certi - oppure uno solo tra gli
archivi di queste stesse istituzioni, che sia sembrato, per analogia con
altre unità presenti nella Collezione, il più probabile contenitore dell’unità grafica in esame37.
Maggiori certezze, invece, si possono avere per il periodo in cui, già
in via sperimentale alla metà degli anni trenta dell’Ottocento, ma decisamente dal 1848, fu adottato diffusamente nello Stato pontificio un sistema
di protocollazione e/o classificazione degli atti, con annesso utilizzo di
timbri e adozione di denominazioni ufficiali per amministrazioni, direzioni o divisioni.
Poiché tali riferimenti vengono apposti spesso in calce ai documenti
e dunque anche ai documenti grafici, è stato possibile individuare con
Per il trentennio in questione sono presenti nella Collezione I, per fare l’esempio di un
ambito amministrativo da me meglio studiato, molte unità grafiche provenienti dagli archivi
dell’Amministrazione delle strade (profondamente riformata già negli anni 1817-1818), relative
a tratti stradali e ponti, la cui attribuzione precisa sarebbe impossibile se non con lunghissime
ricerche. Voglio citare il caso, recentemente segnalatomi, degli accurati studi su un gruppo di
tali unità, effettuati dalla collega Orietta Verdi, che alla fine del 2012 ha esaminato per la partecipazione ad un convegno la documentazione d’archivio relativa agli ingegneri Mollari e
Pistocchi, per il periodo 1818-1820. In quella occasione ha potuto individuare la certa provenienza del volumetto contenente il progetto (con piante) per il ponte al Godolino, sulla via
Flaminia nelle Marche, esercizio 1818-1819, (attualmente in CDM, I, cart.112, u.n. 301): tale
volume con progetto e piante - da me inizialmente attribuito all’archivio della Presidenza delle
strade - era stato, in effetti, inviato per l’approvazione al Consiglio d’arte ed era stato esaminato
dall’architetto Pietro Camporese, che vi fa riferimenti dettagliati. È all’archivio del Consiglio
d’arte, dunque, e precisamente alla busta 57, fascicolo k, che andrebbe idealmente riunito il
volume in questione.
37
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Daniela Sinisi
certezza l’istituzione di appartenenza. In alcuni casi e anche grazie a
segnalazioni di studiosi e ricercatori, si è potuto perfino indicare la “posizione” cui l’unità grafica doveva appartenere ed il numero della unità di
conservazione dell’archivio in cui andrebbe oggi ricollocata38.
Si segnala infine che , sotto lo stesso campo “provenienza archivistica” (o a.p.), sono stati indicati, per comodità degli utenti, anche se in
maniera non del tutto propria, i pochissimi casi di acquisizione di piante
attraverso acquisti e doni, nel caso in cui ne sia stata data notizia attraverso scritte presenti sulle unità stesse.
Voglio in ultimo ricordare che, a corredo dell’inventario, sono stati
elaborati accurati indici dei nomi di persona (antroponimi) e di luogo
(toponimi). I primi comprendono tutti i nomi di coloro che compaiono o
sono citati in uno dei campi del data-base; viene segnalato sempre almeno il cognome di ciascuna persona (o famiglia) citata, al quale si è quasi
sempre riusciti ad affiancare il nome di battesimo, anche se non presente,
semplicemente sciogliendo sigle, oppure invece ricavandolo attraverso
appropriate ricerche nei repertori. Ogni volta che sia stato possibile, a
fianco di cognome e nome, è stata indicata anche la qualifica, come ricavata dalle scritte e dalle sottoscrizioni presenti sull’unità grafica (architetto,
perito, agrimensore oppure, camerlengo, presidente delle strade, etc.). Si
è pensato di indicizzare anche i nomi dei proprietari, possessori, affittuari
di beni immobili citati spesso nella denominazione della pianta, ritenendo
utile rendere fruibile agli studiosi questo cospicuo patrimonio di informazioni, poco conosciuto attraverso altre fonti documentarie.
Per quel che riguarda invece i toponimi39, (alcune migliaia sono quelli rilevati) ci si è proposti di indicizzare sistematicamente tutti i nomi di
luogo presenti nei vari campi descrittivi dell’unità grafica. Si è cercato di
farlo, tenendo conto delle sole indicazioni presenti nella scheda, artico-
38
Molte segnalazioni sono giunte all’AS Roma nell’ultimo trentennio grazie ad approfonditi studi di storia delle istituzioni, storia dell’architettura e dell’urbanistica o di toponomastica
condotti da ricercatori, storici o semplici appassionati di storia locale. Per quanto riguarda in
particolare la Prefettura generale di acque e strade, dal cui archivio proviene il maggior numero di unità grafiche idealmente ricollocabili, voglio in particolare ringraziare gli architetti Francesco Giovanetti e Susanna Pasquali, e, in particolare, l’amico, topografo e studioso di carte
d’archivio, Adriano Ruggeri.
39
La quasi totalità dei toponimi indicizzati è relativa alle diverse province e territori dello
Stato pontificio, mentre un’esigua minoranza riguarda altre zone d’Italia. È da ricordare che
nello Stato pontificio erano compresi anche il territorio di Avignone - che, però, compare come
toponimo in due soli casi - e il territorio della provincia di Benevento, vera e propria enclave
pontificia situata geograficamente nel Regno di Napoli.
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Per una storia della Collezione di disegni e mappe
29
lando l’indice su tre livelli: (toponimo) principale; specifica; ambito territoriale40.
Il toponimo principale - sempre indicato - si riferisce al luogo o ai
luoghi (città e/o suo territorio, fiume, strada, area geografica etc.) rappresentati nella pianta. Laddove poi, sia indicata anche una località specifica
di riferimento (ad esempio contrada, vocabolo, tenuta, oppure via, piazza in una città), tale luogo è indicato nel livello specifica. Più raramente,
invece, è indicato il livello ambito territoriale e solo se citato nel campo
denominazione della pianta.
Va segnalato che, quando sono stati indicizzati toponimi relativi a
città e paesi dello Stato pontificio (o anche dello Stato italiano), nel toponimo principale sarà indicato il nome della città o paese, aggiungendo
accanto “città”, se si tratta di vie, piazze, palazzi situati entro le mura cittadine o nei confini del centro abitato, oppure “territorio”, se si tratta di
contrade, vocaboli oppure di torrenti, fiumi e strade o altro, compresi nel
contado o territorio di quella stessa località.
Un’avvertenza particolare va fatta per quel che riguarda la città e il
territorio di Roma, ai quali, come si è detto, si riferiscono numerosissime
unità grafiche della Collezione I. Anche in questo caso ci si è attenuti alla
regola sopra enunciata, distinguendo tra Roma città, con relative specifiche, e Roma territorio, con relative specifiche. Per il territorio della capitale va tenuto presente però che esso si articolò, nelle varie epoche, in un
territorio che potremmo definire comunale, denominato Agro Romano (o
Agro Romano e Suburbio) - che comprendeva l’area più vicina alla città
- e in un territorio più vasto, esteso tutto intorno, fino al mare ed ai castelli
romani e oltre, che potremmo indicare come territorio provinciale di
Roma, designato stabilmente nell’Ottocento, come Comarca. Nell’indicizzazione si è data l’indicazione dell’ambito territoriale “Agro Romano”,
“Suburbio” o “Comarca” di Roma41, in corrispondenza del toponimo principale “Roma, territorio” solo se tale indicazione di contesto geografico sia
esplicitamente contenuta nella denominazione originale della pianta42.
40
Si sono indicati in principale anche i nomi attualmente in uso di cittadine e paesi che
nelle piante della collezione erano individuati con toponimi oggi non più esistenti; ad esempio
troveremo in principale il nuovo toponimo Priverno, col rinvio, in specifica, a Piperno - che
costituiva la denominazione della cittadina laziale fino al 1927- seguito da vedi.
41
Sulla Campagna romana restano fondamentali i volumi di TOMASSETTI. Su varie tenute
e casali dell’Agro romano, si vedano in particolare gli approfonditi e documentati studi di Jean
Coste e, in questo stesso volume, il saggio di S. Passigli e A. Ruggeri.
42
Per il periodo postunitario, è talvolta indicato invece, “Roma, comune” e “Roma, provincia”.
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Il complesso di tali indici onomastici e toponomastici fornisce, come
si vede, assai più ampie possibilità di accesso mirato alle unità della Collezione, rispetto al precedente elenco-inventario cartaceo che faceva riferimento ad un toponimo “prevalente”, individuato talvolta in maniera
assai soggettiva, se non erronea, dagli schedatori dell’epoca43.
***
Voglio concludere queste note, necessariamente sintetiche, sottolineando che questo lavoro, come tutti quelli vasti, elaborati a più mani, relativi a contesti diversissimi tra loro, va inteso dai futuri utenti come risultato, speriamo utile anche se non perfetto, di un work in progress.
Sono certa che esso potrà affinarsi in futuro, sia se gli archivisti vorranno proseguire nell’opera impegnativa di schedatura delle altre collezioni cartografiche e iconografiche dell’Archivio, sia se studiosi e ricercatori vorranno far giungere approfondimenti, suggerimenti, correzioni
all’Archivio di Stato e alla curatrice del presente lavoro.
Voglio ringraziare qui la Direzione generale per gli archivi, che ha
sempre sostenuto il mio impegno, in particolare le dottoresse Anna Pia
Bidolli e Patrizia Ferrara, che insieme con il dottor Mauro Tosti Croce,
hanno reso possibile questa pubblicazione, e i direttori dell’Archivio di
Stato di Roma che si sono succeduti alla guida dell’Istituto nel lunghissimo periodo di gestazione e di realizzazione dell’opera, Elio Lodolini,
Lucio Lume, Luigi Londei ed Eugenio Lo Sardo.
Un ringraziamento affettuoso va ai numerosi colleghi e collaboratori
che hanno lavorato con passione e fornito utili indicazioni per la migliore
riuscita dell’opera.
43
Non è forse superfluo ricordare che la schedatura informatizzata dà, di per sé, la possibilità all’utente di effettuare ricerche puntuali sui vari “campi”, attivando l’apposito comando
“modifica” e poi “trova”. Per una breve introduzione esplicativa sull’impostazione generale del
data base, si rinvia alle Note per l’utilizzo del software, di Salvatore Miele, che precedono le
schede descrittive nel database.
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ORIETTA VERDI
Restauro, conservazione, riproduzione digitale delle piante e dei
disegni
Il fondo miscellaneo di piante e disegni conservato all’Archivio di
Stato di Roma, conosciuto come Collezione di disegni e mappe, e suddivisiso in tre parti, è stato oggetto nel corso degli ultimi due decenni di
una costante attenzione sotto il profilo della conservazione, del restauro
e della riproduzione, prima fotografica e poi digitale.
La conservazione delle piante e dei disegni, soprattutto di quelli di
grande formato, ripiegati anche più volte in cartelline, a loro volta riposte
in contenitori di cartone rigido chiusi con fettucce di cotone, si era rivelata da tempo assolutamente inidonea e poco pratica per il prelievo e la
ricollocazione.
Inoltre il materiale iconografico presentava livelli preoccupanti dei
fattori di degrado che si possono riassumere in due categorie fondamentali: danni derivati dall’acidità degli inchiostri, localizzati sulle zone di
scrittura (legende, scritte, cartigli) e sul tracciato dei disegni, che consistono in un processo progressivo di perforazione del supporto con perdita del testo; danni conseguenti alla manipolazione incauta, alle piegature del supporto e talvolta all’acidità dei componenti della pasta di cellulosa impiegata per ottenere il foglio di carta del supporto: lacerazioni
più o meno profonde, strappi, corrosione, sfaldamento, che nei casi più
gravi giungono a compromettere completamente l’integrità del disegno o
della pianta che si presenta ridotta in pezzi.
Grazie a risorse messe a disposizione negli anni Novanta e successivamente fino al 2009, l’intera Collezione I è stata restaurata e condizionata in nuove cartelle di cartoncino a lunga conservazione, di grammatura
media e di grande flessibilità, il cui formato (cm 80:100) ha permesso che
la maggior parte dei disegni vi fosse ospitata senza piegature o con al
massimo una piega leggera; le cartelle vengono poi riposte in contenitori
rigidi in cartone telato a lunga conservazione del medesimo formato, a
gruppi di circa 15 ciascuno, e infine i contenitori sono conservati distesi
su solide griglie metalliche studiate e realizzate all’uopo.
Il materiale grafico della Collezione I è molto eterogeneo quanto alla
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32
Orietta Verdi
1. Bozzetto dell’affresco
della cappella Castellani
in S. Francesco a Ripa,
inviato da Giovan Battista
Ricci a Cristoforo Greppi,
Roma, ante 1614
tipologia di rilievo, al
formato e in alcuni
casi al supporto, che
è sempre cartaceo,
talvolta su velina: si
va dalla piccola pianta o disegno di formato fino a cm 21:30, alla pianta
topografica, ai disegni di architettura, ai bozzetti di opere pittoriche e
decorative (fig. 1), i cui formati medi rientrano in cm 50:70, all’estratto di
mappa catastale (fig. 2), i cui formati arrivano in genere a cm 80:100, fino
alla planimetria di dimensioni eccezionali (si può arrivare a 6 mt. e più di
lunghezza per le piante del secolo XIX).
Le carte sono in genere di grammatura consistente, vergate o veline,
fabbricate con paste di cellulosa non sbiancate, di color avorio, crema o
giallastre, a seconda del secolo di riferimento; spesso le carte fabbricate
nei primi decenni dell’Ottocento sono di qualità scadente perché contengono un’alta percentuale di lignina miscelata alla polpa di cellulosa, di
conseguenza si lacerano e si ingialliscono facilmente, si infragiliscono e
si spezzano perché aggredite dell’acidità dei componenti.
Per quel che riguarda le mediazioni grafiche e le tecniche di esecuzione dei disegni, pur trattandosi nel 90% dei casi di realizzazioni ad
inchiostro e acquarello, possiamo trovarci di fronte per il secolo XVII, a
un tratteggio a sanguigna, matita di grafite, lavis di seppia, lumeggiatura
in biacca o gesso bianco: tutte tecniche che presuppongono ovviamente
trattamenti a secco e che pongono problematiche diverse in fase di
restauro, da affrontare volta per volta.
La progettazione dei lotti da inviare al restauro nel corso degli anni è
stata preceduta da un capillare lavoro di censimento delle piante e delle
tipologie di danno che vi si riscontravano, in base al quale sono stati selezionati e inviati al restauro prima la cartografia molto danneggiata e inconsultabile, poi il materiale con danni meno gravi e infine le piante con pie-
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Restauro, conservazione, riproduzione digitale
33
2. Topografia di una porzione delle comuni di
Albano e Castel Gandolfo,
XVIII sec. (AS ROMA,
CDM, I, cart. 1, n. 20)
gature che necessitavano soltanto di essere spianate, distese e
condizionate in modo idoneo.
Nel corso di quasi vent’anni sono state restaurate e condizionate
circa 2.500 unità cartografiche, l’ultimo lotto delle quali - costituito da 170
piante - si è concluso nel 2012.
Metodologie e tecniche di restauro del materiale cartografico
Per poter programmare un corretto intervento di restauro è necessario esaminare e valutare l’unità cartografica nel suo complesso, incluso le
tracce che il decorso del tempo vi ha sedimentato (patina, ingiallimento,
acidità, indebolimento del supporto, pieghe). Per lo meno dagli anni Settanta il conservatore e il restauratore si prefiggono un medesimo risultato: premesso che il restauro è da considerarsi l’extrema ratio, l’ultimo
tentativo di recuperare il documento, e che esso rappresenta comunque
un momento critico per la documentazione cartacea, l’intervento deve
necessariamente essere conservativo, limitandosi a bloccare tutti i fenomeni di degrado chimico-fisico e a ripristinare la funzionalità del bene e
possibilmente la sua integrità estetica e storica, senza alcuna alterazione.
Dunque il restauro deve essere conservativo e per conseguire tale
risultato è indispensabile che l’intervento non solo sia riconoscibile, valore importantissimo che permette di distinguere un originale restaurato da
una riproduzione dell’originale, tipica del falso storico, ma deve poter
permettere sempre la sua eventuale rimozione.
L’osservanza di questo fondamentale principio può consentire nel
futuro, con l’evoluzione degli studi sulle tecniche e sui materiali di restauro, di migliorare il tipo di operazione, oltre a permettere sempre, in caso
di restauro errato, la rimozione dell’intervento.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 34
34
Orietta Verdi
3. - Controllo solubilità
4. - Spolveratura e pulizia a secco
5. - Deacidificazione mediante nebulizzazione
6. - Fissaggio e pigmenti
7. - Mending
8. - Velatura
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Restauro, conservazione, riproduzione digitale
35
Per tale motivo tutti i materiali impiegati durante queste delicatissime
fasi devono essere reversibili.
La predisposizione del materiale cartografico da inviare al restauro
avviene attraverso una schedatura tecnica dell’unità cartografica, accompagnata dalle immagini del ‘pezzo’, nella quale vengono rilevati gli elementi costitutivi del documento (caratteristiche della carta, dei pigmenti,
degli inchiostri), la segnatura, il tipo di condizionamento, i danni riscontrati, le prescrizioni per il restauro e il nuovo condizionamento.
Il restauro prevede una prova di solubilità delle mediazioni grafiche
da eseguirsi su un punto marginale della carta (fig. 3) e comunque è sempre preliminarmente adottata la pulizia a secco con pelle scamosciata e/o
con pennello secco, della cartografia che presenta pigmenti colorati, onde
asportare materia polverosa e talora micotica, residui di inchiostro, che si
trovano depositati sui supporti (fig. 4). Se è possibile un trattamento
acquoso, si passa il disegno in soluzione deacidificante tiepida per qualche minuto, oppure si procede dopo la pulizia a secco, a deacidificare le
parti aggredite dall’acidità con un prodotto nebulizzato (fig. 5); dopo
l’asciugatura si provvede alla ricollatura della carta sul verso per restituire
consistenza e flessibilità al supporto mentre sul recto del foglio si può passare un fissativo a spruzzo per ottenere una maggiore aderenza dei pigmenti al supporto cartaceo ed evitare che si scoloriscano (fig. 6).
A questo punto si possono integrare le parti mancanti (lacune e
strappi) mediante l’ausilio di carta giapponese adesa con metilcellulosa
al 4% (fig. 7); in caso di forte indebolimento del supporto si applica un
velo di carta giapponese del tipo Vang 502 su tutto il verso del disegno
per consolidarne la struttura e si rifila il velo eccedente ai bordi (fig. 8).
Il disegno viene poi disteso e spianato sotto pressa leggera tra teli di
cotone e fogli di reemay per non appiattire il rilievo del tratteggio e condizionato in cartelle-custodia di cartoncino poroso a lunga conservazione, dotato di buona riserva alcalina.
L’intera collezione era stata sottoposta negli anni Ottanta a microfilmatura di sicurezza in bianco e nero; la scansione digitale dei disegni
viene eseguita a pagamento e su richiesta degli utenti della sala di studio.
Le risorse a disposizione non hanno permesso la realizzazione di una
scansione digitale a tappeto della Collezione I che viene quindi ancora
consultata mediante microfilm.
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Pianta, che mostra la navigazione tra Bologna e Ferrara, e lo Stato delle Valli e del Reno, e della Lorgana condotto fino al Po’ di Primaro fatta l’anno 1609 in occasione della Visita Gualtieri, sec. XIX (AS ROMA, CDM, I,
cart. 65, n. 363)
Pianta delle Paludi
Pontine formata per
ordine di nostro signore Pio Papa VI, 17771799 (AS ROMA, CDM,
I, cart. 51, n. 18)
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1. Territorio di Farfa. Vocabolo Ponticello, sec. XVII (AS ROMA, CDM, I, cart. 27, n. 34)
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2.Cervia. Pineta e saline comprese tra il fiume Savio, il mare e La Pallatta di Cervia, 1748 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 16, n. 151)
3. Tipo di situazione delle acque che animano le camerali fabbriche de tabacchi e della carta nel territorio di
Chiaravalle ed il mulino Oddi ora Gabrielli, sec. XIX (AS ROMA, CDM, I, cart. 18, n. 212)
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4. Dichiaratione delle cose più notabili descritte nella presente pianta della Selva di Portuarno, nei pressi di
ponte Felice sul Tevere, 1776 (AS ROMA, CDM, I, cart. 9, n. 109)
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5. Pianta topografica
della tenuta di Bagnone, compresa tra i territori di Cingoli e San
Severino, 1778 (AS
ROMA, CDM, I, cart. 18,
n. 231)
6. Pianta della porzione del Polesine di Ferrara dalla Mesola al mare, 1749 (AS ROMA, CDM, I, cart. 11, n. 26/II)
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7. Pianta del territorio di Bagnacavallo, compreso tra i fiumi di Po di Primaro, Senio e Lamone, 1687 (AS
ROMA, CDM, I, cart. 7, n. 4)
8. Pianta dei terreni
controversi
tra
le
comunità di Ceccano e
Frosinone (con particolari dei due abitati),
1776 (AS ROMA, CDM,
I, cart. 15, n. 126/II)
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9. Disegno che mostra l’andamento delle tre linee dove due di terra, ed una di acqua con suoi pilastri e numeri, con cui, nel Trattato di Melara segnato li 3 maggio 1757 furono stabiliti li confini tra il Ducato di Mantova
e lo Stato Pontificio nel Ducato di Ferrara (…), 1765-1766 (AS ROMA, CDM, I, cart. 29, n. 80/1-2)
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10. Ancona. Darsena. Progetto
di ingrandimento, e variazione, 1817 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 2, n. 87/II-III)
11. Prospetto
(con veduta
della città),
CDM, I, cart.
del porto di Fano
a volo d’uccello
1718 (AS ROMA,
26, n. 20)
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12. Porto di Ancona. Progetto della ricostruzione del muro fra l’arsenale e l’Arco Traiano, 1853 (AS ROMA,
CDM, I, cart. 3, n. 124)
13. Prospetto di Civitavecchia nel tempo di Papa Clemente XI 1700-1721, sec. XVI (AS ROMA, CDM, I, cart. 19,
n. 271)
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14. Prospetto del lato sud-ovest del forte Michelangelo in Civitavecchia, 1870 (AS ROMA, CDM, I, cart. 20, n. 313)
15. Ascoli. Pianta prospetto e spaccati della chiesa di S. Francesco, sec. XIX (AS ROMA, CDM, I, cart. 6, n. 242)
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16. Carpegna. Prospetto del palazzo
baronale “ora spettante alla Reverenda
Camera Apostolica”,
1816, (AS ROMA,
CDM, I, cart. 12, n.
62/1)
17. Pianta della Rocca di Camerino, 1827 (AS ROMA, CDM, I, cart. 11, n. 12/1)
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18. Pianta del locale pei nuovi Archivi in Bologna, 1860, (AS ROMA, CDM, I, cart. 11, n.99, sottounità n. 2)
19. Spaccato in lungo
del nuovo lazzaretto
proposto per il Porto di
Civitavecchia, sec. XIX
(AS ROMA, CDM, I,
cart. 19, n. 283/III)
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20. Disegno ideato da me infrascritto per le nuove Carceri da farsi nella Città di Frosinone, 1822 (AS ROMA,
CDM, I, cart. 32, n. 170/1)
21. Provincia di
Camerino. Carceri
Camerali di Camerino, 1845 (AS
ROMA, CDM, I, cart.
11, n. 16)
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22. Pianta della piazza della città di Ancona, con la chiesa e convento dei RR.PP. Domenicani, ed altre fabbriche ad esse aderenti, e con l’alzato di alcune di esse, sec. XIX (AS ROMA, CDM, I, cart. 3, n. 129)
23. Pianta della
Città della Pieve,
sec. XVII (AS ROMA,
CDM, I, cart. 18, n.
244)
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24. Relitti di Tevere nel territorio di Magliano dalla Reverenda Camera Apostolica conceduti in enfiteusi al
signor Prospero Celestini, 1788 (AS ROMA, CDM, I, cart. 41, n. 28)
25. Pianta del corso
degli scoli del Polesine
di Ferrara nell’ultimo
suo tratto verso il mare
coll’indicazione dei tre
progetti per la riduzione
del Canal Bianco, 1745
(AS ROMA, CDM, I, cart.
11, n. 25)
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26. Mappa del lago di Bolsena, con profilo dell’emissario fiume Marta e profilo di livellazione del lago (…), 1766
(AS ROMA, CDM, I, cart. 9, n. 100)
27. Pianta di una porzione del Tevere in tenuta Baschi dove sta il porto di Macciano dove dall’illustrissimo
signor conte Egidio Baschi si vorrebbe collocar detto porto (...), 1687 (AS ROMA, CDM, I, cart. 7, n. 14)
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28. Pianta della
Cavet(t)a
delle
Lumiere (Allumiere), 1708
(AS
ROMA, CDM, I,
cart. 1, n. 33/3)
29. Nuova a paratoie mobili per la derivazione dell’acqua della fabbrica dei tabacchi di Chiaravalle, 1856, (AS
ROMA, CDM, I, cart. 18, n. 216/II)
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30. Tipo VI: Elevazioni dimostranti
il meccanismo dei
pistelli e il movimento della macchina che serve
alla trafila dei
piombi, 1823 (AS
ROMA, CDM, I,
cart.
18,
n.
215/VI)
31. Pianta del sotterraneo della fabbrica dei
tabacchi di Chiaravalle, 1823 (AS ROMA, CDM,
I, cart. 18, n. 215/III)
32. Pianta del forno di fusione delineato con i commodi e con il metodo prescritto in un foglio da monsieur
Luigi Boichot, 1786, (AS ROMA, CDM, I, cart. 12, n. 53)
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33. Descritione con sue annotationi della presente delineata pianta continente la campagna di Sermoneta e
Sezza con fiumi, torenti e fossi et altro esistente nelli medemi spetanti tanto all’Illustrissimo et Eccellentissimo
Sign. Duca Gaetano Francesco Caetano, Duca di Sermoneta quanto alla comunità e Signori particolari di Sermoneta (...), 1697 (AS ROMA, CDM, I, cart. 51, n. 17/1)
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34. Pianta della Valle
Umbra disegnata da
Bordoni su ordine del
cardinale Francesco
Barberini, 1704 (AS
ROMA, CDM, I, cart.
124, n. 267)
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35. Pianta delle
Chiane con i confini tra il Taglio delle
Cannucce e il
Chiaro di Chiusi
nella zona di confine tra lo Stato
pontificio e il Granducato di Toscana,
1605 (AS ROMA,
CDM, I, cart. 17, n.
173)
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36. Misura e pianta
fatta della tenuta di S.
Anastasia posta fuori
Porta S. Bastiano delli
Illustrissimi et Reverendissimi
Signori
Canonici di S. Anastasia, 1660 (AS ROMA,
CDM, I, cart. 94, n.
825)
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38. Pianta della tenuta di S.
Broccola
dell’Illustrissimo
Signor Mario dé Massimi posta
fuori di porta S. Paolo (…),
1588 (AS ROMA, CDM, I, cart.
94, n. 827/1)
37. Agro Romano. Pianta e
misura del casale di Capo di
Bove (…), 1587 (AS ROMA, CDM,
I, cart. 92, n. 724)
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39. Tenuta di Malpasso delle RR. Monache di S. Silvestro in Capite, 1674 (AS ROMA, CDM, I, cart. 93, n. 774)
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40. Agro Romano.
Casale d’Acquasona
del Venerabile Archiospitale di S. Giacomo
dell’Incurabili e di S.
Rocco, 1670
(AS
ROMA, CDM, I, cart.
92, n. 708)
41. Pianta del Territorio dell’Isola della Reverenda Camera Apostolica fuori Porta del Popolo, sec. XIX (AS
ROMA, CDM, I, cart. 93, n. 762)
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42. Icnografia di due camere della casa scoperta nella Vigna Volpi in Via Aventina, sec. XIX (AS ROMA, CDM,
I, cart. 127, n. 13)
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33. Pianta di diversi Corpi di terreno formanti un sol Corpo detto Villa Coltella, situati dentro Roma, quali
al presente coltivansi ad uso o d’orto caseleno, e Pantano spettanti all’Eccellentissimo Signor Senator Savioli
in passato, estratta in piccolo dall’originale del Sig. Giovanni Gabrielli Perito Geometra, 1812 (AS ROMA,
CDM, I, cart. 127, n. 3)
34. Prospetto della parte
delle Mura di Roma che servono di sostegno alle terre
della Pubblica Passeggiata
al Pincio verso Tramontana
secondo lo stato del 1828
(…), 1828 (AS ROMA, CDM,
I, cart. 77, n. 200)
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35. Roma. Chiesa di S. Giuseppe sopra S. Pietro in Carcere, interno e organo, 1714, (AS ROMA, CDM, I, cart.
86, n. 528)
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36.Legazione di Bologna descritta da Giovanni Antonio Magini dedicata al Revendissimo Padre Don Gaetano
Maria Gozzadini, 1710 (AS ROMA, CDM, I, cart. 9, n. 97)
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PAOLO BUONORA
Fiumi di carta
Fondi, serie, collezioni cartografiche
Un intervento di inventariazione sui fondi “cartografici” pone alcuni
problemi preliminari di non facile soluzione. Anzitutto, la definizione:
fondi cartografici. A rigore, possono definirsi tali solo particolari serie
(mappe catastali innanzitutto, ma anche cartografia peritale di uffici tecnici, etc.) formate principalmente da materiali cartografici: ciò accade
quando un ente per le proprie finalità produce e conserva sistematicamente materiale cartografico. Questo materiale è legato da un “nesso
archivistico”, che andrebbe rispettato nella conservazione e inventariazione1; tuttavia, negli archivi vi sono spesso raccolte cartografiche che non
nascono come serie di un fondo, ma come raccolte il cui materiale proviene da fondi disparati, create ai fini del migliore condizionamento del
materiale, per il fascino estetico che hanno i documenti grafici, e così via.
Infine, vi sono fondi particolarmente ricchi di documentazione cartografica, che però non costituisce serie a sé - salvo che nel caso delle raccolte
di cui sopra - ma è prevalentemente inserita nel contesto del fondo: nei
fascicoli di atti giudiziari o amministrativi, o addirittura rilegata nei protocolli notarili. In molti casi la situazione che si ha di fronte è una combinazione dei tre casi sopra esposti: a un preesistente nucleo seriale cartografico si sono aggiunti disegni e piante fino a formare una collezione,
effettuando da uno o più fondi una “scrematura” che ne ha espunto le
carte più grandi e pregevoli ma lasciando nelle buste il grosso della
documentazione grafica: è appunto il caso della Collezione I di disegni e
mappe conservata presso l’Archivio di Stato di Roma.
Per mostrare questi caratteri strutturali e genetici del fondo miscellaneo (ossimoro archivistico per eccellenza) in questione, vorrei portare
l’attenzione su un documento d’archivio per noi prezioso, conservato
presso il fondo Congregazione delle acque: un elenco di mappe delle
rive del Tevere nei pressi di Ponte Felice sulla Flaminia (Magliano Sabi1
Cfr. DORSI.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 38
38
Paolo Buonora
no). Con tutta evidenza, questo elenco fu compilato da Antonio Felice
Facci, che al tempo ricopriva il ruolo (ufficioso) di ingegnere di fiducia
della Congregazione in tutto lo Stato: nella busta d’archivio è infatti preceduto da una sua relazione firmata, datata 10 agosto 1756 e rilegata in
un quadernetto con una copertina colorata, la quale ci informa appunto
che “al mio ritorno dalla Valle Spoletana, visitai il 9 e 10 di febbraio del
corrente anno 1756 per comando delle EE. VV. le ripe del Tevere”. In
questo elenco, l’ingegnere idraulico fa una lista dettagliata di tutte le
“piante per i lavori fatti a Ponte Felice” dal 1620 al 1756. La quasi totalità
di queste piante si ritrova oggi nella Collezione I di disegni e mappe, a
riprova di due cose: 1) una serie cartografica esisteva già nel fondo d’origine della Congregazione delle acque; 2) questa serie è migrata in maniera piuttosto compatta nelle cartelle 118-119 della Collezione I.
Per inquadrare l’aspetto tematico – cartografia e acque – esaminato
in questa sede, occorre premettere un accenno al dibattito, lungo e vivace, che ha impegnato gli istituti conservatori della documentazione cartografica per almeno 20 anni. Si parta infatti dal 1985, anno in cui si svolge a Napoli una settimana di studi organizzata dall’Istituto italiano per
gli studi filosofici2. Già allora era chiaro che per questi materiali, comuni
ad archivi, biblioteche e musei, vi erano molte schedature possibili, e
non solo quelle corrispondenti ai punti di vista “interni” alle strutture
istituzionali di conservazione (storia dell’arte, biblioteconomia, archivistica).
Ogni schedatura, diceva allora Quaini, è funzionale a una determinata ricerca: “per quanto analitica e totalizzante, una scheda è sempre
parziale. Questa parzialità ha la sua giustificazione solo nel programma
di ricerca (che evidentemente non può coincidere con il programma di
catalogazione!)”. L’unica strada praticabile è quella di una scheda semplice, preliminare allo studio degli elementi chiave (datazione, paternità,
committenza) che nella cartografia manoscritta moderna si ricavano, di
regola, solo con indagini approfondite da portare avanti “sul contesto istituzionale del documento cartografico. La scorciatoia dell’analisi formale
e stilistica della carta si rivela nella maggior parte dei casi fuorviante …
la scheda unificata non mi pare essere uno strumento significativo e idoneo in quanto per sua natura tende a uniformare situazioni istituzionali
diverse e specifiche”3.
Purtroppo, agli avvertimenti di Quaini non fu dato molto ascolto.
2
3
Gli atti sono stati pubblicati in VALERIO.
Ivi, p. 101.
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Fiumi di carta
39
Poco dopo, al convegno di Genova4, Osvaldo Baldacci5 insisteva con un
tipo di schedatura “di ricerca” onnicomprensiva; alla tentazione di “tutto
descrivere” non sfuggivano nemmeno archivisti di lunga esperienza6, che
tradizionalmente dovrebbero essere guardinghi rispetto al sovradimensionamento degli standard descrittivi. Le reazioni a questo approccio enciclopedico non mancarono, anche al convegno svoltosi in Liguria l’anno
successivo7. La scheda “monstre” di Baldacci in sei sezioni - osservò Ilario
Principe - era “un’autentica monografia interdisciplinare, totalmente inapplicabile alla situazione in cui versano archivi e biblioteche italiani”: in
realtà, non era una scheda di inventario ma una scheda di catalogo.
Dopo circa vent’anni l’ebbrezza enciclopedica alimentata dagli albori
dell’informatizzazione ha fatto il suo tempo: le Linee guida per la digitalizzazione del materiale cartografico pubblicate dall’ICCU con il contributo di molti colleghi confermano appunto gli indirizzi pragmatici e condivisi da tutti gli esperti di questa tipologia documentaria8. Uno dei punti
chiave è ad esempio il fatto che i materiali cartografici e grafici che troviamo nelle nostre collezioni – dalla pianta a volo d’uccello, alla mappa
catastale, al disegno architettonico – sono prodotti secondo le “regole
dell’arte” da professionisti, e sono quindi catalogabili sotto il nome di un
autore: autorialità che accomuna questi materiali anche quando si trovano nei fondi d’archivio, generalmente inventariati in base al principio di
provenienza di una produzione amministrativa, e non autoriale. Il lavoro
di reinventariazione presentato in questo volume è quindi un passo indispensabile e significativo in direzione della contestualizzazione istituzionale del documento cartografico cara a noi archivisti, e le considerazioni
che seguono intendono illustrare, fra i vari filoni di ricerca che negli anni
a venire porteranno a una migliore conoscenza di nostri documenti, quanto di questa ricca documentazione è pertinente agli affari che attengono
alla gestione delle acque nello Stato pontificio9.
Potremmo definire il grosso di questa documentazione “cartografia
peritale di interesse idraulico”. In questo tipo di cartografia vi è sempre una
perizia associata: gioca in questo il carattere giurisdizionale di tutte le magistrature, statali e non, sviluppatesi in età moderna; questo marchio d’origi-
Cartografia e istituzioni in età moderna, Genova 1987.
Cfr. BALDACCI.
6
Cfr. ORMANNI.
7
Cfr. PRINCIPE.
8
Versione aggiornata (maggio 2006) disponibile a: http://www.iccu.sbn.it/upload/documenti/linee_guida_digit_cartografia_05_2006.pdf.
9
Sul tema mi permetto di rinviare al mio BUONORA 1994b.
4
5
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 40
40
Paolo Buonora
ne è tale che anche le piante generali di un bacino idrografico, commissionate dalla Congregazione delle acque nel ‘600-’700, conservano la stessa
articolazione perizia/pianta che troviamo nelle piante minori portate in giudizio dalle parti. La modularità disegno/testo la si ritrova dai casi più antichi e sintetici costituiti dalle perizie stilate sulla pianta stessa, fino ai casi
più tardi in cui la specializzazione dell’arte ingegneristica ottocentesca produce progetti esecutivi con copiosa cartografia allegata; una modularità fortemente complementare: parafrasando un detto famoso possiamo dire che
la perizia senza la carta è cieca, la carta senza la perizia è muta.
Al di là della ristretta area di Roma e Comarca e salvo casi di aree a
gestione statale diretta (Paludi pontine, Chiane), tanto la committenza
quanto il contenuto di tali documenti è di un tipo ben definito: si tratta
di contenziosi in cui le parti in causa sono invariabilmente comunità, enti
ecclesiastici, privati (nobiltà o patriziato locale); anche quando l’intreccio
delle controversie spinge lo Stato a commissionare d’autorità una “pianta
generale”, le spese di redazione della medesima vengono “addossate”
alle parti in giudizio. Se cerchiamo di definire l’area rappresentata, troveremo che la definizione più calzante è proprio quella che fa riferimento
alla polarità costituita dalle parti in giudizio: tra il territorio della comunità
x e il territorio della comunità y, o i possedimenti del principe z. Vi sono
naturalmente vari livelli di integrazione tra documentazione visiva e scritta, dalla visita ai fiumi corredata da piccoli schizzi, fino alla grande pianta
stampata: in sostanza la cartografia inquadra la cima di una piramide
documentaria, costituita dal livello più elevato (e costoso) di intervento
tecnico-scientifico; al livello sottostante vi sono le relazioni di ingegneri
che non hanno immediati riferimenti ad una produzione cartografica ma si può dire che se un ingegnere non si mette al tavolino da disegno
la sua visita si limita ad un intervento di routine.
L’arte degli ingegneri e architetti d’acque
«Per quanto ho potuto vedere, benché siano chiamati architetti e in
italiano con lo speciosissimo nome di ingegneri, di nessuna cosa fanno
meno uso che dell’ingegno. Nelle scienze sono del tutto inesperti e ignari, e non hanno intravisto le buone teorie neppure sulla soglia, tutti affaccendati come sono a tracciare e colorir e disegni e carte, con cui attraggono gli sguardi dei potenti»: questa critica paternalistica del gesuita ferrarese Cabeo è dunque rivolta contro gli ingegneri “privi d’ingegno”10; chi
10
La citazione è ripresa da MAFFIOLI, p. 259.
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Fiumi di carta
41
erano questi professionisti della gestione idraulica?
Attraverso la gestione delle acque, dal medioevo al Rinascimento
matura nell’Italia comunale del centro-nord un “movimento di innovazione tecnica e di sviluppo economico e civile”11, nel cui contesto la cultura
umanistica affianca costantemente i progetti di sviluppo economico e di
pianificazione territoriale; è in questo contesto che nelle città e negli stati
italiani emerge una burocrazia tecnica, vocata a una responsabilità civica
dell’“arte” e della scienza, indirizzata al “pubblico vantaggio”: la nuova
cultura idraulica è consustanziale in effetti alla genesi e al funzionamento
della stessa struttura urbana, che si articola seguendo la distribuzione dell’acqua alle fontane, ai mulini e agli orti.
In questa processo di sviluppo legato all’acqua, questa “via delle
acque” – come intitola il recente libro di Cesare Maffioli - la nascita di una
nuova scienza non è opera degli ingegneri tardo-medievali e nemmeno
degli scienziati del Rinascimento (Leonardo incluso), ma semmai di una
figura nuova di intellettuale propria dell’età barocca. Il mondo degli architetti d’acque di formazione vitruviana, impegnati in una pratica ormai
secolare di gestione di irrigazioni e canalizzazioni, rimane nel ‘600 e ‘700
ben distinto da quello degli scienziati matematici con cui dialogava: in una
staffetta tra arte e scienza, i matematici sviluppano il lavoro fatto dalle pratiche dell’arte portandolo a un livello superiore di generalità ed esattezza;
gli architetti-ingegneri d’acque si affiancano ai primi, talvolta li precedono
nella critica della filosofia delle scuole, ma soprattutto continuano una attività professionale di analisi dei problemi idraulici reali e di intervento
operativo. Dei molti personaggi che potremmo citare, ne basti uno, Egidio
Bordoni, illustratore del trattato Della natura dei fiumi di Guglielmini e al
tempo stesso perito/cartografo, bolognese, ma attivo in tutto lo Stato pontificio, e autore di alcune belle piante della Collezione I.
La gestione delle acque documentata dalla cartografia ha quindi una
doppia valenza, da una parte come laboratorio vivo delle teorie idrauliche
per la storia della scienza, dall’altra come intervento sul territorio da parte
delle città o, in questo caso, dello Stato pontificio. A questa ambivalenza
corrisponde anche il fatto che perizie e piante possano ritrovarsi da un
lato in carteggi scientifici quando appartengono a matematici-scienziati
che facevano anche perizie sul campo, mentre restano nell’ambito di
archivi amministrativi se appartengono ad architetti d’acque-ingegneri.
Al di là delle prime esperienze di laboratorio, rudimentali e imprecise,
il territorio fu il reale banco di prova delle teorie idrauliche sviluppatesi dal
11
Ivi, p. 27.
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42
Paolo Buonora
1. B. Castelli, Della misura delle acque correnti, In Roma, nella Stamparia camerale,
1628. Frontespizio inciso (ponte Sisto) con
dedica a Urbano VIII
Rinascimento in poi, e la cartografia
prodotta da architetti d’acque e ingegneri fu il principale strumento di
indagine sperimentale utilizzato da
fisici e matematici. Un esempio ben
noto è il caso del calcolo delle precipitazioni in rapporto all’innalzamento
di livello del lago Trasimeno, effettuato da Benedetto Castelli, discepolo di
Galileo e fondatore dell’idraulica
come disciplina scientifica: i contrastanti interessi in merito dei proprietari dei terreni e di quelli dei mulini
sono documentati in due piccole piante della zona disegnate nel 1628 –
ossia lo stesso anno in cui Castelli pubblicò il suo trattato Della misura
delle acque correnti 12 – e nel 164913.
Questo, e molti altri casi, mostrano che l’attività cartografica peritale,
come altri strumenti provenienti dalla pratica delle “arti”, non possono
essere visti semplicemente come correlati, ma esterni alla dinamica di sviluppo del nuovo pensiero scientifico: le esperienze delle arti divengono
con la nuova scienza una via non solo privilegiata, ma ineludibile per
arrivare alla conoscenza delle cose, hanno un ruolo epistemologico, non
vi è sapere al di fuori di esse14. L’entusiasmo per la cartografia è condiviso
da ingegneri, matematici e dai politici – vedremo poi il caso dei Barberini
– che vedono in essa una nuova forma di conoscenza della realtà geofisica: si tratta di una forma debole di matematizzazione, che non è anco-
La sua analisi è riportata in una lettera a Galileo e nella appendice XII aggiunta alla
edizione 1639 del trattato Della Misura delle acque correnti, Roma, nella Stamparia camerale, 1628.
13
Lorenzo Petruzzi, Disegno del lago Trasimeno con l’emissario sotterraneo e i mulini, 11
aprile 1628; Terreni sulle sponde del lago Trasimeno, 3 novembre 1649, AS ROMA, CDM, I, cart.
58, fogli 181 e 182.
14
Cfr. BELLONE, p. 134: «non è possibile alcuna storia di una scienza empirica senza l’esplicito riconoscimento di un ruolo centrale della strumentazione sul piano della conoscenza».
12
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43
2. Lorenzo Petruzzi, Disegno del lago Trasimeno con l’emissario sotterraneo e i mulini, 11
aprile 1628. (AS ROMA, CDM, I, cart. 58, n. 181)
ra e necessariamente quantificazione e calcolo, ma solo una prima fase
di “concettualizzazione altamente selettiva che tende alla semplificazione”, e presuppone “una modellizzazione della realtà fisica”15.
Il quadro di riferimento di questa modellizzazione è nell’analogia
rinascimentale microcosmo/macrocosmo, tra corpo umano e geomorfologia della Terra vista come organismo vivo: un piano sul quale medicina
e idraulica fluviale, cura medica del corpo umano e progetto del matematico applicato all’ingegneria dei fiumi procedono in stretta assimilazione di metodi e schemi teorici; la cartografia sembra quindi configurarsi
molto presto come approccio “anatomico” al territorio e al fiume. La pratica delle dissezioni di cadaveri era attività comune agli artisti come ai
medici: Vincenzo Danti, fratello di Ignazio, si vanta nella prefazione al
Primo libro delle perfette proporzioni, 1567, di aver diretto 83 dissezioni
oltre a quelle cui ha assistito16; si tenga presente che il padre di Ignazio
Danti, Giulio Danti, si era formato in famiglia a Perugia nella pratica del
15
16
MAFFIOLI, p. 294.
DUBOURG GLATIGNY, pp. 369-394.
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3. Bartolo da Sassoferrato, Tractatus de fluminibus seu Tyberiadis,
Bologna 1576 (ristampa anastatica
Torino, Bottega d’Erasmo, 1964),
p. 80: divisione di un’isola fluviale
disegno e che aveva scritto un trattato delle alluvioni17: una coincidenza
significativa con il fatto che nel ‘300 l’opera sulle alluvioni di Bartolo da
Sassoferrato era nata proprio dalla collaborazione tra il giurista e monaci
perugini resi esperti nel disegno geometrico dalle divagazioni fluviali del
corso vallivo del Tevere18. L’arte della pittura come pratica metodologica
di indagine sul mondo naturale ha un grande rilievo tanto nel ‘500 per
l’enciclopedista Cardano (medico e illustratore egli stesso), quanto alla
fine del ‘600 per il citato Guglielmini, anch’egli medico di professione, e
rappresentante degli interessi della città di Bologna nella secolare controversia con Ferrara sulle acque del Reno, che dette origine al maggiore
nucleo cartografico di rilevanza idraulica prodotto al tempo e ora conservato nella Collezione I 19.
Ha rilevato Rombai20 che la carenza della storiografia rispetto alla cartografia minore è legata alla frammentazione di una produzione cartografica occasionale tra i numerosi fondi d’archivio; al polo opposto vi sono
gli intenti sistematici caratteristici delle grandi esperienze cartografiche – i
catasti, i confini - che sono viceversa all’origine di riflessioni teoriche più
frequenti; in questa produzione minore, ingiustamente trascurata21, ha
senza dubbio grande spazio la cartografia riguardante le acque. Come in
tutte le arti, il disegno cartografico è una pratica legata alla trasmissione
dell’arte per via privata, spesso familiare; ho citato poco prima i perugini
17
18
19
20
21
ABI, 1987, ad vocem.
BUONORA 2003.
Si veda in particolare alle cartelle 23-25; 60-67; 71-76.
ROMBAI 1987a.
QUAINI.
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4. Raccolta d’autori che trattano del
moto dell’acque divisa in tre tomi, in
Firenze, nella Stamperia di S.A.R. Per gli
Tartini e Franchi, 1723
Danti: il cognome originario della
famiglia era in realtà Rainaldi, e
qualche tempo dopo gli anni di
attività dei fratelli Danti, troviamo
a Roma un Girolamo Rainaldi, un
giovane che per la sua abilità era
stato assunto come disegnatore
da Domenico Fontana22, e che nel
1605 firma con Carlo Maderno
una pianta del Concordato coi
toscani sulle Chiane come “architetto del popolo romano”23. Il pittore-cartografo doveva saper disegnare
soggetti di natura sia architettonica che tecnica (idraulica, viabilità), “saper
scrivere relazioni peritali e saper progettare tecnicamente e rendicontare
economicamente”24. Fino a parte del ‘700, il sapere cartografico era quindi
ancora in mano ai “pittori architetti” formatisi artigianalmente che operavano senza basi geometriche e scala di riferimento, per quanto potessero
raggiungere risultati efficaci nella rappresentazione paesaggistica; tutt’al
più si poteva avere la compresenza di due diversi linguaggi, prospetticovedutistico e planimetrico-geometrico.
“Dal vedutismo pittorico alla immagine fedele del territorio e alla
geometrizzazione dello spazio” vi è stato un lungo cammino. Nella prefazione alla Raccolta d’autori italiani che trattano del moto dell’acque,
pubblicata a Firenze nel 1723, si ricordava che l’arte del livellare aveva
conseguito risultati affidabili solo di recente, mentre i vecchi calcoli sulla
pendenza dei fiumi si rivelavano sempre più inesatti: il diffondersi del
22
23
24
ABI, ad vocem. Le fonti citate sono in particolare: PASSERI, p. 216 e DE BONI, p. 78.
AS ROMA, CDM, I, cart. 17, n.173.
ROMBAI 1987a, p. 375.
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“profilo di livello” come pratica comunemente seguita data dalla fine del
‘600 - inizi del ‘700, mentre fino ad allora gli ingegneri si limitavano a
disegnare la pianta del fiume o del canale. Nonostante le premesse teoriche, la cartografia a piccola scala connessa a lavori idraulici quindi
“rimane dimostrativa e non descrittiva in senso geometrico: ad esempio
quella connessa a lavori idraulici non è mai né progettuale né precisa,
ma semplicemente illustrativa di una memoria scritta”25. L’introduzione
della trigonometria fu lenta, e non vi è il legame diretto con la matematica che si riscontra invece nella “cosmografia” e nella cartografia a grande scala. Né la tecnologia era in grado di stare al passo con l’inventiva
della teoria: “tutto induce a giudicare come irrealizzabile o non funzionale la maggior parte degli strumenti descritti”26. Solo della tavoletta pretoriana si poteva garantire un uso versatile, facile ed efficiente27.
La cartografia fu a lungo un luogo d’incontro di linguaggi diversi, che
solo più tardi si separarono: quello del geografo e quello del disegnatore;
con la pianta prospettica o a volo d’uccello si pervenne un nuovo tipo
di rappresentazione, in cui si fondono ratio geometrica e ratio perspectiva, planimetria e alzato, misura e pittura28. Secondo Giovanni Romano,
chi intende prendere le rappresentazioni artistiche per documenti veritieri non può trascurare la natura e l’evoluzione di un linguaggio figurativo,
l’inerzia dei temi riproposti dall’antichità, la trasmissione di modelli
secondo linee spazio-temporali molto vaste e del tutto diverse dalle ipotesi incautamente formulate che ne restringono la valenza alla pura documentazione del reale e ad ambiti locali: vi sarebbe “una divaricazione a
forbice tra la documentazione del reale e la dignità della forma”29. Nell’età
del manierismo la divaricazione sarebbe così radicale che “arte e tecnica
non possono convivere, almeno in Italia”30, e da portare ad attività ben
distinte pittori e cartografi da un lato, ingegneri idraulici dall’altro.
In base a quanto sopra detto riguardo alla costante sinergia tra arte
(ingegneria) e scienza (matematica) avrei molti dubbi che il discorso di
Romano valga per quella che viene definita cartografia minore legata alle
controversie sulle acque di cui ci occupiamo in questa sede: la persistenMACCAGNI, p. 50.
Ivi, p. 52.
27
Sarei quindi molto scettico sulla possibilità di tracciare una storia della cartografia sulla
base della storia della scienza o delle scoperte in generale, come si presenta in Storia della tecnologia, pp. 550 ss.
28
NUTI, p. 33.
29
ROMANO, p. 54; intitolando uno dei saggi ivi contenuti Documenti figurativi, Romano
ha sintetizzato in tale formulazione l’ambiguità delle fonti già usate da Sereni.
30
Ibid., p. 73.
25
26
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47
za di una integrazione tra forma e numero, tra disegno e rilevazione strumentale parte dai saperi delle arti e si mantiene dal ‘500 al ‘700; certo,
non si tratta dei livelli di geometrizzazione del reale che saranno raggiunti dal disegno tecnico ottocentesco, ma anche gli architetti maggiormente
dotati dal punto di vista espressivo non abbandoneranno mai la livella,
senza la quale la rappresentazione dei risultati del loro lavoro, per quanto convincente dal punto di vista visivo, non avrebbe avuto senso.
La generale rivoluzione nella produzione cartografica, agli inizi
dell‘800, rinvia certo alla generale esperienza dei catasti preunitari e della
cartografia geodetica, ma anche a quanto si può intendere in senso lato
come amministrazione: uffici del censo e del catasto, ma anche intervento diretto – e non più solo giurisdizionale - nella gestione delle acque e
strade. Dopo la realizzazione del Catasto gregoriano sia i progetti degli
ingegneri pontifici, sia le controversie sulle acque, si fondarono per la
parte planimetrica sulla solida base cartografica prodotta dagli uffici catastali del Censo, orientando l’attività di rilevamento degli ingegneri e dei
periti verso aspetti più specificamente idraulici e differenziando definitivamente la figura dell’agronomo da quella dell’ingegnere.
Tutto questo ci ripropone la questione del rapporto tra cartografia
minore e cartografia maggiore, tra la cartografia pubblica dei catasti e la
cartografia segreta del principe, focalizzata quest’ultima sulle finalità militari e fiscali. Va allora ricordato che, parallelamente alla compilazione dei
catasti, ai successi della politica di bonifica (Paludi pontine e Legazioni)
si associò l’esigenza di divulgarne gli esiti positivi con la stampa di grandi
mappe. La cartografia catastale in genere poteva, allora come oggi, essere
consultata e duplicata manualmente, ma non era possibile tecnicamente
pubblicarla con incisione a stampa; perché la stampa fosse utilizzabile si
richiedeva la possibilità di una generale riduzione della quantità di segni
della carta disegnata senza sostanziale perdita della sua utilità: operazione
possibile nelle carte di origine militare in cui l’elemento più rilevante è il
tracciato delle strade, o anche in quelle di origine giudiziaria sul tracciato
dei corsi d’acqua. Ma le carte relative alla proprietà terriera ed alle relative
imposizioni fiscali, anche di origine idraulica31, richiedono un dettaglio
non riproducibile con l’incisione fino alla litografia, cioè all’800 - ed anche
qui solo per disegni di piccole dimensioni; la “segretezza della cartografia
31
ROMBAI 1987b cita ad esempio la rilevazione degli aggiacenti del Canale Maestro della
Chiana, e mette in rilievo la precisione delle carte disegnate per le imposizioni idrauliche, “che
risultano sempre assai accurate e precise per quanto concerne il quadro parcellare di tutti i terreni contigui ai corsi d’acqua maggiori, e i riferimenti ai rispettivi proprietari che dovevano
concorre annualmente al mantenimento delle infrastrutture idrauliche”.
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del Principe” e dello Stato verrebbe ad assumere alla luce di queste considerazioni un carattere più tecnico che politico.
In secondo luogo, la versione a stampa (si pensi alle otto tavole
disegnate e poi incise in occasione del Concordato idraulico sulla Val
di Chiana del 178032), ha spesso un intento ben diverso da quello di
rendere un sapere cartografico di pubblico dominio: il suo fine è semmai di celebrare il successo e la presenza territoriale degli Stati, ed
anche di divulgare all’interno delle strutture tecnico-amministrative
dello Stato le analisi e i risultati raggiunti. Anche le piante generali dei
bacini idrografici rinviano non solo al contesto delle finalità giurisdizionali e operative, ma anche a una “rappresentazione generale dello
Stato” e della sua influenza sul territorio - volte come sono a individuare gli elementi di complessità che fanno di una rete idrica un fiume
pubblico sul quale pertanto lo Stato è legittimato a intervenire. Si pensi
alle molte piante della pianura tra Bologna e Ferrara, catalogate generalmente, nel vecchio Inventario 109, sotto la denominazione “Emilia
pontificia”: fra tutte, la Pianta delle Valli incisa a fine ‘700, sulla base
della visita 1609 e con aggiornamenti fino al 1799, risultato di una lunga
sedimentazione di rilevazioni e interventi effettuati in fasi successive33;
oppure alle piante della Valle Umbra, teatro di delicati equilibri tra le
cittadine di Spoleto, Trevi, Montefalco, Foligno, Bevagna, Cannara per
lo sfruttamento delle acque “buone” del Clitunno a fini molitori e per il
controllo di quelle “cattive” del bizzoso torrente Marroggia: nella Collezione I sono conservate sia una delle prime piante, databile all’inizio
del ‘600 dopo la bonifica operata dal folignate Jacobilli34, sia la bella
pianta disegnata da Bordoni su ordine del cardinale Francesco Barberini nel 170435. Vi sono poi le piante che documentano iniziative sovrane
in terre di bonifica, come la pianura pontina: dalla Pianta generale delle
Paludi Pontine, del sec. XVII36, ove viene abbozzato il Circondario delle
Paludi pontine delineato da Sisto V, fino alla pianta disegnata da Astolfi
e incisa da Antonini nel 1785 come atto finale e celebrativo della bonifica promossa da Pio VI37.
32
Pio Fantoni, Piante originali del Concordato e del canale di navigazione, 1780, in AS
ROMA, CDM, I, cart. 58, n. 188; A. Capretti, (ingegnere, vari incisori), tavole illustrate del Concordato 26 agosto 1780, ivi, cart. 17, n. 208.
33
Ivi, cart. 65, n. 363.
34
Ivi, cart. 7, n. 42.
35
Ivi, cart. 124, n. 267.
36
Ivi, cart. 51, n. 17/2.
37
Gaetano Astolfi, Pianta delle Paludi Pontine formata per ordine di Nostro Signore Papa
Pio VI, copia montata e completa del disegno a colore del circondario: ivi, cart. 51 n. 18.
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Origini della Congregazione delle acque
In materia di acque, tanto le piante generali quanto la cartografia
minore di origine giudiziale rinviano dunque nella maggior parte dei casi,
come fondo di provenienza, alla Sacra Congregazione delle acque. L’origine di questa istituzione è meno scontata di quanto sembri a prima vista;
secondo quanto riferisce Casanova38, all’istituzione “sulla carta” della XIII
congregazione sistina super viis pontibus et fontibus sulle acque, nella
Immensa aeterni Dei, sarebbe seguita la formazione di congregazioni speciali (delle Chiane, a seguito dell’inondazione di Roma del 1598, di Ferrara-Bologna, delle Paludi pontine) ad opera di Clemente VIII e solo successivamente la loro subordinazione alla “Congregazione delle acque”
(breve 20 settembre 1616 di Paolo V; chirografo 27 giugno 1696 di Innocenzo XII per le Chiane). Tuttavia, i due provvedimenti citati non si trovano sul Bullario, e questo alimenta i dubbi sull’esattezza della ricostruzione di Casanova. Pastor accenna, parlando di Paolo V, alle prime analisi39 sull’impaludamento del Ferrarese, nonché agli accordi di confinazione
tra Stati legati anche alla regolazione di corsi d’acqua (Chiusi - Città della
Pieve); per il resto si nomina solo l’Acqua Paola condotta in Roma ed affidata ad una apposita “Congregazione” nel 1612. Con ogni probabilità,
questi studiosi confusero una congregazione le cui competenze erano
limitate di fatto a Roma con la Congregazione delle acque di cui ci occupiamo qui. Se infatti si prende in esame la costituzione della Congregazione sistina super viis, pontibus et fontibus, si vede chiaramente che essa
aveva competenze orientate alla capitale più che allo Stato: parlava infatti
solo delle strade che portavano “ad apostolicam sedem” e dell’approvvigionamento idrico di Roma40.
Per saperne di più dobbiamo rifarci alle carte lasciateci dalla Congregazione; la prima testimonianza della sua attività è un registro di appunti
e verbali delle riunioni della Congregazione delle acque, presumibilmente dal suo inizio41. Infatti gli appunti non datati rilegati in testa al registro
medesimo parlano del proposito di stabilire riunioni regolari della Congregazione sopra le acque e di “appoggiare a questa Congregazione non
solo di que’ negozii di acque che ci sono al presente ma anche tutti gli
CASANOVA.
PASTOR, vol. XII, pp. 74 e seguenti.
40
VECCHI, Istituzioni finanziarie contabili, pp. 77-79, conferma la limitazione dell’area di
competenza della Congregazione a Roma, seguendo probabilmente CASANOVA e LODOLINI A.
1960, p. 148.
41
AS ROMA, Congregazione delle acque, reg. 1/1, 1619-1652.
38
39
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altri concernenti acque fiumi, navigatione, bonificationi, condotti molini,
e tutte le opere pubbliche spettanti non solo a privati ma ancora a Comunità, Camera apostolica, chierici e luoghi pii”42. Un elenco specifica
meglio le materie di sua competenza: “fiumi; ponti; molini; condotti;
chiaviche; escavazioni di torrenti, fossi, e simili; bonificationi universali e
particolari, fatte, e da farsi; navigationi, e porti; negotii di Ferrara, Bologna, Romagna, e Romagnola, e di altri luoghi dipendenti dalli bonificationi ed altre cose predette; si potranno rimettere ancora alla detta Congregazione tutte le opere pubbliche; vi sono ancora: le Chiane, ch’è Congregatione e negotio separato e le paludi Pontine, che parimenti è Congregazione e negotio separato”43.
Sarei propenso a credere che anche il verificarsi di alcuni disastri
idraulici avvenuti proprio all’inizio del ‘600 abbiano spinto lo Stato ad
allargare la propria sfera di intervento sulle acque: nel giro di pochi anni
infatti fallì la diversione del Reno dal Po di Ferrara (1604) e la pianura
bolognese iniziò a impaludarsi, il Topino presso Bevagna mutò di letto
abbandonando la città e sconvolgendo gli assetti idraulici della valle, per
non parlare delle difficoltà a governare il letto del Tevere a monte del
ponte Felice, appena costruito sulla Flaminia.
Sull’origine della Congregazione delle acque “barberiniana” la documentazione archivistica è scarsa proprio perché si tratta di una istituzione
nuova, come nuovo era il proposito di usare la scienza idraulica con
l’avallo galileiano, a fini del governo del territorio e di affermazione del
ruolo politico dello Stato come mediatore dei conflitti tra le comunità
locali. Il primo, isolato verbale della Congregazione è del 1619 e riguarda
Ravenna, ma nel novembre - dicembre 1623, in lettere inviate ai legati
emiliani, si parla nuovamente di essa come di una novità: “è stata istituita
[..] dovrà adunarsi quanto prima”; e in effetti l’anno successivo non vi è
più dubbio che la Congregazione delle acque funzioni regolarmente perché inizia allora la serie dei registri di copialettere44, da cui risulta la regolare corrispondenza con magistrature locali dello Stato. I primi prefetti
nominati a capo della Congregazione delle acque furono i cardinali Francesco e Antonio Barberini, i primi segretari Diomede Varese e Giovanni
Giacomo Bulgarini.
Una parte significativa delle questioni idrauliche documentate nella
Collezione I riguardano mulini: poiché era sul macinato che passava gran
42
43
44
Ibid., f. 1.
Ibid., f. 3.
Ivi, reg. 1/2: 1623-1637; reg. 1/3: 1638-1652.
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5. Lorenzo Marliani, Pianta dei mulini di Bevagna fatta su ordine del Delegato Marliani
dopo la visita del 12 gennaio 1722 (AS ROMA, CDM, I, cart. 7, n. 43), particolare dei mulini.
parte del gettito fiscale, lo scorrere dell’acqua alimentava, assieme alla
popolazione di ogni territorio pontificio, anche i flussi finanziari che legavano lo Stato alle singole comunità. Si tratta di piante e disegni provenienti dalle carte della Congregazione delle acque (abbiamo visto sopra
che tra le controversie di sua competenza vi erano “condotti molini, e
tutte le opere pubbliche” di privati, ecclesiastici, comunità e stato), ma
anche della Congregazione del buon governo, o di magistrature romane
che si occupavano di questioni annonarie e fiscali. Alcune di queste piante e profili mostrano in dettaglio anche il funzionamento degli opifici,
tanto da costituire una documentazione unica per la storia della tecnica:
un macchinario di uso così comune e generale in Italia era considerato
di scarso interesse dal mondo scientifico ufficiale dedito piuttosto a illustrare “miracolose invenzioni” e “nuovi ritrovati” di dubbio funzionamento pratico; pertanto, la struttura del mulino da grano a ruota motrice orizzontale “a ritrecine” sarebbe rimasto un oggetto misterioso senza questa
documentazione e ciò che resta in termini di storia orale e archeologia
industriale. Segnalo a questo proposito una bella e dettagliata Pianta dei
mulini di Bevagna fatta su ordine del Delegato Marliani dopo la visita del
12 genn. 172245, ma soprattutto Pianta della forma dei molinari sul Gianicolo dai fontanoni di San Pietro in Montorio sino al suo sbocco nel
Tevere presso ponte Sisto o piuttosto nel relativo profilo, disegnata assieme
al relativo profilo/spaccato degli edifici nel 183746.
45
Lorenzo Marliani era discepolo di Francesco Sforzini, architetto di Todi attivo in Umbria
e poi a Roma per la Congregazione delle acque, AS ROMA. CDM, I. cart. 7, n. 43; proviene da
Congregazione delle acque, b. 225, n. 183.
46
AS ROMA, CDM, I, cart. 80, nn. 231 e 232.
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Paolo Buonora
Dalla giurisdizione all’ amministrazione
Le controversie sulle acque impegnarono per due secoli la Congregazione, che si valse di visitatori - a volte inviando il proprio segretario
- poi di referenti scelti sul luogo tra governatori, vescovi, delegati apostolici nominati “delegati delle acque” (nel senso, abbiamo detto, di “giudici delegati”), infine riformando antichi istituti comunali o promuovendo
la formazione di nuove “prefetture delle acque”. Di fatto il ruolo formale
della Congregazione delle acque rimase in tutto questo tempo quello di
tribunale d’appello di controversie su cui si erano pronunziati giusdicenti
delegati locali, o che per la loro importanza venivano subito mandate a
Roma. La cartografia romana ha quindi molto spesso riscontro in documentazione locale – delle piante si fanno quasi sempre copie – conservata oggi presso archivi di Stato, archivi storici comunali e archivi di consorzi di bonifica.
Il cambiamento radicale avvenne con l’annessione all’Impero francese, poiché la legislazione rivoluzionaria non ammetteva giurisdizioni speciali, e le controversie sulle acque erano quindi demandate alla giustizia
ordinaria; alla Restaurazione Pio VII ed il suo liberale segretario di Stato
Consalvi confermarono tale orientamento nel motuproprio del 181647. Pio
VII e di Consalvi non intendevano certo smobilitare le strutture dello
Stato, ma semmai rafforzarne la presenza territoriale trasformando la giurisdizione in amministrazione48, sfruttando il taglio radicale operato dal
periodo francese ma anche la maggiore operatività tecnica ed amministrativa di ingegneri e delegati da una parte e di prefetture e consorzi dall’altra, che era andata maturando negli ultimi decenni ed era il segno dei
tempi al di là dei brevi anni napoleonici. Per operare questo cambiamento veniva varato un complesso apparato di norme, principalmente le
Disposizioni regolatrici dei lavori pubblici di acque e strade del 23 ottobre 181749, che nella parte II contenevano il Regolamento per i lavori
d’acque dello Stato pontificio.
Per comprendere quanto da questo indirizzo conseguissero nuovi e
maggiori compiti da parte dello Stato, si tenga presente che il motuproprio citato recepiva un concetto piuttosto vasto di pubblico interesse in
47
Collezione di pubbliche disposizioni.
BERNARDI, p. 170, ha parlato di “processo di provincializzazione”, decentramento e
delega agli istituti periferici.
49
Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione, 1831-1833, IV, app. n.
5, p. 210.
48
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 53
Fiumi di carta
53
materia di acque50, graduando all’uso napoleonico i lavori idraulici in
nazionali, provinciali e consorziali (art. 134).
Il supporto tecnico dell’amministrazione aveva al suo vertice un Consiglio d’arte, composto da un matematico e tre ingegneri (artt. 149 e 161);
è il Consiglio d’arte che approva i progetti elaborati dagli ingegneri locali
e dai suoi ispettori: si veda ad esempio, nella Collezione I, il progetto di
Folchi (ispettore per le province fuori dalle Legazioni)51 e Poggi (ingegnere della Prefettura di Foligno) di spostare il letto del Topino a destra
alzandone il livello, secondo un percorso più rettilineo, per evitare il
ripetersi di rotture dell’argine52. Il 22 agosto 1819 venivano emanate le
Istruzioni agli ingegneri in capo53, ai quali era demandato di tenere sotto
controllo lo stato generale dei problemi e dei lavori relativi alla gestione
idraulica e stradale della provincia: visitavano due volte l’anno la loro circoscrizione secondo modalità del tutto analoghe alla tradizionale “visita
ai fiumi” dei delegati d’acque di un tempo54.
L’attività tecnica degli ingegneri del Corpo pontificio55 era normalizzata e resa omogenea all’origine, nei processi di formazione, affidati
finalmente, come avveniva da tempo in Francia56 e in molti Stati italiani,
a scuole apposite istituite a Ferrara e Roma; il matematico del Consiglio
d’arte, lo scienziato Venturoli, diresse per anni la scuola di Roma, che in
seguito trovò sede nel convento di San Pietro in Vincoli e divenne infine
Facoltà di Ingegneria dell’Università della Sapienza57. In questo generale
riassetto non mancavano norme specifiche di tipo tecnico: in virtù di due
50
Qualche anno dopo Romagnosi avrebbe dato una formulazione giuridica di grande
respiro ai principi affermati dall’Illuminismo e sperimentati nel periodo napoleonico in materia
di acque; si veda in merito BUONORA 2014.
51
Si veda la pianta organica 1815-1822 del Consiglio d’arte per i lavori idraulici in LODOLINI A. 1923, p. 20.
52
Consiglio d’arte, 12 dicembre 1827, AS ROMA, Congregazione delle acque, b. 270. Cfr.
O. POGGI, Progetto del drizzagno al Topino per riparare le rotte di Bevagna e del Vescovo: I
pianta (125x47); II livellazione (125x47); III sezioni; 28 febbraio 1828, AS ROMA, CDM, I, cart.
123, n. 238; le mappe dei terreni sono tratte dal nuovo Catasto gregoriano.
53
Collezione di pubbliche disposizioni, 1816, III, p. 103; Raccolta delle leggi e disposizioni
di pubblica amministrazione,1831-1833, IV, app. n. 8, p. 461.
54
Circolari 21 febbr. 1818 (Collezione di pubbliche disposizioni, II, pp. 321 e 323; III, p.
3). Le missioni erano del tutto a carico dello Stato, e venivano stabilite per via gerarchica salvo
che per l’ingegnere in capo, il quale aveva in questo una autonomia rispondente ai suoi doveri
di pianificazione ed intervento urgente.
55
Sugli ingegneri dello Stato pontificio si vedano VERDI 1997a, pp. 191-22; PEPE; MARINO,
pp. 235-242, disponibile anche a: http://www.aising.it/docs/atticonvegno/p235-242.pdf.
56
BLANCO.
57
DI GIOIA.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 54
54
Paolo Buonora
disposizioni del 30 aprile 1819 la cartografia era uniformata quanto a
disegno, colori, scala decimale, indicazione del meridiano. Gli strumenti
forniti all’ingegnere erano 1) tavoletta pretoriana con dioptra; 2) catena
metrica di 10 metri; 3) livella a bolla d’aria o a pendolo; 4) biffe, canne,
staggia58. Inoltre si impartivano precise istruzioni sui piani di prevenzione
e i progetti di esecuzione59: i primi richiedevano la compilazione di pianta
generale, profilo di livello, sezioni e relazione - gli stessi elementi si
riproponevano in modo analogo per i lavori stradali, ma i lavori idraulici
sembrano aver avuto una funzione “trainante” rispetto ai primi, sia dal
punto di vista tecnico che amministrativo.
Infine, nel 1833 il processo di transizione verso un ruolo pienamente
amministrativo-tecnico dello Stato si compie con un nuovo Regolamento
per i lavori pubblici di acque e strade60, in base al quale era istituita presso
la Congregazione delle acque la Prefettura generale di acque e strade
(che diviene Ministero dei lavori pubblici nel 1847), presieduta dal prefetto della Congregazione: la Prefettura non si sostituiva alla Congregazione delle acque – che formalmente rimaneva come istanza di giudizio
collegiale superiore, un “consiglio superiore dei lavori pubblici” ante-litteram – ma solo alle direzioni centrali della medesima Prefettura, la
Direzione centrale dei lavori idraulici e quelle dei lavori stradali61. Nella
Collezione I figurano infatti anche molte piante di fondamentale importanza degli acquedotti romani “restaurati” dai papi nel Rinascimento62,
provenienti dal fondo Prefettura generale di acque e strade / Ministero
dei lavori pubblici63.
58
Istruzioni agli ingegneri d’acque e strade sull’uso degli strumenti geodetici, 30 apr.
1819, in Collezione di pubbliche disposizioni.
59
Istruzione riguardante le norme da seguirsi dagl’ingegneri nella formazione dei progetti di prevenzione e dei piani di esecuzione, in Collezione di pubbliche disposizioni.
60
Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione,1831-1833, IV, n. 7 pp.
91 e seguenti.
61
Dal fondo della Prefettura/Ministero provengono molte delle piante degli acquedotti
romani: acqua Vergine, acqua Felice, acqua Paola, raggruppate nelle cartelle 78-80 della Collezione I.
62
Si vedano i saggi di A. ANTINORI, M. TABARRINI, F. DI MARCO e di chi scrive in Le reti dell’acqua, pp. 323-334.
63
AS ROMA, CDM, I, cart. 79-80.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 55
SUSANNA PASSIGLI, ADRIANO RUGGERI
Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano conservate nella
Collezione I di disegni e mappe. Percorsi archivistici
1. Introduzione
Fra le piante facenti parte della Collezione I di disegni e mappe,
numerose sono quelle relative al Suburbio di Roma e all’Agro Romano1.
Fra queste, si è concentrata l’attenzione in primo luogo sulle più antiche
piante di tenute: la Collezione I ne conserva infatti tre risalenti agli ultimi
decenni del XVI secolo che, data la rarità di cartografia cinquecentesca
1
Nella Collezione I di disegni e mappe dell’AS ROMA, le piante relative al Suburbio e
all’Agro Romano incluse nella I collezione (nell’indice toponomastico: Roma, territorio) - che
nel vecchio inventario 109 seguivano immediatamente quelle della città di Roma (nell’indice
toponomastico: Roma, città) - sono quelle comprese dalla cart. 90/651 alla cart. 96/902 (per
ragione di brevità, da ora in poi nelle note e nel testo esse saranno citate indicando solamente
il numero della cartella seguito da quello della pianta, separati dal segno /). Di queste, dalla
90/651 alla 91/696 sono piante generali (come per esempio la Topografia geometrica dell’Agro
Romano di Giovanni Battista Cingolani; cfr. nota 4), oppure piante che mostrano lo sviluppo
planimetrico di diverse strade, vie e vicoli ‘fuori porta’ (si vedano, per esempio, quelle citate
alle note 15 e 18), o di terreni vari. Dalla 91/697 alla 92/703 sono piante di marrane e corsi
d’acqua; tra queste, la 91/697 raffigura la Marrana Valle dell’Inferno, e si tratta di una delle
due piante anteriori al XVIII secolo (1696) che non è stata presa in considerazione nel presente
studio in quanto non riguarda una tenuta. Le piante dalla 92/704 alla 95/862, sono più specificatamente relative a tenute dell’Agro Romano, disposte in ordine alfabetico, anche se occorre
precisare che non poche di esse si riferiscono in realtà a singoli terreni all’interno delle tenute
stesse (come quella dei prati dentro la tenuta di Marco Simone, 93/776, per la quale si veda
infra, § 6.5), mentre altre sono relative a terreni del Suburbio contigui a tenute, e che da queste
traggono le proprie denominazioni (esempio: le vigne diverse ubicate all’Acqua Bullicante,
92/704-706); anche di queste piante non ci si occuperà nel presente studio. All’interno di queste centosessantasei piante (o, più correttamente, unità ‘di condizionamento’ in quanto non
poche di esse contengono in realtà più di una pianta), solo ventiquattro sono anteriori al XVIII
secolo; una di queste (93/764), attribuita nel vecchio inventario 109 al XVI secolo, non è stata
presa in considerazione in quanto riguarda il palazzo fortificato da edificarsi nella tenuta di
Lunghezza. Delle ventitré rimanenti - che sono quelle di cui si tratterà nelle pagine seguenti tre sono cinquecentesche, dodici seicentesche, sei sono copie della prima metà del XIX secolo
di piante originali del Catasto alessandrino del 1660, altre due - infine - sono di incerta attribuzione cronologica ma certamente non seicentesche, come invece indicato nella precedente
redazione dell’inventario 109. La serie di piante della Collezione I prosegue poi con quelle
delle vigne (da 95/863 a 96/896) e delle ville (da 96/897 a 96/902).
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56
Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
negli archivi romani più volte messa in evidenza da Jean Coste2, si è ritenuto importante studiare e far conoscere. Si è poi estesa l’indagine a tutte
le piante di tenute realizzate nel corso del Seicento3; questo criterio di
scelta è motivato dalla possibilità di confrontare tali piante con quelle del
Catasto alessandrino del 1660 e con il ‘quadro d’unione’ delle tenute
dell’Agro Romano redatto da Giovanni Battista Cingolani della Pergola
nel 16924. Infatti - come si può constatare nella tabella che segue - la
maggior parte delle piante studiate risale ai decenni centrali del XVII
secolo, e in molti casi esse risultano in qualche modo legate, più o meno
direttamente, alle contemporanee piante del corpus alessandrino.
Duplice scopo del presente studio è, da una parte, cercare di risalire
alle motivazioni che hanno portato alla redazione delle singole piante,
ossia di ricostruirne il contesto storico; dall’altra, dal punto di vista più
strettamente archivistico, l’individuazione dei rispettivi archivi di provenienza e soprattutto dei meccanismi di ‘trasferimento archivistico’ in
seguito ai quali esse sono confluite nella Collezione I di disegni e mappe,
un’operazione non semplice e non sempre possibile, come si vedrà nelle
pagine seguenti5.
2. Le copie ottocentesche
Occorre precisare subito che la ricerca ha dimostrato che sei piante
- che nella precedente redazione dell’inventario 109 dell’Archivio di Stato
di Roma erano attribuite tout-court al XVII secolo (e più precisamente
alla data di esecuzione del Catasto alessandrino, indicata nei rispettivi
cartigli) - sono in realtà copie ottocentesche, come si desume da una
serie di annotazioni presenti in ciascuna di esse. Si tratta, più in particolare, delle piante delle tenute di Campo Merlo degli Alberini (92/721),
Campo Merlo dei Mattei (92/722), Capodiferro e Pisciarello di Francesco
Fabi (92/729), Cerrone degli eredi Androsilla (92/745), Magliana di S.
Cecilia in Trastevere (93/770) e Muratella dei Mattei (94/794).
Nonostante la loro esecuzione - come constatato a posteriori - si col-
2
Ad oggi, la pianta più antica di una tenuta dell’Agro Romano che si conosca è quella
della tenuta di Salone, spettante al capitolo di S. Maria Maggiore, risalente al 1558; cfr. COSTE
1976, p. 77.
3
Comprese anche quelle descritte ai § 2 e 3, per le quali lo studio analitico di ciascuna
di esse ha consentito di stabilire, a posteriori, che non si tratta di piante seicentesche.
4
CINGOLANI, in FRUTAZ 1972, II, tavv. 160-165.
5
Considerazioni preliminari relative ad alcune delle piante illustrate nel presente studio
sono in PASSIGLI 2009, pp. 11-13.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:43 Pagina 57
57
Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
AS ROMA, Collezione I di disegni e mappe, I: elenco delle piante di tenute dell’Agro Romano oggetto di analisi6
Cartella Numero
Tenuta
Data della pianta
zioni
92
708
Casale d’Acquasona del venerabile Rocco
Archiopedale di S. Giacomo dell’Incurabili e di S. 1670 marzo
Tav. 5
92
719
92
721
Misura e pianta della tenuta di Campo di Merlo Sec. XIX, prima metà § 2.2
spettante all’Illustrissimo signor Orati <sic> Alberini (copia di originale del
posta fuori di Porta Portese (...)
23 aprile 1660)
92
722
Misura e pianta (...) degli prati e monti di Campo di Sec. XIX, prima metà § 2.2
Merlo dell’Eccellentissimo signor baron Mattei posto (copia di originale
fuori di Porta Portese (...)
del 20 febbraio 1660)
92
724
Pianta e misura del casale di Capo di Bove (...) 1587 novembre 12
[indicazione apposta sul verso della pianta]
92
729
Misura di tutto il casale di Capo di Ferro e Pisciarel- Sec. XIX, prima metà § 2.2
lo del signor Francesco de Fabi (...)
(copia di originale
del 28 febbraio 1660)
92
739 bis
Casale della Castagniola dell’Ecc.mo Sig. Duca 1665 maggio 12
Gasparo Caffarelli et Ill.mo Sig. Pietro Caffarelli (...)
92
745
Misura e pianta della tenuta del Cerrone degli eredi 1829 dicembre 31 § 2.1
della bo. me. di monsignor Androsilla posta fuori di (copia di originale
Porta Maggiore (...)
del 16 aprile 1660)
93
751
Pianta e misura della tenuta di Cortecchia dell’Ec- 1660 aprile 20
cellentissimo signor duca Girolamo Mattei posta
fuori Porta S. Pancrazio
Pianta del casale de Macheri, Torre 1640 marzo 13
Rotta e Calandrella dell’Illustrissimi signori Verospi
posta <sic> fuori di Porta S. Sebastiano (...)
Riferimenti
al testo e
alle illustra-
§ 4.2.2
§ 6.2
§ 4.1
Tav. 3
§ 6.1
§ 6.3
6
Nella tabella sono indicati, secondo il numero progressivo: la cartella; il numero indicante la singola unità di condizionamento (avvertendo che in diversi casi alcune di queste contengono più di una pianta relativa ad una medesima tenuta); la denominazione originale della
pianta (in corsivo) oppure, qualora mancante, il nome della tenuta (in tondo); la data della pianta. Tutte le piante elencate sono state sottoposte ad attento esame e schedatura analitica. Per
motivi di spazio, tuttavia, in questa sede si tratteranno con maggior dettaglio solamente gli otto
prodotti cartografici ritenuti più interessanti: Acquasona (92/708), Capo di Bove (92/724), Galera (93/755), Massa e Gallesina (93/758), pedica alla Maglianella (93/773), Malpasso (93/774),
Santa Procula (94/897), Torre in Pietra (94/836); le restanti piante saranno trattate in modo più
sintetico. Si ricorda che il numero a matita di quattro cifre racchiuso entro un cerchio presente
sul verso di quasi tutte le piante, si riferisce al numero d’ordine delle fotoriproduzioni delle stesse effettuate - ormai oltre trent’anni fa - a cura dell’AS ROMA. Si avverte, infine, che le piante del
Catasto alessandrino citate ripetutamente nel testo, in AS ROMA, Presidenza delle strade. Catasto
alessandrino, lo saranno unicamente con la loro segnatura archivistica, e che tutti i toponimi e
i riferimenti topografici menzionati nel testo, sia quelli riportati nelle piante che quelli ancora
oggi esistenti, saranno indicati tra doppie virgolette (“...”).
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 58
58
Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
93
755
Tenuta di Galera
Non datata (ma circa § 4.2.1
1588-1594)
Tav. 4
93
758/1-4
Tenuta di Massa e Gallesina
1 e 4. 1665 giugno 13 § 5.1.1
2. 1660 marzo 29
Figg. 2, 3
3. sec. XVII, sec. metà Tav. 7
93
762
Pianta del territorio dell’Isola della Reverenda Datazione
incerta § 3.1
Camera Apostolica posta fuori di Porta del Popolo (copia di originale del Tav. 1
(...)
23 dicembre 1660)
93
765
Pianta della tenuta di Maccarese dell’Eccellentissi- 1660 aprile 20
mo signor duca Girolamo Mattei posta fuori di
Porta S. Pancrazio (...)
93
770
Pianta della Magliana di S. Cecilia (...)
93
773/1-2
Misura e pianta d’una pedica alla Maglianella delli 1. 1660 marzo 29
Massa li medesimi padroni della Gallesina (...)
2. 1660 marzo 29
§ 5.1.2
Figg. 4, 5
93
774
Tenuta detta Malpasso delle RR. monache di S. Sil- 1674
vestro in Capite
§ 5.2
Tav. 8
93
776
Pianta et misura delli prati al Casale detto Marco 1647 agosto 12
Simone dell’Illustrissimo et Eccellentissimo signor
duca d’Acquasparta
§ 6.5
94
794
Misura e pianta (...) della tenuta della Muratella Sec. XIX, prima metà § 2.2
posta fuora di Porta Portese dell’Eccellentissimo (copia di originale
baron Mattei
del 17 febbraio 1660)
94
798
Misura e pianta del casale di Palmarola (...) del 1659 novembre 12
reverendissimo Capitolo di S. Pietro sta fuori di
Porta Angelica (...)
§ 6.6
94
825
Misura e pianta (...) della tenuta di S. Anastasia 1660 aprile 10
posta fuori di Porta S. Bastiano delli illustrissimi et
reverendissimi signori canonici di S. Anastasia (...)
§ 6.7
Tav. 9
94
827/1-2
Pianta della tenuta di Santa Broccola dell’Illustris- 1. 1588 novembre 26 § 4.3
simo signor Mario de’ Massimi posta fora di porta (con aggiunte del 27 Tav. 6
San Paolo (...)
marzo 1660 e del sec.
XIX)
2. 1831 novembre 6
94
836
Pianta [e] misura di tutte le tenute dei casali di Datazione
incerta § 3.2
Torre Impreda dell’Illustrissimo ed Eccellentissimo (copia di originale Tav. 2
sig. principe Peretti (...)
del 15 maggio 1620)
95
855
Tenuta di Grotta Perfetta
§ 6.4
Fig. 6
Sec. XIX, prima metà § 2.2
(copia di originale
del 21 aprile 1660)
1682 dicembre 9
§ 6.8
lochi al di fuori dei limiti cronologici prefissati nel presente saggio, se ne
dà comunque un rapido cenno, anche per mettere in luce i criteri, non
di rado approssimativi e fuorvianti, con cui a suo tempo venne redatto il
citato inventario 109.
2.1. Per quanto riguarda la pianta della tenuta di Cerrone, si tratta di
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 59
Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
59
copia del 1829 dell’originale del Catasto alessandrino del 16 aprile 16607.
La pianta reca in basso, al di sotto della cornice, il timbro dell’Ufficio del
Bollo e Registro di Roma con la seguente annotazione inserita in un testo
prestampato apposto con timbro: «Registrato a Roma li 27 febbraio 1830
in una pagine <sic> senz’apostille VOL. 162 Atti privati, fog. 80v, cas. 3
ricevuto baiocchi 40. B. Vagnolini». Ciò induce a ritenere che molto probabilmente la copia sia stata richiesta dall’Ufficio di registro e bollo al
notaio delle strade, Benedetto Triulzi, che certificò nella parte destra
della pianta l’esatta corrispondenza della copia redatta da Paolo Provinciali con l’originale8. Nel caso in esame, dunque, è stato possibile reperire
la registrazione dell’esecuzione della copia, ma non la precisa provenienza di quest’ultima9.
2.2. Diverso il caso delle altre cinque piante, non datate ma attribuibili ai primi decenni dell’Ottocento in base alla presenza di una nota
dell’agrimensore Tobia Sani, che ricorre quasi identica in tutte: «La presente è stata fedelmente estratta dall’Officio del Tribunale delle strade da
me Tobia Sani Agrimensore»10.
Figlio di Angelo Sani, uno dei migliori allievi di Giovanni Battista
Nolli, che spiccò per la sua abilità e fu tra i più ricercati tecnici dello Stato
7
AS ROMA, CDM, I, 92/745. In realtà, il 31 dicembre 1829 il «Direttore dei Lavori Stradali
dell’Agro e Comarca di Roma» dichiarava che la copia era stata fedelmente esemplata dall’originale esistente «nell’Officio Notarile dell’Illustrissima Presidenza delle Strade e Acque», come
si legge in basso a sinistra, e quindi verosimilmente essa deve risalire al 1829.
8
«Certifico io sottoscritto Segretario dell’Illustrissima Presidenza delle Strade ed Acque,
che il signor Paolo Provinciali sotto Ispettore Ingegnere in Capo Direttore dei Lavori Stradali
dell’Agro e Comarca di Roma, ha dichiarato di aver esattamente confrontata la presente Pianta
della Tenuta del Cerrone, con quella esistente nella Collezione delle Mappe delle Tenute nell’Agro Romano, ordinata già dalla Santa Memoria di Alessandro VII ed alligata nel Tomo intestato Porta Maggiore, numero Ventitré, che unitamente agl’altri si conservano nell’Ufficio di
detta Presidenza, ed averla rinvenuta in tutto, e per tutto, conforme all’originale, per cui ne ha
firmata la presente. In fede. Roma li cinque gennaio milleottocentotrenta 1830. Benedetto
Triulzi Segretario». Si osservi l’interessante riferimento al numero 23 della pianta, che dimostra
che la numerazione attuale mantiene quella originaria (la pianta del Catasto alessandrino della
tenuta di Cerrone è infatti la 430/23).
9
AS ROMA, Ufficio del bollo, registro, ipoteche e tasse riunite di Roma. Registri d’introito
degli atti di forma privata, Amministrazione del Bollo e Registro, reg. 929 (già 162), c. 80r,
casella 3: alla data del 27 febbraio 1830 si annota la «registrazione di una Misura e Pianta della
tenuta del Cerrone già spettante alla famiglia Androsilla estratta dall’ingegner Provinciali ... con
certificato annesso della Presidenza delle Strade (...)».
10
Tenute di Campo Merlo degli Alberini (92/721), Campo Merlo dei Mattei (92/722), Capodiferro e Pisciarello di Francesco Fabi (92/729), Magliana di S. Cecilia in Trastevere (93/770) e
Muratella dei Mattei (94/794); quest’ultima pianta è pubblicata in TOMASSETTI, VI, p. 386.
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60
Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
Pontificio11, Tobia ebbe parte rilevante nelle operazioni catastali avviate
con l’articolo 191 del motuproprio di Pio VII del 6 luglio 1816; il suo studio di geometra, dove insieme ad altri esercitava la professione di perito
agrimensore, è documentato nel 181812.
Le piante in questione - alcune delle quali contrassegnate da un
numero d’ordine progressivo che, a causa di evidenti tracce di erasione,
non risulta sempre facilmente leggibile13 - riproducono fedelmente quelle
del Catasto alessandrino, recandone l’esatta data e la firma dei rispettivi
agrimensori14. Esse, quindi, sono state con assoluta certezza realizzate
contemporaneamente e per un medesimo scopo; peraltro, le cinque
tenute confinano tra di loro e costituiscono un unico ‘blocco’ fondiario
compreso fra la riva destra del Tevere e la via Portuense.
A queste cinque piante se ne ricollega sicuramente un’altra, realizzata dal medesimo agrimensore (come si legge in basso a sinistra) e ugualmente non datata, relativa allo sviluppo della via Portuense e della strada
della Magliana da Porta Portese sino a Ponte Galera, che contribuisce a
comprendere le motivazioni che dovettero essere alla base della loro realizzazione (fig. 1). Anche in questo caso si tratta di copia «fedelmente
BEVILACQUA, pp. 14-15.
Più in particolare egli fu uno dei quattro ‘ingegneri ispettori’ ai quali il 5 settembre 1817
fu conferito dalla Camera apostolica l’incarico di elevare le piante catastali delle tenute dell’Agro Romano (VITA SPAGNUOLO 1995, pp. 68-69; per la notizia del 1818: AS ROMA, Presidenza
generale del censo, b. 34, fasc. «Circolare n. 4872 ai verificatori», in RUGGERI 2012, p. 409). Anche
negli anni successivi fu al servizio della Presidenza del censo: nel luglio 1823 era ‘ispettore alla
misura dell’Agro Romano e vigne del suburbano di Roma’ mentre nel 1824 era ispettore alle
stime censuali per la Delegazione di Viterbo (AS ROMA, Presidenza generale del censo, rispettivamente: b. 176, fasc. «Corrispondenza con i verificatori alle misure», pos. 28133, e b. 205);
nel 1834, inoltre, redigeva un rapporto «in seguito ad una ispezione compiuta nell’Agro Romano per un nuovo estimo delle tenute» (TOMASSETTI, I, p. 198, nota a). In mancanza di una scheda bibliografica a cui fare riferimento, possiamo qui aggiungere che, parallelamente ai suoi
impegni pubblici (nel 1812 - per esempio - era uno dei quattro ispettori della ‘Commissione
di salubrità’, in Annuario 1813, p. 202; in una relazione del 1829 è definito «perito agrimensore
camerale», in AS ROMA, Camerlengato, p. II, b. 199, fasc. 1136), fu anche molto intensa la sua
attività come perito agrimensore di parte, documentata perlomeno dal 1801 (in Decisiones
1828, Decisio CCCXLII, p. 425), sino al 1837, quando firmava la pianta di una vigna fuori Porta
Maggiore (VERDI 2009, p. 303, n. 1/48) e agli inizi degli anni ’40 (PAGANO, p. 123).
13
I numeri sono indicati all’interno delle cornici che delimitano le singole piante, nell’angolo
in alto a destra, e sono i seguenti: II, Magliana di S. Cecilia; IV, Campo Merlo degli Alberini; V,
Campo Merlo dei Mattei (per il quale nell’annotazione in basso a destra Tobia Sani precisa che
«chiamasi in oggi la Chiavichetta»); VI, Capo di Ferro e Pisciarello dei Fabi, indicazione interessante
in quanto lascia sottintendere che il corpus originario dovesse essere costituito da almeno sei piante. Nella pianta della Muratella il numero è illeggibile perché totalmente eraso, ma - per accordarsi
con l’ordinamento topografico elencato a nota 18 - non poteva che essere III.
14
Magliana: 433bis/8; Muratella: 433bis/10; Campo Merlo Alberini: 433bis/3; Campo
Merlo Mattei: 433bis/4; Capo di Ferro e Pisciarello: 433bis/2.
11
12
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61
1. Dechiaratione delle dicontro strade fuori Porta Portese, primi decenni del XIX secolo;
il nord è verso sinistra (AS ROMA, CDM, I, 90/656 n.1)
estratta dall’Officio del Tribunale delle Strade», redatta con lo scopo esplicitamente dichiarato - di documentare «l’andamento della controversa strada consorziale della Magliana come esisteva nel 1660 sotto il pontificato di Alessandro VII» e il suo contesto territoriale: edifici, strade,
vicoli, fossi (ma non le tenute attraversate dalle due strade). Peraltro,
nell’angolo in alto a destra, all’interno della cornice e leggibile con difficoltà perché totalmente eraso, si intravede il segno ‘I’, un’importante conferma dell’ipotesi prospettata, ossia del fatto che il corpus originario
dovesse essere costituito per l’appunto da sei piante, e che questa sarebbe la prima della serie15. Per quanto non datate, riteniamo che tutte e sei
le piante debbano essere posteriori all’elevazione delle mappe del Catasto gregoriano di questa zona16 e, presumibilmente, che possano attribuirsi agli anni ’20-’30 del XIX secolo, quando si dispiega la piena attività di
Tobia Sani quale perito agrimensore.
15
AS ROMA, CDM, I, 90/656, n. 1. La legenda, in alto a destra, recita: «Dechiaratione delle
dicontro strade fuori Porta Portese»; seguono - indicati con numeri romani, ma solo quelli effettivamente riportati sulla pianta - i riferimenti alle emergenze raffigurate nella pianta stessa (edifici, strade, corsi d’acqua), numeri che, come il titolo della pianta, sono gli stessi presenti nell’originale del Catasto alessandrino (433bis/II), di cui questa pianta è una copia; non manca,
sulla sinistra, lo stemma Chigi di Alessandro VII. Fuori della cornice, in alto a destra, aggiunto
a matita: «Tav. 1»; sul retro, di mano ottocentesca: «1660. Strade fuori porta Portese sino alla
Polledrara»; nella precedente redazione dell’inventario 109, la pianta era in effetti erroneamente
attribuita al 1660.
16
AS ROMA, Presidenza generale del censo. Catasto gregoriano, Agro Romano, mappe nn.
23 (tenute di Campo Merlo, Chiavichetta e porzione di Pisciarello), 60 (tenute della Magliana
e parte della Muratella), 87 (le altre porzioni delle tenute della Muratella e di Pisciarello), tutte
elevate tra il 1818 ed il 1819.
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
Quella della strada ‘consorziale’17 della Magliana era una questione
complessa, che si trascinava da almeno un secolo, e che diede luogo alla
redazione di altre piante oggi conservate nella Collezione I di disegni e
mappe18. Essa ruotava intorno al Ponte della Magliana, che si trovava
nell’omonima tenuta spettante al monastero di S. Cecilia in Trastevere,
Per questo termine si veda la nota 22.
L’unità in cui è conservata la copia redatta da Tobia Sani contiene altre due piante. La
90/656, n. 2, non firmata né datata, riporta a scala più piccola gli stessi elementi della 90/656,
n. 1, di cui potrebbe essere una copia, con le medesime caratteristiche e la stessa legenda, compreso lo stemma Chigi sulla sinistra; fuori della cornice, nell’angolo sinistro in alto, di mano
diversa: «Tavola Alessandrina»; dentro la cornice, a matita: «Tav. 2»; sul retro, nessuna annotazione. La 90/656, n. 3, invece, è del tutto diversa: ugualmente a piccola scala e non datata né firmata, senza legenda e senza i numeri romani che compaiono nelle due piante precedenti, essa
raffigura le due strade, Portuense e della Magliana, ma - diversamente da quelle - anche le tenute attraversate e quelle confinanti, ciascuna con la propria denominazione: si osservi, a questo
proposito, che la strada della Magliana, procedendo da Roma sino a dove si unisce alla Portuense, attraversa nell’ordine le tenute della Magliana, della Muratella, di Campo di Merlo, di
Chiavichetta (già Campo di Merlo dei Mattei) e di Pisciarello, ossia le stesse - e nello stesso ordine - di cui sono state redatte le copie da parte di Tobia Sani. Vi è inoltre una serie di lettere
sino a Z, che si riferiscono a strade e manufatti, ma per le quali non c’è legenda, segno evidente
che la pianta doveva far parte di una perizia, in cui doveva essere spiegato il significato di ciascuna singola lettera. All’interno della cornice, nell’angolo a destra in alto, a matita: «Tav. 3». Vi
sono poi almeno altre due piante riconducibili a questo contesto. La 90/657, non datata né firmata, che raffigura la strada della Magliana, con un percorso leggermente differente rispetto alle
precedenti, e la via Portuense dalla porta omonima al ponte Galera, con le tenute attraversate
da entrambe; essa reca l’annotazione: «Estratto della pianta delle strade fuori la Porta Portese
esistente nel 1660 all’Officio delle Strade», chiaro indizio di essere stata copiata dalla pianta del
Catasto alessandrino; sul retro, in grafia ottocentesca: «1660. Strade fuori Porta Portese sino a
Ponte Galera», che è la stessa dicitura del vecchio inventario 109, ma i caratteri stilistici orientano
l’esecuzione anche di questa pianta ai primi decenni dell’800. La 90/671, «Strada da Porta Portese a Ponte Galera» (così nel vecchio inventario 109, perché in realtà la pianta è priva di titolo),
a differenza delle altre è invece firmata e datata: è stata infatti redatta l’8 dicembre 1836 da Giuseppe Valadier «Perito Architetto Accademico». In alto a sinistra: «Dichiarazione delle di contro
strade fuori di Porta Portese»; segue la legenda, con gli stessi numeri della pianta del Catasto
alessandrino, che coincidono con quelli presenti nelle copie 90/656, nn. 1 e 2, prova del fatto
che anche questa pianta è copia, sebbene non molto fedele, di quella del Catasto alessandrino.
Oltre ai numeri in inchiostro nero, relativi agli elementi del paesaggio e ai manufatti elencati
nella legenda, vi sono anche alcune lettere scritte con inchiostro rosso (diverse da quelle presenti nella pianta 90/656, n. 3), per le quali però non vi è alcuna legenda che ne esplichi il
significato, sicuro indizio - ancora una volta - del fatto che anche questa pianta deve essere stata
estrapolata da una perizia. Vale la pena di sottolineare, come è stato già osservato (PASSIGLI 2009,
p. 6), il fatto che a distanza di un secolo e mezzo le piante del Catasto alessandrino costituissero
ancora un punto fermo a cui fare riferimento nonostante la recente esecuzione delle mappe del
Catasto gregoriano, che forse però, essendo a grande scala, non consentivano la necessaria
visione di insieme dello sviluppo planimetrico delle strade, un risultato che sarà raggiunto - con
maggior precisione - solo con la Carta topografica del suburbano di Roma desunta dalle mappe
del nuovo censimento e trigonometricamente delineata nella proporzione di 1:15.000, del 1839,
edita in FRUTAZ 1962, III, tav. 502.
17
18
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63
poco prima della villa della Magliana.
L’origine della questione risaliva perlomeno al 1718, quando il ponte
- senza il quale, come riferito da diversi testimoni, «niuno può passare la
marana della Magliana» - era stato restaurato a cura delle monache di S.
Cecilia che avanzavano pretese affinché, per la spesa da esse sostenuta,
fossero tassati anche i proprietari delle tenute confinanti; ma evidentemente la causa non si risolse subito19.
In particolare, al 1764 risalgono due perizie degli architetti Clemente
Orlandi e Antonio Felice Facci, relative alla ripartizione delle spese per
la riparazione del ponte, con le quali si stabiliva che la metà dovesse
spettare al monastero di S. Cecilia e l’altra metà ai possessori delle tenute
adiacenti, secondo - come era consuetudine - la proporzione delle rispettive superfici20. Tali tenute sono le stesse delle quali Tobia Sani ha realizzato le piante-copia del Catasto alessandrino (con l’eccezione di Tor Carbone e Ponte Galera): si può dunque supporre che diversi decenni dopo,
ormai in pieno ‘800, venisse nuovamente commissionata, presumibilmente dalla Presidenza delle strade (innanzi alla quale - come attesta la documentazione dell’archivio di S. Cecilia - erano state dibattute nel 1764-1765
le cause Romana Pontis e Romana praetensi repartimenti per il risarcimento del ponte e ripartizione delle relative spese), una ricognizione territoriale che documentasse l’esatta posizione e superficie delle tenute
coinvolte e lo sviluppo delle strade che le attraversavano, mediante l’esecuzione di copie delle piante seicentesche.
Ma nonostante la possibilità che nell’archivio di S. Cecilia potesse
essere esistita una o più piante della tenuta della Magliana, menzionate
nella documentazione ma attualmente non presenti nella busta21, non
19
AS ROMA, Corporazioni religiose femminili. Benedettine cassinesi in S. Cecilia in Trastevere, b. 4058, fasc. 14 (Beni rustici. Magliana; 1513-1857, con copie di documenti anteriori);
vi sono numerosi fascicoletti, quasi tutti riportanti una loro numerazione e vecchie segnature,
che dimostrano un precedente ordinamento della documentazione. Si veda per esempio l’incartamento relativo alla riparazione del ponte della Magliana (già T. 16, Arm. B, n. 9) con disegno del ponte e documentazione relativa al suo restauro, atti giudiziari, perizie, memorie di
spese fatte in tempi diversi etc.
20
AS ROMA, Corporazioni religiose femminili. Benedettine cassinesi in S. Cecilia in Trastevere, b. 4058, fasc. 14, incartamenti con le perizie di Clemente Orlandi (già in Arm. B, parte
2, tomo 16) e di Antonio Felice Facci (già mazzo AA, lett. E, n. 7, in Arm. B, parte 2, t. 16); si
veda anche la «Nota delle tenute che si devono tassare per il risarcimento del ponte della
Magliana colla tangente delle rispettive somme (...)» redatta dal perito agrimensore Girolamo
Piagese (già mazzo AA, lett. E, n. 8, in Arm. B, parte 2, t. 16).
21
AS ROMA, Corporazioni religiose femminili. Benedettine cassinesi in S. Cecilia in Trastevere, b. 4058, fasc. 14, incartamento «Notizie circa alla Tenuta della Magliana» (già tomo 16,
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riteniamo che le copie redatte da Tobia Sani provengano da quell’archivio, come ente diretto interessato e maggiormente coinvolto, in quanto
la questione riguardava in realtà diverse tenute attraversate dalla strada;
inoltre, se così fosse, nella documentazione conservata si dovrebbe trovare cenno alle piante e ad eventuali perizie di Sani (come anche a quella di Giuseppe Valadier), come se ne trovano numerose altre precedenti,
ed invece nulla di tutto ciò. Ampliando il discorso all’insieme delle sei
piante, pertanto, è ragionevole pensare che la loro collocazione originaria non sia da cercare negli archivi dei singoli proprietari, quanto piuttosto in quello della Presidenza delle strade, dove erano conservate le
piante originali del Catasto alessandrino e che nei decenni precedenti
era già intervenuta in merito alla vertenza22, e che da questo siano state
prelevate al momento della costituzione della Collezione I di disegni e
mappe, separandole tra loro sulla base di un criterio alfabetico-topografico che non ne ha rispettato l’originaria unitarietà23.
3. Le piante di incerta attribuzione cronologica
Tra le piante prese in considerazione, ve ne sono due per le quali la
precedente redazione dell’inventario 109 forniva una datazione seicentesca: si tratta delle piante delle tenute di Isola Farnese e di Torre in Pietra,
attribuite rispettivamente al 1660 e 1620, secondo quanto indicato nei
Arm. B, n. 1) con elenco di documenti sulla camicia: notizie sulla tenuta, pianta, mappa
(entrambe assenti nell’incartamento stesso). Anche in altri fascicoli ci sono riferimenti a piante
della tenuta della Magliana.
22
Per esempio, negli Atti sciolti delle vie nazionali. Agro Romano e Comarca, bb. 280-320
(1818-1833). Analoga provenienza si potrebbe ipotizzare anche per tutte le altre piante menzionate alla nota 18. Le piante in questione non dovrebbero invece appartenere all’archivio della
Prefettura generale acque e strade (che dal 1833 assorbe le competenze della soppressa Presidenza delle strade), bb. 82-84, relative alle strade della Comarca di Roma (1834-1840), nelle quali
si trova esclusivamente documentazione inerente alla manutenzione ordinaria della strada ‘consorziale’ della Magliana. In particolare, uno «Schiarimento sui riparti del consorzio della via della
Magliana» del 1839 (nella b. 84, fasc. 272) dimostra che i proprietari dei terreni attraversati dalla
strada, tra cui il monastero di S. Cecilia e gli altri proprietari delle tenute circostanti, ai fini della
ripartizione dei rispettivi contributi erano riuniti - per l’appunto - in un consorzio.
23
Nel vecchio inventario 109 le piante delle tenute sono state disposte separatamente,
secondo l’ordine alfabetico; quella delle strade invece è stata riunita con altre due piante di
analogo soggetto (si vedano le osservazioni fatte nella nota 18) nell’attuale unità 90/656: forse
anche quest’ultime provengono dall’archivio della Presidenza delle strade, ma non ci sono dati
certi per affermarlo. Quel che appare certo, invece, è che all’atto dell’inserimento nella Collezione I, su ciascuna di esse è stata aggiunta a matita l’indicazione «Tav. 1», «Tav. 2», «Tav. 3»
inducendo a ritenerle come facenti parte di un unico corpus.
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rispettivi cartigli. Vi sono tuttavia forti dubbi che si tratti realmente di originali seicenteschi, in quanto è ipotizzabile che entrambe siano invece
copie non datate, e non facilmente databili, ma presumibilmente ottocentesche. Per tale motivo esse vengono descritte a parte rispetto a quelle di
sicura datazione seicentesca.
3.1. AS ROMA, CDM, I, 93/762: «Pianta del Territorio dell’Isola della
Reverenda Camera Apostolica posta fuori di Porta del Popolo (...) data in
Bracciano questo dì 23 dicembre 1660» (tav. 1). Si tratta di una parte del
territorio del castrum Insulae, che nel 1567 era stato venduto da Paolo
Giordano Orsini ad Alessandro Farnese (da cui l’appellativo ‘familiare’),
e che nel 1649 - al pari di tutto lo Stato di Castro di cui Isola faceva parte
- era passato sotto la giurisdizione diretta della Camera apostolica24.
La pianta è disegnata a china e acquerello, con il titolo posto in alto
a sinistra scritto da mano ottocentesca diversa da quella della legenda
(«Pianta del Territorio dell’Isola della Reverenda Camera Apostolica»); in
basso a sinistra si trova la seguente annotazione:
«Produzione dell’originale della presente pianta avanti Monsignor Presidente ed i Maestri delle Strade per gl’atti dell’Orsini Notaro delle Strade.
Reverendissimo Presidente et Magistris. Pro Reverenda Camera Apostolica. Contra Quoscumque. Die 8 Ianuarii 1661. Ursinus».
La legenda vera e propria è inquadrata da una doppia cornice e si
trova in basso a destra; in essa sono elencati i diversi ‘quarti’ componenti
la tenuta, la “Macchia”, il “Monte Campanile” e il “Prato la Corte”, tutti
con le rispettive superfici; la legenda è conclusa dalla data e dal nome
dell’agrimensore Battista Cocciante.
Ad un attento confronto, la pianta si presenta come una copia abbastanza fedele dell’originale del Catasto alessandrino, redatto in Bracciano
il 23 dicembre 1660 (433/13): la legenda è del tutto analoga, gli elementi
topografici sono tutti riportati, seppure con coloritura diversa, mentre la
scrittura è decisamente più corsiva nel caso delle scritte interne e per i
nomi delle proprietà confinanti. Nell’originale, la firma - questa volta
autografa - è quella di Battista Cocciante, mentre sul verso, nell’angolo in
alto a sinistra, non facilmente leggibile perché sbiadita, vi è la seguente
annotazione a matita: «Popolo verso Viterbio - Isola/Viar(um) Presid.
Mag.ris/Pro/Ra Cam.ra Ap.lica/con./quoscum(que)/Die 8 januarii 1661»,
24
SILVESTRELLI, II, p. 544; TOMASSETTI, III, p. 136; FAGLIARI ZENI BUCHICCHIO.
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ossia la data di esibizione negli atti del notaio delle Strade, riportata - seppure non fedelmente - anche nella copia.
Il confronto ha anche evidenziato che, mentre nell’originale alessandrino il “Quarto di Vignali” e le “Terre della Comunità” (sulla sinistra della
pianta), per quanto delineati e con le diciture riportate all’interno delle
rispettive aree, non sono colorati e non sono descritti nella legenda25,
nella copia della Collezione I di disegni e mappe, invece, sono entrambi
colorati in verde chiaro (inducendo erroneamente a ritenerli parte del territorio della tenuta spettante alla Camera apostolica), ma anche in questo
caso non sono descritti nella legenda. Chi ha redatto la copia, pertanto,
non ha còlto questa particolarità grafica, oppure ha volutamente colorato
anche i due terreni suddetti.
Ciò premesso, non è tuttavia possibile stabilire con certezza - in mancanza di qualsiasi indicazione in merito - a quando risalga la copia: per
la grafia della legenda, di aspetto decisamente più ‘moderno’ rispetto
all’originale, ed altre caratteristiche grafiche e stilistiche del disegno26, si
potrebbe ipotizzarne una datazione ottocentesca, verosimilmente intorno
ai primi decenni del secolo.
Per questo stesso motivo non è agevole identificare la sede originaria
di conservazione, sebbene si possa avanzare l’ipotesi trattarsi di qualche
archivio camerale, in particolare uno dei fondi dove si conserva documentazione relativa all’amministrazione dei beni della Camera apostolica27. Al momento dell’estrapolazione della pianta per inserirla nella Col-
25
Nella pianta è infatti raffigurata solo la proprietà della Camera apostolica, non i terreni
spettanti alla Comunità di Isola Farnese, sebbene anche questa fosse soggetta alla medesima
Camera; si veda anche SCOTONI, tav. XIII, nella quale con la lettera ‘B’ sono indicate queste stesse terre della ‘Comunità dell’Isola’. Riferimenti a una pianta dei terreni della Comunità sono in
AS ROMA, Congregazione del Buon Governo, s. II, b. 2051, 17 maggio 1692. Nella mappa del
Catasto gregoriano (AS ROMA, Presidenza generale del censo. Catasto gregoriano, Agro Romano,
mappa n.134) il territorio di Isola Farnese comprende la tenuta della Camera apostolica, i due
terreni in oggetto e - più a sud - anche il “Quarto di Pian Solaro” della chiesa di «San Sebastiano
di Roma» (part. 359), che nella pianta del Catasto alessandrino e nella copia è invece indicato
a confine del “Quarto di Vignale” e spettante alla “cappella” di S. Sebastiano.
26
Segnaliamo in particolare che la “Tenuta delle Dui Torre” indicata nella pianta del
Catasto alessandrino a confine con quella della Camera apostolica (si tratta di una tenuta nel
territorio di Formello, non nell’Agro Romano), figura nella copia come “Tenuta delle Due
Torri”: si è cioè attualizzato e normalizzato il toponimo, possibile prova a favore del fatto che
si tratta di copia ottocentesca. Il casale (ossia l’edificio) “Due Torri” esiste ancora oggi, 1 km a
nord-est del Ponte Sodo.
27
Tentativi di ricerca sono stati effettuati nelle ben note e artificiose ‘miscellanee camerali’ (cfr. LODOLINI E. 1976, pp. 317-319), senza alcun risultato: Camerale II. Agro Romano, bb.
8-9 (Isola Farnese); Camerale II. Beni camerali, b. 46, fasc. 555-558 (relativi ad Isola Farnese);
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lezione I di disegni e mappe, peraltro, potrebbe essere stata compilata la
nota ottocentesca apposta in alto a sinistra.
3.2. AS ROMA, CDM, I, 94/836: «Pianta [e] misura di tutte le Tenute dei
Casali di Torre Impreda dell’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Principe
Peretti. Fatta da me Francesco Peperelli (...) sotto li 15 maggio 1620» (tav. 2).
La pianta, realizzata a penna ed acquerello su due fogli di carta uniti
a formare un grosso rotolo, vivacemente colorata, raffigura l’esteso latifondo di Torre in Pietra che - con una superficie totale di 1917 rubbia costituisce il risultato finale del processo di accorpamento fondiario di
almeno otto tenute - i cui confini sono delineati con estrema precisione
- portato a conclusione tra la fine del ‘500 ed i primi decenni del ‘600
dalla famiglia Peretti28.
Corsi d’acqua (privi di denominazione), strade, elementi del paesaggio vegetale e strutture edilizie sono disegnati con tecnica realistica e in
visione prospettica. I manufatti - in particolare - sono costituiti dagli edifici
dei casali, isolati o agglomerati, chiese, torrette, ruderi, delineati con estremo dettaglio figurativo e tutti contraddistinti dalle proprie denominazioni
specifiche (“Chiesa della Libbrignana detta S. Maria Madalena”, “Casetta
nuova della Libbrignana di sotto”, “Castel Lombardo” etc.) o generiche
(“Casetta”, “Torretta”, “Muracci”, “Fontanile” etc.); i fontanili sono rappresentati con la consueta forma rettangolare, colorati di azzurro e con le
rispettive denominazioni a fianco. Il confine della tenuta, sia esso costituito da corsi d’acqua, da strade (come per esempio la “Strada Romana”,
ossia la via Aurelia), oppure semplicemente scandito da cippi raccordati
Camerale III (Comuni), bb. 1232-1233; tutti comprendono documentazione varia sei-sette-ottocentesca (sino al 1838) sull’amministrazione di Isola Farnese da parte della Camera apostolica,
registri di entrate-uscite, istrumenti notarili, affitti, inventari, conti per lavori eseguiti, fascicoli
di cause e vertenze, memorie varie etc.
28
Si tratta delle tenute di Castel Lombardo, Castiglione delle Monache (che secondo
quanto lascia intendere la legenda costituisce l’ultimo acquisto in ordine di tempo), Leprignana
(con le suddivisioni interne “di sopra”/”di sotto”), Prataccio, Sant’Angelo, San Biagio, Torre in
Pietra già della famiglia Cenci (costituita da due unità fondiarie separate) e Torre in Pietra già
della famiglia Massimo. Per le complesse vicende che hanno portato alla formazione del vasto
latifondo di Torre in Pietra si vedano: RATTI, II, p. 352; VENDITTELLI 1989; MORI-FRANCESCHINI-VENDITTELLI (in cui è ripubblicato, con parziali modifiche, il saggio sopra citato di Marco Vendittelli), pp. 53-54 per l’acquisto, da parte di Camilla Peretti, dei casali della Leprignana (1587) e
Torre in Pietra dei Massimo (1590); RUGGERI 2002, pp. 98, 112, 115, 125 e fig. 20, nella quale
sono stati ridisegnati i confini dei diversi casali che costituiscono la tenuta di Torre in Pietra
(si osservi che il casale di Palidoro dei Muti corrisponde a quelli di Sant’Angelo e Prataccio
della pianta in esame). Cenno alla pianta in PASSIGLI 2009, p. 12, nota 24.
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da tratti rettilinei, è marcato sul lato esterno da una coloritura gialla sfumata; mentre solo linee a penna, in alcuni casi con cippi, indicano i confini interni fra le tenute, i nomi delle quali sono trascritti all’interno di ciascuna di esse. All’esterno, infine, sono riportati i nomi dei proprietari delle
tenute confinanti. Sul bordo sinistro della pianta si trova la legenda (racchiusa entro una semplice cornice rettangolare), nella quale sono dettagliatamente descritte tutte le tenute, con le rispettive superfici e caratteristiche colturali (macchie, vigne, prati, terreni lavorativi, pantani); sul verso,
con scrittura più recente, è annotato «Torrimpietra. Pianta antica». Occorre
però precisare subito che, nonostante quanto indicato nella legenda, Francesco Peperelli non è l’autore di questa pianta, in quanto - come si vedrà
meglio più avanti - essa si è rivelata essere in realtà una copia.
Anche la pianta della tenuta di Torre in Pietra consegnata per il Catasto
alessandrino (428/28) reca il nome di Francesco Peperelli e la data del 25
maggio 1620. Esibita alla Presidenza delle strade il 15 aprile 1660 (come
annotato sul retro), essa contiene il disegno delle «Tenute delli casali di Torrimpreda di proprietà dell’Illustrissimo et Eccellentissimo Principe Peretti
(...)» con la raffigurazione degli insediamenti abitativi, dei casali, delle torri,
del procoio, dei fontanili, della selva, e con i nomi di tutte le tenute componenti il vasto latifondo, con i rispettivi confini, alcuni dei quali scanditi
da cippi, e di quelle confinanti. La legenda, posta in alto a sinistra, è identica per contenuti a quella della pianta della Collezione I di disegni e mappe,
ma, a differenza di questa, è inquadrata entro un sontuoso drappeggio.
Il confronto tra le due piante - quella della Collezione I di disegni e
mappe (che chiameremo A), e quella del Catasto alessandrino (che chiameremo B) - al fine di stabilirne i reciproci rapporti e gli eventuali legami, costituisce un interessante esempio di percorso storico-archivistico
che vale la pena di ripercorrere, sia pure in sintesi, per ricostruire le
comuni origini di entrambe.
Come impostazione generale, orientamento, disegno dei confini esterni ed interni, posizione e numero dei cippi, ubicazione e raffigurazione
dei singoli elementi del paesaggio naturale e dei manufatti, le due piante
sono molto somiglianti, tanto da poterle considerare strettamente ‘imparentate’. La differenza più significativa consiste però negli aggiornamenti
relativi al proprietario presenti in B, tutti di prima mano: all’interno delle
tenute di Castel Lombardo, Leprignana di sopra/di sotto, Prataccio, Sant’Angelo, San Biagio e Torre in Pietra già della famiglia Massimo è infatti
scritto, accanto alla denominazione di ciascuna di esse: “del Falconieri”;
mentre nei due corpi fondiari già spettanti ai Cenci e nella tenuta di Castiglione delle Monache è scritto: “hoggi del Falconieri”. Tutto ciò trova spie-
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gazione nel fatto che il 22 dicembre 1639 Francesco Peretti, figlio di
Michele Peretti principe di Venafro, aveva venduto la tenuta di Torre in
Pietra ad Orazio Falconieri29: di qui la necessità degli aggiornamenti, per
evitare possibili contraddizioni con quanto riportato nella legenda della
pianta consegnata all’ufficio delle Strade, nella quale invece si legge: «di
proprietà dell’Illustrissimo et Eccellentissimo Principe Peretti».
Nonostante quanto ritenuto in precedenza, tuttavia, la pianta del
Catasto alessandrino non può essere l’originale dell’architetto Peperelli
aggiornato con l’indicazione dei nuovi proprietari Falconieri direttamente
sulla pianta stessa, lasciando inalterata la legenda originaria30; ciò lo si
può affermare con certezza sulla base di due considerazioni.
In primo luogo, perché sono indicati quali proprietari delle confinanti tenute di Testa di Lepre di sopra e Testa di Lepre di sotto i Pamphili,
che avevano acquistato le due tenute, riunificandole, rispettivamente nel
1649 e 164831. Se si trattasse veramente della pianta originale, si sarebbero
invece dovute trovare le indicazioni dei Cenci (oppure dei Borghese) per
Testa di Lepre di sopra, e dei Rucellai per Testa di Lepre di sotto32.
In secondo luogo bisogna considerare gli aggiornamenti, cui si è fatto
cenno supra, relativi alle tenute di Torre in Pietra dei Cenci e di Castiglione delle Monache, che furono gli ultimi acquisti - in ordine di tempo - da
parte dei Peretti, non molto tempo prima della redazione della pianta originale di Francesco Peperelli33. In questa, infatti, abbiamo motivo di ritenere che per entrambe le tenute (e solo per queste due) dovesse essere
annotato, rispettivamente: “Tenute ch’erano de’ S.ri Cenci hoggi di S. E.” e
“Tenuta di Castiglione delle Monache hoggi di S. E.”34, mentre nella pianta
29
AS ROMA, Notai del Tribunale dell’AC, uff. 3, notaio Dominicus Fonthia, vol. 3168, cc.
1014r-1019v e 1048r-1052r; MORI-FRANCESCHINI-VENDITTELLI, pp. 63, 65.
30
MORI-FRANCESCHINI-VENDITTELLI, p. 16, nota 14.
31
CAPALBO, p. 555.
32
Testa di Lepre di sopra fu venduta dai Cenci al cardinal Scipione Borghese il 9 settembre 1620 (RUGGERI 2002, p. 116, con i riferimenti archivistici), proprio l’anno della redazione
dell’originale di Peperelli; Testa di Lepre di sotto fu venduta il 22 agosto 1587 dagli Anguillara
ad Orazio Rucellai (TOMASSETTI, II, p. 607, nota c), che la possedeva ancora nel 1603 (COSTE
1969, pp. 97-98, n. 500). Si vedrà infra che sono proprio i Cenci ed i Rucellai i nomi che compaiono nell’esemplare A della pianta (tav. 2, angolo a destra in basso).
33
I due terreni che costituivano la tenuta di Torre in Pietra dei Cenci erano stati acquistati
da Michele Peretti il 24 dicembre 1615 (MORI-FRANCESCHINI-VENDITTELLI, p. 56; RUGGERI 2002, p.
115); per quanto riguarda la tenuta di Castiglione, si veda la nota 28.
34
Lo si desume dalle diciture presenti nell’esemplare A che, come avremo modo di vedere più avanti, per alcuni aspetti è una copia non aggiornata della pianta originale di Francesco
Peperelli. Precisiamo che per le altre tenute che costituivano il latifondo di Torre in Pietra
doveva esserne scritto solo il nome, senza altre specificazioni.
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
del Catasto alessandrino al posto di “(...) hoggi di S. E.” figura “(...) hoggi
del Falconieri”. Ora, il titolo onorifico ‘S. E.’ è quello che - in riferimento
a Michele Peretti - Francesco Peperelli utilizza anche nella pianta del territorio di Mentana da lui redatta intorno al 161835. È allora evidente che se
B fosse veramente l’originale - pur ammettendo la possibilità che accanto
ai nomi delle altre tenute sia stato semplicemente aggiunto “del Falconieri” - per Torre in Pietra Cenci e Castiglione delle Monache bisogna invece
ipotizzare che l’indicazione “di S. E.” sia stata erasa e sostituita con “del
Falconieri”. Poiché nella pianta del Catasto alessandrino non vi è traccia
di quest’operazione, la conclusione è che essa non è l’originale di Francesco Peperelli del 1620 ma una copia redatta per la consegna alla Presidenza delle strade, e dunque che il nome dell’architetto che compare
nella legenda non è la sua firma autografa36.
Se passiamo ora ad un confronto analitico tra le due piante, si osserva che sebbene - come anticipato - nelle loro linee generali esse siano
molto somiglianti, vi sono però anche alcune significative differenze. In
A, i numerosi manufatti, gli edifici ed i particolari figurativi del paesaggio
vegetale (selve e boschetti) appaiono raffigurati con un disegno molto
curato, ricchi di dettagli e colorati, mentre in B sono meno elaborati, non
colorati e - nel complesso - più schematici e in qualche caso sommariamente delineati. Inoltre, mentre in A tutti i manufatti sono contraddistinti
con le proprie denominazioni specifiche o generiche (si veda sopra alla
descrizione della pianta) e figurino anche le indicazioni di alcune destinazioni di uso del suolo (“prato”, “vigne”), tali diciture sono generalmente assenti in B, o molto più essenziali (per esempio: “Procoio” in luogo
di “Procoio della Libbrignana di sopra”)37. Per quanto riguarda invece le
legende, a parte le cornici che le delimitano, esse sono sostanzialmente
35
PASSIGLI 1989; si veda, come esempio specifico, p. 132 (“Vigna di S. E.” indicata sulla
pianta). I Peretti avevano acquistato il feudo di Mentana dagli Orsini nel 1594.
36
A ciò si aggiunga il fatto che sembra molto improbabile che la famiglia Falconieri si
privasse dell’originale; la pratica di far redigere copie da consegnare all’Ufficio delle strade
(mentre gli originali rimanevano negli archivi dei proprietari) è ampiamente attestata nel corpus alessandrino: si veda in proposito PASSIGLI 2009, pp. 7-13.
37
Di fatto, a parte le denominazioni delle tenute, nella pianta del Catasto alessandrino
le scritte si riducono sostanzialmente a quelle relative agli insediamenti (Castel Lombardo,
Castiglione, Torre in Pietra) e alla chiesa rurale di S. Angelo (in A sono indicate anche quelle
di S. Biagio e S. Maria Maddalena nella Leprignana). Viceversa, i corsi d’acqua in A hanno un
andamento meno dettagliato e - stranamente - tutti sono privi di denominazione, presente
invece in B per i due che delimitano verso est (in basso, nella pianta) la tenuta (“Arrone fiume”
e “Rio Maggiore”). Altra differenza di lieve entità, il fatto che sempre in A manchino i cippi di
confine tra le tenute della Leprignana di sopra e Torre in Pietra dei Cenci.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
71
analoghe, se si eccettua qualche piccola variante di scrittura38 e qualche
lieve divergenza nell’estensione di alcune tenute. Forse, la differenza più
notevole è la diversa ‘impaginazione’ della parte relativa alle estensioni
delle singole tenute, indicate con le consuete modalità seicentesche in B
(le cifre relative alle rubbia, alle ‘quarte’ e agli ‘scorzi’39 separate da un
punto), incolonnate invece per finche sotto le voci ‘rubbia’ e ‘scorzi’ in
A, con un’impostazione più regolare e indubbiamente anche di aspetto
più moderno. Non è tuttavia, questa, l’unica caratteristica che potremmo
definire ‘moderna’ presente in A: lo stile del disegno40, il tipo di inchiostro, i caratteri delle scritte (i numeri, in particolare), lo stesso supporto
cartaceo, infatti, suggeriscono una datazione più recente di questa pianta
rispetto a quella del Catasto alessandrino.
Per contro, nell’esemplare A si rilevano alcuni ‘arcaismi’ linguistici, se
così possono essere definiti, in particolare nei nomi di alcune tenute, così
come riportati sia nella legenda, sia nelle scritte presenti nella pianta: le
forme “Libbrignana” e “Torre Impreda/Torreimpreda” hanno entrambe
‘sapore’ cinquecentesco41, diversamente da “Leprignana” e “Torre in Pietra/Torrinpietra” che figurano in B, ma solo nella pianta (non nella legenda)42. Analogamente, la dicitura ‘S. E.’ nelle tenute di Torre in Pietra dei
Cenci e di Castiglione delle Monache, posto che il riferimento - come già
osservato - è al principe Michele Peretti, rimanda all’assetto della proprietà
anteriore al 1639, quando la tenuta spettava ancora ai Peretti; mentre l’indicazione dei Cenci e dei Rucellai quali proprietari di Testa di Lepre di
sopra/di sotto rimanda almeno a prima del settembre 1620 (cfr. nota 32).
La pianta della Collezione I di disegni e mappe, dunque, ha un aspetto nel complesso più moderno e mostra alcune caratteristiche che indu-
38
Per esempio: Torre Impreda/Torrimpreda oppure catene/catena, rispettivamente in A
e in B. La differente datazione (15 maggio 1620 nella prima, 25 maggio 1620 nella seconda) è
facilmente spiegabile come probabile errore di copiatura nell’una o nell’altra delle due piante.
39
Un rubbio, corrispondente a 1,8484 ettari, si suddivideva in quattro quarte, e ciascuna
di queste in quattro scorzi.
40
Segnaliamo, tra le altre cose, il confine della tenuta evidenziato con un bordino giallo
leggermente sfumato verso l’esterno, una caratteristica che si rileva, per esempio, in piante
sette-ottocentesche, totalmente assente - invece - nella pianta del Catasto alessandrino (e, più
in generale, nella cartografia seicentesca).
41
“Liprignana” a fine ‘500 (COSTE 1971, p. 93, nn. 87-88); “Torrimpreda” nel 1566 (ibid.,
p. 81, n. 257), “Torre in Preda” alla fine del ‘500 ed inizi del ‘600 (ibid., p. 94, n. 95; COSTE
1969, p. 96, n. 477).
42
A dimostrazione del fatto che quanto affermato non è sempre vero, ricordiamo - per
esempio - che mentre in A figura la forma regolare, e più moderna, “S. Biagio” (tenuta, chiesa,
prato), sia nella pianta che nella legenda, in B figura solo nella pianta ma non nella legenda,
che riporta invece “S. Biasio”.
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cono a ritenerla un prodotto cartografico sicuramente non seicentesco
ma, al contempo, presenta alcuni arcaismi linguistici, ignorando il più
delle volte gli aggiornamenti presenti, invece, in quella del Catasto alessandrino. Per tutti questi motivi, si può escludere non solo che essa
possa essere l’originale di Francesco Peperelli43, ma anche che possa derivare da quella del Catasto alessandrino44.
La conclusione, pertanto, è che tra le due piante non esiste alcun
legame, e che entrambe discendono dall’originale del 1620, come indirettamente suggerito dalle rispettive legende45, in modo indipendente ed
in tempi diversi, e per la precisione: nel 1660 quella redatta per la consegna alla Presidenza delle strade (B), di fattura più veloce, meno elaborata, priva della maggior parte delle denominazioni di edifici ed altri
manufatti ma - considerato il motivo per cui fu realizzata - con gli aggiornamenti relativi ai nuovi proprietari della tenuta e, dove cambiati, di alcuni confinanti; in un momento non precisabile quella conservata nella Collezione I di disegni e mappe (A), più accurata nella sua redazione, con
numerosi dettagli paesaggistici assenti nella pianta del 1660, sicuramente
posteriore a questa - forse addirittura della fine del ‘700 o inizi dell’800,
in quanto di aspetto più recente - ma senz’altro più fedele all’originale,
da cui sicuramente discende, in quanto priva degli aggiornamenti46. Ci si
potrebbe domandare se le scritte relative agli edifici e agli insediamenti
e il disegno molto più curato di questi - che fanno di questa pianta una
testimonianza cartografica ben più ricca di informazioni rispetto a quella
del 1660 - fossero presenti anche nell’originale del 1620 e fossero poi
stati ignorati, per celerità, all’atto dell’esecuzione della copia per il Cata-
43
Ciò lo si afferma anche sulla base di un confronto con la pianta del territorio di Mentana da lui realizzata intorno al 1618, che dimostra chiaramente che la pianta in esame non
può essere di sua mano.
44
Se così fosse, in A dovrebbero comparire la dicitura “... hoggi del Falconieri” (invece
di “... hoggi di S. E.”) ed i Pamphili quali proprietari di Testa di Lepre (anziché i Cenci ed i
Rucellai); inoltre - in questa eventualità - sarebbe piuttosto singolare che la copia fosse più
dettagliata e ricca di particolari del presunto originale da cui deriva.
45
In nessuna delle due è infatti esplicitamente indicato che si tratta di copie.
46
Le denominazioni cinquecentesche di alcune tenute sopra riferite, farebbero pensare che
esse fossero effettivamente presenti nell’originale, e come tali riportate nella copia, mentre nella
pianta del 1660 figurano solo nella legenda (con qualche variante, come per esempio “Lebrigniana” invece di “Libbrignana”) in quanto ricopiata dall’originale, ma non nella pianta, nella quale
- come già osservato - figurano le diciture ‘modernizzate’ e le aggiunte relative al possesso da
parte dei Falconieri. Analogamente, anche i non aggiornamenti di alcuni confinanti e i riferimenti
indiretti a Michele Peretti sono prove che la pianta discende dall’originale. Si rilevano, comunque, anche alcuni probabili errori di trascrizione, quale - per esempio - “Correcchie di SS. Martiri”
in luogo di “Cortecchio de’ SS. Mattei”, come giustamente riportato nella pianta del 1660.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
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sto alessandrino, oppure se si tratti di innovazioni aggiunte al momento
della redazione di A. Ma se si ammette la possibilità che A sia una copia
non aggiornata dell’originale del 1620, ciò deve valere per tutti i suoi dettagli. In caso contrario, bisognerebbe supporre che essa non sia aggiornata per quanto riguarda i proprietari, ma lo sia - invece - per i particolari
paesaggistici, dell’edificato e relative denominazioni47.
Ciò detto, per concludere l’analisi di questi prodotti cartografici (l’originale del 1620, la copia per il Catasto alessandrino del 1660, l’esemplare
conservato nella Collezione I di disegni e mappe), resta da affrontare il
discorso relativo alle rispettive provenienze. Non ci si sofferma sulla
copia del 1660, in quanto è evidente che è stata redatta per il Catasto
alessandrino ed in quanto tale è oggi conservata nell’archivio della Presidenza delle strade (428/28).
La pianta originale della tenuta di Torre in Pietra, non pervenutaci,
come più volte detto, è stata realizzata dall’architetto e agrimensore Francesco Peperelli, nei primi decenni del ‘600 al servizio del principe Michele Peretti, per il quale intorno al 1618 aveva redatto anche la pianta del
territorio di Mentana. Tra il 1615 ed il 1620 egli eseguì consistenti lavori
di ristrutturazione al casale di Torre in Pietra (il medievale castrum Castiglionis), trasformandolo in residenza di caccia, con numerosi interventi e
miglioramenti48. È molto probabile che la redazione della pianta voglia
rappresentare, nelle intenzioni del committente, il momento conclusivo
e il documento di sintesi, se così si può dire, dei lavori appena ultimati
e dell’accorpamento fondiario portato a compimento proprio in quegli
stessi anni dalla famiglia Peretti e illustrate nella pianta, sulla cui esecuzione tuttavia non si sono reperite notizie significative49, anche se è vero-
47
A complicare questo già non semplice quadro c’è pure il caso inverso, quello cioè di
indicazioni assenti nella pianta in esame, presenti invece in quella del Catasto alessandrino.
In questa, ad esempio, tra i confinanti sono indicati “Maccarese de’ SS. Mattei”, “Hosteriaccia
di S. Spirito” (un edificio) e “Li Mandrioni di S. Spirito”, diciture che non compaiono (eccetto
l’edificio, ma senza la scritta) nella prima. Le possibilità sono in effetti due: o tali indicazioni
erano realmente assenti nell’originale e sono state aggiunte nella copia del 1660, ma non nell’altra (che in ciò risulterebbe più fedele); oppure erano presenti nell’originale, sono state
riportate nella copia del 1660 ma non - per motivi ben difficili anche solo da ipotizzare - in
quella conservata nella Collezione I di disegni e mappe.
48
MORI-FRANCESCHINI-VENDITTELLI, pp. 55-58, 61. Per alcune notizie biografiche sull’archietto Francesco Peperelli e sulla sua attività: ibid., pp. 61-62 e PASSIGLI 1989, pp. 5-7.
49
Forse, all’interno di un «mazzo di conti di spesa (…) con alcuni conti di artisti, misure
di erbe del casale di Torre Impietra dal 1619 al 1626» poteva esservi anche quello a favore del
Peperelli per la realizzazione della pianta della tenuta (AS ROMA, Famiglia Giustiniani. Armario
unico Peretti, b. 84 (inventari): «Inventario de’ libri mastri et altri libri attenenti all’heredità del-
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
simile che essa dovesse essere conservata nell’archivio di famiglia.
Quando nel 1639 la tenuta di Torre in Pietra passò ai Falconieri, con essa
pervenne, come era consuetudine, anche la pianta originale di Peperelli in
qualità di munimen50, come si desume dal fatto che furono i Falconieri a
consegnare nel 1660 all’Ufficio delle strade la copia con gli aggiornamenti; il
che dimostra che l’originale era in loro possesso. Ed ancora oggi essa potrebbe trovarsi nell’archivio della famiglia Falconieri, a Carpegna (PU)51.
Per la pianta conservata nella Collezione I di disegni e mappe, che è
l’oggetto specifico del presente studio, non si è invece in grado di stabilire con certezza né la datazione, né quale sia l’archivio di provenienza.
Certamente essa non può provenire da ciò che rimane dell’archivio
Peretti: il suo aspetto ‘recente’ lo fa escludere automaticamente, considerato che la famiglia ha posseduto la tenuta sino al 1639, mentre la pianta
è senz’altro posteriore, forse anche di oltre un secolo52. Analogamente,
non può essere stata estrapolata dall’archivio Falconieri, che si trova a
Carpegna, poiché la provenienza è da ricercare piuttosto in uno dei fondi
archivistici conservati presso l’Archivio di Stato di Roma. Presso l’Istituto
archivistico romano, vi è in effetti documentazione relativa alla famiglia
Falconieri, ma si tratta essenzialmente di summaria a stampa e carte
l’Ill(ustrissi)mo Sig(nor) D(omino) Francesco Peretti cardinal Montalto e diverse scritture e conti
di artisti (…). Il tutto consegnatomi dall’erede (…) 27 ottobre 1667 (Arm. Unico, Mazzo I, n. 30)».
A scanso di equivoci precisiamo che nell’inventario citato c’è l’annotazione dell’esistenza di questo mazzo di conti, ma nelle attuali sette unità archivistiche relative alla famiglia Peretti presenti
nell’archivio della famiglia Giustiniani il mazzo in parola non c’è). Altra documentazione relativa
alla famiglia Peretti, libri instrumentorum e memorie varie, si trova in AS ROMA, Famiglia Sforza
Cesarini (per il cui inventario si veda il ‘Rubricellone’, p. II, pp. 1148-1161 «Casa Peretti. Cose
diverse dal 1576 al 1645») e in ASC, Archivio Cardelli, un’Appendice del quale conserva documentazione, dalla fine del XVI secolo in poi, relativa a personaggi delle famiglie Peretti e Savelli.
In nessuno di questi due si sono reperite notizie sulla realizzazione della pianta.
50
Per la vendita si veda la nota 29; la pianta non è menzionata nell’atto, mentre c’è una
descrizione accurata delle tenute comprese nel grande latifondo di Torre in Pietra, con i rispettivi atti di provenienza. Com’è ben noto, documenti e piante relativi ad un bene fondiario,
erano strettamente legati ad esso, e ne seguivano le sorti cambiando archivio nel momento
stesso che il bene cambiava proprietario.
51
Archivi di famiglie e di persone, II, p. 89, n. 1605. Nell’archivio Falconieri non c’è una
vera e propria collezione di piante, ma ve ne sono diverse frammiste alla documentazione, tra
le quali anche di Torre in Pietra (comunicazione gentilmente fornita da Tommaso di Carpegna
Falconieri, che si ringrazia). Sarebbe necessaria un’indagine specifica per verificare se - tra di
esse - vi sia anche quella di Francesco Peperelli, che non è stata rinvenuta da Elisabetta Mori
nel corso delle sue ricerche, cfr. MORI-FRANCESCHINI-VENDITTELLI, pp. 53-74.
52
Per i vari spezzoni dell’archivio Peretti si veda la nota 49. I due oggi conservati presso
l’Archivio di Stato di Roma (negli archivi delle famiglie Giustiniani e Sforza Cesarini), peraltro,
sono stati acquisiti posteriormente alla costituzione della Collezione I di disegni e mappe.
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75
varie relative soprattutto a cause giudiziarie della fine del ‘700 e primi
due decenni dell’800, molte delle quali riguardanti Torre in Pietra, senza
però alcun cenno all’esistenza di eventuali piante53.
I numerosi richiami - nella documentazione di cui sopra - ad una
vertenza (1817-1818) tra Orazio Falconieri e Giuseppe Merolli, affittuario
della tenuta di Torre in Pietra dal 1816, hanno tuttavia suggerito di indagare anche nell’archivio di questa famiglia, che si è dimostrato essere
quello di provenienza di almeno altre due piante oggi conservate nella
Collezione I di disegni e mappe (cfr. § 4.3), nonostante i Merolli non fossero i proprietari della tenuta e sebbene il periodo in cui la tennero in
affitto (prima metà dell’800) sia posteriore alla redazione della pianta54.
Ma anche in questo caso non si è reperito alcun dato utile alla ricerca,
anche se sono riferimenti certi all’esistenza di piante: nella consegna
della tenuta a Giuseppe Merolli nel 1817, ad esempio, in chiusura «si
dichiara ... che alcune delle suddette misure sono state rilevate dalla
Pianta generale di detta tenuta dell’Ecc.ma Casa Falconieri le quali a suo
luogo e tempo verranno da me sottoscritto verificate. Roma, luglio 1817»
(manca la firma), dove la ‘Pianta generale’ potrebbe essere proprio l’originale di cui andiamo discutendo55. In una copia non datata, ma riferibile
al 1816-1817, della «Descrizione dei fossi di Tor’ in Pietra» è contenuta
anche una «Descrizione generale della tenuta di Torre in Pietra, suoi
quarti, prati, macchie, spallette, vigna, canneto ed oliveto ed altro coll’indicazione de’ confini e quantità secondo la Misura e Pianta fatta dalla
bo. mem. di Angelo Qualeatti Agrimensore (...)»56.
La famiglia Qualeatti vanta tra i suoi membri numerosi agrimensori sin
dalla metà del ‘60057. Nel XVIII secolo sono attestati Angelo Qualeatti (atti-
53
AS ROMA, Miscellanea famiglie, bb. 74-78. Si tratta di una delle tante serie miscellanee
dell’Archivio di Stato di Roma cominciata a formarsi verso la fine dell’800 con carte di provenienza varia (Guida generale degli Archivi di Stato Italiani, III, Roma 1986, pp. 1262-1263).
54
AS ROMA, Famiglia Merolli, bb. 5-7, contenenti carte e fascicoli relativi all’affitto di
Torre in Pietra da parte dei Merolli, e alla vertenza Giorgi-Merolli, con documentazione anteriore (1792-1843). La pianta avrebbe potuto essere conservata nell’archivio Merolli in quanto
consegnata loro in occasione del primo affitto della tenuta. Cenni al possesso della tenuta da
parte della famiglia Merolli «per parecchi anni» in PISCITELLI, pp. 142-143.
55
AS ROMA, Famiglia Merolli, b. 5, fascicoletto denominato «Tenuta di Torrimpietra, anno
primo dell’affitto del sig. Giuseppe Merolli. Misure distinte della medesima».
56
AS ROMA, Famiglia Merolli, b. 5, fasc. 38, contenente carte relative alla ‘consegna’ del
1816 e dunque la Descrizione dovrebbe essere di questo stesso anno.
57
Marco Antonio Qualeatti lavorò per il capitolo di S. Pietro tra il 1638 ed il 1643, ed in seguito anche per altri enti religiosi e famiglie; fra il mese di febbraio e quello di maggio 1660 firmò ben
trentaquattro originali e due copie di piante per il Catasto alessandrino (ma personalmente ne
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vo sino al 1749) e suo figlio Pietro Paolo (+ 1795), entrambi al servizio del
capitolo di S. Pietro; figlio di Pietro Paolo fu Angelo Qualeatti jr, che sostituì il padre nel 1795 elevando anch’egli le piante di alcune tenute spettanti
al capitolo, per il quale lavorò sino alla sua morte (1830)58.
Poiché nella «Descrizione generale» sopra menzionata si fa riferimento ad Angelo Qualeatti come già defunto, è evidente che si tratta del
primo dei due; in tal caso, l’esemplare cui si allude non può essere posteriore alla metà del XVIII secolo. Tuttavia ben difficilmente questo può
identificarsi con la pianta conservata nella Collezione I di disegni e mappe
in quanto, presumibilmente, dovrebbe trovarsi nell’archivio Falconieri;
inoltre esso è stato redatto da Angelo Qualeatti, come esplicitamente
dichiarato, mentre della nostra pianta non si conosce l’autore.
In conclusione, dunque, nonostante le ricerche effettuate in ogni direzione, non è possibile conoscere la provenienza della pianta 94/836: di
certo possiamo solo affermare che, come in altri casi, la scritta “Torrimpietra. Pianta antica” sul retro potrebbe risalire al momento del suo inserimento nella Collezione I di disegni e mappe, e cioè alla fine del XIX secolo.
In chiusura di questa trattazione su Torre in Pietra, e per completezza, ricordiamo che nella Collezione I di disegni e mappe esiste un’altra
pianta della tenuta, risalente al marzo 172559. A scala più piccola dell’altra
ed ugualmente acquerellata, essa si presenta con un tratto nitido, regolare e molto curato, con il disegno dettagliato degli edifici e dei manufatti,
ciascuno contraddistinto con la propria denominazione, e con i prati e i
canneti colorati in verde; sono anche indicati i “Muracci/Murazzi” nelle
stesse posizioni di quelli raffigurati nella pianta 94/836; come in questa infine - all’interno di ciascuna tenuta vi sono le rispettive denominazioni,
e per quella già spettante ai Cenci è scritto: “Tenuta de’ SS. Cenci ora de’
SS. Falconieri”.
A fianco di queste caratteristiche - che senza dubbio mostrano una
stretta attinenza con la pianta 94/836 della Collezione I - vi sono però
alcuni elementi innovativi nella raffigurazione del paesaggio, assenti
nell’altra, come per esempio: “L’ara Nuova”, il “Granaro bruciato”, il
“Molino” poco a monte di Castel Lombardo, la “Calcara” sotto la “Torretta”, nel terreno già spettante alla famiglia Massimo (nell’altra pianta, al
posto della calcara c’è un fontanile). Vi sono inoltre nuove denominazio-
redasse solo cinque); nello stesso periodo sono attestati anche Asdrubale e Carlo Qualeatti (PASSIGLI
2012, pp. 368, 370, 373, 374; a p. 378: elenco delle piante realizzate da ciascuno di loro).
58
GAUVAIN, Selezione di piante e mappe, p. 10.
59
AS ROMA, CDM, I, 94/838.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
77
ni di terreni, come il “Quarto della Torretta”, con disegno di una torre
(presente, senza scritta, nella pianta 94/836, assente invece nella pianta
del Catasto alessandrino) o la “Polledrara” (descritta nella legenda ma
non indicata nella pianta n. 836)60. Il tutto a testimoniare trasformazioni
e nuove edificazioni all’interno della tenuta.
La legenda, all’interno di un elaborato cartiglio, sebbene in alcune
diciture mostri alcune somiglianze con quelle delle altre due piante (per
esempio: “Pianta e misura di tutte le terre de’ casali di Torrimpetra”;
“Tenuta già Cenci”), nel complesso appare semplificata. I proprietari
delle tenute confinanti - infine - sono gli stessi di quelli indicati nella
pianta 94/836, con i significativi aggiornamenti relativi alla tenuta di Testa
di Lepre di sopra/di sotto61.
Tutto ciò considerato, riteniamo che anche questa pianta (di cui analogamente all’altra si ignora la provenienza) debba essere una copia sebbene non fedele - dell’originale di Francesco Peperelli, come suggeriscono i numerosi indizi sopra riferiti: essendo posteriore di oltre un
secolo, essa contiene gli aggiornamenti di alcuni proprietari di tenute
confinanti (i Pamphili per Testa di Lepre) e presenta alcune novità (edifici, strutture, denominazione di alcuni terreni) rispetto all’originale62.
4. Le piante del Cinquecento
Prenderemo ora in considerazione, tra le piante selezionate pertinenti all’Agro Romano, le tre che risalgono al XVI secolo.
A Roma fu proprio a partire dalla metà del ‘500 che - dopo l’esperienza volpaiana, che in un certo senso rappresenta l’inizio di un nuovo
percorso cartografico63 - si diffuse l’uso di redigere carte a grande scala
Per l’apparire di nuove denominazioni interne alla tenuta nel corso del XVIII secolo,
si veda l’elenco dei quarti riportati nel Catasto annonario del 1783 (NICOLAJ 1803, I, n 195, pp.
94-96), alcuni dei quali sono riconducibili a nomi presenti nella pianta del 1725.
61
“Testa di Lepre de’ SS. Cenci ora de’ SS. Panfili”, “Testa di lepre che era de’ Rucellai
ora de’ Panfili”.
62
La pianta in questione non può essere copia di quella del Catasto alessandrino, nella
quale non c’è il riferimento a Testa di Lepre dei Rucellai e dei Cenci, che poteva essere - sì nell’originale di Peperelli, ma non in quella consegnata alla Presidenza delle strade in quanto
aggiornata; e non può derivare neanche dalla 94/836 poiché questa è senz’altro più recente.
63
Per la pianta denominata il «Paese di Roma» di Eufrosino della Volpaia del 1547, prima
carta di un certo dettaglio che raffigura il territorio dell’Agro Romano con le sue caratteristiche
orografiche, idrografiche e vegetazionali, con il sistema viario e le numerose emergenze architettoniche ed archeologiche, si rimanda a ASHBY; FRUTAZ 1972, I, pp. 20-22 con bibliografia, e
II, tavv. 25-30; COSTE 1983, pp. 273-281.
60
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78
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(piante) per raffigurare singoli terreni dell’Agro Romano, principalmente
tenute spettanti agli enti ecclesiastici più importanti, in relazione alle
capacità organizzative e al prestigio di ciascuno di essi, piante che non
di rado sono ancora oggi conservate nei rispettivi archivi64.
La pratica di disegnare piante dei beni fondiari è dunque ben attestata già un secolo prima della sistematica operazione costituita dalla
redazione del Catasto alessandrino, che rappresenta il primo progetto
unitario di rilevazione cartografica della Campagna Romana. Lando Scotoni ha stimato a oltre il 30% circa l’ammontare delle piante anteriori al
1660 e copiate in quell’occasione65: alcune risalgono a pochi anni o a
qualche decennio prima, e la loro attribuzione cronologica si desume, il
più delle volte (laddove non esplicitamente indicata), dal confronto con
i dati sulla proprietà e sui confini riportati dal Libro dei Casali dei primi
anni del Seicento66, oppure da incongruenze cronologiche, qualora cioè
riportino il nome di agrimensori che alla data del 1660 non erano più in
attività. Altre sono decisamente più antiche, risalendo in qualche raro
caso alla metà del Cinquecento67.
Non esiste ancora un censimento analitico delle piante di tenute anteriori al Catasto alessandrino, ma - come si è avuto modo di rilevare68 - si
deve a Jean Coste un primo repertorio di esse: oltre a quella, già citata,
della tenuta di Salone spettante al capitolo di S. Maria Maggiore (1558),
l’elenco annovera piante conservate sia presso archivi di ospedali ed enti
religiosi (ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum69, capi-
64
V. in proposito quanto osserva COSTE 1976, pp. 76-77, circa le piante di fondi rurali
anteriori a quelle del Catasto alessandrino.
65
SCOTONI, pp. 206-216, con esempi dettagliati e accurate motivazioni delle deduzioni.
66
Il Libro dei Casali, conservato presso l’archivio di S. Maria Maggiore e relativo all’insieme
delle tenute della Campagna Romana, è edito in COSTE 1969, cui si rinvia per maggiori dettagli.
67
Le più antiche carte di casali consegnate nel 1660 risalgono in media alla seconda metà
del XVI secolo. Si tratta, tra le altre, delle piante 428/2 (Boccea e Bocceola, del 1555), 433A/15
(Castelluccia, del 1570), 433A/56 (Carrocceto, del 1579), 432/22 (Petronella, del 1582). Al di là
del fatto che possa trattarsi di originali o, più verosimilmente, di copie (un dato non sempre
facile da appurare), è comunque certo che esse attestano il fatto che si realizzassero piante di
tenute già intorno alla metà del XVI secolo.
68
PASSIGLI 2009, pp. 9-10.
69
Nell’archivio dell’ospedale esisteva un Libro dei casali di proprietà dell’ente, datato al
1599 e realizzato da Ascanio Antonietti, da cui sono state copiate due piante da Bernardino
Calamo nel 1635 (AS ROMA, Ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum, b. 390: Statuario e Marmoria, Statuario, Arco Travertino), nella cui legenda è fatto espresso riferimento agli
originali del Libro stesso. Tali piante, a loro volta, funsero da originale al momento di redigere
la copia per il Catasto alessandrino (429/26) che univa in un unico elaborato cartografico, meno
curato dell’originale (mancano per esempio i particolari degli edifici) i casali Sette Bassi (A),
Marmoria, Arco Travertino e Buon Ricovero (B) e Statuario (C), ai quali è stata aggiunta la pedi-
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tolo di S. Pietro70, ospedale di S. Antonio71) sia, caso più raro, presso archivi di famiglie, come ad esempio quelli Borghese72 e Crescenzi73. Gli esempi riportati nelle note74 mettono in luce il frequente ricorso alla pratica cartografica a grande scala già nella seconda metà del Cinquecento. Se poteva permetterselo dal punto di vista economico, il proprietario disponeva
di un agrimensore alle proprie dipendenze, al quale veniva commissionata l’esecuzione delle piante dei beni fondiari, da custodire gelosamente
nel proprio archivio. L’originale non costituiva solo un titolo di proprietà
dal quale eventualmente trarre copie né, tanto meno, aveva scopi puramente estetici: esso costituiva una memoria ‘vivente’ dello stato della pro-
ca di Crelia, o Cleria (D), evidentemente un acquisto successivo al 1635 (la relativa legenda,
infatti, in basso a sinistra, si deve a Francesco Calamo). Per queste osservazioni, si vedano le
note di Jean Coste, in Roma, Società Romana di Storia Patria, Archivio Coste, dossier 35, fasc. 2.
70
Fra le Mappe dei beni rustici di proprietà del capitolo di S. Pietro eseguite da agrimensori anteriormente al 1660, un esempio interessante è costituito dalla pianta della tenuta di
Porto elevata da Orazio Torriani nel 1603. Ne esiste una copia del 1658 sottoscritta dallo stesso
agrimensore all’età di ottantadue anni e un’ulteriore replica di questa copia su carta, eseguita
rapidamente dall’architetto del capitolo, Benedetto Drei junior, e inserita nel Catasto alessandrino (433bis/13; v. FRUTAZ 1972, I, p. 43 e II, XXIX, 22). La pianta originale, tra l’altro, era stata
commissionata al padre di Orazio, Francesco, il quale dopo averne eseguito la misurazione
lasciò al figlio il compito di confezionarla e di sottoscriverla. Per l’attività di Francesco ed Orazio Torriani e Benedetto Drei: PASSIGLI 2012, pp. 368, 373, 377, 379. Per le piante del capitolo
di S. Pietro, v. il recente GAUVAIN, Selezione di piante e mappe.
71
ENKING, pp. 92-93, dove sono elencate diverse piante, soprattutto pertinenti alle proprietà situate nel territorio di Tivoli, datate fra il 1637 e il 1639-1646 (casale di Torre Mastorta,
agrimensore Geronimo Rampano, 13 novembre 1639; Aguzzano, agrimensore Paolo Cordiale,
21 marzo 1646). Le piante risultano eseguite, nella maggior parte dei casi, dallo stesso agrimensore Geronimo Rampano, per ordine del vicario, e utilizzate a lungo, come attestano le
annotazioni riguardanti affitti e vendite via via aggiunte dai procuratori dell’ospedale.
72
Anteriori al 1660 sono la pianta di Capocotta di Bernardino Calamo del 1622, conservata in ASV, Archivio Borghese, VI, 310, b. 177, e quella di Tor Forame del 1615 (ibid., b. 939,
n. 14; cfr. COSTE 1976, p. 77).
73
La pianta del casale della Crescenza venne realizzata per conto di Paolo Crescenzi, il
28 maggio 1656. L’agrimensore incaricato della redazione della mappa fu Marco Antonio Qualeatti, come indicato nella legenda da lui sottoscritta e recante la stessa data dell’originale. Il
20 marzo 1660 venne consegnata all’ufficio della Presidenza delle strade una copia anonima e
senza data conforme all’originale (433/7), originale che anche in questo caso rimase presso la
famiglia, nel cui archivio si trova ancora oggi (BENTIVOGLIO, in particolare la tav. XIV, 1). Sulla
copia non sono riportati lo stemma né la rosa dei venti, mentre i confini e le suddivisioni interne sono fedeli e, viceversa, l’edificio del casale non è conforme. Anche in questo caso, quindi,
la copia risulta più trascurata rispetto all’originale.
74
Non si possono non menzionare, in questa parziale panoramica, la pianta del casale
Selce, spettante al monastero dei SS. Domenico e Sisto, risalente al 1607 (Catasto alessandrino
433bis/40) e quella del casale di Torrenova, redatta da Nicola Pettoralis tra il 1633 e il 1637
(quando la tenuta spettava agli Aldobrandini), per la quale si vedano COSTE 1976, p. 77 e RUGGERI 2002, p. 89, nota 264).
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prietà, una memoria da mantenere continuamente aggiornata con note e
appunti i quali, se ne ingombravano disordinatamente gli spazi vuoti,
dimostravano tuttavia di avere un rilevante valore giuridico.
4.1. Capo di Bove.
AS ROMA, CDM, I, 92/724: «Pianta e misura del casale di Capo di
Bove»75 (12 novembre 1587; tav. 3).
La pianta è realizzata a china e acquerello; in alto a sinistra vi è la
legenda, senza titolo, con indicazione della estensione dei terreni:
«Somma tutta la predetta pianta r(ubbi)a centovintidoi et quarta una di
r(ubbi)o alla mesura di catena et uso di Roma, misurata per me Cesareo
[Gatt]ola et propio il dì 12 de 9bre 1587. [Et]76 insegno del vero ho fatta la
presente di mia propria mano. Dico r. 122¼».
Sul verso, una mano settecentesca, la stessa - come si vedrà - alla
quale è dovuto l’inventario delle cassette dell’archivio dell’ospedale del
Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum, ha annotato:
«Arm. II Mazzo III n. 25. Originale. Pianta e Misura del casale di Capo di
Bove in rubbia 122¼ fatta da Cesareo Gettola <sic, per Gattola> Agrimensore li 2 novembre 1537».
Un’ulteriore mano, verosimilmente ottocentesca, ha aggiunto a matita, su un lembo ripiegato della carta, l’indicazione dell’Archivio del Salvatore e corretto la data 1537 in 1587.
La pianta raffigura la tenuta di Capo di Bove estesa sul lato destro
della via Appia, uscendo da Roma, all’epoca spettante pro indiviso alle
famiglie Leni e Mutini77, che non va confusa con l’omonima proprietà
situata sull’opposto lato della strada, spettante invece alla famiglia
Cenci78. Vi è raffigurata la via Appia (“Strada d’Albano”) con una serie di
edifici disposti lungo la strada. L’insediamento fortificato di Capo di
Bove, che sorgeva intorno al mausoleo di Cecilia Metella, è costituito da
75
Questa è la dicitura settecentesca che compare sul verso della pianta, priva di denominazione originale. Il vecchio inventario 109 riportava: «Capo di Bove, castello fortificato presso Cecilia Metella», in riferimento al fatto che nella pianta è ben visibile la tomba di Cecilia Metella.
76
Le parentesi quadre indicano le lacune causate da una macchia.
77
COSTE 1971, p. 105, n. 222.
78
Per la tenuta di Capo di Bove della famiglia Cenci si veda RUGGERI 2002, pp. 82-83 e
fig. 23.
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un circuito murario rettangolare, con bastioni a scarpa e merlatura, rappresentata in planimetria zenitale, mentre la torre circolare, corrispondente al mausoleo stesso, anch’essa merlata, è raffigurata in proiezione
laterale79. Il circuito murario è posto a cavallo della strada che vi penetra
all’interno tramite due archi designati “porta Romana” e “porta d’Albano”.
È presente una caratterizzazione grafica sia per i prati e le vigne, sia per
le ondulazioni del terreno, realizzate con tecnica ‘a mucchio di talpa’. I
limiti sono riportati mediante l’indicazione dei proprietari confinanti, a
cominciare da sud: “Santa Maria Nova” (Statuario), “San Giovanni Laterano” (Tor Carbone), un “canneto”, “Orfanelli” (potrebbe trattarsi di una
proprietà della chiesa di S. Maria in Aquiro), “Vigna de Mario Mello”,
“Vigna delle heredi di Scopetta”, “canneto di Panfilo Pansani”, “Strada
Romana” (via Ardeatina).
L’indicazione esplicita riportata sul verso della pianta consente di
risalire direttamente alla sua collocazione originaria. La cassetta 423 dell’archivio dell’ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum,
corrispondente alla vecchia segnatura Armadio II, Mazzo III, contiene
infatti documentazione relativa all’amministrazione patrimoniale delle
tenute di proprietà dell’ente poste fuori la porta Appia (S. Sebastiano), e
in particolare i fascicoli dal n. 24 al n. 39 riguardano Capo di Bove80. I
numeri dal 24 al 26 corrispondono ad altrettante piante della tenuta,
secondo l’inventario settecentesco al quale si devono i regesti conservati
nel rubricellone del 1739 indicato con la segnatura 991bis. In realtà, al
numero 25 corrisponde però la sola camicia che doveva contenere la
pianta. Sulla camicia è riportata la seguente indicazione:
«Pianta e Misura del Casale di Capo di Bove di rubbi 122¼ fatta da Cesareo Gettola agrimensore li 2 novembre 1537» (la data è stata successivamente corretta a matita in 12 novembre 1587).
che non risale al riordinamento settecentesco dell’archivio dell’ospedale, ma
è di mano posteriore. Più sotto, un’aggiunta dalla stessa mano precisa: «Col-
79
Per una ricostruzione storica dell’insediamento fortificato medievale, ESPOSITO-PASSIGLI
2008. Cenni alla pianta in parola (ma con l’erronea datazione 1537, che qui si corregge in 1587)
in PASSIGLI 2009, p. 11.
80
AS ROMA, Ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum, cass. 423 (già Arm.
II, Mazzo III), nn. 24-39. Si veda l’inventario n. 60/136, con la trascrizione dei regesti delle cassette da 404 a 440, redatto a cura di Angela Lanconelli, pp. 84-86 per i documenti relativi alla
tenuta di Capo di Bove.
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
locata nella raccolta delle mappe per conservarla meglio. R 724». Si tratta di
un caso rarissimo che esplicita con assoluta chiarezza l’operazione effettuata: per uno scrupolo di conservazione, la pianta è stata prelevata per destinarla alla Collezione I di disegni e mappe, nel momento in cui questa è stata
artificiosamente costituita. La rarità consiste nel fatto che, in questo caso,
l’archivista ottocentesco ha ritenuto di segnalare con precisione l’intervento,
riportando l’indicazione del numero 724 relativo alla nuova segnatura della
pianta e completando così i riferimenti incrociati del documento81.
La stessa sorte non è invece capitata alle altre due piante della tenuta, che tuttora si trovano nella cassetta 423 dell’archivio del Santissimo
Salvatore.
Il fascicolo 24 contiene un disegno a inchiostro e china colorata, realizzato su un foglio di carta di cm 90x30, privo di data e firma dell’agrimensore. Figura solo il titolo sul verso del foglio: «Pianta del casale di
Capo di Bove», della medesima mano dell’annotazione sul verso della
pianta ora conservata nella Collezione I di disegni e mappe. Della tenuta,
che ha un confine rettilineo costituito dalla via Appia, sono messi in risalto con coloritura verde i cinque appezzamenti di prato; l’estensione e la
forma del fondo sono nettamente diversi da quelli raffigurati nell’altra
pianta, e la superficie è di sole rubbia 59¾. Lungo la via Appia sono disegnati a china nera alcuni edifici, fra i quali si possono riconoscere la chiesa e uno schematico schizzo che ha al centro una struttura che richiama
la forma circolare del mausoleo di Cecilia Metella inserito nella fortificazione. Come nel caso della pianta precedente, sono indicati i due proprietari confinanti: “Santa Maria Nova” e “Laterano”. I cippi sono segnati
con lo scopo di evidenziare un confine ben preciso, quello compreso fra
il Ponto A e B. Fra i due punti è stata tracciata una Linea de partegione
alla quale si è voluto dare rilievo e che, come si vedrà fra breve, costituisce un elemento nuovo dell’assetto topografico della tenuta, elemento
che ha determinato la redazione di questa pianta.
Al n. 26 corrisponde invece una pianta mancante sin dal tempo dell’ordinamento settecentesco: si trattava, come risulta dalla camicia, della
misura di un appezzamento di 16 rubbia all’interno della tenuta di Capo
81
Ad essere precisi, la rarità non consiste solamente nel fatto che sia stato segnalato il
prelevamento della pianta per inserirla nella Collezione I di disegni e mappe, quanto piuttosto
che la segnalazione si sia conservata sino ad oggi, verosimilmente perché annotata sulla camicia e non su un foglio ‘volante’. Riteniamo infatti che tali segnalazioni siano state effettuate
anche in altri casi di prelevamenti di piante dalle loro sedi originarie, ma nella maggior parte
dei casi - se scritte su foglietti inseriti nella documentazione (in un’occasione, diversi anni fa,
è stato possibile da chi scrive rinvenirne casualmente uno) - sono andate disperse.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
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di Bove, realizzata dall’agrimensore Ascanio Antonietti82.
Individuata la collocazione originaria della pianta di Capo di Bove
oggi conservata nella Collezione I di disegni e mappe, vale la pena concentrarsi brevemente sul rapporto che intercorre fra questa e l’altra pianta
- non datata e non firmata - della stessa tenuta, rimasta invece nella sua
sede originaria (ossia la n. 24), per dare risposta a una serie di interrogativi che riguardano sia la storia della redazione delle due piante, sia quella della loro conservazione. In primo luogo: perché si trovano nell’archivio dell’ospedale, se nel 1587 la tenuta spettava ai Leni e Mutini? E poi:
qual è il motivo alla base della loro realizzazione? Che rapporto cronologico esiste fra di esse? In particolare, a quando risale quella non datata?
Perché l’una rimase nell’archivio del Salvatore e l’altra invece venne spostata nella Collezione I di disegni e mappe? Uno studio approfondito dei
due documenti cartografici, posti a confronto, insieme con l’indagine
condotta nella documentazione relativa all’amministrazione fondiaria
della tenuta, permette di rispondere a tutte queste domande.
Innanzitutto occorre sciogliere un dubbio relativo alla datazione
della pianta firmata dall’agrimensore Cesareo Gattola. Infatti, l’indicazione 2 novembre 1537 riportata sulla camicia che conteneva la pianta
quando si trovava ancora nella sua collocazione originaria, pur corrispondendo a quella indicata sul verso della pianta stessa, è erronea: la
legenda originale, conclusa dalla firma autografa dell’agrimensore, riporta infatti la data 12 novembre 1587 (che è quella con cui risulta corretta
quella erronea sulla camicia). Quest’ultima, del resto, è cronologicamente
coerente sia con l’altra attestazione nota dell’agrimensore Cesareo Gattola, come si dirà tra breve, sia con l’assetto fondiario della tenuta stessa
alla fine del XVI secolo.
Le due piante hanno indiscutibilmente caratteristiche comuni e verosimilmente si devono al medesimo agrimensore, ma la n. 24 non è copia
della n. 25: la tecnica del rilevamento è simile ma non identica, la mano
Oltre al disegno dell’appezzamento di Capo di Bove, l’agrimensore Antonietti ha realizzato altre tre piante per lo stesso ente proprietario, che dovevano essere comprese nel Libro
dei Casali del 1599, oggi non più reperibile, secondo quanto esplicitamente riportato nella
legenda della pianta-copia del gruppo di casali Marmorea, Statuario, Arco di Travertino e
Buonricovero redatta da Bernardino Calamo nel 1635 (AS ROMA, Ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum, b. 390; si veda anche la nota 69). È noto, inoltre, per aver eseguito le seguenti piante del Catasto alessandrino (o meglio, gli originali da cui sono state tratte
le copie consegnate alla Presidenza delle strade, in quanto l’Antonietti deve essere morto ben
prima del 1660): 429/26, Sette Bassi, Marmoria;431/5, Ponte Salaro; 431/29, Aguzzano; 431/38,
Pietra Aura; 432/23, Pignotto e Valleranello; 432/27, La Selce (cfr. PASSIGLI 2012, p. 366).
82
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sembra essere la stessa, la resa grafica delle strutture edilizie lungo la
strada è affine, il disegno dei cippi di confine è uguale; esse, inoltre, sono
quasi sovrapponibili, con una leggerissima differenza di scala. Sembra
dunque evidente che le due piante sono strettamente collegate; tuttavia,
rispetto alla n. 25, nella n. 24 manca il disegno della porzione nord-occidentale della tenuta originaria, al di là della Linea de partegione compresa fra il Ponto A, indicato da una colonella di confino, e il punto B, linea
che esclude la fortificazione e la tomba di Cecilia Metella. A questo
nuovo assetto della tenuta corrisponde coerentemente una diminuzione
della misura di superficie che non raggiunge le sessanta rubbia (59¾). Le
due piante appartengono dunque probabilmente alla stessa mano, ma la
loro realizzazione mantiene caratteri di diversità.
Per rispondere alle domande che ci siamo posti, giungono in nostro
soccorso due memorie conservate nella medesima cassetta del Santissimo
Salvatore, risalenti - rispettivamente - al 29 novembre 1633 e al 30
novembre 1639, quando, in occasione di una disputa avente come oggetto la proprietà di due rubbia di terreno del medesimo casale venivano
richiamate, come era consuetudine, le fasi salienti dei precedenti passaggi di proprietà83.
Entrambe le memorie prendono le mosse dall’acquisto (20 marzo
1589) di una porzione del casale di Capo di Bove da parte dell’ospedale
del Santissimo Salvatore. La vendita venne effettuata da parte dei fratelli
Giovanni Battista e Lorenzo, figli di Stefano Mutini, patrizi romani; il terreno venduto corrispondeva, in particolare, alla porzione che
«in divisione eiusdem casalis inter illustrissimum dominum Ioannem Baptistam ac illustrissimum R.P.D. Laurentium germanos fratres filios bone
memorie Ill(ustrissimi) D(omini) Stephani Muttini nobiles romanos regionis Pinee ex una et illustrissimos dominos Hieronymum et Ciriacum germanos fratres de Lenis etiam nobiles romanos»84
era pervenuta alla famiglia Mutini. In base a questa divisione, avvenuta
contestualmente alla vendita (o per meglio dire: la divisione del casale
era propedeutica alla vendita di una parte di esso), i fratelli Mutini avevano ottenuto rubbia 59 e ¾ di terreno, corrispondente alla porzione
sud-orientale della proprietà originaria (tav. 3, verso sin.) e confinante
con la porzione pervenuta ai Leni versus urbem, ossia verso nord-ovest
AS ROMA, Ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum, cass. 423, nn. 36B e 37.
L’atto di divisione si trova in AS ROMA, Trenta Notai Capitolini, uff. 10, notaio Vincentius Fuscus, 20 marzo 1589, vol. 23, cc. 264r-268r.
83
84
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(tav. 3, verso destra; si tratta della porzione settentrionale del casale originario, di rubbia 60 e ¼)85, con il casale di S. Maria Nova (Statuario), con
quello del capitolo e canonici di S. Giovanni in Laterano (Tor Carbone),
con una vigna degli stessi Leni, con i beni degli Orfani de Urbe (si osservi
la coincidenza con i confini enumerati nella pianta oggi conservata nella
Collezione I di disegni e mappe), con il casale del medesimo ospedale e
la via pubblica diretta ad Albano (Appia). Questa delimitazione risulta
«facta per Illustrissimum Dominum Petrum Paulum de Fabiis pro parte fratrum de Muttinis ac Illustrissimum Dominum Honorium Inniche pro parte
dictorum fratrum de Lenis peritos ab ipsis dominis Mutinis et Lenis electos
et deputatos».
In comune sarebbero rimasti alcuni beni, quali il castellaccio, il turrione , e l’acqua Marmorea. I fratelli Leni promettevano inoltre di pagare ai
Mutini cinquecento monete d’argento come remunerazione per aver avuto
la parte maggiore del casale. Le due parti convenivano infine che agli eredi
di Marco Antonio Leni sarebbe spettato lo ius falciandi in una parte dei
prati del casale. Nel medesimo giorno, dunque, furono stipulati due atti:
con il primo veniva sancita la divisione della proprietà, fino ad allora rimasta indivisa, fra le due famiglie romane, con il secondo i Mutini alienavano
all’Ospedale del Santissimo Salvatore la porzione ad essi pervenuta per il
prezzo di centotrenta scudi al rubbio. La divisione, lo si dice esplicitamente, veniva effettuata e corroborata dai periti incaricati dalle due parti.
Ancor più esplicita è la seconda memoria in cui si riferisce che l’atto
di vendita fu estratto direttamente dal protocollo del notaio Thomas de
Fonte 87. A proposito della superficie della tenuta, nel contratto si specificava che i contraenti
86
«mensurari voluerunt per hos agrimensores, videlicet dominum Cesareum
Gattolam ... et dominum Marcum Antonium Galassum»
nel termine di un mese a partire dal giorno della stipula del contratto.
La misura avrebbe garantito la correttezza dell’operazione e sarebbe
stata di beneficio per ambedue i contraenti i quali si impegnavano, così,
85
La somma delle due porzioni, 59 e ¼ + 60 e ¾, ascendono a 120 rubbia, cifra sostanzialmente conforme alle 122 rubbia dell’intero casale espresse nella pianta del 1587.
86
La tomba di Cecilia Metella, il turrione del documento, era però sulla sinistra dell’Appia, totalmente circondato dalla tenuta di Capo di Bove spettante ai Cenci.
87
L’atto di vendita non è stato rinvenuto in AS ROMA, Collegio Notai Capitolini, notaio
Thomas de Fonte, vol. 713.
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86
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in futuro, a non sporgere alcun reclamo. Infine, a conclusione della
memoria, figura la seguente indicazione:
«A dì 24 d’aprile 1589 facciamo fede noi sottoscritti periti haver misurato
il casale di Capobove cioè tutta la parte da capo del signor Giovanni Battista Motino posta fuori di porta Sancto Sebastiano à man dritta dalla strada Appia, e fra li confini di Santa Maria Nuova, della Nuntiata, e dall’altra
parte di Capo di Bove del signor Girolamo Leni».
La sottoscrizione è di mano di Cesareo Gattola, misuratore, chiamato
per parte di Giovanni Battista Mutini, e di Marco Antonio Galassi, misuratore, per quella dell’ospedale. Questa dichiarazione induce a concludere che la pianta n. 24 dovette essere commissionata in occasione della
vendita dai Mutini all’ospedale ed è quindi databile con certezza all’aprile
1589. Essa raffigura la superficie di 59 rubbia e ¾ del casale oggetto della
vendita (porzione sud-orientale) e ha lo scopo di mettere in evidenza lo
scorporo di questo terreno dalla porzione di Capo di Bove rimasta ai
Leni, corrispondente al terreno esteso oltre la linea segnata fra i punti A
e B, verso nord-ovest; compreso nella porzione scorporata è anche il terreno circostante la fortificazione e tomba di Cecilia Metella, che sarà
oggetto di una disputa territoriale nel secolo XVII88.
Grazie alla memoria conservata nell’archivio del Santissimo Salvatore,
siamo ora in grado di datare la seconda pianta e di attribuirne con certezza la paternità. Come consuetudine, le due parti erano ricorse ciascuna a
un agrimensore di propria fiducia. Marco Antonio Galassi, garante per
l’ospedale, è noto per aver firmato due piante di casali per la famiglia
Massimo, negli anni fra il 1583 e il 158889. Cesareo Gattola, garante per i
Mutini, è invece noto solo per la realizzazione delle due piante del casale
di Capo di Bove. Quella conservata nella Collezione I di disegni e mappe
(ex n. 25 della cassetta 423) raffigura la tenuta con una superficie di poco
più di 122 rubbia e risale all’epoca della sua massima estensione, ossia a
un periodo precedente la divisione fra i Leni e i Mutini, avvenuta il 20
marzo 1589; la n. 24, invece, rappresenta la porzione pervenuta ai Mutini
88
I Leni possedevano la loro porzione di Capo di Bove ancora agli inizi del ‘600 (COSTE
1969, p. 63, n. 98).
89
Si tratta delle piante delle tenute di Santa Broccola e Bravi, entrambe copiate per la
consegna all’ufficio della Presidenza delle strade, nel 1660 (rispettivamente 423/24 e
433bis/20). Per Santa Broccola, o Santa Procula, si veda § 4.3. Cenni all’esecuzione della pianta
di Capo di Bove in PASSIGLI 2012, p. 362.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
87
e poi all’ospedale. Poiché l’agrimensore era quello di fiducia della famiglia
Mutini, si può ipotizzare che la prima pianta, quella del 1587, realizzata
all’epoca della proprietà comune con i Leni, e rimasta in possesso degli
stessi Mutini per circa due anni, fosse stata da questi ceduta, insieme alla
proprietà materiale del casale, in occasione della vendita all’ospedale.
Questo meccanismo di cessione del titolo di proprietà, quale poteva essere anche una pianta, insieme all’oggetto concreto della vendita, fa sì che
sia facile reperire negli archivi di molti enti una documentazione in originale che può risalire anche assai indietro nel tempo rispetto alla data
dell’acquisizione da parte dell’ente in questione (munimina).
Nella pianta conservata nella Collezione I di disegni e mappe è stato
dato notevole risalto alla fortificazione intorno al mausoleo di Cecilia
Metella, ed è verosimilmente questo il motivo per cui, forse, a differenza
della pianta elaborata due anni dopo dallo stesso agrimensore e conservata originariamente accanto ad essa nella medesima cassetta, l’archivista
ottocentesco ha ritenuto solo il primo dei due documenti cartografici,
degno di essere collocato nella Collezione I , in quanto più pregevole dal
punto di vista estetico90.
4.2. Galera e Acquasona.
Vengono trattate in un unico paragrafo le piante delle tenute di Galera (4.2.1) e di Acquasona (4.2.2), in quanto in realtà si tratta di due denominazioni diverse di un medesimo corpo fondiario.
4.2.1. Galera.
AS ROMA, CDM, I, 93/755: pianta della tenuta di Galera, o “Casal di
Galera” (non datata, ma databile tra il 1588 e il 1594; tav. 4).
Con il titolo di ‘Galera’ figurano nella Collezione I in realtà tre piante,
rispettivamente 93/755, 93/756 e 93/757, ma qui ci occuperemo in dettaglio solo della prima.
La 93/756, infatti, è un disegno a penna della “Bandita di Galera”, di
proprietà della comunità di Galera e non ha a che fare con il “Casal di
90
Per completezza, ricordiamo che per la consegna alla Presidenza delle strade, nel 1660,
venne redatta una pianta ex novo per mano dell’agrimensore Francesco Calamo (433A/49),
nella quale l’estensione della tenuta spettante all’ospedale è di sole 47 rubbia (rispetto alle 59
originarie): tale apparente riduzione della superficie è dovuta semplicemente al fatto che una
parte di essa - al pari del contiguo casale di Capo di Bove spettante alla famiglia Cenci, ormai
ai confini del Suburbio - era stata ‘ridotta a vigne’, come si diceva all’epoca, e da ciò ne conseguiva una diminuzione dell’area seminabile (RUGGERI 2002, pp. 13-14 e nota 37).
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
Galera” in quanto si tratta di altra tenuta, sia pure contigua91. Il disegno
dovette venir inserito insieme con le altre due piante a causa della somiglianza del nome e della prossimità dell’area dove si trova il territorio in
esso raffigurato. La pianta 93/757, invece, reca un disegno senza data, ma
attribuibile al secolo XIX per la menzione della famiglia Valdambrini,
della tenuta del:
«Tenuta detta Casale di Galera già divisa in due parti separate l’una detta
Bandino o Piancoriolo e l’altra Procoio già proprietà degli ospedali di San
Rocco e San Giacomo degli Incurabili, poi dei signori Valdambrini e presentemente del signor Luigi Gallo, con le strade tendenti a Roma e i confini».
La tenuta riprodotta in questo disegno è la stessa raffigurata nella
pianta in esame, ma anche in questo caso non ce ne occuperemo in
quanto di epoca successiva a quella presa in considerazione nel presente
studio.
La pianta su pergamena 93/755, senza data ma attribuibile al secolo
XVI, è un disegno a china e acquerello, privo di intitolazione, di legenda
e di firma dell’agrimensore, il che fa pensare possa trattarsi di un ‘non
finito’. È presente una scala grafica di catene cento. Al centro, in uno spazio bianco del disegno, figura uno stemma cardinalizio attribuibile con
certezza ad Antonio Maria Salviati, nato a Firenze il 21 gennaio 1537,
morto a Roma il 16 aprile 1602 e creato cardinale il 12 dicembre 1583 dal
papa Gregorio XIII92. L’orientamento è indicato con i punti cardinali:
Levante (angolo in basso a destra), Tramontana (angolo in alto a destra),
Ponente (angolo in alto a sinistra), Ostro (angolo in basso a sinistra).
I corsi d’acqua e le strade, evidenziati con coloritura rossa, attraversano e fanno da confine alla tenuta. Esternamente, sono segnati i rilievi
con un disegno particolareggiato degli insediamenti di “Monte Maria
Grande” (in basso a sinistra) e “Cornazzano de’ Gabrielli” (in alto a sinistra); in alto è raffigurato l’abitato di “Castel Galeria” e al centro l’edificio
religioso con cinta muraria di “Santa Maria in Celsano”; sul lato destro la
“Strada che va ad Anguillara”. Il “fosso detto la Galera” fa da confine con
la proprietà degli Ubaldini, ossia la tenuta di Acquaviva93. Una coloritura
91
Nel Catasto alessandrino il “Casal di Galera” è la pianta 433/12, mentre della “Bandita
di Galera” la pianta non esiste; entrambe figurano in CINGOLANI 1692 con i nn. 38 e 36 (FRUTAZ
1972, II, tav. 166).
92
Per il personaggio si veda BUCOLO.
93
COSTE 1971, p. 87, n. 9.
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più intensa è utilizzata per rendere il movimento del rilievo; vicino alla
“Fornace” e a una zona di “Grotte” è visibile un manufatto geometrico a
forma di esedra, con coloritura azzurra, forse un fontanile.
Lo stemma cardinalizio di Antonio Maria Salviati induce a ritenere la
pianta successiva quanto meno al 1583, anno della sua nomina a cardinale e, più in particolare, posteriore all’8 agosto 1588, giorno in cui egli
acquistava dal banchiere fiorentino Pietro Antonio Bandini i due terzi del
casale seu predium nell’atto denominato Bandino (nome derivato - come
in molti casi analoghi - da quello del proprietario)94, la cui estensione
complessiva era di circa 560 rubbia. Il casale comprendeva anche un precoio di vacche rosse con centoventi vacche, ventitre vitelli, due buoi e
inoltre un certo numero di cavalli; gli animali erano custoditi all’interno
di grotte, come è espresso in dettaglio nell’atto di presa di possesso, contenuto nello stesso volume95.
È dunque presumibile che la pianta risalga al periodo immediatamente successivo all’acquisto dei due terzi della tenuta da parte del cardinal Salviati, rimanendo ancora attuale (sia nell’atto di vendita, che nella
pianta stessa) la memoria del precedente proprietario della confinante
tenuta di Acquaviva96; non è da escludere, anzi, che l’iniziativa della sua
redazione debba essere attribuita proprio al nuovo proprietario. Inoltre,
sebbene priva dell’indicazione della superficie, è certo che la pianta raffigura non solo i due terzi effettivamente comprati dal cardinal Salviati
nel 1588, ma l’intero corpo del casale, compresa cioè la terza parte da lui
non acquistata che, in data non conosciuta, era pervenuta - verosimilmente dai Bandini - nelle mani del fiorentino Camillo Rinuccini. Possedute a titolo di proprietà indivisa sino al 1594, il 16 luglio di tale anno le
due parti furono materialmente suddivise, con l’assegnazione definitiva
dei due terzi del casale originario (pari a circa 372 rubbia, secondo l’atto
di divisione) al cardinal Salviati, e del terzo rimanente, circa 186 rubbia,
94
Nella lista dei casali di Renzi e Bardi (1588-1596), sono indicati «Casali diversi, già di
Pietro Antonio Bandino, hoggi di Salviati [e] Rinuccini, r. 600» (COSTE 1971, p. 86, n. 4). Per
alcuni esempi cinquecenteschi di nomi di casali derivati da nomi di famiglie, si veda RUGGERI
2009, pp. 146 e sgg.
95
AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b. 103, fasc. 2/1 (già tomo 34, n. 28).
96
Tra i confini elencati nell’atto di acquisto (Quarto di San Savo degli Orsini; Monte Maria
Grande; casale di Ottaviano Crescenzi, corrispondente a Monte del Forno; territorio del
castrum di Galeria; fiume Arrone; strade per Galeria e per Tolfa e Civitavecchia), per il casale
di Acquaviva è indicato, come proprietario, Marco Antonio Ubaldini: si tratta di una leggera
discrepanza cronologica, in quanto solo due mesi prima (11 giugno 1588) il casale era stato
venduto al cardinal Alessandro Farnese (COSTE 1971, p. 87, n. 9; per la vendita ai Farnese:
TOMASSETTI 1975-1980, III, p. 49).
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
a Camillo Rinuccini97.
Pertanto, la forbice cronologica per la realizzazione della pianta si
può ragionevolmente fissare nell’arco di tempo compreso fra l’agosto
1588 e il luglio 1594.
Con lascito testamentario del 1602, il cardinal Salviati legava la sua
porzione del casale agli ospedali di S. Giacomo degli Incurabili e di S.
Rocco in parti uguali98. In questo stesso periodo, peraltro, si assiste all’insorgere e al consolidarsi di una nuova denominazione in riferimento ad
entrambe le porzioni dell’originario casale Bandino, le quali sono indicate nella documentazione con il nome di “Acquasona” per buona parte del
XVII secolo, come risulta già dal Libro dei Casali risalente agli inizi del
secolo99. Anche nelle carte amministrative relative ai beni rustici dell’Ospedale di S. Giacomo degli Incurabili, più in particolare, la porzione
ad esso pervenuta veniva denominata con regolarità Acquasona100, toponimo forse da ricollegare etimologicamente al rumore del ruscello che
attraversa la tenuta il quale, ingrossandosi, diventa il torrente Galera.
Il nome “Casale di Galera” attribuito a questa proprietà, invece, figura solo più tardi, nella pianta del Catasto alessandrino, probabilmente
per distinguerla dall’altra porzione del casale originario, anch’essa Acquasona. Tale nuova denominazione - che poi è quella definitivamente fissatasi101 - deriva senza dubbio da quella del principale centro della zona,
la massa, poi domusculta, infine castrum di Galera, che in un certo
senso ha ‘condizionato’ l’insorgere di nuovi toponimi nelle aree circostanti (si pensi alla già menzionata “Bandita di Galera”)102.
97
AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b. 103, fasc. 2/2 (già tomo 34, n. 27), divisione del
«casale olim de Bandinis nunc Acquasona». La somma delle superfici delle due porzioni, evidentemente rimisurate per l’occasione, ammonta a 558 rubbia.
98
AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b. 103, fasc. 3 (già tomo 32, n. 7), particola del testamento del cardinale Salviati, 17 aprile 1602.
99
«Acqua Sona, dell’ill.mo cardinal Salviati, alias il Casale de Bandini, lassato dal card.le
all’Hospidale di S. Iacomo la metà, e l’altra metà all’Hospidale di S. Rocco», con una superficie
di 575 rubbia (viene erroneamente indicata la superficie del casale originario, compresa cioè
anche la parte dei Rinuccini; si vedano in proposito le considerazioni di SCOTONI, 210-211);
«Acqua Sona del s.or Camillo Rinuccino attaccato alla sudetta, sono rub. 195 senza prati, rub.
197» (COSTE 1969, p. 55, nn. 1 e 2).
100
AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b. 110. Già nella divisione del 1594 il casale aveva
questa denominazione (cfr. nota 97).
101
“Casal di Galera” in CINGOLANI (si veda la nota 91).
102
Si veda, in particolare, la denominazione del fondo raffigurato in una pianta contenuta
nel Libro delle piante dell’Ospedale di S. Giacomo degli Incurabili, che associa le due entità:
«Casale di Acquasona appresso il Castel della Galera» (AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b.
1502/I). Non siamo in grado di stabilire, invece, a quale tenuta corrisponda quella indicata
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91
La pianta del Catasto alessandrino (433/12), priva di scala e legenda,
è stata realizzata dall’agrimensore Paolo Picchetti ed esibita il 6 aprile
1660 per conto dei proprietari, gli ospedali di S. Giacomo degli Incurabili
e di S. Rocco; si tratta di pianta acquerellata, con il disegno di un casale
a forma di torre, una casa isolata, una fornace, alcuni stagni. Nel complesso, essa si presenta come una versione semplificata della pianta cinquecentesca conservata nella Collezione I di disegni e mappe: infatti,
anche se priva dei bei disegni degli insediamenti esterni (“Castel di Galera”, “Monte Maria Grande”), risulta molto simile il disegno dell’edificio a
forma di torre con tre successive coperture a tettoia e campanile, posto
nella medesima posizione lungo la strada (tav. 4, angolo in alto a destra);
le proporzioni sono le medesime, ed anche le misure della triangolazione
interna sono identiche, come molto simile è pure il particolare della struttura a forma di esedra (probabilmente un fontanile) e della fornace. Il
rapporto di derivazione della pianta alessandrina dall’originale cinquecentesco, più ricco di particolari e più accurato in generale, è dunque
accertato e il risultato è una pianta più sintetica ma fedele per quanto
riguarda gli elementi interni al corpo della tenuta. Essa però è erronea
per quanto attiene la superficie: l’agrimensore - anche se ne indica correttamente la superficie in 375 rubbia, che non corrisponde a quella effettivamente raffigurata - ha infatti commesso l’errore di non stralciare dalla
pianta la porzione che ormai non faceva più parte del casale, porzione
che a sua volta figura in un’altra pianta, consegnata alla Presidenza delle
strade qualche giorno prima (26 marzo 1660), ossia quella di Acquasona
e Cacciarella, di 192 rubbia, appartenente al Collegio Romano (433/1)103.
Redatta dall’agrimensore Eliseo Vannucci, quest’altra pianta comprende i tre quarti indicati con le lettere A, B e C (quest’ultimo, distaccato
rispetto al corpo principale della tenuta), corrispondenti ai terreni lavorativi in Acquasona, al pascolare e spallette e al lavorativo con macchie
e spallette in Cacciarella; tra i confini è indicato anche il “Precoio di San
Iacomo” che altro non è che l’altro casale di Acquasona (Galera, nella
pianta del Catasto alessandrino), spettante per l’appunto all’Ospedale di
S. Giacomo degli Incurabili. Non vi figurano manufatti, se non la strada
semplicemente come “Galera”, senza altre indicazioni (nemmeno il proprietario), nel Libro dei
Casali (COSTE 1969, p. 71, n. 189).
103
Non è noto quando dai Rinuccini il casale sia pervenuto al Collegio Romano, né se tra
l’uno e l’altro vi siano stati altri proprietari; come si vedrà più avanti, dieci anni dopo questa
tenuta spettava al principe Chigi. La somma delle superfici delle due tenute misurate nel 1660
raggiungeva un totale di 567 rubbia, una misura molto vicina a quella indicata nell’atto di vendita del 1588 (560 rubbia).
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
che attraversa la tenuta e due capanne, rispettivamente nel quarto A e
nel quarto C. Mentre la pianta realizzata dal Picchetti per l’ospedale ha
tutto l’aspetto di una copia veloce e acritica di quella cinquecentesca,
senza che egli abbia tenuto conto dell’avvenuta divisione, quella elaborata da Eliseo Vannucci per il Collegio Romano, invece, costituisce un
lavoro preciso e originale.
Tornando alla pianta cinquecentesca del casale Bandino, questa
potrebbe essere pervenuta, come si accennava, all’Ospedale di S. Giacomo degli Incurabili in occasione del lascito testamentario del cardinal Salviati nel 1602 insieme alla tenuta stessa, in qualità di munimen, per essere conservata nell’archivio dell’ente donatario.
Ciò sembra trovare conferma nel rinvenimento di un’altra copia della
medesima pianta, diversa, anche se molto simile, da quella realizzata per
la consegna alla Presidenza delle strade nel 1660. Si tratta della pianta del:
«Casale di Acquasona appresso il Castel della Galera comprato, et donato
dal signor Cardinale Salviati alla nostra Chiesa et a San Rocco»104.
La pianta, databile al XVII secolo, è realizzata su un unico foglio di
carta che venne poi rilegato nel volume e segnato con il numero di carta
67; per contenere il disegno, il foglio venne ampliato sui due lati tramite
l’aggiunta di due strisce incollate, ai due lati opposti di esso. Essa è copia
fedele della pianta su pergamena della Collezione I di disegni e mappe,
perché identica per molti aspetti, fra i quali la serie dei piccoli cippi
numerati posti al confine con la proprietà del Collegio Germanico e
Ungarico (casale di S. Maria in Celsano). Realizzata alla stessa scala, essa
è tuttavia meno ricca di particolari quali, per esempio, la raffigurazione
dei due abitati confinanti di Castel di Galera e di S. Maria in Celsano e
complessivamente presenta un aspetto meno elegante. Tale pianta dovette essere realizzata per volere dei guardiani dell’ospedale, dopo che questi entrarono in possesso della tenuta, per dare seguito alle ultime volontà del cardinal Salviati fissate nel suo testamento del 1602. Ciò è confermato dall’assenza dello stemma del cardinale che, invece, campeggia in
posizione centrale nella pianta su pergamena. In questa occasione i guardiani presero possesso sia della tenuta sia della pianta in qualità di munimen e dovettero ordinare la compilazione di una nuova pianta su carta
104
Così denominata nell’indice del volume che la contiene, il «Libro delle piante delle
Case libere et delli Casali spettanti all’Hospidale e Chiesa di San Giacomo delli Incurabili» databile al XVIII secolo (AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b. 1502/I).
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93
che venne rilegata all’interno del Libro delle piante citato a nota 104.
Anche la pianta originale in pergamena dovette essere allegata a
questo stesso volume, dopo la carta 76, l’ultima del registro stesso, ripiegata a metà e poi in tre, per essere inserta all’interno di esso senza esservi
rilegata. Nell’indice infatti figura la seguente precisazione:
«Casale di Acquasona appresso il Castel della Galera comprato, et donato
dal signor Cardinale Salviati alla nostra Chiesa et a San Rocco carta 67 et
doppo 76».
Ma dopo la carta 76 non vi è alcuna pianta, e dunque si può fondatamente concludere che essa venne estrapolata per l’inclusione nella Collezione I di disegni e mappe per maggiore sicurezza, trattandosi di pianta
sciolta.
Dall’originale cinquecentesco in pergamena furono dunque ricavate
due copie redatte in tempi e per motivi diversi. L’una, la più antica delle
due, era destinata a conservarsi presso l’amministrazione dei nuovi proprietari e l’altra, successiva, sarebbe stata consegnata alla Presidenza
delle strade nel 1660.
Entrambe le piante, pur essendo copie fedeli dell’originale, non
hanno tuttavia tenuto conto dello stralcio, dalla superficie totale della
tenuta, del terzo che ne venne distaccato in base all’atto di divisione del
1594. Forse proprio per questo motivo, dunque, non soddisfatti del prodotto, solo dieci anni dopo i guardiani dell’ospedale dovettero commissionare una nuova pianta della tenuta di Acquasona, che venne realizzata
nel 1670 dall’agrimensore Giusto Quaranta, e di cui passiamo a trattare
nel § seguente.
4.2.2. Acquasona.
AS ROMA, CDM, I, 92/708: «Casale d’Acquasona del venerabile Archiospedale di San Giacomo dell’Incurabili e di San Rocco» (marzo 1670; tav.
5).
La pianta è realizzata su due fogli di carta incollati, con segno di piegatura in quattro, disegnata a penna e acquerello marrone e verde, e firmata dall’agrimensore Giusto Quaranta; in basso a sinistra è la legenda
circondata da un doppio riquadro a penna:
«Casale d’Acqua Sona dell <sic> Venerabile Archiospedale di San Giacomo
degli Incurabili e di San Rocco. A. Ristretto del Casino Orto e Ripaglie,
rubbia 2.3.2. B. Pedica a canto l’Oliveto, rubbia 1.0.0. C. Oliveto, rubbia
5.2.1. D. Arboreto, rubbia 3.2.0. E. Quarticciolo detto di Santa Maria, rub-
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
bia 35.3.0. F. Quarticciolo sotto la Cava, rubbia 19.1.1. G. Quarticciolo
detto la Mezza Luna, rubbia 20.1.2. H. Quarto della Mezza Luna, rubbia
34.2.0. I. Quarto delle Larghe della Capanna, rubbia 75.2.2. K. Rimessa
delle Cavalle, rubbia 3.1.1. L. Rimessola delle Vitelle, rubbia 4.2.1. M. Macchia del Quarto della Capanna, rubbia 4.2.5. N. Quarto di Pian Curiolo,
rubbia 117. 2.0. O. Quarticciolo tra le doi Strade, rubbia 12.2.0. P. Prati a
tutt’herba, rubbia 33.1.2. Q. Pantanelle o Mollicci in detti Prati, rubbia
1.0.0. In tutto rubbia 375.2.0. Adi Marzo 1670. Giusto Quaranta».
La pianta non ha titolo (che però è indicato nella legenda), né orientamento, né scala. La tenuta è circondata dalle seguenti proprietà, in
senso orario dall’alto: “Acqua Sona del principe Don Agostino Chigi”105,
“Cacciarella del detto Principe Chigi”, “Monte Maria de Signori Or[sini] di
Bracciano”, “Fiume detto l’Arrone”, “territorio di Galera del Signor Duca
di Bracciano” (all’epoca era Flavio Orsini), “S. Maria del Collegio Germanico di S. Apollinare di Roma” e nuovamente il “territorio di Galera”.
Quest’ultimo confine corre lungo la “Strada Romana”, che attraversa con
un ponte il corso d’acqua che fa da confine con la tenuta di Acquasona
Chigi. Il corpo della tenuta è diviso in quarti, fra i quali si distinguono
per caratterizzazione grafica naturalistica i prati, gli arboreti e le macchie.
I confini, le strade e i corsi d’acqua sono evidenziati da una fila di alberi.
L’edificio del casale è un “Casino”, palazzetto a tre piani con copertura
in tegole, due accessi e due camini. Presso la “Strada Romana” è uno
schizzo sommario al quale si riferisce la scritta “Anticaglia”. Simili schizzi,
ma senza scritte, sono nell’area dell’edificio del casale e a indicare casette
rustiche nei quarti. Nel “Quarto della Mezza Luna” è il disegno di una
struttura a forma di esedra sul verde del prato posta non distante da una
sorgente caratterizzata da una sorta di grotta con condotto d’acqua, da
un fontanile e tre piccole pozze d’acqua tonde, il tutto corredato dalla
scritta “Vi nasce l’acqua”106. Nello stesso quarto si trovano anche le “Calcare”, alle quali non corrisponde alcun disegno.
L’estensione totale della tenuta è di 375.2 rubbia, pari ai due terzi di
quella originaria, in ciò concordando con l’indicazione contenuta nella
pianta del Catasto alessandrino (casal di Galera), con la differenza che il
disegno territoriale del corpo fondiario questa volta è quello corretto; essen-
105
Si tratta della tenuta di Acquasona già del Collegio Romano, acquistata dal principe
Agostino Chigi nel 1665 (TEODORI 2001, pp. 157-158).
106
Dovrebbe trattarsi sempre del presunto fontanile già illustrato a proposito della pianta
precedente, presente anche nelle due copie di essa.
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do stata redatta da altra mano, lo stile è del tutto diverso sia da quello della
pianta precedente, che da quello della pianta realizzata nella bottega di
Paolo Picchetti per la consegna alla Presidenza delle strade nel 1660.
L’agrimensore Giusto Quaranta è noto per la sua ricca produzione di
piante di tenute, la prima delle quali, secondo quanto noto sin ora, risale al
1654 (tenuta di San Gennaro per il Collegio di S. Bonaventura, poi consegnata per il Catasto alessandrino nel 1661, oggi 433A/32) e l’ultima al 1672,
realizzata per conto della famiglia Borghese per la quale egli aveva lavorato
in diverse occasioni107. La sua attività per il Catasto alessandrino fu talmente
intensa (la sua firma compare su cinquantuno piante) da indurre a pensare
che egli abbia fatto ricorso alla copiatura di originali precedenti, già in possesso degli enti proprietari. È inoltre attestata la sua collaborazione con le
botteghe di Eliseo Vannucci e con quella di Paolo Picchetti, presso le quali
vennero realizzate piante che poi egli stesso si premurò di autenticare108.
Probabilmente, però, egli non dovette prendere parte alla confezione del
lavoro cartografico inerente i casali di Galera dell’ospedale di S. Giacomo
degli Incurabili ed Acquasona del Collegio Romano da consegnare nel 1660
alla Presidenza delle strade, rispettivamente firmati proprio da Picchetti e
Vannucci, in quanto la sua elaborazione del 1670 presenta caratteri di assoluta originalità ed indipendenza dalle altre due piante; peraltro egli trascura
la denominazione attribuita in via ufficiale al primo dei due, recuperando
quella di Acquasona, più familiare - come si è visto - nelle consuetudini
amministrative dell’Ospedale di S. Giacomo.
La pianta - la prima redatta ex novo dopo la divisione del 1594 (tutte
le altre erano copie di quella cinquecentesca su pergamena) - dovette
essere prodotta per motivi interni all’amministrazione patrimoniale dei
beni dell’ospedale, come del resto è indicato con chiarezza nella nota di
mano dell’agrimensore rinvenuta fra le carte dell’archivio ospedaliero.
Essa, infatti, è esplicitamente menzionata in una carta sciolta con la quale
Giusto Quaranta dichiarava che:
«Nel Libro delle Piante de Casali vi è la seguente: Casale d’Acquasona (...)
misurato da me infrascritto per ordine dell’Illustrissimo Monsignor Salviati
e Illustrissimi Signori Guardiani di detti Archiospedali nel mese di marzo
1670»109.
107
Si tratta della pianta del Quarto della Polledrara di Mentana, in ASV, Archivio Borghese,
b. 516, Mentana 14.
108
PASSIGLI 2009, pp. 16-20; PASSIGLI 2012, pp. 365, 367, 378.
109
AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b. 103, fasc. 3 (già tomo 32, n. 7). All’epoca, ovvia-
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Anche per questa pianta dunque, come per quella di Galera, la sede
originaria doveva essere certamente il già citato «Libro delle piante delle
Case libere et delli Casali spettanti all’Hospidale e Chiesa di San Giacomo
delli Incurabili»110, da cui dovette venire estrapolata per essere inserita
nella Collezione I di disegni e mappe.
Ricordiamo, infine, che dalla pianta di Giusto Quaranta venne ricavata una copia su pergamena, recante la legenda e il nome dell’autore
dell’originale, come esplicitamente indicato dal suo autore Fabrizio Sperandio: «fedelmente copiata dal suo originale nello scorso mese di maggio 1765»111.
4.3. Santa Procula.
AS ROMA, CDM, I, 94/827, nn. 1-2. L’unità conserva due piante della
tenuta di Santa Procula, o ‘Santa Broccola’ come veniva popolarmente
denominata, situata nella porzione costiera dell’Agro Romano a sud di
Roma. La prima è una delle piante più antiche che si conservano per
l’Agro Romano, recante la data 26 novembre 1588 (94/827, n. 1); la
seconda è una copia ottocentesca della prima, come è espressamente
indicato nella legenda, datata 6 novembre 1831 (94/827, n. 2)112.
AS ROMA, CDM, I, 94/827, n. 1: «Pianta della tenuta di Santa Broccola
dell’Illustrissimo signor Mario de’ Massimi posta fora di porta San Paolo
(...)» (26 novembre 1588; tav. 6).
La pianta, restaurata di recente, è realizzata ad acquerello su pergamena da Marcantonio Galassi, come indicato dalla firma autografa. Il proprietario della tenuta risulta Mario Massimo. In alto a destra è una legenda inquadrata da una cornice sovrastata da un architrave che include lo
stemma della famiglia:
«Pianta della Tenuta di Santa Broccola dell’Illustrissimo signor Mario de’
Massimi posta fora di porta San Paolo et fra li confini descritti. Essa pianta
mente, il card. Antonio Maria Salviati era già defunto da quasi settant’anni, e il monsignor Salviati menzionato doveva essere un’altra persona, comunque legata con l’amministrazione dei
beni dell’ospedale.
110
Si veda la nota 104.
111
AS ROMA, Ospedale di S. Giacomo, b. 1505 (contenente disegni e piante di proprietà
dell’ospedale), n. 142; sul verso della copia in questione è un riferimento a una vecchia collocazione archivistica: Armadio EE, Tomo 8, n. 8.
112
Considerazioni preliminari su queste due piante in PASSIGLI 2009, pp. 11-12.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
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fatta et misurata da me Marcantonio Galassi sotto il dì 26 di novembre
1588 distintamente quarto per quarto come qui sotto appariva a misura di
catena quadrata, secondo l’uso di Roma. Il quarto verso Roma detto il
Suvereto sopra et sotto strada insieme netto di essa Strada è rubbia trentadue e mezza. Il quarto dell’Isolotta recinto dalli fossi et dal limido della
Magionetta del Bentivogli è rubbia trentadue e mezza. Il quarto delle Pretara è rubbia ventidue et un quarto. Il quarto della Capanna, cioè tucta la
parte di la dal fosso del Casale detto Rio Torto insino alli confini della
Castagnola d’Ardia compresoci anco la selva in tutto è rubbia trecentoquarantasette e mezzo, netto della strada che è sotto alle Colonnelle de Victorii. La vigna fra li dua fossi dietro al Casale rubbia uno e 5/8. Il Redime
di detto casale è un quarto di rubbio. Tutta la detta tenuta insieme netta
di strade è rubbia quattrocentotrentasei e quarte due e mezza. La Comunanza atorno al fontanile fra Santa Broccola, La Magione de Savelli, la Zolferata delli Altieri et la Magionetta delli Serii et Bentivoglii in tutto rubbia
quattro et un quarto. Marc’Antonio Galassi di mano propria».
Ai quattro lati sono riportate le indicazioni di orientamento: Tramontana, in basso a destra, Levante, in basso a sinistra, Ostro, in alto a sinistra, Ponente, in alto a destra. In basso a sinistra è la scala grafica di catene 60, rifinita con il disegno di un compasso. I confini sono costituiti, a
est dalla “Strada Romana che va ad Ardea”, oltre la quale sono i casali “Il
Suvereto delle Monache di Torre de Specchi”, “Santa Broccola de Vittori”
e “La Muratella”; a sud “La Castagnola d’Ardia”, “La Castagnola oltre il
Fosso Secco”; a ovest il “Fosso detto Rio Torto”, “Campo Selva de’ Cesarini”, la “Forma tra Campo Selva de’ Cesarini”, “Pratica della signora Verginia de’ Massimi” e il “Territorio di Pratica”; a nord “La Magionetta de’
Bentivogli”, “La Magionetta del Leni”, “La Solforata delli Altieri”, “La
Magionetta”. La tenuta è attraversata dal corso d’acqua designato come
“fosso detto Rio Torto” e punteggiata di alberi disegnati in modo naturalistico, che si infittiscono in coincidenza delle selve e delle selvotte. Il
disegno dei manufatti è ormai quasi illeggibile ed è evidenziato da scritte
ottocentesche.
La pianta presenta due interventi successivi, il primo dei quali risale al
1660. Si tratta di una nota posta sulla destra, al centro della pergamena,
ormai quasi illeggibile, di mano dell’agrimensore Orazio Cordiale, deducibile grazie alla trascrizione aggiunta sulla stessa pianta nel secolo XIX:
«Io infrascritto dichiaro che nella tenuta di Santa Procula dell’Illustrissimo
signor Mario Massimi vi sono rubbia trentacinque di fossi, spallette, pantani, limiti et altro che non si possono lavorare ed in fede questo di 27
marzo 1660. Io Orazio Cordiale Agrimensore mano propria. E più in detta
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
tenuta vi è la Macchia di rubbia trenta. Oratio Cordiale sudetto».
Il secondo intervento è del 1831 e si deve a Serafino Sala. Poiché,
all’epoca, la scrittura originale era sbiadita, quest’ultimo, autore della
copia ottocentesca conservata nella medesima cartella (94/827, n. 2),
ricopiò sulla pianta cinquecentesca sia la legenda di Galassi, sia la nota
di Cordiale aggiunta nel 1660 sia, infine, i cartigli.
Il verso della pergamena riporta tracce di scrittura a inchiostro nelle
quali si può riconoscere la scritta S(ant)a Procula e la formula abbreviata
e lasciata in bianco C(on)tra e Pro, riferibile agli atti di una causa.
Dell’agrimensore Marcantonio Galassi sappiamo solo che realizzò il
9 dicembre 1583 la pianta del casale Bravi, altra tenuta della famiglia
Massimo di cui evidentemente egli era l’agrimensore di fiducia. Questa
pianta, insieme a quella di Santa Broccola, venne copiata il medesimo
giorno 27 marzo 1660 per la consegna alla Presidenza delle strade
(433bis/20), anche se non è menzionato l’autore della copia. Il Galassi è
menzionato, insieme con Cesareo Gattola, anche quale agrimensore incaricato per la realizzazione della pianta della tenuta di Capo di Bove, in
occasione della vendita dai Mutini all’ospedale del Santissimo Salvatore
il 20 marzo 1589113.
La pianta della tenuta di S. Procula redatta per il Catasto alessandrino
(432/34) fu compiuta da Orazio Cordiale per conto di Mario de’ Massimi
(nipote dell’omonimo che possedeva la tenuta nel 1588)114 ed è copia fedele di questo originale del quale riporta anche la data 26 novembre 1588.
Vi si trovano con forme identiche il frontone con lo stemma, i punti cardinali, l’edificio del casale con i particolari e le sei pezze di vigna, i nomi dei
quarti e delle località confinanti. In occasione del lavoro di copiatura, Cordiale dovette aggiungere la citata nota sulla pianta originale dalla quale
veniva tratta la copia. Nell’arco di tempo intercorso fra la realizzazione
delle due piante, si era verificata una variazione della superficie, puntualmente riportata: «E più in detta tenuta vi è la macchia di rubbia 37». Nel
Si veda supra, § 4.1.
Nel Libro dei Casali del 1603, non c’è alcun dato relativo a Santa Broccola, a parte il
solo nome del casale; ma che spettasse a Valerio Massimo (figlio di Mario proprietario nel
1588, e padre di Mario proprietario nel 1660) risulta indirettamente dall’elenco dei confini del
casale “La Magionetta”, tra i quali figura - per l’appunto - anche «S.ta Broccola del sig. Valerio
Massimo» (Mario Massimo era morto nel 1595): COSTE 1969, rispettivamente: p. 89, n. 397 e p.
101, n. 536. Per la genealogia di questo ramo della famiglia Massimo, cfr. WEBER 1999-2002, VI,
pp. 589-590.
113
114
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
99
corso del lavoro di copiatura, Cordiale dovette accorgersi di alcune imprecisioni nel testo della legenda, tanto che in due casi aggiunse una parola
nell’interlinea con la sua scrittura più corsiva, paragonabile alla nota
aggiunta più in basso (si tratta delle parole distintamente, appariva). La
scala di 60 catene non presenta la decorazione con il compasso che figura
nell’originale, anche se per il resto è identica. L’aspetto generale della pianta è più nitido anche a causa del supporto cartaceo e del migliore stato di
conservazione.
AS ROMA, CDM, I, 94/827, n. 2: «Agro Romano. S. Procula, tenuta Massimi poi dei fratelli Carlo, Tommaso, Francesco e Antonio Merolli» (6
novembre 1831).
La pianta presenta il titolo al centro in alto:
«Agro Romano. Misura e Pianta della Tenuta di Santa Procula situata miglia
18 fuori di porta San Paolo di pertinenza dell’Illustrissimi signori Carlo, Tommaso, Francesco ed Antonio fratelli Merolli, ridotta da me infrascritto Perito
Agrimensore in questa proporzione da altra antica pianta rilevata dal quondam Marc’Antonio Galassi con la data 26 novembre 1588, alla quale etc., che
si rinvenne della quantità di rubbia romane, come dal seguente indice».
In basso a sinistra figura l’elenco dei corpi di terreno che costituivano
la tenuta:
«A. quarto della Pretara in tutto r. 22.3, cioè 1. terreni larghi e pascolivi, 2.
macchia unita a confine della Crocetta di Pratica compresa altra spalletta
macchiosa che viene al fosso della Magione. B. quarto dell’Isoletta in tutto
r. 32.2, tutti terreni larghi, compresa soltanto una piccola spalletta macchiosa di rubbio mezzo di qua dal fosso della Magione contraddistinta
con il numero 3. C. quarto del Sugareto in tutto r. 32.2, cioè 4. quarticciolo
a sinistra della Strada di Roma ad Ardea, 5. a tergo il Casale comprese r.
2 di prato. D. quarto grande detto di Mezzo, e delli Lucernari in tutto r.
204.3, cioè 6. Terreni lavorativi e pascolivi, 7. Spallette macchiose, 8. la
Selvetta. E. quarto della Strada e Castagnola composto di terreni lavorativi
e pascolivi, r. 96.2.2. F. Macchia Grande, r. 39.2.3. G. Prato del Fontanile
sotto la sudetta Macchia, r. 5.2.2.2. H. Prato a tergo il Casale, compresi i
recinti alle Fabriche e annessi, r. 2.3. I. Terreno con fontanile in comune
con le altre tenute della Magione, Solfarata e Magionetta, r. 4.1. Ascende
in tutto la sudetta tenuta a r. 440.3.2. Roma 6 novembre 1831. Serafino
Sala Perito Agrimensore».
Il confine orientale è rappresentato dalla “Strada la quale da Ardea
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conduce alla città di Roma”, oltre la quale sono le tenute della Muratella
e di Santa Procula o delle Vittorie. La tenuta confina poi a sud con la tenuta della Castagnola, a ovest con le tenute di Campo Selva e Campo Iemini,
Tenuta della Crocetta e territorio di Pratica, a nord con la tenuta della
Magione e Magionetta, della Solforata, del Capannone, a est con la stessa
tenuta del Capannone, con la tenuta del Sugareto ossia Monachelle. I confini sud e ovest insistono in parte sui fossi della Castagnola e di Rio Torto,
i quali poi percorrono parallelamente il territorio all’interno della tenuta,
cambiando le proprie denominazioni. Una freccia rivolta verso destra
segnala l’indicazione del nord. Questi dati sono completati da una scala
grafica di staioli romani seicento. Macchie e prati sono distinti da diversa
caratterizzazione grafica. Edifici e fontanili hanno la campitura rosa tipica
dello stile catastale. Numerose pozze d’acqua costituiscono i Lucernari.
La pianta del 1588 conservata nella Collezione I di disegni e mappe
può quindi considerarsi l’originale realizzato per volere dei proprietari,
successivamente utilizzato per ricavare una copia firmata da Orazio Cordiale il 27 marzo 1660 in occasione della consegna all’ufficio della Presidenza delle strade. Essa si mantenne però in uso anche dopo il suo
aggiornamento nel 1660, almeno fino alla metà dell’Ottocento, come è
documentato dalla trascrizione della legenda originale e della nota seicentesca. È dunque realistico supporre che essa fosse conservata e si tramandasse insieme alla tenuta, passando dapprima dai Massimo (che la
possedevano ancora nel 1692), poi ai Muti, infine (1735) ai Giraud115 sino
a pervenire ai Merolli.
Questa supposizione è confermata da una ricerca effettuata fra le
carte della famiglia Merolli, sicuramente proprietaria della tenuta nel 1831,
anno in cui venne realizzata la pianta da Serafino Sala. Infatti, in occasione
della vendita della tenuta alla nota famiglia di mercanti di campagna,
come era consuetudine, fu consegnata anche la pianta della stessa, così
come tutti gli eventuali atti relativi alle precedenti transazioni. Ciò risulta
esplicitamente da una clausola contenuta nel contratto stipulato dal notaio
Lorenzo Parisotti il 5 marzo 1827, con il quale il conte Pietro Giraud e sua
moglie Agnese Negroni avevano venduto la tenuta, di circa 436 rubbia e
per la cifra di 44.000 scudi, ai fratelli Carlo, Tommaso, Francesco e Antonio Merolli: «Dichiarano li sudetti fratelli Merolli esser stata ad essi conse-
115
Per la proprietà nel 1692: CINGOLANI 1692, n. 197 (FRUTAZ 1972, II, tav. 168); per la proprietà dei Giraud nel 1750: VENUTI, p. 385. Non è noto quando i Massimo alienarono ai Muti la
tenuta, per le cui vicende patrimoniali si vedano le scarne notizie in TOMASSETTI 1975-1980, II,
p. 517.
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gnata la pianta della tenuta»116. Allo stesso modo la pianta cinquecentesca
dovette giungere nelle mani del Giraud dal precedente proprietario, citato
nel medesimo atto, il marchese Girolamo Muti, il quale la alienò il 14 settembre 1735, con atto rogato dal notaio dell’Auditor Camerae Paparozzi.
Si tratta di un tipico caso di conservazione e di trasferimento di carte antiche da un archivio a un altro in qualità di munimina, come già osservato
relativamente ad altre tenute.
Considerato il cattivo stato di conservazione della pianta, i fratelli
Merolli dovettero incaricare Serafino Sala di redigerne una copia, come
dichiarato nella legenda della pianta del 1831. Le due piante furono conservate insieme nell’archivio della famiglia e utilizzate per effettuare i conteggi e le verifiche delle superfici dei vari appezzamenti via via concessi in
affitto nel corso degli anni successivi. Di questo impiego vi è riferimento
in una nota contenuta in una scrittura privata relativa a una vendita di erbe
del 13 ottobre 1840117. Questa pratica dovette proseguire sino a quando l’archivio Merolli venne depositato presso l’Archivio di Stato di Roma, e le
piante estrapolate per concorrere alla formazione della Collezione I di disegni e mappe.
Quindi, verosimilmente, le due piante di Santa Procula - fra cui una
delle piante più antiche di tenute dell’Agro Romano conservate in assoluto - erano incluse proprio nella busta 1 dell’archivio Merolli, prima di
venir scorporate (insieme ad altre analogamente non più presenti nella
busta)118, e inserite nella Collezione I di disegni e mappe. L’archivista si
rese conto del legame che univa le due piante e - fortunatamente - non
le separò, consentendo di ricostruire le vicende patrimoniali della tenuta
e la storia delle due unità cartografiche ad essa relative.
AS ROMA, Famiglia Merolli, b. 1 (tenute), fascicoli 7-13, Santa Procula, anni 1823-1875,
in particolare: fasc. 8, copia dell’atto di acquisto, 5 marzo 1827. Sulla famiglia Merolli: PISCITELLI
1958.
117
AS ROMA, Famiglia Merolli, b. 1 (tenute), fasc. 10.
118
Piante di Posticciola, Santa Maria Nuova e Casalrotondo, elencate in una lista di atti e
carte inerenti la consegna della tenuta di Santa Procula agli affittuari Finocchi nel 1850 (AS ROMA,
Famiglia Merolli, b. 1, fasc. 10). Si tratta senza alcun dubbio della pianta 93/761 della Collezione
I di disegni e mappe denominata: «Piante delle tenute di Grottoni ossia Posticciola, Casal Rotondo
e Torricola (...) di pertinenza dell’Ill.mo Sig. Giuseppe Merolli», non datata ma attribuibile alla
metà del XIX secolo. Anche per la pianta 92/736: «Topografia della tenuta di Casanuova (...) fuori
di Porta Pia spettante all’Ill.mo Signor Tommaso Merolli», non datata ma certamente del XIX secolo, si può ipotizzare la provenienza dall’archivio Merolli.
116
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
5. Le piante del Seicento
Passiamo ora ad analizzare alcune piante del ‘600, periodo per il
quale le testimonianze sono più numerose, in quanto la produzione cartografica è stata senza dubbio maggiore, da un lato verosimilmente
incentivata dall’iniziativa di Alessandro VII per l’esecuzione del Catasto
alessandrino; dall’altro perché famiglie ed enti religiosi hanno posto più
attenzione alla realizzazione sistematica di questi documenti, che costituivano certamente dei titoli di proprietà necessari anche ad una più funzionale gestione del bene fondiario; infine perché prende piede la pratica
di allegare, qualora fosse necessario, le piante di tenute e terreni agli atti
notarili che avevano per oggetto quegli stessi beni119.
5.1. Massa e Gallesina e pedica Maglianella.
Le piante della tenuta di Massa e Gallesina (poi “Massagallesina”) e
della pedica della Maglianella (a volte denominata anche pedica della
Gallesina), sono trattate insieme in quanto appartenute ad un medesimo
proprietario, come esplicitamente indicato nella legenda della pianta
della Pedica alla Maglianella (Collezione I di disegni e mappe, I, 93/773,
n. 1)120, e interessate da comuni vicende patrimoniali e cartografiche, che
saranno ricostruite nelle pagine che seguono.
5.1.1. AS ROMA, CDM , I, 93/758, nn. 1-4: Massa e Gallesina.
In questa unità sono conservati quattro fogli relativi alla tenuta di
Massa e alla pedica della Gallesina. Si tratta, più in particolare, di una
pianta della pedica della Gallesina di Carlo Antonio Paolini del 13 giugno
1665 (93/758, n. 1), di una pianta della tenuta di Massa alias Gallesina
di Marc’Antonio Piuselli del 1660 (93/758, n. 2), di un disegno a china
senza data della tenuta di Massa e Gallesina (93/758, n. 3) e infine di una
carta con segno di ripiegatura a metà e appunti a penna, interpretabile
come camicia nella quale doveva essere conservata la prima pianta in
quanto reca le medesime informazioni che si trovano scritte sul verso di
essa (93/758, n. 4). La progressiva numerazione della quattro carte è
riportata a matita sul verso delle stesse.
AS ROMA, CDM, I, 93/758, n. 1: «Pianta et misura della Pedica della
Gallesina» (13 giugno 1665; fig. 2).
119
120
PASSIGLI 2009, pp. 20-22.
«…Pedica alla Maglianella delli Massa li medesimi padroni della Gallesina…».
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2. Pianta, et Misura della Pedica della Gallesina posta fori di porta S. Pancratio (...), 13
giugno 1665; il nord è verso l’angolo destro in alto (AS ROMA, CDM, I, 93/758, n. 1)
La pianta è realizzata a china e acquerello, unicamente in tinta verde,
e presenta segni di piegatura in otto. A destra si trova la legenda con
andamento verticale compresa all’interno di una cornice:
«Pianta, et misura della Pedica della Gallesina posta fori di porta San Pancrazio apresso li suoi descritti confini misurata il dì 22 maggio 1665 giorno intimato da me infrascritto Perito eletto nell’atti delli signori Masti <sic per maestri> de Strade per parte della Chiesa di San Rocco, et delli Signori Marco
Vivaldo, et Signora Olimpia Massa patroni insieme con il signor Giu[seppe]
de Bartolomei altro Perito eletto ex officio per parte del Tribunale sudetto,
et la trovo esser di rubbia trenta sette et uno scorzo e mezzo conforme la
mesura rom(an)a che però etc. questo di 13 giugnio 1665. Rubbia 37.1.1/2.
Io Carlo Antonio Pavolini Agrimensore affermo come sopra mano propria.
Io Giu(seppe) de Bartolomei affermo come sopra mano propria».
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Il nome del perito del Tribunale delle strade, Giuseppe de Bartolomei, non è facilmente leggibile in quanto ricade in corrispondenza della
piegatura longitudinale della pianta, ma si può desumere dalla sottoscrizione che conclude la legenda.
Sul verso, in alto a sinistra:
«Viarum. Pro», segue spazio lasciato in bianco, e poco più sotto:
«Venerabilem Ecclesiam Sancti Rochi, et Illustrissimum dominum Marcum
Vivaldum et Illustrissimam dominam Olimpiam Massam Coniuges. Die 21
iulii 1665. Marticarus notarius»121.
In basso a sinistra, di traverso:
«Adì 17 settembre 1697 per l’atti del Sercamilli not(ar)o Cap(itolino) affittato al Signor Marchese Venantio Giovi la Pedica della Galesina»122.
La pedica confina con il “Fosso della Magnanella” e, da ovest verso
est, con le seguenti tenute: “Fontignano casale delli Reverendi Capitolo
et Canonici di Santa Maria in Trastevere”, “Pesce delli Reverendi Canonici
di Sant’Angelo in Pescaria”123, “Pedica della Morte delli Canonici di San
Giovanni in Laterano”124. Il confine è scandito da cippi, disegnati con
121
L’atto menzionato non risulta tra quelli del notaio Theodorus Marticarus in AS ROMA,
Notai del Tribunale delle acque e strade, notaio Theodorus Marticarus, vol. 92 (1665), né alla
data né nella rubrica, e nemmeno in AS ROMA, Tribunale delle acque e strade, notaio Theodorus
Marticarus, vol. 112 (1665), né alla data né nella rubrica.
122
Questo atto è invece contenuto in AS ROMA, Trenta Notai Capitolini, uff. 6, notaio
Marius Claricius, successore del Sercamilli, cc. 360rv e 373rv. Con esso, il 17 settembre 1697,
Antonio figlio del defunto Taddeo Massa concedeva in affitto a Venanzio Giovi per sette anni
la pedica, facendo riferimento anche al «recinto dove era la vigna, stazzo, fontanile e grotta
con terreno, casa e forno esistente nel mezzo della tenuta della Gallesina».
123
Nel 1660, secondo quanto risulta dal Catasto alessandrino, i canonici di Sant’Angelo in
Pescheria erano proprietari unicamente del casale Maglianella (433bis/33), quindi la denominazione Pesce deve essere attribuita a questo casale in relazione al titolo della chiesa proprietaria. Nulla a che vedere, pertanto, con il confinante casale Piscis o Acquafredda del capitolo
di San Pietro. Si coglie l’occasione per segnalare che la pianta citata non comprende la porzione a sud della via Aurelia, che invece risulta senza alcun dubbio far parte di questa tenuta,
come si evince sia dai confini indicati nella pianta della Massimilla (Catasto alessandrino,
433bis/31) e in quella di Massa Gallesina (Catasto alessandrino, 433bis/32), sia dalla mappa
del Catasto gregoriano (AS ROMA, Presidenza generale del censo. Catasto gregoriano, Agro
Romano, mappe 64 e 86, tra le quali è suddivisa questa tenuta).
124
Si tratta di una delle diverse pediche che si trovavano nella zona della Maglianella,
tutte, originariamente, con la medesima denominazione di pedica della/alla Maglianella. In
particolare, la pedica della Morte - già della Maglianella - di 34 rubbia e 2 quarte, deve il suo
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visione prospettica, sui quali è riportata la sigla MA125, come specificato
in una nota in basso a sinistra sulla pianta stessa. Mancano indicazioni di
scala e orientamento.
È singolare osservare come il disegno territoriale di questa pedica sia
quello che nel Catasto alessandrino è, erroneamente e sorprendentemente, attribuito al Casale della Morte (428/17) che, invece, confinava ad
est con la pedica della Gallesina. Nonostante ciò, i confini indicati nella
legenda sono quelli effettivamente del Casale della Morte, fra i quali, per
esempio, il casale di S. Ambrogio della Massima. Non si è in grado di stabilire l’origine di questo errore grossolano, ma ciò ha indotto in errore
anche il Cingolani il quale indica con il n. 119 il Casale della Morte (che
invece è la pedica della Gallesina) e con il n. 116 la pedica della Maglianella di S. Rocco e dei Signori Massi, ossia la nostra pedica della Gallesina
(che, invece, è la porzione della tenuta della Maglianella di S. Angelo in
Pescheria, a sud della via Aurelia; si veda nota 123)126.
Il quarto foglio contenuto nell’unità di conservazione (93/758, n. 4)
è privo di raffigurazioni ma riporta le medesima annotazioni del 1665 e
1697 presenti nel verso della pianta 93/758, n. 1, oltre a una serie di conti
e tracce di piegatura a metà: esso sembra dunque potersi identificare
come l’originaria camicia della pianta n. 758/1, anche se non è chiaro il
motivo della sua collocazione archivistica come unità a parte.
AS ROMA, CDM, I, 93/758, n. 2: «Misura e pianta della tenuta di Massa
alias Gallesina» (29 marzo 1660; tav. 7).
La pianta è realizzata a china e acquerello. In basso a sinistra è una
legenda circondata da cornice lineare:
nome al proprietario che subentrò alla famiglia Cenci nel 1578, ossia la cappella dei Santi Filippo e Giacomo o dei Morti in San Giovanni in Laterano (RUGGERI 2002, pp. 96-98 e note 280 e
281). Si veda sotto, la nota 133.
125
Lettere presumibilmente riferibili al cognome dei proprietari, la famiglia Massa, da cui
deriva una delle due denominazioni del casale, che già nella seconda metà del ‘500 spettava
ad essa (Casal di Gallese nella lista di Renzi e Bardi, in COSTE 1971, p. 92, n. 72) e la cui denominazione originaria - poi soppiantata da quella della famiglia - era Malagrotta, data la contiguità con l’omonimo casale confluito nella tenuta di Castel di Guido dell’ospedale di S. Spirito
(Malagrotte delli sig.ri Massa nel 1603, in COSTE 1969, p. 76, n. 249). I Massa possedevano il
casale perlomeno dal 1577, cfr. nota 141.
126
Difficoltà interpretative nel ricostruire l’assetto fondiario in questa zona sono state
messe in luce da SCOTONI, pp. 201-203 e RUGGERI 2002, p. 98, nota 281, e i motivi adesso sono
chiari. Ricordiamo, a maggior chiarimento, che questo terreno (pedica della Gallesina) è quello
che nel Catasto gregoriano è indicato come pedica Massimi, compresa nella mappa 44 dell’Agro Romano.
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«Misura e Pianta della Tenuta di Massa, alias Gallesina misurata da me
infrascritto la trovo essere in quantità di Rubbia novant’otto, e quarta una.
La Pedichetta dall’altra parte della strada, rubbia 8.3. Che assieme sono
Rubbia 107. Questo di 29 marzo 1660. Marc’Antonio Piuselli».
I confini sono costituiti dai beni dell’ospedale di S. Spirito, al di là
del fosso di Galera (ossia la tenuta di Castel di Guido), dal casale della
Selce delle monache di S. Sisto, dai beni di S. Angelo in Pescheria
(Maglianella), dalla tenuta di Massimilla dei signori Massimo127. Il disegno
è curato e ricco di particolari, fra i quali spicca uno stemma, in cui si riconosce l’arma della famiglia Massa, originaria di Gallese ed estinta con
Olimpia, che nel 1663 aveva sposato il nobile genovese Marco Vivaldi128.
Proprio dalla città di origine dei proprietari deriva anche la denominazione Gallesina, attribuita sia alla tenuta sia alla pedica, quest’ultima indicata
anche come pedica alla o della Maglianella, come si vedrà più avanti.
La “Strada publica che da Roma va a Civitavecchia” (Aurelia) è colorata
di rosa e il ponte vi è solo segnato, senza denominazione. Sul verso, solo
alcuni conti.
AS ROMA, CDM, I, 93/758, n. 3: «Massa seu Gallesina» (seconda metà
del XVII secolo; fig. 3).
Pianta realizzata unicamente a china, della tenuta Massa seu Gallesina, come indicato in un cartiglio in alto. La pianta non ha legenda, né
scala e orientamento, né data, motivi che ne rendono impossibile cono-
127
Si osservi che, nonostante sia indicata la famiglia Massimo quale proprietaria della
Massimilla, la pianta del Catasto alessandrino (433bis/31) dimostra che nel 1660 essa era
invece posseduta dal conte Francesco Maria Melchiorri; solo a partire dagli ultimi decenni del
secolo, a quanto sembra, la tenuta passò nelle mani dei marchesi Massimo ai quali rimase
fino al Novecento. Risulta in particolare il 1683 la prima data in cui si fa menzione del marchese Fabio Massimo quale proprietario della Massimilla (WEBER 2003-2004, I, p. 139). La
denominazione “Massimilla”, che compare per la prima volta in questi documenti del 1660,
potrebbe però suggerire - sebbene per ora non documentata - un’appartenenza del casale alla
famiglia Massimo, che nel XVI secolo aveva numerosi beni in questa zona, anche anteriormente al possesso da parte del conte Melchiorri: si tratterebbe di un altro dei numerosi esempi di nome di una tenuta derivato dal nome del proprietario. Come ipotesi tutta da verificare,
riteniamo possa essersi trattato del casale di Malagrotta posseduto alla fine del ‘500 da Pietro
Massimo (COSTE 1971, p. 92, n. 73), contiguo all’omonimo della famiglia Massa (futura Massa
Gallesina; si veda la nota 125).
128
AMAYDEN 1914, I, pp. 63-64. Lo stemma ha in comune con quello raffigurato dall’Amayden la lettera gotica A nera, le tre rose rosse e la striscia ondulata che sta per un fiume oppure
per un’anguilla. A Gallese, dove nella seconda metà del secolo XVI visse il personaggio più
noto della famiglia, il giurista e letterato Antonio, sorge un palazzo della famiglia Massa con
lo stemma scolpito sulla facciata.
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3. Massa seu Gallesina, seconda metà del XVII secolo; il nord è verso l’angolo sinistro in
basso (AS ROMA, CDM, I, 93/758 n. 3)
scere la superficie della tenuta. Questa è delimitata in gran parte, verso
l’alto (sud), dalla “Strada Romana per la quale si va a Civitavecchia” (via
Aurelia), che la separa da una “Pedica” spettante a questa stessa tenuta
e dai confinanti casali di S. Angelo in Pescheria a sinistra, di S. Maria in
Trastevere in alto129, del conte Francesco Maria Melchiorri (Massimilla) a
destra della Pedica. I restanti confini sono, a destra il “Fosso di Galera”
con il “Ponte”; in basso la “Monachina delle Reverende Monache di San
Sisto e Domenico”130, a sinistra il “Casale del Capitolo di Sant’Angelo”
(Maglianella). Nella porzione in basso della tenuta è dato volutamente
129
Si tratta del casale Fontignano (433bis/30), porzione del cui territorio si incuneava fra
Massimilla (dei Melchiorri) e Maglianella (di Sant’Angelo in Pescheria). Questi dati non recano
nulla di nuovo rispetto all’assetto del 1660, pur offrendo la pianta un maggior dettaglio rispetto
alla pianta di Marc’Antonio Piuselli (la 758/2).
130
Casale Selce, la cui pianta per il Catasto alessandrino risale al 1607 (433bis/40).
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
risalto al disegno di una “Vigna”, delimitata entro un confine rettangolare
e comprendente anche la raffigurazione di una struttura edilizia con torre
emergente e di un fontanile.
Per quanto concerne la datazione, la pianta potrebbe ascriversi alla
seconda metà del ‘600, considerate le strette analogie con la pianta
93/758, n. 2, datata 1660, e per quanto si dirà nel § 5.1.4.
A parte la pianta 93/758, n. 1, che raffigura un altro terreno, ossia la
pedica della Gallesina, queste ultime due piante (93/758, nn. 2-3), pur
riproducendo il medesimo appezzamento, non hanno alcun legame, né
relazioni di discendenza fra loro, considerate le marcate differenze di stile
e di contenuti. La pianta 758, n. 2 è più curata e ricca di particolari fra i
quali spiccano la coloritura, la legenda e lo stemma. Due elementi chiaramente discordanti che risultano dal confronto fra esse sono la posizione
della pedica al di là della via Aurelia, che nella 758, n. 2 risulta erroneamente al centro della tenuta mentre in realtà essa si trova decisamente
spostata verso est (sinistra, nella fig. 3)131, e il nome di uno dei confinanti
che nella 758, n. 2 fa riferimento alla famiglia Massimo mentre nella 758,
n. 3 è il conte Melchiorri132. Nella pianta 758, n. 2, inoltre, mancano sia il
disegno del circuito rettangolare contenente vigna, edificio del casale e
fontanile, sia quello della superficie a prato presso il fosso di Galera
(anche questo omesso), invece ben evidenziati nella pianta 758, n. 3.
5.1.2. Pedica Maglianella.
Si tratta di due piante conservate in ASR, Collezione I di disegni e
mappe, I, 93/773, nn. 1-2: «Pedica alla Maglianella» (29 marzo 1660).
La prima di esse (93/773, n. 1; fig. 4) è una:
«Misura e Pianta d’una Pedica alla Maglianella delli Massa li medesimi
padroni della Gallesina, misurata da me infrascritto la trovo essere la
quantità di Rubbia quaranta, Quarte due e Scorzi tre. Questo dì 29 marzo
1660. Marc’Antonio Piuselli».
Si osservi la dicitura espressa nella legenda delle due piante in questione: l’agrimensore sembra esprimere piena consapevolezza che nel-
131
Si tratta probabilmente di un errore che contraddistingue questa raffigurazione, in
quanto tutte le altre piante, che si citeranno più avanti, localizzano correttamente la pedica in
posizione più laterale verso la sinistra del disegno.
132
Per questa discordanza, v. sopra, nota 127.
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4. Misura e Pianta d’una Pedica alla Maglianella delli Massa li medesimi Padroni della
Gallesina, 29 marzo 1660; il nord è verso l’angolo sinistro in basso (AS ROMA, CDM, I,
93/773 n. 1)
l’area vi fosse più di una pedica priva di una propria specifica denominazione, se non il fatto di trovarsi in una certa zona geografica. Infatti la
pedica in questione è localizzata in modo generico alla Maglianella133.
La seconda delle due piante (93/773, n. 2; fig. 5) è una:
133
La restituzione cartografica delle piante del Catasto alessandrino di Lando Scotoni
(SCOTONI, tav. XIII), seppure con qualche inesattezza legata ai motivi esposti a nota 126, evidenzia bene almeno quattro pediche in questa località, distinguendole con i numeri 11, pedica
della Maglianella di Sant’Ambrogio della Massima (433bis/34); 12, casale o pedica della Morte
dei beneficiati del Laterano, già pedica Maglianella dei Cenci, cfr. nota 124 (428/17); 13, pedica
dei Quaranta del conte Melchiorri (433bis/39) e 16, pedica della Maglianella di Taddeo Massa
(433bis/37) corrispondente a quella raffigurata anche nelle piante in questione. Per un’analisi
del termine pedica nei secoli XVI e XVII, v. RUGGERI 2002, pp. 10-11.
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5. Misura e Pianta d’una Pedica alla Maglianella delli Massa li medesimi Padroni della
Gallesina, 29 marzo 1660; il nord è verso l’angolo sinistro in basso (AS ROMA, CDM, I,
93/773 n. 2)
«Misura e Pianta d’una Pedica alla Maglianella delli Massa li medesimi
padroni della Gallesina, misurata da me infrascritto la trovo essere la
quantità di Rubbia quaranta, Quarte due e Scorzi tre. Questo di 29 marzo
1660. Marc’Antonio Pinselli <sic>».
La pianta ritrae l’identica porzione di terreno di quella precedente,
ma il disegno è unicamente a penna, realizzato con uno stile più schematico. Sono assenti i dettagli paesaggistici, pur non necessariamente
realistici, presenti nella pianta 773, n. 1. Il foglio reca una numerazione
di carte sull’angolo in basso a sinistra (sul recto 183, sul verso 182). Questo dato consente di escludere che esso sia stato estratto da un protocollo
notarile, perché in questo caso, come era consuetudine, avrebbe recato
la numerazione solo sul recto. La stessa mano, a conferma che si tratti di
una copia della pianta 773, n. 1, ha aggiunto la seguente nota sotto la
legenda:
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«Secondo la calcolazione fatta con li numeri originali viene la quantità di
R. 41.3.1.3 cioè più R. 1.0.2.3 di quella sopra espressa».
Entrambe le piante sono orientate con il nord in basso, verso l’angolo sinistro, e la legenda è ubicata in basso a sinistra: nella prima pianta
essa è racchiusa all’interno di un riquadro, mentre nella seconda il testo
è privo di cornici. La pedica è delimitata dal “Fosso della Maglianella” a
sinistra, da “Santa Maria in Trastevere” (Fontignano) in alto e a destra, in
basso confina con la “Pedica della Morte di San Giovanni in Laterano”,
con “Sant’Angelo in Pescaria” (Maglianella) e con la “Massimilla dei
signori Massimi”134. Sul corpo del terreno sono leggibili solo le misure e,
unicamente nella pianta 773, n. 1, spicca una caratterizzazione grafica per
i cespugli con una leggera coloritura verde.
La seconda pianta, con tutta probabilità, discende dalla prima. Il calcolo della superficie che vi è riportato sembra essere stato rifatto dall’estensore: egli, infatti, dopo aver copiato i numeri originali della misurazione, dovette ricalcolare in modo autonomo la superficie ottenendo
come risultato una cifra superiore a quella indicata nella pianta 773, n. 1,
come egli stesso sentì il bisogno di segnalare nella nota sotto la legenda.
Il rapporto di derivazione fra le due piante è confermato anche dall’erronea scrittura del nome dell’agrimensore Piuselli, trascritto come Pinselli
nella seconda pianta e dall’aspetto complessivamente più sintetico di
quest’ultima.
A conclusione del commento delle piante conservate nella Collezione I di disegni e mappe, occorre sottolineare che nell’intento di chi le
aveva commissionate, le piante della Pedica alla Maglianella del 1660
(93/773, nn. 1 e 2) raffigurano - nonostante l’evidente differenza di forma
- lo stesso appezzamento di terra che nella pianta del 1665 è chiamato
Pedica della Gallesina (93/758, n. 1). Le superfici indicate sono diverse,
pur essendo quelle delle prime due collegate fra loro. Esse riportano
rispettivamente la superficie di rubbia 40, quarte 2, scorzi 3; rubbia 41,
quarte 3, scorzi 1, quartucci 3; rubbia 37, quarta 1, scorzi ½. La forma
della pedica raffigurata nella pianta del 1665 si discosta sensibilmente da
quella delle precedenti, anche se la sequenza dei confinanti è la stessa e
ciò porta a concludere che, nonostante la diversa denominazione (Galle-
134
Ferma restando l’incertezza espressa alla nota 127 circa il possesso da parte dei Massimo del casale della Massimilla, questo comunque confinava unicamente con la punta del vertice del perimetro della pedica alla Maglianella; infatti il nome di questo proprietario confinante manca nella pianta 93/758, n. 1.
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sina) e la forma differente, si tratti in realtà del medesimo terreno. Queste
incoerenze, in seguito, possono aver dato origine a conflitti giuridici territoriali dai quali scaturì la necessità di realizzare perizie, misure e piante.
Alla luce dei confronti con la cartografia di età successiva135, risulta che
la raffigurazione corretta della pedica è quella della pianta 93/758, n. 1,
realizzata nel 1665.
5.1.3 Le piante del Catasto alessandrino.
La pianta del Catasto alessandrino del casale di Massa e Gallesina
(433bis/32) riproduce un terreno sostanzialmente simile a quello raffigurato nella pianta 93/758, n. 2 della Collezione I di disegni e mappe. In
basso a sinistra, al di sotto di uno stemma della famiglia Massa, meno
sontuoso e privo delle volute e del cartiglio che decorano l’identico stemma nell’altra pianta, è la legenda inquadrata da una semplice cornice a
doppio riquadro:
«Misura e pianta della tenuta Massa alias Gallesina misurata da me infrascritto la trovo esser la quantità di Rubbia 98 Quarta 1. La pedichetta dall’altra parte della strada Rubbia 8 Quarte 3 che assieme sono Rubbia 107.
Questo dì 29 marzo 1660. M(arco) Ant(oni)o Piuselli m(an)o p(ro)p(ri)a».
Il disegno della tenuta, come nelle altre piante, è capovolto e quindi
presenta il nord in basso. I confini sono: in alto, oltre la “Strada che va
a Civitavecchia” (via Aurelia) e ai due lati della “Pedichetta”, il casale
Massimilla, anche in questo caso - in stridente contrasto con la contemporanea pianta di questo casale (433bis/31)136 - attribuito ai “signori Massimi” e il casale di S. Angelo in Pescheria (Maglianella); a destra, oltre il
corso d’acqua, la proprietà dell’ospedale di S. Spirito (Castel di Guido);
in basso il casale della Selce del monastero di S. Sisto; a sinistra nuovamente il già citato casale di S. Angelo in Pescheria.
Nonostante in qualche particolare (quale per esempio lo stemma)
questa pianta possa sembrare più approssimativa, anche nella scrittura,
che appare più corsiva, è ragionevole pensare invece che possa trattarsi
proprio della pianta originale del casale, come indicherebbe la firma
Come, per esempio, la mappa del Catasto gregoriano del 1819 cit. a nota 126.
Si veda sopra, nota 127: il casale Massimilla in quest’epoca era ancora dei Melchiorri e
solo alcuni anni dopo (1683) risulta essere dei Massimo. Tuttavia, ad eccezione della pianta
93/758, n. 3, che riporta il nome del proprietario degli anni ’60 ossia il conte Francesco Maria
Melchiorri, le restanti piante - quelle cioè contenute nell’archivio di S. Rocco, di cui si tratterà
più avanti - indicano i Massimo, il che farebbe pensare che esse siano copie successive.
135
136
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autografa dell’agrimensore. Da essa potrebbe derivare dunque l’esemplare presente nella Collezione I di disegni e mappe 93/758, n. 2, che presenta una scrittura più posata e uno stemma più elaborato.
La pianta della pedica della Maglianella di proprietà di Taddeo
Massa, datata 29 marzo 1660 (433bis/37), con una superficie di 40 rubbia
e 3 scorzi, sottoscritta dall’agrimensore Marc’Antonio Piuselli ma senza
l’annotazione «mano propria», raffigura - pur con qualche lieve differenza stilistica - la pedica con la medesima forma e proporzione e con gli
identici confini riportati nelle due piante (originali o copie che siano)
realizzate lo stesso giorno dallo stesso agrimensore, conservate nella
Collezione I di disegni e mappe (93/773, nn. 1 e 2). Essa presenta caratteristiche grafiche e stilistiche simili a quelle della pianta del casale
Massa e Gallesina realizzata dal medesimo agrimensore per il Catasto
alessandrino, pur presentandosi complessivamente più sintetica e con
scrittura assai corsiva nella legenda: per tutti questi motivi, essa potrebbe rappresentare una versione realizzata velocemente per la consegna
all’Ufficio della Presidenza delle strade. Quindi, pur con motivazioni
diverse, la pianta del Catasto alessandrino e la 93/773, n. 2 deriverebbero entrambe da un medesimo originale che potrebbe identificarsi con
la 93/773, n. 1.
In conclusione, se veramente le piante 93/758, n. 2 e 93/773, n. 1
sono quelle originali delle due proprietà spettanti alla famiglia Massa
(la tenuta della Gallesina e la pedica alla Maglianella), e se in quanto
tali furono conservate nell’archivio di famiglia, non sono tuttavia note
le loro successive vicende archivistiche, né da quale fondo esse siano
state estratte al momento dell’inserimento nella Collezione I di disegni
e mappe. Ciò che comunque rimane appurato è che la pianta 93/758,
n. 1 è l’unica di quelle relative alla pedica Gallesina/Maglianella/Massimo di cui si è parlato, che riporta la corretta raffigurazione di questo
terreno: anche quelle conservate nell’archivio di S. Rocco infatti - delle
quali si parlerà fra breve - raffigurano lo stesso appezzamento delle
piante 93/773, nn. 1 e 2 e della pianta del Catasto alessandrino. Forse
essa venne realizzata, solo cinque anni dopo quest’ultima (1665), proprio perché ci si era resi conto dell’errore commesso dall’agrimensore
Piuselli nel 1660.
5.1.4. Le piante dell’archivio dell’ospedale di S. Rocco.
Nell’archivio dell’ospedale si conserva una serie di sette Piante della
tenuta Massa Gallesina fuori porta Cavalleggeri realizzate su carta, con
identici caratteri stilistici costituiti da cornice rettilinea marrone, legenda in
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basso a sinistra, coloritura, scrittura posata137. Risulta evidente che esse
dovevano far parte di un unico corpus sin dall’origine, anche perché tutte
sono numerate in alto a destra con numero consecutivo 632, 633, 634,
635, (il 636 manca), 637, 638, 639. Come indicato da una nota del 3 gennaio 1745 firmata da Franciscus Nicolaus Orsinus Illustrissimi Tribunalis
Viarum Notarius, presente in tutte le piante, posta in basso al di fuori
della legenda, si tratta di copie delle piante redatte il 29 marzo 1660 di
Marcantonio Piuselli per la consegna alla Presidenza delle strade, tre della
tenuta di Massa alias Gallesina e quattro della Pedica alla Maglianella138.
Le tre piante della tenuta di Massa Gallesina (nn. 632, 633, 634) sono
identiche fra loro e molto simili - anche se redatte con stile leggermente
più posato - sia a quella del Catasto alessandrino, sia a quella conservata
nella Collezione I di disegni e mappe (93/758, n. 2). È possibile, anzi, che
quest’ultima pianta, sebbene si differenzi dalle tre citate per la mancanza
dell’annotazione mano propria accanto alla firma dell’agrimensore e per
l’aspetto più decorato dello stemma, facesse originariamente parte di
questo gruppo di piante, e quindi conservata nell’archivio di S. Rocco, da
cui potrebbe essere stata estrapolata.
Per quanto riguarda invece le quattro piante della pedica alla Maglianella (nn. 635, 637, 638 e 639), anch’esse sono identiche fra loro e del
tutto analoghe sia a quella del Catasto alessandrino, sia a quelle conservate nella Collezione I di disegni e mappe (93/773, nn. 1 e 2), sebbene
queste - tralasciando le piccole differenze tra l’una e l’altra (in particolare,
la correzione a penna della misura della seconda delle due, che ne tradisce la derivazione dalla prima) - manchino entrambe del segno di
mano propria dopo la firma di Marc’Antonio Piuselli. Anche per queste
piante, dunque, si potrebbe ipotizzare la provenienza dallo stesso mazzo
di copie, dal quale però dovettero essere estrapolate - per motivi ignoti
- prima dell’attestazione settecentesca realizzata dal notaio del Tribunale
delle strade Francesco Orsini, analogamente a quanto osservato a proposito della pianta 93/758, n. 2139.
137
AS ROMA, Ospedale di S. Rocco, b. 801, «Piante della tenuta Massa Gallesina fuori porta
Cavalleggeri». La busta comprende fascicoli con inventari vari, elenchi di spese e cause, uno
statuto del 1758.
138
«Presens copia plante tenute extracta fuit ex suo proprio originali in actis meis producta
sub die 31 martii 1660 ad instantiam Illustrissimi Taddei Masse, cum quo facta per me etc. collatione concordare inveni salvo semper etc. In fidem <sic> etc. Datum Rome hac die 3 Ianuarii
1745. Ita est Franciscus Nicolaus Orsinus Illustrissimi Tribunalis Viarum Notarium».
139
Entrambe sono infatti prive dell’attestazione del notaio Francesco Orsini del 1745, presente invece in tutte le altre.
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115
Nell’archivio dell’ospedale di S. Rocco si conservano gli atti di una
causa protrattasi fino al 1757 ma che, caso non infrequente, risaliva almeno ad un secolo prima140. La causa era insorta fra l’ospedale - divenuto
proprietario della metà della tenuta di Massa e Gallesina in seguito a un
lascito testamentario da parte di Pomponio Fosco nel 1650141 - e la famiglia
Vivaldi, entrata in possesso dell’altra metà della tenuta fin dalla metà del
secolo XVII in seguito al matrimonio fra Marco Vivaldi e Olimpia Massa
(personaggi citati nella legenda della pianta ora in Collezione I di disegni
e mappe, 93/758, n. 1); la questione aveva come oggetto, più in particolare, la proprietà di una piccola porzione di terra compresa all’interno
della tenuta. Negli atti della causa sono ripetutamente richiamati numerosi
documenti di affitto nei quali si descriveva questo terreno come «recinto
dove era la vigna, stazzo, fontanile e grotta con terreno e casa e forno di
capacità di rubbia quattro in circa nel mezzo della tenuta»142.
Fra le memorie richiamate, vi sono gli atti di una precedente causa,
vertente fra i Massa e l’ospedale di S. Rocco da una parte, e il conduttore
Alessandro Cartoli dall’altra, in merito ad una modesta superficie di vigna
ubicata intorno all’edificio del casale, corrispondente al terreno sopra
descritto. In questa occasione veniva avanzata la richiesta di una perizia
e di una misura, mediante il ricorso a un perito agrimensore. Venne così
convocato dal camerlengo dell’ospedale il perito Carlo Antonio Paolini,
che firmò la perizia il 6 aprile 1661143. A questa perizia potrebbe ragione-
140
AS ROMA, Ospedale di S. Rocco, b. 45, tomo 58, p. I: «Romana pecuniaria ac casalis et
terreni contro li signori Vivaldi».
141
La storia del passaggio di proprietà della tenuta dalla famiglia Massa (che la possedeva
almeno dal 1577) all’ospedale di S. Rocco viene ripercorsa in un memoriale settecentesco di
Andrea De Rossi Adami (AS ROMA, Ospedale di S. Rocco, b. 45). Giovanni Battista Massa aveva
dato la figlia Clementia in moglie ad Angelo Fosco con una dote di 5000 scudi (23 ottobre
1599). Non potendo pagare la dote, dette in pegno una casetta che aveva in piazza Navona e
metà della tenuta Massa o Gallesina. Nel 1602 Angelo Fosco si fece consegnare ufficialmente la
porzione del casale e della vigna che vi era compresa. Dai due nacque un figlio, Pomponio che,
morendo nel 1650, istituì erede universale la cappella della Beatissima Vergine Maria nella chiesa di S. Rocco. Fu necessario un giudizio nel 1669 perché l’ospedale potesse entrare in possesso
della metà che gli spettava, compresa la metà della vigna (in quanto i fratelli Massa possedevano
pro diviso il bene, in seguito a un atto di divisione risalente al 1577). Nel memoriale non si fa
cenno, a quanto sembra, all’altra metà del casale, posseduto dalla famiglia Vivaldi.
142
AS ROMA, Ospedale di S. Rocco, b. 45, atto del 24 ottobre 1709 redatto dal notaio Hieronymus Sercamilli, con il quale il defunto Antonius Massa junior quondam Taddei concedeva in
affitto l’appezzamento a Emiliano Pascuccio. Questa concessione ricalca le precedenti, la prima
delle quali risaliva al 1697 e figura citata sul verso della pianta 93/758, n. 1, v. supra, nota 122.
143
AS ROMA, Ospedale di S. Rocco, b. 45: «Io infrascritto agrimensore e perito eletto dal
signor Alesandro Cartoli nell’atti del Niccoli notaro della R. C. ad effetto di misurare la tenuta
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volmente ricollegarsi la pianta presente nella Collezione I di disegni e
mappe, 93/758, n. 3: essa infatti, a differenza delle altre piante, evidenzia
il perimetro della vigna e gli edifici compresi nell’appezzamento ed inoltre, grazie all’indicazione di uno dei proprietari confinanti, il conte Francesco Maria Melchiorri, è attribuibile proprio agli anni intorno al 1660.
Anche una serie di confronti con la scrittura posata di Paolini su alcune
piante del Catasto alessandrino da lui redatte, contribuisce a sostenere
questa ipotesi144. La pianta potrebbe dunque essere stata scorporata dall’atto conservato in originale presso l’archivio dell’ospedale di S. Rocco e
inserita, insieme alle altre aventi come oggetto la stessa proprietà, nella
Collezione I di disegni e mappe.
Lo stesso Paolini realizzò, nel 1665, la pianta del terreno che nella
perizia del 6 aprile 1661 è denominato Pedica grande, che corrisponde in
realtà alla “Pedica della Gallesina” (ossia al terreno raffigurato nella pianta
93/758, n. 1), che, a sua volta, doveva essere allegata a un atto notarile
del notaio Marticarus come annotato sul retro145, e che dovette venirne
estrapolata per inserirla nella Collezione di disegni e mappe. Già alla metà
del Settecento, l’atto non doveva essere più reperibile, in quanto esso non
figura mai citato negli atti della causa dove, pure, si fa riferimento a moltissimi documenti di affitto e a perizie. Quanto alle motivazioni che
potrebbero essere state alla base della redazione di questa pianta, queste
sono da ricercare - come già rilevato - nel fatto che tutte le altre piante
della pedica, compresa quella del Catasto alessandrino, erano sostanzialmente erronee per quanto attiene la forma dell’appezzamento.
I medesimi atti della causa settecentesca di cui sopra menzionano
esplicitamente un’ulteriore misura realizzata nel 1720 da Francesco Sperandio «accuratissimo Urbis Agrimensore una cum planta ab ipso delineata et
e pediche della Gallesina spettante all’Illustrissimo signor Taddeo Massa e chiesa di San Rocco,
come anche per stimare la Valle che si è riserbata messer Carlo Cipriano per falciarla, come
prato nuovo (…)». Segue l’elenco dei quarti con le superfici. La superficie totale ammonta a
rubbia 97 e ¾. «Là dove sta il casale, fontanile, grotta e recinto di fratta sono rubbia due e
mezzo, le quali non si comprendono nelle sudette 97 rubbia e ¾. La pedichetta confinante con
la Strada romana e la Massimilla: r. 9, sc. 3. La pedica grande confinante con il Casale di Santa
Maria in Trastevere e la pedica della Cappella dei Morti in San Giovanni in Laterano: r. 35. In
tutto rubbia 141 e ¾»; la perizia è sottoscritta da Carlo Antonio Paolini. Non è stato possibile
rintracciare l’originale di questo atto del notaio Dominicus De Nicolis in AS ROMA, Segretari e
cancellieri della R.C.A., uff. 2, vol. 1364, né in AS ROMA, Tribunale della Camera Apostolica,
uff. 2, YY, b. 229, Broliardo, né infine in AS ROMA, Tribunale della Camera Apostolica, uff. 2,
b. 2065, Sentenze.
144
Per esempio: piante delle tenute Sant’Anastasia (430/21), Tor Fiscale (431/14), Santa
Colomba (431/15), Prato in Ponte Lamentano (431/35), Casale Rotondo (433A/63).
145
Si tratta dell’atto cit. a nota 121.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
117
subscripta», misura e pianta che non figurano allegate agli atti in questione
e che quindi vanno cercate altrove. Inoltre, a proposito della Pedicha grande, negli atti della causa veniva sottolineato che questa non era stata compresa nella misura di Sperandio ma che di questo appezzamento
«habemus pariter mensurationem factam usque de anno 1660 a quondam
Marco Antonio Piuselli publico agrimensore cum planta delineata et ista
etiam ascendit ad rubra 40, ut originaliter ostendimus illustrissimo domino
et correspondet planctae istius pedice existenti in Officio Tribunalis Viarum cum sola differentia quartarum trium ultra rubra 40».
Dunque, fra le carte amministrative dell’ospedale - ente che fu beneficiato dal lascito ereditario della metà della tenuta e della pedica nel
1650 ma che ne entrò in possesso solo nel 1669 - almeno a partire dal
1660 esisteva una pianta della pedica redatta da Marco Antonio Piuselli,
dalla quale venne ricavata quella consegnata per il Catasto alessandrino
che se ne distingueva per la sola differenza di superficie di tre quarte.
Poiché la pianta dell’Alessandrino esprime una superficie di rubbia 40 e
scorzi 3, si può concludere che proprio la pianta 93/773. n. 1 fosse quella
alla quale ci si riferiva nell’incartamento giudiziario: quest’ultima riporta
infatti la superficie di «Rubbia quaranta, Quarte due e Scorzi tre» ed è
quella più vicina alla misura dell’Alessandrino.
5.2. Malpasso.
AS ROMA, CDM, I, 93/774: «Tenuta detta Malpasso delle Reverendissime Monache di San Silvestro in Capite» (1674; tav. 8).
La pianta è disegnata a penna e acquerello su pergamena, con cornice marmorizzata verde solo sui lati lunghi e titolo in alto al centro. Sulla
sinistra è una breve legenda, con cornice riccamente decorata recante
figura di pontefice, forse identificabile con san Silvestro papa, e inoltre
drago, statue di profilo, decorazioni vegetali, frutta:
«Dichiaratione della misura del sudetto casale. A. Quarto grande, rubbia
33; B. Quarticciolo del fontanile, r. 20; C. Prati, r. 11.0.2. Che in tutto sono
r. 64.0.2. Anno 1674. Bernardino Calamo Agrimensore mano propria».
In alto a destra è una rosa dei venti, con il nord orientato verso l’angolo destro in alto. In basso a sinistra è la scala grafica, di catene dieci,
decorata con il disegno di un compasso. La tenuta è delimitata da due corsi
d’acqua anonimi, sui lati nord e ovest, che fanno da confine con il “Casale
abbrugiato de’ canonici di San Giovanni” (Settebagni); l’altro confine è
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
costituito dal casale “Violatella de’ canonici di Santa Maria in Via Lata”.
Il corpo della tenuta presenta le due caratterizzazioni grafiche dei
monti coltivati (quarti A e B) e dei prati in verde (quarto C). In posizione
adiacente al corso d’acqua all’interno del prato, è il disegno di un piccolo
fontanile quadrangolare, alimentato dallo stesso fosso. All’interno del
quarto A, non lontano dal limite con l’area di prato, è la raffigurazione
dell’edificio del casale. Il disegno mostra una tozza torre, rovinata nella
parte alta, con corpi addossati più bassi, uno dei quali, che reca la medesima coloritura rosa, ha forma di arco, e l’altro a un piano con tetto a
spioventi, è riferibile a una stalla. In posizione antistante, a breve distanza, sono due grotte.
La pergamena era piegata per lungo e poi in quattro. Sul verso si
trova una collocazione archivistica a penna: «N. 62, Mazzo E, Armario C,
p[art]e p[rim]a» con tutta probabilità riferibile all’archivio del monastero
proprietario della tenuta, quello delle clarisse di S. Silvestro in Capite.
La pianta del Catasto alessandrino della Tenuta detta Malpasso
(431/9), datata 12 aprile 1660 e firmata dall’agrimensore Giusto Quaranta,
è una copia, come indica una scritta a penna posta nell’angolo in alto a
sinistra. Il possedimento è raffigurato alla stessa scala di dieci catene
romane e in modo analogo alla pianta del 1674 oggetto di questo studio,
ma con un tratto meno accurato, che conferisce al prodotto un carattere
più ‘sbrigativo’, come si è avuto modo di constatare per altre piante
redatte per il Catasto alessandrino. Il corpo della tenuta ha la stessa
forma e la superficie è identica. In alto, in posizione decentrata, per far
spazio al disegno, è il titolo «Tenuta detta Malpasso delle Reverendissime
Monache di San Silvestro in Capite». Un cartiglio in basso al centro reca
la seguente scritta:
«Dichiaratione della tenuta di Malpasso. A. Quarto grande Rubbia 33; B.
Quarticciolo del fontanile Rubbia 20; C. Prati Rubbia 11, quarte 2. Che in
tutto sono Rubbia 64, quarte 2. Giusto Quaranta m(ano) p(propria)».
Sul verso si trova una dichiarazione di Carlo Argoli, deputato del
monastero, che attesta la consegna della copia alla Presidenza delle strade.
La tenuta è divisa nei tre corpi A, B e C, quest’ultimo consistente in
una compatta superficie prativa, ed è delimitata dal corso d’acqua, il cui
affluente alimenta un fontanile quadrato del tutto simile a quello raffigurato nella pianta del 1674; identica è la posizione dei cippi di confine. È
invece leggermente diversa la caratterizzazione grafica che campisce i due
quarti, anche se in entrambi i casi la tecnica è in stile seicentesco ‘natura-
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
119
listico’. Analoghe anche le scale grafiche, decorate con compassi, seppure
poste in posizioni diverse nelle due piante, mentre nelle pianta del Catasto manca la rosa dei venti, presente invece nell’altra. La pianta di Bernardino Calamo del 1674 differisce da quella di Giusto Quaranta soprattutto
per la sontuosa decorazione della legenda e per la presenza dell’edificio
del casale, assente invece nella pianta del 1660.
Bernardino Calamo, che fu attivo fra il 1604 e il 1636 e suo figlio Francesco, che fu tra i principali agrimensori del Catasto alessandrino, lavorarono soprattutto per conto dell’ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum. Fra il 1602 e il 1610 è documentata la sua attività per la
basilica di S. Maria Maggiore per conto della quale effettuò alcune misure
delle tenute146. Per il Catasto alessandrino eseguì una serie di piante in gran
parte copiate dagli originali conservati fra le carte patrimoniali dell’ospedale del Santissimo Salvatore. Secondo l’accurata analisi delle piante dell’Alessandrino firmate dai due Calamo condotta da Jean Coste, sembra che
queste siano tutte opera di Francesco. Alcune di esse costituiscono tuttavia
una copia di precedenti carte realizzate dal padre (431/5, 431/11, 431/29,
431/34, 432/23, 432/27, 432/37), mentre altre sono originali dello stesso
Francesco (431/27, 433A/11, 433bis/2, 433bis/7, 433bis/14, 433bis/24)147.
Attivo come cartografo fra il 1654 e il 1672, Giusto Quaranta realizzò
le prime piante per il Catasto alessandrino copiando lavori di Bernardino
Calamo e di altri agrimensori. Oltre che per la famiglia Borghese, è noto
per aver autenticato le carte dei possedimenti del monastero romano di
S. Silvestro in Capite, compresa quella di Malpasso. Queste furono realizzate presso la bottega di Eliseo Vannucci (431/33, 431/51, 431/53) e in
quella di Paolo Picchetti (431/9 e 433/8)148.
I Calamo dunque, almeno tre, se si tiene conto della collaborazione
di Domenico Calamo per la redazione delle piante dell’Alessandrino, lavoravano insieme e per gli stessi committenti. I pur scarni dati biografici e
le osservazioni stilistiche effettuate sulle piante dell’Alessandrino portano
a escludere che la pianta di Malpasso del 1674 (nonostante la presenza
del mano propria) sia opera di Bernardino attivo, come si è detto, sino al
1636. Essa dovette invece essere realizzata dal figlio Francesco, forse
copiando un precedente originale del padre conservato fra le carte dell’amministrazione patrimoniale del monastero di S. Silvestro in Capite,
oggi non più rintracciabile. Lo stesso Francesco, infatti, proprio nel mag-
SRSP, Archivio Coste, dossier 35, fascicolo 2, c. 13.
Per l’attività di Bernardino e Francesco Calamo: PASSIGLI 2012, pp. 367, 376.
148
SRSP, Archivio Coste, dossier 35, fascicolo 7, c. 1. Si veda anche nota 108.
146
147
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120
Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
gio 1674, ricevette una somma da parte dell’esattore delle monache di S.
Silvestro «per pagamento di cinque piante de nostri casali fatte in carta
pecora»149. Dallo stesso originale di Bernardino, realizzato ben prima del
1674 e presumibilmente nel primo terzo del secolo, era già stata ricavata
la copia più sintetica e informale che Giusto Quaranta preparò nel 1660
per la consegna all’ufficio della Presidenza delle strade da parte delle
monache di S. Silvestro, esattamente come il medesimo agrimensore
aveva fatto sia per altre piante dei possessi spettanti a S. Silvestro, sia per
la pianta di Castell’Arcione (429/6). Quest’ultima venne firmata il 28 febbraio 1660 da Giusto Quaranta, ma si trattava di una copia tratta da un
originale non conservato e realizzato proprio da Bernardino, in questo
caso per un altro proprietario, Agostino Maffei, intorno al 1630150.
L’archivio delle Clarisse in S. Silvestro in Capite.
La segnatura d’archivio riportata sul verso della pianta, congiunta al
nome dell’ente proprietario, ha permesso di risalire con sicurezza alla sua
sede originaria. Pur se l’attuale ordinamento archivistico è mutato, la ricerca
svolta fra le rubriche antiche delle scritture ha rivelato che l’archivio monastico conservava almeno due piante della tenuta di Malpasso, una delle
quali, la Pianta del Casale di Malpasso antico, recava esattamente il riferimento al documento oggetto di studio, contrassegnato dal «n. 62, Mazzo E,
Armario C»151. Nella seconda metà del XVIII secolo venne cambiato l’ordinamento, e le due piante di Malpasso vennero inventariate con un diverso
riferimento archivistico, come risulta dal Rubricellone del 1797152. Successi-
AS ROMA, Clarisse in S. Silvestro in Capite, b. 5091/5 (contabilità, mandati 1674-1683),
n. 48/264: «Adi 18 maggio 1674. A don Belardino Vitazzi nostro esattore scudi vinti tre denari
70 moneta quali sono che scudi 15 pagò al signor Francesco Calamo per pagamento di cinque
piante de nostri casali fatte in carta pecora (…)»: i casali del monastero erano, effettivamente,
cinque, oltre a Malpasso anche Cornazzanello, Ponte Lamentana, S. Agnese e Tufelli.
150
COSTE 1983, pp. 277-278.
151
AS ROMA, Clarisse in S. Silvestro in Capite, b. 5225/1-7, vol. 3, «Rubricella di tutte le scritture che si contengano nel Armario contrassegnato lettera C appartenenti al Venerabile Monastero e Monache di S. Silvestro in Capite». Il Mazzo E dell’Armario C conteneva «Disegni, misure
e peritie, piante, relazioni e stime diverse appartenenti a vari corpi de stabili, et altro del Venerabile Monastero e Monache di San Silvestro in Capite dall’anno 1511 a tutto l’anno 1725». Alla
c. 19v, il n. 52 è una «Copia della pianta delli Fossi del Casale di Malpasso del Monastero di
S. Silvestro» e alla c. 20v, al n. 62, con scrittura diversa appartenente alle aggiunte successive,
è registrata la «Pianta del Casale di Malpasso antico».
152
AS ROMA, Clarisse in S. Silvestro in Capite, b. 5630, Rubricellone delle rubriche contenute
nell’archivio, 1797. Il Rubricellone contiene nota delle carte relative al casale Malpasso a partire
da un atto del 1513. Subito dopo questo atto sono elencate una «Pianta della tenuta Arm. II,
Tom. 65, p. 283» e una pianta dei fossi della tenuta, con la medesima segnatura, alla p. 225.
149
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121
vamente tutta la documentazione patrimoniale dell’archivio subì una nuova
sistemazione, probabilmente in occasione del trasferimento presso l’Archivio di Stato di Roma153. Questa venne realizzata unificando il materiale in
ordine topografico per località. In questo modo, nell’attuale ordinamento
archivistico, nella b. 5040/8 (atti diversi degli anni 1310-1861) vennero
radunate le carte relative alla tenuta di Malpasso provenienti da diversi
Armari e Mazzi, come è ancora ben distinguibile dalle segnature poste
sulle camicie contenenti i singoli documenti. Forse, proprio in occasione di
questo ultimo ordinamento, vennero estrapolate le due piante di Malpasso.
La pianta dei fossi, al momento, è da considerarsi deperdita; al contrario,
quella del casale di “Malpasso antico” dovette confluire nella Collezione I
di disegni e mappe, come si può concludere con certezza grazie al fatto che
non ne venne erasa l’antica segnatura posta sul verso.
6. Altre piante seicentesche
Di alcune delle piante selezionate non è stato possibile risalire alla provenienza e nemmeno proporre ipotesi. Si tratta di quelle di Castagnola,
Calandrella con Torre Rotta e Macheri, Cortecchia con Maccarese, prati in
Marco Simone, Palmarola, Santa Anastasia, Tre Fontane (in realtà: Grotta
Perfetta). Per alcune di queste è possibile delineare una serie di considerazioni; per altre ci limiteremo a fornire solo alcune indicazioni essenziali.
6.1. AS ROMA, CDM, I, 92/739, 002: «Tenuta della Castagnola» (12
maggio 1665)154.
La pianta è disegnata su una pergamena disposta in tre pezzi incollati
della misura di 120x 70 cm circa, con evidenti tracce di piegatura ed è
stata oggetto di recente restauro. Il titolo è scritto in un cartiglio, posto
in alto al centro, portato da un’aquila in volo disegnata in modo naturalistico. A destra si trova una rosa dei venti e in basso a sinistra la scala
metrica di catene romane trenta. In alto a destra, è collocata una legenda
all’interno di un cartiglio sormontato da testa leonina, recante le superfici
dei terreni, in ordine alfabetico da A a L (quest’ultima corrispondente al
Lo spostamento risale al 1875 (cfr. FEDERICI, pp. 236-241). In questa occasione Costantino Corvisieri redasse l’«Inventario di tutti gli atti e scritture esistenti nell’archivio del venerabile monastero di S. Silvestro in Capite».
154
Desideriamo esprimere un caloroso ringraziamento a Lorenzo Torchia per averci
segnalato questa pianta seicentesca, la cui datazione non era indicata nel vecchio inventario
109 (trattandosi - come suggeriva il ‘bis’, ora ‘002’- di un inserimento posteriore alla sua originaria stesura), e tutte le notizie da lui ricavate dall’archivio Sforza Cesarini.
153
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
«termine ritrovato dopo la pianta») per un totale di 252 rubbia. In basso
a sinistra è un testo sottoscritto dall’agrimensore e datato 12 maggio 1665:
«Noi sottoscritti Arimensori <sic> facciamo fede haver misurato il casale
della Castagniola dell’Ecc.mo Sig. Duca Gasparo Caffarelli et Ill.mo Sig.
Pietro Caffarelli per ordine di detti signori per farne la presente pianta et
havendo riconosciuti tutti li medesimi sette termini messi nella nostra presenza nella divisione, che fu fatta tra detti signori et l’Ecc.mo Sig. Duca
Cesarino fin del anno 1645 sotto li 16 maggio di detto anno, sono conforme costa per gli atti del Pagano notaio dell’Agricoltura, al quale Istrumento
s’habbia relat.ne etc155. Troviamo essere rubbia doicentocinquantadoi a
misura di catena romana e così diciamo r. 252 in conformità della sudetta
Pianta et in fede habbiamo sottoscritto la presente di mo. … questo di 12
maggio 1665.
Io Eliseo Vannucci (firma quasi illeggibile) agrimensore mano propria»
(non è possibile leggere i nomi degli altri o dell’altro agrimensore dato il
non buono stato di conservazione della pergamena).
La pianta riporta, dunque, un assetto della proprietà che si era venuto a definire una ventina di anni prima.
Il disegno della tenuta è orientato con l’ovest (P) in alto. La tenuta è
compresa fra due corsi d’acqua: quello in alto sembra il Rio Torto, quello
in basso è il fosso della Castagnola. I cippi di confine sono numerati da
1 a 7, cominciando dall’alto a sinistra e proseguendo in senso antiorario.
Seguendo lo stesso ordine, le tenute confinanti sono: “Piancimino” (a
sinistra), “Lamuratella” (a destra, sotto la strada che attraversa in orizzontale la tenuta), “S. Broccola” (a destra, sopra la strada e in alto a destra;
si tratta della tenuta spettante alla famiglia Massimo), “Campo Selva” (in
alto a sinistra). Sulla pianta sono raffigurate le diverse forme del paesaggio rurale, con una resa grafica abbastanza realistica: la tecnica dei ‘mucchi di talpa’ è utilizzata insieme al disegno dei filari, per i terreni seminativi, il disegno degli alberi per delineare una macchia e cespugli insieme
a un fondo verde per i prati e la vegetazione lungo i corsi d’acqua. Ad
eccezione delle strade e dei sette cippi di confine, sulla pianta in questione non sono rappresentati manufatti.
155
Il primo volume conservato dell’Archivio dei Notai del Tribunale dell’agricoltura, a
firma del notaio Benedictus Paganus senior, è il vol. 4 risalente agli anni 1646-1666: alle cc.
190rv e 191r/v è un atto del maggio 1646, relativo ai personaggi in questione con rapido rinvio
a una lite per confini del 1645. Si tratta di un testo particolarmente sintetico, privo anche del
nome della tenuta.
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123
Le lettere della legenda, i numeri e le iniziali dei nomi dei confinanti
sono rubricate in rosso.
La tenuta della Castagnola dei Cesarini, a sua volta, è rappresentata
in una pianta fra le più belle tra quelle consegnate per il Catasto alessandrino (432/9). Questa estesa proprietà si trovava lungo la costa tirrenica
a sud del Tevere, ed è raffigurata con una suddivisione in fasce di terreni
a diverse componenti colturali dall’entroterra fino al “Tumoleto” (spiaggia
con le dune) e al mare, completa del disegno di una tenda e alcuni cacciatori. Essa tuttavia comprende in un unico blocco fondiario diverse
tenute tra loro confinanti, come se non si fosse tenuto conto della divisione avvenuta quindici anni prima: la Castagnola, con una superficie di
rubbia 212 e quarte 3 (quindi più piccola di circa 40 rubbia rispetto alla
pianta del 1665, sebbene un confronto parziale denoti l’esatta corrispondenza di forma del terreno raffigurato nell’una e nell’altra delle due piante); Riotorto, di rubbia 69, quarta 1; Piancimino e Fossa Larghi, di rubbia
50, quarte 3. La scala, in questo caso, presenta un maggiore grado di
riduzione, arrivando ai 1200 staioli romani. In calce alla legenda è una
dichiarazione autografa in corsivo di Eliseo Vannucci, la cui firma compare nella legenda con il mano propria, il quale definisce il prodotto cartografico «Copia» di un originale di Bernardino Calamo.
La confinante tenuta di Pian di Frassi posta sotto la giurisdizione di
Ardea, appartenente ai medesimi Cesarini, è raffigurata nella pianta
432/24 del Catasto alessandrino. Essa si compone di alcuni quarti, il
primo dei quali è il “Quarticciolo della Castagnola”, di rubbia 64, quarte
2, scorzi 3, che confina con le tenute Castagnola e Muratella: si potrebbe
dunque ipotizzare che anche questo potesse originariamente far parte
della tenuta Castagnola, e poi separato in seguito alla divisione del 1645
(in quest’ipotesi, tuttavia, l’estensione originaria della tenuta risulterebbe
maggiore di circa 15 rubbia). In ogni caso, anche se solo una ricerca topografica paziente e accurata può permettere di ricostruire le vicende della
tenuta, si può affermare che l’estensore della pianta alessandrina non
aggiornò la superficie della tenuta secondo l’atto di suddivisione del 1645.
Anche nel caso di questa seconda pianta, l’estensore fu Eliseo Vannucci che trasse questa copia da un originale di Domenico Ferratelli
(dichiarazione identica alla precedente, con stessa mano corsiva). La
scala di mille staioli romani rende questa pianta confrontabile con le precedenti, solo con una certa difficoltà.
Il confronto tra la pianta conservata nella Collezione I di disegni e
mappe e quella del Catasto alessandrino, indica che - effettivamente - la
prima costituisce solo una parte (e cioè l’estremità nord-orientale) del
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corpo di tenute unite presenti nell’Alessandrino; i confini e la forma sono
analoghi, anche se i corsi d’acqua che fanno da confine hanno un andamento più dettagliato in questa piuttosto che in quella del 1660.
Cosa ipotizzare circa la collocazione originaria di questa pianta?
L’unità fondiaria in essa raffigurata era stata scorporata fin dal 1645 dall’insieme delle proprietà fino ad allora indivise, anche se essa risulta
ancora unita alle altre nel 1660. L’atto di determinazione della divisione
del 1645, che si conserva in copia nell’archivio Sforza Cesarini156, elenca
accuratamente i cippi di confine la cui posizione può essere riscontrata
puntualmente sulla pianta. Ciò ha indotto a ritenere che la pianta fosse
stata realizzata per uso interno per l’amministrazione familiare del patrimonio, in seguito al protrarsi della lunga questione di confine. Infatti
sembra poco probabile che la pianta sia stata estrapolata dall’archivio del
Tribunale dell’agricoltura in quanto gli atti vi si conservano solo a partire
dal 1666 e le attuali mancanze sono da attribuire a un periodo anteriore
alla costituzione della Collezione I di disegni e mappe.
6.2. AS ROMA, CDM, I, 92/719: «Pianta del casale de Macheri, Torre
Rotta e Calandrella dell’illustrissimi signori Verospi posta <sic> fuori di
Porta S. Sebastiano» (13 marzo 1640).
La pianta, realizzata da un agrimensore anonimo su carta, raffigura il
casale Macheri e i due quarti di Torre Rotta e Calandrella uniti fra loro
da sottili lingue di terreno, spettanti ai signori Verospi. Due legende in
alto, a sinistra e a destra, sono racchiuse in due cartigli: la prima elenca
le porzioni di terreno del casale Macheri e del quarto di Torre Rotta e la
seconda quelli del quarto della Calandrella. L’orientamento è reso tramite
le quattro personificazioni dei venti, disegnate al centro dei quattro lati.
L’estensione, secondo quanto indicato nella legenda, è di rubbia 155,
quarte 3 e scorzi 2. In basso al centro è raffigurata una scala grafica con
compasso di catene n. 30. La coloritura distingue due tipi di terreno: il
‘sodo’, realizzato in marrone con leggere ondulazioni del terreno e alcuni
alberi, e il prato colorato in giallo con una trama puntinata. Il casale di
Macheri è separato dal quarto di Torre Rotta dal “fosso della Cicognola”
che a sua volta è attraversato dalla “Strada del Falcognano” (via Ardeatina) per mezzo di un ponte; la strada costituisce anche il confine orientale
della tenuta. Il confine è scandito da alcuni cippi e sono indicati i nomi
delle proprietà confinanti.
156
Notizie forniteci da Lorenzo Torchia che ha in preparazione uno studio sulle proprietà
della famiglia Caffarelli.
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125
Nel Libro dei Casali del 1603 il casale Le Macare e il terreno denominato Calandrella erano di proprietà della famiglia Verospi, nella persona di Ferrante Verospo157 e risultano nelle mani della medesima famiglia
fino al 1770, mentre nel 1783 appartenevano al marchese Lepri158.
Nel Catasto alessandrino, la pianta della tenuta denominata Magri
(che è la denominazione che si stabilizza a partire dalla metà del ‘600;
433A/22), spettante a Carlo e Giovanni Battista Verospi e firmata da Eliseo Vannucci il 15 aprile 1660, raffigura il fondo con identiche superficie
e forma. Le lievi differenze fra i terreni di prato e di seminativo, insieme
allo stile completamente diverso del disegno e alla legenda molto meno
dettagliata, non autorizzano però a considerare la pianta del catasto
copia di quella conservata nella Collezione I di disegni e mappe.
Poiché non sembra esistere alcun legame fra le due piante, non
abbiamo elementi certi per ipotizzare che quella in esame possa provenire dall’ archivio Verospi, peraltro andato disperso159.
6.3-4. AS ROMA, CDM, I, 93/751: «Pianta e misura della tenuta di Cortecchia dell’Eccellentissimo signor duca Girolamo Mattei posta fuori Porta
S. Pancrazio » (20 aprile 1660); 93/765: «Pianta della tenuta di Maccarese
dell’Eccellentissimo signor duca Girolamo Mattei posta fuori Porta S. Pancrazio » (20 aprile 1660; fig. 6).
Le due piante, entrambe realizzate a china nera, vengono trattate
insieme in quanto relative a tenute tra loro confinanti spettanti a un medesimo proprietario, il duca Girolamo Mattei, e recanti la medesima data.
Rileviamo subito che le piante del Catasto alessandrino delle due
tenute (Cortecchia 433bis/25, Maccarese 433bis/35) risultano consegnate il
medesimo giorno, 20 aprile 1660, e firmate dallo stesso agrimensore Carlo
Antonio Paolini che ha redatto le piante in esame, come indicato nelle
rispettive legende160. Esse sono a colori e ricche di particolari relativi al pae-
157
COSTE 1969, p. 73, n. 218. Precedentemente i terreni in oggetto erano appartenuti alla
famiglia Margani, perlomeno dal 1471 (TOMASSETTI 1975-1980, II, p. 72), sino almeno al 1562
(AS ROMA, Collegio Notai Capitolini, vol. 1520, notaio Curtius Saccoccia, c. 689rv).
158
Elenco del 1770 del Campiglia, in RAFFAELI CAMMAROTA, p. 318, n. 226; per il 1783: NICOLAJ 1803, I, p. 182, n. 226.
159
PICOZZI, p. 312, nota 6, sulla dispersione dell’archivio Verospi, ad eccezione dell’eredità
di Girolamo Verospi, ultimo proprietario della tenuta (inventario dell’eredità in AS ROMA, Trenta Notai Capitolini, uff. 17, parte seconda del 1775). La provenienza della pianta da un protocollo notarile rimane l’ipotesi più attendibile, anche se non dimostrabile.
160
Per quanto riguarda Cortecchia, di mano dello stesso agrimensore è l’annotazione
copia: la pianta venne dunque ricavata da un originale precedente.
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
6. Pianta della tenuta di Maccarese dell’Eccellentissimo Signor Duca Girolamo Mattei
posta fuori di Porta S. Pancrazio (…), 20 aprile 1660; il nord è verso l’angolo destro in
basso (AS ROMA, CDM, I, 93/765)
saggio - quali le chiome degli alberi e le sfumature del mare - e ai manufatti. Quelle della Collezione I di disegni e mappe, sebbene più stilizzate e
prive di colorazione e dei dettagli naturalistici e decorativi, riportano però
gli stessi dati topografici, cronologici e, soprattutto, le stesse legende di
quelle del Catasto alessandrino161. Ciò induce a concludere che si tratti di
copie da esso ricavate e, in quanto molto simili fra loro, verosimilmente
redatte in un unico momento e forse per una medesima circostanza. Nonostante ciò, non vi sono riferimenti certi che permettano di stabilirne la provenienza archivistica.
6.5. Collezione I di disegni e mappe, I, 93/776: «Pianta et misura delli
prati al Casale detto Marco Simone dell’illustrissimo et eccellentissimo
161
Salvo il fatto che nella pianta della tenuta di Maccarese il nome dell’agrimensore è erroneamente riportato come Duchini.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
127
signor duca d’Acquasparta» (12 agosto 1647).
Realizzata a china dall’architetto Carlo Rainaldi, su due fogli di carta
incollati, con al centro, inserita in un cartiglio, una legenda indicante i terreni, la pianta non raffigura in effetti l’intera tenuta, ma solo quattro terreni
prativi al suo interno, delineati unicamente con il circuito a penna e con
i segni della triangolazione. In alto è disegnata una bellissima prospettiva
della Villa Caesia circondata da vegetazione162. In basso è presente una
scala grafica di staioli trecento riquadrata da un compasso decorato; sempre in basso, a destra, è una legenda più grande incorniciata da un sontuoso cartiglio, nella quale (insieme alle indicazioni sintetiche riportate sul
verso della pianta)163, si esprime la motivazione che dovette essere alla
base dell’esecuzione della pianta stessa. Questa infatti fu redatta dall’architetto Carlo Rainaldi, in seguito a due accessi effettuati il 25 giugno e il
16 luglio 1647, in relazione a una lite che dovette protrarsi almeno sino al
1652. Questa lite aveva già determinato la produzione di due perizie, probabilmente commissionate da ciascuna delle due parti in causa. Si tratta
di una storia giudiziaria complessa che vedeva opporsi il proprietario,
Federico Maria Cesi, all’affittuario dei prati da sfalcio compresi all’interno
della tenuta, il pullarolo Conversino Paolelli164. Il luogotenente del Tribunale dell’Auditor Camerae dovette incaricare un terzo perito, l’architetto
Carlo Rainaldi per l’appunto, per la compilazione di questa pianta. L’architetto negli stessi anni era già impegnato al servizio dei Cesi per la sistemazione del palazzo familiare fuori la porta Santa Croce a Tivoli, il che
spiega perché essi siano ricorsi a lui165.
La pianta redatta per la lite che interessava la tenuta di Marco Simone, peraltro, non condizionò in alcun modo la stesura di quella per il
Catasto alessandrino (429/7), che sarebbe stata consegnata a cura del
medesimo proprietario di lì a pochi lustri. Molto verosimilmente, in conclusione, la pianta ora nella Collezione I di disegni e mappe venne prodotta presso un ufficio giudiziario identificabile nel Tribunale dell’Auditor Camerae: nella legenda, infatti, l’architetto Rainaldi dichiara di essere
Questo particolare della pianta è pubblicato in BELLI BARSALI-BRANCHETTI 1975, p. 157.
A destra, con inchiostro molto chiaro è scritto: «Pro Ex(cellentissi)mo duce Cesio contra
d(omino) Conversino Paulelli die 12 augusti 1647». A sinistra, con inchiostro più scuro, ma non
interamente leggibile a causa di alcune rotture del foglio: «P(rim)o Coll(ateral)e Pro Il(lustrissi)mo et Ex(cellentissi)mo d(omino) duce Federico Cesio contra heredes q(uondam) Conversini Paulelli (…) 29 … [illeggibile per lacerazione] 1652».
164
Simili questioni sono assai frequenti nei protocolli notarili, ma non sempre esse sono
corredate da un documento cartografico di tale valore. La pianta e la vicenda sono sommariamente descritte anche in PASSIGLI 2009, pp. 12-13.
165
TUZI, p. 734.
162
163
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
stato «eletto terzo perito ex officio da monsignor illustrissimo Baranzone
loco tenente AC come dicesi constare per gli atti del Belgi notaio AC». È
possibile, pertanto, che essa sia stata estrapolata da un volume pertinente
a tale ufficio166.
6.6. AS ROMA, CDM, I, 94/798: «Misura e pianta del casale di Palmarola (...) del reverendissimo Capitolo di S. Pietro sta fuori di Porta Angelica (...)» (12 novembre 1659).
Pianta ad acquerello su pergamena, con titolo inserito entro un
nastro con svolazzi collocato lungo il bordo superiore, realizzata dall’architetto Giovanni Domenico Piuselli da un originale di Orazio Torriani,
come è espressamente indicato nella legenda:
«La presente pianta della tenuta di Palmarola del Reverendissimo Capitolo
di San Pietro (…) fu già misurata dal signor Horatio Torriani secondo l’uso
di catena romana, e detta pianta è stata copiata da altra simile esistente in
Archivio del detto Reverendissimo Capitolo il 12 novembre 1659 (…)».
L’archivio del capitolo di S. Pietro conserva due piante della tenuta
di Palmarola, entrambe di Orazio Torriani, che fu agrimensore e architetto alle dipendenze dei canonici vaticani167. Nel 1619 egli produsse una
pianta d’insieme delle tenute di Sant’Agata, Torrevecchia e Primavalle,
Casal del Marmo, Palmarola e Mimmoli, oggi esposta nell’edificio della
canonica di S. Pietro, sede attuale dell’archivio capitolare. Fra il 1656 e il
1658, poi, Orazio Torriani, ormai ottantenne, realizzò le piante dei possedimenti del capitolo per sostituire quelle da lui stesso redatte negli anni
precedenti, all’epoca già non più reperibili nell’archivio, dalle quali furono poi ricavate le copie per il Catasto alessandrino del 1660 ad opera di
Benedetto Drei junior. Fra le piante che il Torriani ridisegnò, vi era anche
quella della tenuta di Palmarola, datata 15 novembre 1658; nella legenda,
lo stesso agrimensore scrive di aver disegnato:
166
Ad un’indagine più approfondita, tuttavia, non è stato possibile reperire alcun dato
suppletivo utile in AS ROMA, Tribunale civile dell’Auditor Camerae, uff. 1, notaio Franciscus
Jacobus Belgius, Broliardi e Manuali. Libri testium nn. 70 e 71, Cedule et iura diversa per l’anno 1647, bb. 295-296 e neppure nei voll. 4-7 del 1652 (per la causa tra Federico Maria Cesi e
Conversino Paulelli). Del tutto reticente anche il protocollo del notaio Belgius alla data del 12
agosto 1647, AS ROMA, Notai del Tribunale del’AC, vol. 764. Nessun riferimento alla questione
in TOMASSETTI, VI, pp. 475-476.
167
Per il casale di Palmarola, GAUVAIN, pp. 380-383.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
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«la pianta del Casale di Palmarola posta ‹sic› fora della Porta de S. Pietro
detto Porta Angelica, che già molti anni sono ho mesurato per farne pianta, et hoggi l’anno 1658 con occasione che si sono fatte diverse piante che
già si sono consegniate al detto Capitolo (…)»168.
La superficie del casale è tinteggiata di rosa con alcuni alberi sparsi
e un prato che costeggia il corso d’acqua che ne attraversa il territorio.
Nella parte bassa sono, sulla destra del corso d’acqua, un fontanile rettangolare visto in pianta e, sulla sinistra, due grotte e una torre viste di
prospetto. Il perimetro è evidenziato in rosso.
La pianta del Catasto alessandrino (433/59) reca la data del 17 marzo
1660 e la firma dell’agrimensore Benedetto Drei junior che, come spiegato nella legenda di sua mano, redasse la copia ricavandola dall’originale di Orazio Torriani realizzato due anni prima. L’impianto del disegno
è lo stesso della pianta originale, ma l’agrimensore Drei espresse in modo
più realistico il disegno dei manufatti169.
Esattamente fra le due piante descritte si colloca la redazione di quella
ora conservata nella Collezione I di disegni e mappe, realizzata il 12
novembre 1659, ossia un anno esatto dopo l’originale di Orazio Torriani
della quale essa è copia, come è espressamente indicato nella legenda.
Non sono noti i motivi che hanno portato alla realizzazione della pianta,
forse riconducibili a questioni di natura giurisdizionale implicanti l’intervento di figure terze, in questo caso l’agrimensore Piuselli, chiamate a
intervenire per le parti in causa. Si può quindi ipotizzare che questa pianta
fosse allegata a un atto notarile o a un fascicolo processuale che allo stato
attuale delle conoscenze risulta impossibile individuare.
6.7. AS ROMA, CDM, I, 94/825: «Misura e pianta fatta da me infrascritto
della tenuta di S. Anastasia posta fuori di Porta S. Bastiano delli illustrissimi et reverendissimi signori canonici di S. Anastasia (...)» (10 aprile
1660; tav. 9).
La pianta, realizzata su carta, è incorniciata da un riquadro arancione
marmorizzato affine a quello reperibile in molte piante del corpus alessandrino, che circonda anche la legenda in basso a sinistra; questa è conclusa dalla firma autografa - con scrittura corsiva rispetto a quella più
BAV, Archivio del Capitolo di S. Pietro, Mappe, 49.
Benedetto Drei junior successe al padre Pietro Paolo nella qualifica di architetto del
capitolo e, in questa veste, realizzò la maggior parte delle piante delle tenute consegnate per
il Catasto alessandrino (GAUVAIN, Selezione di piante e mappe, pp. 8-9). Per Orazio Torriani,
supra, nota 70.
168
169
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130
Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
posata del resto della legenda - dell’agrimensore Marco Antonio Qualeatti,
corroborata dalla dicitura mano propria. All’interno della tenuta, che ha
una superficie di 76 rubbia e 2 quarte, sono raffigurati l’edificio del casale,
denominato “Casetta di Sant’Anastasia”, e un fontanile, in basso. In alto a
destra, a penna ed in caratteri corsivi, vi è un’annotazione risalente al
1757, da considerarsi un’aggiunta successiva in quanto la pianta risale senz’alcun dubbio al 1660, come indicato nella legenda170.
Nella sua impostazione generale, la pianta del Catasto alessandrino
(433A/20), anch’essa datata 10 aprile 1660 e redatta e firmata mano propria da Marco Antonio Qualeatti, è molto simile a quella conservata nella
Collezione I di disegni e mappe, anche se con un aspetto generale leggermente più stilizzato: identiche sono le cornici marmorizzate che inquadrano la pianta e la legenda, la superficie indicata (76 rubbia e 2 quarte), la
scala grafica disegnata in basso a sinistra sotto la legenda, la trama delle
misurazioni parziali con i rispettivi valori numerici, i confini e lo stile geometrico della raffigurazione dei due manufatti, la “Casetta di S. Anastasia”
(sebbene in questa pianta risulti con solo piano, oltre al terreno, mentre
nell’altra con due piani) e il “Fontanile”; i cippi di confine sono identici
per posizione, forma e proporzioni. Differiscono però, anche se in modo
lieve, per la caratterizzazione grafica della superficie della tenuta e per
alcuni termini utilizzati nella legenda (per esempio: Sebastiano e rubbia
nella pianta del Catasto, Bastiano e Rubbia nell’altra)171.
Nell’archivio della basilica di S. Anastasia, conservato nella Biblioteca
Apostolica Vaticana, si trova - infine - una pianta della tenuta della Torretta o casa di Santa Anastasia, anch’essa del 10 aprile 1660172: Torricella
170
«Il dì 5 luglio 1757 per gl’atti del Andreoli Notaio Capitolino fu fatto rogito di tali termini
assieme colli signori Canonici della Bocca della Verità e Signor Marchese Riccardi, per nostra
parte vi fu il Signor Francesco Sperandio Agrimensore».
171
Della realizzazione della pianta di Marc’Antonio Qualeatti per la consegna alla Presidenza delle strade si trova testimonianza in una relazione sullo stato dei beni della chiesa di S. Anastasia nel 1660 (BAV, S. Anastasia, n. 45, Memorie storiche, miscellanea di documenti e copie
dei secoli XIV-XVIII, cc. 9r-12r: «Relatio status venerabilis ecclesie, 1660»). Alla c. 11r figura la
descrizione del casale, posseduto da tempo immemorabile e posto fuori la porta di San Sebastiano, confinante con «il casale di Portamedaglia hoggi del marchese Riccardi, … Castelluccia
della collegiata di S. Maria in Cosmedin, dall’altra parte con S. Caterina della Rosa (Castel di
Leva), e dall’altra con quello delli Capizucchi (pedica Cavalloni, RUGGERI 2002, p. 60), di rubbia
in tutto <aggiunto al lato sinistro> 76, quarte 2 benché nelli nostri istrumenti d’affitto e misure
antiche si trovi la quantità di rubbia 77 e una quarta secondo la presente misura e pianta fatta
da Marc’Antonio Qualeato Agrimensore in esecuzione dell’editto di N(ostro) S(igno)re pubblicata et esibita all’offitio dei Maestri di Strada nel presente mese di aprile. Questo dì 19 aprile 1660».
172
BAV, S. Anastasia, n. 45, c. 547.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
131
o Torretta di Santa Anastasia è infatti la designazione con la quale la
tenuta è menzionata nella documentazione quattro-cinquecentesca e
negli atti notarili sei-settecenteschi conservati presso tale archivio. La
pianta è delineata unicamente a penna - si tratta in realtà di un disegno
- con inchiostro marrone, su un foglio ripiegato e inserto nel volume, che
reca copie di diversi atti; sul verso è l’indicazione: «Misura del Casale di
S. Anastasia fatta nel 1660» senza altre indicazioni. Il disegno della tenuta
è del tutto identico a quello delle piante del Catasto alessandrino e della
Collezione I di disegni e mappe, con gli stessi confini, le medesime aree
interne per il calcolo della superficie totale173, la stessa legenda collocata
in basso a sinistra, sebbene - a differenza di quelle - non incorniciata ma
libera e, analogamente, con la scala di staioli romani cinquecento indicata al di sotto. Essa differisce solo per la superficie (78 rubbia e 2 quarte),
per la denominazione dell’edificio (“Torretta o Casa di S. Anastasia”) e
soprattutto per l’assenza del cippo di confine adiacente alla strada (tav.
9, in alto a destra), quello stesso che nel 1757 - come si vedrà - è definito
termine novo.
Nel medesimo archivio si conservano gli atti di una lunga causa per
questioni di confine con la tenuta della Falcognana spettante al marchese
Riccardi, che dovette svilupparsi a partire dai primi del Settecento; fra
questi, la copia di un atto del 1711 con la dettagliata descrizione dei cippi
di confine, che però non fa alcun riferimento a piante del 1660174.
Fra il 31 marzo e il 4 aprile 1757 si tenne un sopralluogo presso la
tenuta per concordare la linea di confine che separava il possedimento di
S. Anastasia da quello dei canonici di S. Maria in Cosmedin (Castelluccia).
Si tratta delle operazioni preparatorie che porteranno, tre mesi dopo, alla
redazione di un atto di terminazione fra i canonici di S. Anastasia ed i proprietari delle due tenute confinanti, S. Maria in Cosmedin per la Castelluccia e il marchese Riccardi per la Falcognana, in presenza degli agrimensori
173
Il calcolo dell’area di una tenuta, infatti, veniva realizzato scomponendone la superficie
rilevata sulla pianta in un insieme di figure regolari (quadrati, rettangoli, trapezi e triangoli),
dalla somma delle cui superfici si otteneva quella dell’appezzamento, la cui forma il più delle
volte era irregolare.
174
Fra l’11 e il 15 ottobre 1711, su commissione dei canonici e a cura di Angelo Qualeatti
(perito di parte del marchese Riccardi, mentre quello del capitolo era Felice Perone), venne realizzata una misura per precisare il confine fra le tenute della Torricella di Santa Anastasia e della
Falcognana, nella quale furono descritti meticolosamente tutti i cippi di confine, il primo dei quali
è quello che manca nella pianta conservata nell’archivio di S. Anastasia, posto «canto la strada che
va a Porta Medaglia» e che in un successivo atto del 1757 verrà definito, come detto sopra, termine
novo. L’atto si trova in AS ROMA, Tribunale dell’Agricoltura, notaio Benedictus Paganus junior, vol.
71, cc. 356r/v e 387r, 15 ottobre 1711 e, in copia, in BAV, S. Anastasia, n. 72, cc. 59-64.
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
Pietro Paolo Qualeatti (figlio di Angelo), in qualità di perito chiamato dai
canonici di S. Maria in Cosmedin, e di Francesco Sperandio, chiamato da
quelli di S. Anastasia. La questione, in realtà, riguardava i canonici di S.
Maria in Cosmedin e il Riccardi, ma i canonici di S. Anastasia dovettero
essere chiamati in causa in quanto, per risistemare il confine, veniva ricordato l’atto di apposizione dei confini fra le tenute di S. Anastasia e quella
dei Riccardi, redatto nel 1711 dal notaio Benedetto Pagano con la misura
di Angelo Qualeatti. In tale occasione fu collocato, o forse ricollocato in
sostituzione di un cippo precedente, quello che nell’atto è definito termine novo al punto di triplice confine tra le tre tenute175.
Tuttavia, le questioni di confine (ed in particolare la controversia
relativa a quelli con la Falcognana dei Riccardi), si dovettero protrarre
fino al XIX secolo. In una nota ottocentesca conservata nello stesso archivio di S. Anastasia, scritta su carta azzurrina, accanto a uno schizzo a
penna dove è evidenziato il confine fra la tenuta di S. Anastasia e la tenuta Riccardi, si sottolineava che:
«la sopraindicata linea di confine si trova non ben decisa per mancanza di
alcuni termini de’ quali si fa menzione nella terminazione del 1711 corrispondente alla pianta Qualeatti del 1660»176.
Ciò indica che presso i canonici di S. Anastasia, ancora nell’Ottocento, si trovavano un esemplare della pianta seicentesca e la copia dell’atto
di confinazione settecentesco, e che questi due documenti venivano consultati in modo parallelo.
In conclusione, si può ipotizzare che il disegno a penna inserito nel
vol. 45 dell’archivio di S. Anastasia costituisse la ‘bozza’ preparatoria, verosimilmente risultato della ricognizione sul terreno, redatta per elaborare la
175
BAV, S. Anastasia, n. 72, cc. 88-89: memorie e appunti di spesa del 31 marzo e del 4 aprile
1757 circa «la gita alla tenuta di S. Anastasia per l’intimazione delli termini ad istanza delli signori
canonici della Bocca della Verità» con il priore canonico Apprevati, il signor Sperandio agrimensore e il signor Giovanni Paolo Ambrogetti. La terminazione, alla quale le parti giunsero di comune accordo, ebbe inizio dalla strada: «(…) che conduce a porta Medaglia [dove] si è apposto vicino
la medesima un termine novo che confina le tre tenute della Castelluccia di detto reverendissimo
capitolo di Santa Maria in Cosmedin, delli Falcognani spettante a detti illustrissimi signori marchese Carlo ed altri Riccardi, e della Torricella spettante al reverendissimo capitolo di Santa Anastasia,
al quale verso ponente vi sono impresse le seguenti lettere S.M.I.C. di Santa Maria in Cosmedin e
sopra il sudetto termine tre linee denotano li sudetti tre confini» e ripete fedelmente quella del
1711. L’originale dell’atto del 5 luglio 1757 si trova in AS ROMA, Trenta Notai Capitolini, uff. 13,
notaio Franciscus Antonius Andreoli, vol. 573 (già 577), cc. 366r-368v e 387r/v.
176
BAV, S. Anastasia, n. 72 c. 144.
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133
versione definitiva e in pulito della pianta della tenuta. Per quanto riguarda le altre due piante, invece, piuttosto che ritenerle l’una la copia fedelissima dell’altra, siamo portati a pensare - per la firma dell’agrimensore
Marco Antonio Qualeatti presente in entrambe, che indubbiamente sono
della medesima mano - che si tratti di un ‘doppio originale’, ossia di due
piante realizzate in contemporanea (la data di esecuzione è la stessa) e
derivanti dallo schizzo di cui sopra, una delle quali da consegnare alla
Presidenza delle strade, l’altra da tenersi ad uso dei canonici di S. Anastasia, che evidentemente - se l’ipotesi prospettata è corretta - non ne possedevano nessuna ed avrebbero in questo modo approfittato dell’occasione per farne realizzare una da conservare nel proprio archivio.
Che i canonici possedessero una pianta del 1660 redatta dal Qualeatti, è confermato, del resto, dall’annotazione ottocentesca sopra riferita;
che questa pianta potesse essere quella oggi conservata nella Collezione
I di disegni e mappe, sarebbe provato - il condizionale è d’obbligo, per
ciò che si dirà tra breve - dal fatto che è proprio in essa che è presente
il riferimento all’atto del notaio Andreoli del 5 luglio 1757 (si veda la nota
170): aveva senso, infatti, annotare come promemoria il riferimento al
rogito sull’originale da essi posseduto177.
Costituisce un ostacolo, che potremmo definire ‘imbarazzante’, a questa ricostruzione, il fatto che l’archivio della basilica di S. Anastasia si trovi
oggi per la maggior parte presso la Biblioteca Apostolica Vaticana178 e in
piccola parte all’Archivio Storico del Vicariato di Roma: stando così le cose,
non si è in grado di spiegare attraverso quali vie la pianta in oggetto - se
veramente si tratta dell’originale già presente nell’archivio della chiesa possa essere entrata a far parte del patrimonio documentario dell’Archivio
di Stato di Roma, e quindi della Collezione I di disegni e mappe 179.
177
Si ha notizia del fatto che alla fine del Seicento, i canonici di S. Anastasia dovettero
commissionare una copia della pianta consegnata alla Presidenza delle strade nel 1660. Alla
data del 20 maggio 1697 è infatti registrata una ricevuta di pagamento «per la copia della
pianta della tenuta di detto capitolo posta fuori porta S. Sebastiano, computo la copiatura e
mercede» da parte del canonico Eustachio Pissonati, camerlengo del capitolo di S. Anastasia,
ad Antonio Polidori, per il signor Domenico Orsini notaio del Tribunale delle strade (BAV,
S. Anastasia, n. 72, c. 52).
178
D’AIUTO-VIAN, I, s.v. S. Anastasia, pp. 718-719. Canonico del capitolo fra il 1919 e il
1936 fu il prefetto Angelo Mercati, al quale si deve quasi certamente il versamento presso la
Biblioteca Vaticana della pur modesta parte dell’archivio della chiesa di S. Anastasia che oggi
vi si conserva.
179
Ricordiamo che nell’AS ROMA, CDM esiste un’altra pianta della tenuta di S. Anastasia,
denominata: «Topografia della tenuta detta della Torricella spettante al Rev. Capitolo di S. Anastasia di Roma di capacità Rubbia 70:2 _ 43» (95/848); come si è visto, Torricella o Torricella di
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Susanna Passigli, Adriano Ruggeri
6.8. AS ROMA, CDM, I, 95/855: porzione della tenuta di Grotta Perfetta
(9 dicembre 1682)180.
Attenendosi all’ordine numerico della Collezione I di disegni e
mappe, che a sua volta era, nel vecchio inventario 109, strettamente connesso con quello alfabetico dei toponimi, descriviamo per ultima questa
pianta in quanto essa era elencata alla lettera ‘T’ con la denominazione
di «Tre Fontane, procoio Mattei». Ma questa indicazione è erronea, e
deriva senza dubbio - considerata l’assenza di un qualsiasi titolo - dal
fatto che sulla pianta è indicata la “Strada che da S. Bastiano va alla
Annuntiata et alle tre Fontane” (via Ardeatina), e nella legenda con la
lettera O: “Tre Fontane con il fosso”, e con la lettera P: “Strada che dalle
tre fontane va a S. Paolo”. La tenuta delle Tre Fontane, infatti, non è mai
appartenuta alla famiglia Mattei, bensì all’omonima abbazia; come confermano i confini indicati nella pianta, e cioè “Tor Marancia” (dell’ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta sanctorum) la via Ardeatina e i
“Signori Mignanelli” (tenuta di S. Alessio), si tratta invece della tenuta di
Grotta Perfetta (che confina a sud-ovest con quella delle Tre Fontane),
questa sì appartenuta ai Mattei181, e più precisamente - come chiarisce il
S. Anastasia è la denominazione più comunemente riportata nella documentazione relativa a
questa tenuta (ed è stata scritta a matita anche sul verso della pianta, probabilmente quando è
stata prelevata dalla sua sede originaria). Priva di data e firma, con legenda nell’angolo in alto a
sinistra, all’interno della cornice che racchiude il disegno, essa rappresenta il corpo della tenuta
acquerellato in verde, con lievi ombreggiature per indicare le ondulazioni del terreno, attraversato da due strade che si intersecano al centro della tenuta stessa; in alto, un quadratino rosso
indica la “Torretta”; in basso un rettangolino a china indica il “Fontanile”. Il confine è delineato
con precisi tratti rettilinei scanditi da cippi disegnati con piccoli quadratini neri; all’esterno vi
sono i nomi delle tenute confinanti (ma non dei rispettivi proprietari). Nel complesso, l’aspetto
è settecentesco, ed infatti l’inventario 109 la attribuisce genericamente al XVIII secolo; ma un
attento confronto dimostra che essa non può comunque essere copia di quelle del 1660, nelle
quali le modalità di elencazione delle tenute confinanti (di cui compaiono anche i nomi dei proprietari), l’orientamento e numerosi altri particolari sono del tutto differenti. Ciò che però preme
sottolineare, è il fatto che all’epoca dell’inserimento della pianta nella Collezione I di disegni e
mappe (qualunque ne fosse stata la provenienza), non ci si è resi conto che essa raffigura lo stesso terreno disegnato nella pianta 94/825: la coerenza avrebbe richiesto che esse fossero disposte
- nell’ordinamento alfabetico del vecchio inventario 109 - l’una di seguito all’altra, sotto la voce
‘Roma - Suburbio e Agro Romano’; in realtà mentre la 94/825 è elencata alla lettera ‘S’ di S. Anastasia, questa lo è alla lettera ‘T’ di ‘Torricella tenuta di S. Anastasia’.
180
Questa è la data dell’annotazione presente sul verso della pianta, ma non è detto che
sia anche quella di esecuzione della pianta stessa.
181
Catasto alessandrino, 432/51: pianta della tenuta di Grotta Perfetta dei signori Mattei,
datata 10 ottobre 1654, consegnata il 6 aprile 1660; CINGOLANI, n. 224 (FRUTAZ 1972, II, tav. 169).
Due piante della tenuta di Grotta Perfetta spettante a Carlo Collicola, risalente l’una al 1801, e
l’altra non datata intitolata «Pianta dimostrativa di tutta la tenuta di Grotta Perfetta» e redatta dall’agrimensore Serafino Sala, si trovano nella Collezione I di disegni e mappe, 93/760, n. 1-2.
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Piante cinque e seicentesche dell’Agro Romano
135
confronto con la pianta del Catasto alessandrino - della porzione sudorientale della tenuta.
Si tratta di pianta senza alcun titolo, che occupa tutto lo spazio a
disposizione sul foglio, con disegno a penna e acquerello raffigurante
un terreno delimitato da strade e da fossi. Il foglio di carta era originariamente piegato in quattro ed è impostato per ospitare un disegno
esteso al di fuori di esso. Sulla sinistra si trova una schematica legenda
realizzata con scrittura posata, seguita da una sottoscrizione corsiva: «Io
Francesco Amaden Agrimensore ho fatto la presente pianta mano propria».
Il disegno appare globalmente geometrico, con il corpo del terreno
colorato in verde uniforme e le lettere corrispondenti alla legenda in
rosso. A penna, sono i disegni prospettici dei manufatti edilizi: il “Procoio”, composto da un complesso di edifici, alcuni più bassi, con torre merlata e, forse, una chiesa, il tutto visto prospetticamente182; un edificio con
torre merlata emergente al centro, che si trova lungo la “Strada che da S.
Bastiano va alla Annuntiata et alle tre Fontane”, ed un altro edificio del
tutto analogo, sulla sinistra e al di fuori del terreno, corrispondente alla
“Torre Marancia”; a penna, sono disegnati un “Bottino”, indicato con la
lettera E, e il “Sito delle capanne”, contrassegnato da tre cerchi. I limiti in
alto, a destra e in basso - indipendentemente dal fatto che il primo ed il
terzo sono delle strade ed il secondo un fosso - sono evidenziati da una
linea puntinata rossa, che si riferisce certamente a un confine che si è
inteso enfatizzare.
Sul verso del foglio è la seguente scritta a penna:
«ACmet Pro D(omino) Carolo Morello Contra Ill(ustrissimum) et
Ex(imium) D(ominum) Ducem Alexandrum de Mattheis et litis Consortes»
seguita dalla firma «Mazzeschus. Die 9 dicembris 1682».
Accanto, a matita, una scrittura moderna riporta l’erronea indicazione: «Roma. Prati presso le Tre Fontane. 1682». Ciò rende evidente che la
pianta, senza alcun legame con quella del Catasto alessandrino, venne
realizzata ex novo per dirimere una questione territoriale o giurisdizionale
fra le due parti, il signor Carlo Morelli e il duca Alessandro Mattei e consorti. Il fatto che essa sia priva di titolo avvalora l’ipotesi che possa essere
stata estrapolata da un fascicolo processuale di una causa, come lascia
182
Al sito del “Procoio” corrisponde, nella pianta del Catasto alessandrino, l’indicazione
“P: sito della casa” (in legenda), con il disegno di alcuni edifici.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 136
136
1583, Agro Romano. Tenuta di Galera. (AS ROMA, CDM, I, cart. 93, n. 755)
intendere l’annotazione sul retro, e che la sede originaria sia da ricercare
nei volumi dell’archivio del Tribunale dell’Auditor Camerae183.
183
Il notaio Mazzeschi roga per l’ufficio 8 del Tribunale dell’Auditor Camerae. Per il 1682,
l’ultima unità archivistica è la b. 5027, che comprende il bimestre settembre-ottobre; la b. 5028
è la prima del 1683, pertanto potrebbe essere attualmente mancante il volume contenente gli
atti dell’ultimo bimestre del 1682 in cui poteva trovarsi la documentazione cui si riferisce la
nota sul verso della pianta.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 137
LUIGIA ATTILIA
I disegni di archeologia nella Collezione I di disegni e mappe: documenti per la tutela e la conservazione delle “antichità e belle arti”
I disegni di archeologia conservati nella Collezione I di disegni e
mappe dell’Archivio di Stato di Roma costituiscono preziose testimonianze grafiche dell’attività di tutela, avviata dal governo dello Stato pontificio
fin dal 1515, sotto papa Leone X, con la creazione del Commissariato
delle antichità e con la conseguente nomina di Raffaello Sanzio a ruolo
di Primo Commissario1. Le norme emanate dai pontefici successivamente
in materia di tutela, ribadirono il concetto di salvaguardia e di difesa delle
antichità. Particolare rilievo in tale direzione ebbero due provvedimenti
legislativi, l’editto del 1° ottobre 1802, promulgato dal pro camerlengo
Giuseppe Doria Pamphili e il fondamentale editto del cardinale Bartolomeo Pacca del 7 ottobre 1820. Quest’ultimo costituì il primo organico
provvedimento di protezione storica e artistica e di catalogazione degli
oggetti di antichità presenti nelle chiese, nei conventi, negli edifici pubblici e privati. Esso fu richiamato ancora in vigore nel 1871 dal nascente
Stato italiano, circa nove mesi dopo la breccia di Porta Pia, in un momento di passaggio tra vecchio Stato pontificio e nuovo Stato unitario, in attesa di creare una nuova normativa di tutela (la prima legge unitaria dello
Stato italiano si avrà soltanto nel 1902) con l’adozione di un’ apposita
legge, la n. 286 del 28 giugno 1871, promotore della quale fu il Ministro
di Grazia e Giustizia, Giovanni De Falco2. D’altronde in materia di scavi
e di conservazione dei monumenti, l’editto del cardinal Pacca predisponeva, per la prima volta in maniera sistematica, organismi di controllo una Commissione centrale di belle arti a Roma e Commissioni ausiliarie
nelle province con compiti ispettivi presso i detentori di oggetti d’arte e
1
Sull’argomento della tutela delle antichità a Roma, sulla normativa e sull’importanza del
rilievo archeologico nello Stato pontificio v. SINISI 2009, pp. 5-10.
2
Per un commento dell’Editto del Cardinal Pacca cfr. CURZI, pp. 51-79; per la normativa
sulle Antichità e Belle Arti nello Stato pontificio, cfr. MUSACCHIO, pp. 45-51; per alcune considerazioni sulla tutela delle antichità nel passaggio tra Stato pontificio e Stato unitario v. ATTILIA
2014.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 138
138
Luigia Attilia
di antichità - e dettava prescrizioni e obblighi per l’esecuzione di scavi e
recupero di oggetti antichi venuti alla luce (articoli 33 e 34). In particolare, secondo quanto prescritto dall’art. 39 dell’Editto, si richiedeva, in
caso di ritrovamento effettuato sottoterra “d’ogni antico fabbricato”, di
eseguirne misure e disegno. Raccomandazione questa che si sentì il bisogno di ribadire, come già delineato da Daniela Sinisi in un suo saggio del
2009, nel successivo regolamento per le province dello Stato del 6 agosto
1821, con il quale si sancì l’ingresso ufficiale del disegno dei reperti
archeologici nella normativa di tutela dello Stato pontificio3.
Nel lavoro di spoglio analitico della Collezione I, è stato selezionato
un numero così cospicuo di rappresentazioni di argomento archeologico,
che si è deciso di incentrare questo contributo per l’inventario essenzialmente sui disegni aventi come tema la documentazione archeologica di
Roma. Essi riguardano la raffigurazione di antiche strutture rinvenute in
occasione di scavi, ma anche di restauri di monumenti tra i quali si annoverano le Mura urbane o gli antichi Fori, o ancora progetti di sistemazione
di aree urbane poste in prossimità di resti monumentali. L’interesse scaturito da questa ricerca è stato talmente elevato, da rendere difficile persino
una scelta dei documenti da esaminare in maniera approfondita. Si è deciso pertanto di considerare alcune tipologie di disegni, eseguiti in epoche
diverse e per documentare situazioni diverse, al fine di ricollegare, almeno in alcuni casi, quelli che a prima vista possono apparire come testimonianze episodiche, a vere e proprie “pratiche” conservate in seno agli
archivi delle Antichità e Belle Arti4. Si è inoltre elaborato un elenco dei
disegni aventi come argomento l’archeologia di Roma, che viene allegato
a completamento di questo inquadramento generale, con lo scopo di
costituire una sorta di guida per gli studiosi .
Lo studio e l’attenzione per le “antiche rovine”, sia per quelle ancora
emergenti all’interno del tessuto urbanistico della città, sia per quelle che
si portavano alla luce nel corso di scavi per lavori pubblici e privati, si evidenziano nei numerosi disegni, spesso acquerelli, conservati nella Collezione I, che testimoniano l’importanza della restituzione grafica a partire
almeno dal ‘600, contemporaneamente cioè alla nascita di quella norma-
SINISI 2009, p. 7.
Si tratta per lo più di “pratiche” conservate all’interno dell’archivio del Camerlengato,
Titolo IV, parte II, Antichità e Belle Arti e del Camerale II, Antichità e Belle Arti, ma anche di
tavole di pubblicazioni realizzate a cura di personaggi che operarono all’interno dell’Amministrazione pontificia in materia di antichità e belle arti o di disegni finalizzati a illustrazioni di
precisazione di ambiti di proprietà.
3
4
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
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tiva sulle antichità dei secoli precedenti l’emanazione dell’Editto del cardinale Pacca, come si può osservare nel Catalogo dei documenti estrapolati. È del 1812 uno splendido acquerello a colori (Cart.127, n. 3), realizzato su carta applicata a supporto di tela, che illustra all’interno di una
serie di riquadri corredati da didascalie, piante e prospetti di edifici
moderni, vigne e orti, con indicazione delle proprietà, contenuti nell’ambito di una zona allora denominata “Villa Coltella”. La coperta di tela reca
la scritta a inchiostro “Tempio di Minerva Medica 1812”; l’acquerello è intitolato “Pianta di diversi corpi di terreno formanti un sol corpo detto Villa
Coltella situati dentro Roma, quali al presente coltivansi ad uso d’Orto
Casaleno, e Pantano, spettanti all’Ecc(ellentissi)mo Sig. Senator Savioli in
passato, estratta in piccolo dall’originale del Sig. Giovanni Gabrielli. La
Villa Coltella prende il nome da un suo proprietario del 1633, Francesco
Coltelli, del quale riferisce il Lanciani nella Storia degli Scavi, a proposito
di danni e demolizioni di tratti di antichi acquedotti, effettuati nei pressi
dell’edificio a pianta centrale decagonale sormontato da cupola, situato
nella zona tra la chiesa di S. Bibiana e Porta Maggiore. Il monumento si
erge sull’odierna via Giolitti ed è stato identificato per lungo tempo come
Tempio cosiddetto di Minerva Medica5. A seguito di approfonditi studi
anche strutturali, l’edificio, realizzato presumibilmente all’inizio del IV sec.
d. C, inserito all’interno dell’antico complesso degli Horti Liciniani, è stato
riconosciuto generalmente come Ninfeo, come spazio termale, o ancora
forse come sala di rappresentanza. L’acquerello in questione si viene ad
aggiungere alle testimonianze dell’edificio nella cartografia storica, anche
se esso viene qui schematicamente rappresentato, poiché l’interesse del
disegno non è tanto incentrato sull’antico monumento, quanto nella sua
collocazione all’interno della proprietà e nel suo rapporto con gli appezzamenti dei terreni circostanti. Appare comunque di interesse una sorta di
bacino o conserva d’acqua delineato in basso, immediatamente a contatto
con il monumento, probabilmente in connessione con la funzione legata
a un’utilizzazione dell’acqua.
Se il disegno esaminato non offre una documentazione inerente
scavi di antichità, il “progetto per lo sterramento del Foro Romano” del
1821-1826, costituisce invece un vero e proprio esempio di progettazione
per interventi di esplorazione di aree monumentali (fig. 1) (Cart. 127, n.
5). La pianta del “progettato scavo del Foro Romano”, eseguita ad opera
5
LANCIANI 1903, p. 139; per le notizie sul monumento v. GATTI E. In particolare, per una
rassegna di manoscritti, disegni e foto v. BIASCI, pp. 145-182; per lo studio e l’interpretazione
v. BARBERA, DI PASQUALE, PALAZZO, pp. 1-21.
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140
Luigia Attilia
1. Pianta del progettato Scavo del Foro Romano, e livellazione delli oggetti più interessanti,
come meglio si rileva dall’annesso Indice, 1821 (AS ROMA, CDM, I, cart. 127, n. 5)
dell’architetto Giuseppe Valadier, reca l’indice dettagliato dei monumenti
visibili, riprodotti in pianta, assieme alla rappresentazione dei livelli che
indicano le “elevazioni dei monumenti principali riguardo al piano del
Tevere”. A spiegazione e supporto di tale progetto, si legge tra le carte
dell’Archivio del Camerale II: “Il Foro Romano…è sempre stato interessantissimo per i colti geni delle arti…che vi hanno impiegato tempo e
raziocinio, cercando…d’indagare la vera località. Il partito preso dello
scavamento generale…è quello che non solo farà epoca… ma produrrà
ancora il vantaggio che saranno scoperte tante e tante cose ignote. Di tale
verità m’è stato il piccolo cavo per lo scoprimento della colonna di
Foca…Mi faccio in dovere di prevenire che converrebbe ricominciare
dallo assicurare li bordi di tutti li cavi già fatti qua e là …si anderà portando via le terre cavate dagli scavi medesimi…Questa lavorazione di
scavo e trasporto dovrebbe principiare da sotto il Campidoglio, discoprendosi tutto quello che sarà in quella parte. Di mano in mano che si
anderà avanti col cavo…si anderà costruendo il muro di recinto e di
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
141
sostruzione alla commoda ed amena strada. Qualora venisse a scoprirsi
negli scavi un qualche monumento interessante che meritasse di rimanere visibile ma restasse sotto la strada destinata, si potranno lasciare dei
sotterranei e con qualche arco o specie di ponte provvedere al duplice
oggetto”6. Così il 10 giugno 1821 Giuseppe Valadier, architetto operante
in seno all’amministrazione pontificia delle antichità e belle arti nel periodo della Restaurazione, trasmette a S.E. il Camerlengo la sua relazione
tecnica esplicativa dei lavori da compiere, indicati nella pianta in esame.
Il progetto illustrato fu redatto sotto il notevole impulso dato ai lavori dal
pontefice Pio VII, che promosse importanti opere per lo sviluppo dell’archeologia e per la difesa del patrimonio artistico fino alla promulgazione
del già nominato Editto del Cardinal Pacca7. In questo panorama rientrano i lavori iniziati nel Foro Romano con il progetto di “sterramento”, presentato dal Valadier insieme a Angelo Uggeri e a Luigi Canina, realizzati
con la supervisione di Carlo Fea, allora Commissario per le Antichità8; le
esplorazioni archeologiche venivano condotte con metodo e regolarità,
pur predominando, nelle scelte architettoniche dell’epoca, come criterio
di applicazione l’isolamento degli edifici antichi.
È del 1827, contemporaneo al grande intervento di scavo del Foro
Romano documentato dal Valadier, il restauro dei “Ruderi in via del Pianto”, un vero e proprio progetto, completo di piante e prospetti, riguardante la casa situata tra via S. Maria dei Calderari n. 23 (antica S. Maria in Cacaberijs) e via del Pianto. La facciata della casa su via dei Calderari, costituita
da un’arcata in opera laterizia di epoca imperiale inquadrata tra due semicolonne con capitelli di ordine tuscanico in travertino, tutt’oggi conservata,
appartiene, assieme ad altri elementi strutturali conservati all’interno dell’isolato compreso tra le due vie, a un antico edificio situato nell’area del
Campo Marzio meridionale, riprodotto in numerosi disegni fin dall’epoca
rinascimentale. Esso è stato erroneamente identificato fino al 1960 con la
Crypta Balbi, il portico annesso al Teatro di Balbo9. Il progetto, illustrato
AS ROMA, Camerale II, AABBAA, b. 37, fasc. 20.
G. Valadier figura come “architetto consigliere” della Commissione consultiva delle
Belle Arti in una relazione a S. E. il Sig. Camerlengo Card. Pacca del 16 giugno 1823: AS ROMA,
Camerale II , b. 46, fasc. 53.
8
Sui risultati degli scavi dell’epoca v. DE RUGGIERO.
9
Gli studi di Guglielmo Gatti collocarono in maniera esatta il complesso del Teatro e
della Crypta di Balbo lungo via delle Botteghe Oscure: cfr. GATTI G. 1960 e GATTI G. 1979; il
monumento su via S. Maria de’ Calderari è stato variamente identificato come Porticus Octavia,
Villa Publica, Porticus Minucia Frumentaria. Per la storia degli studi e alcune considerazioni
sull’edificio antico, v. TUCCI, pp. 95 – 124.
6
7
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142
Luigia Attilia
in un acquerello a colori e china dell’architetto Pietro Bosio (Cart. 127, n.
8) (fig. 2), risulta particolarmente interessante poiché nella pianta sono
chiaramente indicate le murature del piano superiore dell’antico edificio,
ormai non più conservate10. Il progetto venne presentato da quest’ultimo
per conto della signora Maddalena Neri vedova Gismondi, che intendeva
effettuare migliorie alla casa che sorgeva sopra le antiche rovine. Un complesso carteggio conservato negli atti del Camerlengato costituisce la “pratica” relativa all’acquerello del Bosio, attualmente conservato all’interno
della Collezione I di disegni e mappe 11. Tralasciamo in questa sede i particolari strutturali contenuti nel disegno, già minuziosamente descritti negli
studi del Tucci citati in nota, mentre sembra assai rilevante dal punto di
vista storico-istituzionale l’iter burocratico che accompagna la storia del
progetto. Le relazioni della Commissione Consultiva di Belle Arti contenute nel fascicolo, con data 1827, riguardano l’esame da parte del Valadier,
che, in qualità di architetto del Camerlengato e membro della suddetta
Commissione, valutò lo stato pericolante dei resti di muratura a cortina
antica ancora conservati al piano superiore della casa in via Santa Maria
dei Calderari e la consunzione dei rocchi della colonna di destra, proponendone un restauro12. Ma successivamente, il 21 novembre 1827, Valadier
stesso constatò l’avvenuto danno all’antica muratura in una lettera indirizzata al Sig. Beretta, Capo Mastro muratore che aveva seguito i lavori: “…
avendo veduto nella Fabrica della Sig. Maddalena a S. M. in Cacaberijs la
facciata elevata sopra l’antico Arco, ella in luogo di lasciare il muro antico
fra le finestre lo ha del tutto demolito quando come si ricorderà allorquando venni con il Sig. Avocato Fea e Nibbi si disse di sostenerlo assolutamente ponendovi catene di ferro e quanto occorreva perché restasse benché strapiombato ed ella promise di farlo. Ora che è del tutto andato La
prego di dirmi perché ciò sia accaduto e perché non avvertirmi prima
della demolizione…”. Fu così che, nonostante fosse stato prescritto dalla
Commissione Consultiva di Belle Arti di preservare le strutture antiche,
non si diede ragione della demolizione, effettuata per dar luogo a una
nuova edificazione, eludendo le ragioni dell’Istituzione, così come illustra-
Il progetto è dettagliatamente analizzato in TUCCI, pp. 110-112.
AS ROMA, Camerlengato, parte II, titolo IV AABBAA, B. 170, fasc. 476; per l’analisi della
pratica del Camerlengato e per il confronto con documenti di altri archivi v. ATTILIA 1990, p.
80; TUCCI, loc. cit.
12
Lo stato di rovina delle strutture antiche, è illustrato in un disegno a matita del 1827,
un tempo conservato in AS ROMA, Camerlengato, parte II, titolo IV AABBAA, B. 170, fasc. 476
e pubblicato in ATTILIA 1990, fig. 30, in TUCCI, p. 112, fig. 19; a tutt’oggi tale disegno non risulta
più contenuto nel fascicolo indicato.
10
11
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
143
2. Pianta dei ruderi in via del Pianto
presso la chiesa di S. Maria de Caccabariis, 1826 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 127, n. 8)
to nella figura F del citato
acquerello del Bosio (fig. 2).
Particolarmente densi di
notizie di scoperte e di relativa
documentazione grafica risultano essere gli anni tra il 1830
e il 1840: nei documenti del
Camerlengato, concernenti le
Antichità e Belle Arti, ricorre
frequentemente il nome di
Luigi Grifi, che fu, in quel periodo, il Segretario della Commissione Consultiva di Antichità e Belle Arti. Oltre a lui, in molti documenti compaiono
la firma di Luigi Canina e di Pietro Ercole Visconti. Tra gli interventi di
scavo intrapresi in questo periodo, si ricorda la prosecuzione del grande
progetto di indagine nell’area del Foro Romano, avviata sotto la direzione
del Nibby e del Valadier, già esaminata, nel 1835, allorché la direzione
degli scavi passò a Luigi Canina13. Furono portate alla luce con quella campagna di scavo le pendici del Campidoglio e le sostruzioni del Tabularium,
mentre venne ampliata l’area già emersa intorno all’Arco di Settimio Severo, presso la Colonna di Foca e la Via Sacra. Gli esiti delle indagini descritte
sono ben delineati nelle tavole a stampa conservate nella Collezione I di
disegni e mappe, all’interno di una miscellanea (Cart. 127, n. 15), intitolata
“Restauro del Foro Romano e della Via Sacra”, relative all’opera di Giovanni Angelini architetto e Carlo Fea archeologo: “Il Foro Romano la Via Sacra
il Clivo Capitolino dal 1809 al 1836” (fig. 3)14. Altri rinvenimenti effettuati
13
Per l’argomento del Foro Romano alla luce degli studi dell’epoca v.: CANINA 1834; CANI1855; HÜLSEN.
14
HÜLSEN, p. 40; gran parte dei lavori di scavo di questi anni sono documentati negli atti
del Camerlengato titolo IV parte II, AABBAA, B.258, B. 259, B. 260, 261, 262, fasc. 2790, in
NA
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144
Luigia Attilia
3. Foro Romano, via Sacra e Clivo
Capitolino, 1836 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 127, n. 15/3)
in occasione di lavori svolti sul
territorio della città sono
documentati da acquerelli a
colori che riproducono con
dettaglio artistico l’oggetto
della scoperta. È il caso della
testimonianza grafica conservata all’interno di una cartella
intitolata “Avanzi scoperti
presso via Ripetta” (Cart. 127,
n. 12) (fig. 4). L’acquerello policromo, privo di riferimenti cronologici e
della firma dell’autore, illustra un tratto di pavimentazione a mosaico con
motivi geometrici a triangoli bianchi e rossi e reca la seguente didascalia:
“Avanzo di Fabrica Antica scoperto sulla Via di Ripetta in occasione dello
scavo per le nuove Fondamenta di una Fabbrica ove si custodivano le
legna”. A ulteriore dettaglio per l’ubicazione del ritrovamento, nella parte
inferiore del disegno è apposta la seguente indicazione: “La linea AB si
dirige a Ponente, e truovasi distante dall’angolo del vicolo del Fiume Pal.
131 pari a Met. 29-264 e s’interna dal dritto del Fabricato sulla Fronte della
strada 29.7 id. Met. 6, 478”. Viene in ausilio sia all’inquadramento della
datazione, sia alla localizzazione del ritrovamento, la pratica corrispondente della scoperta, contenuta in un fascicolo del Camerlengato, dell’anno
183815. Scriveva il Grifi il 30 giugno 1838: “…Una Sezione della Commissione Consultiva di Antichità e Belle Arti…si è recata all’area della cosiddetta Legnaia di Ripetta…perché osservasse le pietre dissotterrate…Nel
luogo ove era discoperto il pavimento diviso in tanti triangoli di rosso anti-
particolare per quello che riguarda i resoconti delle visite sui luoghi delle scoperte da parte
della Commissione Consultiva di Antichità e Belle Arti.
15
AS ROMA, Camerlengato, titolo IV, parte II, AABBAA, B. 257, fasc. 2780.
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
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4. Avanzo di Fabrica Antica scoperto
sulla Via di Ripetta in occasione
dello scavo per le nuove Fondamenta
di una Fabbrica ove prima si custodivano le legna, 1838, (AS ROMA,
CDM, I, cart. 127, n. 12)
co e palombino e per entro da
una fascia di marmo…”. Nell’area della cosiddetta “Legnaia
di Ripetta”, situata presso S.
Giacomo in Augusta, come si
evince da altre scoperte avvenute successivamente nel
medesimo luogo, indicato
chiaramente in alcuni documenti del 1850, erano già
venuti alla luce nello stesso
anno vari frammenti architettonici di marmo e iscrizioni, descritti nello stesso fascicolo del Camerlengato16. L’importanza del ritrovamento rese evidentemente necessaria l’immediata documentazione del pavimento venuto alla luce, che costituisce
un vero e proprio esempio di rilievo particolareggiato in scala di metri.
Un esempio di pratica ancora più complessa di ritrovamento è legata
all’acquerello conservato nella Cart. 127, n. 11, intitolato “Muro Curvo
dietro l’abside del Tempio della Pace” con data 1835 (fig. 5). Nel marzo
del 1835 il cardinale camerlengo Galeffi concesse a Giuseppe Fontana e
a Antonio Sturbinetti il permesso di condurre “escavazioni di Antichità”
nell’Orto e nei terreni annessi della Pia casa delle Mendicanti, nella zona
retrostante l’abside del cosiddetto “Tempio della Pace”, denominazione
con la quale all’epoca veniva designata la Basilica di Massenzio. Il monumento fu edificato nel 307 d. C. da questo imperatore nell’ambito di notevoli rifacimenti del Foro Romano dopo l’incendio di Carino e solo in
16
AS ROMA, Camerlengato, titolo IV, parte II, AABBAA, fasc. 3675: Relazione di un sopralluogo di P. E. Visconti in S. Giacomo in Augusta per scoperte effettuate nelle fondazioni delle
case dei Reverendi Padri.
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Luigia Attilia
5. Pianta del muro curvo Rinvenuto dietro l’Abside del Tempio della Pace, 1835 (AS ROMA,
CDM, I, cart. 127, n. 11)
seguito prese il nome di Basilica Costantiniana17.
La descrizione degli scavi e dei reperti rinvenuti è contenuta nell’Archivio del Camerlengato, titolo IV, parte II, Antichità e Belle Arti18.
Nel corso delle indagini si scoprì il grande muro semicircolare
costruito dietro la struttura dell’abside dell’antica Basilica, che, come indicato in una nota di Luigi Grifi (Segretario della Commissione Generale
Consultiva delle AABBAA), poteva “reputarsi come un secondo cerchio
di quella”.
A ispezionare la scoperta si recò una sezione della suddetta Commissione che compilò la “Relazione della visita dietro l’abside del tempio della
Pace” datata 21 maggio; per completare l’iter della documentazione, sul
17
Per le notizie sul monumento v. LTUR I (1993), pp. 170-173 (s.v. Basilica Constantiniana, B. Nova (di F. Coarelli).
18
AS ROMA, Camerlengato, titolo IV, parte II, AABBAA, b. 234, fasc. 2298.
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
147
retro dell’elaborato, opera di Luigi Grifi, con data 27 maggio dello stesso
anno, fu dato l’incarico al sig. Enrico Calderari “secondo i doveri del proprio officio”, di accedere al luogo affinché “cavi il disegno della parte di
fabbrica discopertasi… e lo rimetta al Card. Cam(erlen)go colla possibile
sollecitudine e per l’effetto si ponga in accordo al S.(ignor) Fontana…”.
Dal testo della Relazione si apprende che gli autori della scoperta,
dopo aver scavato nell’ampio “vacuo...fra il dosso dell’Abside e il muro”
che scendeva “dai cinquanta ai settanta palmi in una larghezza di trenta
per tutta la curva ed essendo “tale profondissimo corridoio …ricolmo di
terra mista ad avanzi di fabbriche diroccate” avevano “nettato” il muro
per un buon tratto fino al piano, trovando grande abbondanza di frammenti di mattoni e di lastre di marmi. Essi ponevano ora la richiesta che
il Governo prendesse in carico la spesa di “sterramento e trasporto di
terra, … ed essi poi in qualità di felici inventori di sì prezioso avvanzo,
e di proprietari dello scavo godano di quanto possa fornire sia in materiali, o in altri oggetti di qualsivoglia valore”. Il sig. Commendatore Thorvaldsen, membro della Commissione, considerata la spesa dello scavo e
le pretese degli scopritori, “potendosene tenere memoria con un disegno,
siccome suggerisce il Sig.re Avv.to Fea”, ritenne che sarebbe stato “divisamento migliore di ordinare che rimanendo il muro non tocco in parte
veruna, potessero i Signori Soci proseguire lo scavo nell’intervallo, “giacchè per quello che riguarda le provvidenze da prenderne per la scienza
archeologica sarà cura dell’Emo e Prmo Sig.re Card. Camerlengo di pensarvi a tempo opportuno”.
In seguito, in una lettera indirizzata da G. Santucci al Cardinale
Camerlengo, si riassume il rapporto della Commissione, “data contezza
dell’ordine spedito al Sig. Calderari di disegnare il muro”. Sul retro è indicata inoltre la seguente nota: “Il disegno esibito dal S. Calderari si unisca
alla Cartella, in cui si conservano tali disegni, e tutto si annoti in protocollo”. Tale annotazione sancisce la chiusura dell’iter documentario dello
scavo, al quale è indissolubilmente collegata la testimonianza grafica
conservata all’interno della Collezione I di disegni e mappe19. Il disegno
ad acquerello rappresenta la pianta dell’antico edificio, con indicazione
del muro rinvenuto e la localizzazione nell’Orto delle Mendicanti; esso
costituisce un’ulteriore conferma dell’esigenza di ricorrere alla rappresentazione grafica delle strutture antiche a memoria della scoperta, per perfezionare il complesso documentario.
Per proseguire il novero degli scavi eseguiti in quegli anni, si ricorda
19
Cfr. nota 18.
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148
Luigia Attilia
che nel 1838 ebbe luogo il recupero casuale di un gruppo di sepolcri del
cosiddetto Grande Colombario, appartenente alla più vasta necropoli di
villa Doria Pamphilj, venuta in luce tra gli anni 1820-1830 in seguito a
indagini effettuate dalla famiglia Doria Pamphilj20, datata tra l’età repubblicana e il II sec. d.C.. Alla scoperta seguì una regolare concessione di scavo
rilasciata in data 7 marzo 1838, per la durata di un anno, al principe
Andrea Doria Pamphilj in considerazione della notevole importanza del
rinvenimento21 (fig. 6). L’ambiente rinvenuto era privo di copertura ed
esposto alle intemperie, pertanto gli affreschi rischiavano il deterioramento; in attesa di effettuare i lavori di chiusura, che furono eseguiti nel 1839,
fu incaricato dal Camerlengato l’architetto Enrico Calderari di riprodurre i
disegni del monumento sepolcrale e delle pitture22. Gli splendidi acquerelli
del Calderari , lo stesso autore del disegno raffigurante i ritrovamenti presso il c.d. Tempio della Pace (fig. 5), conservati nella Collezione I illustrano
con estrema accuratezza, in sezioni e pianta, lo stato di conservazione del
colombario grande (ambiente A), al momento della scoperta23. Essi ancora
una volta sono posti in stretta connessione con la pratica corrispondente,
riguardante gli scavi e il relativo affidamento per l’esecuzione della documentazione grafica a supporto della scoperta.
Nell’ambito della ricca documentazione grafica dei ritrovamenti
archeologici effettuati negli anni 1830-40, sotto il pontificato di Gregorio
XVI, è degna di particolare menzione la scoperta, avvenuta nel 1838, del
monumento sepolcrale di Marco Virgilio Eurisace presso Porta Maggiore.
Nella Collezione I è conservato, in questo caso, un “Registro rilegato”, composto da 11 fogli a stampa di descrizione storica e di tre tavole
disegnate da Luigi Maria Valadier, la prima raffigurante la sezione e piante del monumento, la seconda i prospetti, la terza i dettagli dei bassorilievi24 (fig. 7).
Il celebre monumento venne alla luce in occasione dei lavori di
demolizione “del fabbricato de’ bassi tempi” che vi era addossato, così
come riferisce Luigi Maria Valadier in una nota del 28 febbraio 1838 conPer le notizie sulla scoperta della necropoli v. DE ANGELIS BERTOLOTTI.
Le notizie del permesso di scavo e del successivo ritrovamento si trovano in AS ROMA,
Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici, B. 403, fasc. 5; gli
acquerelli sono pubblicati da De Angelis Bertolotti, ibid., pp. 279-281, figg. 341-343.
22
Lanciani fa menzione dei medesimi disegni redatti per mano di Enrico Calderari nel
1839: v. LANCIANI 2001.
23
Cart. 127, n. 18. La tutela dell’area sepolcrale di Villa Pamphilj è attualmente di competenza della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma.
24
Cart. 127, n. 16; il Registro si intitola “Brevi cenni di un Monumento scoperto a Porta
Maggiore del Cav. Luigi Grifi”.
20
21
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
149
6. Pianta e Sezioni del Colombario
discoperto nella Villa Pamphili, 1839
(AS ROMA, CDM, I, cart. 127, n. 18/3)
servata nel fascicolo del
Camerlengato che contiene i
rapporti della Commissione
consultiva di Antichità, recatasi periodicamente sul luogo
della scoperta. I rapporti,
redatti da Luigi Grifi, tra il giugno e il luglio del medesimo
anno, documentano dettagliatamente le fasi della ricerca25.
L’attribuzione del sepolcro ad un antico fornaio dell’epoca è contenuta nel rapporto del Grifi del 4 luglio: “La sezione … si
è recata a Porta Maggiore ed avendo con particolare cura preso ad indagare il rimanente del freggio scoperto sull’alto del monumento quivi scoperto, ha osservato che nel canto, verso le mura, sono rappresentati due
mulini mossi ognuno da una mula e alquanti garzoni che stanno cernendo la farina negli stami…”. In un’altra nota del 7 luglio si riporta invece
il ritrovamento dell’iscrizione relativa al proprietario del monumento: EST
HOC MONIMENTVM MARCI VERGILI EVRISACI. L’importanza della scoperta indusse l’Amministrazione Pontificia ad incaricare Luigi Maria Valadier di disegnare il monumento, lavoro del quale rimangono a testimonianza le tavole a suo nome conservate all’interno della Cartella citata. È
già stato rilevato in altri studi che la motivazione istituzionale di questa
scelta, nel caso del monumento di Eurisace, è indicata proprio in una lettera del Grifi al cardinale Camerlengo Giustiniani, nella quale si ricorda
25
AS ROMA, Camerlengato, titolo IV, parte II, AABBAA, B. 250, fasc. 2636; il Monumento
fu pubblicato in MELCHIORRI.
1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 150
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Luigia Attilia
7. Monumento di Eurisace a Porta
Maggiore, 1838 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 127, n. 16)
l’“uso” del Camerlengato di
“tenere i disegni dei monumenti che si scuoprono”26.
Nella medesima lettera viene
inoltre sottolineata l’esigenza
di pubblicare le tavole che
riproducono tali scoperte,
affinché esse risultino edite
dal “Dicastero dell’Eminenza
Vostra e non da estranei”,
concetto che sottolinea la
pertinenza istituzionale delle
antichità venute alla luce e
l’efficacia del disegno delle medesime nell’azione di tutela da compiere
sul bene.
È per questa ragione che si annoverano nella Collezione I altrettanto
numerosi disegni dell’“andamento delle mura della città di Roma”, a
dimostrare che l’antica cinta difensiva della città fu costantemente oggetto di tutela e di restauro da parte dei pontefici, fino al motuproprio di
Pio IX, atto con il quale furono consegnate all’Amministrazione del
Comune di Roma. A testimonianza dell’attenzione rivolta al percorso
delle mura si cita qui in particolare l’acquerello a colori realizzato nel
1848 dall’agrimensore camerale Luigi Mazzarini27 (fig. 8).
Il disegno illustra la planimetria in scala 1:2000 metri dell’ ”andamento delle mura e del pomerio della città di Roma dalla Porta S. Paolo per
la strada di S.ta Balbina”, con il dettaglio del circuito murario e delle proprietà che esso attraversa. La necessità di documentare non solo lo stato
26
27
SINISI 2009, pp. 9-10, n. 13; per la lettera v. Appendix in COATES – STEPHENS.
Cart. 77, n. 203.
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
151
8. Andamento delle mura e pomerio della città di Roma dalla Porta S. Paolo per la strada
di S. Balbina, 1848 (AS ROMA, CDM, I, cart. 77, n. 203)
delle mura, ma anche il passaggio all’interno di ambiti di proprietà, è
legato probabilmente all’esigenza di delineare con maggior dettaglio il
rapporto tra i terreni e il circuito murario, anche ai fini catastali.
Per concludere questa panoramica dei disegni di argomento prettamente archeologico, si è ritenuto di passare in rassegna la raccolta più
rilevante conservata nella Collezione I, relativamente alla raffigurazione
delle antiche mura. Essa è senz’altro costituita dall’opera dell’incisore
ravennate Luigi Rossini intitolata “Le Porte antiche e moderne del Recinto di Roma”28 (fig. 9).
Luigi Rossini, incisore della Calcografia camerale, pubblicò nel 1829
“con privilegio pontificio” e “con un breve cenno istorico antiquario”
un’opera consistente in 35 tavole realizzate con tecnica di acquaforte, per
il prezzo di 10 scudi, riproducente le vedute delle porte e delle mura di
28
AS ROMA,, CDM, I, Cart. 77, n. 206.
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152
Luigia Attilia
9. Le porte antiche e moderne del Recinto di Roma, incisione di Luigi Rossini, 1829 (AS
ROMA, CDM, I, cart. 77, n. 206)
Roma. L’opera, di impostazione architettonica, restituisce una visione dei
monumenti antichi resa in funzione del restauro delle antichità. Il dettaglio grafico nei prospetti delle costruzioni è teso alla rappresentazione
analitica dei particolari tecnici delle strutture murarie. Nella sua complessità, il lavoro del Rossini risulta fedele alla realtà e costituisce una fonte
importante di conoscenza dell’antico monumento29.
Arricchiscono il numero dei disegni qui presi dettagliatamente in
esame, altre riproduzioni grafiche di progetti di sistemazione urbanistica
di alcune aree della città o di tratti prossimi al corso del Tevere. Nell’impossibilità di trattarli tutti analiticamente, si è ritenuto di elencarli nell’allegato Elenco che accompagna questo contributo.
29
COZZA 1998, p. 16.
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
153
Archivio di Stato di Roma, Collezione I di disegni e mappe
ELENCO
DEI PRINCIPALI DISEGNI DELLE ANTICHITÀ DI
ROMA
Cart. 32, n. 162 - Strada ferrata Pia Latina tra Roma e Frascati - Disegno a matita,
inchiostro e acquerello - 1850
“Progetto principale di una stazione provvisoria per la via ferrata Pia – Latina, da costruirsi
fuori Porta Maggiore, fra l’acquedotto e la via Prenestina”, di Antonio Cipolla. Rappresenta il circuito delle Mura Aureliane. (cfr. PARISI A., in I colori dell’Archeologia, pp. 88-89).
Cart. 77, n. 198 - Presso Porta Salara - Prospetto realizzato a china - 1672
Progetto di sistemazione di un tratto delle antiche Mura della città di Roma copiato dall’originale “inserto nel Chirografo di concessione” del 20 luglio 1672, per mano di papa
Clemente X, “ a favore del Sig. Card. Federico Boromeo, perché potesse elevare la fabbrica sulle Mura… esistenti in quella parte ove confinava il suo Giardino presso Porta
Salara”.
Cart. 77, n. 199 - Cinta muraria antica e papalina - Pianta realizzata a matita,
penna, acquerello - 26.11.1806
Pianta di Roma e della cinta muraria. È allegato un fascicolo di quattro fogli manoscritti
di Giuseppe Valadier.
Cart. 77, n. 200 - Pincio - Acquerello a colori - 1828
“Prospetto delle Mura che servono di sostegno alle terre della Pubblica Passeggiata al Pincio verso Tramontana secondo lo Stato del 1828”. (Sostruzioni degli antichi Horti Aciliorum). (Giuseppe Valadier, Ispettore dello Stato Pontificio).
Cart. 77, n. 201 - Mura - Pianta realizzata a matita, penna, acquerello - 06.07.1842
“Andamento delle mura della città di Roma dalla Porta Portese a quella di San Pancrazio”.
(Luigi Mazzarini, Agrimensore Camerale).
Cart. 77, n. 203 - Mura - Pianta realizzata a matita, penna, acquerello - 20.04.1848
“Andamento delle mura e pomerio della Città di Roma dalla Porta S. Paolo per la strada
di Santa Balbina” (Luigi Mazzarini, Agrimensore Camerale).
Cart. 77, n. 204 - Mura - Pianta realizzata a matita, penna, acquerello - 1848
“Andamento delle mura e pomerio della città di Roma dalla Porta Portese alle altre di San
Pancrazio e Cavalleggeri”.
Cart. 77, n. 205 - Pincio - Pianta realizzata a penna e acquerello - 1848
“Mura urbane del Pincio” (Sostruzioni degli antichi Horti Aciliorum): “pianta, prospetto e
sezione delle antiche Mura della città nel lato settentrionale del Monte Pincio coll’indicazione del nuovo tratto di ristauro delle medesime eseguito nel 1848 in proseguimento di quello
costruito dalla R.C.A. nel 1846 e 1847”. (“Gaetano Spinetti disegnò - L. Poletti Ing. Arch.”).
Cart. 77, n. 206 - Porte antiche e moderne, prospetti e piante geometriche -
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154
Luigia Attilia
Stampe e manoscritti - 1829
“Le Porte antiche e moderne del recinto di Roma con le Mura - prospetti e piante geometriche disegnate ed incise dall’Architetto Luigi Rossini Ravennate - Roma - pubblicate
nell’anno 1829 con privilegio pontificio, con un breve cenno istorico antiquario - opera
contenente n. 35 tavole”.
Cart. 78, n. 207 - Porta San Giovanni - Pianta realizzata a penna e acquerello - 1840
“Progetto per la sistemazione dell’Officio doganale a Porta San Giovanni in Laterano e
nel medesimo tempo rettificare quella Piazza con delle Alberate, Fontane…”
Cart. 78, n. 210 - Forte S. Angelo - Pianta realizzata a penna e acquerello - sec.
XIX (attribuzione per modalità di esecuzione)
“Pianta topografica del Forte S. Angelo di Roma e sue adiacenze”.
Cart. 78, n. 211 - Castel S. Angelo - Mura e spalti - Sezioni a penna, matita e
acquerello - sec. XIX (attribuzione per modalità di esecuzione).
Cart. 81, n. 277 - Acquedotto Claudio in piazza Porta Maggiore -Terreno antistante il monumento - Pianta realizzata a matita, penna, acquerello - 29.03.1841
“Pianta e misura del terreno che si è acquistato dalla R.C.A. pel nuovo Piazzale avanti il
Monumento dell’Acquedotto Claudio alla Porta Maggiore…”.
Cart. 81, n. 284 - Piazza della Rotonda - Pianta a china e acquerello - 25.04.1663
“La presente pianta delli Casini della Piazza della Rotonda è conforme al presente. Si ritrova in opera questo dì 25 Aprile 1663”.
Cart. 81, n. 296 - Piazza S. Giovanni in Laterano - Pianta realizzata a matita,
penna, acquerello - 21.03.1838
“Pianta riformata del progetto per la sistemazione della gran Piazza di S. Giovanni in Laterano con viali regolari e proporzionate case per gl’Inservienti della Porta della Città”.
Cart. 81 , n. 299 - Piazza S. Gregorio al Celio e edifici circostanti - Pianta realizzata a china e acquerello - 28.06.1814
Planimetria con posizionamento di edifici antichi.
Cart. 82, n. 354 - Colosseo - Pianta realizzata a china - sec. XIX (attribuzione per
modalità di esecuzione)
“Pianta di un corpo di terreno ad uso di orto casaleno spettante al cittadino Cesare Sinibaldi Cambalunga situato dentro le mura in luogo detto il Colosseo”.
Cart. 84, n. 468 - 469 - Ponte sospeso a Ponte Rotto - Piante e sezioni realizzate
a penna e acquerello - 27.07.1852
Progetto per un ponte sospeso sul Tevere da collocare dalla parte rovinata del ponte,
redatto in francese dalla “Societé des Ponts de fer à Rome”.
Cart. 89, n. 650 - Strada ferrata Pia Latina dal Colosseo a Porta Maggiore - Piante
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
155
realizzate a penna e china - 1849 - Sono rappresentati il Tempio della Pace, il
Tempio di Venere e Roma, il Colosseo.
Cart. 92, n. 724 - Pianta e misura del casale di Capo di Bove - Mappa realizzata
a china e acquerello - 1587
Sono rappresentate le mura di Roma e il disegno del Capo di Bove fortificato presso il
sepolcro di Cecilia Metella.
Cart. 122, n. 183 - 1) Pianta della sponda del Tevere a Ponte Rotto - 2) Pianta
del Tevere dal Ponte Quattro Capi e Ponte Ferrato alla Cloaca Massima - Pianta
realizzata a matita, penna e acquerello - 05.08.1821
Nella pianta 1) sono delineati muri antichi presso la testata del Ponte Rotto. Nella pianta
2) è presente nel tratto del Tevere tra i due ponti, la pianta del c.d. Tempio di Vesta al
Foro Boario.
Cart. 127, n. 2 - Pianta dei granai presso Campo Vaccino (Foro Romano) - Pianta
realizzata a china e acquerello - Sec. XVIII.
Cart. 127, n. 3 - Pianta dei terreni posti presso il c.d. Tempio di Minerva Medica
e nella Villa Coltella - Pianta e prospetti realizzati ad acquerello a colori - 1812
“Pianta di diversi corpi di terreno formanti un sol corpo detto Villa Coltella situati dentro
Roma, quali al presente coltivansi ad uso d’Orto Casaleno, e Pantano…”. “Giuseppe
Gabrielli delineò ed incise”.
Cart. 127, n. 4 - Circo di Caracalla - (Circo di Massenzio) - Pianta realizzata a
china e acquerello - 1819.
Cart. 127, n. 5 - Pianta del Foro Romano - Pianta realizzata ad acquerello 10.06.1821
“Pianta del progettato scavo del Foro Romano, e livellazione degli oggetti più interessanti”. Progetto di Giuseppe Valadier.
Cart. 127, n. 6 - Pianta dimostrativa dei pavimenti ritrovati negli scavi fatti nella
villa del signor marchese Casali - Disegni realizzati a matita e acquerello 08.1824.
Cart. 127, n. 7 - Restauro dei Fori Romani - 1) Pianta degli sterri da eseguire nel
Foro Romano
“Sterramento del Foro Romano e conghietture sull’andamento della via Sacra”
2) Piante dei Fori Imperiali - Piante a stampa - 1826.
“I Fori antichi di Roma restaurati”.
Cart. 127, n. 8 - Ruderi in via del Pianto presso la chiesa di S. Maria in Cacaberis
- Piante e prospetti realizzati a china e acquerello - 22.06.1826
Piante e prospetti dei resti archeologici situati sull’odierna via S. Maria dei Calderari.
Acquerello di Pietro Bosio.
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156
Luigia Attilia
Cart. 127, n. 10 - Pavimento scoperto nell’anno 1833 in una delle camere adiacenti al Mausoleo di Augusto nell’occasione delle fondamenta per il nuovo prospetto della chiesa di S. Rocco - Disegno realizzato a matita e acquerello - 1833.
Cart. 127, n. 11 - Muro curvo dietro l’abside del tempio della Pace
Scavo e ritrovamento del muro curvo dietro la Basilica di Massenzio (c.d. Tempio della Pace)
Pianta realizzata a china e acquerello - 01.06.1835.
Cart. 127, n. 12 - Avanzi scoperti presso via di Ripetta
“Avanzo di Fabrica Antica scoperto sulla via di Ripetta in occasione dello scavo per le nuove
fondamenta di una fabbrica ove si custodivano le legna”. Il disegno, realizzato a matita e
acquerello, è privo di data, ma attribuibile al 1838, epoca della scoperta riportata nella corrispondente pratica del Camerlengato, titolo IV, parte II, AABBAA, B. 257, fasc. 3675.
Cart. 127, n. 13 - Mosaici di due camere rinvenuti nella Vigna Volpi sulla via
Aventina (poi via Ardeatina) - Disegno a matita e acquerello a colori - s.d., sec.
XIX per modalità di esecuzione.
Probabilmente realizzato nel 1838, anno della scoperta (cfr. ASR, Camerlengato, Titolo IV
parte II, AABBAA, B. 255, fasc. 2734).
Cart. 127, n. 15 - Piante del Foro Romano, via Sacra e Clivo Capitolino - Piante
realizzate a matita e acquerello - 1836.
Cart. 127, n. 16 - Brevi cenni sul Monumento di Eurisace rinvenuto a Porta Maggiore - Registro rilegato composto da 11 fogli a stampa di descrizione storica e
3 tavole disegnate da Luigi Maria Valadier - 1838.
Cart. 127, n. 17 - Pianta del Tempio di Marte Ultore e degli edifici circostanti Pianta realizzata a penna, china e acquerello - 1841 - La pianta reca indicazioni
toponomastiche
Sul retro a matita blu: “Veggasi l’istrumento 1 maggio 1841 del notaro Apolloni con cui
fu venduta alla Camera una parte dell’area del Monastero della Santissima Annunziata”.
Cart. 127, n. 18 - Colombario di Villa Pamphili - N. 6 Piante e sezioni realizzate
a penna e acquerello - Acquerelli dell’architetto Enrico Calderari - 1839.
Cart. 127, n. 20 - Stato attuale del Teatro di Marcello come si osserva sulla via
dei Sugherari - Pianta e prospetto realizzati a matita, penna e acquerello
All’interno delle arcate del Teatro sono indicate le proprietà - 16.06.1868.
Cart. 127, n. 21 - Colosseo ed edifici circostanti - Planimetria realizzata a penna
e acquerello - 17.01.1869.
Cart. 130, n. 3 - Pianta della zona tra il Palatino e il Foro Romano - Pianta realizzata a matita e china
Roma Antica, piante antiche - Studi del Cav. Canina - sec. XIX, attribuzione per modalità
di esecuzione.
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I disegni di archeologia nella Collezione di disegni e mappe
157
10. Stato attuale del Teatro di Marcello come si osserva sulla Via de Sugherari, 1868 (AS
ROMA, CDM, I, cart. 127, n. 20)
Cart. 130, n. 4 - Pianta delle zone del Campo Marzio, Campidoglio e Foro Romano - N. 3 piante a stampa - Sec. XIX, attribuzione per modalità di esecuzione.
Cart. 130, n. 5 - Pianta delle antiche Regioni Augustee I, II, VIII, X, XI, XII - N.
2 piante a stampa - 1732.
Cart. 130, n. 6 - Piante di Roma Antica - N. 2 piante a stampa: 1) Circo Massimo,
Aventino, Palatino, Settizonio, porti ostiensi di Claudio e di Traiano - 2) Zona tra
Esquilino e Palatino - s.d.
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MARIA GRAZIA BRANCHETTI
Stampe artistiche e cartografia della Collezione I di disegni e mappe
La Collezione I di disegni e mappe dell’Archivio di Stato di Roma
comprende un numero di opere calcografiche quantificabile in circa il sei
per cento del suo insieme.
Si tratta di incisioni di carattere eterogeneo che condividono con il
corpus maggiore dei disegni l’arco storico di produzione e la provenienza
dagli organi di governo dello Stato pontificio dal XVI al XIX secolo.
Il contesto documentario del quale partecipano assegna loro un valore aggiunto rispetto al pregio di manufatto artistico che ne rimane, in
ogni caso, elemento distintivo e che le riconduce alla storia della matrice
di provenienza e alla loro fortuna editoriale1.
1
Sotto questo aspetto, lo studio delle opere calcografiche trova oggi un utile strumento
di indagine nei cataloghi digitalizzati disponibili in rete, da quelli degli Istituti specificamente
preposti alla loro conservazione, come l’ING a quelli di Archivi e Biblioteche - tra le quali si
deve ricordare almeno la Biblioteca Attilio Mori dell’IGM per l’attività scientifica nell’ambito
della cartografia storica- e ancora di Fondazioni, Università, Musei, Collezioni pubblici e privati. I riferimenti che si troveranno nelle note in merito agli enti attivi nel settore non pretendono naturalmente di essere esaustivi. Nell’ambito della digitalizzazione del patrimonio archivistico nazionale il Ministero per i beni e le attività culturali attraverso la DGA, è presente con
il Portale del SAN, un progetto nel quale i diversi sistemi informativi, statali e non, trovano
un punto di incontro, coordinamento e integrazione. Aperto alla partecipazione attiva e alla
collaborazione con tutti i soggetti pubblici e privati nazionali ed esteri e con organismi internazionali, il Portale è stato inaugurato il 17 dicembre 2011 ed è entrato in esercizio, affidato
alla gestione dell’ICAR.
Il SAN consente la fruizione di documenti di diversa natura e tipologia (immagini, audio,
video) e la descrizione dei relativi soggetti conservatori, dei soggetti produttori, dei complessi
archivistici, degli strumenti di ricerca. Un’ampia pagina informativa è disponibile in
http://www.archivi.beniculturali.it/index.php/archivi-nel-web/san-sistema-archivistico-nazionale.
L’AS ROMA con il progetto IMAGO II (responsabile Paolo Buonora e consulenti per i singoli
fondi Orietta Verdi, Daniela Sinisi, Luisa Falchi, Angela Lanconelli) ha realizzato la digitalizzazione
di una pregevole parte del suo patrimonio cartografico: Catasto alessandrino (1660-1661); Catasto
urbano di Roma (1824); Catasto gregoriano (1816-1835); Cessato Catasto rustico (U.T.E) ma anche
di Pergamene e Preziosi (Liber Regulae) e delle rubriche di protocolli di diversi notai romani. La
parte del Catasto gregoriano relativa all’assetto urbano di Roma è anche pubblicata in LONDEI 2009
(ivi, L. FALCHI, Il catasto e le mappe della città di Roma, pp. 5-12; L. LONDEI, La Roma del Catasto gregoriano, pp. 13-28; L.SALVATORI, Il Catasto urbano digitalizzato, p. 29 e tavv. 29-77). Per un quadro
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160
Maria Grazia Branchetti
Il riferimento a personaggi, luoghi, eventi, monumenti di cui tramandano memoria attraverso le dediche, le descrizioni, i titoli, le firme degli
autori e dei committenti, ne indica la collocazione all’interno di un percorso storico che ha come protagonista la politica pontificia negli aspetti connessi, principalmente, con la tutela del territorio, la regolamentazione delle
acque, la gestione del patrimonio monumentale e artistico, ma anche con
questioni relative alla difesa, alla giustizia, alla salute, al commercio.
Nella scheda d’inventario ogni singola stampa è descritta attraverso
le seguenti voci: denominazione, autori (disegnatori, incisori, architetti,
ingegneri, periti di diversa formazione, autorità, committenza), cronologia, dimensioni, tecnica d’esecuzione, descrizione provenienza archivistica. Ai dati tecnici spesso si accompagnano note storiche di approfondimento.
Il database è corredato degli indici dei nomi e dei toponimi, due strumenti che ne consentono un approccio diretto e funzionale al consistente
contenuto.
Ad uno sguardo d’insieme il corpus calcografico della Collezione I
di disegni e mappe evidenzia tre percorsi principali riferibili alle seguenti
classi:
1 - cartografia storica dello Stato pontificio nei suoi confini generali e
nelle sue realtà territoriali;
2 - Roma: piante, monumenti, vedute;
3 - città: piante, vedute.
Cartografia
La classe si distingue per la presenza di veri e propri capisaldi della
cartografia storica, in particolare di quella riguardante interventi di bonifica.
Al suo interno si trovano carte geografiche, topografiche e corografiche.
Il territorio statale è ampiamente documentato. Della nutrita serie di
dettagliato e del dibattito tecnico-critico sulle tematiche di applicazione delle tecnologie digitali alle
varie tipologie del patrimonio culturale la documentazione di riferimento per il periodo (2005-2012)
è reperibile nel periodico «DigItalia: rivista del digitale nei beni culturali», disponibile su http://digitalia.sbn.it. Per i progetti e le strategie seguite in questo settore dall’AS ROMA si segnala, in particolare l’attività svolta da Paolo Buonora, di cui si citano qui, tra i molti, i seguenti contributi: BUONORA
2001a; BUONORA 2005c disponibile anche su http://archivi.beniculturali.it/cflr/Dobbiaco/Acta.htm;
BUONORA 2005a disponibile su: http://www.iuav.it/CNBA/Giornate-d/2003-Le-Ot/Abstract-/Buonora.doc_cvt.htm; BUONORA 2005b, testo disponibile anche su http://www.cflr.beniculturali.it /Eventi/Sepia/SEPIA/atti/Buonora.pdf; BUONORA 2004, disponibile su http://www.storiaurbana.it/biennale/Relazioni/B7.Buonora.doc.
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Stampe artistiche e cartografia
161
opere che ne considerano l’assetto si devono almeno ricordare: la Nuova
Carta Geografica dello Stato Ecclesiastico. Delineata dal P. Cristoforo
Maire della Compagnia di Gesù sulle comuni Osservazioni sue e del P.
Ruggiero Giuseppe Boscovich della medesima Compagnia. Alla Santità di
N. S. Papa Benedetto XIV (1755), divisa in tre fogli e con denominazione
entro una cornice mistilinea decorata con cornucopie e figure antropomorfe2; Lo Stato Ecclesiastico diviso nelle sue Provincie con le Regioni
adiacenti. Delineato sulle ultime Osservazioni dal P. D. Giovanni M. Cassini CRS. Roma presso la Calcografia Camerale nella prima edizione del
1805, stampata su 15 fogli con denominazione inquadrata da un elemento architettonico e con inserimento di motivi iconografici quali Allegoria
della Chiesa, Romolo e Remo allattati dalla Lupa, figure di pittori e scultori. Vi compaiono anche gli stemmi di Pio VII sorretto da putti alati e
di monsignor Alessandro Lante, Tesoriere generale della RCA. L’autore si
firma “Giovanni Maria Cassini, Chierico Regolare Somasco, geografo, cartografo, sferografo, intagliatore di architetture e prospettive”3.
Passando alle diverse regioni dello Stato pontificio risulta molto ricca
la documentazione per i secoli XVII-XVIII.
Per il territorio laziale e il circondario di Roma4 si segnalano opere
paradigmatiche quali: la Tavola esatta dell’antico Latio e nova Campagna
di Roma situata sotto il quinto clima dedicata all’Illustrissimo et Eccellentissimo Signore Domino Sigismondo Chigi Gran Priore di Roma e Signore
suo benignissimo da Innocenzo Mattei Rom. M.C. Autore e Descrittore
Geografo in Roma nella Stamperia di Giacomo de Rossi alla Pace disegnata da Innocenzo Mattei ed incisa da Giorgio Widman (matrice incisa
nel 1666)5; la carta di Giovanni Battista Cingolani Topografia geometrica
2
AS ROMA, CDM, I, cart. 106, n. 210; FRUTAZ 1972, I, pp. 90-92, tav. XL; Atlante storico
del territorio marchigiano, pp. 29, 164-166. La terra e le sue copie. Per la cartografia dello
Stato pontificio: FAINI-MAJOLI, pp. 41-43. Esemplari, digitalizzati disponibili su: IGM,
http://www.igmi.org/ancient/scheda.php?cod=13193); ING-Calcografica, http://calcografica.ing.
beniculturali.it/calcografica/FC122920, Bologna, Biblioteca digitale dell’Archiginnasio,
http://badigit.comune.bologna.it/mappe. Fondamentali restano per la cartografia storica italiana e
per quella dello Stato pontificio: ARRIGONI-BERTARELLI 1930; ARRIGONI-BERTARELLI 1939; ALMAGIÀ 1960.
3
AS ROMA, CDM, I, cart. 106, n. 212; FRUTAZ 1972, vol. I, pp. 113-114, tav. LIII, presenta
l’edizione del 1816/24 conservata presso la BAV e menziona i rami conservati presso la Calcografia nazionale, cfr. PETRUCCI, p. 236, n. 1501.
4
Per l’impiego del termine Lazio nella cartografia storica cfr. FRUTAZ 1972, I, pp. XIIIXXVI.
5
AS ROMA, CDM, I, cart. 38, n. 35. Senza data ma la matrice fu incisa nel 1666. La carta
deriva da quella di Eufrosino della Volpaia (1547) ma è aggiornata nella toponomastica e arricchita con notizie storiche e ricercati elementi decorativi. FRUTAZ 1972, I, pp. 32 (6) ne ricorda
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162
Maria Grazia Branchetti
dell’Agro Romano misura pianta e quantità di tutte le tenute e casali
della campagna di Roma con tutte le città, terre e castelli confinanti ad
esse tenute, le strade, fiumi, fossi, acquedotti et altre cose principali e
memorabili sia antiche come moderne, data alla luce nel 1692 e ristampata nel 1704 nella stamperia di Domenico De Rossi alla Pace6; Il Lazio
con le sue più cospicue Strade Antiche, Moderne e’ principali Casali, e
Tenute di esso descritto da Giacomo Filippo Ameti Romano e dato in luce
da Domenico de Rossi erede di Giovanni Giacomo de Rossi dalle sue
Stampe in Roma alla Pace con Privilegio del Sommo Pontefice e Licenza
de Superiori l’Anno 1693 7, con denominazione inserita in una conchiglia
sormontata da figure allegoriche di elegante disegno; Il Patrimonio di S.
Pietro descritto da Monsignor Giuseppe Morozzo protonotario apostolico
governatore di Civitavecchia. Inciso dal T. D. Giovanni Maria Cassini C.
R.S., del 1791 con dedica a Pio VI che vi è anche raffigurato8.
L’interesse per le vestigia antiche e l’avanzamento degli studi archeologici caratterizzano la cartografia della prima metà dell’Ottocento e la
Collezione I di disegni e mappe ne documenta le tappe principali attraverso la carta Plan topografique de la campagne de Rome dessiné et expliqué par F. Ch. L. Sickler D. à l’usage des voyageurs. Second. editio. A
la presenza nelle sei edizioni del Mercurio geografico edito da Giov. Giacomo de Rossi. Per il
Mercurio geografico cfr. VERGA; per la biografia di Giovanni Giacomo De Rossi cfr. CERESA; per
la stamperia De Rossi, cfr. GRELLE IUSCO.
Per gli esemplari digitalizzati della carta dell’Ameti si segnalano: IGM,
http://www.igmi.org/ancient/immagine.php?cod=12215 e ING http://calcografica.ing.beniculturali.it/calcografica/ CL2215/2566. Per il patrimonio e la storia dell’ING, oltre a PETRUCCI, cfr.:
Calcografia Regia; OVIDI; MARIANI; SAPORI; DE MARCHI - MARIANI.
6
AS ROMA, CDM, I, cart. 90, n. 652. In 7 fogli numerati in origine I-VI. Il foglio IV è in
due esemplari. FRUTAZ 1972, I, pp. 71-75.
7
AS ROMA, CDM, I, cart. 38, n. 36/2. FRUTAZ 1972, I, p. 75-77, analizza le edizioni del
1693 e del 1696. L’opera è distinta con il seguente titolo: Il Lazio con le sue più cospicue Strade
Antiche, Moderne e principali Casali, e Tenute di esso descritto da Giacomo Filippo Ameti
Romano e dato in luce da Domenico de Rossi erede di Giovanni Giacomo de Rossi dalle sue
Stampe in Roma alla Pace con Privilegio del Sommo Pontefice e Licenza de Superiori l’Anno
1693. Parte Prima Terrestre del Latio descritta da Giacomo Ameti, data in luce da Domenico
de Rossi, l’Anno 1693. 2: Parte Prima Maritima del Latio distinta con le sue strade Antiche e
Moderne, descritta da Giacomo Ameti Romano data in luce da Domenico de Rossi erede di
Giovanni Giacomo de Rossi dalle sue stampe in Roma alla Pace con Privilegio del Sommo Pontefice et licenza de Superiori l’Anno 1693. Della carta originariamente suddivisa in quattro
tavole, manca la “parte seconda maritima”. Della prima parte l’AS ROMA possiede anche una
copia parziale (u.n. 38/37).
8
AS ROMA, CDM, I, cart. 126, n. 64. FRUTAZ 1972, I, pp. 100-101, tav. XLV. Per gli esemplari digitalizzati si segnalano: IGM http://www.igmi.org/ancient/scheda.php?cod=13398; ASC
http://www.archiviocapitolinorisorsedigitali.it/indice_doc.php?IDA=90# tomo 23.
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Stampe artistiche e cartografia
163
Rome chez Venance Monaldini Libraire place d’Espagne n. 79. 18169; la
Carta de’ dintorni di Roma secondo le osservazioni di sir William Gell e
del professore Antonio Nibby (ante 1839)10; La Campagna Romana esposta
nello stato antico e moderno dall’Architetto Cavalier Luigi Canina e delineata sulla proporzione di uno a sessanta mila nell’anno
MDCCCXXXXVIII 11.
Per la seconda metà del secolo l’attività amministrativa e scientifica
della cartografia pontificia trova due esemplificazioni importanti nella
Carta topografica di Roma e Comarca disegnata ed incisa nell’officio del
Censo […] l’anno XVII del pontificato di Nostro Signore Pio Papa IX per
ordine dell’Eminentissimo e Reverendissimo Presidente Cardinale Giuseppe Bofondi 12 del 1863 e nella Carta geologica della Campagna romana
del 1878, redatta dall’Ufficio Geologico in Roma dietro domanda della
Direzione di Statistica, con documentazione di Giuseppe Ponzi e altri
geologi13. La carta topografica di Roma e Comarca rileva l’estensione territoriale posta sotto l’amministrazione della Presidenza di Roma e Comarca, ufficio istituito da Pio IX con motuproprio del 1 ottobre 184714.
Il cardinale Giuseppe Bofondi (1795-1867) fu a capo della Congregazione generale del censo dal 1851 e in tale veste fece eseguire un catasto aggiornato al fine di un più equo calcolo dell’imposta fondiaria.
L’operazione comportò l’esecuzione di rilievi topografici che servirono
poi per la stesura di nuove carte del territorio pontificio, tra le quali deve
essere compresa quella qui menzionata15.
Una cartografia d’eccellenza riguarda le regioni centro-settentrionali
del territorio dello Stato della Chiesa. A esemplificazione della materia e
9
Sottoscritta dal cardinale Bartolomeo Pacca e dal libraio Venanzio Monaldini, FRUTAZ
1972, I, pp. 111-112, dà notizia dell’esistenza di nove edizioni romane di questa pianta, date
alla luce tra il 1811 e il 1865. L’edizione del 1816 è la seconda della serie.
10
AS ROMA, CDM, I, cart. 89, n. 633. In alto a destra rappresentazione di una colonna,
FRUTAZ 1972, I, p. 118, la registra come la quarta edizione del Latium Vetus et Regiones conterminae realizzata dagli stessi autori nel 1827.
11
AS ROMA, CDM, I, cart. 127. n. 22. Si veda anche: Cart. 130, n. 1. FRUTAZ 1972, I, pp.
129-131 ricorda tre edizioni (1845, 1848, 1856) della carta del Canina e per questa del 1848
menziona gli esemplari conservati presso le biblioteche romane Biblioteca Universitaria Alessandrina e BNCR.
12
AS ROMA, CDM, I, cart. 130, n. 10. FRUTAZ 1972, I, pp. 142- 144. Quadro di unione e di
ogni singolo riquadro sono presenti più copie.
13
AS ROMA, CDM, I, cart. 90, n. 653. FRUTAZ 1972, I, p. 154, tratta dalla Carta Geologica
della Campagna Romana con sezioni, del 1880, preparata nel 1879 sulla base delle carte del
prof. Giuseppe Ponzi dell’Ufficio Geologico.
14
TORRIANI.
15
PIGNATELLI.
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164
Maria Grazia Branchetti
dei suoi preziosi contenuti si evidenziano la Topografia del Stato d’Ascoli
della Marca con suoi confini (1680) di Odoardo Odoardi de Catilini,
ingegnere militare, dedicata a Monsignor Giandemaria governatore di
Ascoli e Commissario generale Apostolico contra banditi nello Stato Ecclesiastico corredata di una tavola temporale calcolata per le ore degli orologi da campane di Ascoli16; la Legatione della Romagna. Dedicata all’Eccellentissimo e Reverendissimo Prencipe il Signor Cardinale Fabrizio
Paulucci, Vescovo di Ferrara, 1699 di Filippo Titi, Antonio Barbey,
Domenico de Rossi con dedica inserita in un cartiglio fastoso e legenda
che elenca arcivescovati, vescovati e abbazie17; la Legazione di Bologna
descritta da Giovanni Antonio Magini dedicata al Reverendissimo Padre
Don Gaetano Maria Gozzadini abate e procuratore generale della Congregazione dei Canonici Regolari lateranensi dal suo umilissimo devotissimo servitore Lorenzo Filippo De Rossi, 1710 sottoscritta dallo stampatore
Domenico De Rossi18.
Le bonifiche. Gli interventi di natura idrogeologica compiuti per recuperare, salvaguardare e rendere fruttuosi i territori cronicamente soggetti
ad inondazioni e ad impaludamenti costituiscono una costante dell’attività
di gestione del territorio soggetto a Roma. Le stampe della Collezione I di
disegni e mappe raggiungono un grado di documentazione veramente
eccezionale nel caso delle bonifiche dell’area emiliano-romagnola, tanto da
costituirne una sorta di atlante storico per il periodo compreso tra il XVII
e il XIX secolo19.
I progetti e i piani d’intervento finalizzati a irreggimentare le acque,
a prosciugare le aree impaludate, all’escavazione dei fiumi, alla definizione di diritti di proprietà, recano le firme di periti, ingegneri idraulici,
matematici e amministratori al servizio principalmente della RCA ma non
16
AS ROMA, CDM, I, cart. 6, n. 247. Altro esemplare disponibile su IGM.
http://www.igmi.org/ancient/scheda.php?cod=13040.
17
AS ROMA, CDM, I, cart. 96, n. 903. Si segnalano esemplari digitalizzati su
http://calcografica.ing.beniculturali.it/calcografica; IGM. http://www.igmi.org/ancient/scheda.php?cod=11692.
18
AS ROMA, CDM, I, cart. 9, n. 97. La data del 1710 è quella della stampa. L’originale di
Giovanni Antonio Magini non è datato, ma è riconducibile alla seconda metà del 1500, epoca
di attività dell’autore. Domenico e Lorenzo Filippo De Rossi, padre e figlio, si succedettero
nella direzione della stamperia romana che fu poi acquistata dalla Camera apostolica nel 1738.
RONCUZZI ROVERSI MONACO; TOOLEY; ALMAGIÀ 1960, p. 22.
19
La materia è documentata in modo ampio dalla cartografia storica posseduta dalla
Biblioteca Universitaria di Bologna e dalla Biblioteca Ariostea di Ferrara. Immagini disponibili
su http://dm.unife.it/comunicare-matematica/filemat/atlant.htm
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Stampe artistiche e cartografia
165
solo, come ben evidenziano gli indici dell’inventario. Molto nutrita è la
documentazione riguardante l’andamento, i profili, le rotte e inondazioni
dei fiumi maggiori e minori e soprattutto in merito ai corsi del Reno e del
Po e alla situazione delle Valli di Comacchio. Il quadro storico disegnato
dall’insieme testimonia degli interessi politici ed economici che s’intrecciarono su questo territorio a partire dagli inizi del Seicento.
Un documento di particolare importanza è la “Pianta che mostra la
navigazione tra Bologna e Ferrara e lo Stato delle Valli e del Reno e della
Lorgana condotto fino al Po di Primaro fatta l’anno 1609 in occasione
della visita Gualtieri. Il territorio ferrarese è rappresentato da una versione
della Corografia del ducato di Ferrara con parte degli stati Al mede [si]mo
ducato confinanti [...] fatta l’anno 1645 da Bartolomeo Gnoli, con stemma d’Innocenzo X Pamphili (ma stampata a Roma nel 1716)20. Le ragioni
di sovranità e di politica economica sull’area delle Valli di Comacchio che
nella prima metà del Seicento videro contrapporsi il Governo di Roma e
i duchi di Ferrara, sono richiamate dalla “Pianta delle Valli di Comacchio
delineata con l’assistenza e la direttione di Pompeo Angelotti già commissario della Camera Apostolica in Ferrara”, datata 1658, incisa da Daniel
Widman e completata da stemma di Alessandro VII Chigi21.
Passando al Settecento si trovano piante che aggiornano la materia
quali la carta della Legazione del Ducato di Ferrara. Dedicata all’illustrissimo ... Conte Eustachio Crispi ambasciatore della città di Ferrara alla
Santità di ... Papa Clemente XI, con data 1709 e delineata da Lorenzo
Filippo De Rossi e stampata da Domenico De Rossi22; la Carta topografica levata dalle carte geografiche del Magini e d’altri ridotta in misura per
20
AS ROMA, CDM, I, cart. 28, n. 58. Questa carta fu stampata nel 1716 in occasione della
visita compiuta da monsignor Domenico Riviera (1671-1752) a seguito delle inondazioni del
Reno e della Chiana. Per la carta dello Gnoli del 1645 cfr. ROSSI, disponibile su rivista.fondazionecarife.it/it/num-29/num-28/item/512. Della carta esaminata l’autore ricorda, sottolineandone la rarità, due esemplari conservati presso la Biblioteca Ariostea (Fondo Crispi, RIA,
Serie XV, 11-15).
21
AS ROMA, CDM, I, cart. 21, n.358. Pompeo Angelotti fu nominato commissario per la parte
pontificia nel 1647. Ricostruzione della vertenza tra Santa Sede e Ducato di Ferrara per la sovranità sulle Valli di Comacchio e sulla cartografia appositamente realizzata da entrambe le parti a
sostegno dei rispettivi diritti in A. LODOVISI, Le delizie estensi. Il transunto della pianta delle Valli
di Comacchio, disponibile su http://www.castelloestense.it/delizie/eng/carte/comacchio.html
22
AS ROMA, CDM, I, cart. 29, n.79. Carta a stampa con dedica entro un cartiglio e legenda.
È indicato l’orientamento. In basso a sinistra: Data in luce da Domenico De Rossi dalle sue stampe
in Roma alla Pace con privilegio del Sommo Pontefice l’anno 1709. Sul verso: N. 16 Pianta della
Legazione del Ducato di Ferrara delineata nel 1709 da Lorenzo Filippo De Rossi. Sottosrizioni:
Lorenzo Filippo De Rossi, stampatore (autore); Domenico De Rossi, stampatore (autore).
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Maria Grazia Branchetti
quanto s’estende il paese ove sono le valli et inondazioni del bolognese del
1726, del perito pubblico Luigi Maria Casoli, incisa da Giovanni Petroschi; la carta a stampa dell’Andamento del Po di Primaro e de’ fiumi della
Pianura del Bolognese e della Romagna incisa da Marc’Antonio Del Re
(1697-1763)23; la Mappa dello Stato presente di Territorio e Valli in cui si
scaricano li fiumi Reno Savana Idice, et altre acque del Bolognese, dimostrato in una parte di Copia della Mappa prodotta per parte della Città di
Bologna negli atti de Congressi tenuti in Faenza l’anno 1725 avanti
l’Eminentissimo Piazza …, ma aggiornata al 1734 e stampata nel 173524.
Da segnalare ancora una serie collegata alla visita apostolica compiuta dal cardinale Pietro Paolo Conti nel 1761 tra cui spicca, con data 1762,
la grande Carta topografica di tutta la pianura bolognese cavata dalla
carta da Andrea Chiesa stampata dell’anno 1742 e di parte del Ferrarese
e del Ravegnano, ... dedotta dalla nuova Carta fatta l’anno scorso 1761
d’ordine dell’eminentissimo Sig. Cardinale Pier Paolo Conti ..., sottoscritta da Andrea Chiesa, perito per Bologna e autore, Giambattista Migliari,
perito per Ferrara, Gaetano Rappini, incisore, Giuseppe Benedetti incisore25. Il Settecento si chiude con il 1790 anno della realizzazione della
Carta topografica in cui si veggono delineati i lavori tutti eseguiti dalla
commissione delle acque delle tre province Bologna Ferrara e Romagna
dall’anno 1767 fino al giorno presente (10 gennaio 1790) autori Giovanni Battista Giusti ingegnere e Tommaso Barbantini perito26.
La prosecuzione fino al 1816 e poi fino al 1825 dei lavori idraulici
iniziati nel 1767 costituisce la materia con cui prosegue la cronologia per
l’Ottocento attraverso un piccolo insieme di stampe con firme degli ingegneri Tommaso Barbantini e Francesco Bertelli, degli incisori G. Rosaspina e (fratelli) Stucchi e di Carlo Mayr disegnatore.
Per la seconda metà dell’Ottocento sono presenti carte realizzate
dalla Direzione del censo, mentre la situazione idrografica della regione
registra i primi progetti di prosciugamento artificiale coll’introduzione
delle idrovore a vapore.
Altri interventi di bonifica esemplari sono quelli compiuti nella Valle
Umbra e nell’Agro Pontino, territori per i quali la parte disegnata della
AS ROMA, CDM, I, cart. 65, n. 369. ALBERICI.
AS ROMA, CDM, I, cart. 23, n. 9. Sul verso: Bologna. Mappa delle valli ove si scaricano
i fiumi Reno, Savana e Idice ed altre acque del bolognese. 1734.
25
AS ROMA, CDM, I, cart. 25, n. 20. Si segnalano: VARIGNANA 1980, p.10; PETRELLA-SANTINITORRESANI, p. 25; VARIGNANA 1974; GAMBI, pp. 213-247 con ampia bibliografia.
26
AS ROMA, CDM, I, cart. 25, n. 23.
23
24
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Stampe artistiche e cartografia
167
collezione offre un materiale abbondante e di notevole qualità artistica.
Per il territorio umbro, rappresentato nella sua estensione settecentesca
da un esemplare della celebre Tavola generale della provincia dell’Umbria di Amanzio Moroncelli (1712)27, le stampe possedute vertono principalmente sul controllo e la gestione delle acque del Tevere, dei sistemi
idraulici interessanti le aree delle valli folignate e spoletina, del sistema
Velino-Nera e della cascata delle Marmore. L’arco di tempo che documentano si estende dalla seconda metà del Seicento fino agli anni Settanta dell’Ottocento28.
Si segnalano la Corografia fiume Tevere principiando dal luogo detto
Monte Tosto sino al ponte Felice con li ripari fatti in diversi tempi, occorse
in tempo del regnante Innocenzo XI, del 1683, disegnata dal perito della
Sacra congregazione delle acque Agostino Martinelli e incisa da Michelangelo Mariano29; la Pianta del corso del Tevere e sue adiacenze dallo sbocco
della Nera e fino al mare e profilo di livellazione del medesimo fatto l’anno
1744 per comando di Benedetto XIV, degli ingegneri Andrea Chiesa e Bernardo Gambarini30; La caduta del Velino nella Nera presentata a N.S. Pio
sesto da Francesco Carrara segretario del Concilio. - In Roma: per il Casaletti, 1779 inserita in un fascicolo di 15 fogli e la stampa rappresentante
la caduta del Velino nella Nera disegnata da Jacob Philipp Hackert e incisa
da Carlo Antonini, dedicata al pontefice Pio VI (1775 -1799)31. L’Ottocento
è documentato dall’opera di ingegneri come Girolamo Scaccia, Clemente
Folchi, e Gaetano Astolfi (idrostatico)32.
Riguardo ad Agostino Martinelli, sopra menzionato come perito della
Sacra Congregazione delle Acque ma anche giurisperito, matematico e
architetto, si evidenzia che la Collezione I di disegni e mappe ne docu-
27
AS ROMA, CDM, I, cart. 124, n.268. Silvestro Amanzio Moroncelli (al secolo Giovanni
Francesco) abate della congregazione Silvestrina di S. Stefano del Cacco (Fabriano, 1652-1719).
ANGELINI-PICCININI, pp.98-99; DE MEO, p. 212.
28
La materia è stata studiata nelle sue diverse problematiche e sulla base delle fonti dell’AS Roma, da Paolo Buonora di cui si segnalano i seguenti contributi: BUONORA 1992; BUONORA
1993; BUONORA 1994a; BUONORA 1994b; BUONORA 1995; BUONORA 2003.
29
AS ROMA, CDM, I, cart. 118, n. 94. La stampa è firmata Michael Angelus Marinarius, scultore e incisore.
30
AS ROMA, CDM, I, cart. 119, n. 126.
31
AS ROMA, CDM, I, cart. 125, n. 13.
32
AS ROMA, CDM, I, cart. 105, n. 204, volume di quarantuno fogli intitolato Progetto di
sistemazione dei torrenti e scoli della valle spoletana e presentato alla Santità di Nostro Signore
e dalla Sua Santità approvato con chirografo del 19 aprile 1826 (o 1828?). Contiene 6 piante,
il chirografo del pontefice diretto al cardinale Agostino Rivarola e due relazioni degli ingegneri
autori.
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Maria Grazia Branchetti
1. Caduta del Velino nella Nera,
1775-1779 (AS ROMA, CDM, I, cart.
125, n. 13)
menta l’attività di esperto
d’idrostatica attraverso una
ricchissima serie di disegni
attestanti i suoi studi sul
Tevere e in particolare sulla
navigabilità, le ripe, i ponti33.
Per la storia della bonifica
dell’Agro Pontino - ottimamente documentata dalla
parte disegnata della Collezione I di disegni e mappe con
piante ad inchiostro ed acquerello che datano dal Seicento all’Ottocento- le
stampe riguardano i lavori promossi da Pio VI ed eseguiti dall’ingegnere
bolognese Gaetano Rappini, tra il 1777 e il 179834. Rilevanti, in particolare,
risultano la Carta esprimente lo stato paludoso dell’Agro Pontino come fu
trovato nella visita dell’Anno 1777 prima che si mettesse mano alla Bonificazione, che fu quindi eseguita per sovrana munificenze dell’immortale Pio
Sesto35 e la Carta esprimente lo Stato dell’Agro Pontino già Bonificato dalla
Santità di Nostro Signore Papa Pio VI felicemente regnante (1795 ca)36. Una
33
Il Martinelli pubblicò gli studi dedicati al Tevere con il titolo Descrizione di diversi
ponti esistenti sopra i fiumi Nera e Tevere con un discorso particolare della navigazione da
Perugia a Roma, Roma 1676. L’opera è corredata di 22 tavole fuori testo e per la maggior parte
piegate, in alcune delle quali si trova il nome dell’incisore. Del Martinelli si ricorda anche che
fu professore straordinario delle istituzioni presso l’Università romana della Sapienza, cfr.
RENAZZI, 3, p. 187.
34
La documentazione dell’AS ROMA riguardante la bonifica dell’Agro Pontino trova una
sua prima presentazione in LODOLINI A. 1934, pp. 217-230. Su di essa si veda anche FRUTAZ
1972, pp. 94-97. Una indagine ampia in ROCCI.
35
AS ROMA, CDM, I, cart. 116, n. 24/1.
36
AS ROMA, CDM, I, cart. 51, n.21.
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Stampe artistiche e cartografia
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sintesi dell’intervento piano si trova nella Pianta topografica del Circondario Pontino con la delineazione de’ nuovi lavori e fabbriche fatte erigere
dalla S.di N.S. Papa Pio sesto realizzata da Domenico Pronti ed edita da
Giuseppe Fabri nel 1788. Il Pronti vi rappresenta il territorio bonificato,
dodici vedutine dedicate alle nuove opere edilizie e un panorama di Terracina preso dal mare in cui delinea anche il nucleo primo della città
moderna37.
Roma: piante, monumenti, vedute
Roma è rappresentata in relazione a luoghi e siti d’interesse archeologico, a monumenti e complessi civili e religiosi, a progetti di ampliamento urbanistico e di ristrutturazioni edilizie, allo studio della viabilità.
Una sorta di panorama è restituito dai fogli della citata Pianta del corso
del Tevere realizzata nel 1744 dagli ingegneri Andrea Chiesa e Bernardo
Gambarini riguardanti: La sezione del Tevere in faccia al Palazzo Falconieri, ed al Giardino Farnese; l’andamento del fiume per il tratto della
Città di Roma, e Profilo di livellazione, e Sezioni, che comincia dal Porto
di Ripetta fino al Porto di Ripa grande, con vedute del ponte Felice, nell’alto Lazio, e dei ponti Molle, Sant’Angelo, Quattro Capi, Sisto, Ferrato e
raffigurazione della facciata di S. Bartolomeo all’Isola (v. nota 30).
La Roma antica rivive, per il Settecento, nelle due piante delle zone tra
il Colosseo e le Terme Antoniniane (1732)38 e, per l’Ottocento, nelle tavole
riguardanti i restauri delle aree archeologiche tra le quali si segnalano le
due, risalenti agli anni 1818-1826, Sterramento del Foro Romano e Congetture sull’andamento della Via Sacra 39 che possono essere messe in relazione con l’opera compiuta nel campo del restauro del patrimonio archeologico dall’architetto Giuseppe Valadier, ispettore delle Fabbriche Camerali40.
Altro motivo di vanto della collezione è costituito da sedici delle
trentacinque tavole che Luigi Rossini pubblicò nel 1829 con il titolo Le
porte antiche e moderne del recinto di Roma con le mura prospetti e piante geometriche 41. Dietro alcune di esse compare il timbro del Camerlen-
AS ROMA, CDM, I, cart. 51, n.20. FRUTAZ 1972, I, p. 95, tav. XLII, pubblica l’esemplare posseduto dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e fa riferimento a quelli della collezione delle stampe
del Castello Sforzesco Milano e della Biblioteca dell’Opera nazionale per i combattenti.
38
AS ROMA, CDM, I, cart. 130, n. 5.
39
AS ROMA, CDM, I, cart. 127, n. 7.
40
AS ROMA, CDM, I, cart. 127, n. 5. Per Giuseppe Valadier (1762-1839) cfr. DEBENEDETTI
1979 e DEBENEDETTI 1985.
41
AS ROMA, CDM, I, cart. 77, n. 206.
37
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gato di S.R.C. che ne indica la provenienza dal dicastero pontificio preposto alla tutela del patrimonio artistico della città42.
Un momento centrale dei risultati prodotti dal fervore archeologico
che caratterizza la politica del papato nella prima metà dell’Ottocento è
rievocato dalle tre stampe sottoscritte da Luigi Maria Valadier, Achille
Pinelli, Battistelli, litografo autore (1838) contenenti piante, prospetti,
sezioni e particolari del monumento di Eurisace, rinvenuto a Porta Maggiore e allegate ai Brevi cenni di un monumento scoperto a Porta Maggiore del Cavalier Luigi Grifi, archeologo e segretario della Commissione
pontificia di antichità e belle arti43.
Per quanto riguarda l’edilizia sacra il numero delle stampe, al contrario dei disegni, è piuttosto circoscritto ma qualitativamente di rilievo. Si
ricordano per il Seicento due tavole ancora di Agostino Martinelli, realizzate, l’una, per la ristrutturazione della chiesa di santa Barbara dei librai44
e l’altra, per il nuovo sacello da costruirsi nella chiesa dei SS. Bonifacio
e Alessio sull’Aventino e intitolata Ortographiam novi sacelli extructi
Romae in ecclesia Sanctorum Bonifatii et Alexii ad augendum cultum
Deiparae Virginis in tabula a divo Luca depictae datata 167845.
Per il Settecento si distingue una rara stampa che ha per oggetto l’organo di S. Pietro in Carcere (1714-1717) ma con veduta anche dell’interno della chiesa animato da vari personaggi. In basso, in un cartiglio, notizia della commissione da parte di Benedetto Pamphili. Sul verso: “AC met
pro Domino Laurentio Vicentino contra Domino Agapito [Fiudula] et litis
42
Luigi Rossini (Ravenna 1790 – Roma 1857). Digitalizzazione di tutte le tavole in INGCalcografica http://calcografica.ing.beniculturali.it/calcografica/index. La serie della CDM comprende: 1-2, Frontespizio con ricostruzione di fantasia della porta di Onorio ed Arcadio e sul
retro catalogo delle opere pubblicate dall’autore; 3 tavola X: Monumento dell’acqua Marcia,
Tepula e Giulia, arco di Druso; 4 tavola XIII: veduta dell’ antica Porta Metronis; 5 tavola XIV:
veduta dell’antica Porta Latina chiusa; 6 tavola XVII: veduta dell’antica porta Ardeatina; 7 tavola
XXI: Porta San Pancrazio; 8 tavola XXIII: Porta Cavalleggera detta Turrionis; 9 tavola XXVI:
Porta Angelica; 10 tavola XXVIII: Porta di Borgo Angelico; 11 tavola XXIX: Porta di Alessandro
VI; 12 tavola XXX: Porta di Santo Spirito; 13 tavola XXXI: Porta Settimiana; 14 tavola XXXII:
Porte antiche del recinto di Roma; 15 tavola XXXIII: Porte antiche e moderne del recinto di
Roma; 16 tavola XXXIV: Costruzioni varie del recinto di Roma; Fuori numerazione: 17: Vedute
di varie porte e tratti di mura; 18: veduta della Porta Salaria e della Porta Portese; Per l’opera
di Luigi Rossini cfr. Luigi Rossini incisore, pp. 140-143.
43
Per la promozione delle discipline archeologiche durante il pontificato di Gregorio XVI
cfr. BREGA.
44
AS ROMA, CDM, I, cart. 85, n. 485. Le due stampe sono da riferirsi al testo A. MARTINELLI,
Disegni di cappelle, et altre fabriche da construirsi nella chiesa di S. Barbara de’ signori librari
di Roma inuentati dal C. Dottor Don Agostino Martinelli ferrarese, Roma, Tinassi, 1679. LA
MONICA, pp. 162-171.
45
AS ROMA, CDM, I, cart. 84, n. 472.
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2. Veduta dell’antica Porta Latina chiusa (al centro), dalla parte esterna della città in
distanza vedesi la Basilica di S. Giovanni in Laterano (ai lati), 1829 (AS ROMA, CDM, I,
cart. 77, n. 206, f. 5, tav. XIV)
consortes. Die 17 martii 1714. Paparozzius”46. Quest’ultima nota chiama
in campo il notaio Paparozzius, che la cronologia permette di identificare
con Salvatore Paparozzi senior, titolare dell’officio 6 del Tribunale dell’Auditor Camerae dal 1707 al 173747. Il committente cardinale Benedetto
Pamphili (1653-1730), è personaggio noto per l’attenzione profusa verso
tutte le arti ma in particolare verso quella della musica che praticò anche
personalmente e che promosse con generosità e munificenza lungo l’intero arco della sua vita48. Da sottolineare, infine, un nutrito gruppo di
stampe di Heinrich De Geymüller, risalenti agli anni 1854-1866 dedicate
alla basilica vaticana e riproducenti disegni di Antonio da Sangallo e Bramante49.
46
47
48
49
AS ROMA, CDM, I, cart. 86, n. 528.
FRANÇOIS 2011, p. 15.
Benedetto Pamphili (1653-1730). Cfr. MONTALTO e Pamphilj and the Arts.
AS ROMA, CDM, I, cart. 86, n. 529. Dieci fogli numerati a matita.
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L’edilizia della città trova un punto di analisi coerente in un Album
di 8 fogli (ora sciolti), in cui i primi due contengono la dedica al duca
Marino Torlonia, e il “Proemio”; i seguenti sei rappresentano prospetti di
palazzi romani. Le tavole, dedicate al duca Marino Torlonia (Roma, 6 settembre 1795 - 30 settembre 1865) duca di Bracciano, di Poli e di Guadagnolo, recano le firme di Giacomo Antonelli, stampatore; A. Moschetti,
incisore; P. Fortuna, ingegnere; G. Montiroli, disegnatore50.
Città: piante, vedute
Un capitolo di rilievo è costituito da un nutrito insieme di vedute e
piante di città italiane tra le quali non mancano esemplari rari.
Tra le più pregevoli le vedute a volo d’uccello delle città di Civitanova,
Norcia e Pavia. La prima, Civitas Nova in Piceno, edita nel 1630 e firmata
Giacomo Lauro, contiene come elementi caratterizzanti la pianta del porto,
lo stemma del duca Cesarini e l’immagine di Marone, il santo patrono del
luogo51; la seconda raffigurante l’Antica città di Norsia reca gli stemmi della
Camera apostolica, del Comune e un blasone gentilizio52; la terza riguarda
il Nuovo disegno della città di Pavia con tutti li suoi luochi vicini et posti
occupati dall’essercito di Francia e duca di Modena con la linea di circonvelatione fata da sudetti incominciata la notte lì 24 luglio 1655 53.
Per il Settecento si ricorda, a firma di Carlo Antonini e di Saverio Maria
Casselli architetto, la Topografia della pontificia città di Benevento umiliata alla santità D. N. S Papa Pio Sesto dai consoli della medesima (1781)
con legenda ed elementi descrittivi quali il prospetto del ponte sul fiume
Calore, la pianta e il prospetto meridionale dell’arco di Traiano denominato Porta Aurea, lo stemma della città, lo stemma papale, la rappresentazione delle Virtù, la pianta e il prospetto dell’antico teatro, il prospetto di
porta Pia sul nuovo ponte, un particolare dell’epigrafe dedicata a Pio VI54.
Le vedute e mappe datate all’Ottocento testimoniano in modo diretto
delle politiche territoriali messe in atto attraverso dicasteri centrali quali
la Presidenza generale del censo, la Direzione dei lavori idraulici camerali, il Ministero del commercio, delle arti, industria e agricoltura, la Pre-
AS ROMA, CDM, I, cart. 82, n. 363.
AS ROMA, CDM, I, cart. 19, n. 266. DI CALISTO.
52
AS ROMA, CDM, I, cart. 48, n. 56. BLAEU, pp.151-158.
53
AS ROMA, CDM, I, cart. 56, n. 147.
54
Un esemplare si trova presso IGM, Firenze, Biblioteca Attilio Mori, coll. CD-II-7, (piante
di città A-9).
50
51
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Stampe artistiche e cartografia
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3. Antica città di Norsia (Norcia), sec. XVII (AS ROMA, CDM, I, cart. 48, n. 56)
fettura di acque e strade-Ministero dei lavori pubblici, il Ministero delle
armi, la Congregazione generale di sanità.
Dalla Presidenza generale del censo provengono le carte topografiche di Civitavecchia, Ancona, Ascoli, Senigallia, Ferrara, Perugia, Urbino.
Le prime tre documentano l’attività come pro presidente di Gaspare
Grassellini, che svolse il suo incarico, insieme a quello di presidente della
Prefettura generale di acque e strade dal 1840 e al 184755. Il Grassellini,
il cui nome compare anche in altre stampe della collezione, al momento
dell’assunzione dell’incarico dispose la misurazione e la stima dei terreni,
la compilazione di mappe e carte catastali e il censimento della popolazione56. La carta di Civitavecchia (1841)57 e di Ancona (1844)58 furono
55
56
57
58
AS ROMA, CDM, I, cart. 7, n. 21.
Gaspare Grassellini (1796- 1875). Cfr. MONSAGRATI.
Civitavecchia: AS ROMA, CDM, I, cart. 19, n. 272.
Ancona: AS ROMA, CDM, I, cart. 2, n. 58.
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entrambe incise da Filippo Troiani. Nella carta di Civitavecchia è inserito
un sunto storico delle diverse epoche della storia della città, a partire
dall’antica Centumcellae, e considerata la costruzione del porto da parte
dell’imperatore Traiano, fino agli interventi urbanistici dei pontefici Pio
IV, Sisto V, Pio V, Gregorio XIII, Paolo V, Urbano VIII, Innocenzo XII e
Gregorio XVI. Riguardo a Civitavecchia la collezione possiede ancora
una seconda carta, datata 1868 e proveniente dal Ministero delle armi,
nella quale la città è raffigurata munita di fortificazioni59.
La Congregazione generale di sanità è menzionata in una Carta topografica sanitaria del Littorale del Mediterraneo nello Stato Pontificio dal
confine del Gran Ducato di Toscana a quello del Regno di Napoli (...),
datata 1843 e sempre frutto della propresidenza Grassellini, in cui sono
rappresentate le piante della città di Civitavecchia, Terracina, Fiumicino,
Porto di Anzio e Nettuno60.
Da citare Livorno, tra le città sottoposte ad altra sovranità, per la
quale sono presenti trentasei tavole della relazione intitolata Opere eseguite per l’ingradimento della città e porto-franco di Livorno dall’anno
1835 al 1842 sottoscritte da: F. Renard, disegnatore (autore); C. Chirici,
architetto, incisore (autore); L. Balatri, incisore (autore); Alessandro
Manetti, architetto61. L’opera, dedicata a Sua Altezza Imperiale e Reale
Leopoldo II, principe imperiale d’Austria, granduca di Toscana62 fu stampata a Firenze dalla appena fondata casa editrice Le Monnier 63.
Un panorama organico delle principali città italiane è rappresentato
infine da 50 carte topografiche di altrettante province italiane realizzate
dal Regio Stabilimento cartografico Virano di Roma nel 1886.
Il quadro tracciato lascia soltanto intuire il valore storico-artistico del
materiale calcografico della CDM. Per un giudizio critico, da questa ango-
AS ROMA, CDM, I, cart. 19, n. 272. La carta contiene anche notizie demografiche e un
breve elenco delle tipologie di edifici pubblici. Altri esemplari: IGM,
http://www.igmi.org/ancient/scheda.php?cod=8304; Biblioteca della Fondazione Marco Besso.
60
AS ROMA, CDM, I, cart. 19, n. 273. Pianta generale della città di Civitavecchia e sue fortificazioni al 1 dicembre 1868. Stampa a colori. A sinistra e a destra: legende. È indicato l’orientamento. Sul verso: “135”. Sottoscrizioni: G. Meluzzi, capitano direttore (autore).
61
AS ROMA, CDM, I, Cart. 106, n. 215. Comprende la Carta topografica sanitaria del Littorale del Mediterraneo nello Stato Pontificio dal confine del Gran Ducato di Toscana a quello
del Regno di Napoli... e la Carta del Littorale del Mediterraneo. Quadro sinottico. Un fascicolo
di 10 fogli presenta la descrizione analitica della pianta. Sottoscrizioni: monsignor Gaspare
Grassellini, pro-presidente del Censo.
62
AS ROMA, CDM, I, Cart. 39, n. 42.
63
La tavola prima rappresenta la “Pianta della città e porto di Livorno colla nuova cinta
di muro”. Per i titoli delle altre tavole si rimanda alla scheda di catalogo. Cfr. FRATI.
59
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Stampe artistiche e cartografia
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4. Civitas Nova in Piceno, 1630 (AS ROMA, CDM, I, cart. 19, n. 266)
lazione, occorrerà uno studio sistematico di tutto l’insieme. Tuttavia del
pregio e della rarità di molte unità della raccolta forniscono una prova
indiscutibile i nomi degli autori, committenti, inventori, disegnatori, periti
incisori.
I personaggi che ne furono a vario titolo gli artefici permettono
anche di disegnare la storia del sistema di relazioni che caratterizzò per
circa tre secoli il rapporto tra amministrazione pontificia e arte incisoria
e che portò nel 1738 all’istituzione della Calcografia camerale. Fu Clemente XIII (1730-1740), coadiuvato dal nipote cardinale Neri Maria Corsini (1685-1770), che ne promosse la creazione disponendo l’acquisto
della storica stamperia De Rossi64.
64
Per la storia della Calcografia camerale cfr. nota 5.
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BIBLIOGRAFIA
a cura di SERENA DAINOTTO
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La bibliografia comprende le pubblicazioni citate nei saggi, insieme alle opere e
ai repertori frequentemente usati sia dagli autori dei saggi, che dai collaboratori
che hanno redatto le schede della collezione. Nell’elenco le opere su Roma e lo
Stato pontificio sono ovviamente prevalenti in quanto nella Collezione I i disegni
e le mappe sono quasi tutti relativi ai vari territori dello Stato pontificio.
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VITA SPAGNUOLO = I Catasti generali dello Stato Pontificio - La Cancelleria
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INDICI
a cura di SERENA DAINOTTO
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INDICE
DEI NOMI DI PERSONA E DEGLI ENTI
Alberici Clelia, 166, 180
Alberini, famiglia, 56, 59, 60
- Orazio, 57
Aldobrandini, famiglia, 79
Alessandro VI, papa, 170
Alessandro VII , papa, 9, 59, 61, 102,
165
Almagià Roberto, 161, 164, 179
Altieri, famiglia, 97
Amaden Francesco, agrimensore, 135
Amayden Teodoro, 106, 179
Ambrogetti Giovanni Paolo, 132
Ameti Giacomo Filippo, 162,
Anassimandro, 3
Andreoli Francisco Antonio, notaio, 130,
132, 133
Androsilla, famiglia, 56, 59
Androsilla, monsignore, 57
Angelini Giovanni, 143
Angelini Werther, 167, 179
Angelotti Pompeo, 165
Anguillara, famiglia, 69
Antinori Aloisio, 54, 195
Antonelli Giacomo, 172
Antonietti Ascanio, agrimensore, 78, 83
Antonini Carlo, 48, 167, 172
Apolloni Augusto, notaio, 156
Apprevati, canonico, 132
Arcadio, imperatore, 170
Arena Gabriella, 183
Argoli Carlo, 118
Aristotele, 3
Arrigoni Paolo, 161, 179
Ashby Thomas, 77, 179
Asole Angela, 183
Astolfi Gaetano, idrostatico, 48, 167
Attilia Luigia, V, 137, 142, 180, 184
Baglione Giovanni, 180
Balatri Luigi incisore, 174
Baldacci Osvaldo, 7, 39, 180
Bandini, famiglia, 89, 90
- Pietro Antonio, 89
Baranzone, monsignore, 128
Barbantini Tommaso, 166
Barbera Mariarosaria, 139, 180
Barberini, famiglia, 42
- Antonio, 50
- Francesco, 48, 50
Barbey Antonio, 164
Bardi, famiglia, 89, 105
Baronti Giancarlo, 185
Bartoli Langeli Attilio, 181
Bartolomei Giuseppe de, 103, 104
Battistelli, litografo, 170
Becker Felix, 197
Belgi Francesco Giacomo, notaio, 128
Belli Barsali Isa, 127, 180
Bellone Enrico, 42, 180
Beltràn Fortes José, 194
Benedetti Giuseppe, 166, 169
Benedetto XIV, papa, 161, 167
Bentivogli, famiglia, 97
Bentivoglio Enzo, 79, 180
Beranger Eugenio Maria, 182
Beretta, capo mastro, 142
Bernardi Marcello, 52, 180
Bertarelli Achille, 161, 179
Bertelli Francesco, 166
Bertini Carlo Augusto, 179
Bevilacqua Mario, 60, 180, 193, 194, 196
Biasci Andrea, 139, 180
Bidolli Anna Pia, VI, 30
Bilancia Fernando, 198
Blaeu Joan, 172, 181
Blanco Luigi, 53, 181
Bofondi Giuseppe, 163
Bonella Anna Lia, 10, 199
Bonfiglioli Stefania, 181
Bordoni Egidio, 41, 48
Borghese, famiglia, 69, 79, 95, 119
- Scipione, 69
Borromeo (Boromeo) Federico, 153
Boscovich Ruggiero Giuseppe, 161
Bosio Pietro, 142, 143, 155
Bramante Donato, 171
Branchetti Maria Grazia, V, VI, 7, 127,
159, 180, 189
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204
Indice dei nomi di persona e degli enti
Brega Giuliana, 170, 181
Brumat Rachele, VI
Bucolo Raffaella, 88, 181
Bulgarini Giovanni Giacomo, 50
Buonasera Francesco, 181
Buonocore Marco, 189
Buonora Paolo, V, 5, 11, 24, 37, 39, 44,
53, 159, 160, 167, 181, 182, 196
Cabeo, gesuita, 40
Caciagli Costantino, VII
Caffarelli, famiglia, 124
- Gasparo, 57, 122
- Pietro, 57, 122
Calamo Bernardino, agrimensore, 78,
79, 83, 117, 119, 120, 123,
- Domenico, agrimensore, 119
- Francesco, agrimensore, 79, 87, 119, 120
Calcografia camerale, 151, 161, 175
Calcografia regia [poi] nazionale, 161,
162, 183
Calderari Enrico, 147, 148, 156
Calzolari Monica, 182
Camerlengato, 8
Campitelli Alberta, 193
Camporese Pietro, 27
Canina Luigi, 141, 143, 156, 163, 182
Cantile Andrea, 3, 183, 194
Capalbo Cinzia, 69, 183
Capizucchi, famiglia, 130
Capretti Antonio, 48
Caracciolo Alberto, 26, 183
Caravale Mario, 26, 183
Carbonetti Cristina, 184
Cardano, 44
Carocci Sandro, 184
Caroli Paola, VII
Carrara Francesco, 167
Carta Marina, 183
Cartoli Alessandro, 115
Casagrande Laura, 182
Casali, marchese, 155
Casanova Eugenio, 49, 183
Casoli Luigi Maria, 166
Casselli Saverio Maria, 172
Cassini Giovanni Maria, 161, 162
Castelli Benedetto, 42, 183
Castiglia Roberto, VII
Ceglie Simonetta, VI
Cenci, famiglia, 67-72, 76, 77, 80, 85, 87,
105, 109
Ceresa Massimo, 162, 183
Cerreti Claudio, 183
Cesarini, famiglia, 97, 123
- (Cesarino) duca, 122, 172
Cesi, famiglia, 127
- (Cesio) Federico Maria, 127, 128
Chacón Alfonso (Ciaconius), 183
Cherubini Paolo, 194
Chiesa Andrea, 166, 169, 183
Chigi Agostino, 91, 92, 94
Chigi, famiglia, 61, 62
- Sigismondo, 161
Chirici C. architetto, 174
Chiumenti Luisa, 197
Cingolani della Pergola Giovanni Battista,
55, 56, 88, 90, 100, 105, 134, 161, 184
Cipolla Antonio, 153
Cipriano Carlo, 116
Clarici Marius, notaio, 104
Claudio, imperatore, 157
Clemente VIII, papa, 49
Clemente X, papa, 153
Clemente XI, papa, 165
Clemente XIII, papa, 175
Coarelli Filippo, 146, 184
Coates–Stephens Robert, 150, 184
Cocciante Battista, agrimensore, 65
collegi
- di S. Bonaventura, 95
- Germanico e Ungarico, 92, 94
- Romano, 91, 92, 94, 95
Collicola Carlo, 134
Coltelli Francesco, 139
congregazioni cardinalizie
- del buon governo, 8, 9, 24-26, 51, 66
- della sacra consulta, 26
- delle acque, 8, 24, 37, 38, 40, 49, 5054, 167
- di acque e strade, 173
- delle armi v. anche Presidenza delle
armi e Ministero delle armi, 26
- generale del censo v. Presidenza
generale del censo
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Indici
- generale di sanità, 173, 174
- super viis pontibus et fontibus, 49
congregazioni religiose
- dei canonici regolari lateranensi, 164
- Silvestrina di S. Stefano del Cacco, 167
Consiglio d’arte, 26, 27, 53
Contardi Bruno, 188
Conti Pietro Paolo, 166
Cordiale Orazio, agrimensore, 79, 97-100
Cordiale Paolo, agrimensore, 79
Corpo degli ingegneri di acque e strade,
26, 27
Consalvi Ercole, 52
Corsini Neri Maria, 175
Corvisieri Costantino, 121
Coste Jean, 29, 56, 69, 71, 77-80, 86, 8991, 98, 105, 106, 119, 120, 125, 184
Cozza Lucos, 152, 184
Crescentini Claudio, 189
Crescenzi, famiglia, 79
- Ottaviano, 89
- Paolo, 79
Crispi Eustachio, 165
Cristiani Stefania, VI
Curcio Giovanna, 188
Curti Francesca, 199
Curzi Valter, 137, 184
Dainotto Serena, IV-VI, 7, 12, 179, 185
D’Aiuto Francesco, 133, 185
Danti Giulio, 43, 45
- Ignazio, 43, 45
- Vincenzo, 43, 45
D’Innocenzi Valentina, VI
De Angelis Bertolotti Romana, 148, 185
De Bartolomei Giuseppe, 103, 104
Debenedetti Elisa, 169, 185, 194, 197
De Boni, Filippo, 45, 185
De Falco Giovanni, 137
Della Volpaia Eufrosino, 77, 161
Del Lungo Stefano, 197
Delogu Paolo, 197
Del Re Marc’Antonio, 166
De Marchi Giulia, 162, 185
De Meo Francesca, 167, 185
De Nicolis Domenico, notaio, 116
De Rossi, stamperia, 175
205
- Domenico, 162, 164, 165, 184
- Giovanni Giacomo, 162
- Lorenzo Filippo, 164, 165
De Rossi Adami Andrea, 115
De Ruggiero Ettore, 141, 185
De Seta Cesare, 185
Desideri Margherita, VI
De Vizio Romina, 187
Di Calisto Laura, 172, 185
Di Carpegna Falconieri Tommaso, 74
Dicastero generale del censo v. Presidenza generale del censo
Di Crollalanza Goffredo, 185
Di Gioia Vincenzo, 53, 186
Dioguardi Maria Cristina, VI
Di Pasquale Sabina, 139, 180
Direzione generale del censo v. Presidenza generale del censo
Direzione dei lavori idraulici camerali,
172
Dogliani Patrizia, 182
Doria Pamphilj, famiglia, 69, 72, 77, 148
- Andrea, 148
- Giuseppe, 137
Dorsi Pierpaolo, 37, 186
Drei Benedetto jr, agrimensore, 79, 128,
129
- Pietro Paolo, agrimensore, 129
Dubourg Glatigny Pascal, 43, 186
Duchini, agrimensore, 126
Enking Ragna, 79, 186
Esposito Anna, 198
Esposito Daniela, 81, 186
Fabi, famiglia, 61
- Francesco, 56, 57, 59
Fabi (de Fabiis) Pietro Paolo, 85
Fabri Giuseppe, 169
Facci Antonio Felice, 38, 63
Fagiolo Marcello, 194, 196
Fagliari Zeni Buchicchio Fabiano Tiziano, 65, 186
Faini Sandra, 161, 186
Falchi Luisa, VI, 9, 159, 186
Falconieri, famiglia, 68-70, 72, 74-76
- Orazio (XVII sec.), 69
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206
Indice dei nomi di persona e degli enti
- Orazio (XIX sec.), 75
Fantoni Pio, 48
Farnese, famiglia, 89
- Alessandro, 65, 89
Fea Carlo, 141-143, 147
Federici Vincenzo, 121, 186
Federzoni Laura, 183
Ferrara Patrizia, VI, 30
Ferraris Maurizio, 3
Ferraris Paola, VI
Ferratelli Domenico, 123
Filippi Fedora, 184
Finocchi, famiglia, 101
Folchi Clemente, ingegnere, 53, 167
Fontana Domenico, 45
Fontana Giuseppe, 145, 147
Fonte Thomas de, notaio, 85, 86
Fonthia Domenico, notaio, 69
Fortuna P., ingegnere, 172
Fosco Angelo, 115
Fosco Pomponio, 115
Fossi Maria Pia, VI
Franceschini Michele, 67, 69, 73, 74, 192
François Achille, 171, 187
Frati Pietro, 174, 187
Frutaz Amato Pietro, 56, 62, 77, 79, 88,
100, 134, 161-163, 168, 169, 184, 187
Fuschi Marina, 197
Fusco Antonella, 5
Fuscus Vincentius, notaio, 85
Gatti Emanuele, 139, 187
Gatti Guglielmo, 141, 187
Gattola (Gettola) Cesareo, agrimensore,
80, 81, 85, 86, 98
Gauvain Alexis, 76, 79, 128, 129, 187
Gell William, 163
Genovese Carmen, 24, 187
Geymüller Heinrich von, 171, 187
Giandemaria Giacomo, 164
Giorgi, famiglia, 75
Giovanetti Francesco, 28
Giovi Venanzio, 104
Giraud, famiglia, 100
- Pietro, 100, 101
Giustiniani, cardinale, 149
Giustiniani, famiglia, 74
Gnoli Bartolomeo, 165
Gori Sassoli Mario, 195
Gozzadini Gaetano Maria, 164
Grantaliano Elvira, 182
Grassellini Gaspare, 173, 174
Graziani Ersilia, 24, 187
Gregorio XIII, papa, 88, 174
Gregorio XVI, papa, 148, 170, 174
Grelle Iusco Anna, 162, 188
Greppi Cristoforo, 32
Grifi Luigi, 143, 144, 146-149, 170, 188
Gualtieri, 36, 165
Guglielmini Domenico, 41, 44
Gurgo Maria Idria, VI
Gabrielli, famiglia, 88
Gabrielli Giovanni, 139
Gabrielli Giuseppe, 155
Galassi Marco Antonio, agrimensore, 85,
86, 96-99
Galeffi Francesco, 145
Galera comunità, 87
Galilei Galileo, 42
Gallo Luigi, 88
Gamba Enrico, 197
Gambarini Bernardo, 167, 169
Gambi Lucio, 166, 187
Garbini Riccardo, 182
Gardini Stefano, VII
Garms Jorg, 187
Gaspari Oscar, 182, 183
Hackert Jacob Philipp, 167
Hülsen Christian, 143, 188
Inniche Onorio, 85
Innocenzo X, papa, 165
Innocenzo XI, papa, 167
Innocenzo XII, papa, 49, 174
Isola Farnese comunità, 64, 66
Istituto Nazionale della Grafica (ING), 6,
162
Istituto geografico militare (IGM), 6
Jacobelli Paolo, 180
Jacobilli Francesco, 48
Keaveney Raymond, 189
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Indici
Krönig Wolfgang, 189
La Monica Laura, 170, 189
Lanciani Rodolfo, 139, 148, 189
Lanconelli Angela, 82, 159
La Regina Adriano, 190
Lauro Giacomo, 172
Lazi Giovanna, 194
Leggio Roberto, VI
Lelo Keti, 195
Leni, famiglia, 80, 83-87, 97
- Ciriaco, 84
- Girolamo, 84, 86
- Marco Antonio, 85
Leonardo da Vinci, 41
Leone Stephanie, 192
Leone X, papa, 137
Leopoldo II, 174
Lepri marchese, 125
Lodolini Armando, 49, 168, 189,
- Elio, 10, 24, 30, 66, 189
Lodolini Tupputi Carla, 25, 189
Londei Luigi, VI, 9, 30, 159, 186, 190, 193
Lo Sardo Eugenio, V, X, 30, 190
Lume Lucio, 11, 30, 193
Maccagni Carlo, 46, 190
Maderno Carlo, 45
Maffei Agostino, 120
Maffioli Cesare, 40, 41, 43, 190
Magini Giovanni Antonio, 164, 165
Maire Christopher, 161
Majoli Luca, 161, 186
Malvezzi Campeggi Leonello, 189
Manetti Alessandro, architetto, 174
Mangani Giorgio, 180
Margani, famiglia, 125
Margiotta Anita, 190
Mariani Ginevra, 162, 185, 190
Mariano Michelangelo, 167
Marigliani Clemente, 190, 191, 199
Marino Angela, 53, 191
Marliani Lorenzo, 51
Maroni Lumbroso Matizia, 191
Marticari Teodoro, notaio, 104, 116
Martinelli Agostino, 167, 168, 170, 191
Martini Angelo, 15, 191
207
Martini Antonio, 189, 191
Martino Daniela, VI
Marussi Antonio, 191
Massa, famiglia, 104-106, 108, 110, 112,
113, 115
- Antonio (XVI sec.), 106
- Antonio (XVII-XVIII secc.), 115
- Clementia, 115
- Giovanni Battista, 115
- Olimpia, 103, 104, 115
- Taddeo, 109, 113, 115, 116
Massafra Maria Grazia, 190
Massimi Gerardo, 197
Massimo, famiglia, 67, 68, 76, 86, 98100, 105, 106, 108, 111-114, 122
- Fabio, 106
- Mario (XVI sec.), 96-98
- Mario (XVII sec.), 58, 97, 98
- Pietro, 106
- Valerio, 98
- Virginia, 97
Mattei, famiglia, 56, 59, 60, 62, 72, 73, 134
- Alessandro, 135
- barone, 57, 58
- Girolamo, 57, 58, 125
- Innocenzo, 161
Mayr Carlo, disegnatore, 166
Mazzarini Luigi, agrimensore, 150, 153
Mazzeschi Nicola, notaio, 135, 136
Mazzon Antonella, 186
McCarthy Michael Francis, 191
Meccoli Monica, VI, 196
Melchiorri, famiglia, 107, 112
- Francesco Maria, 106-109, 112, 116
Melchiorri Giuseppe, 149, 190, 191
Mello Mario, 81
Meluzzi G., 174
Mendicanti, Pia casa, 145, 147
Mercati Angelo, 133
Merolli, famiglia, 75, 100-102
- Antonio, 99, 100
- Carlo, 99, 100
- Francesco, 99, 100
- Giuseppe, 75, 101
- Tommaso, 99-101
Micalizzi Paolo, 195
Miele Salvatore, VI, 11, 30
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208
Indice dei nomi di persona e degli enti
Migliari Giambattista, 166
Mignanelli, famiglia, 134
ministeri
- del commercio, belle arti, industria,
agricoltura e lavori pubblici, (Ministero dei lavori pubblici) e (Ministero del
commercio, belle arti, industria, agricoltura), v. anche Prefettura generale
delle acque e strade, 9, 25, 26, 54,
148, 172, 173
- dell’interno, 26
- delle armi v. anche Congregazione
delle armi e Presidenza delle armi, 26,
173, 174
- per i beni culturali e ambientali, [poi]
per i beni e le attività culturali, 6, 159
Miraglia Biagio, 9, 19
Mollari, ingegnere, 27
Monaldini Venanzio, 163
Monsagrati Giuseppe, 173, 191
Montalto Lina, 171, 191
Montani Giovanna, VI
Montebelli Vico, 197
Montiroli G., 172
Morelli Carlo, 135
Morelli Roberta, 197
Morena Marina, VI, 194
Mori Elisabetta, 67, 70, 73, 74, 192
Moroncelli Amanzio, 167
Moroni Gaetano, 192
Morozzo Giuseppe, 162
Moschetti Alessandro, 172
Musacchio Matteo, 137, 192
Muti, famiglia, 67, 100
- Girolamo, 101
Mutini, famiglia, 80, 83-87. 98
- Giovanni Battista, 84, 86
- Lorenzo, 84
- Stefano, 84
Nappo Tommaso, 179
Navarrini Roberto, VIII
Negroni Agnese, 100
Neri vedova Gismondi, Maddalena, 142
Nibby (Nibbi), Antonio, 142, 192
Niccoli, notaio v. De Nicolis Domenico,
notaio
Nicolaj Nicola Maria, 77, 125, 192
Nolli Giovanni Battista, 59
Nuti Lucia, 46, 192
Odoardi de Catilini Odoardo, 164
Onorio, imperatore, 170
Orfanelli v. S. Maria in Aquiro
Orlandi Clemente, 63
Ormanni Enrica, 7, 39, 192
Orsini, famiglia, 70, 89
- Paolo Giordano, 65
- Flavio, 94
Orsini Domenico, notaio, 65, 133
Orsini Francesco Nicola, notaio, 114
Ovidi Ernesto, 162, 192
Pacca Bartolomeo, 137, 139, 141, 163
Paci Valerio, 180
Pagano Benedetto, notaio, 122, 131, 132
Pagano Sergio, 60
Palagiano Cosimo, 183
Palazzo Paola, 139, 180
Pamphilj, famiglia v. anche Doria Pamphilj, famiglia
Pamphili Benedetto, 170, 171
Pansani Panfilo, 81
Paolelli Conversino, 127, 128
Paolini Carlo Antonio, agrimensore, 102,
115, 116, 125
Paolo V, papa, 49, 174
Paparozzi Salvatore, notaio, 101, 171
Parisi Antonella, VI, 153, 184
Parisotti Lorenzo, notaio, 100
Pascarella Cesare, 193
Pascuccio Emiliano, 115
Pasquali Susanna, 28, 193
Passeri Giovanni Battista, 45, 193
Passigli Susanna, V, 24, 29, 55, 56, 62,
67, 70, 73, 76, 78, 79, 81, 83, 86, 95,
96, 98, 102, 119, 127, 184, 186, 193
Pastor Ludwig von, 49, 194
Pastura Maria Grazia, VI, 23, 193, 196
Paulelli Conversino, 127, 128
Paulucci Fabrizio, 164
Pavolini Carlo Antonio, agrimensore,
103
Pedley Mary, 193
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Indici
Pepe Luigi, 53, 193
Peperelli Francesco, architetto e agrimensore, 67-70, 72-74, 77
Peretti, famiglia, 67, 69-71, 73, 74
- Camilla, 67
- Francesco, 69, 74
- Michele, 58, 67-73
Perone Felice, 131
Petrella Marco, 166, 194
Petroschi Giovanni, 166
Petrucci Carlo Alberto, 161, 162, 194
Petruzzi Lorenzo, 42, 43
Pettoralis Nicola, 79
Piagese Girolamo, agrimensore, 63
Picchetti Paolo, agrimensore, 91, 92, 95,
119
Piccinini Gilberto, 167, 179
Piccotti Pierre, 182
Picozzi Maria Grazia, 125, 194
Piersanti Stefania, 199
Pignatelli, Giuseppe, 163, 194
Pinelli Achille, 170
Pio IV, papa, 174
Pio V, papa, 174
Pio VI, papa, 2, 36, 48, 162, 167-169, 172
Pio VII, papa, 52, 60, 141, 161
Pio IX, papa, 8, 26, 150, 163
Pirazzoli Nullo, 190
Piscitelli Enzo, 75, 101, 194
Pissonati Eustachio, 133
Pistocchi, ingegnere, 27
Piuselli Giovanni Domenico, 128
- Marco Antonio, agrimensore, 102,
105, 107, 108, 111-114, 117, 129
Pizziconi Vincenza, VI
Poggi Odoardo, 53
Poletti L., ingegnere, 155
Polidori Antonio, 133
Pompeo Augusto, 199
Ponzi Giuseppe, 163
Portoghesi Paolo, 198
Povoledo Elena, 194
Prefettura generale di acque e strade
[poi] Ministero dei lavori pubblici, 8,
28, 54, 173
presidenze
- delle armi, 26
209
- delle strade, 9, 23, 27, 59, 62, 64, 68,
70, 72, 77, 79, 83, 86, 87, 91-93, 95, 98,
100, 113, 114, 118, 120, 130, 133
- di Roma e Comarca, 163
- generale del censo (Congregazione
generale del censo), (Dicastero generale del censo), (Direzione generale
del censo), 8, 9, 22, 26, 60, 61, 66,
104, 163, 166, 172, 173
Principe Ilario, 39, 194
Pronti Domenico, 169
Provinciali Paolo, 59
Pusceddu Gemma, VI
Quaini Massimo, 38, 44, 195
Qualeatti, famiglia, 75
- Angelo jr, agrimensore, 76
- Angelo sr, agrimensore, 75, 76 , 131,
132
- Asdrubale, agrimensore, 76
- Carlo, agrimensore, 76
- Marco Antonio, agrimensore, 75, 79,
130, 133
- Pietro Paolo, agrimensore, 76, 132
Quaranta Giusto, agrimensore, 93-96,
118-120
Quintavalle Armando O., 194
Raffaeli Cammarota Marina, 125, 194
Raffaelo Sanzio, 137
Rainaldi Carlo, 127
Rainaldi Girolamo, 45
Rampano Geronimo, agrimensore, 79
Rappini Gaetano, 166, 168
Ratti Nicola, 194
Renard F., disegnatore, 174
Renazzi Filippo Maria, 168, 194
Renzi, famiglia, 89, 105
Reverenda Camera Apostolica (RCA), 8,
23, 25, 161, 164
Riccardi, famiglia, 132
- Carlo, 130-132
Riccardi, marchese, 130-132
Ricci Giovanni Battista, 32
Rinuccini, famiglia, 90, 91
- Camillo, 89, 90
Rivarola Agostino, 167
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210
Indice dei nomi di persona e degli enti
Riviera Domenico, 165
Rocchi Enzo, 195
Rocci Giovanni Rosario, 195
Romagnosi Gian Domenico, 53
Romano Giovanni, 46, 196
Rombai Leonardo, 44, 45, 47, 194-196
Ronca Fabrizio, 179
Roncuzzi Roversi Monaco Valeria, 164,
195
Rosaspina Giuseppe, 166
Rossi Massimo, 165, 195
Rossini Luigi, 151, 152, 154, 169, 170
Rucellai, famiglia, 69
- Orazio, 69
Ruggeri Adriano, V, 24, 28, 29, 55, 60,
67, 69, 79, 80, 87, 89, 105, 109, 130,
195
Russo Francesco, VI
S. Ambrogio della Massima, chiesa, 105,
109
S. Anastasia, capitolo e canonici, 58,
116, 129-133
S. Angelo in Pescheria, capitolo e canonici, 104-107, 111, 112
S. Antonio, ospedale, 79
S. Bonaventura, collegio, 95
S. Caterina della Rosa, confraternita, 130
S. Cecilia in Trastevere, monastero, 56,
58-60, 62-64
S. Giacomo degli incurabili, ospedale, 8,
57, 88, 90-93, 95, 96
S. Giovanni in Laterano, basilica e canonici, 81, 85, 104, 105, 111, 116, 117
S. Maria del Collegio Germanico di S.
Apollinare, 94
S. Maria in Aquiro, chiesa, 81
S. Maria in Cosmedin, capitolo e canonici, 130-132
S. Maria in Trastevere, chiesa, 104, 107,
111, 116
S. Maria in via Lata, canonici, 118
S. Maria Maggiore, basilica e capitolo,
56, 78, 119
S. Maria nova, chiesa, 81, 82, 85, 86, 101
S. Pietro in Vaticano, capitolo, 58, 75-77,
79, 104, 128
S. Rocco, chiesa e ospedale, 8, 90-93,
103, 105, 113, 115, 116
S. Sebastiano, chiesa, 66, 81
S. Silvestro in Capite, monastero, 58,
117-120
S. Sisto, monache, 106
S. Spirito in Sassia, ospedale, 8, 105,
106, 112
SS. Domenico e Sisto, monastero, 79,
107, 108
SS. Filippo e Giacomo (o dei morti),
cappella di S. Giovanni in Laterano,
105
Saccoccia Curzio, notaio, 125
Sala Serafino, agrimensore, 98-101, 134
Saletti Luca, VI, 17
Salgaro Silvino, 183
Salvatori Luisa, VI
Salviati Antonio Maria, 88-90, 92, 93, 96
Salviati, monsignore, 95, 96
Sangallo Antonio da, 171
Sangiorgi Serena, 182
Sani Angelo, 59
- Tobia, agrimensore, 59-64
Santini Chiara, 166, 194
Santucci G., 147
Sapori Giovanna, 162, 196
Sassoferrato Bartolo da, 44
Savelli, famiglia, 74, 97
Savioli, senatore, 139
Scaccia Girolamo, ingegnere, 167
Scotoni Lando, 66, 78, 90, 105, 109, 196
Sercamilli Heronymus, notaio, 104, 115
Sereni, 46
Segreteria di Stato, 26
Segreteria per gli affari di Stato interni
[poi] Ministero dell’interno, 26
Serii, famiglia, 97
Sforza Cesarini (v. anche Cesarini), famiglia, 74, 121, 124
Sforzini Francesco, 51
Sickler Friedrich Carl Ludwig, 162
Silvestrelli Giuseppe, 65, 196
Silvestro, papa, 117
Simoncini Giorgio, 196
Singer Charles, 197
Sinisi Daniela, III, V, VI, VII, X, 3, 7, 9,
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Indici
24, 137, 138, 150, 159, 187, 189, 191,
194, 196
Sisto V, papa, 48, 174
Sori Ercole, 181
Sperandio Antonio, 197
Sperandio Fabrizio, 96
Sperandio Francesco, agrimensore, 116,
117, 130, 132
Spinetti Gaetano, disegnatore, 153
Spreti Vittorio, 197
Stefani Guglielmo, 197
Steinby Eva Margareta, 190
Stucchi, fratelli, 166
Sturbinetti Antonio, 145
Tesorierato generale, 8, 25
Tesoriere generale, 23, 161
Thieme Ulrich, 197
Thorvaldsen Bertel, 147
Titi Filippo, 164
Tomassetti Giuseppe, 30, 59, 61, 65, 69,
90, 100, 125, 128, 197
Tooley Ronald Vere, 164, 198
Tor de Specchi, monastero, 97
Torchia Lorenzo, 121, 124
Torlonia Marino, 172
Torresani Stefano, 166, 194
Torriani Orazio, architetto e agrimensore, 79, 128, 129
Torriani Tullio, 164, 198
Tosti Croce Mauro, V, VI, VII, 30
Traiano, imperatore, 157, 174
Travaglini Carlo Maria, VI, 195, 197
tribunali
- dell’agricoltura, 122, 124
- dell’Auditor Camerae, 8, 22, 23, 127,
128, 136, 171
- della Camera apostolica, 23
- della sacra rota, 23
- delle acque e strade, 59, 61, 103, 104,
117, 133
Triulzi Benedetto, notaio, 59
Troiani Filippo, 174
Tucci Pier Luigi, 141, 198
Tuzi Stefania, 127, 198
211
Ubaldini, famiglia, 88
- Marco Antonio, 89
Ufficio del bollo, registro ipoteche e
tasse riunite di Roma, 59
Ufficio del Tribunale delle strade v. Tribunale delle acque e strade
Uggeri Angelo, 141, 142
Urbano VIII, papa, 42, 174
Urbanus, notaio, 21
Vagnolini B., 59
Valadier Giuseppe, 62, 64, 140-143, 153,
155, 179
Valadier Luigi Maria, 148, 149, 156, 170
Valdambrini, famiglia, 88
Valerio Vladimiro, 7, 38, 198
Vannucci Eliseo, agrimensore, 91, 92,
95, 119, 122, 123, 125
Varese Diomede, 50
Varignana Franca, 166, 198
Vecchi Pietro Andrea, 49, 198
Vendittelli Marco, 67, 69, 73, 74, 184,
192, 198
Ventrone Alfonso, 199
Venturoli Giuseppe, 53
Venuti Ridolfino, 100, 198
Venzo Manola Ida, 26, 198, 199
Verdi Orietta, V, VI, VII, 8, 9, 11, 27, 31,
53, 60, 159, 193, 196, 199
Verga Ettore, 162, 199
Verospi, famiglia, 57, 124, 125
- Carlo, 125
- Ferrante, 125
- Giovanni Battista, 125
- Girolamo, 125
Vian Paolo, 133, 185
Visconti Pietro Ercole, 143, 145
Vita Spagnuolo Vera, 9, 60, 199
Vittori, famiglia, 97
Vivaldi, famiglia, 115
- Marco, 104, 106, 115
Volpini Antonio, 179
Weber Christoph, 98, 106, 199
Widman Daniel, 165
Widman Giorgio, 161
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INDICE
DEI LUOGHI
Acqua Bullicante, 55
Acquasparta, 58, 127
Agro Pontino, 166, 168, 169
Agro Romano, 9, 24, 29, 55-57, 59-61,
64, 66, 77, 78, 96, 99, 101, 106, 134,
135, 162
Albano, 33
Albano, porta (nel castrum di Capo di
Bove), 81
Albano, strada: v. Appia, via
Albenga, 6
Ancona, IX, 20, 22, 173
Anguillara, 88
Anzio porto, 174
Arco di Traiano v. Porta Aurea,
Ardea, 123
Ardea, territorio, 97, 99
Ascoli, 14, 164, 173
Avignone, 28
Bari, 7
Benevento, 2, 28, 172
Bevagna, 48, 50, 51
Boccea, 78
Bocceola, 78
Bologna, 17, 36, 48
Bracciano, 65, 94, 172
Calandrella, quarto v. Macheri, Torre
Rotta e Calandrella
Campagna Romana, 29
Campanile, monte nel territorio di Isola
Farnese, 65
Cannara, 48
Carpegna, 74
Castel Gandolfo, 33
Castro, stato, 65
Cecilia Metella, mausoleo/tomba, 80, 82,
84-87, 155
Chiane, 40, 45, 49, 50
Chiusi, 49
Città della Pieve, 49
Civitanova Marche, 175
Civitavecchia, IX, 89, 106, 107, 112, 162,
173, 174
Colonnelle de Victorii, 97
Comarca, 40
Emilia, 48
Fabriano, 167
Faenza, 166
Ferrara, 17, 36, 48
Firenze, 45, 88, 174
fiumi e corsi d’acqua
- Arrone, fiume, 21, 70, 89. 94
- Calore, fiume, 172
- Castagnola, fosso, 100, 122
- Chiana, fiume e canale, 47, 165
- Cicognola (Cecchignola), fosso, 124
- Clitunno, fiume, 48
- Galera, fosso, 88, 90, 106-108
- Idice, fiume, 166
- Lorgana, canale, 36, 165
- Maggiore, rio, 70
- Magione, fosso, 99
- Magliana, marrana, 63
- Maglianella, fosso, 111
- Marmore, cascata, 167
- Marmorea, fosso, 85
- Marroggia, torrente, 48
- Nera, fiume, 167, 168
- Po, fiume, 50, 165, 166
- Po di Primaro, fiume, 36
- Reno, fiume, 36, 165, 166
- Riotorto, fosso, 97, 100, 122
- Savana, fiume, 166
- Tevere, fiume, IX, 37, 38, 44, 50, 51,
60, 123, 140, 152, 154, 155, 167-169
- Topino, fiume, 50
- Velino, fiume, 167, 168
- Valle dell’Inferno, marrana, 55
Fiumicino, 174
Foce
- S. Maria delle Grazie, 20
Foligno, 48
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214
Formello, 66
Francia, 53, 172
Frascati, 153
Galera, 94
Galeria, castello/castrum, 88- 93
- S. Maria in Celsano, 88
Gallese, 106
Genova, 6, 7, 39
Guadagnolo, 172
Imperia, 6
Italia, 4, 8, 11
La Spezia, 6
Lazio, 8, 161, 162, 169
Legazioni, 47
Liguria, 39
Livorno, 174
Lombardia, 11
Magliana, ponte, 62, 63
Magliana, villa, 63
Magliano Sabino, 37
Mandrioni, 73
Marche (Marca), 14, 27
Mediterraneo, IX, 174
Marmore cascate, 167
Mentana, 70, 72, 73, 95
Milano, 169
Modena, 172
Monte Tosto, 167
Montefalco, 48
Napoli, 5, 7, 38
Napoli, Regno, 28, 174
Nettuno, 174
Norcia (Norsia), 172
Osteriaccia di S. Spirito, 73
Ostia
- porto di Claudio, 157
- porto di Traiano, 157
Palermo, 7
Paludi pontine, 36, 40, 47-50
Pavia, 172
Indice dei luoghi
pediche
- Cavalloni, 130
- Crelia, 79
- Maglianella (o Gallesina, poi Massimi), (Massa), 57, 58, 102-106, 108-111,
113, 114, 116
- Maglianella, (di S. Giovanni in Laterano, Cenci) v. anche: Morte,
pedica/tenuta, 105, 109
- Maglianella, (S. Ambrogio della Massima), 105, 109
- Quaranta, 109
Perugia, 43, 168 173
Pignotto, 84
Poggi, 53
Poli, 172
Polledrara, (fuori Porta Portese), 61
Ponte al Godolino, 27
Ponte Felice, 37, 38, 50, 167, 169
Ponte Galera, 60, 62, 63
Pratica, 97, 99, 100
Priverno (Piperno), 29
Ravenna, 16, 17, 50, 170
Roma, 5, 7, 9-11, 17, 29, 32, 40, 45, 49, 5153, 55, 59, 60, 62, 64, 75, 77, 80, 88, 96,
97, 99, 100, 106, 134, 135, 137-139, 148,
150-157, 159-165, 168-170, 172, 174
- acquedotti
- Acqua Felice, 54
- Acqua Giulia, 170
- Acqua Marcia, 170
- Acqua Paola, 54
- Acqua Tepula, 170
- Acqua Vergine, 54
- Claudio, 154
- archi
- di Druso, 170
- di Settimio Severo, 143
- basiliche chiese e cappelle
- S. Anastasia, 130, 133
- S. Barbara della Confraternita dei
Librari, 170
- S. Bartolomeo all’Isola. 169
- S. Bibiana, 139
- S. Francesco a Ripa, 32
- S. Giacomo in Augusta, 145
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Indici
-
-
-
-
-
-
-
- S. Giovanni in Laterano, 171
- S. Maria dei Calderari (S. Maria in
Cacaberijs), 141-143, 155
- S. Pietro in Carcere, 170
- S. Pietro in Montorio, 51
- S. Rocco, 156
- SS. Bonifacio e Alessio sull’Aventino, 170
Campidoglio, 140, 143, 157
Campo Vaccino (Foro Boario), 155
Castel (Forte) S. Angelo, 154
circhi
- di Caracalla, 155
- di Massenzio, 155
- Massimo, 157
Clivo Capitolino, 143, 156
Cloaca massima, 155
Colonna di Foca, 140, 143
Colosseo, 154-156, 169
Conventi e monasteri
- Convento di S. Pietro in Vincoli, 53
- Monastero della Ss.Annunziata, 156
Crypta Balbi, 14
Fori, 138, 155
- Foro Boario, 155
- Foro Romano, 139-145, 155-157, 169
Gianicolo, 51
Mausoleo di Augusto, 156
Monumento di Eurisace, 148, 150,
156, 170
Mura, 138, 149-151, 153
- Mura Aureliane, 153
ospedali
- S. Giacomo in Augusta e di S.
Rocco, 8
- Ss. Salvatore ad Sancta Sanctorum, 8
- S. Spirito in Saxia, 8
palazzi
- Falconieri, 169
- Poli, 5
piazze
- della Rotonda, 154
- di Porta Maggiore, 154
- S. Giovanni in Laterano, 154
- S. Gregorio al Celio, 154
- Navona, 116
Pincio, 153
215
- ponti
- Ferrato (Cestio), 155, 169
- Molle (Milvio), 169
- Quattro Capi, 155, 169
- Rotto, 155
- S. Angelo, 169
- Sisto, 42, 51, 169
- porte
- Angelica (S. Pietro), 58, 128, 129, 170
- Ardeatina, 170
- Cavalleggeri, 113, 114, 153, 170
- del Popolo, 58, 65
- di Alessandro VI, 170
- di Borgo Angelico, 170
- Latina, 171
- Maggiore, 57, 59, 60, 139, 148, 149,
153, 154, 156, 170
- Pia, 101, 137, 172
- Portese, 57, 58, 60-62, 153, 170
- S. Giovanni, 154
- S. Pancrazio, 57, 58, 103, 125, 153,
170
- S. Paolo, 58, 96, 97, 99, 150, 153
- S. Sebastiano, 57, 58, 81, 86, 87,
124, 129, 130, 133
- S. Spirito, 170
- Salara (Salaria), 153, 170
- Settimiana, 170
- porti
- di Ripa grande, IX, 169
- di Ripetta, IX, 169
- rioni
- Aventino, 157
- Campo Marzio, 141, 157
- Esquilino, 157
- Palatino, 156, 157
- Settizonio, 157
- Strada ferrata Pia Latina, 153
- teatri
- di Balbo, 141
- di Marcello, 156, 157
- templi
- Basilica di Massenzio, 145, 156
- Tempio della Pace, 145, 146, 148,
155, 156
- Tempio di Marte Ultore, 156
- Tempio di Minerva Medica, 139, 155
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216
Indice dei luoghi
- Tempio di Vesta, 155
- Terme Antoniniane, 169
- vie, vicoli e piazze
- piazza di S. Giovanni, 154
- piazza Navona, 115
- via Aventina (Ardeatina), 156
- via dei Sugherari, 156, 157
- via del Pianto, 141, 143, 155
- via di Ripetta, 144, 145, 156
- via Giolitti, 139
- via S. Maria dei Calderari, 141, 142,
155
- via Sacra. 143, 144, 155, 156, 169
- vicolo del Fiume, 144
- ville, orti, giardini
- Giardino Farnese, 169
- Horti liciniani, 139
- Orto delle Mendicanti, 147
- Vigna Volpi, 156
- Villa Coltella, 139, 155
- Villa Doria Pamphilj, 148
Romagna, 50, 164, 166
Romagnola, 50, 53
S. Maria in Celsano v. Galeria
Savona, 6
Senigallia, 173
Spoleto, 48
Stato pontificio (Stato della Chiesa), 9, 17
strade, vie
- Appia, (strada d’Albano), 80, 82, 85,
86, 170
- Ardeatina, 81, 97, 99, 124, 134, 156
- Aurelia, 67, 104-108, 112
- Civitavecchia v. Aurelia
- Falcognano v. Ardeatina
- Flaminia 27, 37
- Magliana 60-62, 64
- Portuense 60, 62
- Prenestina, 153
- Tolfa, 89
Suburbio, 29, 55, 87, 134
tenute
- Acquafredda, 104
-
-
Acquasona v. Galera (o Acquasona)
Acquaviva, 88, 89
Acquasona (o Cacciarella), 57, 90-94
Aguzzano, 79, 83
Arco di Travertino, 78, 83
Bandina/Bandino, 88-90, 92
Bandita di Galera, 87, 88, 90
Bravi, 86, 98
Buonricovero, 83
Campo Iemini, 100
Campo Merlo (degli Alberini), 56, 57,
59, 60
Campo Merlo (dei Mattei), 56, 57, 59,
60, 62
Campo Merlo, 61, 62
Campo Selva, 97, 100, 122
Cacciarella v. Acquasona (o Cacciarella)
Capannone, 100
Capo di Bove (dei Cenci), 80, 85, 87
Capo di Bove (dei Leni e Mutini, Ospedale del SS.mo Salvatore ad Sancta
Sanctorum), 57, 80-84, 86, 87, 98, 155
- porta Romana, 81
Capocotta, 79
Capodiferro, 56, 57, 59, 60
Carrocceto, 78
Casal Bruciato (Settebagni), 117
Casal del Marmo, 128
Casal di Galera, v. Galera (o Acquasona)
Casal di Gallese v. Massa Gallesina
Casalrotondo,(Casale Rotondo) 101,
116
Casanuova, 101
Castagnola, (dei Caffarelli), 57, 97,
100, 121-123
Castagnola, (dei Cesarini), 100, 123
Castel di Guido, 105, 106. 112
Castel di Leva, 130
Castel Lombardo, 67, 68, 70, 76
Castell’Arcione, 120
Castelluccia, 78, 130-132
Castiglione delle Monache, 67- 71
Castiglionis, castrum, 73
Cerrone, 56-59
Chiavichetta, 60-62
Cornazzanello, 120
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Indici
-
-
-
-
Cornazzano, 88
Cortecchia, 57, 72, 121, 125
Crescenza, 79
Crocetta di Pratica, 99, 100
Due Torri, (Formello), 66
Falcognana, 131, 132
Fontignano, 104, 107, 111
Fossa, 123
Galera (o Acquasona, Casal di Galera), 57, 58, 87, 88, 90, 91, 93- 96
- Bandino, porzione, 88
- Piancoriolo, porzione, 88, 94
- S. Maria, quarticciolo, 93
Gallesina, tenuta: v. Massa Gallesina
Grotta Perfetta, 58, 121, 134
Grottoni v. Posticciola
Inviolatella v. Violatella
Isola Farnese (Isola), 58, 64-67
- Macchia, 65
- Pian Solaro, quarto, 66
- Ponte Sodo, 66
- Prato la Corte, 65
- Vignali, quarto, 66
Leprignana/Libbrignana di sopra e di
sotto, 67, 68, 70-72
Lunghezza, 55
Maccarese, 58, 73, 121, 125, 126
Macheri, Torre Rotta e Calandrella
(poi Magri), 57, 121, 124, 125
- Torre Rotta, quarto: v. Macheri,
Torre Rotta e Calandrella
Magione, (dei Savelli), 97, 99, 100
Magionetta (dei Bentivogli, Leni), 97100
Magliana, 56, 58-64
Maglianella (Pesce), (di S. Angelo in
Pescheria), 104-107, 111, 112
Magri v. Macheri, Torre Rotta e Calandrella
Malagrotta, 105, 106
Malpasso, 57, 58, 117-121
Marco Simone, 55, 58, 121, 126, 127
- villa Caesia, 127
Marmorea, 78, 83
Massa Gallesina (Casal di Gallese,
Massa alias Gallesina, Massa e Gallesina), 57, 58, 102, 104-106, 108, 112-115
-
217
Massimilla, 104, 106, 107, 111, 112, 116
Mimmoli, 128
Monachina v. Selce
Monte del Forno, 89
Monte Maria Grande, 88, 89, 91, 94
Morte, pedica/tenuta, 104, 105, 109111, 116
Muratella (fuori Porta Portese), 56, 5862
Muratella (fuori Porta S. Paolo), 97,
100, 122, 123
Palidoro, 67
Palmarola, 58, 121, 128, 129
Pesce v. Maglianella
Petronella, 78
Pian de’ Frassi, 123
- Castagnola, quarticciolo, 123
Piancimino, 122, 123
Pietra Aura, 84
Pisciarello, 56, 57, 59- 62
Piscis, 104
Ponte Galera, 63
Ponte Lamentana (Nomentano), 116,
120
Ponte Salaro, 83
Portamedaglia, 130-132
Porto, 79
Posticciola (Grottoni), 101
Prataccio, 67, 68
Pratica, 97
Primavalle, 128
Quarto di S. Savo, 89
Riotorto, 123
S. Agata, 128
S. Agnese, 120
S. Alessio, 134
S. Anastasia (Torretta o Torricella di S.
Anastasia), 58, 116, 121, 129-134, 139
S. Angelo, 67, 68
S. Biagio, 67, 68, 71
S. Broccola v. S. Procula
S. Colomba, 116
S. Gennaro, 95
S. Maria in Celsano, 92
S. Maria Nuova, 10
S. Procula (S. Broccola), (dei Massimo, Muti, Giraud, Merolli), 57, 58, 86,
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218
-
-
Indice dei luoghi
96-99, 101, 122
- Capanna, quarto, S. Procula, 94, 97
- Isoletta/Isolotta, quarto, 97, 99
- Pretara, quarto, 97, 99
- Sugareto, quarto, 99
S. Procula (S. Broccola), (dei Vittori),
97, 100
Salone, 56, 78
Selce (Monachina), 79, 106, 107, 112
Selce (fuori porta S. Paolo), 83
Sette Bassi, 78, 83
Settebagni, 117
Solforata, 97, 99, 100
Statuario, 78, 81, 83, 85
Sugareto, 100
Testa di Lepre di sopra e di sotto, 69,
71, 77
Tor Carbone, (fuori Porta Portese), 63
Tor Carbone, (fuori Porta S. Sebastiano), 81, 85
Tor Fiscale, 116
Tor Forame, 79
Tor Marancia, 134
Tor Mastorta, 79
Torre in Pietra (Torrimpietra, Torrimpreda, Torre Impietra, Torre Impreda), (dei Peretti, Falconieri), 57, 58,
64, 67-71, 73-76
- Polledrara, 77
- S. Angelo, chiesa, 70
- S. Biagio, chiesa, 70, 71
- S. Maria Maddalena, chiesa, 70
- Torretta di S. Anastasia, v. Torre in
Pietra
- Torretta, quarto, 67, 76, 77
Torre in Pietra, (dei Cenci), 67, 69-71
Torre in Pietra, (dei Massimo), 67, 68
Torrenova, 79
Torretta di S. Anastasia, v. S. Anastasia
- Torrevecchia, 128
- Torricella di S. Anastasia v. S. Anastasia
- Torricola, 101
- Tre Fontane, 121, 134
- Procoio Mattei, 134
- Tufelli, 120
- Valleranello, 84
- Violatella (Inviolatella), 118
- Vittorie, v. S. Procula (S. Broccola),
(Vittori)
Terracina, 169, 174
Tivoli
- Grotta di Nettuno, 19
- Palazzo Cesi, 127
- Porta S. Croce, 127
- territorio, 79
Todi, 51
Torino, 7
Torre in Pietra, casale, 73
Toscana, 11
Trasimeno, lago, 42
Tre Fontane, abbazia, 134, 135
Trevi, 48
Tronto, dipartimento, 18
Umbria, 51, 167
Urbino, 173
valli
- di Chiana, 48
- Comacchio, 165
- Folignale, 167
- Spoletana (Spoletina), 38, 167
- Umbra, 48, 166
Venafro, 69
Veneto, 11
Venezia, 7
Viterbo, 60, 65
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1.volume.qxp_miscellanea medicea II 05/12/14 09:23 Pagina 220
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STRUMENTI
CC
LUOGHI RITROVATI
LA COLLEZIONE I DI DISEGNI E MAPPE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (SECOLI XVI-XIX)
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO
DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI
ROMA
2014
LUOGHI RITROVATI
LA COLLEZIONE I DI DISEGNI E MAPPE
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (SECOLI XVI - XIX)
Inventario a cura di
DANIELA SINISI