di famiglia? - Associazione Luca Coscioni
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di famiglia? - Associazione Luca Coscioni
NOTIZIE RADICALI QUOTIDIANO MAGGIO 2007 AUT. TRIB. ROMA 11673 DEL 13.07.1967 - DIR. RESP. AURELIO CANDIDO VIA DI TORRE ARGENTINA, 76 00186 ROMA MENSILE DI INIZIATIVA POLITICA E NONVIOLENTA DELL’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI, PER IL CONGRESSO MONDIALE PER LA LIBERTÀ DI RICERCA POSTE ITALIANE SPA SPEDIZIONE IN A.P. D.L. 353/2003 CONV. L. 27/2/04 N°46 ART. 1 COMMA 2 DCB-ROMA STAMPE PROMOZIONALI E PROPAGANDISTICHE RACCOLTA FONDI Agenda Coscioni Anno II - N. 5 Maggio 2007 Direttore Marco Cappato Vice direttore Rocco Berardo 12-13 MAGGIO ORGOGLIO LAICO PIAZZA NAVONA, 33 ANNI DOPO MARCO CAPPATO Trentatré anni fa, il 12 e 13 maggio 1974 l'Italia si scoprì laica ed europea. Il "NO" al referendum inteso ad abrogare il divorzio spazzò via i timori di un ceto politico ansioso fino all'ultimo di evitare la consultazione popolare che - si obiettò metteva in difficoltà l’ “unità delle masse cattoliche e comuniste”, architrave degli equilibri politici del tempo. Una società nuova, fino ad allora nascosta e negata, emerse e prese coscienza - anche politica di questioni che riguardavano la libertà e responsabilità delle scelte personali ed intime degli individui. Trentatré anni dopo, dobbiamo ammettere che un errore è stato commesso nel valutare la portata di quell'evento. Certamente si trattò di una svolta epocale per la società e per la politica italiana e tuttavia, contro le speranze e le attese, non fu l'inizio di un processo irreversibile. Dopo il divorzio legale arrivò l'aborto legale; ma la Corte Costituzionale e la partitocrazia impedirono la vittoria, che a quel punto sembrava a portata di mano, dell'abolizione del Concordato. Si avviò invece un processo di controriforma interna ad una Chiesa in cerca di rivincita, che soltanto molti anni più tardi riaffiorò sulla superficie della vita politica. Trentatre anni dopo - oggi - i vertici ecclesiastici, dal pulpito delle chiese, possono incitare impunemente i fedeli a boicottare le urne aperte per un referendum di civiltà, arrivano a paragonare una umana legislazione su aborto ed eutanasia al terrorismo, identificano nella libertà di coscienza il nemico da battere, chiamano a raccolta contro la modernità i fondamentalisti di ogni fede. Il governo di centrosinistra - non trova, per ora, una maggioranza nemmeno su un pallido tentativo di riconoscimento di "famiglie" che non siano quelle unite nel vincolo del matrimonio sacralizzato (anche quando "civile"). L'opposizione strizza sor- nionamente l’occhio al Vaticano, avendo a sua volta espulso o marginalizzato ogni componente di sapore liberale. Gli sconfitti del 1974 sentono il profumo della rivincita e convocano proprio per il 12 maggio, a Piazza San Giovanni, l’appuntamento per il loro “family day”. Lo hanno concepito come una definitiva prova di forza del clericalismo montante. Hanno per questo scelto la piazza da sempre utilizzata dalla sinistra ufficiale, che vi ha convocato ilsuo "popolo" per i motivi più diversi ma MAI su obiettivi di libertà civili e laiche: la piazza “progressista” diventa continua a pagina 2 AUTODETERMINAZIONE Processo Welby, Caso Nuvoli, interventi di Mario Riccio, Federico Orlando, Furio Colombo FAMIGLIA 4 9 Speciale su “Il mito della famiglia naturale: la rivoluzione del amore civile” 13 28 5x1000 - 8x1000 Inserto: Manuale di resistenza fiscale per la tua dichiarazione dei rediti. all’ interno 2 12-13 MAGGIO . ORGOGLIO LAICO segue dalla prima l’umiliato emblema della diserzione che ha consentito alla controriforma di tornare a dettare la sua legge. Trentatré anni dopo, il 12 e 13 maggio, l'appuntamento per i laici di destra, di centro e di sinistra deve dunque essere ancora una volta - a Piazza Navona, la piazza dove Marco Pannella salutò le nonne e le mamme cattoliche, i tanti elettori democristiani e missini, i dissenzienti dalle sinistre ufficiali che avevano reso possibile la vittoria divorzista. È l’appuntamento dell’orgoglio laico, per la riaffermazione di obiettivi che possono - e devono - tornare ad essere vincenti in sintonia con quanto accade nelle società civili del mondo. E’ stato convocato - in onorata, difficilissima povertà - da quella “Rosa nel Pugno” che in tanti vorrebbero seppellire, magari anche per quel duro, essenziale richiamo al Loris Fortuna di ieri accanto al Blair e allo Zapatero di oggi. Ma questa è un'altra storia, che ci auguriamo lunga. Intanto, arrivederci a Piazza Navona, per un altro “NO” all’oscurantismo fondamentalista. ROSA NEL PUGNO, SDI, E PARTITO RADICALE INDICONO LA CELEBRAZIONE DEL 33O ANNIVERSARIO DELLA GRANDE VITTORIA CIVILE RIPORTATA IL 12/13 MAGGIO 1974 DAL POPOLO ITALIANO CON IL REFERENDUM CHE RESPINSE LA RICHIESTA DI ABROGARE LA LEGGE FORTUNA BASLINI ISTITUTIVA DEL DIVORZIO. SECONDO TRADIZIONE, COMIZIO E CONCERTO ROMANI SI TERRANNO A PIAZZA NAVONA. PREPARIAMOLO E PREPARIAMOCI. Un importante Convegno di carattere culturale e scientifico, curato in particolare dall'Associazione Luca Coscioni, si terrà nella stessa occasione sul tema "Il mito della famiglia naturale: la rivoluzione dell'amore civile". Il Convegno rifletterà e discuterà così sugli stessi temi che a Piazza San Giovanni vedrà intanto radunati per il Family Day gli eredi della parte sconfitta del 1974. Rivolgiamo un caldo invito e un urgente appello per un’immediata costituzione del "COMITATO DI PATROCINIO E DI ORGANIZZAZIONE" aperto a tutte le grandi organizzazioni politiche, sociali, culturali, alle personalità istituzionali, politiche, della cultura e delle arti, che siano d'accordo e per fare celebrare il trionfo laico e divorzista del 1974 con un alto momento di fierezza e di orgoglio dei laici e democratici italiani. Organizzare, improvvisare in pochissimo tempo questa grande manifestazione di Piazza Navona, per tornare a farne anche un grande evento popolare, è certo impresa molto difficile. Tanto quanto, promuovere e organizzare ora il contributo e la effettiva partecipazione di tutte, di tutti, mentre un’altra Italia sta di già godendo delle poderose promozioni che ben conosciamo e constatiamo. Sta di nuovo, dunque, a noi, come oltre trenta anni fa, di dare la misura e la conferma del persistere della forza civile del nostro paese e del nostro popolo. Enrico Boselli Marco Pannella [email protected] Dal sì al divorz laicità: la ricer HANNO ACCETATTO DI ENTRARE A FAR PARTE DEL “COMITATO DI PATROCINIO ORGANIZZATIVO” DELLA GIORNATA DI ORGOGLIO LAICO: Bruno Azzerboni, Professore straordinario di Elettrotecnica, Università di Messina; Carlo Bastianelli, Ricercatore, Dipartimento di Ginecologia, Università di Roma La Sapienza; Pierangiolo Berrettoni, Professore ordinario di Linguistica generale, Università di Pisa; Giuseppe Boccignone, Professore associato di Fondamenti di informatica, Università di Salerno; Diego Brancaccio, Professore ordinario di Nefrologia, Università di Milano; Claudio Brancolini, Professore associato di Biologia applicata, Dipartimento di Scienze tecnologie biomediche, Università di Udine; Gianluigi Bravo, Professore ordinario di Antropologia culturale, Università di Torino; Dino Bozzetti, Professore associato di Storia della filosofia medioevale, Università di Bologna; Riccardo Campa, Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica, Università di Cracovia; Davide Caramella, Professore associato di Radiologia Università di Pisa; Giovanni Cicciotti, Professore ordinario di Struttura della materia, Università di Roma La Sapienza; Maurizio Cocucci, Professore ordinario di Biochimica agraria, Università di Milano; Cristiano Codagnone, Docente al Dipartimento di Studi sociali e politici, Università di Milano; Gilberto Corbellini, Professore ordinario di Storia della Medicina, Università di Roma La Sapienza; Daniele Cusi, Professore ordinario di Nefrologia, Direttore della Cattedra e Scuola di Specializzazione in Nefrologia,Università di Milano; Roberto Defez, Ricercatore, Istituto internazionale di genetica e biofisica, CNR, Napoli; Giuseppina Del Signore, Ricercatrice ENEA; Loretta Del Tutto, Professoressa di Linguistica generale, Università di Urbino; Francesco Dessi, Professore ordinario di Etologia, Università di Firenze; Antonio Di Grado, Professore ordinario di Letteratura italiana, Università di Catania; Giorgio Fanò, Professore ordinario di Fisiologia, facoltà di Medicina e Chirurgia, Chieti-Pescara; Antonio Flamini, Professore ordinario di Diritto dei trasporti, facoltà di Giurisprudenza, Università di Camerino; Antonino Forabosco, Professore di Genetica medica, Università di Modena e Reggio Emilia; Fulvio Gandolfi, Professore di Istologia e anatomia degli animali domestici, Università di Milano; Achille Guidoni, già Professore ordinario di Genetica, Università dell’Insubria Varese; Giacomo Ghiringhelli, Professore associato di Fisica Sperimentale, Politecnico di Milano; Angelo Gilio, Professore ordinario di Calcolo delle probabilità, Università di Roma “La Sapienza”; Mario Gilli, Dipartimento di Economia, Università di MilanoBicocca; Guido Gosso, Professore ordinario di Geologia, Dipartimento di scienze della terra “A. Desio”, Università di Milano; Cesare Greco, Professore associato di Cardiologia, Università di Roma La Sapienza; Massimo Grossi, Professore associato di Analisi matematica, Università di Roma “La Sapienza”; Yuri Guaiana, Docente di Storia contemporanea, Università di Milano Bicocca; Margherita Hack, Professore Emerito di Astrofisica, Soccio Nazionale dell’Accademia dei Lincei; Antonio Longinelli, Professore ordinario di Geochimica, Università di Parma; Giulio Maier, Professore ordina- . 12-13 MAGGIO ORGOGLIO LAICO IL SIGNIFICATO DI UN ANNIVERSARIO DIEGO GALLI zio al sì per la rca si mobilita rio di Ingegneria civile e ambientale, Politecnico di Milano; Fabio Maniscalco, Docente di Tutela e valorizzazione dei beni culturali in aree mediterranee, Università di Napoli L’Orientale; Fabio Marazzi, Professore di Aspetti giuridici dell’integrazione europea, Esperto in Diritto internazionale e societario, in particolare nell’ambito delle Telecomunicazioni e Biotecnologie, Università di Bergamo; Cristiana Marcuzzo, Direttore del Dipartimento di Scienze economiche Università di Roma La Sapienza; Loredana Mariniello, Professore associato di Biochimica, Università di Napoli, Federico II; Alberto Martinelli, Professore ordinario di Scienze politiche, Università di Milano; Pietro Maturi, Professore di Linguistica italiana, facoltà di Sociologia,Università di Napoli “Federico II”; Gabriele Milanesi, Professore del Dipartimento di Medicina-chirurgia e Odontoiatria, Università di Milano; Cesare Montecucco, Professore ordinario di Patologia generale, Facoltà di Scienze MFN, Università di Padova; Monica Mottes, Professore associato di Biologia, Università di Verona; Michela Muscettola, Professore associato, Istituto di Fisiologia Generale e Scienza dell’Alimentazione, Università di Siena; Demetrio Neri, Professore ordinario di Bioetica,Vice-Presidente del Comitato nazionale per la Bioetica, Università di Messina; Antonio Pasini, Professore ordinario di Geometria, Università di Siena; Gianfranco Pasquino, Professore ordinario di Scienze politiche, Condirettore “Rivista italiana di Scienza Politica”, Università di Bologna; Luciano Pilotti, Professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Università di Milano; Enrico Predazzi, Professore ordinario Dip.to Fisica Teorica, Università di Torino; Silvano Presciuttini, ricercatore universitario di Genetica, Università di Pisa; Silvano Romano, Professore associato, Dipartimento di Scienze Matematiche, Pavia; Gino Roncaglia, Ricercatore, Istituto di Scienze umane, Università della Tuscia; Paola Ronfani, Professore Ordinario di Sociologia del Diritto, Milano; Massimiliano Zavorra, Professore associato di Storia dell’architettura, Università del Molise; Romano Scozzafava, Direttore Dipartimento Metodi e modelli matematici, ordinario di Calcolo delle probabilità, Università di Roma La Sapienza; Franco Seller, Professore ordinario, Dipartimento di Fisica, Università di Bari; Andrea Severi, Professore facoltà di Economia, Università di Roma Tre; Alfio Signorelli, Facoltà di Lettere, Presidente del corso di studio in Storia e culture del mondo moderno, Università dell’Aquila; Luca Sineo, Professore straordinario di Antropologia, Università di Palermo; Piergiorgio Strata, Direttore del “Rita Levi Montalcini Center for Brain Repair”, Professore ordinario di Neurofisiologia, Università di Torino; Lorenzo Strik Lievers, Ricercatore Scienze della formazione, Università di Milano-Bicocca; Carlo Tarsitani, Professore associato di Fisica, Università di Roma; Mario Telo, Université libre de Bruxelles, Institut d’études européennes, Bruxelles; Massimo Deodori, già Professore di Scienze Politiche, Università di Perugia; Carlo Triario, Ricercatore universitario, Università di Firenze; Riccardo Viale, Professore ordinario di Metodologia delle scienze sociali, Presidente Fondazione Rosselli, Università di MilanoBicocca; Paolo Villani, Professore ordinario di Ingegneria civile, Università di Napoli L’Orientale; Francesco Violi, Professore ordinario Medicina interna, Università di Roma La Sapienza Il 12 maggio è una ricorrenza importante per le famiglie italiane. Si tratta dell'anniversario del referendum sul divorzio, giorno in cui gli italiani sancirono con il loro voto il principio per cui a fondamento della famiglia doveva esserci una libera scelta di amore e non un'imposizione di legge. La famiglia cessava allora di rappresentare per lo stato un interesse superiore a quello degli individui che la compongono. A quella vittoria laica contribuirono in modo determinante milioni di elettori cattolici, senza il cui voto, espresso in contrasto con le indicazioni del Vaticano, non sarebbe stato possibile raggiungere la maggioranza favorevole al divorzio. L'approvazione referendaria del divorzio nel 1974 provocò altre conquiste civili che determinarono in pochi anni una vera e propria rivoluzione politica, culturale e sociale. La riforma del diritto di famiglia, che sanciva finalmente l'eguaglianza giuridica tra i coniugi, fu approvata dal parlamento l'anno successivo, nel 1975. Nel 1978 il Parlamento depenalizzava l'interruzione volontaria di gravidanza sotto la spinta delle disobbedienze civili e del referendum promosso dai radicali. Sempre in quegli anni, mutavano profondamente i comportamenti riproduttivi degli italiani. L'affermarsi della maternità e paternità responsabile si manifestò in modo evidente con il calo delle nascite, che proprio nell'anno del referendum sul divorzio subì un'accelerazione epocale. Quella stagione di grandi conquiste civili e sociali ha contribuito a determinare anche nel nostro paese mutamenti profondi nei costumi e nella mentalità. Una delle più grandi conquiste dei movimenti di liberazione sessuale e femminile, è stata la scissione tra sessualità e riproduzione. La famiglia oggi non è più fondata sulla riproduzione, a prescindere dal riconoscimento o meno delle unioni omosessuali. Dal 1975 ad oggi si è passati da 2,4 a 1,2 figli per donna, dato che rende l'Italia il Paese con il più basso tasso di natalità al mondo. La dimensione media della famiglia è scesa da 3,35 a 2,6 componenti. Il risultato è che soltanto il 43% della famiglie italiane è rappresentato oggi da genitori con figli. La bassa natalità non rappresenta di per sé un segno di progresso sociale. In Italia, anzi, è uno dei segni più evidenti dell'incertezza economica in cui vivono milioni di persone, dell'assenza di adeguati servizi sociali e di una ancora non conquistata parità tra uomo e donna nella conduzione della vita familiare e nella partecipazione al lavoro. Tuttavia, è anche il segnale più evidente della trasformazione antropologica subita dalla famiglia, la quale non trova più fondamento nella necessità biologica della riproduzione, ma nella qualità delle relazioni affettive e nella condivisione dell'intimità. La stessa etimologia della parola famiglia, dall'italico famel, che significa "casa", rimanda a una dimensione relazione e non biologica o riproduttiva: la casa, il luogo dove stare, dove convivere. La famiglia considerata come naturale, quella eterosessuale, mononucleare, con figli, rappresenta soltanto una delle forme assunte dalla famiglia nella storia dell'umanità, e oggi nella società contemporanea. Il concetto di famiglia naturale disconosce le conquiste affettive di milioni di persone, e rischia di racchiudere anche la realtà della famiglia tradizionale, e delle sfide che deve affrontare quotidianamente, negli stretti confini di una scontata normalità. Il riconoscimento delle unioni civili rappresenta un provvedimento che porterebbe a compimento la rivoluzione culturale avvita con l'approvazione del divorzio. Ma si tratta soprattutto di un provvedimento a favore della coesione della società. Nel momento in cui consentiamo di regolamentare legami, infatti, consentiamo alle persone di assumersi responsabilità, in particolare responsabilità degli altri. Dobbiamo affermare con forza il principio per cui occorre che le famiglie si fondino sempre più non su una definizione astratta e ideologica com'è quella di famiglia naturale, utilizzata per legittimare politiche di stampo fondamentalista e oppressivo, ma sul dialogo, sullo sviluppo delle qualità relazionali ed emotive, sulla parità a prescindere dal sesso, sulle forme plurali che le relazioni affettive assumono per conciliare l'amore con l'imprescindibile autonomia e libertà degli individui che lo animano e gli danno corpo. Il riconoscimento delle unioni civili, delle unioni tra omosessuali, il compimento della vittoria del referendum sul divorzio con l'accorciamento dei tempi necessari ad ottenerlo, rappresentano conquiste civili da assicurare alle famiglie italiane, per rispettare la loro verità, e difendere l'inalienabile libertà individuale anche nel campo, fondamentale per la realizzazione personale e morale, delle scelte affettive. All’interno uno speciale sul “mito della famiglia naturale” 3 PROGRAMMA PROVVISORIO 10.00- 10.30 Presentazione dell’evento Introduce i lavori Lord Anthony Giddens* già Direttore della London School of Economics Messaggio video * da confermare 10.45-13.30 Interventi Attualità della battaglia sul divorzio Gianfranco Spadaccia Garante per i detenuti del Comune di Roma, già segretario del Partito radicale Rapporti affettivi e coesione sociale Piergiorgio Donatelli Docente di Bioetica, Università La Sapienza di Roma La trasformazione della famiglia italiana Anna Laura Zanatta Docente di Sociologia della Famiglia, Università La Sapienza di Roma Diverse normalità Laura Fruggeri Docente di Psicologia delle Relazioni Familiari La rivoluzione dell’amore civile nei rapporti di coppia Enrichetta Buchli Psicanalista, autrice del libro “Il mito dell’amore fatale" La democrazia dell’amore Mario Patrono Professore di Diritto pubblico, Università “La Sapienza” Conclusioni Marco Pannella Membro del Parlamento europeo, Gruppo ALDE La sala dove si terrà il Convegno verrà comunicata sul sito www.lucacoscioni.it per partecipare chiama lo 06.68979286 o scrivi a: [email protected] 4 AUTODETERMINAZIONE ! CASO NUVOLI NUVOLI: "HO TROVATO IL MEDICO, VOGLIO MORIRE SENZA SOFFRIRE" Nel pomeriggio del 24 aprile scorso la conferenza stampa dell'ex arbitro di 53 anni che da sette combatte con la sclerosi. Alto un metro e 83, pesa 20 chili LA REPUBBLICA 24 aprile 2007 "Non ho mai cambiato idea e voglio morire senza soffrire, addormentato. Abbiamo già trovato il medico". Lo ha detto Giovanni Nuvoli, l'ex arbitro di 53 anni affetto da sei anni dalla sclerosi laterale amiotrofica. L'uomo, presentato come un "nuovo caso Welby", ha ribadito la sua volontà - utilizzando il sintetizzatore vocale - dal letto della sua abitazione. Nuvoli ha convocato nel pomeriggio (del 24 aprile scorso, ndr) i giornalisti nella sua casa alla periferia di Alghero per annunciare la sua volontà di morire. Dopo 14 mesi trascorsi nel reparto di rianimazione dell'ospedale civile Santissima Annunziata di Sassari, il 6 aprile scorso Nuvoli aveva fatto rientro nella sua abitazione dove è assistito da medici, infermieri e volontari. Nuvoli ha parlato dal suo letto con il sintetizzatore. L'ex arbitro ha 53 anni, è alto un metro e 85 e pesa venti chili. Il resto è stato consumato in sette anni dalla sclerosi laterale amiotrofica. E lui ha deciso da febbraio che quel mucchio di ossa costretto in un letto, gli occhi che spuntano fuori da un viso che ha perso ogni contorno, un tubo che esce dal collo, "è un involucro che non riconosco più come mio corpo". Il 7 aprile, come si legge sul sito a lui dedicato, Nuvoli ha racconta la sua vicenda umana e clinica. "Se l'embrione non può essere manipolato dall'uomo, perché allora l'uomo adulto può essere manipolato dagli uomini? Il 4 gennaio mi fu pronosticata una morte entro pochi giorni se avessi rifiutato i farmaci contro le infezioni. È passato un mese, le infezioni ci sono e la somministrazione è stata sospesa: ma io sono vivo, se vita si può chiamare questa mia permanenza in un involucro che non riconosco più come il mio corpo. Questo accanimento nel tenermi in vita mi sembra assurdo, ipocrita, inutile. E non economico, anche da un punto di vista cattolico. Papa Wojtyla rifiutò altre cure e chiese "lasciatemi morire". Ho chiesto al primario Demetrio Vidili un intervento come quello effettuato da Mario Riccio su Welby: interruzione di ogni terapia. Mi ha risposto che lui non è un assassino. Chi mi uccide non sarebbe il medico, ma la sclerosi laterale amiotrofica. I medici, poiché consapevoli di non essere padreterni, devono saper accettare la morte. Non come sconfitta professionale, ma come fatto naturale". Nuvoli, parlando con i giornalisti, vicino agli infermieri e di fronte alla moglie, ha annunciato che, finalmente, quel medico è stato trovato. Si è poi rifiutato di rivelarne il nome. Si sta profilando un altro caso Welby? Una conferenza stampa per annunciare la morte? Di sicuro da Natale, quando Piergiorgio Welby fu prima sedato e poi distaccato dalle macchine che lo tenevano in vita, il ddl sul testamento bioetico non ha fatto mezzo passo avanti in Commissione Sanità. Il dottor Riccio è stato di recente indagato dalla procura di Roma per il reato di omicidio del consenziente. Dal fronte Radicale parlano Silvio Viale, membro della direzione della Rosa nel Pugno e l'europarlamentare e segretario della Associazione Coscioni Marco Cappato. "Non possiamo negare a Nuvoli ciò che si è fatti per Welby" scrive Viale in una nota. E Marco Cappato, da Bruxelles: "Si rispetti la volontà di Nuvoli senza ulteriori torture". E la volontà dell'ex arbitro è quella di morire. RISPETTARE LA VOLONTÀ DI NUVOLI, CONTRO TORTURATORI, AGUZZINI E VIOLENTATORI DEL SUO CORPO MARCO CAPPATO Questo accanimento nel tenermi in vita mi sembra assurdo, ipocrita, inutile Giovanni Nuvoli ha parlato. Si è espresso "parlando con gli occhi" grazie a quel sistema informatico che, come radicali dell'Associazione Coscioni, chiediamo da anni sia messo a disposizione di tutte le persone in quelle condizioni. È, senza dubbio, anche grazie a Nuvoli, dopo Luca Coscioni e Piergiorgio Welby, se il Ministro Livia Turco si è impegnato a investire 10 milioni di euro per ridare la facoltà di parola a chi l'ha perduta. Giovanni Nuvoli ha detto ciò che aveva da dire. Abbiamo fatto il possibile per aiutare affinché la condizione nella quale era stato recluso per un anno - in terapia intensiva, con un'ora di visite al giorno e senza computer - fosse urgentemente superata. Ora però Nuvoli, da casa sua e con la sua "voce", ha confermato che vuole sospendere il trattamento che lo mantiene in vita, e che vuole farlo senza soffrire. È un suo diritto, garantito dalla Costituzione. Vorremmo davvero che non si aprisse ora il festival di chi, in nome della "Vita", vorrà che la vita di Nuvoli, il suo corpo ridotto a uno scheletro, continuino ad essere torturati per mesi. Purtroppo quel festival di aguzzini e violentatori del corpo e della persona Giovanni Nuvoli si scateneranno ancora una volta, scandalizzandosi a reti unificate contro "l'accanimento mediatico" radicale, o altre idiozie di questo tipo. Per quanto mi riguarda - anche a nome dell'Associazione Luca Coscioni, il Partito radicale e gli altri soggetti radicali posso solo confermare l'impegno ad aiutare Giovanni Nuvoli e ad esigere che lo Stato italiano lo rispetti come soggetto titolare di diritti, impedendo che sia invece trattato come oggetto e vittima di deliri ideologici. AUTODETERMINAZIONE ! CASO NUVOLI 5 IL TRIBUNALE DELLE COSCIENZE Un gruppo di Senatori propone che un comitato bioetico sia depositario “unico” e “ultimo” della volontà di Nuvoli Vi proponiamo alcuni stralci della relazione approvata dalla commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale del 4 aprile 2007. Al centro dell’attenzione il sopralluogo svolto il 9 marzo in provincia di Sassari all’ospedale in cui allora era ricoverato Giovanni Nuvoli. Nello scorso numero di Agenda Coscioni ci siamo soffermati sulla scelta vaticana di far decidere ad una macchina sulla fine della vita degli esseri umani (“Deus est machina?”). Ora il Senato della Repubblica propone “all’Azienda sanitaria in accordo con il Comune di residenza e con la Procura competente l’istituzione di un Comitato territoriale di bioetica depositario unico ed ultimo delle volontà del paziente”. ”Il sopralluogo e le audizioni sono avvenute nell’ambito del filone di inchiesta sui coma neurovegetativi, sull’assistenza domiciliare ed il Servizio sanitario nazionale nelle diverse realtà regionali e hanno contribuito a fare chiarezza sulle modalità di assistenza previste in regione Sardegna per casi di malattie croniche progressive. In particolare l’attenzione si è concentrata sulla storia clinica e umana del signor Giovanni Nuvoli affetto da sclerosi laterale amiotrofica, ricoverato da lungo tempo presso il reparto di anestesia e rianimazione dell’ospedale di Sassari. La preoccupazione che qui viene espressa è quindi relativa alla tutela della piena libertà delle volontà espresse dal paziente da una parte, e all’adeguatezza della continuità assistenziale anche a domicilio dall’altra. Bisogna infatti sicuramente tutelare la volontà, ma anche la sicurezza del paziente che ha chiesto ripetutamente di poter tornare a casa proseguendo le terapie necessarie alla sopravvivenza. […] È necessario inoltre ricordare che, sebbene il paziente sia stato riconosciuto capace d'intendere e di volere, egli abbia manifestato, soprattutto nel corso dell’ultimo anno, un atteggiamento oscillante circa la volontà di prosecuzione delle cure o interruzione, causato altresì da possibili condizionamenti esterni alla sua libera volontà, verosimilmente anche di tipo mediatico. […] Per quanto riguarda, invece, la garanzia dell’espressione delle volontà del signor Nuvoli e la tutela di manifestazione della sua libertà di autodeterminazione terapeutica, che non deve essere minata, si suggerisce, sempre all’Azienda sanitaria in accordo con il Comune di residenza e con la Procura competente l’istituzione di un Comitato territoriale di bioetica depositario unico ed ultimo delle volontà del paziente. Si propone che tale Comitato sia presieduto dal sostituto procuratore detentore dell’inchiesta”. “o SUL TESTAMENTO BIOLOGICO L’ULTIMA PAROLA SPETTA AL PAZIENTE IGNAZIO MARINO* Corriere della Sera, 7 aprile 2007 Caro direttore, ho letto l'intervista sul Corriere dell'ex presidente del Comitato nazionale di bioetica (Cnb) a proposito del testamento biologico. Conosco molto bene il documento sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento” che, nel 2003, è stato approvato dal Cnb. Quel testo e stato preso in considerazione dalla Commissione sanità del Senato, che presiedo, come punto di partenza per iniziare un percorso di dialogo e confronto che è maturato in questi mesi. Alcuni disegni di legge, attualmente all'esame della Commissione, ne rispecchiano i principi, in particolare il ddl 773. Personalmente trovo che in tale documento ci siano alcuni aspetti validi e molto utili, ed altri che non condivido pienamente. Non concordo, infatti, con l'idea che spetti al medico l'ultima parola in merito alle terapie che vanno somministrate a un paziente nelle fasi terminali della sua vita, quando esiste un testamento biologico. Che senso ha scrivere un documento in cui indichiamo le nostre volontà se poi, alla fine, è comunque il medico a decidere per noi? E poi quale medico vorrebbe questa responsabilità? Mi sembra, inoltre, inopportuno af- fermare che il documento del Cnb e stato “disatteso” e che l'ex presidente si aspettava che “saremmo partiti da quello e lo avremmo trasformato in legge”. Penso che il compito del Parlamento, soprattutto quando affronta temi eticamente sensibili, sia quello di procedere in maniera indipendente pur avvalendosi del prezioso contributo di esperti, come certamente sono i membri del Cnb, per avviare un confronto e un dialogo costruttivo fra le diverse parti politiche. Inoltre, mi preme sottolineare che il Parlamento non si è bloccato dopo il 2003, come dice D'Agostino. Tutt'altro. Siamo ripartiti da un disegno di legge che nella scorsa legislatura, il 17 luglio 2005, era stato votato all'unanimità dalla Commissione sanità del Senato, ma che non era mal stato portato in Aula. Abbiamo continuato il lavoro con 40 audizioni condotte in questi mesi che hanno permesso di approfondire aspetti che rischiavano di essere sottovalutati. Io stesso, inizialmente, avevo ipotizzato l'obbligatorietà del testamento biologico perché, attraverso la mia lunga esperienza come chirurgo negli Usa, molte volte mi è capitato di ascoltare i familiari di pazienti mantenuti artificialmente in vita che, tra sofferenza e rimpianto, avrebbero voluto che il loro caro si fosse espresso, quando ancora ne aveva le capacità. Ho rivalutato questa mia considerazione. In effetti, l'obbligatorietà potrebbe limitare la libertà individuale, concetto che ribadirò quando arriveremo nel pieno della discus- CONFRONTO COL PROF. D’AGOSTINO Il testamento biologico? Per il Prof. D’Agostino è cosa buona e giusta introdurre una legge che ammetta la possibilità di esprimere direttive anticipate sulle scelte di fine vita, ma a condizione “che il medico, destinatario delle dichiarazioni anticipate, pur avendo il dovere di tenerle in adeguata e seria considerazione, non venga mai dalla legge vincolato alla loro osservanza” (Avvenire, 6 aprile 2007). Il testamento biologico come “esercizio di stile” del paziente dunque. Per il Presidente onorario del Comitato Nazionale di Bioetica, editorialista del quotidiano della CEI, è “naturale” l’irrigidimento della chiesa in materia, visto che “negli otto disegni di legge depositati in Parlamento, infatti, ci sono delle fughe in avanti rispetto al documento che avevamo approvato noi. Fughe, sinceramente, non previste”. Tra i punti caldi, D’Agostino ne individua tre in particolare: “Il primo: la figura del medico in molti disegni di legge viene vincolata a rispettare la volontà del paziente in modo quasi meccanico, il che è gravissimo perché umilia la deontologia professionale. Il secondo e più problematico: si vuole far rientrare l'alimentazione e l'idratazione tra le cure mediche e quindi sindacabili da parte del paziente. E l'ultima faccenda è che oramai sempre più spesso sono intrecciate le questioni legate al caso Welby a quelle del testamento biologico. E per me è chiaro che c'è un tentativo mediatico di confondere le idee perché, anche se ci fosse stato il testamento biologico, non avrebbe aiutato Welby. Purtroppo anche Ignazio Marino è cascato in questa trappola” (intervista al Corriere della Sera, 5 aprile 2007). A queste esternazioni ha risposto Ignazio Marino con una lettera inviata allo stesso quotidiano di Via Solferino. Presidente onorario del Comitato Nazionale di Bioetica sione. Infine, non vorrei sembrare arrogante né presuntuoso, ma posso tranquillamente affermare di non essere caduto in alcuna “trappola” perché conosco molto bene la differenza fra autodeterminazione del paziente rispetto alle cure, come nella drammatica vicenda di Piergiorgio Welby, e testamento biologico. Questo perché, negli anni, ho dovuto confrontarmi con pazienti terminali che esercitavano le proprie volontà dal letto d'ospedale ma anche con altri, in coma irreversibile, che avevano sottoscritto un testamento biologico. Questi ultimi, grazie a una legge che in Italia ancora non c'e, hanno potuto rifiutare terapie utili solo a prolungare agonia e sofferenze. Il Convegno del 28 e 29 marzo, promosso dal presidente del Senato, ha permesso di ascoltare esperti italiani e stranieri che hanno illustrato gli aspetti tecnico-scientifici e l'approccio etico delle principali religioni monoteiste. Quando si affrontano gli aspetti pratici e più delicati legati alle decisioni di fine vita e alla sofferenza del malato, credo sia opportuno che a parlarne non siano solo gli intellettuali dal punto di vista teorico, ma anche chi, con questi pazienti, ha un'esperienza personale e diretta. * Presidente Commissione Sanità del Senato 6 AUTODETERMINAZIONE : L’AUDIZIONE RICCIO: AUTODETERMINAZIONE DEL PAZIENTE SENZA BUROCRATISMI Audizione del medico di Cremona alla Camera dei Deputati: sull’accanimento terapeutico l’ultima parola va al singolo individuo MARIO RICCIO* Riguardo alla tematica di cui all’oggetto (tutela della dignità e della volontà della persona umana nelle patologie incurabili e terminali, anche con riferimento al tema dell’eutanasia, n.d.R.), ho ritenuto utile riportare un sintetico elenco, sviluppato con le mie personali riflessioni, delle principali problematiche coinvolte nell’attuale dibattito bioetico. Assistenza al paziente ed alla famiglia. Quando si trattano le problematiche di fine vita, è assolutamente necessario considerare anche gli aspetti assistenziali del paziente e della sua famiglia. Queste sono tematiche di indubbio interesse che sicuramente un Servizio Sanitario adeguato agli standard più avanzati,come quello italiano, non può trascurare. In Italia peraltro esistono già eccellenti modelli organizzativi. Pertanto non mancano certo esempi ai quali anche le regioni che non hanno compiutamente provveduto alla creazione di modelli organizzativi possano ispirarsi. Ovviamente questo problema è però interamente dipendente non solo dalla disponibilità delle risorse economiche, ma anche dall’individuazione delle priorità. Essendo le patologie croniche – degenerative in aumento in relazione all’allungamento della vita media,dovranno trovare una logica risposta nei preventivi di spesa delle singole regioni. E’ da chiarire però che anche la migliore assistenza al paziente ed alla famiglia non è da intendersi come alternativa,sostitutiva o risolutiva delle altre problematiche ed in particolare della libera scelta del paziente che nessuna valutazione terza potrà porre in dubbio. Per quanto attiene al cosiddetto abbandono terapeutico che si praticherebbe nelle strutture sanitarie; oggi credo che il vero problema sia piuttosto un eccesso di terapia nelle strutture sanitarie. Non fosse altro per il radicato timore da parte della classe medica del sopravvenire di problematiche medico – legali. Quando poi non vi siano vere e proprie convinzioni ideologiche che portano al vitalismo più sfrenato nell’assoluta mancanza di rispetto delle volontà del paziente Rapporto medico–paziente. Deve essere chiarito che va distinto il rapporto che si può creare nell’ambito privato-diretto da quello che si instaura nel corso di un ricovero in una qualsiasi struttura sanitaria. Nel primo caso il rapporto si concretizza correttamente se libero da vincoli di sorta. Pertanto deve essere accettato da entrambe le parti. Le quali possono interrompere unilateralmente tale rapporto quando lo ritengano opportuno. Nel caso che sia il medico ad interrompere il rapporto, anche per la presenza di una patologia non di sua competenza, questi deve fornire indicazioni al paziente riguardo a chi potrà rivolgersi, medico o struttura, per il proseguimento dell’iter diagnostico–terapeutico. Il rapporto è fondato non tanto su una relazione temporale,ma sulla piena conoscenza da parte del sanitario del caso clinico, sulla massima correttezza nell’informazione della diagnosi,delle varie possibilità terapeutiche,concretamente praticabili, e della prognosi. Guidata dalla cosi detta EBM (Evidence Based Medicine), cioè dalla pratica della medicina basata sull’evidenza scientifica .Il paziente, adulto e in grado di intendere e volere (competent nell’accezione anglosassone), aiuterà il medico fornendogli ogni particolare richiesto sulla sua patologia e dando prova di aver compreso quanto gli viene spiegato. Informazione al paziente. Come già riportato, questa deve essere completa e chiara, riferita al solo paziente e/o soltanto a chi da lui eventualmente indicato. L’informazione deve essere intesa come uno dei diritti fondamentali del paziente stesso e non come una pratica accessoria. Indispensabile per dare validità, giuridica ed etica, al consenso/rifiuto della terapia Consenso/rifiuto alle terapie, l’autodeterminazione. Il paziente può rifiutare di intraprendere, sospendere anche se già iniziate, o accettare le terapie propostegli. Tale principio deve essere esteso a ogni trattamento terapeutico. Il principio di autodeterminazione del paziente deve infatti essere inteso in maniera estensiva. L’autodeterminazione del paziente rispetto alle terapie non deve però essere considerato come un automatismo verso un ipotetico diritto all’eutanasia, come sarà spiegato meglio più avanti. Per quanto riguarda la pratica della sospensione della terapia, va specificato che è eticamente e clinicamente più corretto iniziare e poi sospendere una terapia (qualora se ne ravvisi l’inefficacia clinica o sopraggiunga solo in un secondo momento il rifiuto del paziente perché inizialmente non competent ) piuttosto che decidere di non intraprenderla. Spesso è proprio l’intraprendere alcune terapie che permette al paziente di ritornare nello stato di competent, necessario per poi decidere sul suo futuro. Ad esempio l’insufficienza respiratoria acuta grave può portare allo stato di coma carbonarcotico che sarà risolto con la ventilazione meccanica. Anche in certe condizioni di insufficienza renale acuta o riacutizzazione di quella cronica, la dialisi risolve il coma cosiddetto uremico. Alcune patologie neurologiche, anche di natura neoplastica, possono esordire con stati di coma. Trattati adeguatamente i quali,il paziente – ritornato competent – potrà assumere decisioni in merito al proseguimento della terapia. Pertanto l’iniziare un percorso terapeuti- Oggi il vero problema è un eccesso di terapia nelle strutture sanitarie co, non deve necessariamente obbligare a concluderlo.Si potranno sempre porre infatti degli obbiettivi tempo-correlati o risultato-correlati. La tesi che una terapia se instaurata non possa essere sospesa o limitata non è giuridicamente sostenibile ed è eticamente presente come concetto solo nei paesi mediterranei. La possibilità di stilare per legge un elenco di terapie non rifiutabili dal paziente, è improponibile giuridicamente ed eticamente. La distinzione che è stata proposta tra cura e terapia, comprendendo nella cura una serie di terapie che dovrebbero essere pertanto irrinunciabili (ventilazione,nutrizione ed idratazione principalmente),non regge ad un serio ragionamento giuridico ed etico. Oltre a limitare se non a contraddire il dettato costituzionale (consenso alle terapie,inviolabilità della fisicità della persona). E’ riconosciuto infatti che, per esempio, nessuno può costringere qualcuno ad alimentarsi. Anche nel paziente terminale tumorale è fisiologico assistere ad un progressivo rifiuto della alimentazione ed idratazione per via ordinaria. Nessun sanitario in questi casi si ostina ad alimentarlo. Testamento biologico, direttive anticipate, living will. E’ sicura- mente la tematica maggiormente dibattuta oggi nel nostro paese.Tralascio le fini distinzioni semantiche, che taluni operano non senza qualche ragione, fra i vari termini. Che contengano indicazioni sulle terapie che si vogliono rifiutare (direttive anticipate di istruzione) o che contengano il nominativo di un decisore sostitutivo o fiduciario (direttive anticipate di delega) o in una soluzione – la più auspicabile - che le comprenda entrambe, le direttive anticipate o testamento biologico o testamenti di vita o living will devono essere intese come l’estensione del diritto della persona a decidere sulle strategie da adottare nel corso della malattia. Anche quando non fosse più in grado di intendere e volere. Non è accettabile infatti che lo stato di incompetent, transitorio o definitivo, debba comportare la impossibilità a decidere sul proprio corpo. Vale come esempio lo stato transitorio di incompetent che è determinato dall’ instaurarsi del coma farmacologico in corso di anestesia generale. E’ stato già chiarito, nella famosa sentenza sul caso Massimo all’inizio degli anni ‘90, che i limiti posti dal con- La tesi che una terapia se instaurata non possa essere sospesa o limitata non è giuridicamente sostenibile senso espresso dal paziente per un determinato intervento,prima dell’induzione dell’anestesia generale, non possano essere superati dall’operatore chirurgo anche in presenza di variate condi- AUTODETERMINAZIONE zioni cliniche sopravvenute durante l’intervento. Le indicazioni contenute nelle direttive anticipate dovranno comunque trovare la loro attuazione, diversamente sarebbe completamente tradita la natura stessa dello strumento. Potrebbe essere prevista una obbiezione di coscienza. Ma da limitarsi esclusivamente alla sospensione di determinati trattamenti e non certo una norma che permetta al sanitario di intraprendere trattamenti sanitari espressamente non voluti dal paziente. Questo perché psicologicamente e moralmente è riconosciuto più gravoso per alcuni operatori sanitari, come abbiamo già scritto, l’interruzione della terapia piuttosto che il mancato inizio. Anche se poi risultano pratiche identiche nelle conseguenze. Pertanto ritengo necessario creare un testo di legge leggero, e non gravato da eccessivo burocratismo. Ma soprattutto di facile attuazione pratica. Diversamente vi sarà il rischio di promulgare una legge poi inapplicabile come è stato per il consenso alla donazione degli organi. A distanza di ormai 8 anni (aprile 1999), non trova infatti ancora applicazione quella normativa per la difficoltà alla stesura dei decreti attuativi. Il testamento di vita non è, come da alcuni sostenuto, uno strumento che svilisce o mortifica il rapporto medico – paziente. Anzi lo arricchisce e contribuisce a maturare i convincimenti del paziente. Al contempo il medico avrà modo di verificare le volontà del paziente ed eventualmente contribuire alla riflessione sulla malattia, fintanto che il paziente è ancora competent. Le perplessità circa il fatto che le opinioni espresse in un testamento biologico possano risultare datate e pertanto dubbie sono, a nostro Le perplessità circa il fatto che le opinioni espresse in un testamento biologico possano risultare dubbie sono soverchie avviso, soverchie. Essendo il testamento sempre modificabile dal paziente, i contenuti devono essere considerati attuali laddove il paziente non abbia sentito la necessità di modificarli. Al contrario di quanti considerino questo un limite, è invece da ritenersi convincimento particolarmente solido quello che ha resistito Stabilire se un trattamento sanitario si può considerare accanimento terapeutico o meno, risulta un esercizio del tutto inutile e impossibile nel tempo. Infine è da sottolineare che le patologie croniche degenerative progressive che possono portare la persona ad uno stato di incompetent o nella impossibilità ad esprimersi, sono numerosissime. Senza contare per chiunque la possibilità malaugurata, ma purtroppo sempre presente, di perdere improvvisamente e non poter più riacquisire la propria capacita di intendere e volere (eventi traumatici o vascolari del sistema nervoso centrale). E’ inutile ricordare che il nostro Paese arriverà fra gli ultimi in Europa a dotarsi di tale strumento. Palliazione del dolore e sedazione terminale. Il dolore non può essere considerato un valore di per sé. Pertanto, laddove il paziente non disponga diversamente come è suo diritto, deve essere abolito ed anzi prevenuto. Oggi questo è possibile in una elevatissima percentuale di casi. Lo sforzo per la semplificazione nell’uso degli antidolorifici deve essere continuato. Senza escludere alcuna soluzione farmacologica. Quindi l’invito è a prendere in considerazione anche l’utilizzo dei cannabinoidi, che sta dando egregi risultati laddove sperimentato. Insensati pregiudizi morali in questa materia infatti potrebbero produrre inutili sofferenze. La sedazione terminale è una pratica ormai consolidata. Taluni ritengono, non senza buone argomentazioni, che tra la sedazione terminale e la pratica della eutanasia non ci siano sostanziali differenze etiche. Accanimento terapeutico. E’ un termine che crea molta confusione, un ossimoro che non trova corrispondente nella letteratura bioetica internazionale, usato infatti esclusivamente nei paesi neolatini. E’ impossibile determinare con un criterio oggettivo cosa possa essere definito accanimento terapeutico. Datosi che la soggettività è preponderante in un tale esercizio. Spesso,parlando di accanimento : terapeutico, si fa invece riferimento all’appropriato concetto anglosassone di futility cioè la futilità ,la inutilità di un trattamento. Questo è sicuramente un concetto misurabile. Unito alla gravosità nel sopportare un trattamento, può forse dare un significato accettabile di accanimento terapeutico. Ma tutti questi sforzi di definizione non modificano il fatto che ciò che giustifica un trattamento sanitario non è l’appropriatezza o un rapporto fra tollerabilità del trattamento e gravità della malattia,ma unicamente il consenso del malato. Pertanto stabilire se un trattamento sanitario si può considerare accanimento terapeutico o meno, risulta un esercizio del tutto inutile. Qualora non fosse addirittura impossibile . Deontologia Medica e Diritto. Il recente Codice di Deontologia Medica ribadisce che nessun trattamento può essere intrapreso o continuato senza l’esplicito consenso del paziente. Così come obbliga il medico ad attenersi alle direttive anticipate, se certe e documentate, qualora il paziente non sia in grado di esprimersi. E’ interessante notare che il Codice Deontologico attuale supera la questione semantica della distinzione tra cura e terapia,utilizzando il più corretto trattamento per indicare qualsiasi azione - farmacologica,strumentale o manuale - attuata nei confronti del paziente. Desidero riportare quanto indicato già nel primo Codice di Deontologia Medica, redatto in Italia dall’Ordine di Sassari nel lontano 1903 : ….( il medico ) non intraprenderà alcun atto operativo senza aver prima ottenuto il consenso dell’ammalato o delle persone dalle quali questo dipende….. Non credo necessiti di ulteriori commenti. Il diritto del paziente a non essere sottoposto ad alcun trattamento sanitario senza il proprio consenso è sancito dalla Costituzione. Ribadito in molteplici sentenze di vario grado, è contenuto anche nel Codice Penale quale diritto all’inviolabilità della propria persona fisica. Così come per il Testamento Biologico, anche tale diritto sarebbe già riportato nella ben nota Convenzione di L’AUDIZIONE 7 L’ eutanasia clandestina è presente nel nostro Paese ma si pratica prevalentemente a domicilio stesso di autonomia della persona e diritto all’autodeterminazione. Sarebbe auspicabile che l’eutanasia non fosse più considerata un tabù di cui non sia neppure proponibile parlare. Legislazioni di altri paesi occidentali hanno infatti previsto la pratica dell’eutanasia in situazioni ben limitate ed attraverso complesse valutazioni. Come risposta a quei casi di patologie terminali che nonostante la migliore palliazione ed assistenza ospedaliera e domiciliare continuavano a provocare nel paziente uno stato di dolore totale. Cioè la somma del dolore fisico unito al dolore per la propria condizione terminale. Si deve infatti sottolineare che l’eutanasia è stata introdotta in paesi che già si erano dotati da decenni di una rete di elevata assistenza sanitaria, con particolare riguardo proprio ai problemi del trattamento del dolore e palliazione dei pazienti terminali. Pertanto è da intendersi non certo come la sbrigativa ed economica soluzione a tale problematica, ma come la sofferta ma adeguata risposta a quella pur sempre presente percentuale di pazienti non più rispondenti alla terapia. Sarebbe quindi auspicabile che anche nel nostro Paese si introducesse un serio e pacato dibattito, privato di elementi ideologici, sull’argomento. Per quanto riguarda un fenomeno di eutanasia clandestina, è da ritenersi che possa essere realmente presente nel nostro Paese. Ma è verosimile che tali pratiche siano condotte principalmente in ambiente domiciliare piuttosto che in quello ospedaliero. Mentre è quasi impossibile che possano avvenire nelle aree critiche (pronto soccorso,rianimazione,unità di cura coronariche e reparti chirurgici) degli ospedali, in ragione della contemporanea presenza di un elevato numero di operatori sanitari. non intraprendere od il sospendere un trattamento sanitario ( la cosiddetta eutanasia passiva o per omissione ). Diversamente si andrebbe a negare il concetto * Memoria dell’audizione di fronte alle Commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali della Camera dei Deputati in data 14 marzo 2007 in materia di tutela della dignità e della volontà della persona umana nelle patologie incurabili e terminali, anche con riferimento al tema dell’eutanasia. Oviedo. Che però, sebbene ratificata dal nostro Paese nel 2001,alla pari della già citata normativa sulla donazione di organi, non è ancora applicabile per la mancata approvazione dei decreti attuativi. In conclusione si può tranquillamente affermare che oggi il diritto vigente obbliga il medico a non intraprendere o a sospendere trattamenti sanitari non accettati dal paziente. Eutanasia. Attualmente è espressamente vietata dalla Deontologia Medica. Mentre il Diritto vigente non la contempla neanche quale fattispecie di reato. Pertanto si assimila all’omicidio del consenziente o all’aiuto al suicidio. Deve essere però chiaro che quando si parla di eutanasia si intende un trattamento medico condotto,con il consenso del paziente, allo scopo diretto,preciso e rapido di provocare la morte del paziente attraverso l’interruzione dell’attività cardiaca e/o respiratoria,a mezzo di somministrazione di precisi farmaci. Non esiste ne giuridicamente ne deontologicamente una fattispecie di eutanasia che preveda il 8 AUTODETERMINAZIONE ! IL “NOSTRO” PROCESSO AIUTIAMO IL DOTTOR MARIO RICCIO! FURIO COLOMBO L’Unità, 3 aprile 2007 Ci sono molte ragioni - umane e civili - per non dimenticare il caso di Piergiorgio Welby, la sua sofferenza, la sua residua ma forte voce che non ha smesso richiedere agli esseri umani che gli stavano intorno di intervenire e di porre fine, per dovere morale e secondo la legge, al suo disumano dolore. Qualcuno lo ha fatto. Lo ha fatto l'appello ostinato dei radicali, di Marco Cappato, a cui in molti ci siamo uniti, medici, giuristi, politici, cittadini di tutta Italia. Uno di loro, uno di noi, il medico anestesista Mario Riccio, lo ha fatto. Seguendo scrupolosamente il poco che le norme italiane indicano e consentono per rispettare la dignità e la volontà di una persona che non può più soffrire, il Dottor Riccio ha fermato la macchina-tortura che stava comunque portando Welby alla morte, pero più lenta, più indecorosa, capace solo di alimentare un dolore sempre più grande. Ora - nonostante la richiesta di archiviazione del Procuratore Furio Colombo e Federico Orlando, rispettivamente dalle colonne de L’Unità e di Europa, lanciano l’idea di una sottoscrizione a favore del dottor Mario Riccio e dell’Associazione Coscioni per sostenere le ipotetiche spese giudiziarie nel caso in cui il Tribunale di Roma, nonostante la richiesta di archiviazione del Procuratore della Repubblica e del Procuratore Generale di Roma, decidesse di intraprendere la via processuale. Un invito a “non tacere”, un gesto per “dare coraggio al legislatore riformista e ai tanti medici che vorrebbero usare la carità verso chi la invoca, ma sono schiacciati tra i fulmini dell'obiezione di coscienza e quelli delle legge-non-legge”. della Repubblica e del Procuratore Generale di Roma, il Tribunale della stessa città annuncia di voler processare il medico e lo accusa di omicidio di persona consenziente, cioè di reato gravissimo. Non diremo che la decisione annunciata - se presa - avrà un fondamento teologico e non giuridico, per il rispetto sempre dovuto alla Magistratura. Diremo che è tempo per tutte le persone guidate da un senso di umanità e solidarietà di essere presenti, attive e impegnate a sostenere due cause: la dignità del malato Welby, che aveva chiesto a lungo e invano come in un film dell'orrore - che si ponesse fine alla sua sofferenza. E l'atto di umanità da medico e da cittadino, compiuto a nome di tutti noi, dal medico Riccio, in base alla sua conoscenza, competenza e coscienza. Chi di noi ha provato gratitudine -e anche riscatto per la propria incapacità di accorrere in aiuto - quando il Dottor Riccio è intervenuto, adesso ha l'impegno di essergli accanto e sostenerlo. È giusto scrivere queste cose sul giornale di quella sinistra che della solidarietà, del soccorso, della dignità, del rispetto della persona e dei suoi diritti fondamentali ha sempre fatto la sua bandiera. Propongo al nostro giornale di aprire una sottoscrizione: un fondo di difesa per sostenere al livello più alto le ragioni umane morali e civili che hanno guidato il Dottor Riccio nella sua decisione e nel suo intervento che ha posto fine al dolore. In un mondo impegnato - anche con le sue migliori risorse tecnologiche - a creare dolore, occorre difendere Riccio ma anche il simbolo alto di ciò che ha fatto. Contribuisco a questo appello con 1000 euro. Ma anche un solo euro sarà contributo di testimonianza dovuta. E’ una buona, nobile, umanissima causa in cui nessuno deve tacere. In un mondo impegnato anche con le sue migliori risorse tecnologiche - a creare dolore, occorre difendere Riccio ma anche il simbolo alto di ciò che ha fatto IL GIP PROCESSA? ACCOLLIAMOCI LE SPESE FEDERICO ORLANDO Europa, 4 aprile 2007 Cara Europa, quando morì Piergiorgio Welby il 20 dicembre scorso,nella sacra commedia dell'arte su tavole infrante, leggi e "valori" violati,eutanasia,accanimento, preti e radicali, si profilò un rinvio a giudizio per il dottor Mario Riccio, che aveva “staccato la spina". Poi il cancan politicoreligioso-giudiziario sembrò rientrare, la procura di Roma chiese l'archiviazione del “caso Riccio”. Ora un gip “misirizzi”,come diceva Montanelli dei primi della classe, chiede invece l'iscrizione del medico nel registro degli indagati,con l'accusa di "omicidio del consenziente".E noi,fautori della dignità dell' uomo nella morte, dobbiamo subire quest' ennesimo affronto? Massimo dell’Alba,Roma Caro Dell'Alba, un magistrato che interpreta una norma e adotta un provvedimento non fa affronti, tutt'al più sbaglia a interpretare la norma e adotta provvedimenti inappropriati. Questo, però lo stabiliranno gli altri magistrati, non noi. Del resto, nulla è cambiato nei 90 giorni dalla morte di Welby, salvo Ruini. Non è cambiata la posizione del gip Laviola, che già prima della morte di Welby, di fronte a una richiesta di parere del tribunale civile, aveva espresso un orientamento coerente con la sua decisione di oggi. Ciò nonostante, a favore del "distacco della spina" si erano pronunciati non solo il tribunale civile e l'ordine dei medici ma, come s'è detto, anche la procura. La quale ora insiste, non meno del gip, il cui provvedimento risponde forse a esigenze tecniche, nella richiesta di archiviazione: purché, come avevano scritto il procuratore Ferrara e il pm De Marinis, “nessun addebito deve muoversi a chi, in presenza di un’impossibilità fisica del paziente, abbia materialmente operato il distacco del ventilatore automatico, in quanto l'azione è stata operata per dare effettività al diritto del paziente”: diritto all'autodeterminazione, che “trova la sua fonte nella Costituzione e in disposizioni internazionali recepite dall’ordinamento italiano e ribadite, in fonte di grado secondario, dal codice di deontologia medica”. Così stando le cose, fra l'applauso dei clericofascisti di An al gip (guai a chi spreca la carità per gli umili invece di riservarla tutta ai potenti, che possono comprarla), e l’urgenza, sottolineata da altri, di uscire dal medioevo ideologico facendo subito una legge contro l'accanimento terapeutico (la ministra Turco e il presidente Prodi ascoltano?), così stando le cose, dicevo, a noi cittadini è riservato un ruolo, solo apparentemente modesto: mettere mano al portafoglio e inviare un contributo, sia pure piccolo, all’Associazione “Luca Coscioni” che si trova, senza mezzi, a dover sostenere le spese processuali. Su Europa del 27 dicembre lanciam- C/C postale n. 41025677 intestato a Associazione Luca Coscioni, Via di Torre Argentina 76, 00186 Roma, con causale “Fondo processo Welby” Il nostro aiuto ai compartecipi di questo dramma per dare coraggio al legislatore riformista e ai tanti medici che vorrebbero usare la carità verso chi la invoca Mario Bianchi, Claudio Dati e una signora cattolica praticante, che chiede di restare anonima e che si dichiara “contraria a dar morte a chicchessia, ma sfavorevole all’accanimento terapeutico”, sono i primi ad aver contribuito alle spese processuali del dottor Riccio. mo questo invito ai lettori, che in maggioranza sono cattolici, e dunque conoscono i doveri della solidarietà umana. Che le cose andassero in modo non del tutto rassicurante per il generoso anestesista cremonese, infatti, s'era capito anche allora: “Sono più di novanta giorni che Piergiorgio è morto dice ora la moglie Mina — e non ce l'hanno ancora restituito”, benché l'autopsia abbia rilevato che non aveva più nemmeno i muscoli interni e sarebbe vissuto (si fa per dire) solo pochi giorni. I lettori che vorranno solidarizzare con Mina Welby, col dottor Riccio e con l'on. Cappato potranno servirsi del c/c postale n. 41025677 intestato “Associazione Luca Coscioni", via di Torre Argentina 76, 00186 Roma. Il nostro aiuto ai compartecipi di questo dramma servirà anche a dare coraggio al legislatore riformista e ai tanti medici che vorrebbero usare la carità verso chi la invoca, ma sono schiacciati tra i fulmini dell'obiezione di coscienza e quelli delle legge-nonlegge. Che, come l'idra, ha tante teste: per una che ne tagli, altre dieci sono pronte a stritolarti. AUTODETERMINAZIONE ! TESTAMENTO BIOLOGICO 9 DIRETTIVE ANTICIPATE: L’ABITO NUOVO DI UN FRANCESCANO Liberarsi dalle ambiguità e della contraddizione tra “accanimento” e “terapeutico” CHIARA LALLI Il 29 e 30 marzo 2007 si è svolto un Convegno Internazionale al Senato “Testamento sul Biologico: Le dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari”. Durante la prima giornata è intervenuto Daniel Sulmasy (OFM, MD, PhD St. Vincent’s Hospital-Manhattan and New York Medical College, nonché frate francescano) con una rela- E’ preferibile eliminare l’espressione “accanimento terapeutico” e sostituirla con futilità o sproporzione dei trattamenti sanitari zione dal titolo Direttive anticipate come proseguimento della tradizione di rinuncia all’uso di mezzi straordinari. Nonostante alcune premesse siano alquanto discutibili (come il valore intrinseco dell’essere umano, la sacralità della vita considerata come un “dono”, l’importanza attribuita alla tradizione come garanzia di moralità e la condanna assoluta dell’eutanasia), l’intervento di Sulmasy è stato molto interessante, soprattutto alla luce dell’acuirsi dello scontro tra religiosi e laici in tema di morale e decisioni sanitarie. E delle polemiche riguardo a un disegno di legge sulle direttive anticipate in Italia. Secondo Sulmasy i punti principali delle direttive anticipate sono tre: 1) “non sono un’idea rivoluzionaria, ma piuttosto il proseguimento di una tradizione centenaria che prevede la rinuncia all’utilizzo di mezzi di cura straordinari”; 2) la separazione dal dibattito sull’eutanasia; 3) l’utilità delle direttive anticipate nei processi decisionali riguardanti le malattie terminali. In conclusione, le direttive anticipate “dovrebbero essere percepite come strumenti utili nel progetto più vasto di aiutare pazienti, famiglie e medici a finalizzare la scelta migliore per il malato terminale e rientrano perfettamente all’interno della tradizione di rinuncia dell’utilizzo di mezzi straordinari”. Sebbene parta dal presupposto del limite della condizione umana piuttosto che dalla libertà individuale la conclusione di Sulmasy è del tutto condivisibile: la medicina in alcuni casi è impotente e deve rinunciare ad usare mezzi di cura straordinari. Per “straordinario” Sulmasy intende un intervento “futile (per esempio: se non funziona, se non cura il paziente, se non cambia il decorso della malattia o se non previene una morte imminente) o se l’onere imposto dall’intraprendere o dal continuare una certa cura eccede i benefici ottenuti da un punto di vista fisico, psicologico, sociale, economico, morale e spirituale”. E sottolinea l’importanza del contesto e della particolarità di ciascun paziente. Non sottolinea però con altrettanto vigore la centralità della volontà personale (che menziona solo più tardi richiamando il “punto di vista del paziente”), l’unica e vera bussola nella scelta dei trattamenti sanitari da proseguire o da interrompere. La futilità di un intervento è una valutazione decisamente più soggettiva di quanto Sulmasy intenda sostenere richiamando criteri che aspirano all’oggettività: “non cura”, “non cambia”, “non previene”. È senza dubbio preferibile, come suggerisce Sulmasy, eliminare l’espressione “accanimento terapeutico” e sostituirla con futilità o sproporzione dei trattamenti sanitari, ampliando di fatto le possibilità di scelta per i pazienti liberandosi delle ambiguità e della stridente vicinanza tra “accanimento” e “terapeutico”. E finalmente si menziona il requisito fondamentale: la volontà del paziente stesso. “Le direttive anticipate aiutano a puntare l’attenzione su quello che deve essere il punto focale sia per la medicina, sia per le famiglie e gli amici, sia per la legge, che è esattamente il paziente. Questo in virtù del fatto che tradizional- mente è il paziente a decidere se l’onere del trattamento è sproporzionato ai benefici, almeno secondo i confini della ragione e il giudizio della comunità. Cioè, è quasi completamente a discrezione del paziente decidere quale intervento sia straordinario”. Che questo avvenisse tradizionalmente è oggetto di perplessità, perché è un cambiamento di prospettiva (dal paternalismo medico al consenso informato) abbastanza recente ad avere consegnato la decisione nelle mani del paziente. Tuttavia il cuore delle direttive anticipate è la libertà da parte del paziente di scegliere – libertà difficile da mettere in discussione. E se il paziente è libero di accettare o di rifiutare un trattamento, dovrebbe esserlo sempre. In che modo? Quando il paziente non è più in grado di esprimere le proprie vo- La medicina in alcuni casi è impotente e deve rinunciare ad usare mezzi di cura straordinari (e che ne è di chi non ha familiari?) e per i medici estremamente complicate. Le direttive anticipate possono “facilitare la presa a carico delle decisioni – focalizzate sul bisogno e la volontà del singolo paziente – da parte di chi conosce e ama il paziente, qualora sia incapace d’intendere e di volere”. Il caso del Signor Q lontà, infatti, chi decide? Famiglia, amici, medici. Ecco perché le direttive anticipate possono essere utili: perché offrono una possibilità al paziente stesso di decidere oggi per il domani in cui potrebbe non poterlo più fare. Sono molte le persone che perdono le capacità intellettive molto tempo prima della propria morte o che sono colpiti da malattie degenerative e invalidanti come l’Alzheimer. La tecnologia medica tiene in vita pazienti che qualche anno fa sarebbero morti e per i quali ci si trova spesso a dover prendere decisioni complesse e dolorose. Che per i familiari sono penose Il Signor Q, 60 anni, viene aggredito per furto 25 anni fa e riporta gravi lesioni alla memoria. Non si è mai sposato. I suoi genitori, che si sono sempre presi cura di lui, sono morti. Vagando qua e là arriva dal Montana fino a New York, dove diventa un vagabondo, mangia alla mensa pubblica e dorme tra i cartoni. Quattro anni fa un’associazione affiliata alla Chiesa per l’aiuto dei senza dimora inizia a prendersi cura di lui. Due mesi fa, il Signor Q accetta di essere ospitato in un dormitorio. Animo solitario, non parla che raramente. Un giorno ha un collasso. All’arrivo al Pronto Soccorso polso e pressio- ne vengono ristabiliti, ma lui rimane profondamente comatoso e attaccato al respiratore. Il suo cervello è gravemente danneggiato. La prognosi del signor Q è: sopravvivenza del cinquanta percento con la prospettiva di finire in uno stato vegetativo persistente. Continuare le cure intensive è realmente nell’interesse del paziente? C’è la possibilità di sopravvivenza, ma la prognosi è pessima. Che fare? Chi può decidere per il paziente? La famiglia non esiste. Se il Signor Q avesse redatto le direttive anticipate il respiratore avrebbe potuto essere staccato a metà di febbraio. “Invece il povero Signor Q langue in ventilazione meccanica nella nostra terapia intensiva, con duplici danni cerebrali, una prima volta per colpa dei ladri e la seconda per colpa della medicina, incapace di dargli la liberazione che tutti sospettano sia il suo desiderio”. INVIA UN CONTRIBUTO E RICEVERAI IL NOSTRO GIORNALE NOTIZIE RADICALI 10 DISABILITÀ ! POLITICHE POSSIBILI SE 18.000 EURO VI SEMBRAN MOLTI LaVoce.info sull’assistenza alle persone non autosufficienti ALEX TURRINI, ROBERTA MONTANELLI www.lavoce.info, 26 febbraio 2007 Servono circa 18mila euro l'anno per assistere una persona non autosufficiente. A carico delle famiglie oltre un terzo della cifra, il resto è per lo più finanziato dall'Inps. Si tratta quindi di trasferimenti monetari e non di servizi di supporto. Nonostante l’introduzione dei piani di zona, la possibilità di programmazione a livello locale resta scarsa. Potrebbe aumentare se si chiedessero all'Istituto previdenziale più informazioni sugli utenti che ricevono le prestazioni assistenziali. Debole la capacità del non profit di attrarre finanziamenti da privati. Chi paga L’intervento pubblico e privato, in parte coordinato attraverso l’elaborazione dei piani di zona comunali, introdotti di recente, è in realtà finanziato perlopiù dall’Inps, che eroga circa il 40 per cento delle risorse necessarie, ma che spesso non partecipa alla pianificazione, nemmeno a fini informativi. La programmazione zonale riguarda, così, solo il 20-30 per cento delle risorse effettivamente devolute all’assistenza (vedi tabella 1). Sono questi i principali risultati di uno studio svolto dal Cergas, Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’Università Bocconi in collaborazione con Spi Cgil Lombardia. Tuttavia, i dati sulla spesa sociale e sociosanitaria che emergono dalla ricerca si possono sicuramente generalizzare al territorio nazionale. Permettono dunque alcune riflessioni sulla governance dei sistemi di welfare locale socio-assistenziale. Tabella 1 Il dettaglio: spesa (in euro) per singolo non autosufficiente Soldi, non servizi Un primo ordine di riflessioni riguarda la composizione della spesa per la non autosufficienza. Dai dati si ricava la necessità di costituire fondi locali, regionali o nazionali che abbiano come obiettivo non solo un incremento di risorse per la non autosufficienza, ma anche un loro governo più razionale: gli interventi dovrebbero essere rivolti al finanziamento di servizi di supporto alle famiglie, più che a incrementare i trasferimenti in denaro. Invece, proprio per il fatto che la maggior parte delle risorse sono assicurate dall’Inps, le politiche sociali sviluppate nei distretti sono incardinate sul trasferimento monetario, e non sull’erogazione di servizi. Ciò comporta fra l’altro, un’estrema indipendenza e autonomia alle famiglie, che possono provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni sociali scegliendo liberamente le modalità di assistenza. Comuni e programmazione I risultati della ricerca dovrebbero far riflettere anche sulla possibilità di governance degli interventi per la non autosufficienza a livello locale. La forza dei comuni e delle Asl nel presidio della titolarità della funzione sociale e sociosanitaria locale è risibile nell’attuale sistema di welfare. Tale debolezza rimane anche dopo l’introduzione dei piani di zona che pure, in molti casi, hanno Stato (INPS) Regione (ASL) Comuni Provincia Altro Totale pubblico Non profit Famiglie Totale privato Totale agevolato l’armonizzazione delle scelte strategiche di questi due attori. Diversamente da quanto avviene oggi, sembra allora necessario coinvolgere maggiormente l’Inps nei processi di programmazione zonale, al fine di incentivare un’operazione di produzione di informazioni sui diversi utenti che ricevono le prestazioni assistenziali dell’Istituto. Media nei distretti 7.191 2.743 582 16 43 10.575 583 6.890 7.473 18.048 Infine, si nota una debolezza del settore nonprofit. Le informazioni raccolte lo descrivono come un produttore responsabile di servizi per i non autosufficienti, se dotato di finanziamenti pubblici. Ma è tuttavia incapace di attrarre finanziamenti da attori terzi. Anche valorizzando il lavoro volontario, la capacità del nonprofit di investire risorse proprie, % sul totale 39,80% 15,20% 3,20% 0,10% 0,20% 58,60% 3,20% 38,20% 41,40% 100% ottenute ad esempio attraverso l’attività di fund raising da privati, è molto bassa: arriva a un massimo del 5 per cento della spesa effettiva totale. Lo sviluppo di capacità manageriali di fund raising anche in questo settore non sembra più rinviabile. Assistere una persona non autosufficiente in Italia costa circa 18mila euro l’anno,pur escludendo molte spese sanitarie,come le visite specialistiche e i ricoveri ospedalieri. Le famiglie sono costrette a farsi carico di oltre un terzo di questa cifra,quasi 7mila euro. IL KAMASABILE Per un accesso al sesso della persona disabile BRUNO TESCARI Mi sento offeso e molto seccato quando nei convegni intervengono, come relatori, psicologi, assistenti sociali, pedagogisti, operatori ed esperti vari, che parlano della sessualità dei disabili: ci mettono sotto il vetrino della loro scienza e concludono immancabilmente con “Anche i disabili hanno diritto alla sessualità!” La sessualità è una caratteristica naturale degli esseri viventi – compresi i disabili strettamente connaturata sin dal momento della nascita. Signori esperti: chiaro? Ed allora, non parlate di diritto alla sessualità; semmai, di diritto al SESSO! Non vi stupite: anche i disabili lo fanno, se ne hanno l’occasione! E lo fanno con piacere e soddisfazione propria e del/della partner. La sessualità della persona disabile non è una sessualità speciale, diversa da quella di tutti gli esseri umani: diverso è il modo di concretizzarla nel fare sesso, ostacolati dai limiti funzionali del nostro corpo. Ci siamo rotti le scatole di essere trattati come soggetti sottovetrino, perché di noi parlano come fossimo marziani. Perché è il sesso, che interessa; cioè il “fare”. Il tema preoccupa non i disabili ma i genitori dei disabili; e allora, parliamo dei genitori. E’ bene che essi sappiano almeno questo: che uno dei problemi che hanno i figli disabili che vogliono fare sesso ma non ne hanno l’autonomia necessaria, è il “come farlo”. @pprofondisci Per acquistarlo scrivi a [email protected] oppure telefona allo 0668979286 “Accesso al sesso”, di Bruno Tescari. 230 pagine con 23 interviste a disabili fisici ed a genitori di disabili psichici, che ci raccontano come e se lo fanno, come lo affrontano, come lo vivono, con 23 illustrazioni di Anna Benedetti. DISABILITÀ ! ALLE NAZIONI UNITE 11 CONVENZIONE ONU SULLA DISABILITÀ: LUCI ED OMBRE DEL PRIMO TRATTATO SUI DIRITTI UMANI DEL III MILLENNIO URBANO STENTA* Nel 1987 l'Italia presentò una proposta di risoluzione, all'Assemblea Generale dell' ONU, per attivare l'iniziativa della discussione sulla Convenzione sulla disabilità. altrettanto ha fatto la Svezia nell'89; ma entrambe queste iniziative si sono rivelate prive della forza necessaria per raggiungere un qualche scopo. nel 2001 il Messico, nella persona del suo presidente Fox, fortemente spalleggiato dagli Stati Uniti, ha presentato una proposta di risoluzione che è stata accolta con è stata elaborata nel gennaio 2004. Da questo anno si sono avute due sessioni ogni anno. La bozza è stata valutata e integrata con moltissime modificazioni. Infine nell'autunno 2005 il secondo presidente del Comitato Speciale, l'ambasciatore neozelandese McKay, ha prodotto una seconda bozza, quale sistematizzazione dei risultati dei lavori delle quattro sessioni precedenti (2004-2005). questa seconda bozza, ulteriormente ampliata e modificata (era di 33 articoli, mentre la Convenzione è di 50 articoli più un protocollo opzionale) è stata Anche sulla disabilità la Santa Sede “Internazionale proibizionista” Il primo aprile, intervenendo ai lavori del Comitato nazionale di Radicali Italiani, Rocco Berardo, vice segretario dell’Associazione Luca Coscioni, ha dichiarato: “Il rifiuto da parte della Santa Sede di firmare la Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità rappresenta un’ulteriore tentativo del Vaticano di imprimere strumentalmente un divieto sulla salute riproduttiva”. “La Convenzione riconosce al disabile dei diritti, che può esercitare o meno, anche in riferimento all’aborto”. “Il Vaticano opponendosi a questo decide alla fine di cassare tutto – anche quel che probabilmente condivide (e quindi scegliendo di far permanere le discriminazioni sulle persone con disabilità) – con una visione e azione del tutto strumentale. In questo, e non solo su questo, si fa sempre più rappresentante e promotore di un’ideologica ‘Internazionale Proibizionista’”. un'ampia maggioranza. In tale risoluzione si prevedeva la costituzione del Comitato Speciale che discutesse, elaborasse, superando divergenze e differenze di opinione, la convezione internazionale per la difesa e la salvaguardia dei diritti delle persone con disabilità. Questo è l'ampio titolo che la Convenzione ha mantenuto. I lavori del Comitato Speciale si sono articolati in otto sessioni, ognuna di due settimane. Il lavoro ha impegnato cinque anni, dal 2002 al 2006. E' iniziato il 29 luglio 2002 ed è terminato il 25 agosto 2006. Dopo le prime due sessioni (2002-2003) si è deciso di affidare a un gruppo di lavoro di 39 membri la redazione di una bozza, che approvata dal Comitato Speciale il 25 agosto 2006, riveduta formalmente durante l'autunno ed approvata dall'assemblea generale il 13 dicembre 2006. La firma della Convenzione è stata aperta il 30 marzo 2007, giorno in cui 82 Paesi, tra i quali l'Italia, l'hanno sottoscritta. Si tratta di un passo fondamentale che permetterà ai disabili di tutto il mondo di rivendicare i propri diritti di fronte ai loro governi,sulla base di un documento approvato da 187 Paesi su 187, tanti erano presenti alla riunione del Comitato Speciale del 25 agosto 2006. Si tratta di un risultato storico, anche se usare questo termine è diventato tanto frequente, che probabilmente sarebbe meglio scomodarne un altro; ma, per il mo- mento, preferisco utilizzare questo. Si tratta di un documento ampio, che ha come base il riconoscimento della disabilità, non già come fenomeno sanitario, ma come situazione di esclusione sociale. Pertanto vengono indicati i sistemi e le metodiche necessari per eliminare questa situazione attraverso l'educazione, il lavoro, l'eliminazione delle discriminazioni, la partecipazione alla vita sociale, culturale, politica, sportiva, e quante altre forme di socializza- L'80% dei 650 milioni di disabili nel mondo vive nei Paesi in via di sviluppo zione sono prevedibili. Mezzi per ottenere questi sono l'accessibilità, le pari opportunità, l'eguaglianza in tutti i campi, la necessità di statistiche credibili e scientificamente valide, una chiara definizione di ciò che sono la disabilità e la persona con disabilità. Per raggiungere questi risultati, ovviamente, è prevista anche la salvaguardia di diritti quali quello alla formazione di una propria fa- miglia, alla sanità e alla riabilitazione, all'eguaglianza davanti alla legge, tema al quale vengono dedicati ben 6 articoli. Mezzo indispensabile per lo sviluppo e l'attuazione di questa Convenzione è la cooperazione internazionale, considerata non come una possibilità aggiuntiva di intervento, ma come il volano, senza il quale la Convenzione non partirà mai. Non dimentichiamo che l'80% dei 650 milioni di disabili nel mondo, vive nei Paesi in via di sviluppo, né che il rapporto tra sviluppo e disabilità è inversamente proporzionale: laddove maggiore è lo sviluppo, minore è l'incidenza della disabilità, e viceversa. Appare pertanto questo un documento di ampio respiro, compatto, coerente, forte e di altissimo livello, sia scientifico che politico. Il nostro Paese vede in esso rispecchiato il proprio modo di concepire e di rapportarsi con la disabilità. Alcune delle nostre leggi sulla inclusione scolastica, sulla inclusione lavorativa, sull'accessibilità sembrano essere state trasposte nella Convenzione. Il nostro Paese, nella legge di ratifica, non dovrà fare se non scarsi e marginali modifiche alla propria legislazione. Ciò è dovuto al lavoro intenso, oscuro ma efficace della delegazione italiana al Comitato Speciale. Essa, malgrado i vincoli cui l'ha sottoposta la partecipazione all'Unione Europea e la conseguente necessità di posizioni condivise con gli altri Paesi, è riuscita, facendo conoscere le nostre principali leggi ed orientamenti, ad avviare l'opinione della massima parte dei Paesi presenti verso la posizione italiana, basata sul concetto di integrazione globale. Purtroppo la necessità, non condivisa da chi scrive, di chiudere entro il 2006 i lavori del Comitato Speciale, ha portato nell'ultima sessione ad accogliere delle proposte che hanno indebolito la Convenzione stessa. in particolare, in materia di monitoraggio è stato previsto un protocollo opzionale, che il 30 marzo soltanto 44 Paesi su 82 hanno sottoscritto. la mancata sottoscrizione di tale protocollo elimina completamente la possibilità di monitoraggio dello stato di attuazione della Convenzione, nei Paesi che non siano sottoscrittori del protocollo. Ed anche per quelli che lo hanno accolto vi è una limitazione sostanziale: esso infatti non prevede la possibilità di indagini sul territorio dei vari Paesi, limitandosi esclusivamente, da parte del comitato di monitoraggio, ad accogliere segnalazioni, a chiedere notizie ai governi ed a raccoglierle, senza la possibilità di verificarne l'attendibilità. Si tratta della prima Convenzione che ha siffatte limitazioni e non è un bello augurio per i futuri documenti internazionali. Tuttavia, per chiudere con una nota di ottimismo, molti Paesi, primo fra essi l'Italia, autorizzeranno il Comitato di monitoraggio ad effettuare visite di controllo sul proprio territorio. Si tratta, come è evidente, di forzare la lettera della Convenzione, aprendola ad attività non previste ma espresse volontariamente da alcuni Paesi. Possiamo sperare che alla lunga la nostra opinione faccia proseliti, che un ampio numero di Paesi accetti questa posizione e che, quando la Convenzione sarà rivenuta, si possano eliminare le storture sopra descritte. * Coordinatore tecnico della delegazione Italiana nel Comitato Speciale sulla Convenzione Onu in materia di disabilità 12 UNIVERSITÀ ! POLITICHE POSSIBILI INTERVISTA AD ANGELO GUERRAGGIO IPOTESI PER L’UNIVERSITÀ La riforma Berlinguer non è la causa di tutti i mali del sistema universitario. La meritocrazia, invece, è la strada da percorrere per ottenere maggiore giustizia sociale MARCO VALERIO LO PRETE Iniziamo da una riflessione,che percorre il vostro pamphlet (“Ipotesi per l’università”),sulle “finalità”, gli obiettivi del sistema universitario. Secondo voi quest’ultimo dovrebbe avere il ruolo di grande mixer sociale ed essere dispensatore di competenze e flessibilità. Potreste approfondire questa che è, potremmo dire, la prima delle vostre “ipotesi sull’università”? Noi crediamo che tutto il sistema educativo, a partire dalla prima elementare fino all'università, abbia in effetti questo ruolo di mixer sociale, nel senso che i ragazzi via via più adulti entrano nel sistema educativo ovviamente targati da alcune diseguaglianze sociali, perché nascono in determinate famiglie, perché vengono da determinati strati sociali e compito della scuola, ed in particolare dell'università, è quello di ridurre queste diseguaglianze sociali, facendo emergere quelli che, pur a partire da background più sfavorevoli e sfavoriti, hanno i meriti per emergere. In questo modo si prepara per il paese una classe dirigente che non risente del fatto che il ragazzo è nato in una certa famiglia o meno, ma che “risente” dei meriti e delle capacità dei ragazzi. In questo senso lo Stato, tramite l'università, ci sembra debba premiare ed individuare i ragazzi migliori, quelli che hanno maggiori competenze e flessibilità intellettuali per occupare posti di responsabilità nel loro immediato futuro. Certo,infatti come punto dolente che individuate nella situazione odierna c'è quello della bassa qualità degli studi oggi. Un prodotto di bassa qualità,cioè l’università intesa come un “atto dovuto”, sposta il momento della selezione altrove,in un mercato del lavoro che in Italia è spesso poco trasparente e meritocratico.Far rientrare la meritocrazia nelle università vuol dire quindi far sì che lo stato garantisca uguaglianza di condizioni di partenza,uguaglianza sociale? E allora la meritocrazia, non più parola vuota e che riempie la bocca di opinionisti ed accademici,come la si fa rientrare nelle aule e nei laboratori? Alzando il livello e la qualità degli studi universitari, nel senso che ora, un po' paradossalmente, tutti vanno all'università -. anche se non è vero - e questo di per sé non è affatto un qualcosa di negativo, e tutti si laureano, tutti con 110 e lode – ancora una volta, mi sto esprimendo in termini paradossali -. Questo fatto fa sì che poi, non essendo tantissimi i posti migliori in quanto a stipendio, a responsabilità e a status sociale, la selezione la si fa su tutti i laureati. A operare la selezione poi non sono più lo stato o lo studio, o anche la fatica di studiare, ma per esempio il caso, la fortuna, le conoscenze familiari, oppure l'azienda, e non sempre con criteri che mi pare rispettino il bene collettivo. “La situazione dell’università italiana è inquietante”, dite. Questo al di là delle varie leggi:la legge Casati del 1859, la legge Gentile del 1923, poi le modifiche prospettate dal Ministro Gui ed i provvedimenti urgenti del 1968,infine Ruperti.Di fronte ad una università che – accorgimenti legislativi a parte - diviene sempre più di massa, si può giudicare fosse necessaria ed ineludibile la riforma del 3+2? Noi diciamo in effetti che la situazione è inquietante; altri colleghi, studiosi, opinionisti e giornalisti, si sono espressi anche in maniera più dura, più decisa nei confronti di quella che è detta “riforma del 3+2” o “riforma Berlinguer”. Noi non crediamo sia un male as- crosanti. Il primo è quello di portare più ragazzi a fare l'università e questo è un bene, soprattutto se si confrontano le statistiche italiane – soprattutto di dieci anni fa – con quelle degli altri paesi europei. Secondo obiettivo è quello di aumentare la produttività del sistema; prima della riforma Berlinguer, su tre ragazzi che entravano in università, solo uno si laureava. Questo da un lato ovviamente comportava per lo Stato una grossa spesa ma, oltre a ciò, si può immaginare che quelli che non riuscivano a laurearsi accumulassero dentro di sé frustrazioni e problemi psicologici, rischiando di sentirsi dei “falliti”. Il terzo obiettivo è quello di ridurre la durata degli studi universitari, perché anche quel ragazzo su tre che arrivava alla laurea, ci metteva mediamente, a fronte di una durata del corso di quattro anni, intorno ai sette anni. Quarto obiettivo che la riforma si poneva era quello di “modernizzare” il sistema universitario, che voleva dire fondamentalmente avvicinarlo alle esigenze del mondo produttivo che spesso lamentava il fatto che i ragazzi fan- • ANGELO GUERRAGGIO è docente di Matematica generale presso la facoltà di Economia dell'università dell'Insubria e presso la Bocconi di Milano. Autore, assieme al Prof. Mariano Giaquinta, del libro “Ipotesi per l'Università” (Codice Edizioni, 2006, pp.89). ne che il paese ha della ricerca, dello studio. Cosa ci ha portato, per usare le vostre parole,a divenire un paese che “non ama eccessivamente né la scienza,né la tecnologia” e che quindi mira più che altro a risparmiare sulla ricerca? E' un atteggiamento che viene da lontano, dalla storia di questo paese. Si può anche sostenere sia dovuto alla presenza di una forte cultura cattolica. Per noi matematici si ricorda sempre l'inizio del XX secolo, quando un periodo molto fecondo per la mate- successo economico italiano in determinate aree e settori, lo si paga nel lungo periodo, quando entrano nel mercato altri paesi, ovviamente penso a quelli orientali, che hanno forza lavoro a minor costo. A questo punto quelle produzioni che hanno basso contenuto tecnologico devono adesso subire la concorrenza di cinesi ed indiani, ed è inutile lamentarsi. Una scorciatoia, dunque, perché nell'immediato paga di più comprare i brevetti all'estero che non formare una classe di ricercatori. Ma prima o poi, come si dice, i nodi vengono al pettine e adesso, con la concorrenza dei paesi asiatici e con un mercato più aperto dei ricercatori, stiamo pagando gli errori fatti. Io le citavo prima storie lontane d'inizio secolo, ma ci sono anche quelle più recenti, quando all'inizio degli anni '60 - penso al caso Mattei, penso al caso Ippolito, penso al nucleare - forse in Italia sarebbe stato possibile pensare ad una diversa politica tout court, e ad una diversa politica della ricerca in particolare. Un’ultima domanda. Nel vostro libro “Ipotesi per l'università” non proponete una nuova riforma, piuttosto suggerite alcune ipotesi. Ce n'è una che vi sta in particolare a cuore? soluto e che tutti i mali derivino da essa. È stata una riforma importante nella storia dell'università del paese; come lei ricordava infatti c'è stata la legge Casati, c'è stata la riforma Gentile ancora agli inizi degli anni '20, e poi sostanzialmente nulla di organico fino al '68, ed anche allora, nonostante la liberalizzazione degli studi universitari, non assistiamo a nessuna legge organica. Precedentemente ci sono stati vari provvedimenti: sono stati introdotti i dipartimenti, sono stati introdotti i dottorati, si è creato il Ministero dell'Università ma, ecco, la riforma Berlinguer è in fondo la prima che ambisce ad essere una riforma organica del mondo universitario. Quali gli obiettivi che, secondo lei, gli ideatori della riforma si erano prefissati? Gli obiettivi sono secondo me sa- no l'università, ci mettono molto tempo e, quando arrivano in azienda, sono da “riformare da capo”. Lamentavano insomma la grossa frattura tra una università vecchia e la produzione che invece aveva bisogno di competenze e flessibilità diverse. Quindi diciamo che nel vostro testo,da una parte vi distanziate da chi annovera la riforma tra le “catastrofi del paese”, dall'altro vedete il problema nel modo in cui questa è stata attuata... Esatto, il problema consiste proprio in come è stata attuata la riforma, in come si è venuta mischiando con alcune correnti culturali che giravano nel paese. Tutto ciò ha prodotto effetti negativi. Questo è un punto interessante in chiave di “libertà di ricerca”, anche per spiegare la concezio- matica italiana, venne in parte ridimensionato da Croce e Gentile. Penso ad esempio alla polemica di Benedetto Croce con Federico Enriques, allora Presidente della Società Filosofica italiana. Questo amare poco la scienza e la tecnologia è un processo che viene da lontano e fa parte della cultura di questo paese, e si pone come uno degli ostacoli che dobbiamo superare. A queste ragioni più di stampo culturale si associano e si aggiungono anche ragioni che fanno riferimento alla struttura produttiva italiana, nel senso che spesso le nostre aziende hanno preferito nella storia del '900 la scorciatoia, la via più breve, quella che consiste nel basarsi su produzioni con basso contenuto tecnologico e, laddove avevano bisogno di conoscenze tecnologiche, di acquistare i brevetti all'estero. E' chiaro che nell'immediato questo, che costituisce anche una delle chiavi del In due parole: l'università adesso si è aperta e si è allargata; il numero degli iscritti è aumentato; va all'università anche chi vuole fare solo un corso triennale in discipline che fino a poco tempo fa non erano tipicamente universitarie; vi sono università maggiormente professionalizzanti… Tutto questo va bene. Ma è necessario venga anche conservata, e non solo dopo i primi tre anni quando il ragazzo ha già 21, 22 o 23 anni e pensa già ad altre cose, la possibilità di avviarsi a studi seri anche di natura teorica, per ragazzi che sin dall'inizio pensano – essendo naturalmente ciascuno libero di cambiare idea in un senso o nell'altro - all'università anche come comunità di ricerca, dove i docenti non facciano solo didattica, ma contemporaneamente ricerca. IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE. LA RIVOLUZIONE DELL'AMORE CIVILE Inchiesta sulla famiglia (e sulla più profonda rivoluzione antropologica dei nostri tempi) DIEGO GALLI I dati statistici, la sociologia, la ricerca psicologica, ci raccontano come la famiglia abbia già vissuto una rivoluzione antropologica che l'ha trasformata profondamente. La crociata del Vaticano contro il riconoscimento delle unioni di fatto e omosessuali è soltanto il disperato ed estremo tentativo reazionario di difendere un ordine già inesistente. Nel vissuto delle famiglie italiane, nelle relazioni e nei valori che le tengono unite, emergono nuove moralità, sfide delicate, battaglie di emancipazione, forme di amore che si coniugano con l'autonomia e sfidano miti nefasti del passato. La famiglia di diritto naturale Nel manifesto con cui le più importanti associazioni cattoliche italiane hanno convocato il Family day per il prossimo 12 maggio si legge: “Solo nella famiglia fondata sull’unione stabile di un uomo e una donna, e aperta a un’ordinata generazione naturale, i figli nascono e crescono in una comunità d’amore e di vita, dalla quale possono attendersi un’educazione civile, morale e religiosa. La famiglia ha meritato e tuttora esige tutela giuridica pubblica, proprio in quanto cellula naturale della società e nucleo originario che custodisce le radici più profonde della nostra comune umanità e forma alla responsabilità sociale”. In tutte le dichiarazioni e i documenti ufficiali del Vaticano si ribadisce l’origine “naturale” della famiglia tradizionale, il cui fondamento è rappresentato dal “bene” della generazione dei figli. Questa visione della famiglia, tuttavia, non è affatto naturale. La famiglia è una delle istituzioni sociali che più si è trasformata nel corso della storia e nei vari contesti culturali. Come ha scritto l’antropologo Franco La Cecla su Repubblica: “Ci sono società dove non esistono coppie fisse, ci sono famiglie poligamiche nel fondo dell’Amazzonia o in Senegal e ci sono ovviamente famiglie allargate. Siamo noi l’eccezione: la famiglia mononucleare – la solitudine di marito e moglie e dei loro figli - è una invenzione recente. C’è voluto l’avvento del capitalismo e del lavoro salariato che ha distrutto la famiglia allargata che era anche un’entità economica – gli antropologi parlano di “maison” o di “household” - e che ha creato la coppia come la conosciamo oggi”. La stessa etimologia della parola famiglia, dall’italico famel, che significa “casa”, rimanda a una dimensione relazione e non biologica o riproduttiva: la casa, il luogo dove stare, dove convivere. Il cambio di paradigma Lo scontro sul riconoscimento delle unioni di fatto e omosessuali affonda le sue radici nella contrapposizione tra due visioni culturali e antropologiche opposte. Da una parte quella cattolica tradizionale, che il bioeticista Maurizio Mori e il ginecologo Carlo Flamigni chiamano della “sacralità della vita”, dall’altra quella laica o della “qualità della La famiglia è una delle istituzioni sociali che più si è trasformata nel corso della storia e nei vari contesti culturali vita”. Questo scontro, che i due descrivono in questi termini in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, investe pienamente la visione tradizionale della famiglia come società organica originaria, più importante dei singoli individui che la compongono in quanto “ordine oggettivo che rispecchia la “natura delle cose””. L’etica della qualità della vita irrompe nella cultura occidentale non appena viene rotto quel legame ancestrale che lega la sessualità alla riproduzione. Sono i contraccettivi, ancor più e ancor prima dell’aborto, a rompere “l’ordine naturale”. Laura Fruggeri, nel suo libro “Diverse normalità”, passa in rassegna le varie tipologie familiari evidenziando le qualità relazionali che le caratterizzano. Famiglie ricostituite “Un primo esempio in proposito può essere quello delle famiglie ricomposte: nel momento in cui tali relazioni non vengono vissute come alternative fra loro, compongono un contesto articolato nel quale gli individui imparano a coniugare vicinanza e distanza, intimità e autonomia. Nelle coppie ricostituite c’è un gestione allargata della genitorialità, che richiede una buona flessibilità dei ruoli ricoperti da ognuno. Un altro aspetto saliente nelle famiglie ricomposte è quello relativo all’elevato grado di interdipendenza tra i diversi nuclei familiari che lo compongono, che implica una flessibilità nella definizione dei confini familiari, cioè la certezza su chi è dentro e chi è fuori a cui è solitamente legata l’assegnazione dei ruoli e delle funzioni familiari, e dunque una apparentemente più facile gestione dei rapporti interpersonali”. Famiglie con un solo genitore Secondo l’ultimo rapporto Istat, negli ultimi 15 anni le famiglie monogenitoriali sono passate da circa un milione e mezzo (pari al 9,6% del totale dei nuclei) a oltre 2 milioni (pari al 12,2% nel 2003). Scrive Laura Fruggeri: “Dai dati raccolti da Everri (2003) emerge che i figli cresciuti in queste famiglie mostrano livelli di autonomia e maturità maggiore rispetto ai coetanei che crescono in famiglie in cui sono presenti entrambi i genitori”. La famiglia oggi non è più fondata sulla riproduzione, a prescindere dal riconoscimento o meno delle unioni omosessuali. Roberto Volpi, statistico, progettatore del Centro nazionale di documentazione a analisi per l’infanzia e l’adolescenza del ministero del Welfare, ha raccolta in un libro appena pubblicato, “La Famiglie omosessuali “La coppia/famiglia omosessuale ha la possibilità, in assenza di modelli precedentemente esperiti a livello socio-culturale, di divenire norma a se stessa, ossia di ridefinire in positivo l’impossibilità del riconoscimento legale, centrando il proprio focus strutturante nel vissuto di ricostruzione dei propri riferimenti valoriali. (…) Il che ben si allinea con le attuali teorizzazioni sulla famiglia vista non più come entità naturale, ma come artefatto culturale complesso e in un certo senso artificiale, creato dalla volontà e dai desideri dei singoli individui”. Comunità di famiglie La nostra legge riconosce già le comunità di famiglie come forma di convivenza. La legge 184/1983 istituisce la comunità di tipo familiare come alternativa alla famiglia per l’affido di minori. La legge 328/2000 aggiunge che queste comunità devono essere caratterizzate da “organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”. “E’ proprio nella gestione dell’equilibrio fra pubblico e privato che si può cogliere il punto nodale d rottura che caratterizza la singolarità delle comunità di famiglie. La cura dell’intimità dei rapporti primari e l’apertura al contesto sociale costituiscono le due tensioni divergenti, ma interconnesse. La dimensione comunitaria, infatti, non annulla né sostituisce la dimensione privata, intima e interpersonale. Anzi, quest’ultima viene alimentata dalla prima. Le comunità di famiglie ripropongono al centro dell’attenzione l’importanza che le relazioni sociali fine della famiglia”, alcuni dati statistici che dimostrano in modo incontrovertibile la scissione tra famiglia e riproduzione. Dal 1975 ad oggi si è passati da 2,4 a 1,2 figli per donna, dato che rende l’Italia cattolica il Paese con il più basso tasso di natalità al mondo. La dimensione media della famiglia è scesa da 3,35 a 2,6 hanno nello sviluppo della vita familiare e dei suoi membri. Si propongono come antidoto alla eccessiva privatizzazione familiare che produce isolamento, solitudine, mancanza di sostegno e, conseguentemente, un impoverimento delle risorse a cui le famiglie possono ricorrere per far fronte agli inevitabili eventi critici che costellano il loro ciclo di vita. (…) Le comunità di famiglie costituiscono una riedizione di forme di socialità che in tempi più lontani si strutturavano spontaneamente all’interno delle reti informali in cui le famiglie sono iserite. Forme di socialità che alcuni autori hanno definito “famiglie più larghe della parentela””. Il fenomeno LAT Introdotto nel 1978 dal giornalista olandese Michel Berkiel, l’acronimo LAT (Living Apart Together) indica un tipo di relazione in cui i due partner si considerano una coppia stabile ma non condividono la residenza. In Italia risultano in questa condizione circa il 40% dei giovani tra i 25 e i 34 anni che non convivono o non sono sposati. Secondo il “Rapporto sulla popolazione” appena pubblicato dall’Istat: “Le motivazioni che sottendono alla scelta di questo tipo di relazione includono: la crescente condivisione dei valori individualistici; l’attenzione alla verifica della qualità emotiva della relazione intima prima di intraprendere un percorso più stabile e vincolante; il cambiamento dei ruoli di genere nella società che rendono più appetibili per le donne tutte quelle situazioni che le lasciano più libere dalle responsabilità domestiche; l’esigenza di flessibilità e mobilità nelle scelte lavorative e sentimentali”. 14 L’etica della qualità della vita irrompe nella cultura occidentale non appena viene rotto quel legame ancestrale che lega la sessualità alla riproduzione componenti. Solo il 43% della famiglie è rappresentato da genitori con figli. Come scrive Roberto Volpi nel suo libro, “è la prima volta nella storia dell’umanità che si prefigura una famiglia sempre meno ancorata ai figli”. Questa rivoluzione dei comportamenti riproduttivi degli italiani ha una precisa data di inizio in Italia, ed è l’anno 1975. Se tra il 1973 e il 1974 la diminuzione delle nascite era stata di circa 6mila persone, dal 1974 al 1975 raggiunge le 40mila unità, e da allora continuerà a diminuire a un ritmo costante di gran lunga superiore a quello degli anni precedenti. La spiegazione di questo cambiamento epocale, secondo Roberto Volpi, non è individuabile altrimenti che con l’effetto culturale dello scontro politico del referendum sul divorzio votato proprio nel 1974: “Il referendum di quell’anno segnò una presa di coscienza negli italiani del tema dei diritti civili, fino ad allora abbastanza defilato non solo nella lotta politica, ma anche nel dibattito culturale, e portato avanti quasi esclusivamente dalla pattuglia dei radicali di Marco Pannella”. Le trasformazioni dell’intimità La trasformazione antropologica della famiglia non è il prodotto di un fenomeno di decadimento o disgregazione sociale, come sostiene il Vaticano. Delinea, al contrario, l’emergere di nuovi legami, relazioni e valori che tengono insieme gli individui. Il più lucido ritratto di queste trasformazioni è quello fornitoci da Anthony Giddens, uno dei maggiori sociologi del nostro tempo, ex direttore della London School of Economics e consigliere politico di Tony Blair, nel libro “La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne”. Come scrive Giddens: IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... “Fra tutti i cambiamenti che sono in atto nel mondo, nessuno è più importante di quelli che riguardano le nostre vite personali: sessualità, relazioni, matrimonio e famiglia. E’ in atto una rivoluzione globale nel modo in cui pensiamo noi stessi e in cui formiamo legami e connessioni con gli altri. Anche se statisticamente il matrimonio è ancora la condizione normale, per la maggior parte della gente il suo significato è del tutto cambiato”. Secondo il sociologo, la comunicazione emozionale e la condivisione dell’intimità stanno sempre più sostituendo i legami basati su ruoli tradizionali che univano le vite individuali delle persone. Il fondamento dei legami affettivi non è più la riproduzione o la formazione di una famiglia come formazione sociale naturale e in qualche modo obbligata. I legami tradizionali sono stati sostituiti da quella che Giddens definisce “relazione pura”, “intendendo con ciò un rapporto basato sulla comunicazione emozionale, in cui i vantaggi derivati da tale comunicazione sono il presupposto perché il rapporto continui”. Parità di diritti tra uomo e donna, rispetto reciproco per l’autonomia altrui, relazioni basate sulla comunicazione e la fiducia nell’altro, assenza di potere arbitrario, coercizione e violenza. Giddens si spinge fino a parlare di “democrazia delle emozioni”, “tanto importante quanto la democrazia politica ai fini di migliorare la qualità delle nostre esistenze”. “Una democrazia delle emozioni non fa distinzione di principio fra relazioni eterosessuali e omosessuali. Molto più degli eterosessuali, i gay sono stati pionieri nella scoperta del nuovo mondo di relazioni e nell’esplorazione delle sue possibilità. Hanno dovuto esserlo, perché una volta usciti allo scoperto, non sarebbero stati in grado di sfruttare il normale sostegno del matrimonio tradizionale”. Oltre a configurare uno scontro tra paradigmi interno all’occidente, la trasformazione dell’intimità rappresenta motivo di scontro tra la laicità e tutti i fondamentalismi, compreso quello islamico. Come scrive Giddens: “Quella che ho descritto come un’emergente democrazia delle emozioni è la prima linea della battaglia fra cosmopolitismo e fondamentalismo di cui ho parlato. La parità tra i sessi e la libertà sessuale delle donne, che sono incompatibili con la famiglia tradizionale, sono altrettanti anatemi per i gruppi fondamentalisti. Ribalto anzi la tesi di politici e fondamentalisti, sostenendo che il persistere della famiglia tradizionale o di certi suoi aspetti in molte parti del mondo è più preoccupante del suo declino”. Le democrazia delle emozioni sta trasformando anche l’amore, un sentimento che si tende ad assolutizzare, trascurando i condizionamenti culturali che lo attraversano. Come scrive la psicoanalista Enrichetta Buchli nel libro “Il mito dell’amore fatale”, “l’amore, come l’abbiamo inteso per secoli, è “un’invezione” dell’occiden- . te. L’amore in quanto bene assoluto non riguarda la relazione tra due soggetti, incarnati nello spazio e nel tempo. L’antidoto all’amore assoluto, alla religione dell’amore fatale, è quello che la Buchli definisce “amore civile”, riprendendo le tesi sviluppate da Anthony Giddens. “Civile” è un termine che utilizzo io, riferendomi al concetto di civiltà di Freud e di Jung. Ma cosa significa essere civili? “Negoziare sempre tutto, dunque dialogare, dichiarare, contrattare. […] Le modalità di convivenza civile basate sui criteri della democrazia - nella mentalità diffusa confinata esclusivamente ai comportamenti “pubblici” - dovrebbe penetrare tra le mura domestiche, fin “dentro” la nostra psiche individuale. […] Ma a ben vedere non esiste nulla di meno “esilarante” di una visione democratica della coppia, nulla di più lontano dalle attrazioni fatali, dall’esaltazione dell’innamoramento, dalla totale anarchia degli amanti convinti che “in nome” dell’amore tutto è possibile. Nulla di più lontano dalla “religione dell’amore” e dalla divinizzazione dell’oggetto d’ amore. Nulla di più spoetizzante. […] La religione dell’amore è l’antitesi dell’amore. E’ “l’incapacità di mantenere la necessaria contraddizione della differenziazione, in cui riconosciamo l’altro ma continuiamo anche ad affer- La rivoluzione dei comportamenti riproduttivi degli italiani ha una precisa data di inizio in Italia, ed è l’anno 1975, subito dopo lo scontro culturale e politico sul divorzio mare noi stessi. In questo crollo, i due elementi della differenziazione diventano scissi: uno dei due afferma il proprio potere e l’altro lo riconosce tramite la sottomissione. […] Nella svariata sfaccettatura delle condizioni di possibilità dell’amore civile, penso che in questa concezione dell’autonomia stia il nocciolo della questione”. Diverse normalità Sebbene si tenti in tutti i modi di ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA dare una rappresentazione della società italiana come fondata sulla famiglia tradizionale, mononucleare, basata su una coppia stabile, eterosessuale, con figli, i dati dimostrano che in tema di famiglia non esiste più una norma, ma tante normali diversità. Secondo i dati Istat del 2005, in Italia ben 5milioni e 362mila persone vivono in famiglie che sono libere unioni, famiglie ricostituite e famiglie con un solo genitore. In quasi il 10% delle nozze uno dei due coniugi è al secondo matrimonio. Il 10% delle famiglie è composta da un solo genitori con figlio. A seguito del divorzio o della separazione, la famiglia cessa di essere mononucleare e diventa plurinucleare. Ai genitori biologici si affiancano i genitori acquisiti attraverso i nuovi legami affettivi del padre o della madre. Non sono soltanto le coppie omosessuali quindi a mettere in crisi la famiglia tradizionale. Come spiega la psicologa Laura Fruggeri nel libro “Diverse normalità”, a partire dalla fine degli anni ‘80 la cultura della devianza ha gradualmente ceduto il passo alla cultura della differenza. “L’analisi approfondita delle discontinuità tra ruoli, tra funzioni e tra livelli di rapporto che le famiglie diverse da quella nucleare tradizionale presentano permettono di mettere a fuoco processi che nelle famiglie sono fondamentali a prescindere dalla loro struttura. (…) Lo studio della variabilità restituisce profondità a questi processi che, analizzati soltanto a partire dalla tradizionale famiglia nucleare, rischiano di venire appiattiti entro gli stretti confini di una scontata normalità”. Viste da questa prospettive le famiglie diverse da quelle tradizionali vengono visti come ambiti che possono favorire lo sviluppo di particolari capacità individuali, relazionali e sociali. Aiutare le famiglie. Come? L’Italia è il paese dove si fanno meno figli al mondo. In Europa la Svezia, dove sono unioni di fatto la metà delle coppie, o la Francia, con i suoi pacs, sono tra i paesi più prolifici d’Europa. Non sembra essere il riconoscimento delle coppie di fatto il principale nemico della famiglia e della natalità. Come affermano la maggior parte dei demografi e dei sociologi, una della cause principali della bassa natalità e del basso numero di giovani coppie in Italia è dovuto al ritardo nell’uscita dei giovani dalla famiglia di origine. L’Italia è il paese europeo nel quale i giovani se ne vanno più tardi dalla casa dei genitori. Vive con la famiglia il 70% dei maschi e il 50% delle donne tra 25 e 29 anni. Roberto Volpi legge il fenomeno come un processo di deresponsabilizzazione dei giovani. Al quale contribuiscono sia ragioni culturali, che Volpi chiama il “modello mediterraneo” di famiglia, sia ragioni economiche, come un welfare inadeguato, un mercato del lavoro che premia Secondo i dati Istat del 2005, in Italia ben 5milioni e 362mila persone vivono in famiglie che sono libere unioni, famiglie ricostituite e famiglie con un solo genitore l’anzianità rispetto al merito (ridotti salari di ingresso), un mercato degli affitti molto salato, un’università che non fornisce borse di studio adeguate né alloggi per i fuorisede. C’è poi il problema per le donne di poter conciliare lavoro professionale e impegni familiari. Se si volesse intervenire per aiutare la creazione di nuove famiglie ci sarebbe soltanto l’imbarazzo della scelta: prezzi degli affitti e della case, mutui, riforma del welfare, costruzione di asili nido. Gli strumenti di intervento devono tuttavia essere indirizzati agli individui e non alle famiglie come tali, per rafforzare le scelte di autonomia dei giovani, come afferma la sociologa Francesca Sartori, autrice di diversi studi sulla condizione giovanile in Italia. Già oggi, infatti, in Italia la disparità di trattamento fiscale dei single rispetto ai nuclei familiari con più componenti è molto maggiore rispetto ad altri Paesi. Come scrive Massimo Livi Bacci citando l’esempio francese: “Il rafforzamento del sostegno per i figli, esteso a tutti i nuclei sotto determinate soglie di reddito; la costituzione di una dote per i neonati; la costruzione di adeguati ammortizzatori sociali per i giovani che affrontano percorsi di lavoro flessibili quando non precari, sono tutte misure in programma o già abbozzate che vanno nella direzione giusta ma che vanno rafforzate e integrate e volte allo scopo di potenziare giovani e donne. Verranno, poi, anche i figli”. @pprofondisci L’inchiesta di RadioRadicale in versione integrale, con le interviste e la bibliografia annessa, la puoi trovare su www.radioradicale.it IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA 15 AMORE CIVILE E MITOLOGIA FAMILIARE ENRICHETTA BUCHLI Gli esponenti ufficiali della chiesa hanno indetto una guerra santa, con tutti i crismi tradizionali della spinosa faccenda, contro chiunque sostenga la legittimazione giuridica di rapporti d’amore che prescinde, per volontà o necessità, da quella del matrimonio. Mi colpisce la presenza di un arcaico tono da santa inquisizione nelle invettive che leggo. Per altro assente quando si tratta di denunciare quelle forme di male assoluto che sconvolgono la coscienza morale di tutti, credenti e non – abusi, maltrattamenti, schiavitù, mafie e ingiustizie di ogni tipo, fame, degrado, e violenze efferate di ogni genere. Mi colpisce in modo ancor più sorprendente la abile destrezza con la quale i suddetti esponenti sono in grado di occultare le lampanti contraddizioni delle loro presunte argomentazioni. Per la dottrina della chiesa è accettata una sola unione, eterosessuale ovviamente: quella santificata dal sacramento. Per il diritto canonico lo stesso matrimonio civile è come non esistesse. Tant’è vero che la chiesa, ignorando le regole giuridiche, dà il permesso di contrarre matrimonio religioso in assenza di quello civile. Ma non viceversa. Le coppie pur credenti sposate solo civilmente non possono accedere al sacra- mento della comunione, di centrale importanza per i fedeli. Come si giustifica il fatto che la chiesa stia cavalcando la tigre della famiglia in generale, anche di quella generata da un matrimonio non solo non accettato, ma anche, in passato, combattuto? Perché si abbatte contro i Dico quando, per le sue stesse premesse teologiche, si pongono sullo stesso piano del matrimonio civile? Perché esportare con tanto accanimento regole che valgono solo e esclusivamente per i credenti riuscendo anche a sostenere che Lei, a differenza delle istituzioni islamiche, non ha nulla a che vedere con il fondamentalismo? Quando lo stesso fondatore del cattolicesimo ha sostenuto, più di due secoli fa, “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio?” Sorvoliamo poi su una miriade di esortazioni evangeliche circa il dialogo, la tolleranza, l’accoglienza dei “peccatori”. La sacra famiglia. Ma di quale famiglia si sta parlando? La famiglia mononucleare che domina lo scenario della modernità e della postmodernità si è affermata nell’ottocento a opera della rivoluzione industriale. Pochi decenni fa molti la chiamavano “la famiglia borghese”. Non v’è nulla di sacro, tanto meno di naturale in tale assetto sociale che, a causa della ristrettezza di spazi e di parentela, ha via via nel tempo generato tutta una serie di disturbi psichici. E’ ben con tale famiglia che è sorta la psicoanalisi. La storia e l’antropologia ci informano dell’esistenza di altri tipi di assetti, famiglie patriarcali, allargate, tribali. Sono le varie culture, che si avvicendano nello spazio geografico e nella temporalità storica, a decidere i modelli e le regole di comportamento sessuale, relazionale, genitoriale. “L’uomo è per natura un essere di cultura”, diceva il filosofo Arnold Gehlen. Da quando l’antenato Homo Sapiens ha smesso di camminare a quattro zampe abbandonando l’armonioso mondo animale –potremmo anche parlare in termini simbolici di cacciata dal paradiso terrestreogni modalità di sopravvivenza, dalla caccia con le armi all’elaborazione e coltivazione del cibo, dall’accudimento della prole protratta nel tempo alle regole di interazione tra i membri del gruppo, sono invenzioni “non naturali”. Culturali. E le culture possono ammalarsi, involgere, non rispondere più alle esigenze della vita. Gravemente ammalata è la famiglia. E i rapporti amorosi. I ruoli di coppia, le funzioni materne e paterne, sono assolutamente in crisi anche nelle così dette famiglie “normali”. E’ evidente che non si basano su programmi biologici, ma sul sapere. Gli inse- • ENRICHETTA BUCHLI Filosofa, psicoanalista, diplomata all’Istituto Jung di Zurigo, didatta e docente della Scuola di Psicoterapia. Ha lavorato all’Università Cattolica di Milano nel campo della Filosofia e delle Scienze dello Spettacolo, e in Rai. Attualmente collabora con la Cattedra di Storia del Teatro e scrive di clinica, cinema, teatro per numerose testate specialistiche. Per Baldini&Castoldi ha recentemente pubblicato: “Il mito dell’amore fatale”. gnanti lo sanno bene. E anche gli psicologi. E che dire di quelle famiglie, sempre più numerose, dove le mogli vengono picchiate selvaggiamente, i figli abusati e maltrattati, oppure oggetto-possesso delle frustrazioni narcisistiche degli adulti. Che dire delle madri che uccidono i figli non di rado perché sole come cani –regolarmente sposate, ovvio- , dei padri assenti perché alienati da condizioni di lavoro dis-umane, in preda alla continua minaccia della catastrofe economica. L’elenco può essere interminabile. Le culture si ammalano, ma possono anche produrre i rimedi. L’amore civile, questo il programma di cura da me indicato nel testo “Il mito dell’amore fatale”. Diagnosi e cura, programma di base del convegno. Giddens, con la teoria dell’intimità come democrazia, Beck, con quella della individualizzazione delle relazioni affettive, hanno contribuito al- la proposta di modalità relazionali e familiari che possono sopravvivere solo se l’astratta nozione di democrazia, prevalentemente applicata al pubblico, penetri nelle mura domestiche. Ma, ancor più nelle nostre menti. A una condizione. Essere soggetti autonomi, che hanno rinunciato ai falsi miti e idoli, alla personale onnipotenza, per poter contrattare e negoziare con l’alterità in un clima di rispetto e di empatia. Mettersi nei panni degli altri, unica condizione di possibilità del dialogo. Un’ultima annotazione. Lo stesso fondatore delle religioni cristiane non sembrava incline all’apologia della famiglia biologica. Matteo, 12,48:”Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Poi stendendo le mani verso i suoi discepoli disse: ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre.” PACS: COMPROMESSO IMPOSSIBILE BRUNO DE FILIPPIS* Quando non si vuole percorrere la strada maestra, si corre il rischio di perdersi, esplorando vicoli e vicoletti. La strada maestra, in materia di coppie di fatto, è affermare che questa scelta ha pari dignità rispetto a quella che porta al matrimonio tradizionale e può, in una società basata su valori di libertà, costituire un’alternativa ad esso, purché sia costruita secondo modelli attuali ed europei, vale a dire valorizzando la dimensione contrattuale ed ampliando le possibilità di autodeterminazione delle persone, affinché ognuno possa realizzare il modello che più si addice alla sua personalità, alle sue esigenze ed alla sua cultura. La strada maestra consiste nel “volare alto”, vale a dire, non cercare soluzioni minimali, che accontentino la cultura conservatrice, ma, nel momento in cui quest’ultima, per spinte religiose (e quindi non razionali), si arrocchi nella difesa degli schemi del passato e rifiuti tenacemente di dare spazio alle nuove esigenze sociali, rilanciare, proponendo in modo limpido il valore della libertà di scelta e l’idea che un modello, se è valido, deve affermarsi non perché imposto come unico possibile, ma per il suo intrinseco valore. Il compromesso è spesso utile, ma qualche volta non è possibile. Costituisce un errore perseguirlo a tutti i costi, via via svuotando di contenuti il proprio progetto, per renderlo gradito a chi è portatore di un’idea completamente opposta. Il modello dei conservatori è chiaro e consiste nell’esistenza di un unico tipo di unione, dai contenuti tradizionali ed immutabili, alla quale solo dovrebbero essere riservati diritti civili ed apprezzamento dal punto di vista sociale e morale. L’alternativa consiste nei “Pacs” francesi, nei “Registreret partnerskab” danesi, nella “Civil partnership” del Regno Unito o nel riconoscimento della validità di istituti come i “prenuptial agreements”, idonei ad ampliare gli spazi riconosciuti nelle ipotesi di convivenza o all’interno dell’istituto matrimoniale, per rispondere alla domanda di libertà e di possibilità di scelta che, lo si voglia o no, è una delle caratteristiche dell’uomo moderno ed una conseguenza della cultura de- mocratica e pluralista. Poste queste premesse, nessuna delle soluzioni sinora ipotizzate appare soddisfacente. I Di. Co., condizionati dall’idea che il progetto non deve apparire assolutamente alternativo al matrimonio (perché quest’ultimo non perda la sua caratteristica di unico tipo possibile di unione) sono ambigui ed inconsistenti nella parte in cui dovrebbero definire le ragioni dell’unione e la tipologia dei contraenti. Ciò realizza una grave patologia proprio “alla radice” della loro realtà giuridica. Per attribuire diritti ad una situazione, il primo presupposto, come i giuristi ben sanno, è la certezza legale dell’identificazione di essa. La proposta di legge sui Di. Co. non sa (e non può) identificare i soggetti contraenti e le ragioni per le quali essi stanno insieme. La coabitazione e l’esistenza di un legame affettivo sono generiche e possono riferirsi a varie situazioni. L’esistenza del legame, poi, è al di fuori di qualsiasi possibilità di prova. False coppie potranno creare apparenti situazioni di convivenza, per poter fruire dei diritti che la legge riconosce, così creando confusione e giustificando i giudizi negativi di coloro i quali vorrebbero vedere assolutamente non regolamentata questo tipo di realtà. Una proposta di legge sulle convivenza dovrebbe invece partire da un dato certo, che non può essere se non la scelta di attribuire ad un partner un ruolo privilegiato nella proprio vita, pur con connotati diversi rispetto a quelli tipicamente matrimoniali. In mancanza di ciò, i Di. Co. non sono in grado, non solo di camminare, ma neppure di stare in piedi da soli. E’ poi sotto gli occhi di tutti il fatto che la genericità della proposta di legge non riguarda solo la definizione di base, ma gli stessi diritti che dovrebbero essere attribuiti, poiché gli stessi sono, quasi in tutte le ipotesi considerate, eventuali, derogabili o rimessi a successive scelte. Né miglior giudizio è possibile esprimere per le proposte di unione solidale, che pure sono state formulate in sede parlamentare. la soluzione contrattuale e la stipula dinanzi ad un notaio, poiché vanno nella direzione di favorire la libera autodeterminazione delle parti (non modelli predefiniti, “medioevalmente” scelti dal legislatore e “medioevalmente” validi per tutti, ma possibilità di scelta, entro margini precostituiti), ma trova i suoi limiti nel fatto che rappresenta un’unione di tipo esclusivamente economico e che non attribuiscono (né vogliono assolutamente attribuire), alcuno status di carattere personale. In base a ciò, appare contraddittorio prevedere (come invece si legge nel testo) che da esso derivino conseguenze quali la reversibilità della pensione. Il modello di riferimento concreto di una regolamentazione deve perciò continuare ad essere individuato nei “Pacs” francesi, istituto che, come dicono le statistiche, da quando è stato introdotto, ha avuto incrementi annuali tra il 25% ed il 30% ed una percentuale di dissoluzione intorno al 10% e, pertanto, inferiore rispetto a quella dei matrimoni. Esse contengono elementi validi, nella parte in cui prevedono * Magistrato, esperto in diritto di famiglia 16 IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA IN EUROPA SI LEGIFERA, L’uguaglianza dei diritti tra i cittadini dell’Unione è principio riconosciuto formalmente dagli stessi trattati comunitari. Di fatto, mentre nella maggioranza dei A CURA DI FILOMENA GALLO “Tutti i cittadini dell'Unione hanno gli stessi diritti, indipendentemente dalla loro origine, nazionalità, condizione sociale, dal loro credo religioso o orientamento sessuale”. Tale principio rientra tra i principi cardine dell’Unione Europea, da ciò inoltre, è facile comprendere la posizione della Comunità che prevede una visione pluralistica in materia di rapporti di coppia, corrispondente sicuramente alle realtà dei diversi Stati membri, della società e di tutte le Direttive e regolamenti che indirettamente entrano nelle relazioni di coppia, siano esse matrimoni, unioni registrate o convivenze, a partire già dal principio di libera circolazione (che include il partner tra i familiari), al ricongiungimento familiare e alla materia della filiazione che a livello comunitario non fa distinzione alcuna tra i figli da unione tradizionale o figli da nuove unioni che sono entrate nella consuetudine. Molti invece sono i Paesi che hanno previsto norme precise, di seguito un breve riquadro. DANIMARCA Il primo Paese al mondo che ha dato la possibilità alle persone dello stesso sesso di ufficializzare i rapporti di coppia è stata la Danimarca. Tale unione è chiamata partnership registrata, approvata il 7 giugno 1989, con la n. 372 (modificata dalla legge 360/1999). I contraenti assumono lo status di “partner registrati”, e da alcuni anni possono adottare i figli biologici del partner ma non accedere all'adozione congiunta. FINLANDIA Singolari sono le norme previste dalla Finlandia, dove dal marzo 2002 è in vigore una legge per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, che garantisce molti dei diritti che acquisiscono le coppie eterosessuali che contraggono matrimonio civile a meno che le parti non dispongano diversamente. Tra questi, ad esempio, il diritto di immigrazione per il partner straniero. Sia la registrazione che la dissoluzione dell'unione si ottengono allo stesso modo che per il matrimonio. La convivenza si stipula dinnanzi alle stesse autorità preposte alla celebrazione del matrimonio e lo scioglimento della convivenza fa capo alle disposizioni previste per il matrimonio. Le leggi sulla paternità, l'adozione e la possibilità di usare un nome in comune non si applica alle convivenze registrate. PAESI BASSI In Olanda il matrimonio è aperto alle coppie dello stesso sesso dal 2001, mentre per quanto riguarda le unioni civili, già dal 1 gennaio ‘98 la legge del 5 luglio 1997 permetteva alle coppie dello stesso sesso e di sesso diverso di registrarsi in appositi registri comunali delle unioni civili e ottenere gli stessi diritti delle coppie sposate. L'unione registrata si scioglie per la morte di uno dei partner, per assenza o scomparsa di uno dei partner o per provvedimento di scioglimento del giudice. In caso di separazione è necessario prevedere l'eventuale corresponsione di alimenti al partner che non avesse risorse sufficienti. Il primo giugno del 2001, per la prima volta, due uomini italiani si sono sposati civilmente all'Aja. BELGIO Il 29 ottobre 1998 il Parlamento belga approvò la “Loi du 23 novembre 1998 instaurant la cohabitation légale”, sulla convivenza legale. Tale legge è entrata in vigore il primo gennaio del 2000. Sono compresi nell'istituto tutte le coppie, senza condizioni riferite al sesso. Per ottenere la convivenza legale le parti devono non essere legate da un matrimonio o da altra convivenza legale. La dichiarazione di convivenza è fatta per mezzo di uno scritto consegnato dietro ricevuta all'ufficiale di stato civile del domicilio comune. Questi, dopo aver verificato che le due parti soddisfino le condizioni previste dalla legge, annota la dichiarazione nel registro della popolazione. Alla convivenza si applicano, per analogia, tre articoli del Codice civile riguardanti il matrimonio. Il 20 marzo 2006 è stata approvata definitivamente la legge che consente alle coppie omosessuali sposate o conviventi l'adozione di bambini. FRANCIA La legge n. 99-944 del 15 novembre 1999 (Du pacte civil de solidarité et du concubinage) definisce la nuova forma di unione, il Patto civile di solidarietà: un contratto tra due persone maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune. Il Pacs offre ampia tutela alla convivenza (diritti di rilevanza pubblicistica, regola il rapporto di locazione, contempla misure fiscali e altro). In particolare, il Pacs è un contratto concluso con una dichiarazione congiunta scritta presso la cancelleria del Tribunal d'instance nella giurisdizione di residenza. Il testo della convenzione è iscritto in un registro tenuto presso la cancelleria. Il Pacs prevede che i benefici del welfare e la riduzione delle tasse si acquisiscano dopo tre anni dalla stipulazione dello stesso. La legge francese prevede anche il concubinaggio (capitolo II, art. 515-8) che offre diritti molto limitati (affitto, immigrazione, salute e assicurazione) ai partner che coabitano. I Pacs non sono rivolti soltanto alle persone dello stesso sesso, ma anche alle coppie di sesso diverso che non vogliono contrarre matrimonio e preferiscono utilizzare uno strumento giuridico diverso dal matrimonio civile o religioso, senza però essere prive delle tutele e delle prerogative di cui gode una coppia “regolarmente” unita (assistere il proprio partner in ospedale, partecipare alle decisioni che riguardano la sua salute e la sua vita, lasciare in eredità il proprio patrimonio alla persona con cui si è condivisa l'esistenza, ottenere l'avvicinamento se un partner è extracomunitario e così via). BESTIARIO ALL’ITALIANA A CURA DI ALESSANDRO CAPRICCIOLI 16 aprile 2007 Savino Pezzotta (ex Segretario della Cisl): “Nessun atteggiamento omofobico: anche loro hanno bisogno di tutele ma non accettiamo alcun tipo di simil matrimonio. I gay, per esempio, sono persone ma non categorie e perciò hanno dei bisogni, non diritti”. 15 aprile 2007 Marcello D'Orta (editorialista del Giornale): “Oggi vanno fortissimo le unioni composite, per cui un uomo può sposare (avere una relazione, convivere, flirtare) un uomo, una donna una donna, un padre un figlio, una madre una figlia, un nonno un nipote, un cugino una zia, una badante russa il marito di un’italiana ammalata”. 13 aprile 2007 Luigi Negri (Vescovo di San Marino-Montefeltro): “È in atto una grande congiura ideologica che sfrutta l’intero sistema dei media per scardinare l’idea di Gesù, per portare la società verso la scristianizzazione. Un’operazione compiuta a freddo, attraverso l’uso di mezzi economici e tecnologici immensi”. 11 aprile 2007 Luca Volonté (Capogruppo UDC alla Camera): GERMANIA L'istituto giuridico della convivenza registrata (Eingetragene Lebenspartnerschaft) è stato introdotto in Germania il 16 febbraio 2001 con la legge Gesetz über die Eingetragene Lebenspartnerschaft. La legge sulla convivenza registrata non equipara a tutti gli effetti la convivenza al matrimonio, pur applicando ai conviventi disposizioni analoghe a quelle contenute nel codice civile tedesco per la disciplina del matrimonio. La legge assicura pieno riconoscimento alla coppia dal punto di vista contributivo ed assistenziale: ciascun convivente può beneficiare ed essere inserito nell'assicurazione sulla malattia del compagno e la norma conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza (procedura agevolata per ottenere la naturalizzazione e diritto al ricongiungimento). L'istituto giuridico è diverso dal matrimonio in materia di filiazione e di adozione. Ai conviventi non è riconosciuto il diritto di adozione congiunta ed inizialmente non permetteva l'adozione dei figli del convivente (tale possibilità è stata introdotta dal 2004). È stata introdotta però una forma di potestà limitata, tanto che i partner possono essere asso- “Cosa hanno a che fare le parole della Nota dei Vescovi con l’accusa di omofobia? Come mai si è strumentalizzata la morte del ragazzo di Torino a fini omosessualistici?”. 1° aprile 2007 Roberto Calderoli (Lega Nord): “L’etica c’entra fino ad un certo punto: i Dico, l’omosessualità, non sono soltanto contro l’etica ma anche contro natura, e quindi destinati all’estinzione”. 31 marzo 2007 Roberto Calderoli (Lega Nord): “Se ancora non si è capito, essere culattoni è un peccato capitale”. 30 marzo 2007 Angelo Bagnasco (Segretario della CEI): “Perché quindi dire no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia? Perché dire di no all'incesto, come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? Bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali”. 27 marzo 2007 Riccardo Pedrizzi (Presidente Consulta Etico-Religiosa di AN): “Come può, del resto, invocare diritti chi nega l’esistenza di una legge morale naturale assoluta e valida per tutti gli uomini, chi fa sua la filosofia dell’individualismo, del soggettivismo e dell’edonismo?”. 25 marzo 2007 Lucia Annunziata (giornalista): “La foga della battaglia con la Chiesa ha spostato i Dico su toni di estremismo omosessuale”. IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA 17 , IN ITALIA SI PONTIFICA paesi del vecchio continente le unioni civili sono in qualche modo previste e tutelate, in Italia gli esponenti politici si sfidano a “chi la spara più grossa”. 18 marzo 2007 Pier Gianni Prosperini (Assessore Regione Lombardia, AN): “Ma l’omosessualità è una devianza. Quindi niente famiglia e niente adozioni. Il gay dichiarato non può essere né insegnante, né militare, né istruttore sportivo. (…) Garrotiamoli, ho concluso. (…) Alla maniera degli Apache: cinghia bagnata stretta intorno al cranio. Il sole asciuga il laccio umido, il cuoio si ritira, il cervello scoppia”. 15 marzo 2007 ciati alle decisioni che riguardano la vita quotidiana del bambino e richiedere l'affidamento in caso di morte del genitore naturale. Al convivente superstite, inoltre, sono attribuiti gli stessi diritti successori che il matrimonio conferisce ai coniugi, inoltre la legge prevede pensione di reversibilità, permesso di immigrazione per il partner straniero, reversibilità dell'affitto e l’obbligo di soddisfare i debiti contratti dalla coppia. Maurizio Cecchetti (editorialista del Giornale): “Anche nel dettato biblico l’unione fra l’uomo e la donna nel matrimonio sembra avere un presupposto originario “naturale” che combacia, curiosamente, con certe scoperte della paleoantropologia”. 14 marzo 2007 Rocco Buttiglione (Presidente UDC): IRLANDA Dal 2005 è iniziato l’iter parlamentare di una legge, il “Civil Partnership Bill”, tesa a regolamentare le unioni anche tra individui dello stesso sesso. “Senza figli non esiste la famiglia”. 13 marzo 2007: L'Osservatore Romano: “Si è dunque inscenato sabato il promesso corteo a favore del riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Una manifestazione nella quale, al di là dell’immagine borghese e rassicurante che si voleva dare, hanno trovato posto discutibili mascherate e carnascialate varie. Ironie e isteriche esibizioni da parte di chi invoca riconoscimenti e non esprime rispetto”. 12 marzo 2007 Rosy Bindi (Ministro alle Politiche per la Famiglia, Margherita): “E’ meglio che un bambino stia in Africa con la sua tribù, piuttosto che cresca con due uomini o con due donne, con genitori gay”. 11 marzo 2007 Vittorio Sgarbi (?): “Dunque, non è una richiesta di diritti la ridicola pretesa giuridica di ottenere approvazione e previdenza sociali per il libero esercizio dei propri piaceri, spesso confinanti, per chi avesse il coraggio di ammetterlo, con la pedofilia e la prostituzione”. 8 marzo 2007 Militia Christi (movimento politico): “Il Movimento Politico cattolico “Militia Christi” appresa la notizia che il Comune di Roma per decisione del suo Sindaco Veltroni, patrocinerà il prossimo corteo gay, finanziandolo anche nei suoi aspetti organizzativi, denuncia il vergognoso ed impopolare sperpero di denaro pubblico per azioni moralmente e socialmente inaccettabili ed inutili come la suddetta ad appannaggio della lobby omosessuale ed in contrasto con il bene comune. Per tale triste ragione Militia Christi da lunedì prossimo si farà sentire”. 3 marzo 2007 Paola Binetti (Margherita): “L’omosessualità è una devianza della personalità: un comportamento molto diverso dalla norma iscritta in un codice morfologico, genetico, endocrinologico e caratteriologico”. 3 marzo 2007 Camillo Ruini (ex Segretario della CEI): “Da quanto risulta ai sacerdoti che hanno ogni giorno a che fare con loro, queste coppie non chiedono forme diverse dal matrimonio”. ...E NON FINISCE QUI LUSSEMBURGO Dal 2004 è in vigore la partnership registrata. Si applica alle coppie dello stesso e di sesso diverso e garantisce diritti simili a quelli delle coppie sposate in relazione al welfare e al fisco. PORTOGALLO Nel 2001 sono state approvate due leggi che hanno disciplinato, rispettivamente, le situazioni giuridiche della “economia commun” (economia comune) e delle “União de facto” (unioni di fatto). La definizione “economia commum” data dalla legge all'art. 2, è “la situazione di persone che vivano in comunione di vitto e alloggio da più di due anni ed abbiano stabilito un genere di vita in comune basato sull'assistenza reciproca o la ripartizione delle risorse”. La legge si applica a nuclei di due o più persone purché una di queste sia maggiorenne. La legge prevede diritti riguardo al godimento di ferie, permessi e congedi familiari, diritto di preferenza nei trasferimenti riguardanti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, applicazione del regime delle imposte sul reddito, protezione particolare per la residenza in comune e diritto, nella trasmissione ereditaria, alla casa. La legge sulle unioni di fatto invece regolamenta, secondo l'art. 1, “la situazione giuridica di due persone, indipendentemente dal sesso, che vivano un un'unione di fatto da più di due anni”. I diritti che garantisce la legge sono gli stessi di coloro che vivono in un'economia comune a cui si aggiunge in caso di morte del convivente benefici economici erogati dal sistema della sicurezza sociale e pensione al coniuge superstite. L'unione si scioglie per la morte di uno dei due membri, per il matrimonio di uno dei due membri o per volontà di uno dei due membri. REGNO UNITO In Inghilterra e Galles le coppie dello stesso sesso possono adottare. Il “Civil Partnership Act”, del dicembre 2005, riconosce alle coppie dello stesso sesso in tutto il Regno Unito la possibilità di vincolarsi in una unione registrata molto simile al matrimonio. Ciononostante questo non è, dal punto di vista giuridico, un matrimonio omossessuale, contrariamente a quanto è stato scritto sui giornali italiani. I contraenti assumono lo status legale di “civil partners”. Sono riconosciute anche le coabitazioni non registrate di partner di sesso diverso o dello stesso sesso, a cui è accordata una varietà di diritti e facoltà, dalle assicurazioni all’immigrazione e altro. REP. CECA La Camera dei deputati il 15 marzo 2006, ha approvato una legge sulle unioni registrate per le persone dello stesso sesso. La legge regola l'inizio e la fine delle unioni registrate fra persone dello stesso sesso, concede a queste persone il diritto ad avere informazioni sullo stato di salute del partner, il diritto all'eredità nel caso della morte e obbliga i partner a sostenersi finanziariamente. La Legge rende possibile l'educazione di bambini nati da precedenti vincoli eterosessuali, ma non permette l'adozione. SLOVENIA La legge del 22.06.2005 garantisce alle unioni civili diritti limitati nel campo delle relazioni di proprietà e dell'eredità. Tale legge, contestata dal movimento di liberazione omosessuale, non garantisce alcun diritto di assicurazione, salute e pensionistico. SPAGNA Il matrimonio è aperto alle coppie dello stesso sesso dal 2005. Alcune regioni (Comunidades autónomas) del Paese riconoscevano già diritti alle coppie di fatto, di sesso uguale o diverso. È il caso della Catalogna, che il 15 luglio 1998 aveva approvato la legge sulle coppie stabili (Legge 10/1998, De uniones estables de pareja – “Legge sulle unioni stabili”), entrata in vigore il 23 ottobre dello stesso anno. La legge regola diversi aspetti privatistici della relazio- ne di coppia: prevede la responsabilità solidale per le spese domestiche e per alcuni debiti, regola l'uso della casa comune e offre benefici nel caso in cui uno dei partner lavori per il governo catalano. Le coppie omosessuale hanno accesso a questa legge rendendo una dichiarazione con un atto notarile. Le coppie eterosessuali possono regolamentare il loro rapporto o con un atto notarile, o automaticamente dopo una convivenza di più di due anni, o automaticamente per le coppie che convivono e hanno un figlio. Dopo la Catalogna altre dieci regioni spagnole hanno approvato leggi sulle unioni di fatto, per un totale di 11 comunità su 17. In particolare si tratta dell'Aragona nel 199, la Navarra nel 2000, la Comunità di Valencia, le Isole Baleari e la Comunità di Madrid nel 2001, le Asturie e l'Andalusia nel 2002, le Canarie, l'Estremadura e i Paesi Baschi nel 2003. SVEZIA Le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono regolarizzate in Svezia dal 1994 . La legge garantisce molte delle prerogative del matrimonio, adozione di bambini inclusa. In Svezia è in discussione l’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. UNGHERIA Una legge del 1996 (Codice civile, art. 578/G) in seguito di una modifica incide sul diritto di proprietà delle coppie conviventi di omosessuali. In particolare, ogni bene acquistato nel corso della convivenza è di proprietà dei componenti della coppia in proporzione al contributo dato all'acquisto. Nel caso il contributo non possa essere determinato, sono ritenuti uguali. Il lavoro casalingo, inoltre, è considerato come un contributo all'acquisto della proprietà. ITALIA Nel nostro paese non esiste una legge al riguardo. Però alcuni comuni - come Bologna, Firenze, Pisa, Ferrara, Terni e Voghera - a partire dal 1997 hanno approvato l'istituzione del registro per le “unioni civili”. Attualmente anche altri paesi europei non prevedono alcuna legislazione specifica per la regolamentazione delle unioni civili: Austria, Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia e Slovacchia. 18 . IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA GENETICA, OMOSESSUALITÀ E FESSERIE DI SINISTRA GILBERTO CORBELLINI Una cosa giusta anche Bertinotti l'ha detta: la sinistra italiana è preda di un drammatico vuoto culturale. E, si può aggiungere, le poche idee che circolano sono confuse o sbagliate. Peraltro, Bertinotti ha dimostrato in più di un’occasione di essere lui tra i molto confusi. In modo particolare quando, si spera per meri interessi elettoralistici, ha giudicato meritevoli di attenzione culturale le schiocchezze di un personaggio scientificamente impresentabile come è Massimo Fagioli. Non che la destra (sempre quella italiana) sia messa meglio. Ma ha scelto opportunisticamente di cavalcare alcune idee che la tradizione del pensiero cristianocattolico coltiva dogmaticamente da un paio di millenni. Idee altrettanto sbagliate di quelle che ha coltivato e coltiva certa sinistra cosiddetta “radicale”. Ma che, fortunatamente per la destra, intercettano meglio talune istanze innate, cioè pregiudizi, inscritti nel senso morale e politico della specie umana. Ma fermiamoci per il momento alla sinistra. Un saggio emblematico del ritardo culturale della sinistra italiana è la replica di Livia Profeti all'intervento di Anna Meldolesi, pubblicato sul Riformista, sulle basi biologicoevolutive dell'omosessualità. Le critiche della Profeti sono dei veri e propri riflessi condizionati della cultura storica di sinistra , che riecheggiano addirittura argomenti tristemente noti. Cioè quelli dei materialisti dialettici stalinisti che, nel nome di Lysenko (do you remember?), condannarono ideologicamente le conquiste scientifiche della genetica mendeliana e morganiana. Condanna che costò la vita a dei genetisti, nonché a milioni di contadini che sotto Stalin si videro imposte delle tecniche agricole inventate su pura base ideologica (comunista) e senza alcuna giustificazione scientifica. Tra le critiche della Profeti spicca un luogo comune del tutto inverosimile, non a caso oggi cavalcato soprattutto da ex-comunisti schierati per convenienza sulle posizioni della destra religiosa e integralista, come Ferrara o Galli della Loggia, secondo cui gli attuali studi e applicazioni della biologia e della genetica all'uomo coincidono con l'eugenica nazista. La Profeti suggerisce altresì, cadendo nell'astuta trappola ratzingeriana, che siccome alcuni teologi cattolici, peraltro interpretando bene l'impianto trascendentalista della teologia ratzingeriana, cercano di fondare sulla biologia, la presunta 'normalità' naturale, allora dobbiamo neutralizzare proprio la biologia. Geniale! Siccome anche i cattolici integralisti si alimenta- • GILBERTO CORBELLINI membro del Comitato Nazionale di Bioetica, Professore ordinario di Storia della Medicina all’Università “La Sapienza” di Roma, è co-Presidente dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. no, dobbiamo smettere di mangiare perché se lo fanno loro deve essere per forza sbagliato nutrirsi. In realtà, è facile dimostrare che i neo-integralisti cattolici e gli atei devoti cercano in modi diversi di falsificare o censurare le scienze biologiche perché se fossero davvero comprese e insegnate minerebbero alla radice le credenze superstiziose attraverso cui influenzano ingannevolmente le persone più sprovvedute. Andiamo in ordine. L'omosessualità è diffusa nel mondo animale, come dimostrano centinaia di studi etologici, ed esistono incontrovertibili prove La sinistra italiana è preda di un drammatico vuoto culturale che alcuni geni sono coinvolti, insieme a fattori ambientali, nel controllo dell'orientamento sessuale. In alcuni animali è stato possibile produrre sperimentalmente un orientamento omosessuale. Siccome la specie umana, a meno di non credere alle fesserie degli spiritualisti, è il prodotto dell'evoluzione, è ragionevole domandarsi, come fanno gli studiosi di biologia del comportamento, quali fattori selettivi abbiano favorito la conservazione di tratti comportamentali che precludono la riproduzione dell'individuo: come è appunto l'omosessualità. Lasciamo da parte la questione se i geni dell'omosessualità danno una marcia in più. E' una questione mal posta. Il problema è quali pressioni selettive possono aver favorito i polimorfismi nei geni coinvolti nell'orientamento sessuale dell'uomo. Peraltro, gli aggettivi superiore o inferiore, migliore o peggiore in biologia non hanno senso: se un tratto è adattativo o meno dipende comunque dal contesto ambientale, che ne favorisce o meno l'emergere anche a livello funzionale. Certo, anch'io sto avendo qualche difficoltà a tenere a bada la tendenza alla generalizzazione di mio figlio. Ha solo dieci anni, ma da quando ha scoperto che alcuni dei suoi campioni erano omosessuali, a cominciare dall'Achille di Omero e da Alessandro Magno (ma ora sta scoprendo anche filosofi, artisti, scienziati e diversi amici del padre che a lui stanno simpatici), ai compagni che usano come insulti i termini “frocio” e “gay” dice che in realtà si dovrebbero usare quei termini come complimenti. Perché se si eliminassero tutti gli omosessuali dalla storia umana sparirebbe anche una quantità immensa di cose straordinarie. Peraltro, non riesco a essere molto convincente quando provo a spiegargli che non c'è alcun rapporto dimostrato tra essere omosessuale e essere, per esempio, anche solo mediamente più creativo. Stante che l'omosessualità ha una base genetica, dire che qualcosa è geneticamente condizionata, ovvero che esiste a diversi livelli una componente genetica nella determinazione di ciò che siamo come persone significa sostenere una tesi razzista e nazista? O sfociare nell'eugenica? Assolutamente no! Liquidiamo subito la questione dell'eugenica: solo per malafede od ottusità intellettuale è ancora possibile, alla luce di tonnellate di letteratura prodotta sull'argomento, confondere quelle che oggi sono libere scelte riproduttive delle copie con le politiche statati illiberali volte a migliorare una "razza". L'eugenica era quest'ultima cosa. O troviamo un nome diverso per l'eugenica storica, o chiamiamo in un altro modo quelli che alcuni considerano ingiustificatamente capricci dei genitori. L'alleanza della genetica con il razzismo prima della seconda guerra mondiale fu il frutto di fraintendimenti e manipolazioni concettuali elaborate da alcuni scienziati per avvallare pregiudizi culturali ispirati da istanze xenofobe. La principale manipolazione degli eugenisti storici fu l'as- Stencil / Simonbooth sunto che anche i tratti complessi, come i comportamenti, inclusi gli orientamenti sessuali, le capacità cognitive e le abilità pratiche, fossero sotto il controllo di singoli geni. Che l'ambiente si limitava a 'selezionare'. L'eugenica razzista e nazista era quindi basata su assunzioni scientifiche del tutto false. E' stata la moderna genetica evoluzionistica e molecolare, non le critiche psicoanalitiche, filosofiche o sociologiche del determinismo biologico, a dimostrare che le razze non esistono e che le caratteristiche complesse sono sotto il controllo di numerosi geni, che interagiscono tra loro e con il contesto ambientale. Per cui, più i tratti sono complessi e più numerosi sono i geni coinvolti. E' questa la soluzione trovata dall'evoluzione per amplificare esponenzialmente i gradi di libertà nei comportamenti degli animali superiori, ovvero per costruire condizioni di sempre maggiore indeterminatezza che permettono all'ambiente di giocare un ruolo più rilevante nella costruzione delle risposte adattative individuali. Rilevante, ma mai esclusivo. Geni e ambiente non sono pensabili, sul piano operativo, separatamente. Una consistente letteratura in lingua anglosassone si chiede da anni come mai gli intellettuali di sinistra, inclusi gli scienziati, siano incapaci di capire che assumere una biologia della natura umana non implica cadere nel determinismo genetico. L'atteggiamento di pregiudiziale sospetto della sinistra verso il darwinismo e la biologia sono stati stigmatizzati dal filosofo Peter Singer in un famoso pamphlet intitolato “Per una sinistra darwiniana”, che è caduto nel vuoto dell'impreparazione del pensiero politico di sinistra, e in generale purtroppo del pensiero laico, di cogliere le valenze euristiche positive di un approccio naturalistico alle dinamiche dei comportamenti sociali umani. Vale oggi ancora più di qualche anno fa, soprattutto per la cultura laica italiana l'invito di Singer: “E' tempo per la sinistra di capire che noi siamo degli animali evoluti, e che portiamo la prova di questa eredità nel nostro comportamento”. IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... INTERVISTA DOPPIA . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA 19 DUE GAY CON UN FIGLIO DI 13 ANNI: “NOI SIAMO FAMIGLIA” SERGIO ROVASIO un bambino che ha due papà? Antonello e Mauro, con Alberto, loro figlio di 13 anni,compongono una famiglia di cui nessuno sa e deve sapere nulla.Non i vicini, non le autorità. Sfuggono persino al censimento che, per un diabolico sistema di asservimento a chissà chi, non vuole “ufficializzare” questo tipo di convivenze, eliminandone il conteggio. Qualcosa sanno gli amici, ma non proprio tutto. Questo per paura che un assistente sociale bussi alla porta e dica: “Alberto non può vivere con voi, siete due omosessuali”, anche se Antonello è il padre…Li abbiamo intervistati e, per garantire loro l'anonimato, abbiamo giurato che nemmeno sotto tortura diremo i cognomi e la località dove vivono. A.: Non ci abbiamo pensato subito, abbiamo solo deciso di dire, se fosse stato necessario, che siamo cugini ed è quello che oggi pensano un po' tutti, forse. M.: Quelli che si mettono il prosciutto negli occhi pensano questo; in realtà chi vede un po' oltre nelle cose sa benissimo che siamo fidanzati conviventi ma in fondo ci accettano. Sono a casa di Antonello e Mauro in una città di provincia del centro Italia. Alberto, loro figlio, è fuori con i suoi amici. Da quanto tempo state insieme? Insomma sembra la fiaba di Heidi? (Risate) A.: Da sei anni, se sommiamo il periodo di fidanzamento sono sette. M.: Magari! Ciò che ci pesa di più è dover mascherare la nostra vita. In realtà ci sono anche persone che sparlano di noi, ce lo dicono alcune persone di fiducia. E' come se fossimo dei sorvegliati speciali e questo ci infastidisce molto. Siamo preoccupati perché abbiamo il timore che prima o poi venga qualcuno a chiederci conto di questa situazione e questo ci sembra folle. La donna con cui ho avuto Alberto vive un dramma personale da tanti anni, per questo Alberto vive con noi; ma se un assistente sociale conoscesse la nostra situazione so che correremmo dei seri rischi A.: Si, ci siamo conosciuti tramite amici comuni e ci siamo subito piaciuti. M.: Per la verità lui mi ha corteggiato in modo insistente fino a quando ho ceduto… (risata). Quando avete deciso di vivere insieme vi siete posti il problema dei vicini? Cosa avrebbero pensato di questa famiglia con Cosa pensate del “Family day” del prossimo 12 maggio? E vostro figlio Alberto come la vive questa esperienza di due papà? M.: Mah, lui sembra del tutto indifferente. Ovviamente è consapevole della nostra condizione di vita: sa benissimo che siamo due gay che vivono insieme. Andiamo molto d'accordo. E' un tipo autonomo, indipendente, lo abbiamo educato con il massimo della libertà; ha la fidanzatina già da un anno: vivono un bellissimo rapporto, la prima cotta. Alberto, vostro figlio aveva sei anni quando vi siete conosciuti? con queste preoccupazioni che andare all'estero senza sapere dove e come andremmo a vivere. M.: A me piacerebbe andare a vivere ad Amsterdam ma la lingua è ancora più difficile. Stencil / EddieMalone solo perché siamo omosessuali, poi con i tempi che corrono…Sembra strano dirlo ma eravamo più sereni anni fa. C'è un'involuzione in corso che fa paura. M.: La colpa purtroppo è del dibattito sui Dico… Spiegati meglio… M.: Con questo dibattito sui Dico sembriamo tornati indietro! Prima non credevo che si potessero dire alcune cose così negative sui figli di coppie omosessuali e il diritto alla genitorialità che sembrava fuori discus- PERSONE UGUALI, UGUALI DIRITTI! Continua la promozione del Manifesto per l'eguaglianza dei diritti che chiede il superamento delle discriminazioni e l'accesso all'istituto del matrimonio civile per le persone omosessuali. Sono oltre 3.500 le firme raccolte on line in queste settimane. Tra le ultime quelle di Luciana Littizzetto, Gianni Vattimo, la Open House di Gerusalemme, il Segretario dei Ds di Trieste, che si aggiungono a quelle di parlamentari, giornalisti, intellettuali, artisti e di quasi tutte le associazioni glbt italiane e personalità gayfrendly… Puoi aderire anche tu sul sito www.matrimoniodirittogay.it, trovi anche tutti i firmatari e l'elenco delle personalità. WWW.MATRIMONIODIRITTOGAY.IT sione. Ora, invece, tutti, dalla chiesa ai politici di destra e, purtroppo, anche di sinistra, urlano che la famiglia è composta da un uomo e una donna, fatti per avere figli. E noi cosa siamo? Delle merde? Non hai idea come siamo colpiti ogni volta che sentiamo queste affermazioni. Siamo soli, non abbiamo il coraggio di parlare con nessuno, non possiamo far sentire la nostra voce e chissà quante persone si trovano in queste condizioni. Il nostro avvocato di fiducia dice che basterebbe l'intervento di un politico locale che voglia farsi pubblicità per scatenare contro di noi un putiferio, questo è il motivo per il quale vogliamo rimanere nell'anonimato. Dobbiamo anche tutelare Alberto: prova a immaginare che dramma vivrebbe. Ti pare normale che in un paese come l'Italia si possa vivere nel terrore in questo modo? Eppure non commettiamo nessun reato. Per motivi di morale viviamo insicuri e in una condizione precaria. E' come se la chiesa avesse già vinto. E ce la troviamo dentro casa. Avete mai pensato di andare a vivere all'estero? A.: Ci pensiamo sempre, Spagna e Olanda sono le nostre mete di fantasia. Il problema è che nessuno di noi parla quelle lingue. Non conosciamo nessuno in quei paesi, poi servono soldi. Ma ti pare giusto che noi ci si debba trasferire? Alla fine stiamo qui. Forse è meglio stare qui M.: Sarà una manifestazione di ipocrisia e falsità. Noi non possiamo partecipare! Siamo gay. Hanno detto di noi il peggio possibile. In realtà la nostra famiglia nessuno la può negare. Quella manifestazione serve a dire che noi non esistiamo, mentre invece noi viviamo, abbiamo problemi e litighiamo come tutti e siamo anche felici. Vogliono la famiglia su misura, quella “naturale”, fatta per loro. E tutte le ragazze madri? E le donne che fanno le prostitute e che hanno dei figli? E i ragazzi padre? Cosa sono per loro? Non sono persone? Sono persone che devono stare fuori da questa società fatta su misura per loro? A.: In realtà questa prova di forza verrà pagata con i nostri soldi. Già mi immagino il parroco che porta in gita a San Giovanni i bimbi dell'oratorio e li vedremo sfilare in tutte le televisioni come la pubblicità del “Mulino Bianco”. Ma quale “Mulino Bianco”? Qualcuno l’ha visto questo Mulino Bianco almeno una volta? Cosa pensate della proposta governativa sui Dico? M.: I Dico non prevedono forme di regolamentazione per casi come il nostro: nostro figlio, per i Dico, è inesistente. A cosa servono? Giusto se uno di noi è in fin di vita dovremmo chiedere alla direzione dell'ospedale se e come entrare a visitare l'altro. E se la clinica è gestita da suore o preti? Ho letto poi della storia della raccomandata con ricevuta di ritorno per dichiararsi vicendevolmente che si vive insieme. Mi sembra una follia. Hanno paura che si vada in Comune insieme e si dichiari lì il proprio amore! Credo che serva più responsabilità da parte dei politici; continuare a voler accontentare i capi del Vaticano dimostra invece demagogia e poco senso della realtà. A.: Tutto il male possibile! E' un'elemosina alla quale rinunciamo volentieri! Grazie,e speriamo di vederci in Piazza Navona il 12 e 13 maggio prossimi per le giornate dell'orgoglio laico. M. e A.: Grazie a te e a tutti voi per quello che fate. IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... 20 . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA COPPIE DI FATTO IN ISRAELE SHARON NIZZA Pur non essendo formalmente riconosciute da una precisa legislazione in materia, le coppie di fatto in Israele esistono giuridicamente e hanno accesso alla quasi totalità dei diritti che spettano alle coppie sposate. Questa situazione paradossale è frutto di due realtà peculiari d’Israele: la prima è l’assenza dell’istituto del matrimonio civile. All’interno dei confini dello Stato di Israele l’unica formula matrimoniale riconosciuta è quella religiosa (ognuno secondo la propria religione, e per quanto riguarda gli ebrei, solamente secondo il rito ortodosso). Nonostante ciò, Israele provvede a registrare all’anagrafe i matrimoni civili contratti all’estero, riconoscendo a tali coppie gli stessi diritti delle coppie sposate secondo il rito religioso. L’altro fattore determinante di tale situazione particolare è l’attivismo giuridico che caratterizza il sistema giuridico israeliano. Nei casi in cui l’autorità legislativa non si sia ancora espressa, la Corte Suprema, basandosi sulle Leggi Fondamentali, spesso emette sentenze che stabiliscono dei precedenti giuridici, garantendo il rispetto dei diritti anche in mancanza di una legislazione specifica in materia. Nelle questioni che trattiamo in questo articolo, il giudice fa riferimento in particolare a uno dei pilastri dello stato di diritto in Israele, ovvero la Legge Fondamentale sui diritti umani di dignità e libertà, del 1992. Non avendo il legislatore stabilito formalmente alcun criterio di eligibilità allo status di conviventi, e in mancanza di norme specifiche che vietino tale consuetudine in una situazione cioè di vacuum legislativo - ne consegue che a godere di diritti siano coppie di persone non coniugate sia eterosessuali che omosessuali. Tali coppie sono denominate in ebraico i “noti pubblicamente” (ovvero: noti in pubblico come marito di.../moglie di...), definizione assimilabile al concetto di “common-law marriage” caratteristico della giurisdizione inglese. Esistono due condizioni fondamentali per stabilire chi può beneficiare dei diritti provenienti da tale status interpersonale: primo, che si tratti di una coppia che vive insieme sotto uno stesso tetto (perlomeno per una parte del tempo), mantenendo un’economia domestica comune, avendo cioè lo stesso recapito, dividendo affitto, bollette, spese; secondo, che sia legata da rapporti intimi di affettività, fiducia e amore. Ciò non implica un controllo di ciò che avviene sotto le lenzuola – e per questo potrebbe essere anche relativamente facile per due coinquilini particolarmente affiatati circuire il sistema burocratico al fine di ottenere determinati privilegi - ma perlomeno non ci si vuole riferire a persone unite da legami di sangue. Non esiste una definizione inequivocabile stabilita dalla legge israeliana per l’istituto delle coppie di fatto. Tale status va prendendo forma nel corso dei decenni sempre partendo da situazioni pratiche che si verificano nella vita di tutti i giorni, tramite appelli al Tribunale e successivamente ancorandosi a diverse leggi preesistenti. Lo status dei “noti in pubblico” non viene registrato all’anagrafe, quindi sulla carta d’identità continuerà a comparire lo stato civile precedente (il che significa che può accadervi anche una persona sposata, come è appunto successo nel caso di un uomo deceduto, la cui pensione il Tribunale ha stabilito andasse divisa tra la moglie, dalla quale non aveva ancora completato le pratiche per il divorzio e la convivente. Per evitare che si ripetano casi simili, alcune leggi che riguardano le coppie di fatto, stabiliscono che i partner debbano essere espressamente single aldilà della loro relazione). Non godendo quindi di una definizione giuridica chiara e autonoma, tale status di convivenza viene stabilito di volta in volta di fronte alle istituzioni di competenza, come l’INPS o le banche per il mutuo, e ogni ente stabilisce secondo propri criteri e facendo riferimento ai propri regolamenti, se la coppia degli appellanti ha diritto ad accedere a determinati diritti o meno. La maggior parte delle questioni viene portata davanti al Tribunale per le questioni famigliari e i diritti di cui godono i conviventi sono generalmente gli stessi dei coniugati in ogni campo (dovendo però passare per procedure più lunghe e burocratiche): reversibilità della pensione, eredità, alimenti in caso di separazione, accesso al mutuo e via dicendo. Anche per quanto riguarda i figli, essi godono dei medesimi diritti della prole di coppie sposate, sennonché hanno la possibilità di scegliere tra il cognome sia del padre che della madre. In nessun luogo viene stabilito un tempo minimo di convivenza per accedere a tali diritti: è noto il caso di una giovane coppia unita da soli tre mesi che ha ottenuto dei diritti di convivenza. Spesso, però, per via della poca chiarezza delle leggi in merito, molte coppie di fatto non sanno nemmeno di esserlo e di conseguenza di essere idonei ad beneficiare di determinati diritti. Due sono le differenze sostanziali tra coppie di fatto e coniugate: che la convivenza non garantisce il diritto alla cittadinanza e che ovviamente non esige il divorzio per sancire la fine del rapporto. Il rapporto finisce soprattutto quando viene a mancare la reciprocità: basta che uno dei due partner si stufi che allora diventa sempre più difficile dimostrare davanti alle istituzioni quello che c’è stato o tentare di ottenere diritti post-separazione quali gli alimenti o diritti retroattivi. Per questo motivo, l’associazione New Family, che dal 1998 conduce la battaglia per il riconoscimento di tutti i diritti da parte dello Stato a qualsiasi nucleo famigliare, propone di stipulare sempre un contratto matrimonia- le, da formularsi di fronte al Tribunale per le questioni famigliari o davanti a un notaio, che sancisca per iscritto diritti e doveri della coppia, da interrompersi quando uno o entrambi i componenti della coppia non fossero più interessati ad alimentare il rapporto. Secondo le stime di New Family, in Israele circa 85.000 coppie sono coppie di fatto (su una popolazione di circa 7 milioni di abitanti), ma, solo il 45% di queste ha fondato il proprio legame su un contratto di questo genere. Essendo poi la materia in questione soggetta a svariate interpretazioni e non essendo l’istituto delle coppie di fatto in Israele ancorato a una vera e propria legislazione in materia, pur godendo di molti diritti, questa sembra essere una soluzione ragionevole in attesa di un riconoscimento legale vero e proprio, che di certo non sembra essere all’ordine del giorno della politica israeliana. NEL COGNOME DELLA MADRE Donatella Poretti, deputata radicale della Rosa nel Pugno, presenta ai lettori di Agenda Coscioni due proposte di legge per regolare piccole e grandi rivoluzioni avvenute nell’ambito familiare. La possibilità di tramandare il cognome materno ai figli e l’affermazione completa degli stessi diritti per figli “legittimi” e “naturali”. DONATELLA PORETTI Eredità di una società patriarcale in cui l'uomo portava lo stipendio e la donna faceva figli e curava la casa: il cognome che si tramanda è quello del marito, comunque quello del maschio. Eredità di un passato in cui la famiglia era solo quella realizzata in ambito matrimoniale e solo i figli “legittimi” avevano diritti, gli altri erano appunto illegittimi. Oggi “naturali”, grazie ad una dizione politicamente corretta. La società attuale, per fortuna, è andata avanti. La donna non è più un mero oggetto domestico e in teoria ha pari diritti ed opportunità: perché non pensare allora che anche il suo cognome possa essere lasciato al figlio che ha partorito? I figli nascono anche da persone che liberamente decidono di non mettere alcun timbro sulla loro storia d'amore; perché continuare a penalizzarli e a non considerarli degni di avere una parentela e una eredità pari agli altri? Due proposte di legge incardinate in un dibattito parlamentare che, mentre si spacca sui DICO, ancora non è riuscito a far uscire dalle secche due riforme in apparenza piccole, in apparenza senza nessuna opposizione ufficiale, in pratica rivoluzionarie! (D.P.) PROPOSTA DI MODIFICA DEL CODICE CIVILE IN MATERIA DI COGNOME DEI CONIUGI E DEI FIGLI Intervento alla Camera dei Deputati, 16 giugno 2006 Onorevoli deputati! La presente proposta di legge, redatta in collaborazione con l'Aduc (associazione per i diritti degli utenti e consumatori), intende modificare il Codice Civile in merito alla attribuzio- ne del cognome, sia per quanto riguarda i coniugi che i figli, naturali, legittimi e adottati. Se fino ad oggi il cognome dell'uomo, marito o genitore, ha sempre prevalso, persino come consuetudine anche nei casi in cui la legge taceva, come nel caso dei figli nati nell'ambito del matrimonio, è necessaria una modifica che rispecchi non solo i cambiamenti di costume avvenuti nella società ma che prenda anche atto dell'uguaglianza uomo donna. Nel caso di un figlio nato dentro il matrimonio, o riconosciuto da entrambi i genitori, la consuetudine di una società patriarcale e maschilista ha sempre dato per scontato che il cognome fosse quello del padre. La Corte Costituzionale con la sentenza 61 depositata il 16 febbraio 2006, ha ammesso che l'attribuzione ai figli del cognome del padre è retaggio di una tramontata potestà patriarcale ma non e' possibile dichiarare illegittima una legge che solo il Parlamento può cambiare. La Consulta ha dunque dichiarato inammissibile la questione sollevata dalla Corte di cassazione e non ha potuto dar ragione a una coppia che richiedeva il riconoscimento per il figlio del cognome materno. Intervenire OTTOXMILLE... ...FA MILIARDI II AGENDA COSCIONI 8 PER MILLE: CHI NON FIRMA, INFATTI, VEDRÀ COMUNQUE I SUOI SOLDI ASSEGNATI MANUALE DI RESISTENZA FISCALE È tempo di dichiarazione dei redditi. Vogliamo descrivere sinteticamente come, attraverso il meccanismo dell’8 per mille, da 17 anni lo Stato italiano finanzia con i soldi del 100% dei contribuenti le attività della Conferenza episcopale italiana. E fornire a voi un piccolo manuale di resistenza fiscale, anche attraverso la presentazione del poco conosciuto sistema del 5 per mille. Riportiamo di seguito alcuni estratti del libro di Mario Staderini “Otto per mille, ovvero come lo Stato sottrae ogni anno 1 miliardo di euro agli italiani per regalarli alla Chiesa cattolica”, pubblicato dall’Associazione Anticlericale.net, protagonista in questi anni di iniziative finalizzate ad informare i cittadini e a ripristinare la legalità e il rispetto della libertà religiosa. CHE COS’È L’ OTTO PER MILLE Lo Stato italiano ha scelto di finanziare il Vaticano attraverso la rinuncia di una parte del denaro raccolto con il pagamento dell’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Chiariamo subito che non v’è nessuna ragione storica, come ad esempio il luogo comune dell’esigenza di risarcire la spoliazione dei beni ecclesiastici avvenuta con la formazione del Regno d’Italia: i Patti Lateranensi conclusi nel 1929 con Benito Mussolini, infatti, hanno più che compensato quanto era stato sottratto in precedenza. Una scelta politica dunque. In pratica, l’otto per mille dell’Irpef che ogni contribuente italiano versa annualmente allo Stato viene accantonato in un fondo, poi ripartito tra la Chiesa cattolica, lo Stato e le altre confessioni religiose che concorrono alla ripartizione del denaro: l’ Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa evangelica valdese, la Chiesa evangelica luterana in Italia, l’Unione comunità ebraiche italiane. La ripartizione del denaro tra i soggetti concorrenti avviene secondo la percentuale di contribuenti che annualmente hanno espresso la preferenza per l’una o per l’altra confessione religiosa al momento della dichiarazione dei redditi (ad es. modello 730-1, Unico). Dunque, chi non esprime la scelta a favore di un soggetto verserà comunque il suo otto per mille ed esso sarà ripartito sulla base delle scelte espresse dagli altri. Ad oggi, circa il 60% degli italiani non esprime una scelta nella dichiarazione dei redditi, per cui il loro otto per mille viene ripartito in base alle scelte degli altri. E siccome l’89% di chi firma sceglie la Chiesa (Tabella 1) Somme assegnate annualmente alle singole Chiese espresse in milioni di euro Chiesa cattolica Stato Chiesa valdese Chiese Avventiste Chiesa evangelica luterana Assemblee di Dio in Italia Unione comunità ebraiche cattolica, allora l’89% del tuo otto per mille finisce alla Chiesa cattolica. Anche se hai firmato per lo Stato od un’altra confessione religiosa. Nel 2006, la cifra versata alla Conferenza Episcopale Italiana è stata pari a quasi 1 miliardo di euro. (Vedi tabella 1) PER CHI FIRMARE La prima cosa da fare, è optare per uno dei sette soggetti che concorrono a ripartirsi l’8 per mille: chi non firma, infatti, vedrà comunque i suoi soldi assegnati e farà scegliere ad altri a chi debbano andare in prevalenza. Per decidere, occorre innanzitutto conoscere come ciascuna confessione religiosa destina la sua quota. (Vedi tabella 2) Solo la Chiesa cattolica e la Chiesa evangelica luterana hanno scelto di utilizzare i soldi dei cittadini per stipendiare il clero e per esigenze di culto quali la costruzione di nuovi edifici di culto e lo stipendio dei preti, mentre le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa evangelica valdese e l’Unione chiese cristiane avventiste 2005 2004 2003 2002 2001 2000 984 100 5,2 2,5 2,7 0,7 4,4 952 101 4,5 2,4 2,8 0,7 3,7 1016 101 4,2 2,5 2,9 0,7 4,1 908 99 3,5 2,6 2,8 0,8 4,7 762 113 4 3,3 2,7 0,7 4,7 642 103 4,7 4,4 2,7 0,7 4,6 hanno scelto di destinare i loro fondi esclusivamente per interventi sociali e umanitari. In particolare, la CEI in questi anni ha speso gran parte del denaro incassato per il suo apparato (funzionari, preti, strutture) e per finanziarie le attività di propaganda culturale anche attraverso elargizioni alle associazioni cattoliche che hanno costituito il Comitato Scienza e Vita, protagonista della battaglia contro il referendum sulla fecondazione assistita. Per le iniziative umanitarie, come quelle per il Terzo Mondo, la CEI destina meno del 10% del totale. (Vedi tabella 3) una battaglia per rivedere il meccanismo dell’otto per mille e per interrompere le connivenze dei Governi della Repubblica con la Conferenza episcopale. Mario Staderini Anticlericale.net Per contribuire e iscriversi a anticlericale.net chiamare lo 066826 oppure tramite c/c 47409255 Lo Stato italiano, invece, da anni oramai destina i propri fondi a scopi diversi da quelli previsti dalla legge. Al tempo stesso, non informa i cittadini sul reale sistema di funzionamento dell’otto per mille, così facilitando la crescita della % in favore della CEI e la somma totale ad essa assegnata. *** In Parlamento, la Rosa nel Pugno ed in particolare il deputato radicale Maurizio Turco stanno conducendo (Tabella 2) Scopi per cui ciascuna confessione religiosa deve spendere i fondi dell’otto per mille VINCOLI DI DESTINAZIONE DEI FONDI Chiesa Cattolica Esigenze di culto della popolazione Sostentamento del clero Interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo Assemblee di Dio in Italia Interventi sociali e umanitari anche a favore di Paesi del terzo mondo Chiesa evangelica Valdese Interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali in Italia e all’estero Chiesa Evangelica Luterana Sostentamento dei ministri di culto Esigenze specifiche di culto e di evangelizzazione Interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali in Italia e all’estero Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste Interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali in Italia e all’estero Unione delle comunità ebraiche italiane Finalità istituzionali dell’ente, in particolare Attività culturali Salvaguardia patrimonio storico artistico culturale Interventi sociali ed umanitari volti alla tutela delle minoranze contro il razzismo e l’antisemitismo Stato italiano Calamità naturali Fame nel mondo Assistenza ai rifugiati Conservazione beni culturali MANUALE DI RESISTENZA FISCALE LA CHIESA VALDESE E LA SCIENZA III “Purtroppo nella storia è sempre capitato che la Chiesa non sia stata capace di allontanarsi da sola dai beni materiali, ma che questi le siano stati tolti da altri: e ciò, alla fine, è stata per lei la salvezza.” La Chiesa Valdese non spende i propri fondi per esigenze di culto, li assegna con procedura trasparente e rispetta il principio di separazione tra Stato e Chiesa, senza mettere in contrasto scienza e fede. Lo scorso anno, la Chiesa Valdese ha destinato 100.000 euro dell’otto per mille alla Azienda Ospedaliero–Universitaria di Bologna Policlinico S. Orsola – Malpigli, che la utilizzerà per compiere una ricerca sull'impiego terapeutico delle cellule staminali. LE SCADENZE 2007 Termini per consegnare i modelli per esprimere le scelte sull’8 per mille ed il 5 per mille: - 31 maggio: deposito 730 ai Caf o al Commercialista - 30 giugno: chi fa solo il CUD (pensionati, dipendenti) può firmare il modulo e consegnarlo al più vicino ufficio postale o bancario - 31 luglio: deposito del modello Unico al Caf o al Commercialista IL 5 PER MILLE A differenza dell’8 per mille, che è obbligatorio per tutti e costringe il contribuente a finanziare anche le confessioni religiose cui non vorrebbe dare il proprio denaro, il 5 per mille rispetta la libertà di scelta del cittadino. Infatti, se il cittadino non sceglie, il cinque per mille della sua IRPEF rimane nel bilancio dello Stato; se il cittadino intende invece “destinare” il suo cinque per mille, può scegliere tra una delle categorie previste o indicare un beneficiario specifico. In questo caso, scrivendo il codice fiscale del beneficiario, il suo 5 per mille andrà esclusivamente a chi ha indicato. Joseph Ratzinger (Tabella 3) Ripartizione dei fondi da parte della Chiesa cattolica (milioni di euro) 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 Assegnaz. totali Esigenze di culto Alle diocesi (per culto e pastorale) Nuove chiese e case canoniche Sud Iniziative di rilievonazionale Beni culturali e artistici Interventi caritativi Alle diocesi (per la carità) Terzo Mondo Finalità di rilievo nazionale Sostent. del clero Assistenza domestica clero 210 38 210 56 210 58 303 72 363 86 449 147 751 313 714 322 686 302 756 367 642 233 762 323 908 425 1.016,4 *** 952 422,5 442 984 471,3 18 23 23 31 33 46 118 118 118 118 118 134 150 150 150 155 15 4 -27 23 9 -46 26 9 -49 30 10 -54 38 15 -65 65 36 -101 74 70 52 146 77 75 52 146 74 69 41 135 76 111 62 138 54 58 3 126 83 81 26 149 120 105** 50 175 130 93 50 185 130 92 72 190 130 117 70 195 10 15 2 145 -- 16 26 4 108 -- 16 29 4 103 -- 21 30 3 177 -- 21 39 5 212 -- 31 65 5 201 -- 69 72 5 292 5 69 72 5 246 4 69 62 4 249 -- 69 65 4 251 1 65 54 7 283 (*) 69 65 15 290 75 70 30 308 75 80 30 329,5 80 80 30 320 85 80 30 315 2004 2005 *A partire dal 2000 questa voce è stata inglobata nella voce "Sostentamento clero" **Questo totale è composto anche dalle voci interne "Fondo Catechesi e Educazione Cristiana":Euro 50 Milioni, "Tribunali Ecclesiastici": Euro 6 milioni, e dalla "Costituzione di un Fondo di riserva" : Euro 13 milioni. Nel 2005 rispettivamente 60, 7 e 3 ***Questo totale si ottiene calcolando anche i fondi destinati a riserva, pari nel 2003 a 79,4 milioni di euro IV AGENDA COSCIONI L’IMBROGLIO LESSICALE DEL “LAICISMO” CONTRAPPOSTO ALLA “LAICITÀ” L’ANTICLERICALISMO NECESSARIO Nel dibattito politico corrente sta consolidandosi una pericolosa forzatura semantica, contraria alla stessa etimologia, volta ad inserire strumentalmente una contrapposizione tra i termini laicità e laicismo. Questo imbroglio lessicale è funzionale ad una chiara operazione politica che sotto le mentite spoglie della “sana laicità” mira a squalificare come posizione degenerata e antireligiosa quella di chi si richiama all’insegnamento del liberalismo classico ispirato al principio della separazione tra sfera religiosa e potere politico. Ad essa infatti corrisponderebbe la distinzione tra laico e laicista. L’operazione ricorda l’evoluzione continentale del termine “liberale” per cui ai “liberali” si affiancano i sedicenti “liberal” che estromettono dal novero del “liberalismo giusto” il “liberismo selvaggio” (“neo-liberismo”). Analogamente, oggi i “teocon”, i “teodem” e gli “atei devoti” si prestano a sostenere vigorosamente la strategia clericale con identico trucchetto lessicale: si arrogano la patente di “laici” e si inventano l’esistenza di un uso peggiorativo dell’antico termine “laicismo” con cui squalificare gli avversari politici sul loro stesso campo di battaglia. La vulgata propinata in modo martellante dai media negli ultimi anni violenta il linguaggio politico svuotando il termine chiave “laicismo” del suo significato autentico, e riempiendolo di un contenuto mistificante di antireligiosità, di avversione al fenomeno religioso. Il framework teoconservatore e teodemacratico si gioca tutto sulla contrapposizione laicità-laicismo, come se i due termini designassero atteggiamenti etico-politici contrapposti, appartenenti l’uno all’alveo lockeano della tolleranza, l’altro a quello giacobino e materialista dell’intolleranza religiosa. Ancora più preoccupante è la tesi sostenuta autorevolmente anche in seno all’area radicale, secondo la quale, in tema di laicità, il problema politico dovrebbe individuarsi ed esaurirsi nell’atteggiamento “genuflettente” del ceto politico. In quest’ottica sarebbero senza pregio ordini di considerazioni che vadano oltre la rivendicazione del principio di laicità e che investano direttamente la struttura, la produzione teologica, l’agire politico ed economico del monstrum clericale. E’ una tesi talvolta riproposta nei Comitati di Radicali Italiani e che ha fatto sorprendentemente capolino anche nel corso del dibattito tenutosi nell’ultima riunione della Giunta dell’Associazione Luca Coscioni, sostenuta questa volta da una giovane e colta bioeticista di indubbia formazione laicista e radicale. Vale la pena, dunque, riflettere anche sul contenuto di questa impostazione tutta proiettata sul principio di laicità e tesa ad escludere dall’analisi politica la Chiesa Cattolica, come fosse un corpo estraneo alla dimensione del potere politico. Secondo questa impostazione – che più avanti avremo cura di criticare - si dovrebbe far politica “noncuranti” della Chiesa Cattolica: tamquam curia non esset. Chi si occupa da posizioni laiche e anticlericali di studiare l’anatomia del potere clericale (le finanze vaticane, i Concordati, i documenti ufficiali, le relazioni politiche e istituzionali, le concezioni etiche e bioetiche propugnate, il potere di ingerenza di fatto esercitato con spregiudicatezza e in spregio alla stessa cornice concordataria etc.) tradirebbe i suoi stessi obiettivi dando una indebita rilevanza alle posizioni della Chiesa Cattolica e sottolineandone l’importanza. Per mera comodità espositiva indicheremo riassuntivamente questa posizione con lo slogan “laico sì, anticlericale no”. E’ l’ottica politicamente infruttuosa di chi, non cogliendo appieno l’incedere regressivo e corruttore della tenia clericale e, peggio ancora, della ben più pervasiva cultura clericale, si sente appagato dalla rivendicazione di una laicità sganciata da qualsiasi considerazione anticlericale. La due tesi sopra richiamate, pur provenendo da fronti politici contrapposti, sono accomunate da una unanime condanna dell’anticlericalismo, bollato come antistorico, chi, di ciò che si ispira al “laicismo”(significato politico). “Laicista” significa “proprio dei laici”. “Laicità” indica “essere laico, condizione di laico" quindi nei due significati, religioso e politico. In breve la contrapposizione tra laico e laicista è pura mistificazione. Laicità e laicismo, laico e laicista sono termini contigui, senza alcun contrasto. Anzi, a volere marcare delle differenze, secondo un corretto criterio etimologico, dovrebbe piuttosto aversi presente che il termine “laico” è d’uso ecclesiastico ed estraneo all’uso politico. Il termine base è “laicismo” (sost.) da cui deriva l’aggettiva “laicista”: “antidogmatico, fautore del laicismo, cioè di quel principio politico e socia- “Preoccupante è la tesi secondo la quale, in tema di laicità, il problema politico dovrebbe individuarsi ed esaurirsi nell’atteggiamento “genuflettente” del ceto politico” ottocentesco, polveroso. La tesi antilaicista squalifica l’anticlericalismo dall’ambito del politicamente legittimo, la tesi “laico sì anticlericale no” esclude l’istanza anticlericale dall’ambito del politicamente opportuno. I radicali pannelliani al contrario fanno dell’anticlericalismo il portato specifico della loro concezione nonviolenta. La storia politica italiana ci offre due grandi esempi di nobile e profondo anticlericalismo. Diversi, diversissimi nel metodo e nelle premesse culturali, ma convergenti nel loro sbocco anticlericale, gli insegnamenti di Romolo Murri e di Ernesto Rossi possono aiutarci a ben comprendere come le due impostazioni sopra richiamate siano destituite di fondamento e come l’anticlericalismo sia oggi non solo legittimo, ma anche opportuno e necessario. Cominciamo dalle parole. Il termine “laico” (dal tardo lat. laicus e dal gr. laikòs = del popolo) è nato nel linguaggio ecclesiastico ed è usato correttamente solo come aggettivo e in senso ristretto: "Che non ha carattere religioso, che non è ecclesiastico o confessionale, che non fa parte del clero”. Dunque, di per sé il termine laico non ha un significato politico ma indica solo colui che è esterno alla ecclesia. Il termine chiave nel linguaggio politico è “laicismo”: “Atteggiamento ideologico di chi sostiene la piena indipendenza del pensiero e dell’azione politica dei cittadini dall’autorità ecclesiastica”. Ad esso corrisponde una dilatazione dell’ambito semantico del termine “laico” (aggettivo) che viene a designare non solo la qualità di chi, di ciò che è esterno alla Chiesa (significato religioso), ma anche di le che afferma l’indipendenza della vita civile da qualsiasi principio o confessione religiosa, e dal clero”. I sostenitori della separazione tra sfera religiosa e dimensione politica, i sostenitori di un approccio di diritto comune al fenomeno religioso, possono e devono correttamente e orgogliosamente definirsi “laicisti”. Un ingenuo (o furbesco) errore di alcuni laici nostrani è quello di trincerarsi dietro la doverosa conclamazione dei principi di laicità e di libertà religiosa trascurando l’analisi empirica di ciò che è, in concreto, la gerarchia ecclesiastica. L’assetto concordatario, la concertazione del fatto religioso (sic!!), il sistema delle intese - incentrato sullo status giuridico di confessione riconosciuta, strappato, di volta in volta, da questa o quella confessione religiosa - sono forme di “bizantinismo” giuridico che, come tali, costituiscono reale e concreto ostacolo alla piena realizzazione del principio di libertà religiosa, (proprio quel principio) dietro cui si trincera il laico non anticlericale. Il Concordato craxiano del 1984 ha reso potenzialmente illimitato, anzitutto sul piano tecnico-giuridico delle fonti di produzione del diritto, quel sottoprodotto di bassa cucina politica che è il Concordato del 1929, già blindato costituzionalmente (art. 7 Cost.) dal voto cattolico-comunista in Assemblea Costituente. Oggi, già a livello di provvedimento amministrativo, la confessione religiosa, un volta “strappato” lo status giuridico (neobizantino) di “riconosciuta”, si trova nelle condizioni di concordare, in materia confessionale, il contenuto di provvedimenti amministrativi emanati dalla Pubblica Amministrazione, come tali valevoli erga omnes. Il convincimento erroneo è che una volta garantita, a livello di principio e di normazione, la libertà religiosa, il compito del radicale, del nonviolento, sia in qualche modo esaurito. Così ragionando, si finisce per perdere di vista un fondamentale tratto costitutivo dell’identità radicale pannelliana. Il radicale si connota rispetto al liberale per l’adesione incondizionata all’idea di tolleranza attiva. E’ l’aggiunta di religiosità nonviolenta che segna la diversità radicale. Il liberale si ferma, per così dire, alla garanzia del rispetto formale della legge. Analogamente, il radicale è consapevole che il rispetto della legge è premessa irrinunciabile del vivere civile nel contesto di una società aperta, incentrata sulla convivenza fra valori non condivisi; tuttavia, sospinto da religiosità nonviolenta, scuote il dato legale, se necessario ricorrendo in via di extrema ratio ai mezzi nonviolenti del Satyagraha e della disobbedienza civile, al fine di investire e riformare inadeguati o ingiusti assetti sociali e politici. Il radicale, pertanto, trova del tutto insufficiente e inappagante il laicismo passivo di che si trincera dietro il rispetto e la garanzia del principio di libertà religiosa, tanto più ove la concreta realtà della mafiosità clericale, nel suo incedere sistematicamente antidemocratico e violentemente regressivo, converge dinamicamente verso un’alleanza strutturata e organica con il clericalismo di stato. Ecco, in sintesi, il primo grave punto debole della tesi “laico si, anticlericale no”: l’insufficienza della rivendicazione laica ove questa rimanga sganciata dalla considerazione empirica delle dinamiche reali di corruttela clericale che rendono la nomenklatura vaticana effettivo ostacolo alla libertà religiosa. Il secondo elemento di debolezza politica di chi rifiuta la visione anticlericale della politica sta nel non avvedersi che il ceto politico, nell’attuale assetto partitocratrico, corporativo, spasmodicamente dedito alla ricerca di nuovi spazi di illegalità nei quali prosperare, costituisce massima espressione di clericalismo. Il clericalismo è anche il clericalismo di Stato. L’alleanza tra il clericalismo chiesastico e il clericalismo di Stato impone di ripensare l’impegno anticlericale quanto all’area di applicazione e operatività. Non è più sufficiente contrastare le diramazioni in temporalibus ecclesiae, ma occorre comprendere e sventare la dinamica convergente dei due clericalismi, quello partitocratricoburocratico-clientelare e quello chiesastico teocratizzante. E’ facile ora smascherare una volta per tutte anche la tesi anti-laicista secondo la quale l’anticlericalismo si porrebbe in contraddizione con il principio di libertà religiosa. L’interrogativo che i radicali nonviolenti rivolgono ai laici non anticlericali è il seguente: dichiararsi, alla maniera dei pannelliani, nemici giurati di questa maleodorante pratica di concertazione permanente del fatto religioso, significa forse optare per la soppressione del principio della libertà religiosa? O, piuttosto, vuol dire offrire speranza di nuova vita, di sostanza vera e vitale alla libertà di fede? L’anticlericalismo radicale è nutrito di istancontinua a pagina 8 MANUALE DI RESISTENZA FISCALE V DONA IL 5X1000 ALLA “COSCIONI” Quest'anno puoi sostenere l'Associazione Luca Coscioni per la Libertà di MODELLO CUD 2007 Ricerca Scientifica anche destinandole una quota pari al 5 per mille dell'IRPEF nella dichiarazione dei redditi, come previsto dalla Legge Finanziaria 2007 (art. 1, comma 1234, lettera a) della Legge n. 296/2006). È una donazione che non ti costa nulla (perché verseresti comunque all'Erario quella quota di imposte), e che puoi effettuare semplicemente con la tua dichiarazione dei redditi per l’anno 2006 (modello CUD, modello 730, modello Unico). Per destinare il 5 per mille all’Associazione Luca Coscioni è sufficiente: ap- MODELLO 730/2007 porre la propria firma nel riquadro “Sostegno del volontariato, delle associazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10, c.1, lett a), del D.Lgs. n. 460 del 1997”; riportare il codice fiscale dell’Associazione Luca Coscioni 97283890586 nell’apposito spazio subito sotto la firma. Il tutto come negli esempi. Le scelte di destinazione dell’8 per mille e del 5 per mille dell’IRPEF non sono in alcun modo alternative fra loro, e quindi possono essere espresse entrambe. Per chiarimenti scrivi a [email protected] MODELLO UNICO/2007 VI AGENDA COSCIONI RIVENDICHIAMO IL DIRITTO COSTITUZIONALE DI ESSERE ANTICLERICALI SIAMO L’ACQUA IN CUI NUOTANO I PESCI? Seduta n. 145 di martedì 17 aprile 2007 Informativa urgente del Governo sulle iniziative assunte a seguito delle scritte ingiuriose e delle minacce nei confronti di monsignor Bagnasco, Presidente della Conferenza episcopale italiana, apparse in alcune città d'Italia. Ha aperto i lavori il viceministro dell'interno, onorevole Marco Minniti (Ulivo) il quale, dopo aver ricostruito nei dettagli alcuni episodi riguardanti scritte offensive nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, ha concluso: “[…] Al momento, si può trarre una prima conclusione. I ripetuti episodi intimidatori in atto sembrerebbero non ascrivibili a matrici di natura eversiva ma troverebbero origini in un sentimento anticlericale volto a rimarcare la presunta interferenza della Chiesa nelle vicende politiche nazionali. Come risulta evidente da questa ricostruzione, il Governo sta seguendo con sistematica attenzione la situazione. L’attenzione - posso garantire al Parlamento - era e rimane straordinaria, così come la situazione richiede”. Riccardo Pedrizzi, Alleanza Nazionale: “[…] Lo scenario che si presenta ai nostri giorni in Italia è quello di un assalto forte, convinto e motivato del laicismo verso le strutture istituzionali, culturali e sociali che rappresentano l'espressione della cultura, non solo cattolica in senso stretto, ma più genericamente tradizionale. Oggi quella scuola di pensiero, largamente presente nei media e nelle organizzazioni della cultura, ha eletto a proprio nemico principale il modello, considerato regressivo e antimoderno, costituito dalla tradizione culturale cattolica. Questo attacco è portato in nome dei diritti del cittadino, ma, soprattutto, delle minoranze organizzate, vere e proprie lobby in servizio permanente effettivo; e quegli episodi, le scritte apparse in varie città d’Italia, sono il frutto del clima di vio- lenta aggressione nei confronti del presidente della CEI e di tutta la Chiesa instaurato proprio da quella sinistra laicista e anticlericale e alimentato anche dai grandi media e da molti esponenti del suo Governo e della maggioranza, che dunque sono i mandanti morali di quelle scritte vergognose […]”. Luca Volontè, dell’UDC: “Si tratta di capire in quale clima si inseriscono queste minacce. Il clima è quello che precede l'emissione della nota concernente i Dico. Gli editoriali di la Repubblica, La Stampa e Liberazione hanno tre pilastri: la Chiesa è contro la Costituzione; la Chiesa è esattamente come i kamikaze nei confronti della laicità dello Stato italiano; la Chiesa è contro la democrazia. Non sto inventando: potrei citare nomi e cognomi degli autori, dal professor Zagrebelsky al direttore di Liberazione. Questo è il contesto all'interno del quale avvengono i fatti che ho menzionato. Io non sono assolutamente contrario alla libertà di opinione, ma c’è un filo che si fa sempre più sottile nel nostro paese tra le libertà di opinione e di critica, legittime in democrazia, e una sorta di giustificazionismo nei confronti delle scritte in parola. […] Circoli anticlericali, circoli anticattolici, onorevole viceministro, circoli che hanno una qualche aderenza indiretta perchè nessuno può dire che ci sia un diretto collegamento tra chi scrive editoriali e chi scrive sui muri - vengono «coltivati» dentro un clima che è molto pericoloso. Si leggono editoriali giustificatori: la nostra solidarietà deve essere assolutamente senza condizioni. C’è una ideologia che vuole abolire ogni autonomia e distinzione tra Cesare e Dio. Qualcuno dice all'altro: non puoi credere completamente alla tua fede, perchè io ti dico che non lo puoi fare. Questo è frutto di un relativismo, di un individualismo libertario, e anche - purtroppo, lo ricordo - del peggior marxismo. […] Ora, onorevole viceministro - ho concluso veramente – c’è bisogno che la polizia intervenga, affinché questi ambiti vicini agli scrittori vengano moderati. Ci sono circoli anarchici? Chiudiamoli! Prendiamo qualcuno ed interroghiamolo! Non basta la scorta, bisogna prevenire. Mi aspetto da lei, come ha detto il ministro dell'interno qualche giorno fa, che ci siano degli atti concreti. Grazie”. La risposta di Maurizio Turco, Rosa nel Pugno: “Signor Presidente, a nome della Rosa nel Pugno e quindi dei militanti laici, socialisti, liberali, radicali e anticlericali, condanniamo anche noi, senza riserve, l’intolleranza politica, da qualsiasi parte provenga, in qualsiasi forma si esplichi. Inoltre, solidarizziamo con coloro che sono vittime, a qualsiasi titolo, di questa intolleranza. Abbiamo ascoltato molto bene le parole del viceministro Minniti: noi non ci faremo criminalizzare e rivendichiamo il nostro diritto costituzionale di essere anticlericali. Non accettiamo la lettura che lei ha dato degli episodi accaduti, che tende a criminalizzare una storia, quella storia anticlericale che non ha nulla a che fare con l’intolleranza politica, per non parlare dell'intolleranza religiosa. Siamo fieri di far parte di quel mondo politico che crede nello stato di diritto e nella democrazia, che proprio nella libertà religiosa vede uno dei principi cardine che fa della difesa della libertà religiosa una delle sue ragioni di lotta politica. Sappiamo bene, infatti, che l’intolleranza religiosa è frutto innanzitutto delle confessioni religiose che, tra di loro, sono in perenne stato di conflitto. Aveva ragione il collega Monaco: questa strategia di una nuova tensione - mi si consenta - danneggia più che altro coloro che reclamano il proprio giusto, costituzionale diritto di critica: non critica alla Chiesa, non critica ai principi religiosi, ma sicura- mente il giusto diritto di critica alle gerarchie vaticane. E qui, forse, ci vorrebbe una giornata di approfondimenti semantici, nel senso che a ragione, per opportunità politica, si vuol far confusione tra la Chiesa dei fedeli e le gerarchie vaticane. Signor viceministro Minniti, rivendichiamo il diritto di avere una risposta ad una interrogazione che abbiamo presentato nel luglio dello scorso anno. Tra un po’ faremo l’anniversario di questo silenzio! Chiediamo di avere una risposta da questa Repubblica, da questo Stato: ad esempio, il Ministero dell’interno rispetto alla politica portata avanti dalle gerarchie vaticane sul problema della pedofilia non ha nulla da dire? Non ha la stessa fermezza? Non ha lo stesso interesse a dare una risposta chiara? Noi crediamo, invece, che proprio perchè siamo in uno Stato di diritto, se non si forniscono risposte chiare si alimentano quei movimenti, si finisce per creare, con questa politica di criminalizzazione che oggi ha trovato in quest’aula ampia espressione, la criminalizzazione di chi rivendica il giusto diritto di potersi chiamare anticlericale e di poter lottare da anticlericale, si determina quella strategia che, come ricordava il collega Cota, ha avuto un suo quadro, una sua sceneggiatura già vista nel 1977. Abbiamo già visto tutto. Non siamo disposti ad accettare altri casi come quello di Moro, Giorgiana Masi, Sindona, Calvi, Pecorelli, perchè in quella strategia di Stato, con la morte del diritto e della legalità, vi è stata la morte di persone. In questo ci dissociamo! Vogliamo che si riconosca anche agli anticlericali il proprio diritto, senza confondere i piani della lotta e dell’iniziativa politica. Spero che lei voglia fare ammenda rispetto alla denominazione che ha reso di alcuni fenomeni che non hanno nulla a che fare con coloro che, in questo paese, rivendicano pubblicamente e nell'ambito dei principi costituzionali del nostro Stato la possibilità di fare lotta politica!”. DURISSIME ACCUSE DI MONSIGNOR AMATO, SEGRETARIO DELL'EX SANT'UFFIZIO IL VATICANO: CLINICHE MATTATOI DI ESSERI PRONTI A SBOCCIARE IL “TERRORISMO” DELLA CHIESA CATTOLICA: ABORTO RU 486, EUTANASIA SONO IL MALE Durissimo attacco di monsignor Angelo Amato, il «numero 2» della Congregazione della Dottrina della Fede, alle leggi sull'aborto, accomunate al terrorismo. La Congregazione per la Dottrina della Fede è il «dicastero» più importante in Vaticano, perché deve custodire e garantire l'ortodossia; non a caso fino a Pio XII il Papa stesso ne era il prefetto. Monsignor Amato, salesiano, ha lavorato per vari anni con Joseph Ratzinger, fino all'elezione al soglio di Pietro; questo fa sì che il suo intervento di ieri nel corso del Seminario mondiale dei cappellani cattolici e membri delle Cappellanie dell'Aviazione civile sul problema del terrorismo assuma un rilievo del tutto particolare. E appare inevitabile che le sue parole riaprano polemiche analoghe a quelle suscitate dalle dichiarazioni sui «Dico» del presidente della Cei monsignor Bagnasco il 30 marzo scorso. «Oltre all'abominevole terrorismo dei kamikaze, che occupa quotidianamente la nostra cineteca mediatica - ha detto l'arcivescovo Amato – c’è il cosiddetto "terrorismo dal volto umano", anch'esso quotidiano e altrettanto ripugnante, che viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale, manipolando ad arte il linguaggio tra- dizionale, con espressioni che nascondono la tragica realtà dei fatti, come quando l'aborto viene chiamato interruzione volontaria della gravidanza e non "uccisione di un essere umano indifeso", o quando l'eutanasia viene chiamata "più blandamente morte con dignità "». Le parole di monsignor Amato sono state riportate dal «Sir» (Servizio Informazione Religiosa), l'agenzia vicina ai vescovi italiani. «Il male oggi ha continuato - non è solo azione di singoli o di gruppi ben individuabili, ma proviene da centrali oscure, da laboratori di opinioni false, da potenze anonime che martellano le nostre menti con messaggi falsi, giudicando ridicolo e retrogrado un comportamento conforme al Vangelo». Il segretario della Congregazione della Fede ha rilevato che «purtroppo non possiamo chiudere le biblioteche del male né distruggere le sue cineteche che si riproducono come virus letali, ma possiamo chiedere a Dio di rafforzarci, mediante la formazione di una retta coscienza che cerca e ama il vero e il bene ed evita il male». Monsignor Amato non ha minimizzato il problema del terrorismo, e l'uso che esso fa degli strumenti mediatici: «Leggendo i giornali, o utilizzando internet o la tv o la radio - ha detto - ogni giorno noi assistiamo a un film perverso sul male, che viene "girato” in ogni parte del mondo con sceneggiature sempre nuove e crudeli, come constatiamo dalle mille provocazioni del terrorismo internazionale». Ma a questa «razione giornaliera» di male fornita quotidianamente si aggiunge un altro tipo di male, che resta «quasi invisibile» ma che però «esiste nelle sedi più impensate e che, paradossalmente, viene presentato come bene», come una espressione del "progresso dell'umanità ". L'arcivescovo ha citato le cliniche abortiste, «autentici mattatoi di esseri umani in boccio»; ha parlato dei laboratori dove si «fabbrica» ad esempio la Ru 486, la cosiddetta pillola del giorno dopo, o dove «si manipolano gli embrioni umani»; e ha inserito in questa lista nera i parlamenti delle nazioni «civili» dove si «promulgano leggi contrarie all'essere umano». A questo si aggiungono le cosiddette sette sataniche che praticano «un vero e proprio culto sacrilego del male». È probabile che monsignor Amato nel suo riferimento alle cliniche avesse presente una relazione secondo cui è in continuo aumento nel Regno Unito il numero di dottori e studenti in medicina che si rifiutano di fare aborti. VII IN CAMERA CARITATIS 12-13 MAGGIO: I DIFENSORI DELLA FAMIGLIA SIAMO NOI L’INTOLLERANZA NON È DALLA PARTE DEL LAICISMO Le scritte minacciose rivolte contro Mons.Bagnasco proprio nella città di cui è arcivescovo – sempre condannabili come pericoloso simbolo di intolleranza, chiunque ne sia il destinatario – hanno tuttavia fornito l’occasione per un nuovo attacco indiscriminato al laicismo e all’anticlericalismo. Purtroppo questi attacchi hanno trovato un avallo indiretto nell’intervento del vice ministro dell’Interno Marco Minniti che, rispondendo ad alcune interrogazioni parlamentari, dopo aver riferito sui fatti, ha detto che “non sembrerebbero ascrivibili a matrici di natura eversiva ma trarrebbero origine in un sentimento anticlericale volto a rimarcare la presunta interferenza della Chiesa nelle vicende politiche nazionali”. Non può meravigliare se poi il clerico-fascista Pedrizzi abbia potuto, proprio appoggiandosi alle dichiarazioni del vice ministro, indicare in alcuni editorialisti, in esponenti del governo e della maggioranza e naturalmente nelle lobby laiciste i “mandanti morali” di quelle scritte e l’UDC Luca Volontè , dopo i consueti attacchi al relativismo, all’individualismo libertario e al peggiore marxismo, abbia potuto addirittura indicare nel prof. Zagrebelsky uno di questi mandanti e invitare il governo a chiudere i circoli anarchici e a “moderare” gli ambienti vicini a questi ispiratori morali: “prendiamo qualcuno e interroghiamolo. Non basta la scorta. Bisogna prevenire…” Naturalmente non temiamo, almeno con questo governo, che qualcuno venga a prenderci e a portarci in camera di sicurezza per interrogarci. Da nonviolenti siamo abituati ai rovesciamenti della verità. Siamo abituati ad essere accusati di violenza dai sostenitori di una visione violenta e intollerante della società e delle leggi. Alcuni di noi furono accusati di essere contigui al terrorismo solo perchè pretendevamo di combatterlo con le armi della politica e della legalità anziché con le leggi speciali e la politica della fermezza e di essere complici della mafia quando, all’epoca del caso Tortora, combattemmo un uso devastante e sviante del pentitismo. Figurarsi se oggi ci facciamo impressionare dall’accusa di essere i “mandanti morali” delle minacciose e controproducenti scritte di Genova. Tutt’al più, questa volta, possiamo dire di essere in buona compagnia. Di Zagrebelsky, di Scalfari, di Rusconi, di Repubblica, La Stampa, Liberazione. Ci auguriamo che anche loro non si facciano impressionare o intimidire. Vorremmo tuttavia sommessamente dire a Mons. Bagnasco, non prima di avergli espresso la nostra comprensione e solidarietà, che l’intolleranza non è dalla parte del laicismo e dell’anticlericalismo, del nostro illuminismo e del nostro relativismo di cui siamo orgogliosi. L’anticlericalismo è solo una comprensibile reazione alla pretesa clericale di imporre a tutti la propria concezione della morale e della ragione, il proprio assolutismo etico, i propri principi, la propria volontà di condizionare l’autonomia, su questi temi, dello Stato e del Parlamento. Sono concezioni, principi e valori che sarebbero assolutamente legittimi se non fossero proclamati “non negoziabili” e se non pretendessero di sovrastare e negare la legittimità di ogni diversa concezione. Questo non si può rimproverare ai laici (sprezzantemente liquidati come laicisti) e agli anticlericali, le cui concezioni non negano e non pretendono di imporsi a quelle altrui e le cui leggi non stabiliscono obblighi per nessuno ma solo diritti e facoltà. E sempre sommessamente vorremmo aggiungere, Monsignore, che se quelle scritte e quelle minacce sono da condannare e da respingere, anche alcune sue recenti affermazioni sui Dico, accusati di aprire la porta all’incesto e alla pedofilia, sono state quanto meno improvvide per non dire scriteriate e incivili. Forse, Monsignore, anziché demonizzare le diver- sità sessuali e scatenare una campagna che fomenta la discriminazione e l’omofobia, dovrebbe guardare un po’ di più in casa propria e interrogarsi sulle ragioni per le quali, non solo nella lontana America e in Irlanda, ma anche in qualche parrocchia italiana si sono verificati casi di pedofilia. In fondo la Polonia della Lustracja, dei fratelli Kaczynski, di Radio Maria, con il suo razzismo, il suo antigiudaismo, la sua intolleranza verso ogni diverso, è lontana anni luce dalla parola e dal magistero di Giovanni Paolo II ma geograficamente e politicamente fin troppo vicina all’Italia clericale sua e del Card. Ruini. La Cei ha scelto, per celebrare il cosiddetto Family day, la data del 12 maggio, proprio la ricorrenza della vittoria laica sul divorzio. Quella data è stata scelta per perseguire, su tutti i piani, un tentativo di rivincita: una rivincita politica prima che culturale ed etica contro l’Italia laica dell’ultimo trentennio, infinitamente più tollerante e civile di quella dei decenni precedenti. Il tentativo di rivincita è innanzitutto politico perchè è sul terreno della politica che la Cei intende far valere i suoi poteri di condizionamento e di interdizione, contando sulla fragilità e debolezza dei due schieramenti politici, quello di centro-destra nel quale queste pressioni non incontrano nessuna resistenza (lo dico per quei radicali che hanno scelto questo campo come interlocutore unico o privilegiato) ma anche quello di centro sinistra dove almeno esistono maggiori contraddizioni. Apparentemente siamo più deboli e assai più isolati nel contrastare questo tentativo: Ma attenti, non eravamo più forti ma addirittura ancora più deboli quando nel 1965 cominciammo la lotta per l’introduzione del divorzio in Italia. Il direttore di Radio Radicale, citando una serie di esempi, ha ricordato che le celebrazioni delle sconfitte non portano mai bene. La Cei dovrebbe stare attenta al rischio che queste manifestazioni di forza nascondano in real- tà una doppia debolezza: l’incapacità di far proprie le conquiste della modernità, permeandole di autentica religiosità e l’illusione di poter fronteggiare il fondamentalismo islamista riscoprendo e contrapponendo un proprio fondamentalismo clericale. Può apparire temerario, in confronto a una manifestazione in cui sono impegnate le parrocchie di tutta Italia, l’appuntamento che per la stessa data abbiamo voluto fissare a Piazza Navona il 12 e 13 di maggio. Ma dovevamo esserci, qualcuno doveva porsi il problema di celebrare e difendere quella vittoria. Lo scontro avviene su molti piani: dal testamento biologico che non si comprende a cosa dovrebbe servire se si vuole negare in radice il diritto dell’individuo di decidere il proprio destino al divorzio breve, dalla fecondazione assistita, questione che rimane più che mai aperta in Europa e nel mondo e perciò niente affatto chiusa anche in Italia, alla difesa dell’aborto, dalla RU286 ai privilegi concordatari (dall’8 per mille alle innumerevoli esenzioni fiscali e alle esose richieste allo Stato e agli enti locali). La famiglia c’entra poco. Eravamo noi negli anni 70 i difensori delle diecine e diecine di migliaia di famiglie a cui si negava il riconoscimento giuridico e quello dei propri figli. E siamo oggi ancora i veri difensori della famiglia così come storicamente, accanto al resistente modello tradizionale, si è venuta concretamente e liberamente configurando in forme che devono essere rispettate, riconosciute e tutelate. Famiglie di fatto e dunque famiglie naturali (ricordate i figli naturali – sinonimo di bastardi – quando venivano contrapposti ai figli legittimi?). Per dire quanto siano poco credibili e poco seri gli appelli al diritto naturale. Gianfranco Spadaccia C’É UN PROBLEMA DI TENUTA DELLA SOCIETÀ CIVILE BAGNASCO PREFERISCE L’ABORTO CLANDESTINO? A quarant'anni dalla approvazione della legge che ha legalizzato l'interruzione volontaria di gravidanza il «Royal College of Obstetricians and Gynaecologists», l'organo professionale che rappresenta ginecologi e ostetrici, ha dichiarato che metà degli aborti in Gran Bretagna avviene oggi in cliniche private perché buona parte dei professionisti operanti nella sanità pubblica fa obiezione di coscienza. Ogni anno in Gran Bretagna vengono interrotte 190.000 gravidanze, un terzo di tutte le donne sceglie di abortire una volta nella vita e il 90% di queste interruzioni di gravidanza avvengono prima delle dodici settimane di gestazione. Per Josephine Quintavalle, dell'associazione per la vita «Alive and Kicking» («Vivo e scalciante» ) «il Regno Unito è ormai consapevole che vi sono troppi aborti. Dovremmo collaborare perché l'aborto diventi raro». La Stampa Marco Tosatti Oggi assistiamo a forme di terrorismo"dal volto umano" come l’ aborto e l’ eutanasia: lo sostiene monsignor Angelo Amato, segretario della Congregazione della dottrina della fede. "Oltre all' abominevole terrorismo dei kamikaze, che occupa quotidianamente la nostra cineteca mediatica, c'è il cosiddetto “terrorismo dal volto umano”, anch'esso quotidiano e altrettanto ripugnante, che viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale, manipolando ad arte il linguaggio tradizionale, con espressioni che nascondono la tragica realtà dei fatti". Chiamare l'aborto “interruzione volontaria della gravidanza” e non uccisione di un essere umano indifeso è un inganno, così come l'eutanasia chiamata più blandamente “morte con dignità”. Il male oggi - ha aggiunto il vice del cardinal Levada - "non è solo azione di singoli o di gruppi ben individuabili, ma proviene da centrali oscure, da laboratori di opinioni false da potenze anonime che martellano le nostre menti con messaggi falsi" aggiunge il Monsignor Amato “purtroppo non possiamo chiudere le biblioteche del male né distruggere le sue cineteche che si riproducono come virus letali” , Gli fa da eco Laura Bianconi capo gruppo di FI: "L'aborto terapeutico, quello indotto dalla pillola RU486, l'utilizzo delle cellule staminali embrionali e l'eutanasia hanno un unico denominatore comune: quello di porre fine alla vita umana, ed è criminale". Altrettanto grave per la senatrice azzurra "e' interrompere la vita di una persona con l'eutanasia, che da noi si cerca subdolamente di legalizzare attraverso il testamento biologico, cosi' fortemente sponsorizzato dall'attuale maggioranza" aggiungendo "non dovrebbe essere solo la Chiesa a ricordarci che uccidere una vita umana equivale a commettere un atto terroristico". Preoccupato dalle dichiarazioni del Monsignor Amato il segretario nazionale di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, da Cagliari controbatte: "Le parole sono pietre e noi dobbiamo evitare di produrre separazioni sistematiche nella società italiana. Non c'e' solo un problema di laicità ma di tenuta della società civile e trovo veramente paradossale che le gerarchie ecclesiastiche non si rendano conto di questo problema". "L'aborto e' una conquista consolidata da tempo nel nostro Paese e negli altri paesi civili, così come il tema dell'eutanasia va discusso con grande attenzione", conclude il leader del Prc. Mirella Parachini VIIIAGENDA COSCIONI “La vulgata propinata in modo martellante dai media negli ultimi anni violenta il linguaggio politico svuotando il termine chiave “laicismo” del suo significato autentico” segue da pagina 4 ze libertarie. Esso, in nome della religiosità, persegue la liberazione del fatto religioso dall’ecclesiasticismo, dal clericalismo dogmatico e antiumanistico, nel quale prende corpo, forma e sembianze di tenia clericale la nomenklatura vaticana. E’ sbagliato contrastare la posizione anticlericale pannelliana issando la bandiera della libertà religiosa. Questo argomento, semmai, potrebbe esser valido per contrastare vecchie forme di rozzo e chiassoso anticurialismo. Ma l’anticlericalismo pannelliano è altro, si nutre di vitalità religiosa, di religiosità laica, che non è un ossimoro, è il sugo della nonviolenza. dei pubblici poteri, in Italia sono i pubblici poteri ad essere destinatari dell’azione della Chiesa Cattolica. Assistiamo ad una pervasiva e spregiudicata strategia neo-temporalista, condotta con un numero sempre crescente di strumenti di conquista di potere: dai tradizionali canali del finanziamento pubblico, all’accaparramento di spazi di comunicazione televisiva, sino alla recente scoperta dell’obiezione di coscienza quale strumento di sabotaggio delle pubbliche funzioni e dei pubblici servizi. L’Italia è oggi laboratorio politico “privilegiato” di una nuova strategia clericale, da collaudare, raffinare ed esportare in tutta Europa, che guarda alla politica come tradizionale oggetto di antiche aspirazioni egemoniche, alle istitu- “PAROLE DI LUCA” “L’alleanza tra il clericalismo chiesastico e il clericalismo di Stato impone di ripensare l’impegno anticlericale quanto all’area di applicazione e operatività” L’anticlericalismo non è risvolto accessorio, né degenerazione antireligiosa, ma snodo obbligato dell’impegno radicale tanto più ove si consideri la specificità della situazione politica e istituzionale italiana. Se confrontiamo la dinamica dei rapporti Chiesa-potere politico in Italia rispetto a quanto avviene nel resto dei Paesi europei ci accorgiamo della peculiarità del caso Italia. In Europa la Chiesa è una minoranza emarginata e la secolarizzazione è ormai compiuta. In Danimarca è stata riconosciuta la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita da parte di coppie lesbiche; in Francia il cattolicesimo è stato espulso dalla cultura dominante; in Spagna la Chiesa vive la crisi più grave della sua storia, il governo socialista di Zapatero ha approvato la legge sul matrimonio delle coppie omosessuali, la legge sulla scuola che blocca i finanziamenti alla Chiesa, la legge sulla sperimentazione sugli embrioni che autorizza la ricerca sulle cellule staminali embrionali. La Chiesa in Europa è ridotta all’impotenza politica, è una delle tanti lobbies, dei tanti gruppi di pressione. Lo dimostra anche la vicenda dell’art. 51 della Costituzione europea ed il mancato inserimento del riferimento costituzionale alle radici cristiane. Al contrario, l’Italia è l’unico Paese che conosce un arretramento del processo di secolarizzazione e nel quale la Chiesa Cattolica, attraverso il braccio armato della Conferenza Episcopale Italiana, intrattiene forti rapporti con la politica e con i centri del potere mediatico ed economico dai quali si tirano i fili per governare la società italiana. Assistiamo ad un ribaltamento tutto italiano: mentre in Europa la Chiesa è destinataria dell’azione zioni pubbliche come naturale terreno di conquista, al diritto come mezzo di oppressione delle masse e di soppressione delle libertà individuali, all’economia, alla finanza e al fisco come canale di accumulazione di ricchezze materiali, alla religione come imprescindibile strumento di comunicazione e condizionamento politico. In un simile contesto, in cui il clero rifiuta le regole della democrazia, rifiuta un rapporto paritario con le altre religioni e avanza pretese nei confronti del potere politico l’anticlericalismo diventa una strategia necessaria del laicismo. Altro che tamquam curia non esset! DANIELE BERTOLINI Con queste due magliette abbiamo voluto ricordare alcune celebri frasi di Luca Coscioni. Una azzurra con la scritta “Le nostre esistenze hanno bisogno di libertà per la ricerca scientifica. Ma, non possono aspettare. Non possono aspettare le scuse di uno dei prossimi Papi” Una grigia con la scritta “E, tra una lacrima ed un sorriso, le nostre dure esistenze non hanno certo bisogno degli anatemi dei fondamentalisti religiosi, ma del silenzio della libertà, che è democrazia” Se vuoi riceverla o regalarla ai tuoi amici, invia un’email a [email protected] o telefonaci allo 0668979286 (contributo per una maglietta, 5 euro + spese di spedizione); (contributo per 10 magliette, 45 euro + spese di spedizione); (contributo per 25 magliette, 100 euro + spese di spedizione). IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA 21 PERCHÈ IL FIGLIO RESTA UNICO DANIELA DEL BOCA www.lavoce.info, 25 gennaio 2007 L’Istat ha presentato il 17 gennaio scorso i risultati della seconda edizione dell’Indagine sulle nascite condotta nel 2005 su un campione di madri intervistate a 18-21 mesi di nascita di un figlio, nel periodo cioè cruciale per pensare ad averne un altro. I desideri e la realtà Tra i risultati più importanti dell’Indagine emergono le difficoltà delle donne ad avere un secondo figlio. “La nascita del primo figlio, si legge nel rapporto Istat, è un evento che è stato interessato solo parzialmente dalla crisi della fecondità: le donne italiane mostrano una elevata propensione a diventare madri, anche se di un solo figlio” (1). Ma sono davvero così cambiate le preferenze delle famiglie italiane, tradizionalmente "numerose"? Se confrontiamo i dati sulla fertilità realizzata con il numero medio di figli "desiderati", notiamo forti discrepanze: per la maggior parte delle madri intervistate (61,2 per cento ) il numero dei figli ideale è due, per un quarto circa è tre o più, e solo per una minoranza (12 per cento) è uno. Perchè allora i desideri non si realizzano? Rispetto al 2002, data della precedente rilevazione (2), si osserva un aumento del numero delle madri, con un figlio solo, che indicano, come motivi prevalenti per non volerne altri, il costo dei figli e le difficoltà di su una questione del genere, avvertono i giudici, esorbita dalle competenze della Corte, non potendo risolvere scelte discrezionali che può e deve fare solo il Parlamento. Ecco l'urgenza e la necessità di un intervento legislativo che avvicini l'Italia alle legislazioni degli altri Paesi europei e ci metta in regola con le convenzioni internazionali, come quella di New York del 1979, con cui l'Italia si e' impegnata ad eliminare ogni discriminazione nei confronti della donna in famiglia, compresa quella relativa alla scelta del cognome. Riporto un esempio significativo di come funzionano le cose oggi. La Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 12641/06, ha deciso di rigettare la richiesta di sostituzione del proprio cognome a quello materno, da parte di un padre che ha riconosciuto suo figlio successivamente alla madre. Si ricorda che l'attuale norma (262 c.c.) prevede, in caso di riconoscimento successivo, la possibi- conciliare lavoro e figli. E gli aspetti più critici risultano in particolare le rigidità dell’orario. Aumentano anche le preoccupazioni per le responsabilità di cura, tra cui "non poter contare sull’aiuto costante di parenti e di amici". Se da un lato i nonni sono ancora una risorsa importantissima nell’accudimento dei figli, dall’altro l’organizzazione diventa più difficile se i bambini da gestire sono due o tre: bisogna accompagnarli all’asilo, a scuola, in piscina o a visite mediche. I padri invece contribuiscono assai poco al lavoro familiare anche quando la madre lavora: il 63 per cento delle madri occupate dichiara di non ricevere alcun aiuto nei lavori in casa. Recenti ricerche che usano dati sull’uso del tempo (Multinational Time Use Survey) hanno mostrato che questo è un fattore molto importante per spiegare la bassa fertilità e la probabilità di avere più di un figlio. In paesi dove la divisione del lavoro familiare è più egualitaria, la fertilità è più alta (3). Più servizi, ma non al Sud di posti, eccessiva distanza da casa, rette troppo care e orari troppo scomodi . Ma sono le madri del Sud, che hanno a che fare con un mercato del lavoro più difficile e con un sistema dei servizi più carente, a trovarsi ancora più in difficoltà. Alcune differenze ci paiono particolarmente importanti: 1) Una donna su quattro non è in grado di mantenere il proprio lavoro dopo la nascita del primo figlio, contro il 15 per cento al Nord. 2) Le madri al Sud rientrano al lavoro molto prima dopo la nascita dei figli. Non usufruisce infatti del congedo facoltativo circa il 40 per cento, contro il 19 per cento del Nord. Per saperne di più 3) Infine, solo il 7,5 per cento usa l’asilo nido, contro il 16 per cento al Nord-Centro. Queste differenze aiutano a spiegare il continuo declino della fertilità nelle regioni meridionali, a fronte dei dati costanti o in lieve ripresa di quelle del Nord. Rispetto al 2002 si notano alcuni segnali di sviluppo del sistema dei servizi socio educativi per la prima infanzia, anche se l’affidamento prevalente è comunque rappresentato sempre dai nonni. Cresce anche la domanda potenziale, ma i problemi di utilizzo restano legati a scarsa disponibilità, rigidità e costi. Tra le madri che non si avvalgono degli asili nido, quasi il 30 per cento vorrebbe usarli, ma non può per mancanza I risultati dell’indagine offrono elementi importanti per capire la discrepanza tra desideri e realtà delle decisioni di maternità in Italia. Ci aiutano a spiegare perché un figlio solo, più che una scelta, può essere il risultato delle difficoltà di un contesto, dove alle aspirazioni e alle necessità di lavoro delle madri si oppongono ruoli tra uomini e donne che si evolvono troppo lentamente. E un sistema di welfare che offre ancora troppo poco aiuto (4). lità che il Tribunale per i Minorenni decida se aggiungere o sostituire il cognome del genitore che riconosce per ultimo. E' evidente che statisticamente il genitore che decide tardivamente di riconoscere il figlio naturale e' l'uomo e ogni pronuncia che sostituisse il cognome paterno a quello materno senza il consenso della madre, si rivelerebbe un abuso autoritario dello Stato ai danni di un genitore (donna) in favore dell'altro (uomo). Per questo la sentenza della Cassazione, se da un lato ha il pregio di rendere d'attualità il problema, sottolinea che ad oggi vi e', nei riguardi dell'attribuzione del cognome, piena discrezionalità dei giudici, anche a scapito delle volontà genitoriali. Ed e' proprio il fatto che sono possibili ad oggi sentenze di segno opposto, che ci spinge a formulare con urgenza questa proposta di legge, e a ribadire il principio della consensualità e dell'uguaglianza genitoriale nell'attribuzione del cognome. In tal senso, la nostra proposta (art.5 comma 2), prevede che in caso di riconoscimento tardivo e di disaccordo fra i genitori sull'aggiunta o sostituzione del nome, il cognome del primo (generalmente la madre) non può esser estromesso dal nuovo cognome, ma semmai esser seguito dallo stesso. Soprattutto, la nostra proposta mira a rendere solo eventuale il ricorso al Tribunale per i Minorenni, non prevedendone l'intervento, come invece e' attualmente, nei casi di attribuzione o modifica del cognome per il mero riconoscimento successivo di un genitore: sarà sufficiente la semplice dichiarazione all'ufficiale di stato civile, che farà le modifiche richieste di comune accordo dai genitori, oppure, in caso di disaccordo, aggiungerà al cognome preesistente (a cui il figlio e il primo genitore che lo ha riconosciuto hanno comunque diritto), quello del genitore che per ultimo ha effettuato il riconoscimento. Nel caso della re- Stencil / Melfeasance cente sentenza di Cassazione di cui sopra, ad esempio, la madre ed il figlio non avrebbero rischiato di vedersi sostituire o anteporre il proprio cognome a quello paterno, ma solo aggiunto. La madre avrebbe poi eventualmente potuto, nell'interesse del figlio, chiedere al Tribunale per il Minorenni di eliminare solo per ragioni gravi- il cognome così aggiunto. Nell'articolo 1 della presente proposta di legge. l'art. 143-bis del codice civile, che fa aggiungere al cognome della madre quello del padre, viene così modificato lasciando che ciascun coniuge mantenga il proprio. Nell'articolo 3 si abroga l'art. 156-bis, decadendo infatti il presupposto, in caso di divorzio, che il giudice imponga alla moglie di vietare l'uso del cognome del marito. Con l'articolo 2 si offre ad entrambi i coniugi l'opportunità di decidere, di comune accordo, il cognome da trasmettere ai figli, lasciando loro la libertà di (1) "Essere madri in Italia" Istat 2006. (2) "Avere un figlio in Italia" Istat 2006. (3) Craig L."Do time use patterns influence fertility decisions?" International Journal of Time Use Research 2006, Vol 3 n.1 6087.E De Laat,J.and Sevilla Sanz, A. "Working Women, Men’s Home Time and Lowest-Low Fertility", Iser Working Paper 2006-23,Colchester,University of Essex. (4) Ricerche recenti mostrano che nei paesi dove i congedi parentali sono piu generosi e maggiore è la disponibilità degli asili nido sono meno difficili le scelte di maternità.Vedi Del Boca D., Pasqua S., Pronzato C. "The impact of institutions on participation and fertility" Iser Working Paper 2006, Colchester, University of Essex. stabilire se esso debba essere quello del padre, quello della madre o quello di entrambi. Nel caso in cui i coniugi non dovessero raggiungere un accordo, al figlio sono attribuiti d'ufficio entrambi i cognomi in ordine alfabetico. A sua volta il figlio che assume il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne uno soltanto, altrimenti si avrebbe una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione. Questa regola viene confermata nel caso della filiazione naturale (articolo 5) e dell'adozione (articolo 6). Infine, con l'articolo 4, si adegua la nuova disciplina anche ai fatti costitutivi dello status di figlio, (art. 237 c.c.), sostituendo il riferimento al cognome e al rapporto con il padre, quello di uno o di entrambi i genitori. @pprofondisci www.donatellaporetti.it 22 IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA IL MATRIMONIO PUÒ ATTENDERE DANIELA DEL BOCA ALESSANDRO ROSINA www.lavoce.info, 22 maggio 2005 Quando un fenomeno con ricadute importanti sulla vita delle persone si diffonde e diventa socialmente accettato, il fatto che la politica lo ignori può essere letto come una conferma sia del grado di distacco della classe dirigente dalla vita dei comuni cittadini, sia del grado di incapacità dei policy maker di cogliere per tempo le trasformazioni sociali in atto e fornire risposte adeguate. Che le coppie di fatto siano una realtà ormai diffusa e in forte crescita anche in Italia, è quanto dicono tutte le più recenti indagini. Che a livello politico non si sia finora deciso nulla per regolamentare tale fenomeno, diversamente da tutti gli altri paesi ai quali ci sentiamo culturalmente vicini, è un dato di fatto. Tra i paesi europei, l’Italia resta la sola a non offrire alcun riconoscimento giuridico alle coppie di fatto etero o omosessuali. Il ritardo è in contrasto con le crescenti pressioni del Parlamento europeo che ha sollecitato gli Stati membri dell’Unione ad adeguare al più presto le proprie legislazioni al fine di riconoscere legalmente la convivenza al di fuori del matrimonio, indipendentemente dal sesso. Nonostante negli ultimi anni siano state presentate ben dodici proposte di legge - ultima quella Grillini, vicina ai contenuti del Pacs francese – e nonostante tra i presentatori si trovino rappresentanti di forze politiche sia della maggioranza che dell’opposizione, il vuoto giuridico permane. È quindi da apprezzare la recente apertura di Romano Prodi che, ispirandosi a De Gasperi, va al di là dei suoi principi personali, afferma la necessità di riconoscere i problemi giuridici e civili di tutti coloro che scelgono di vivere insieme stabilmente in forme diverse dal matrimonio e si dichiara favorevole all’adozione del Pacs francese anche in Italia. pia per i giovani dell’Europa nord-occidentale. Tanto che a metà degli anni Novanta, a Nord di Alpi e Pirenei, meno di un terzo delle prime unioni era un matrimonio. I paesi dell’Europa meridionale per qualche decennio sono sembrati sostanzialmente immuni a questo fenomeno, confinato soprattutto alle coppie ricostituite, sebbene nelle aree metropolitane del Nord Italia i segnali di un cambiamento in atto apparissero già evidenti. A Milano ad esempio, tra le donne nate all’inizio degli anni Sessanta ben una su tre aveva formato la prima unione in modo informale anziché direttamente tramite un legame coniugale. Per la stessa generazione l’incidenza nell’Italia centrosettentrionale era invece poco più del 10 per cento e si scendeva a meno del 5 per cento nel Meridione. Il confronto con la generazione successiva (le nate alla fine degli anni Sessanta) fornisce però già in modo chiaro l’entità del cambiamento in atto. I numeri parlano di una crescita esponenziale. Si sale infatti a circa una convivenza ogni cinque prime unioni per il dato nazionale, e a una ogni quattro nel NordCentro (figura 1). Per le generazioni ancor più giovani, illuminanti sono i dati sulle intenzioni. Come evidenzia una recente indagine , circa due terzi dei giovani che hanno attualmente attorno ai venticinque anni sono favorevoli alla convivenza. Poco meno del 40 per cento sono quelli che prevedono personalmente di attuarla come forma di prima unione. Oltre la metà ritiene che i genitori accetterebbero senza alcuna opposizione tale loro eventuale scelta. Che il fenomeno sia in forte evoluzione e che la maggioranza della popolazione italiana consideri oramai socialmente ammissibile che due persone possano convivere senza essere sposate, è testimoniato da altre recenti indagini (1). Sulle convivenze omosessuali non esistono ancora dati ufficiali, anche sel’Istat sta predisponendone la possibilità di rilevazione nelle sue prossime indagini. I dati elaborati nel 2002 Cattaneo di dall’Istituto Bologna mostrano comunque che con l’età aumenta la quota di omosessuali che stabilizzano i loro legami sentimentali formando una relazione di coppia stabile. Si stima che i conviventi passino dal 7 per cento sotto i 25 anni a circa un gay su cinque e una lesbica su tre nella fascia d’età 35-39 anni. Perché aumentano le coppie di fatto? In molti paesi europei, la mag- gioranza delle convivenze si trasforma successivamente in matrimonio, non appena si stabilizza la condizione lavorativa e abitativa, oltre a quella affettiva. Ciò avviene spesso in concomitanza con l’arrivo di un figlio. Una parte minoritaria delle coppie di fatto rinuncia invece per ragioni varie al legame coniugale. Tra queste ci sono sia le unioni tra persone dello stesso sesso, sia coppie eterosessuali con o senza figli (2). La scelta di convivere in modo informale anziché sposarsi, almeno in una prima fase, è legata a vari motivi. Sono sicuramente cambiate le preferenze. Le giovani generazioni sarebbero meno propense a fare in età troppo precoce scelte cariche di impegni e responsabilità. L’unione informale costituisce una sorta di “trial marriage” che permette di uscire dalla casa dei genitori, "sperimentare" le proprie capacità di indipendenza dalla famiglia e di verificare le proprie capacita di lavoro e guadagno. La diffusione della convivenza è però anche favorita da un aumento del senso di insicurezza, proprio delle società avanzate. In una società sempre più complessa diventa sempre meno chiaro l’intreccio tra vincoli, opportunità e implicazioni delle proprie scelte. Inoltre flessibilità e mobilità occupazionale, se da un lato favoriscono la possi- Riconoscere le coppie di fatto L’auspicio è quindi che i policy maker possano adottare su questo tema un approccio pragmatico ed equilibrato, che da un lato operi verso la possibilità di un riconoscimento giuridico delle unioni di fatto (il Pacs francese è un buon esempio), ma dall’altro agisca anche verso una riduzione delle insicurezze che frenano la progressione al matrimonio e alla decisione di aver figli (mercato del credito, delle abitazioni, mercato del lavoro, vedi Billari e Saraceno). Va infine tenuto presente che la diffusione delle convivenze e il loro riconoscimento giuridico non hanno costituito in alcun paese, nemmeno in Svezia, una sostituzione dell’istituto del matrimonio(3). Un atteggiamento positivo verso il matrimonio come fondamento della famiglia, o comunque come una sua certificata conferma, continua infatti a essere maggioritario in tutta Europa. Per saperne di più Generazioni a confronto Per le persone omosessuali, salvo che in Olanda e in Spagna, non vi sono alternative alla convivenza. Per le persone eterosessuali, questa scelta può avere ragioni diverse: il rifiuto del matrimonio come istituzione, l’impossibilità (è il caso, in Italia, dei separati che devono aspettare tre anni prima di poter chiedere il divorzio) o la non convenienza a sposarsi, il desiderio di mettere alla prova il proprio rapporto. Nella maggior parte dei paesi occidentali le convivenze sono di tipo giovanile, perciò più vicine al terzo tipo di motivazione. In particolare, a partire dagli anni Ottanta l’unione di fatto si è imposta come la forma prevalente di inizio della vita di cop- bilità di conquistare un’autonomia dalla famiglia di origine, dall’altro non forniscono però quella stabilità psicologica e quella continuità di reddito considerate necessarie per il matrimonio. Vari studi hanno del resto evidenziato come la convivenza spesso si configuri come una “strategia adattativa” in una fase di incertezza occupazionale, e il passaggio al matrimonio sia favorito da una stabilità occupazionale. Va infine segnalato che nei paesi dove la proporzione delle unioni di fatto è aumentata di più, come per esempio in Svezia e Norvegia, anche la fecondità è più elevata. Questo dimostra come il supporto di un partner sia rilevante per sostenere scelte importanti in età giovanile. Stencil / Melfeasance (1) Letizia Mencarini, Rosella Rettaroli, Alessandro Rosina, "Primi risultati dell’indagine Idea", presentata al convegno su "Famiglie,nascite e politiche sociali", Accademia dei Lincei, 28-29 aprile 2005. E inoltre Barbagli M., Castiglioni M., Dalla Zuanna G. (2003). Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, Bologna: il Mulino. Si veda anche l’indagine Demos-Eurisko, pubblicata su "La Repubblica" del 7 novembre 2004. (2) Sono circa una su tre le coppie attualmente conviventi che dichiarano di non avere alcuna intenzione di sposarsi (Istat, Rapporto annuale 2004, cap. 4). (3) Come indicano i risultati dell’indagine Family and Working Life in the 21st Century, condotta nel 1999. In Svezia più che in altri paesi,il matrimonio da rito di passaggio sembra essere divenuto rito di conferma: avviene dopo diversi anni dall’inizio della convivenza e spesso in presenza di figli anche cresciuti. IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA 23 POLITICHE PER LA FAMIGLIA A COSTO ZERO. O QUASI... DANIELA DEL BOCA CHIARA SARACENO FRANCESCO BILLARI www.lavoce.info, 22 aprile 2007 Prima delle elezioni abbiamo partecipato al dibattito sui programmi relativi alla famiglia. Si discuteva, allora, tra i due schieramenti se fosse meglio riformare il fisco mediante l’introduzione di un quoziente familiare (nel programma del centrodestra), ovvero utilizzare nuove forme di trasferimenti monetari a favore delle famiglie e dei figli, addirittura proponendo l’istituzione di veri e propri baby bonds (nel programma del centrosinistra), nonché la costruzione di tremila nuovi asili nido. Se la famiglia è stata al centro della campagna elettorale, oggi, forse dando ragione a chi sottolineava il carattere essenzialmente di propaganda delle proposte, non si parla quasi più di tali politiche. La famiglia è tornata a essere quasi esclusivamente un capitolo del dibattito ideologico (che cosa è, chi ha diritto a formarla e così via) e sulle forme di regolamentazione giuridica, piuttosto che delle politiche sociali, nonostante sia stato creato un ministero ad hoc, significativamente senza portafoglio. Anzi, lo “spacchettamento” del ministero del Lavoro e delle politiche sociali in due ministeri con portafoglio (Lavoro e Politiche sociali) e due senza (Famiglia e Politiche giovanili, che si aggiungono al pre-esistente ministero per le Pari opportunità) segnala come non sia ben chiaro al nostro legislatore quanto siano, oggi più che mai, intrecciate le politiche del lavoro, quelle per la famiglia e quelle per le pari opportunità - non solo tra donne e uomini, ma tra gruppi di età, etnie, persone di diversa appartenenza religiosa, o di diverso orientamento sessuale. Spezzettarle in ministeri diversi, e con diversi poteri, di fatto significa frammentare e rendere difficilmente comunicanti e integrati gli interventi. A ciò si aggiungano le difficoltà di bilancio. Tra i provvedimenti dei primi cento giorni non si intravvede nessuna iniziativa tra le tante promesse, anche se esse ricompaiono in modo esplicito nel Dpef, che tuttavia è, se non un libro dei sogni, certo solo un documento di indirizzo. Da questo punto di vista, sarà importante vedere quanti dei propositi enunciati nel documento inizieranno a prendere forma nella prossima Finanziaria. In realtà, se ci si mette in un’ottica pragmatica e si allarga lo sguardo al di fuori degli ambiti e degli attori che tradizionalmente sono presi in considerazione quando si pensa a politiche di sostegno alle responsabilità familiari, si possono già fare alcune cose senza costi aggiuntivi (o quasi). Di seguito proviamo a riflettere su tre tipi di politiche, indirettamente o direttamente amichevoli nei confronti delle famiglie. Politiche (indirette) per le famiglie: liberalizzare e semplificare La campagna di liberalizzazione e semplificazione burocratica lanciata dal premier Prodi e dal ministro Bersani è certamente un esempio importante di politica (indiretta) per la famiglia. Le famiglie sono essenzialmente consumatrici. Come tali traggono vantaggi dal pagare di meno alcuni servizi come quelli assicurativi, o acquistare più facilmente il pane o i farmaci. Soprattutto quelle con una coppia di lavoratori o numerose, sono perennemente in lotta contro il tempo, a causa della difficoltà di conciliare tempi del lavoro e tempi della famiglia o di coordinare i tempi dei genitori e dei figli. Ogni semplificazione burocratica che permetta di risparmiare il tempo speso in code o correndo da uno sportello all’altro (magari potendo permettersi un taxi) è una politica a favore delle famiglie. In questo senso, in effetti, il nuovo Governo sembra partire con misure utili. Si può fare di più? Certamente. Ad esempio, una liberalizzazione degli orari della distribuzione completerebbe i pacchetti con un’ulteriore opportunità di conciliare i tempi della vita. Occorre in questo caso coordinare le politiche nazionali con quelle regionali e locali. Occorre inoltre far sì che i nuovi orari siano utilizzati per la creazione di posti riservati a lavoratori che scelgano orari non standard, piuttosto che costringendo i lavoratori (che "tengono" spesso famiglia) a turni che renderebbero i tempi di vita problematici. Coinvolgere attori diversi in clima amichevole nei confronti delle famiglie: imprese e scuole Sulla scia della voglia di "Corporate Social Responsibility" delle imprese, il Governo potrebbe stimolare l’assunzione di misure amichevoli nei confronti delle famiglie, da pubblicizzare adeguatamente. Se le parti politiche hanno parlato molto di famiglia durante la campagna elettorale, evi- dentemente il tema "tira" sul pubblico generale: perché non stimolare le imprese che potrebbero giovarsi nella propria comunicazione pubblica di essere family-friendly (già alcune, lo fanno, soprattutto quando hanno origine nordica e anche in contesti con sostegno pubblico limitato come gli Stati Uniti)? (1) Stimolare dunque politiche aziendali dell’orario di lavoro, ma anche dell’offerta di servizi, che tengano conto del fatto che il proprio personale ha responsabilità familiari e che interagiscono con le politiche locali in questo settore. Allargare, ad esempio, con la collaborazione e anche il monitoraggio del sindacato, le esperienze di banche delle ore, che consentano ai lavoratori e alle lavoratrici una certa flessibilità nell’orario e la possibilità di scegliere tra essere pagati di più (straordinari) o invece essere pagati in "tempo". Se non si possono costruire i tremila asili nido promessi, si potrebbe continuare a promuovere la costituzione di quelli aziendali – aperti anche alla comunità locale e di buona qualità – enfatizzando il ruolo socialmente utile che rivestono. Gli asili aziendali sono già parte di programmi di "work-life balance" di molte imprese negli Stati Uniti (con una spesa di 1,75 milioni di euro) e Gran Bretagna (80 milioni di euro, più della meta della spesa europea totale). (2) Si tratta di imprese per lo più multinazionali spesso con alto livello tecnologico, che hanno l’esigenza di tenere al lavoro forza lavoro sulla cui formazione hanno investito molte risorse e che non vogliono vedere scomparire dopo la nascita del primo figlio. Gli asili nido aziendali si stanno diffondendo anche in Italia, soprattutto nelle grandi città del Centro-Nord, nell’ambito di progetti più generali di "work-life balance". In alcuni casi, ad esempio nel progetto I care di Tim, assicurano una copertura oraria dalle 6.30 alle 20.30 (cinque ore in più della media degli asili pubblici). Le imprese che li organizzano per i propri dipendenti sono diversissime: dalle banche alle università. Certo, è più semplice per una grande impresa, che ha una "massa critica" sufficiente. Ma anche le piccole imprese, dove spesso sono occupate le donne, potrebbero consorziarsi tra loro e con il comune per avviare un asilo nido. Si potrebbe pensare a un meccanismo, opportunamente rivisto, come quello della legge 285/1998, che servì da stimolo per la creazione di nuovi servizi per l’infanzia. Accanto alla questione della cura dei bambini molto piccoli, una collaborazione inter-istituzionale e tra pubblico e privato può affrontare anche i bisogni di cura dei bambini più grandicel- li, o quelli che si presentano all’altro capo dello spettro di età. Ad esempio, potrebbero essere fatte conoscere e incentivate iniziative, ancora una volta come I care di Tim, in cui, per aumentare la flessibilità dell’orario e dei congedi, viene intestato ai bambini di meno di otto anni un libretto di assegni tempo (di 150 ore) che i genitori possono "staccare" quando ne hanno necessità. (3) Le scuole, che sono di fatto il principale servizio, potrebbero essere utilizzate in modo più amichevole nei confronti delle famiglie. Incoraggiando non solo il tempo pieno, ma anche l’allargamento di esperienze già esistenti sull’utilizzo dei locali nelle ore extrascolastiche da parte sia delle famiglie sia di associazioni e altri enti che forniscano servizi (corsi, ma perché no, attività di intrattenimento e cura dei bambini al di fuori degli orari standard). Le misure di flessibilità oraria pensate per chi ha bambini potrebbero essere allargate anche a chi ha responsabilità di cura verso familiari fragili a motivo dell’età o della malattia, innanzitutto facilitando l’utilizzo dei permessi di legge. Sarebbero anche utili servizi di consulenza e mediazione per affrontare i problemi di questa fase della vita e per essere aiutati a scegliere tra le opzioni possibili (quando ci sono). Razionalizzare i benefici finanziari attualmente in vigore A parità di spesa, si potrebbero razionalizzare i benefici finanziari a favore delle famiglie: gli assegni al nucleo familiare, gli assegni per le famiglie con almeno tre figli, le detrazioni per figli a carico. Tali misure rispondono a logiche e criteri differenti, quindi producono disuguaglianze non accettabili sul piano dell’equità. A parità di reddito e di composizione della famiglia, infatti, alcune famiglie traggono tutti e tre i benefici, altre – di solito le più povere – solo l’assegno per chi ha almeno tre figli. L’assegno al nucleo familiare, infatti, è pagato solo ai lavoratori dipendenti e assimilati a basso reddito e non entra nell’imponibile. Delle detrazioni familiari possono fruire solo coloro che, individualmente, hanno un reddito sufficientemente capiente. Dell’assegno al terzo figlio possono fruire tutte le famiglie con almeno tre figli minori che hanno un reddito (alla cui formazione non concorre l’eventuale assegno al nucleo familiare) non superiore a euro 21.309,43 per cinque persone. Se l’accordo su una misura universalistica, quale esiste in qua- si tutti i paesi europei, a parità di budget, appare poco probabile per le differenze di impostazione e di priorità anche all’interno dell’attuale maggioranza, si potrebbero unificare i criteri, i modi di calcolo del reddito e della sua progressività e le scale di equivalenza, almeno dei due assegni o addirittura unificarli tout court, di modo da evitare le attuali iniquità, correggere gli effetti perversi degli scaglioni di reddito così come si producono attualmente soprattutto nell’assegno al nucleo familiare e influire in modo più netto sul benessere delle famiglie numerose e in potenziale (o effettiva) difficoltà economica. Nel farlo, occorrerebbe anche tentare di correggere il potenziale effetto disincentivante del secondo reddito (di fatto, del lavoro delle donne) implicito in ogni trasferimento basato su un test dei mezzi familiari. È non solo in contrasto con gli obiettivi di parità tra uomini e donne e con gli obiettivi di aumento del tasso di attività e occupazione femminile, come hanno rilevato su queste stesse pagine anche De Vincenti e Pollastri. È anche in contrasto con qualsiasi politica di prevenzione della povertà delle famiglie con figli e anche delle donne. Certo, sarebbe utile avere i dati su chi fruisce degli assegni al nucleo familiare per quali importi, per poter fare una valutazione di chi e quanti eventualmente sarebbero svantaggiati da un’eventuale riforma e viceversa chi e quanti ne trarrebbero benefici. Purtroppo è un dato che sembra impossibile avere dall’Inps, per il modo in cui questa spesa viene richiesta e documentata. Anche questo la dice lunga sulla scarsa attenzione con cui vengono pensate e attuate le politiche di sostegno alla famiglia nel nostro paese. Nel Dpef si parla, senza entrare nel dettaglio dei tempi e modi, di unificare in un unico strumento – l’assegno per i minori – le detrazioni per i figli e gli assegni, da destinare prioritariamente alle famiglie a reddito medio e basso. Ciò risolverebbe da un lato la questione della incapienza (ovvero del mancato accesso delle famiglie più povere alle facilitazioni di tipo fiscale), dall’altro quello delle iniquità prodotte dalla maggiorazione per i bassi redditi introdotta dal precedente Governo. Dato, infatti, che l’imposta è sui redditi individuali, una detrazione siffatta può produrre iniquità tra famiglie con reddito complessivo identico, ma guadagnato da una piuttosto che due persone. Anche se va tenuto presente che anche in questo caso, in assenza di correttivi adeguati, vi potrebbe essere una forte penalizzazione delle famiglie con due percettori di reddito, quindi del lavoro della donna-madre. 24 IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA LA FAMIGLIA NELLA COSTITUZIONE: ALLA RADICE DI UN OSSIMORO ROBERTO BIN* “Studium Iuris”, n.10 del 2000 1.Le scale di Escher È noto che l'art. 29 Cost. rappresenta uno dei sommi esempi di mediazione linguistica nella scrittura della costituzione. "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio" è una proposizione impossibile, una specie di equivalente legislativo delle scale di Escher. Verrebbe da dire che ha un senso, ma non un significato: ossia muove reazioni emotive abbastanza precise sul piano ideologico, ma non si traduce in regole giuridiche che possano basare un ragionamento argomentativo serrato. L’idea di una "società naturale" porta con evidenza a postulare l’esistenza di un qualcosa che precede il diritto e lo Stato. Con coerenza l’art. 29 affermerebbe perciò che la Repubblica "riconosce" i diritti della famiglia, come a voler dire che questi preesistono all’ordinamento giuridico repubblicano, perché derivano dalla "natura delle cose" e non dal diritto stesso. È l’antica pretesa giusnaturalistica, riscoperta e riproposta dalla parte cattolica dei costituenti e degli interpreti della costituzione. È una pretesa mai sopita. Introducendo di recente il convegno nazionale dei giuristi cattolici del 1997 - che pure aveva l’inquietante titolo "Quale famiglia?" - Giuseppe Dalla Torre esordisce proprio così: la costituzione concepisce la famiglia "come formazione sociale funzionale allo svolgimento della persona, precedente allo Stato e che questo non può che riconoscere". Se la locuzione "società naturale" ha un qualche significato per il diritto, non credo che possa averne uno diverso da questo. Ma se questo è il significato, si apre un vasto panorama di contraddizioni pratiche ed ermeneutiche. 2. Esiste un concetto "naturale" di famiglia? Prima contraddizione: esiste un concetto "naturale" di famiglia? Questo è il punto su cui hanno maggiormente insistito i critici di questa concezione. Si sa, tutti gli studi storici, antropologici, sociologici, economici ecc. ci confermano che la famiglia e un’istituzione estremamente mutevole, per dimensione, organizzazione, funzione. Non occorre neppure analizzarla con strumenti sofisticati, perché appartiene alla stessa nostra esperienza diretta l’incredibile mutazione che la famiglia italiana ha subito nel corso di una o due generazioni. Oltre i confini geografici e storici della nostra esperienza diretta, poi, qualsiasi unità del concetto di famiglia si perde. E allora, cosa connota questa "società naturale"? Mi posso immaginare due tipi risposta, una in chiave psicologica, l’altra in chiave culturale. La prima potrebbe portarci a dire che la "famiglia", qualsiasi ne sia l’estensione, l’organizzazione o la funzione, è comunque "naturale" nel senso che appartiene ai bisogni umani fondamentali, imprescindibili, legati alla socialità dell’uomo, alla sua riproduzione, alla sua affettività, al suo bisogno di riservatezza. La famiglia, insomma, denoterebbe quel primo e indispen- ampio, destrutturato, di ‘famiglia’. Se ad essa si indirizza un bisogno "naturale" della persona, la ‘famiglia’ allora può assumere tante forme organizzative quante sono i modi in cui ognuno realizza la propria personalità. L’art. 29 verrebbe perciò ad essere letto come una garanzia di autonomia, di "autogoverno", ad un livello sociale minimo, di cui ognuno è padrone di individuare la fisionomia senza ingerenze dell’apparato pubblico: sarebbe una garanzia dall’estensione assai simile a quella apprestata dall’art. 8 della CEDU ("Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale"). È chiaro che allora, per esempio, non vi sarebbe modo di negare la perfetta (nel senso di eguale) legittimità anche della famiglia omosessuale, così come di ogni altra formazione familiare "anomala". Anzi, pro- lo "scopo riproduttivo" – a parte il fatto che ormai è solamente un problema tecnologico o semmai, se passano oscure leggi, un limite giuridico, quindi convenzionale – non può certo incidere sulla garanzia riconosciuta ad essa: nessuno dubita che anche le famiglie "normali" che, per scelta o meno, siano senza figli sono ciò nonostante, almeno sotto un profilo giuridico (diversamente da quello acustico), perfettamente "famiglie". Anzi, si potrebbe ragionare proprio all’incontrario: tanto più si ritenesse che non solo la "famiglia", ma proprio la famiglia riproduttiva, è un bisogno "naturale" della persona, tanto più si dovrebbe concludere che sia il "riconoscimento" del nucleo familiare, sia il diritto alla procreazione assistita devono essere assicurati a tutti, come "diritto inviolabile dell’uomo" alla realiz- LA RIVOLUZIONE DELL’INTIMITÀ/1: LA VITTORIA DEL DIVORZIO Il primo ottobre 1965 il deputato socialista Loris Fortuna presentava alla Camera un progetto di legge per il divorzio. Quel progetto sarebbe rimasto tale se intorno ad esso non fosse stata organizzata per impulso dei radicali una campagna che nel giro di un quinquennio trasformò una posizione ideale in conquista politica ed in legge dello Stato. La maggior parte del mondo laico e di sinistra giudicava il paese "non maturo" per una tale riforma, del resto ferocemente avversata dalle forze clericali e conservatrici. All'inizio del 1966, grazie anche al sostegno di una campagna di stampa del settimanale popolare "ABC" si costituiva la Lega Italiana per il divorzio (LID). Per la prima volta nella storia repubblicana i radicali davano vita ad un movimento costituito da politici provenienti da diversi orizzonti partitici e da "gente comune", in grado di esercitare una crescente influenza sulla pubblica opinione e sullo stesso "Palazzo". Infine con l'azione nonviolenta culminante nello sciopero della fame ad oltranza di Marco Pannella e di Roberto Cicciomessere che dal 10 novembre 1969 si protrasse fino alla messa in discussione alla Camera del progetto di legge, infine approvato il 29 dicembre. Dopo quattro anni il referendum del 12 maggio 1974, promosso dai clericali, sanciva clamorosamente con il voto popolare la sconfitta dello schieramento clerico-conservatore ridotto a rappresentare solo il 41% della popolazione. sabile esempio di "formazione sociale" di cui l’art. 2 Cost. garantisce e, ancora una volta, "riconosce" l’esistenza (non a caso, essendo l’art. 2 l’altra clausola "giusnaturalistica" della costituzione),. Ma se così fosse, dovremmo ritenere che l’art. 29 ci rimanda ad un concetto estremamente prio per l’elementare rispetto di questa sfera di intimità sociale che è la famiglia, nessuno – esterno a quel nucleo - dovrebbe poter esprimere giudizi sui comportamenti che in essa si tengono e tanto meno farne derivare conseguenze giuridiche. Il fatto che, per esempio, nella famiglia omosessuale non vi sia zazione della propria personalità (ancora l’art. 2 Cost.). 3. "Natura" e tradizione È evidente la contraddizione pratica tra questa conclusione e le premesse ideologiche di chi La “famiglia”, qualsiasi ne sia l’estensione, l’organizzazione o la funzione, è comunque "naturale” muove da una lettura "naturalistica" dell’art. 29. Dal suo punto di vista, sono conclusioni del tutto inaccettabili, che lo spingono a praticare l’altra strada, quella che ho definito della risposta culturale. È una risposta che sfrutta varianti tipiche dello schema classico di pensiero giusnaturalistico, che si basano su argomenti come la "normalità" dei casi o la tradizione culturale. La variante della "normalità" è davvero debole. Certo, nella "normalità" dei casi, per nostra stessa esperienza, quando si parla di "famiglia" si pensa a qualcosa che non c’entra affatto con la coppia omosessuale o con altre combinazioni di vita. Ma sarebbe un argomento spendibile, questo? Assai poco, perché se è sul costume sociale che si deve basare la nozione di "famiglia", sul "medio sentire", allora perde di qualsiasi prescrittività il concetto di famiglia "naturale". La famiglia non preesiste affatto allo Stato, perché si evolve (come di fatto si evolve) con la stessa rapidità dei costumi sociali e delle leggi che li governano. Spetta al corpo rappresentativo, al Parlamento, al legislatore (a chi altro se no, in una democrazia rappresentativa?) interpretare l’evoluzione sociale, e quindi l’art. 29 andrebbe letto come se fosse scritto "la famiglia è una formazione sociale definita dal legislatore": sarebbe la fine di qualsiasi tentativo di uso forte, prescrittivo, costituzionale (nel senso di sovrapposto alla legge) della famiglia. I "diritti" della famiglia non preesisterebbero più alla legge, IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . LA RIVOLUZIONE DELL’INTIMITA’/2: IL DIRITTO ALLA LIBERA SESSUALITÀ Già a metà degli anni sessanta anche le questioni della vita personale e della sessualità erano oggetto di discussione e di iniziativa radicale. "In Italia - affermava una relazione del congresso PR del 1967 - la tradizionale legislazione basata sui concetti di onore e di famiglia indissolubile, l'assenza di una politica demografica, la mancanza di un'informazione sessuale, l'attivo e quotidiano avvelenamento dello sviluppo naturale dei bambini, la persecuzione dei rapporti amorosi che non abbiano ricevuto la sanzione di un'autorità, sono tutti fenomeni che rivelano il carattere non solo individuale, ma sociale del problema sessuale". Nel 1967 insieme con l'AIED si tiene un dibattito su Sessuofobia e clericalismo e, l'anno successivo, viene organizzato il convegno Repressione sessuale e oppressione sociale. La tematica della liberazione sessuale trova un momento di approfondimento e di applicazione nell'azione in difesa dei diritti degli omosessuali. Nella primavera del 1971 comincia ad aggregarsi, per iniziativa di Angelo Pezzana, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (FUORI) che già nella sigla intende manifestare la volontà di questa minoranza di "reagire allo stato di emarginazione e di uscire fuori dal ghetto della paura e della infelicità socialmente imposta". Il FUORI suggella al congresso del novembre 1974 il rapporto con il PR con un patto federativo. Nel 1976, nelle liste elettorali radicali, per la prima volta nella storia italiana, gli omosessuali sono presenti come tali a testimoniare l'assunzione della difesa dei loro diritti da parte radicale. ma sarebbe la legge a crearli. Non resta dunque che appellarsi alla tradizione culturale, a quel concetto di famiglia che ci deriva dal passato, di cui è intrisa la nostra cultura, a cui certo non sono affatto estranei i valori della religione cattolica. È la famiglia che si basa sul matrimonio, come patto indissolubile tra persone di sesso diverso e teso, come suo elemento costitutivo almeno tendenziale, alla riproduzione. In una parola, la famiglia legittima. È talmente compenetrato nella nostra cultura questo concetto di famiglia che il nostro stesso codice civile non sente neppure il bisogno di definirla: intesta alla famiglia il libro primo, la richiama per un’infinità di cose (il domicilio del minore, la determinazione dell’assegno alimentare, i doveri dei coniugi e la loro residenza, ecc.), ma non dice mai che cosa sia; il Capo VI s’intitola "Del regime patrimoniale della famiglia", ma esordisce identificando il patrimonio familiare con il regime patrimoniale tra i coniugi; e quando disciplina il matrimonio, in nessun punto prescrive esplicitamente che i coniugi debbano essere di sesso diverso. Lo dà per scontato. Nulla di inedito: agli inizi del secolo, su pressione dei movimenti femministi, si "scoprì" che nessuna norma dell’ordinamento completava il sesso (maschile) come presupposto dell’elettorato attivo e passivo: era un dato appartenente alla "natura delle cose", così come lo è l’eterosessualità della famiglia. Fu una famosa sentenza di Mortara, del 1906, a sfatare questa "ovvietà" ragionando in termini di rigore giuridico: ma non bastò a cambiare la forza della tradizione culturale che riteneva le donne quantomeno "inadatte" al voto. Tradizioni culturali, appunto. 4. "Natura" e diritto Non mi sembra utile contestare questa impostazione sul piano dei valori, in termini di contrapposizione tra modelli ideali di organizzazione umana e sociale. Né mi sembra decisivo segnalare alcune difficoltà "periferiche" che la tradizione culturale può incontrare, per esempio, di fronte alla rottura del dogma dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale o ad altri profili attinenti, tutto sommato, ad aspetti contingenti della legislazione positiva. Vi sono aporie ben più fondamentali che questa concezione deve affrontare. Predicare della famiglia che essa è una società "naturale" e, ad un tempo, fondata sul "matrimonio" è predicare attributi tra loro incompatibili, dato che il matrimonio è un istituto giuridico che non appartiene affatto alle forme "naturali" dell’organizzazione sociale, ma a quelle convenzionali, determinate dalle regole contingenti poste dalla legislazione vigente. Non è affatto "naturale" che la gente si sposi, anche se la maggioranza lo fa (anzi, alcuni lo fanno più volte): è una libera scelta da cui derivano specifiche conseguenze giuridiche. Questo, d’altra parte, è l’insegnamento della Corte costituzionale a proposito della c.d. "famiglia di fatto". La Corte ha infatti sistematicamente rigettato tutti i tentativi di estendere alla famiglia non matrimoniale i rapporti giuridici che le leggi civili prevedono per la famiglia "legittima". Anche quando si sarebbe trattato di estendere al partner economicamente più debole qualche garanzia che la legge gli assicurerebbe nell’àmbito del regime matrimoniale, la Corte ha ritenuto di non poterlo fare per una ragione precisa: il matrimonio è un istituto giuridico che prevede, per i contraenti, un preciso sistema di obblighi e di diritti reciproci; ma siccome il matrimonio è una scelta volontaria, sarebbe illegittimo, perché lesivo della libertà individuale, estendere anche uno solo di quei rapporti a chi, per sua scelta, ha deciso di convivere, anziché contrarre matrimonio. Il matrimonio è una scelta, una scelta da cui derivano le conseguenze giuridiche previste dall’ordinamento: non si può volere il matrimonio senza quelle conseguenze, né si ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA possono volere quelle conseguenze senza il matrimonio. Qualcosa, come si vede, non funziona. Come può essere che una "società naturale", preesistente al diritto, sia da questo riconosciuta solo quando assume precise connotazioni formali, determinate dal diritto stesso: mentre, se la stessa identica società, proprio perché costituita nelle forme di "famiglia naturale", anziché legale, viene ad essere esclusa dall’interesse dell’ordinamento giuridico? Il problema si complica se estendiamo lo sguardo al trattamento dei figli. Sempre la giurisprudenza della Corte costituzionale ha distinto nettamente le relazioni "orizzontali" che intercorrono trai partner da quelle "verticali" che intercorrono tra essi e gli eventuali figli. Mentre le prime, come si è detto, sono ispirate al principio della libertà delle scelte individuali, le seconde sono invece improntate dal principio diametralmente opposto. Quale sia il regime giuridico scelto dai genitori per i loro rapporti non può avere influenze per i figli, che a quella scelta certo non hanno preso parte. Per cui, i doveri dei genitori nei confronti dei figli non cambiano in ragione della disciplina giuridica dei loro rapporti: che siano o meno sposati è una questione per loro "trasparente". Così stando le cose, ne dobbiamo ricavare una conclusione precisa: il matrimonio è un atto volontario che non serve a costituire la "società naturale", ma a scegliere un determinato regime giuridico; mentre la "società naturale", anche se non fondata sul matrimonio, ha comunque importanti riflessi giuridici quando c’è di mezzo la filiazione, che è indubbiamente una delle conseguenze più "naturali" (e però non sempre volontaria) di quella "società". E allora? 25 pria "natura" è una componente essenziale dell’affermazione della propria personalità. In una sua storica sentenza la Corte costituzionale, parlando del transessualismo e del mutamento anagrafico del sesso, ebbe a dire che la realizzazione della propria identità sessuale è un elemento fondamentale dell’affermazione della personalità e dell’equilibrio psico-fisico della persona, e che all’identità sessuale sono indubbiamente legate anche alcune condizioni che attengono alla socialità, cioè ad un sufficiente dispiegarsi delle relazioni sociali. Escludere la "famiglia" omosessuale dal riconoscimento legale significa dunque negare ai suoi componenti la possibilità di godere del regime giuridico tipico della famiglia: regime giuridico che qualche pregio assiologico Se è sul costume sociale che si deve basare la nozione di "famiglia", sul "medio sentire", allora perde di qualsiasi prescrittività il concetto di famiglia “naturale” 5. "Natura" e libertà di scelta Allora le contraddizioni logiche e pratiche non sono finite. Partiamo dal punto appena affrontato e poniamoci un problema oggi assai attuale: sino a che punto è legittimo, alla luce dei princìpi fissati dalla giurisprudenza costituzionale, escludere la famiglia omosessuale dal riconoscimento giuridico? Se l’assunzione dei diritti e dei doveri reciproci connaturati indissolubilmente ed esclusivamente all’istituto del matrimonio è un fatto di libera scelta, perché da questa scelta sono esclusi i partner omosessuali? L’interrogativo si fa tanto più grave quanto più insistiamo sull’attributo della "naturalità" della famiglia, come bisogno radicato nella realizzazione della propria personalità. L’omosessualità non è una scelta (qualcuno sostiene anzi che sia una malattia!), ma è qualcosa che deriva dalla situazione "naturale" della persona. Costruire una struttura di relazioni sociali adeguata alla pro- deve pur avere e, sotto il profilo dei diritti, indubbiamente ha in termini di obblighi di solidarietà reciproca, di garanzia economica, di privilegi nella successione ecc. Il valore assiologico, che spiega il favor costituzionale per il matrimonio, si spiega a sua volta con i vantaggi, per la realizzazione della persona umana, della stabilità del quadro delle relazioni sociali, affettive e economiche che si connette al regime giuridico della famiglia. Se questo regime è garantito solo alla famiglia matrimoniale, perché sposandosi i coniugi lo hanno liberamente scelto, come si può giustificare che esso sia negato a quelle formazioni familiari a cui è comunque preclusa questa scelta? A causa della "natura" della loro identità sessuale, certo non liberamente scelta? Significa assumere l’omosessualità come premessa di un giudizio di valore negativo sulla persona, mentre, semmai, dovrebbe essere la premessa per la ristrutturazione di alcuni tratti della nostra legislazione in no- 26 IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... me del pari diritto di realizzare se stessi. Si potrebbe ragionare così: o il matrimonio non è uno strumento di realizzazione della propria personalità, e allora non si giustifica il regime esclusivo che gli si attribuisce; oppure lo è, ma allora è difficile giustificare che tale regime sia limitato ad un unico modello di organizzazione familiare, con la conseguenza che vi siano persone a cui, non per loro scelta volontaria, sia impedito di giovarsi di questo strumento di realizzazione di se stessi. LA RIVOLUZIONE DELL’INTIMITA’/3: LA LEGALIZZAZIONE DELL'ABORTO All'inizio del 1970 si costituisce il Movimento di Liberazione della Donna (MLD) "come parte di un più ampio movimento radicale che si muove nel senso di una società socialista e libertaria...in quanto la liberazione della donna porta con sé una liberazione, una realizzazione e una felicità generali non solo fruibili dalle donne ma anche dagli uomini". Tra i diversi obiettivi, il movimento si batte innanzitutto per la liberalizzazione dell'aborto. Sono organizzate le autodenunce di massa mentre si intensifica la pressione sul Parlamento che trova un primo sbocco nel progetto di legge sull'aborto presentato da Loris Fortuna (doppia tessera radicale e socialista) l'11 febbraio 1973. 6. Chi è il titolare dei "diritti" della famiglia? Ulteriore problema. Quali sono i "diritti" che la costituzione, all’art. 29, riconosce alla famiglia come "società naturale"? Non sono certo i diritti che ineriscono al regime tipico della famiglia matrimoniale, perché essi (a) riguardano esclusivamente i partner e non sono imputabili in alcun modo ad un soggetto terzo chiamato ‘famiglia’, e poi (b) essi derivano da un atto giuridico, il matrimonio, e non dalla esistenza di fatto di quella "società naturale". Il messaggio dell’art. 29.1 Cost. è perciò letto di solito in termini di autonomia, autogoverno, sussidiarietà ecc. Va però sottolineato che si tratta di pretese, indubbiamente legittime e condivisibili, ma di tipo essenzialmente "negativo", che si basano cioè su una richiesta di non-intromissione da parte dello Stato, come pure da parte dei privati. Alla famiglia si riconosce una libertà negativa fornita di Drittwirkung, cioè con effetti erga omnes, cui corrisponde un obbligo di astensione da parte di qualsiasi altro soggetto. Ma, e qui sta il problema, questa libertà è riconosciuta alla "famiglia", come soggetto collettivo, o ai suoi membri? È la risposta a questa domanda che rivela la contraddizione pratica di coloro che più si manifestano propensi alla valorizzazione della famiglia come formazione sociale, perché sono per lo più gli stessi che di continuo ripropongono interventi legislativi a tutela di posizioni individuali interne al nucleo familiare e contrapposte alla pretesa di autogoverno dello stesso. Da un lato quindi abbiamo l’affermazione ideologica, di principio, di un modello determinato di organizzazione sociale ispirata ai valori tradizionali, alla quale si vuol vedere riconosciuta una posizione di precedenza rispetto allo Stato e di autonomia nei suoi confronti; dall’altro, si nega nei fatti l’impermeabilità di questa organizzazione e si chiede invece che sia lo Stato a regolare i rapporti interni ad essa, contrapponendo alla libera determinazione dei membri della "società naturale" un complesso e pervasivo fascio di regole attinenti ai rapporti sessuali trai partner (per esempio, per quanto riguarda la violenza sessuale tra coniugi), ai rapporti tra geni- . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA Parallelamente al MLD si costituisce il 20 settembre 1973, per iniziativa di Adele Faccio, il Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto (CISA) che, nel novembre 1974, diviene movimento federato al Partito Radicale. Nel gennaio 1975 il CISA viene alla ribalta con la scoperta dopo un anno della attività sotterranea di una clinica di Firenze dove venivano praticati aborti anche come forma dichiarata di disobbedienza civile. All'arresto del medico Giorgio Conciani segue quello di Gianfranco Spadaccia che, da segretario del Partito Radicale, si dichiara corresponsabile, quindi prendono la via del carcere, in aprile, Adele Faccio che afferma di aver assistito attraverso il CISA circa 4000 donne e, in giugno, Emma Bonino, subentrata dopo gli arresti nella responsabilità del CISA. Solo l'intensificarsi dell'azione di disobbedienza civile, gli arresti, le autodenunce e, quindi, la promozione da parte del PR con l'appoggio dell'"Espresso", di un referendum abrogativo (che nella primavera del 1975 raccoglie oltre 800.000 firme) fanno del dramma aborto un grande tema nazionale che non può essere ulteriormente eluso dagli stessi partiti laici e di sinistra, costretti a presentare alcuni progetti di legge di diversa ispirazione. Per questa montante pressione e sotto la minaccia dell'imminente referendum radicale, finalmente il Parlamento vota nell'autunno 1977 una legge sull'aborto libero. E', questa, dopo il divorzio e l'obiezione di coscienza, la terza grande vittoria radicale, pur se la nuova legge con le sue ipocrisie e strozzature non corrisponde alle aspettative dei radicali (che alla Camera dove erano appena entrati vi si oppongono) e della parte più consapevole del movimento femminile e femminista. tori e figli (per esempio, per quanto riguarda le capacità educative), alla stessa procreazione (per esempio, per quanto riguarda la fecondazione assistita). Si arriva persino, come è proprio il caso della fecondazione assistita, ad inventare una sorta di embrionale soggettività giuridica non solo del concepito, ma degli stessi gameti, per contrapporla al diritto di autodeterminazione da parte dei partner. E allora, quali sono i diritti connaturati alla famiglia che lo Stato deve limitarsi a riconoscere? 7. La famiglia, tra diritto premiale e morale imposta Come si vede i punti interrogativi restano e si moltiplicano man mano si affonda l’analisi. È l’inevitabile conseguenza di un sovraccarico di significati ideologici che si accentrano su una realtà che non ha corpo giuridico, pur avendo una grande evidenza sociale. La legislazione, per altro, è farcita di norme che si riferiscono alla famiglia, e persino di definizioni di ‘famiglia’: ma questa è la prova migliore che la famiglia non ha una sua definizione giuridica propria, ‘naturale’. Vi sono leggi che definiscono la famiglia per il calcolo del reddito familiare ai fini dell’accesso ai servizi pubblici, leggi che la definiscono ai fini dell’assegnazione di alloggi di edilizia pubblica o per particolari regimi fiscali, ecc. Come si vede, il bisogno di definire legislativamente la ‘famiglia’ è sempre connesso ad interventi legislativi di tipo "positivo", "premiale". È nel momento in cui il legislatore intende promuovere la famiglia attraverso sconti fiscali, contributi o agevolazioni creditizie che diviene indispensabile definire le condizioni di accesso alla provvidenza (e quanto capita, per esempio, su un versante del tutto diverso, ma certo non meno delicato: quello delle confessioni religiose). Ma non sono mai definizioni "oggettive": anzi, assai spesso da esse traspare il sovraccarico ideologico. Vi sono così enti locali che regolano l’accesso all’edilizia pub- blica ammettendo ad essa qualsiasi tipo di nucleo familiare, e Regioni, come la Lombardia, che limitano l’accesso alle sole coppie unite in regolare matrimonio: sono scelte politiche legittime, su cui è bene che gli elettori siano informati e riflettano. Ma non sono scelte politiche interamente libere, perché trovano un limite e un controllo. Il limite è quello dei princìpi costituzionali, il controllo è il sindacato della Corte costituzionale, e in particolare quello che passa come giudizio di ragionevolezza. Infatti le classificazioni e le selezioni che traccia il legislatore hanno tutte da superare l’esame svolto sotto il profilo del principio di eguaglianza e della tutela dei diritti fondamentali. Non sarebbe affatto legittimo, per esempio, e neppure la Lombardia ci prova infatti, escludere le famiglie "anomale" dal regime di sostegno per i figli o per gli handicappati: l’obbligo di assistenza che grava sui genitori e sugli altri membri del nucleo familiare non può essere differenziato in ragione del regime giuridico della famiglia, e di conseguenza sarebbe illegittimamente discriminatoria qualsiasi differenziazione di trattamento che il legislatore introducesse. Forse per l’assegnazione di sussidi finanziari per l’acquisto della prima casa il rigore del giudizio di ragionevolezza si allenta. L’acquisto dell’abitazione non è l’unico modo di provvedere all’abitazione, l’aiuto regionale non è l’unico sostegno finanziario ecc.: è probabile che la sensibilità comune - che poi non è molto diversa da quella della Corte costituzionale - non reagisca con altrettanta perplessità. Ma se la questione noi la guardassimo dal punto di vista dei figli, del loro "diritto" ad avere una abitazione decente quello stesso diritto che vale, per esempio, per l’assegnazione dell’alloggio familiare anche in caso di rottura della convivenza di fatto - la reazione resterebbe ancora così tiepida? È giustificabile che un diritto che la Corte ha più volte definito come appartenente al nucleo dei "diritti inviolabili" di cui all’art. 2 Cost., sia assicurato alle persone in modo diverso a seconda del regime giuridico che esse hanno scelto (quando lo abbiano scelto, e non sia loro imposto dal legislatore a causa della loro "natura") per formare il nucleo familiare? Spesso la giustificazione di queste discriminazioni è stata tratta da un motivo molto banale, la necessità di fissare una data certa alla formazione del nucleo familiare, per evitare che si presentino allo sportello famiglie "di comodo" (la stessa Corte costituzionale ha impiegato in alcuni casi questo argomento). Per superare il problema, le amministrazioni di alcuni comuni hanno istituito anagrafi parallele, i c.d. registri delle unioni civili: il che ha suscitato grida di scandalo e un vespaio di polemiche, perché vi si è letto il tentativo di legalizzare le famiglie di fatto e, soprattutto, le unioni omosessuali. Perché la famiglia è anche questo: la foglia di fico con cui la nostra tradizione culturale copre una cosa, la sessualità, che è criminalizzata ma da cui nessuna società può prescindere (ecco forse svelata la madre di tutte le contraddizioni!). Ciò spiega perché il codice non accenni mai alla dimensione sessuale, ma ne parli in termini metaforici (la famiglia, il matrimonio, i coniugi ecc.). E ciò spiega perché ogni volta che qualcuno non si senta parte di quella tradizione culturale e chieda di discutere della “tenuta” della metafora, ciò susciti immediate reazioni fobiche di chi, fiero del suo modello culturale, resta pur sempre convinto che la regole morali non vadano seguite da chi le condivide ma imposte anche agli altri e che la conversione viaggi sulla punta della spada. Tradizioni culturali, ancora. * docente di Diritto Costituzionale presso l'Università di Ferrara . IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA 27 BESTIARIO ALL’ITALIANA 2 marzo 2007 scono il particolare carattere sacro della città e chiedono che la loro convinzione sia rispettata”. Giulio Andreotti (Senatore a vita): “Ora capisco perché mia madre da ragazzino non voleva mandarmi al cinema. Temeva facessi brutti incontri, perfino in quel cinemetto in via dei Prefetti, dove ti davano anche la merenda”. 27 ottobre 2006 Elisabetta Gardini (Forza Italia): “La mia è stata una reazione fisica, di pancia. Proprio non mi aspettavo di trovare un uomo nei nostri bagni. Credevo che la questione fosse stata risolta da tempo e trovare Guadagno lì mi ha provocato un trauma”. 1° marzo 2007 Luca Volontè (Capogruppo UDC alla Camera): “I fondatori della psicologia moderna descrivono l’omosessualità come patologia clinica”. 20 ottobre 2006 28 febbraio 2007 “No a forme deboli e deviate di amore”. Joseph Ratzinger (Papa): Romano Prodi (Presidente del Consiglio): “Un tema così delicato deve essere affrontato in modo serio e senza preclusioni, lasciando sempre anche un margine alla libertà di coscienza dei singoli”. 25 febbraio 2007 Marcello D'Orta (editorialista del Giornale): “LGTB significa lesbiche, gay, bisessuali, transessuali. A Napoli la sigla sarebbe RFZ, ricchioni, femmenielli e zòccole”. 18 settembre 2006 Stencil / Trois Tétes vantasse di essere Rocco Siffredi”. 16 dicembre 2006 Umberto Bossi (Segretario Federale Lega Nord): “Innalzare le coppie di fatto a famiglia parallela è uno scempio e porta guai”. 16 febbraio 2007 Angela Carfagna (Forza Italia): “Le coppie gay sono costituzionalmente sterili”. 15 febbraio 2006 Maurizio Gasparri (AN): “Noi difendiamo la famiglia, non abbiamo nulla contro gli omosessuali. Il Gay Pride però è sbagliato, come lo sarebbe una manifestazione dell'orgoglio virile, una falloforia, insomma una sfilata di fustacchioni nudi. O anche di belle donne”. 15 dicembre 2006 Umberto Bossi (Segretario Federale Lega Nord): “Di famiglia il nostro popolo ne conosce una soltanto, ed è quella che si vede nel presepe”. 14 dicembre 2006 Camillo Ruini (ex Segretario della CEI): “Sarà molto importante che si affermi un atteggiamento diverso, specialmente sulla tutela e la promozione della famiglia fondata sul matrimonio, respingendo senza ambiguità le ipotesi e proposte di riconoscimento giuridico pubblico delle unioni di fatto”. 28 agosto 2006 Clemente Mastella (Ministro della Giustizia, Udeur): “Le unioni di fatto? Sì al riconoscimento dei diritti per le coppie eterosessuali. Ma il problema sono i gay. Sui temi etici, comunque, decida il Parlamento”. 24 agosto 2006 Giulio Andreotti (Senatore a vita): “Non credo che sia una scelta che la società possa accogliere e neppure penso che sia utile per il bambino essere adottato e crescere con due persone dello stesso sesso”. “Prodi sa bene che la maggioranza dei senatori a vita voterebbe no a una legge che istituisca i Pacs. E allora, a quanti nell'Unione li chiedono, Prodi può tranquillamente dire che predisporre un testo di quel genere è inutile tanto in Senato non passerebbe in quanto non ci sarebbero abbastanza voti”. 12 dicembre 2006 21 agosto 2006 Piero Fassino (Segretario DS): 11 febbraio 2007 Joseph Ratzinger (Papa): “Nessuna legge può sovvertire la norma del Creatore”. 6 febbraio 2006 Pierferdinando Casini (leader UDC): Piero Fassino (Segretario DS): “Non ho mai capito la denuncia di un’ingerenza: è priva di senso per chi ha una cultura liberale”. Paola Binetti (Margherita): “I Pacs non sono all'ordine del giorno per l'attuale governo: non c'erano nel programma e non si faranno, anche nonostante le affermazioni rese a titolo assolutamente personale da parte di alcuni ministri e di esponenti della maggioranza”. “Altre forme di convivenza sono di serie B rispetto alla famiglia”. 10 dicembre 2006 5 febbraio 2007 “Attiveremo nuove forme giuridiche per andare incontro al capriccio di alcuni?”. 8 giugno 2006 8 dicembre 2006 “I Pacs sono l'eclissi di Dio”. Silvio Berlusconi (leader CDL): Alfonso Lopez Trujillo (Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia): “I gay sono tutti dall'altra parte”. 18 gennaio 2007 Luca Volontè (Capogruppo UDC alla Camera): “Va da sé che intervenire per una legge-privilegio a favore di diecimila persone, solo per il semplice fatto che essi dichiarino di “sentirsi” omosessuali è un aborto giuridico”. Julian Herranza (Cardinale): “Le altre unioni diverse dal matrimonio sono unioni deboli e deviate che, antropologicamente, non si possono equiparare al matrimonio, neppure giuridicamente”. 22 novembre 2006 14 gennaio 2007 Paola Binetti (Margherita) “I radicali usano vicende come quelle di Welby o delle statuine nel presepe: i radicali devono stare buoni e darsi una calmata”. “È altamente inopportuna una trasmissione (la fiction RAI che parla di una coppia lesbica, ndr) che tocca un problema su cui ancora non si è discusso adeguatamente e che comunque non fa parte del programma di governo”. 11 gennaio 2007 21 novembre 2006 Rosy Bindi (Ministro alle Politiche per la Famiglia, Margherita): Joseph Ratzinger (Papa): “Dannosi i progetti di riconoscimenti giuridici a forme di unione che indeboliscono la famiglia legittima fondata sul matrimonio”. 26 dicembre 2006 Gianfranco Fini (Presidente AN): “Per un bambino il maestro deve essere una figura serena, equilibrata. La preferenza sessuale è un fatto privato. Direi la stessa cosa di un maestro che in classe si Alfonso Lopez Trujillo (Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia): 14 maggio 2006 Joseph Ratzinger (Papa): “A volte si vuole addirittura giungere a una nuova definizione del matrimonio per legalizzare le unioni omosessuali attribuendo ad esse anche il diritto all’adozione dei figli”. 5 maggio 2006 Luca Volontè (Capogruppo UDC alla Camera): “Una parodia di matrimonio che mette a rischio il futuro della nostra società”. “Vi pare normale? Un uomo che dichiara di essere attratto da altri uomini e quindi di provare turbamento nei bagni maschili e ottiene di usare quelli femminili. E se domani, si presentassero un ‘squadriglia’ di deputati in kilt scozzese, con ‘gonne scozzesi’, e dicessero di trovarsi in imbarazzo nei bagni maschili? Ci troveremmo un foltissima schiera di uomini nei bagni delle donne”. 9 novembre 2006 5 aprile 2006 Carlo Giovanardi (UDC): Il Nunzio della Santa Sede in Israele: “La Santa Sede esprime la sua viva disapprovazione per tale iniziativa (la gay parade, ndr), perché essa costituisce un grave affronto ai sentimenti di milioni di credenti ebrei, musulmani e cristiani, i quali ricono- Clemente Mastella (Ministro della Giustizia, Udeur): “Se cresce il mio partito non ci saranno né pacs, ne pics ne pocs”. 28 IL MITO DELLA FAMIGLIA NATURALE... . ORGOGLIO LAICO A PIAZZA NAVONA SACRA ROTA DI SCORTA Come il carro attrezzi del diritto canonico interviene in soccorso della Sacra Famiglia in caso di incidente re i motivi validi per cui è stata affrontata quella scelta; e aiutare a maturare una consapevolezza dei limiti dell’unione che spiegano il suo fallimento”. Una persona che segue un percorso simile può sperare di affrontare una nuova unione su presupposti diversi, per un matrimonio migliore. “L’annullamento dal punto di vista psichico è un sintomo psicologico, paragonabile a un meccanismo di difesa patologica, al tentativo di annullare una esperienza che ti mette in crisi, senza crescere sulla crisi”. CHIARA LALLI Nel Codice di Diritto Canonico (Titolo VII, Il matrimonio, Can. 1056) si legge: “Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento”. Tuttavia esistono impedimenti e ragioni per invalidare il matrimonio stesso. I processi di nullità matrimoniale (il cosiddetto annullamento) sono affidati ai Tribunali Ecclesiastici competenti, costituiti quasi esclusivamente da giudici sacerdoti, che hanno l’incarico di giudicare nullo un matrimonio, ovvero come mai esistito. L’eventuale pronunciamento deve poi essere confermato da un Tribunale Ecclesiastico d’Appello. Per avere validità nell’ordinamento italiano la sentenza deve essere delibata. Dal sito Sacrarota.net, “dedicato alla conoscenza ed all’approfondimento di questioni riguardanti il Diritto Matrimoniale Canonico, una materia che per diverse ragioni merita un approccio meno superficiale di quello che solitamente si ottiene”, si viene a sapere che la Chiesa è molto preoccupata per la profonda crisi del matrimonio in Italia, crisi evidente visti i numeri di separazioni e divorzi. La Chiesa, si legge poco oltre, si pone un duplice problema rispetto al matrimonio: il primo riguarda la preparazione dei fidanzati che desiderano sposarsi. Il secondo problema è quasi spassoso: “Si deve poi cercare di restituire serenità e speranza a coloro i quali sono già passati attraverso le dolorose esperienze della separazione e del divorzio”: ovvero, l’annullamento come rimedio alla crisi matrimoniale. “Non sfugge dunque come la questione della validità giuridica del matrimonio sia da considerare di primaria importanza, perché un’eventuale dichiarazione di nullità può sanare definitivamente il disagio morale, religioso e psicologico di una persona separata, divorziata o risposata civilmente”. Le conseguenze giuridiche e pratiche sono significative: “sarà possibile sposarsi in Chiesa come fosse la prima volta, tornare a ricevere i Sacramenti; sotto il profilo giuridico, possono venire a cessare gli obblighi di contribuzione dell’assegno di mantenimento per il coniuge, come previsto invece nella separazione dichiarata dal Tribunale Civile; scompaiono eventuali diritti ereditari a favore del coniuge separato. In ciò la nullità di matrimonio si distingue dal divorzio (o meglio, dalla “cessazione degli effetti civili” del matrimonio concordatario) in quanto la sentenza ecclesiastica dichiara il matrimonio “mai esistito” (cessano gli effetti giuridici ex tunc, ossia dall’inizio), mentre la Stencil / Seven resist sentenza civile dichiara cessati gli effetti giuridici ex nunc (dalla sentenza in poi)” (i corsivi sono miei). La procedura di annullamento si avvale dell’intervento di periti psicologi: cosa chiedono coloro i quali desiderano rendere mai esistiti i loro matrimoni, magari durati decenni e magari con 2 o 3 figli? Al di là delle possibili ricadute civili o delle dispute teologiche sul valore di un sacramento e sulla possibilità di renderlo mai celebrato, come giudicare la possibilità di una simile eccezione alla sacralità e inscindibilità della famiglia e quale significato psichico attribuirle? Ne parliamo con un perito, chiamata dalla parte richiedente l’annullamento a testimoniare le ragioni della richiesta. Psicoterapeuta, esperta di separazione e divorzi, spesso impegnata in consulenze tecniche nell’ambito di procedimenti giuridici, talvolta è stata consultata anche per le procedure di annullamento. Tre casi Due casi sono stati portati a termine con il riconoscimento dell’annullamento per immaturità di uno dei due coniugi. Nel primo caso si trattava di una coppia di ventenni che si erano sposati per l’attesa di un figlio. L’aspetto interessante è che i coniugi si erano separati civilmente dopo un anno dalla nascita del figlio, “esprimendo una sorta di immaturità, ma la richiesta di annullamento è stata fatta circa 10 anni dopo, se non di più, quando la signora voleva riformare una propria famiglia e quindi annullare questo errore passato e fare finta che la nuova esperienza fosse del tutto regolare”. Dopo l’an- nullamento, ha contratto un secondo matrimonio e sono nati altri due figli. Il figlio della prima unione si è dovuto confrontare con una esperienza difficile, e una frase pronunciata per caso prima dell’avvio della procedura può essere citata ad esempio del suo vissuto: “Ma questo vuol dire che io non sono figlio vostro?”. In altre parole, tenendo fermo il significato religioso del matrimonio, si rischia di considerare il figlio di un annullamento come un figlio di nessuno. Il secondo caso è simile, ma ancora più discutibile perché “una coppia giovane, ma che aveva affrontato dal punto di vista psicologico tutte le fasi del ciclo vitale (il fidanzamento, il desiderio di metter su famiglia, la nascita di una figlia) si è separata quando la figlia aveva 3 anni”. Il matrimonio era fallito per alcuni comportamenti psicopatologici di lui, e c’era stata una separazione civile. A quel punto la signora, in base al fatto che lui sembrava essere “cambiato” dopo il matrimonio, ha voluto annullare questa sua esperienza dichiarando se stessa immatura. Il matrimonio sarebbe fallito perché il marito era problematico, ma lei per ottenere l’annullamento ha dichiarato di essere immatura e quindi incapace di valutare le caratteristiche della personalità del marito. “Come se il richiedente facesse una autoaccusa (“è lui matto, ma io non ho capito, dunque sono io ad essere immatura”). Dal punto di vista clinico non è verosimile, perché le condizioni precedenti alla crisi non possono essere invocate alla luce di quanto accaduto solo in seguito”. La valutazione del perito, in que- sto caso, non si è avvalsa di test psicologici, ma di una valutazione e di un’analisi clinica dalle quali emergeva che la signora al momento del matrimonio era maggiormente motivata dal rendersi autonoma dalla famiglia d’origine, che promuoveva una forte dipendenza, piuttosto che dal desiderio di sposarsi. Questo fu il criterio per valutare la sua immaturità: la spinta al matrimonio era stata quella di uscire di casa, ma “questo accomuna milioni di persone, quindi dovremmo annullare milioni di matrimoni?”. Nel terzo caso, in corso, è sempre il richiedente che si autoaccusa di immaturità per annullare il matrimonio, ma dopo una convivenza durata più di 12 anni e 2 figli. La crisi coniugale avviene dopo la nascita dei figli, con una conflittualità distruttiva che ha provocato una separazione giudiziale che dura da 8 anni, in cui la signora ha progressivamente manifestato un grave disturbo di personalità (dalla crisi in poi). Durante la procedura civile la perizia psichiatrica non aveva rilevato disturbi psichici. In questo caso il richiedente vuole sostenere che al momento del matrimonio non si era reso conto di non avere i presupposti di maturità necessari a una coppia per affrontare il progetto familiare. Se ci fossero stati, lui si sarebbe certamente accorto che la moglie era potenzialmente pazza (in contrasto con la diagnosi psichiatrica). Dal punto psicologico “la stessa parola annullamento è contraria ai nostri principi per aiutare le coppie che si separano. Il principio è aiutare ad elaborare il divorzio psichico e quindi a recupera- La famiglia è una delle istituzioni sociali che più si è trasformata nel corso della storia e nei vari contesti culturali Con l’eccezione di quei casi (“anomali” rispetto alle richieste di annullamento) in cui dopo pochi giorni emergono elementi tanto rilevanti da minare l’accordo matrimoniale stesso. “Ma la richiesta dopo la nascita dei figli è quasi improponibile, perché la crisi evolutiva determinata dal progetto di fare figli è tanto impegnativa che, se le persone fossero immature, si rivelerebbe durante la gravidanza (e così accade nella quasi totalità dei casi). Mentre questi sono casi in cui dopo anni e anni…”. Insomma, chiedere l’annullamento è un sintomo dell’assenza del senso di realtà. L’annullamento contrattuale potrebbe avere un senso (a causa di un inganno, o di una frode volontaria – e lo psicologo qui non serve!), ma non la negazione dell’esperienza umana vissuta. Inoltre chi chiede l’annullamento “se ne frega della famiglia di prima con gli eventuali figli; e prova a rendere nulla la famiglia precedente per conferire validità a quella successiva. E gli ex figli diventano residui di qualcosa che è nulla, perché la vera famiglia è quella fatta dopo l’annullamento”. FARMACI : LE FORCHE CAUDINE DELLA BUROCRAZIA 29 LA STORIA DI ISABELLA: IL FARMACO O LA VITA Ha diciassette anni e per vivere deve assumere tre fiale al mese di un farmaco raro AMICI DI ISABELLA Isabella nasce a Cosenza nel maggio del 1990. Nel 1991, la famiglia di Isabella si accorge di un’anomalia nella crescita della bambina e, dopo aver interpellato vari pediatri, senza alcun risultato, si rivolge dapprima all’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, i cui medici non riescono a definire alcuna diagnosi, e poi all’Ospedale pediatrico “Gaslini” di Genova, dove Isabella viene ricoverata per quindici giorni durante i quali vengono effettuate indagini cliniche, ma, al termine delle quali, non viene fornita alcuna diagnosi certa. Solo nel 1993, un nuovo ricovero di Isabella all’Ospedale “Gaslini” conduce ad una diagnosi: Isabella è affetta da “Sindrome di Laron”, una malattia genetica di resistenza primaria all’ormone della crescita (GH). I medici sostengono che è in fase di sperimentazione un farmaco prodotto da un ricercatore israeliano (prof. Zvi Laron), manifestano quindi l’intenzione di mettersi in contatto con lui e assicurano di avvisare la famiglia appena avranno notizia. Purtroppo, non arriverà mai. E per qualche anno non si riceve nessuna comunicazione. Nel 1997, si tenta la strada dell’“Università della Calabria”. Ad Isabella viene somministrato l’ormone della crescita, ma senza alcun risultato. Nel 1998, Isabella torna nuovamente all’Ospedale “Bambino Gesù”. Si conferma la diagnosi dell’Ospedale “Gaslini”: Sindrome di Laron. I medici prospettano le difficoltà per l’approvvigionamento del farmaco, tuttavia decidono di prendere in cura Isabella. Nel 2001, l’Ospedale “Bambino Gesù” comunica, finalmente, che è stata ottenuta una prima fornitura del farmaco, ma ritengono di non avviare la terapia fino a quando non gli venga garantita la fornitura anche per gli anni successivi. Nel 2005, l’Ospedale “Bambino Gesù” informa la famiglia che non c’è possibilità di ottenere il farmaco e ritiene che sarebbe necessario un intervento di “alte personalità” per sbloccare la situazione. Nel 2006, il Ministro della Salute si attiva ed ottiene la fornitura del farmaco. Vengono consegnate dieci fiale di Incralex (IGF-1) ad aprile e sei a luglio. Ad Isabella occorrono tre fiale al mese, quindi viene assicurata la terapia per 6 mesi, durante i quali cresce di 5,5 cm. Ma a novembre la fornitura del farmaco si inter- LA STORIA DI ISABELLA ARRIVA IN PARLAMENTO MAURIZIO TURCO Interrogazione al Ministro Livia Turco Al Ministro della Salute - Per sapere - premesso che: nel biennio 2005-2006 si stimano 8.000 casi in Europa e 570 in Italia da insensibilità congenita al GF (Sindrome di Laron), malattia genetica che si manifesta con bassa statura di grado severo e proporzionata, obesità, acromicria, ipogonadismo e ipogenitalismo; In particolare Isabella, una ragazza di 16 anni, residente a Lattarico, in provincia di Cosenza, è affetta da Sindrome di Laron sin dalla nascita; solo dal mese di aprile 2006, e per un periodo limitato di sei mesi, Isabella ha avuto la possibilità di sottoporsi all’unica terapia di comprovata efficacia, riportandone indubbi benefici, tanto da aver aumentato la statura di 5,5 cm; la suddetta terapia è costituita dal farmaco IGF-1 ricombinante (Increlex), che non è validamente sostituibile con nessun altro farmaco; l’IGF-1 (Insuline-like Growth Factor-1) è stato registrato negli Stati Uniti da Tercica Incorporated con il nome commer- rompe. Alle continue e disperate richieste della mamma di Isabella, viene fornita una sola fiala a dicembre (terapia di soli dieci giorni) ed una a gennaio 2007. Il 7 febbraio scorso, il responsabile dell’unità di endocrinologia dell’Ospedale “Bambino Gesù” invia, per la prima volta, una richiesta alla ASL 4 di Cosenza (competente per la salute di Isabella) di provvedere all’acquisto del farmaco secondo le disposizioni ministeriali indicate dal decreto legislativo n. 178/1991. Ma alla data del 14 febbraio, la ASL dichiara di non sapere nulla in merito. A seguito di una richiesta di aiuto da parte della mamma di Isabella, nasce la battaglia informatica di “Amici di Isabella”, il cui tam-tam su Internet ha prodotto un indubbio successo sotto il profilo della sensibilizzazione e della solidarietà. Anche grazie all'interessamento degli uffici del Ministro Bonino, che era stata interessata al caso, e degli uffici del Ministero della Salute, si è attivata immediatamente il 22 febbraio è stata recapitata ad Isabella una confezione di tre fiale del farmaco (terapia per un mese). Isabella a maggio compirà 17 anni, anche se la sua età “ossea” è pari a quella di una bambina di 12 anni. E’ una ragazza mol- ciale di «Increlex»; a seguito degli accordi commerciali finalizzati nel corso del 2006, la stessa Tercica ha ceduto in licenza il prodotto al «Gruppo Ipsen», che ha avviato l’iter registrativo (procedura centralizzata europea) affinché il farmaco possa essere autorizzato ed immesso in commercio anche in Europa; con lettera datata 7 febbraio, il Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Endocrinologia dell’Ospedale pediatrico «Bambino Gesù» di Roma, che ha in cura Isabella, ha inviato una lettera al Responsabile della competente Azienda Sanitaria Locale n. 4 di Cosenza, richiedendo di provvedere all’acquisto del farmaco, secondo le disposizioni del Ministero della Sanità come indicato nel decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178; considerato che : si prevede la commercializzazione dell’IGF-1 in Italia non prima del settembre 2007; la somministrazione di IGF-1 (Increlex) è necessaria e insostituibile con altro farmaco, per la salute, non solo fisica, ma anche psichica ed emotiva della paziente; si chiede di sapere: se il Ministero della salute non ritenga indispensabile che si acceleri quanto più possibile l’iter registrativo su richiamato; quali azioni il Ministero della salute intenda intraprendere per garantire la continuità e la stabilità della terapia a base di IGF-1 (Increlex), in considerazione della insostituibilità di tale terapia per Isabella e per tutti i pazienti affetti da Sindrome di Laron. IL NUMERO CINQUE/07 DI “AGENDA COSCIONI” È STATO CHIUSO VENERDÌ 27 APRILE 2007 DIRETTORE Marco Cappato GRAFICA Mihai Romanciuc VICE DIRETTORE Rocco Berardo ILLUSTRAZIONI Paolo Cardoni HANNO COLLABORATO Anita Alfonsi, Angiolo Bandinelli, Viviana Blaiotta, Gianfranco Cercone De Lucia, Josè De Falco, Maria Antonietta Farina Coscioni, Filomena Gallo, Giulia Innocenzi, Chiara Lalli, Stefania Langiu, Marco Valerio Lo Prete, Simona Nazzaro, Maria Pamini, Mirella Parachini, Marco Perduca, Carmen Sorrentino, Giulia Simi, Gianfranco Spadaccia. to intelligente e frequenta le scuole superiori con ottimi profitti, ma la sola possibilità che ha di condurre una vita normale è offerta dalla terapia urgente e continuativa dell’IGF-1, che, oltre a garantire la crescita in statura, normalizza tutte le alterazioni biochimiche. In Italia, i pazienti affetti da Sindrome di Laron sono pochi (dalla Nota Ministero della Salute, maggio 2002, 7 casi), ma si ha motivo di credere che la molecola IGF-1 possa essere utilizzata per la cura contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), la cui stima, nel nostro Paese, ha un incidenza annuale di 2,5 per 100.000 abitanti, per un numero complessivo di 1500 nuovi pazienti l’anno (AIFA, Rapporto del 14 novembre 2006). L’IGF-1 è stato registrato negli Stati Uniti da Tercica con il nome commerciale di Increlex e, da una e-mail ricevuta lo scorso 22 febbraio dal Gruppo Ipsen - al quale Tercica, a seguito di accordi commerciali finalizzati nel 2006, ha ceduto in licenza il farmaco per la sua commercializzazione in Europa - si è appreso che attualmente è in corso l’iter regolatorio affinché lo stesso possa essere autorizzato ed immesso in commercio. A questo punto, si auspica che l’AIFA possa avviare la procedura per la registrazione del farmaco, nel più breve tempo possibile. E’ doveroso richiamare l’attenzione sul rispetto alla vita e all’uguaglianza, perché se è vero che il diritto alla salute, sancito dalla nostra Costituzione, è un diritto realmente esercitatile da tutti i cittadini, è anche vero che da questi non devono essere esclusi i pazienti colpiti da «malattie rare», che indubbiamente non hanno scelto la loro condizione di salute, quindi si ritiene che lo Stato debba avere il dovere e la responsabilità di garantire a tutti i suoi cittadini la tutela della salute, prescindendo dagli interessi dell’industria farmaceutica, secondo la cui logica la produzione del «farmaco orfano» è poco redditizia. Isabella ha ancora poco tempo per sottoporsi alla terapia, non possiamo e non vogliamo che la scadenza di una domanda o intralci burocratici disattendano le sue speranze. Si auspica, quindi, che vengano fatti i passi necessari per garantirle l’intera terapia e per procedere alla registrazione del farmaco, con la speranza di offrire una vita normale ad Isabella, a chi è colpito da questa malattia e per coloro che sfortunatamente seguiranno. @pprofondisci Il sito degli “Amici di Isabella”: http://amicidiisabella.splinder.com : NOTIZIE DAL MONDO 30 DIRITTI SENZA FRONTIERE STOP DELLA CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI ALL’ABORTO TARDIVO Il dietrofront della giurisprudenza americana arroventa la sfida presidenziale GIULIA INNOCENZI Secondo la Corte Suprema degli Stati Uniti, la salute della donna non è più una discriminante sufficiente per consentire l’aborto tardivo al secondo trimestre (“partial birth abortion”). A maggioranza di cinque a quattro, i giudici hanno dichiarato legittima una legge approvata dal Congresso nel 2003, che vieta l’aborto per dilatazione ed estrazione, che consiste nell’estrazione del feto dall’utero fino al canale del parto e nella successiva perforazione del cranio per prelevarne i contenuti. L’eccezione al divieto della pratica è ammessa soltanto nel caso in cui la vita della donna sia in pericolo. La sentenza ha fatto scalpore, sia perché è la prima volta che i giudici hanno dichiarato costituzionale il divieto di una specifica pratica abortiva, sia perché il giudizio esce dalla continuità giurisprudenziale americana in favore dell’aborto, partita nel 1973 con la storica Roe vs Wade. Ma il dietrofront dei giudici diventa più controverso se si guarda la decisione più recente. Nel 2000, infatti, la Corte era stata chiamata a giudicare sulla costituzionalità di una legge del Nebraska che vietava l’aborto tardivo, negli stessi termini della legge sulla quale si è espressa la Corte il 18 aprile. Ebbene, i giudici dichiararono la legge incostituzionale, in ragione dell’assenza di una clausola che prevedesse l’eccezione alla norma, qualora la salute della donna fosse in pericolo. Cos’ha portato al cambio di rotta? Il pensionamento del giudice O’Connor e la sua sostituzione con Alito, nominato da Bush. Le conseguenze della sentenza ricadranno sugli stati federali, in quanto sono questi ultimi ad avere la competenza legislativa in materia abortiva. Le elezioni del novembre 2006 hanno cambiato le carte in tavola, con ben quindici Camere o Senati federali passati a posizioni garantiste e soltanto due a posizioni proibizioniste. Tuttavia, la decisione della Corte preannuncia tempi duri per la libertà di scelta. Poche ore dopo la decisione dei giudici, infatti, in Alabama è stato introdotto un progetto di legge che vieterebbe quasi tutti gli aborti nello stato. In Oklahoma, il governatore democratico ha posto il suo veto su una legge che avrebbe vietato gi aiuti statali e ostacolato i lavoratori nel caso in cui l’aborto non fosse giustificato dalla vita in pericolo della donna. I risvolti registrati finora, e quelli che arriveranno l’anno prossimo a causa della passata scadenza per la presentazione dei progetti di legge nella maggior parte degli stati, sono dettati dall’enfasi che la Corte ha dedicato ai rischi e alle conseguenze che un aborto può avere sulla donna e sul feto, piuttosto che alla salute e alla volontà della donna incinta. Gli antiabortisti si sono già focalizzati sulle elezioni presidenziali, visto che i giochi lobbistici a livello statale riprenderanno solo dopo la riapertura della presentazione dei progetti di legge. Per cavalcare l’onda del dibattito scaturito dopo la sentenza della Corte, non dovranno fare altro che citare direttamente le parole dei giudici, soprattutto nei passaggi in cui si spingono a reclamare il “legittimo e sostanziale interesse [dello stato] nel preservare e promuovere la vita fetale”. Fra gli obiettivi primari dei gruppi antiabortisti, il divieto di praticare tutti gli aborti di feti vitali e gli aborti tardivi anche in casi di malformazione, l’obbligo di mostrare alle donne incinte le immagini ultrasuono del feto, l’allungamento del periodo di attesa per permettere alle donne di riflettere, ammonendo loro del rischio di suicidio dopo l’intervento. Fra i candidati presidenziali schierati dalla parte proibizionista, il conservatore Rudolph Giuliani, un tempo a favore della pratica. L’ex sindaco, contraddicendo le dichiarazioni rilasciate quando l’elezione in ballo era circoscritta alla città di New York, ha dichiarato di essere d’accordo con la sentenza della Corte Suprema, che è giunta alla “corretta conclusione”. Non resta quindi che affidarsi alle interpretazioni giurisprudenziali per attenuare la portata della sentenza ed evitare infiltrazioni nella disciplina dell’aborto più in generale. Il giudice Ginsburg, che ha definito la decisione della Corte “allarmante”, basa il proprio dissenso sulla giustificazione del diritto ad abortire, che non appoggerebbe più sulla privacy, ma sull’eguaglianza delle donne garantita dalla Costituzione. La Ginsburg suggerisce che la Corte debba difendere l’autonomia della donna durante il corso della sua vita, riportando così il divieto alle restrizioni della pratica abortiva sul piano di un’eguale cittadinanza fra donne e uomini. Pertanto, qualunque restrizione deve garantire la salute della donna e la sua introduzione non può essere giustificata su base paternalistica, tirando in ballo il pentimento o la fragilità nel momento della scelta. Per ora, l’eguaglianza della donna quale base naturale del diritto ad abortire convince quattro giudici su nove, compresa la Ginsburg. Chissà che la maggioranza della Corte non subisca un nuovo cambio di rotta. @pprofondisci www.supremecourtus.gov PILLOLE TRANSNAZIONALI STATI UNITI STATI UNITI MESSICO SAN MARINO PFIZER CONDANNATA A PAGARE MULTA DI 35 MILIONI DI DOLLARI (da peterrost.blogspot.com, 1/04/07) Pfizer è stata condannata a pagare una multa di 35 milioni di dollari per le pratiche di marketing illecito messe in atto da Pharmacia, ditta farmaceutica acquisita dalla prima. Il farmaco sotto accusa è il Genotropin, ormone umano per la crescita, prescritto ad anziani come cura anti-invecchiamento anziché a bambini e ragazzi, così come era stato approvato dalla Food and Drug Administration. Il caso è stato sollevato da Peter Rost, ex Vice Presidente di Pfizer, intervistato da Agenda Coscioni lo scorso numero. APPROVATA DAL SENATO PROPOSTA DI LEGGE SU STAMINALI EMBRIONALI (dal Washington Post, 12/04/07) È stato approvato con 63 voti favorevoli e 34 contrari lo “Stem Cell Research Enhancement Act of 2007”, il progetto di legge che prevede il finanziamento federale per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. I democratici americani ci riprovano, dopo che il Presidente Bush aveva posto il suo veto su un progetto di legge simile nella scorsa legislatura. Lo stesso giorno è stato votato il “Hope Act”, che prevede il finanziamento per la ricerca su embrioni “naturalmente morti”. A differenza del primo, questo progetto di legge ha i numeri necessari, 70 contro 28, per mettersi al riparo dal veto del Presidente. CITTÀ DEL MESSICO LEGALIZZATO ABORTO (da Cnn.com, 25 aprile 2007) AL VIA NUOVA BANCA DELLE STAMINALI (da Notiziario Aduc, 13/04/07) San Marino apre al business della conservazione delle cellule staminali: entro la fine nel mese è atteso l'ultimo ok dell'Authority sanitaria necessario all'apertura di Bioscience Institute, il primo laboratorio del Titano per la coltura cellulare e la conservazione delle staminali adulte. In pratica, bandite le embrionali, Bioscience Istitute sarà la prima società privata di tutto lo Stivale dove sarà possibile conservare le staminali cordonali. Ad oggi, in Italia, sono appena una quindicina i centri per la congelazione del sangue del cordone ombelicale dei neonati, tutti esclusivamente pubblici. L'Assemblea legislativa del Distretto Federale di Città del Messico ha approvato la legge per la depenalizzazione dell'aborto entro le prime 12 settimane di gestazione. Il Vaticano per evitare l'approvazione della legge, si era mobilitato con un messaggio rivolto da Benedetto XVI ai vescovi messicani. Il progetto di legge è stato approvato con 46 voti a favore, 19 contrari ed una sola astensione. In precedenza a Città del Messico l'aborto era autorizzato in caso di stupro, malformazione del feto o rischio per la madre. NOTIZIE DAL MONDO ? FRANCIA 31 IL VASO DI PANDORA DELLA CORSA ALL’ELISEO Dalle unioni civili all’eutanasia, i temi etici d’improvviso sono stati messi da parte per fare spazio ad una campagna elettorale incentrata su sicurezza, identità e paura della globalizzazione. Ma, ormai, i candidati hanno parlato e le questioni sociali del XXI secolo presto o tardi torneranno nell’agenda politica. Il dado sembra tratto. FLAVIEN DELTORT Il 6 maggio prossimo sapremo definitivamente quale candidato avrà conquistato la carica suprema in Francia. Il nuovo Presidente verrà eletto con scrutinio uninominale diretto: nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta dei voti espressi al primo turno, si andrà al secondo turno con il quale si eleggerà uno dei due candidati che hanno ottenuto i migliori risultati al primo turno. Per le presidenziali, la cui campagna è stata ufficialmente lanciata l’8 aprile, al primo turno erano in lizza 12 candidati. Guardando ai programmi in generale, alcuni sono arrivati a presentare delle proposte ambiziose su questioni sociali e di bioetica, come ad esempio il matrimonio gay. Tuttavia tra tante promesse ben poche sono divenute oggetto di un impegno fermo e concreto da parte dei candidati. Effettivamente il dibattito si è cristallizzato su alcune questioni sociali (lotta alla disoccupazione, sicurezza, ecc.) con inquietanti sentori nazionalisti (bandiere tricolori nelle case, creazione di un ministero dell’identità nazionale…). Il risultato è stato quello di occultare l’insieme delle proposte, proprio nel momento in cui i media prevedevano che alcune di esse sarebbero state centrali nel dibattito politico che si apriva. E’ il caso, per esempio, della legalizzazione del matrimonio e dell’adozione da parte di coppie omosessuali, temi che sono andati completamente persi nel corso della campagna. Prenderò in considerazione le proposte dei soli primi tre candidati, che insieme hanno totalizzato il 75% dei voti al primo turno: Nicolas Sarkozy, Presidente dell'Unione per un Movimento Popolare (UMP) a destra, Ségolène Royal, candidata del Partito Socialista e François Bayrou, Presidente dell'Unione per la Democrazia Francese (UDF). Non parlerò del candidato del Fronte Nazionale (FN), Jean-Marie Le Pen, le cui proposte non hanno alcuna possibilità d’influenzare le scelte del futuro capo dell’esecutivo. Due temi sociali sono emersi in particolare dal confronto: il superamento dei PACS verso un vero e proprio matrimonio, con il suo corollario, l’adozione, e l'eutanasia, rilanciata da un ma- nifesto giornalistico e da un processo giudiziario. Nel 2004 un deputato-sindaco verde aveva celebrato un matrimonio omosessuale, ma lo scorso marzo il Consiglio di Stato, la più alta giurisdizione amministrativa, ha annullato in via definitiva il matrimonio affermando che, attualmente, il matrimonio tra due persone dello stesso sesso non è consentito dalla legge. Il procuratore generale ha stabilito che è compito del legislatore e non del giudice pronunciarsi su questa questione sociale. Allo stesso modo, il 20 febbraio, la Corte di Cassazione aveva dichiarato illegale l’adozione per le coppie omosessuali, ritenendola contraria ai diritti del bambino, poi- Due temi sociali sono emersi in particolare dal confronto: il superamento dei PACS e l'eutanasia ché non esiste il matrimonio tra omosessuali. Il potere giudiziario è vincolato dal legislatore. La risposta della politica si farà attendere. L’eliminazione al primo turno del candidato socialista Hollande in occasione delle precedenti elezioni presidenziali a vantaggio del candidato di estrema destra (Le Pen) nel 2002, assieme ai dissensi interni sul trattato costituzionale nel 2005, hanno sbriciolato il Partito Socialista, che ha dovuto ricostruirsi e misurarsi con la voglia di conquista del potere. Questa lunga gestazione ha partorito un programma che è un vero sincretismo tra tutte le correnti di un partito atomizzato. Il programma anticipa la legalizzazio- cialista prevede di investire “il Parlamento del progetto di legge “Vincent Humbert” sull’assistenza medica per morire con dignità” (Vincent Humbert è stato il Piergiorgio Welby francese). Più precisamente, il programma socialista propone una legge che permetta ai medici “di apportare un aiuto attivo” alle persone che si trovano nella fase terminale di malattie incurabili o in uno stato di dipendenza incompatibile con la loro dignità. Sègolène Royal, però, non ha ripreso esplicitamente questa idea e mentre il partito comunista si è smarcato giudicando sufficienti le leggi in vigore, gli altri tre candidati di sinistra sono favorevoli ad una depenalizzazione dell’eutanasia. ne del matrimonio e dell’adozione da parte dei gay. La candidata designata, che è riuscita a lanciare una vera OPA sul Partito Socialista con il favore dei sondaggi, ha deciso di smarcarsi dal progetto presentando il suo “patto presidenziale”. Da allora, capire quali proposte contenute nel testo iniziale potranno essere riprese è stata un’impresa ardua. L’espressione sibillina contenuta nel patto di Royal, “garantire l’uguaglianza dei diritti per le coppie dello stesso sesso” non ha trovato conforto nelle dichiarazioni della candidata stessa. La Royal non ha riaffermato il proprio sostegno in favore di una legge per il matrimonio e per l’adozione alle coppie gay e lesbiche: preferisce la parola “unione” a “matrimonio” per “non spingere i riferimenti tradizionali; la famiglia è un padre ed una madre. Ma ci sarà un dibattito”. Gli altri candidati si sono espressi contro questo tipo di unioni ma auspicano comunque di superare gli attuali PACS. Così, per Sarkozy, bisogna definire un nuovo statuto del “buon genitore”. I PACS devono essere integrati con disposizioni che permettano una totale uguaglianza fiscale, sociale e patrimoniale con le coppie sposate, fino a prevedere la pensione di reversibilità al congiunto omosessuale. Quanto all’adozione, Sarkozy è fermamente contrario. Per il candidato cristiano-democratico Bayrou, che rammenta che “il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna”, bisogna migliorare il sistema di successione. A sorpresa, però, apre all’adozione semplice. Il secondo tema emerso è quello dell’eutanasia, rilanciato nel dibattito generale anche grazie ad un manifesto ed un processo. Un noto settimanale francese ha pubblicato a inizio marzo una petizione firmata da 2.134 tra medici e infermieri che rivendicavano di aver praticato l’eutanasia attiva e ne domandavano la depenalizzazione. Contemporaneamente, si è aperto il processo ad un medico e ad un’infermiera accusati di aver somministrato una dose mortale di sedativo a una paziente colpita da cancro in fase terminale. A livello legale è la legge Leonetti del 2005 che regola le scelte di “fine vita”. In particolare essa contesta l’accanimento terapeutico. Ségolène Royal vuole “aprire un dibattito e mettere in atto una legislazione che permetta di alleviare le sofferenze più intollerabili”. Il progetto so- Questi temi riemergeranno nel corso della legislatura che sta per iniziare, perché il vaso di Pandora si trova qui ed è già stato aperto Nicolas Sarkozy ha aperto il dibattito a destra quando, l’11 febbraio scorso, ha evocato l’eventuale legalizzazione dell’eutanasia: “Non possiamo restare a braccia conserte dinanzi alla sofferenza di uno dei nostri compatrioti che chiede semplicemente di smettere di soffrire perché non ne può più”. La sua proposta è stata immediatamente smorzata per non urtare l’ala conservatrice dell’UMP. Così, sebbene Sarkozy ritenga che vi siano dei limiti alla sofferenza dell’essere umano, in concreto non ha fatto alcun passo in questa direzione. Quanto a François Bayrou, il leader dell’UDF si attiene alla legge Leonetti, che è “sufficiente per morire con dignità”. Dunque, se la candidata di sinistra è sembrata essere la più audace nelle sue proposte, dobbiamo rammaricarci del fatto che solo nei discorsi vi sia stato spazio per queste tematiche sociali, che quindi sembrano esser state evocate solo a titolo di aneddoto. La Francia cerca delle soluzioni ad una globalizzazione che sente a torto o a ragione come predatrice nei confronti dei più deboli, pertanto i candidati si sono rifugiati troppo spesso nella demagogia e hanno schivato certe questioni sociali di primaria importanza. Non c’è alcun dubbio comunque che questi temi riemergeranno nel corso della legislatura che sta per iniziare, perché il vaso di Pandora si trova qui ed è già stato aperto. (Traduzione dal francese di Carmen Sorrentino) 32 DAL CORPO DEI MALATI AL CUORE DELLA POLITICA CELLULE DI ALTERNATIVA IL TEMPO È IL NOSTRO PEGGIOR NEMICO... CORRIERE DI CASERTA 6 aprile 2007 Il giovane consigliere dell’associazione “Coscioni” ospite della trasmissione “Buon Pomeriggio”. di Maurizio Costanzo che il popolare giornalista conduce ogni giorno dalle 16 su Canale 5. Il giovane Liternese affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica, ha illustrato in diretta nazionale la propria storia. Tessitore ha scoperto di avere la Sla ormai quattro anni fa e da allora è cominciato il suo pellegrinaggio da un ospedale all’altro per sottoporsi a cure sperimentali. Contemporaneamente ha intrapreso una dura battaglia per sensibilizzare le istituzioni sulla sua malattia. Il Comune di Villa Literno gli è stato da subito vicino e, a conclusione di un lungo iter, lo scorso autunno ha finanziato per Antonio l’acquisto del My Tobii, il sintetizzatore vocale a comando ottico con il quale riesce a comunicare e ad utilizzare le principali applicazioni del Personal Computer. Ultima vittoria, la scorsa settimana. ANTONIO TESSITORE La battaglia continua, e deve andare avanti a ritmo incessante, il tempo è il nostro peggiore nemico e non si può aspettare.., i tempi della malattia sono molto brevi. Pochi minuti in una trasmissione televisiva,seppur importanti, non bastano a dar voce ai bisogni di milioni di ammalati come me. Una “piccola” vittoria, quella annunciata dal Ministro della Salute Livia Turco, a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti. Ora saranno le Regioni ad attuare i progetti specifici comprensivi della messa a disposizione delle apparecchiature. Ed è a loro che mi voglio rivolgere ,alle Regioni, che facciano seguire presto atti concreti, in modo da ridurre i tempi e gli iter burocratici e dare presto la possibilità a tante persone ammalate di comunicare con il mondo circostante. Come ho tenuto a precisare nel programma di Costanzo , la sclerosi laterale amiotrofica compromette tutte le nostre funzioni vitali. Un argomento rimasto ancora silente è la ricerca scientifica; la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Tutti i malati e chi condivide , il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la guarigione. I medici, resi impotenti da patologie fino ad oggi incurabili ed inguaribili, confidano nella Ricerca scientifica.Ma tra desideri e speranze il tempo scorre. Il Ministro della Salute Livia Turco ha annunciato che sarà avviata un’iniziativa straordinaria per garantire la presa in carico domiciliare, comprensiva della messa a disposizione di dispositivi per la comunicazione, a favo- re dei malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica o di altre patologie invalidanti che provocano la perdita della parola e quindi della possibilità di comunicare con il mondo esterno. L’acquisto dei dispositivi che consentono di “comunicare con gli occhi”, quindi, potrà in futuro essere finanziato dalle Regioni. Gli uffici del Ministero della Salute stanno predisponendo il testo di una specifica progettualità in materia cui destinare una quota, stimata attorno ai 10 milioni di euro, nell’ambito delle risorse del fondo sanitario destinate a specifici obiettivi sanitari. Saranno poi le Regioni ad attuare i progetti specifici comprensivi della messa a disposizione delle apparecchiature. I “Sistemi di comunicazione aumentativa Alternativa” (questo il nome tecnico degli apparecchi) sono utilizzati per consentire di comunicare nelle fasi più avanzate della malattia quando restano solamente i movimenti oculari a collegare il paziente con il mondo circostante. “Questa vittoria la sento un po’ anche mia”, ha commentato soddisfatto Antonio Tessitore, giovane Liternese affetto da Sla, che da anni si batte per questo risultato Per Antonio lo scorso anno si è mosso il Comune di Villa Literno che, con uno stanziamento di 20mila Euro, gli ha permesso di acquistare il “My Tobii”, con il quale comunica. Il sindaco Enrico Fabozzi, apprendendo l’annuncio del Ministro Turco, ha commentato: “una notizia importante, alla quale si spera seguano presto atti concreti, per sanare un’ingiustizia palese nei confronti dei tanti malati”. @pprofondisci L'audio video della trasmissione: http://www.centrodiascolto.it/ videopress/videobox.php?idcat=160&path=131,160&id=343 42 Ascolta l’audio: http://www.radioradicale.it/sc hede/view/id=222585/marcocappato-ed-antonio-tessitoresono-ospiti-della-trasmissionetutt VORREI METTERCI LA FIRMA! ALESSANDRO FREZZATO* In occasione di questo importante appuntamento Congressuale, dedicato a contenuti di grande valenza sociale e umana, vorrei affrontare una rilevante questione lasciata ancora irrisolta dal legislatore: l’accesso dei disabili fisici - impossibilitati ad usare le mani - agli atti di tipo pubblico e/o amministrativo. Per effettuare pratiche, semplici per la maggioranza delle persone, come ad esempio l'intestazione di un immobile o di un mezzo guidato dall’accompagnatore etc, è necessaria la firma di proprio pugno del disabile. Tuttora infatti le soluzioni alternative alla firma - come la recente firma digitale (che può essere adoperata su documento elettro- nico) o la semplice impronta digitale (per la quale io propendo perché non può essere falsificata) – non sono facilmente accessibili e adeguatamente diffuse nella pubblica amministrazione e nella società. Questa risulta essere una delle tante gravi mancanze delle istituzioni del nostro paese verso le minoranze presenti nel tessuto sociale, in questo caso verso il mondo dell’handicap ma può comunque toccare a chiunque. Si tratta di un aspetto che non può e non deve essere sottovalutato da nessuno. Come militante radicale e rappresentante dell’Ass. Luca Coscioni, e in quanto portatore di handicap motorio, ritengo doveroso invitare tutti i partiti politici di entrambi gli schieramenti (compresa la Rosa nel Pugno naturalmente!) ad impegnarsi nei prossimi giorni, settimane o mesi, nella direzione dell’attuazione di nuove norme volte al riconoscimento legale dei sistemi alternativi alla firma per i soggetti disabili. Questi ultimi non sono cittadini di serie B e meritano di vedersi riconosciuti i loro diritti tutt’oggi negategli, anche nelle loro forme più elementari, a causa della cultura di stampo medioevale purtroppo ancora presente. Soprattutto nel nostro bel paese. * Intervento svolto in videoconferenza al “Congresso Internazionale Tecnologie e riforme contro le disabilità” organizzato dall’Associazione Luca Coscioni a Milano il 26 e 27 Gennaio 2007. @pprofondisci: http://www.lucacoscioni.it/node/7946 DAL CORPO DEI MALATI AL CUORE DELLA POLITICA Con Adriano Lombardi e “Otto Pagine” Agenda Coscioni sbarca ad Avellino : CELLULE DI ALTERNATIVA 33 NON ERO RADICALE LO SONO DA AMMALATO ROCCO BERARDO ADRIANO LOMBARDI Adriano Lombardi era il capitano dell’Avellino degli anni settanta. Un centrocampista che dettava i tempi del centrocampo della squadra campana al massimo splendore. In serie A dopo anni di campionati di categorie inferiori, Adriano il capitano dell’Avellino, la bandiera di quella squadra, alcuni anni fa è stato colpito da Sla. E’ da questa storia che vogliamo iniziare la nostra collaborazione con “Otto pagine”, giornale irpino che ogni prima domenica del mese ospiterà la nostra Agenda Coscioni, giornale ed editore che ringraziamo e che speriamo possa essere emulato da tanti altri giornali locali in ogni parte d’Italia. Ad Adriano Lombardi nel 2002 viene diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica, da allora combatte la sua malattia con tenacia, parlando in pubblico con la sua voce che ancora tiene, raccontando la sua storia, facendo leva su quel personaggio che era anche personalità per quella città. Si è avvicinato all’Associazione Coscioni con la curiosità di capire che mondo fosse quello che non gli era mai appartenuto, quello radicale. Così nel gennaio 2004 venne a Roma per conoscere Luca Coscioni, al secondo Congresso dell’associazione. Disse in quell’occasione “io non mi sento radicale nel cuore, ma mi sento radicale da ammalato e voglio esserlo fino in fondo”. E fino in fondo ha partecipato ai dibattiti, alle interviste, tutte quelle possibili, durante il referendum del 2005, da radicale. Oggi Adriano è arrivato ad uno stadio della malattia che non gli consente più di parlare e di poter uscire di casa. E’ la condizione di chi colpito da malattie degenerative, tanto gravi come la sclerosi laterale amiotrofica, si vede privato di movimento e parola. Alla domanda su cosa serva per combattere questa malattia, Adriano Lombardi ha risposto la “voce”, serve poterne parlare, ma proprio chi dovrebbe, a causa di questa malattia, non può. E’ anche per questo che con lui lotteremo perché al più presto gli sia garantita la possibilità di avere una strumentazione tecnica per consentirgli quella che Luca ha ribattezzato “libertà di parola” e che abbiamo presentato al Ministro Livia Turco come iniziativa urgente e non più rinviabile. Intanto l’Agenda Coscioni riesce ad uscire per la prima volta ad Avellino nelle edicole grazie alla collaborazione con il quotidiano irpino “Otto pagine”, che avrà in allegato il nostro giornale mensile di norma ogni prima domenica del mese. Anche in ragione di questa novità, vogliamo essere vicini ad Adriano dedicandogli questo nono numero. Mi presento, sono Adriano Lombardi; sono un ex calciatore, ma questo secondo me non è molto importante. Ho pensato di venire qui [al Congresso dell’Associazione Coscioni] a dare una testimonianza di quello che è la mia malattia, ma mi sembra non serio e non giusto parlare di quello che ho io. Devo essere sincero, ci ho pensato molto prima di dirlo, ma poi, mi sembra logico e normale farlo. Io sono molto contento di essere qui perché volevo conoscere e vedere da vicino Luca Coscioni. Per me è l’emblema di quello che dovremmo fare noi tutti in queste circostanze, soprattutto per uno come me che, fortunatamente, ha ancora la possibilità di parlare e di muoversi discretamente e per questo cerco di viaggiare il più possibile (oggi per Adriano non è più così, ndr). Indubbiamente lui sta conducendo una battaglia che - alcune volte io da lontano lo seguivo tramite internet -, ritenevo un po’, come dire, impropria o non corretta, nel senso che è una battaglia, secondo me, inizialmente persa, perché dicevo “chi ci ascolterà mai, siamo talmente pochi”, ma poi così pochi in effetti non siamo, più di cinquemila malati non la rendono poi così “rara” questa malattia. E’ impropriamente stata catalogata la SLA , come la malattia dei calciatori. Ma che senso ha, cioè, noi siamo quattro ex calciatori ammalati e quegli altri 4996 cosa facevano? Io so che facevano i più disparati mestieri, perciò non mi sembra nemmeno opportuno dilungarmi su questo tipo di discorso; l’hanno strumentalizzato per il doping, io per quello che ne so non ho Grazie all’ospitalità del quotidiano “Otto pagine”, Agenda Coscioni uscirà in edicola ad Avellino e provincia di norma ogni prima domenica del mese. mai preso niente, comunque se mi dimostreranno domani che ho fatto uso di sostanze non consentite, che mi hanno portato alla mia malattia, ben venga chi lo scoprirà, perché può darsi che trovino, magari, una soluzione per guarirla anche. E poi, comunque, dicevo, io sono un grande ammiratore di Luca purché non so come faccia nella sua circostanza; chi glielo farebbe fare? Potrebbe fare una lotta sua personale, cercare medici in America, oppure dove è più consentito curarci e non certamente star dietro a migliaia di malati, per non dire a milioni, perché lui si occupa appunto della ricerca e della libertà nella ricerca. Come è possibile allora, che noi che possiamo non dobbiamo dargli una mano? Prima cosa è egoisticamente nel nostro interesse e poi perché ci possiamo adoperare, se non per noi, per quelli che verranno dopo. Speriamo che tocchi anche a noi questa possibilità di trovare una cura attendibile che ci possa far guarire, ma se così non sarà per lo meno abbiamo fatto quel qualcosa che, secondo me, nelle nostre circostanze , come dire, ci fa sentire un po’ più realizzati. Io ho approfittato del fatto di essere ex calciatore, ma mi sono accorto che sono diventato molto più noto quando mi sono ammalato, perché prima, - sì, mi conoscevano quelli del mondo del calcio - io non sono stato un grande, anzi ho giocato nelle squadre di serie A ma abbastanza piccole, perciò non avevo questa notorietà che purtroppo adesso, mi ha aiutato. Mi ha aiutato notevolmente, prima cosa per distrarmi perché ho cercato di viaggiare, di informarmi, di documentarmi e poi perché in molte circostanze mi hanno dato parola. La mia naturalmente è una parola, come dire, di testimonianza, perché io non so di leggi, non so di numeri, non mi intendo moltissimo di politica, anche se ho le mie idee e però, mi sono accorto che, a questo punto della mia vita, non posso fare altro se non - visto che lo ammiro e che lui sta combattendo una battaglia che avrebbe bisogno di più numeri di persone - seguire l’esempio di Luca. Assolutamente da parte mia sarebbe improponibile, io vorrei che questo esempio lo seguissero molti, ma non solo a chiacchiere, ma scrivendo, perché io non ero venuto con l’intenzione di scrivere, ma l’ho fatto molto volentieri: pensavo di partecipare a un congresso che dicesse le stesse cose, mi sono accorto che qui oggi non è stato così, cioè, mi sono accorto che c’è qualcuno finalmente che sta dalla nostra parte. Non so se siamo tantissimi o pochissimi, io non faccio una questione di numeri, ma secondo me bisognerebbe adoperarci anche più capillarmente per sensibilizzare le persone, non ultimo i vicini di casa, parlarne nelle nostre città; io vengo da Avellino, nella nostra provincia e, purtroppo, devo ammettere che la conoscenza di questa malattia, e figuriamoci la battaglia per la libertà di ricerca, non è sentita, i motivi non li conosco, non c’è abbastanza informazione, ma non solo in Campania, per carità, penso che sia così un po’ da tutte le parti, ma non per questo certamente ci dobbiamo come dire, abbandonare e dire “ma io rinuncio, ma che me ne importa? Sarà quel che dio vorrà”. Non deve essere così assolutamente. Per quel poco che posso fare io, anche se lo sport, mi ha dato quest’opportunità, ben venga il calcio che sensibilizza ancora di più l’attenzione del pubblico di tutti i giorni perché ne parlano i giornali sportivi. Sappiamo, purtroppo - lo dico adesso ma non prima quando giocavo -, che il calcio è molto seguito, L’Italia è l’unica nazione che ha tre giornali sportivi, non credo che ce ne siano altre da altri parti del mondo, perciò è bene che se ne parli e che se ne parli con più continuità. Indubbiamente non è mai abbastanza. Adesso ho sentito parlare di strumentalizzazioni partitiche, io ho le mie idee, però da malato non posso fare distinzioni di radicali o di DS. Io mi voglio associare, mi voglio appoggiare ai radicali perché in questo momento mi danno voce e siccome per le strade non è possibile molto spesso farlo, lo farà chi di dovere nelle sedi più opportune: al Governo, alla Camera, al Senato, in modo che si possa sollevare quel qualcosa che ci possa veramente aiutare perché purtroppo noi bisogna star dietro alle leggi: io posso andare anche per strada con i cartelli in mano, ma, senza dubbio, potrò fare anche qualcosa, ma non risolverò il mio problema. Noi onestamente abbiamo bisogno di voi e allora io non mi sento radicale nel cuore ma mi sento radicale da ammalato e lo voglio essere fino in fondo. Io, come dicevo prima, per quel poco che posso fare, vi darò una mano e la darò a quello che è l’associazione, un impegno lodevole […] una persona che sta molto peggio di me, che si adopera cento volte più di me nel cercare di risolvere i nostri problemi. Vi ringrazio. Intervento al secondo congresso dell’Associazione Luca Coscioni, tenutosi a Roma il 21 e 22 gennaio 2004 34 DIVENTA AZIONE CELLULE DI ALTERNATIVA MILANO: LA “CELLULA” DELLA SCIENZA VALERIO FEDERICO ELEONORA VOLTOLINA della Cellula L’obiettivo Coscioni di Milano, recentemente costituitasi, è quello di avviare una serie di iniziative nel capoluogo lombardo per sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche, tra le altre, della libertà di ricerca scientifica, dell’handicap (vita indipendente) e del diritto del malato a scegliere come, e se, essere curato. Dare un riferimento, insomma, anche a Milano, al quale potersi rivolgere per collaborare nel pensare e nell’organizzare l’attività a sostegno delle battaglie dell’associazione e per coinvolgere studiosi, ricercatori, medici, malati e persone qualunque che si ritrovano vicini su questi temi. Molti personaggi del mondo scientifico, universitario, medico e associazionistico hanno già aderito con entusiasmo all’iniziativa. Milano non è una piazza facile: governata da un sindaco di centrodestra, Letizia Moratti, ed egemonizzata ormai da oltre un decennio, da un presidente della Regione – Roberto Formigoni – che, a capo delle truppe cielline, non fa mistero delle sue convinzioni iperconservatrici sui temi cosiddetti “etici”. Convinzioni che recentemente, con sdegno laico, si sono riversate in un regolamento regionale che prevede l’obbligo di seppellire i feti anche sotto le 20 settimane, indipendentemente dalla volontà della donna che si è sottoposta ad interruzione volontaria di gravidanza. A riguardo va segnalato come il Consiglio Comunale di Como ha dato immediatamente il via libera a un cimitero per feti, dove la sepoltura potrà avvenire senza l'accordo dei genitori ma questi avranno il diritto di chiedere un funerale e una lapide. Il presidente del Centro Aiuto alla Vita di Como si è rallegrato perché “l'area dedicata ai feti possa servire come richiamo e come monito a tutti noi”. Va inoltre ricordata, la bassissima percentuale di medici non obiettori che lavorano negli ospedali milanesi e lombardi, guidati da direttori generali e sanitari ciellini o di area AN, che scelgono con criteri non certo meritocratici i primari. Milano e la Regione Lombardia sono da tempo la testa di ponte, in Italia, dell’offensiva politicoclericale del Vaticano, azione volta a contrastare il processo di secolarizzazione europeo. Ma Milano ha anche alcuni tra i laboratori di ricerca più importanti in Italia, è la città dell’Istituto Oncologico Europeo di Veronesi , del S.Raffaele di Don Verzè e di altri importanti poli ospedalieri, l’industria farmaceutica è massic- ciamente presente, è la città, infine, che può e deve aprirsi di più all’industria delle biotecnologie. La Cellula Coscioni di Milano parte con grande grinta, consapevole degli ostacoli che si troverà a dover affrontare, ma ben determinata a superarli. Con l’obiettivo di diffondere sempre di più, sul territorio milanese, la consapevolezza del ruolo-chiave della ricerca scientifica nella nostra società, con la volontà di evidenziare l’ottusità dei paletti normativi che oggi la relegano in spazi angusti, privandola di tanti “cervelli”, e con l’ambizione di portare nuove persone ad avvicinarsi all’associazione Luca Coscioni, sostenendola attraverso l’iscrizione e impegnandosi in prima persona nelle iniziative pubbliche. IDENTIKIT DELLA CELLULA COSCIONI DI MILANO DATA DI COSTITUZIONE: 21 marzo 2006 PRESIDENTE: Giulio Cossu, Consigliere Generale dell’Associazione Luca Coscioni, Direttore dell’Istituto di Ricerca sulle Cellule Staminali al S. Raffaele di Milano. Professore di Istologia ed Embriologia alla facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università di Roma “La Sapienza”. TESORIERE: Manlio Mele, Tesoriere Ass.E.Tortora Radicali Milano. COORDINATORE: Valerio Federico, Consigliere Generale Ass.L.Coscioni, Segretario Ass.E.Tortora Radicali Milano. @approfondisci: Per contattare i promotori o aderire alla Cellula Coscioni di Milano, telefona al 3358256736, o scrivi una e-mail a [email protected] VICE PRESIDENTE: Yasmin Ravaglia Alcuni dei membri: Giuseppe Testa, Direttore di Ricerca presso il Laboratorio di epigenetica delle Cellule Staminali, Istituto Europeo Oncologico; Alessandro Cecchi Paone, Conduttore e giornalista televisivo, docente di Teoria e tecnica del documentario all'Università Bicocca di Milano e al Suor Orsola Benincasa di Napoli; Laura Gribaldo, Responsabile del Laboratorio di Emato e Immunotossicologia, Centro Europeo per la Convalida dei Metodi Alternativi alla Sperimentazione Animale, Istituto per la Salute e protezione del Consumatore, Joint Research Centre, Commissione Europea, Ispra; Stefano Meriggi, Storico e filosofo della scienza; Marco M. Marzi, Specialista Ostetrico-Ginecologo, responsabile Day OstetricoHospital Ginecologico Ospedale Bassini, Azienda Ospedaliera S. Gerardo Monza; Rossella Bartolucci e Stefania Aulicino, SOS Infertilità ONLUS Milano; Silvia Brunelli, ricercatrice di Biologia Applicata, presso la facoltà di medicina dell'Università di Milano Bicocca; Elisabetta Dejana, Ricercatrice dell’IFOM, Istituto FIRC di oncologia molecolare, Ufficiale al merito della Repubblica; Franco Cotelli, professore associato in Biologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Milano e dal 1992 è docente nel Dottorato in Biologia cellulare e molecolare; Brunella Polignano, lunga esperienza in EXIT, esperta delle questioni legate a eutanasia e testamento biologico; Eleonora Voltolina, giornalista, membro della segreteria dell’Ass. E.Tortora – Radicali Milano; Caterina Tafani, esperta di mercato del lavoro; Bruna Colacicco, medico, membro della segreteria dell’Ass. E.Tortora – Radicali Milano. INIZIATIVE IN PROGRAMMA: GIOVEDÌ 3 MAGGIO, H.10.30 - “Parliamo di laicità…quali limiti alla ricerca scientifica in uno stato laico?” Università Statale di Milano, via Festa del Perdono: dibattito con il Presidente Giulio Cossu e con Stefano Moriggi, anch’egli membro della cellula milanese. Partecipano inoltre: Moni Ovadia, Gad Lerner e Claudio Luzzati, docente di filosofia del diritto presso l'Università degli Studi di Milano. Iniziativa organizzata da Sinistra Universitaria e dalla Cellula Coscioni di Milano. MARTEDÌ 8 MAGGIO, H.12 - Presentazione della Cellula Coscioni di Milano ai media DIVENTA AZIONE : CELLULE DI ALTERNATIVA 35 CAVIE, NON PER SEMPRE La sperimentazione animale è tuttora indispensabile, ma è realistico prevederne il superamento senza danni per l’umanità. L’UE lavora in questo senso, ora sta a noi monitorare gli stati membri LAURA GRIBALDO Tra fine 2005 e inizio 2006, due delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, Nature e Scientific American, hanno pubblicato ciascuna un articolo sui metodi alternativi alla sperimentazione animale nei test di tossicità. Mentre la seconda ha semplicemente raccontato lo “stato dell'arte” in materia - ma è comunque notevole e positivo che se ne sia interessata - la prima ha anche sostenuto una posizione decisamente critica nei confronti dei test di tossicità svolti su animali e sulla loro affidabilità. Il concetto di alternativa alla sperimentazione animale risale alla definizione elaborata da Russel e Burch nel 1959 e comunemente definita delle 3R: Refinement (Raffinamento), Reduction (Riduzione) Replacement (Rimpiazzamento). Con “Raffinamento” si intende il miglioramento delle tecniche sperimentali, compiute pur sempre su animali, in modo da ridurre la loro sofferenza; in alcuni casi, si cerca di usare animali filogeneticamente meno evoluti. Con “Riduzione” si intende la riduzione del numero di animali usati, o l'aumento di informazioni ottenute con lo stesso numero di animali. Con “Rimpiazzamento” si intende la sostituzione dell'animale con l'utilizzo di metodi alternativi. L’ECVAM, European Centre for Validation of Alternative Methods-Centro Europeo per la Validazione di Metodi Alternativi, parte dell’Istituto per la Salute e la Protezione dei Consumatori della Commissione Europea, è stato istituito nel 1991 in risposta all’art. 23 della Direttiva 86/609/EEC sulla protezione degli animali usati nella sperimentazione (1, 2) e ha sede a Ispra. L’ECVAM coordina e finanzia studi di validazione di saggi in vitro, è il punto di riferimento per lo scambio di informazioni sullo sviluppo di metodi alternativi, sviluppa e gestisce una banca di dati relativi a procedure alternative e promuove il dialogo sull’argomento tra legislatori, industria, ricercatori, organizzazioni dei consumatori e organizzazioni animaliste. Inoltre, porta avanti ricerche in diverse aree della tossicologia inerenti la sicurezza di sostanze chimiche, cosmetici, farmaci, ecc., e nel settore dei prodotti biologici, promuovendo sia la salute umana, che il benessere animale, attraverso lo sviluppo di metodi avanzati sempre più affidabili. Le nostre sfide sono due; la prima riguarda i test sui prodotti cosmetici: in base al settimo emendamento della normativa europea 76/768/EEC approvato nel 2003, entrerà in vigore il divieto di vendita di cosmetici testati su animali per la maggior parte dei test entro il 2009, mentre per 3 specifiche aree (tossicocinetica, tossicità riproduttiva, tossicità cronica) il divieto scatterà nel • LAURA GRIBALDO Task Officer per le immunotossicità presso lo European Centre for Validation of Alternative Methods-Centro Europeo per la Validazione di Metodi Alternativi, membro della neo-costituita Cellula Luca Coscioni di Milano 2013, ma con possibilità di slittamento se non sono stati sviluppati test alternativi adeguati. L'ECVAM ha perciò il compito di coordinare gli sforzi e gestire la validazione dei metodi necessari per la scadenza del 2009 e per quella del 2013. La seconda sfida, ben maggiore, riguarda invece il progetto REACH, che ha lo scopo di rendere obbligatoria l'applicazione di tutta una serie di test sulle sostanze chimiche già in commercio da decenni (prima del 1981, circa 30.000 sostanze), sulle quali nessun test regolatorio era stato prima eseguito, perché non esisteva l'obbligo normativo di farlo. Secondo Nature, ogni sostanza chimica sottoposta alla batteria di test prevista dal REACH utilizza circa 5.000 animali, o 12.000, se la sostanza è un pesticida. La maggior parte dei test su animali sovrastima o sottostima la tossicità di una sostanza chimica, o, semplicemente, non riproduce molto bene la tossicità per l'uomo. Quando troviamo che il cortisone è embriotossico su tutte le specie testate eccetto che sugli umani, cosa dovremmo farcene di questi test? Nonostante questo, lo scoglio più difficile da superare nella sostituzione dei test su animali con altri in vitro sarà proprio per i test di tossicologia riproduttiva, oltre che per quelli di cancerogenicità, perché questi sono test più “emotivamente coinvolgenti” per le persone. Sono anche quelli che usano più animali: più della metà degli animali sono usati per questo tipo di test. Esiste però un progetto, chiamato ReProTect, che coinvolge 27 laboratori e ha lo scopo di trovare alternative per questi test. Il ciclo riproduttivo umano viene suddiviso in elementi più piccoli, dalla fertilità maschile e femminile allo sviluppo pre e post-natale, e si sta cercando di sviluppare un insieme significativo di test. L’ECVAM si avvale di un Comitato Scientifico indipendente costituito da 15 rappresentanti appartenenti ai Paesi membri dell’Unione Europea. Ascolta “Il Maratoneta”, la trasmissione dell’Associazione Luca Coscioni in diretta su Radio Radicale ogni sabato dalle 14:30 alle 15:30. La trasmissione, curata da Mirella Parachini e Luigi Montevecchi, oltre a trattare ed approfondire i temi dell’attualità politica sui temi della bioetica e della ricerca, informa sulle attività dell’associazione. “Il Maratoneta” è oggi scaricabile anche in podcasting o riascoltabile in streaming. Tutte le informazioni su www.radioradicale.it e www.lucacoscioni.it. Attualmente sono inoltre presenti, come osservatori, esperti dei 10 Paesi recentemente entrati nella UE e di organismi americani, come NICEATM (National Toxicology Program Interagency Center for the Evaluation of Alternative Toxicological Methods) e ICCVAM (Interagency Coordinating Committee on the Validation of Alternative Methods). Tra i metodi alternativi che ECVAM ha valutato, o di cui ha sostenuto l’ingresso nelle linee guida internazionali, due saggi di corrosività e uno di fototossicità (3) sono già stati inclusi nell’Allegato V alla Direttiva67/548/EEC (4) e saranno presto inclusi nelle linee guida dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Il saggio per la sensibilizzazione cutanea, Local Lymph Node Assay (LLNA), approvato precedentemente da ICCVAM, è stato accettato dall’OCSE e ridurrà di circa il 50% il numero degli animali, ma anche la loro sofferenza. ECVAM ha fortemente incoraggiato l’introduzione nelle linee guida OCSE di tre protocolli per la tossicità acuta orale (TG 420, 423, 425), che riducono il numero di animali di un fattore 3 rispetto al metodo originale, ormai cancellato dal 2003 sia dall’allegato V alla Direttiva 67/548/EEC (B1), sia dalle linee guida OCSE (TG 401). Un’ulteriore riduzione del numero di animali potrà essere ottenuto con l’introduzione nella Farmacopea Europea dei saggi in vitro utilizzati per il controllo di qualità dei vaccini. Sempre nel campo dei prodotti biologici, è stato da poco completato uno studio di validazione di metodi in vitro per i pirogeni, che sembrano molto promettenti e saranno presto valutati da un gruppo di esperti indipendenti dallo studio. Per quanto riguarda l’Italia, la direttiva comunitaria e’ stata implementata attraverso l’articolo 4 del Decreto Legislativo 116/92 che prevede che il ricorso all’impiego di animali a fini sperimentali debba essere fatto solo in assenza do- cumentata di un metodo alternativo valido. Sono trascorsi 14 anni dall’entrata in vigore del Decreto 116 ma finora, a causa della mancanza di una efficiente gestione della sperimentazione animale, in Italia la sostituzione degli animali utilizzati è stata lasciata alla buona volontà di pochi ricercatori. Inoltre, la Direttiva 86/609/EEC si applica alla sperimentazione sugli animali a scopo regolatorio, mentre si sa che la maggior parte di animali viene usata per la ricerca di base, ecco perché e’ attualmente in corso la revisione di questa direttiva a livello comunitario. Infine, l’ECVAM ha istituito un servizio per la diffusione dell’informazione sui metodi alternativi, Scientific Information Service (SIS), disponibile sul sito http://ecvam-sis.jrc.it. Tutti coloro che sono interessati a contribuire allo sviluppo di metodi in vitro, applicabili in settori diversi a scopo regolatorio, possono segnalare le proprie competenze per un eventuale inserimento nei gruppi di lavoro istituiti. È anche possibile collegarsi al sito ECVAM (http://ecvam.jrc.it) per tenersi informati sulle diverse attività, sui risultati degli studi di validazione conclusi e su eventuali bandi di progetti finanziati dal Centro. Per saperne di più: 1. Directive 86/609/EEC of 24 November 1986 on the approximation of laws, regulations and administrative provisions of the Member States regarding the protection of animal used for experimental and other scientific purposes. Official Journal of the European Communities 1986; L358: 1-29. 2. EC. Establishment of a European Centre for the Validation of Alternative Methods (ECVAM). Communication from the Commission to the Council and the European Parliament, 29 October 1991 (SEC(91)1794 final), 6 pp. Brussels, Belgium: Commission of the European Communities. 3. Commission Directive 2000/33/EC of 25 April 2000 adapting to technical progress for the 27th time Council Directive 67/548/EEC on the approximation of laws, regulations and administrative provisions relating to the classification, packaging and labelling of dangerous substances. Official Journal L 136, June 8 2000;91-8). 4. Commission Directive 2000/33/EC of 25 April 2000 adapting to technical progress for the 27th time Council Directive 67/548/EEC on the approximation of laws, regulations and administrative provisions relating to the classification, packaging and labelling of dangerous substances. Official Journal of the European Communities 2000; L136:90-107. 36 LETTURE IN LIBRERIA ! LA NOSTRA BIBLIOTECA Le segnalazioni dell’Agenda Coscioni A CURA DI MARIA PAMINI Ileana Argentin, Che bel viso… peccato, Donzelli, 2007,pp.103,euro 11,50. Gian Enrico Rusconi,Non abusare di Dio. Per un’etica laica,Rizzoli,2007,pp.190,euro12,50 “Vorrei tanto far capire alla gente che la disabilità è uno status di vita, non una malattia”. Gian Enrico Rusconi, professore di Scienza Politica all’Università di Torino, già in precedenza aveva analizzato l’importanza per uno Stato democratico di fondarsi su un’etica laica ma in questo suo ultimo pamplhet denuncia apertamente “l’uso – soprattutto implicito, surrettizio, allusivo – di argomenti religiosi in ambiti deliberativi che portano alla produzione di leggi”, denuncia il protagonismo delle autorità religiose che hanno saputo sfruttare a dovere l’indebolimento delle culture politiche e delle organizzazioni partitiche tradizionali. Il processo di secolarizzazione delle società occidentali non ha portato, come si riteneva, ad una legittima collocazione della religione nel privato, bensì a ciò che l’autore definisce “post-secolarismo”, dove le Chiese “si sentono deputate o sollecitate a offrire indicazioni di etica pubblica in società che dichiarano di voler rimanere istituzionalmente laiche”. Ciò che per la Chiesa è un pericolo, la pluralità delle visioni della vita e delle concezioni del bene, il cosiddetto “relativismo” che per papa Ratzinger odora di zolfo, per il laico è il fondamento dell’ethos comune: “lo Stato è laico proprio perché non pretende dai cittadini identità di credenze in campo etico-religioso ma reciproco rispetto”. Rivendicando la ricchezza, la profondità e l’autonomia del concetto di laicità, e contrastando l’affermazione che “valori” e “senso” siano prerogative delle religioni, l’autore spinge il laico a ritrovare il proprio senso di appartenenza per creare una nuova capacità comunicativa pubblica. Questo piccolo libro autobiografico è la testimonianza vivace e appassionata di come Ileana Argentin sia riuscita non solo a convivere con la malattia che l’ha colpita fin da bambina – l’amiotrofia spinale che comporta la paralisi progressiva dei muscoli del corpo - ma soprattutto a far sì che ciò non le impedisse di essere felice. Attratta dalla politica fin dalle scuole superiori, dopo essere stata presidente per lungo tempo dell’Unione Italiana per la Lotta alla Distrofia Muscolare di Roma, nel 1997 Ileana Argentin decide di candidarsi alle elezioni comunali con i Democratici di Sinistra (a quell’epoca Pds). Da allora è consigliere comunale e conduce una battaglia politica per i diritti dei disabili. Durante il suo secondo mandato il sindaco Veltroni le conferisce la delega per le Politiche dell’Handicap, scorporandole dall’assessorato Affari Sociali, una svolta che l’Argentin definisce non solo politica ma anche culturale. All’epoca del referendum contro la legge 40 denuncia, insieme a Luca Coscioni e ai Radicali, l’impossibilità dei disabili intrasportabili di esercitare il loro diritto al voto (100.000 i casi in Italia secondo l’Istat). Il libro è una lunga carrellata di ricordi e di personaggi: dai giochi con la sorella e la madre, che vestiva la bombola dell’ossigeno da Cappuccetto Rosso perché la piccola Ileana non ne avesse paura, al deciso rifiuto di continuare a ricercare il miracolo: “Ho conosciuto baroni della medicina, santuari e tanti truffatori. (…) Non capivo perché dovevo guarire a tutti i costi. Fu così che a dieci anni dissi ai miei genitori che ero stanca, stufa, che mi dovevano far vivere in pace così com’ero perché altrimenti sarebbe stato meglio morire”. Dai primi fidanzati e dalla scoperta della sessualità (“l’idea che i disabili sono asessuati non mi ha sfiorato neanche un po’”) ai tanti operatori sociali, volontari e collaboratori che sono stati e sono oggi al suo fianco, al suo compagno di vita, Sandro, il suo “principe”. Antonio Cavicchia Scalamonti, La morte. Quattro variazioni sul tema, Ipermedium libri, pp 216,euro 15,00 Quattro “variazioni” dedicate, rispettivamente, all’individuo, al tempo, alla memoria e alla morte: così si presenta l’ultimo libro di Antonio Cavicchia Scalamonti, sociologo che da decenni ha fatto della Nera Signora – oggi corteggiatissima, forse più per dongiovannismo intellettuale che per solido interesse – il centro delle sue ricerche. E infatti più ancora delle variazioni conta il tema che ad esse soggiace, e il libro vuole farlo risuonare ad ogni pagina, come un memento. Al centro dell’affresco c’è l’immagine orgogliosa e spaurita dell’uomo occidentale che scopre la sua finitudine e ne atterrisce; e quanto più atterrisce, tanto più tenta di rianimare i pantheon perduti; ma nell’inarcare di nuovo su di sé la sacra volta – che sia per mezzo di restaurazioni clericali o di avventure totalitarie – scopre che essa ormai è poco più che un fondale teatrale; e tuttavia si sforza, con un misto di candore e malafede, di affidarvisi surrogando la fede antica. Un libro che riafferma le ragioni della civiltà individualista, laica e liberale proprio mentre porta alla luce il fondo di disperazione su cui quest’ultima ha eretto la sua precaria dimora. Cavicchia Scalamonti accetta il rischio di credere che forse nelle civiltà arcaiche si vivesse in uno stato psicologico più tollerabile e meno angoscioso; ma è tra i pochi ancora convinti, in questo clima di revival religioso alquanto spurio, che il processo di secolarizzazione sia, malgrado le apparenze, irreversibile; e che quando una società si è aperta, pensare di richiuderla è una pericolosa illusione. ! DETTA L’AGENDA LETTERE 37 [email protected] I lettori di Agenda Coscioni ci possono scrivere all’indirizzo [email protected]. Sex and the disability Le battaglie che avete fatto per i disabili mi son piaciute forse perché anch'io faccio parte del club disabili, naturalmente contro la mia volontà! Ho notato che tanta gente si ricorda dei disabili solo quando decidono di farla finita tipo Welby. Secondo me un altro problema per i disabili è il sesso sono stufo di essere trattato tipo un asessuato anche i disabili pensano a certe cose ma tv e giornali se ne fregano alla grande! Solo vagando su internet ho trovato delle notizie sul tema tipo il Sar in Olanda! Mi piacerebbe che parlaste di ‘ste cose anche se mi rendo conto che rispetto all'eutanasia è un problema minuscolo. Non ditelo al papa che penso stè cose sennò mi fà una predica che non finisce più! Eheheh… Luca La questione che sollevi è ancora una volta quella della conoscenza, della definizione di una cultura sociale e politica adeguate ai bisogni del “più debole” nell’esercizio della propria libertà. “…Non direttamente a me, ma a Maria Antonietta, c'è qualcuno, che le chiede se posso o no, scopare. La mia voce interiore, risponde, nuovamente: la sclerosi laterale amiotrofica colpisce la muscolatura volontaria, e non le funzioni sessuali. Certo, non A sinistra del PCI. Interventi parlamentari di Marco Pannella 1976-1979 VALTER VECELLIO Notizie Radicali, 12 aprile 2007 Marco Pannella certamente esprimerà una bonaria doglianza, nel rigirarsi tra le mani questo poderoso, prezioso volume che raccoglie la quasi totalità dei suoi interventi parlamentari tra il 1976 e il 1979: gli anni della prima legislatura che ha visto una presenza radicale a Montecitorio: quattro “moschettieri”, con Pannella, Emma Bonino, Adele Faccio, Mauro Mellini. Il volume “A sinistra del PCI”, è stato curato da Lanfranco Palazzolo, voce conosciuta di “Radio Radicale”; oltre cinquecento pagine (23 euro; benissimo spesi) pubblicate dall’editore Kaos, cui dobbiamo altre meritorie pubblicazioni: “Leonardo Sciascia, deputato radicale” e “Enzo Tortora, per una giustizia giusta”, sempre curati da Palazzolo; e alcuni libri di Ernesto Rossi: “Il manganello e l’aspersorio”, “I padroni del vapore”, “Nuove pagine anticlericali”, “Il sillabo e dopo”, “Un democratico ribelle”, “Settimo non rubare”. Per tornare alla bonaria doglianza di Pannella. Si ha ragione di credere che consista in questo: che un lettore frettoloso e un po’ distratto possa essere indotto a credere che sia un libro di Pannella, mentre invece è “solo” un libro che raccoglie interventi di Pannella. E’ una bonaria doglianza che ha un suo fondamento: Pannella, piaccia o no (e certamente a noi non piace) in vita sua non ha mai scritto un libro, e sembra di capire che ancora gli interessi più “l’azione pratica”, quella quotidiana e militante. In vita sua ha scritto una quantità incalcolabile di articoli firmati da lui o da altri, o pubblicati anonimi; note, comunicati, dichiarazioni, testi di volantini, commenti. Ma un libro nel senso che comunemente si dà a questo termine, chissà se mai lo farà; e sì che di cose da raccontare e ricordarci, ne avrebbe…Ma tant’è. Dunque, non ci sono libri di Pannella; semmai libri con testi posso fare tutte le posizioni del Kamasutra, ma un po' me la cavo anche io, brutto imbecille!” Così Luca Coscioni scriveva della nostra sessualità rispondendo a chi si poneva il problema di ristabilire l'equilibrio psicosessuale del nostro rapporto di coppia, qualora fosse stato messo in pericolo dalla sua condizione di malato. Una forma, una dimensione vissuta, tra tante possibili, nella diversità, espressa con la consapevolezza di avere e sentire un ruolo sessuale legato al cambiamento biologico, fisico e psicologico che la malattia e/o la disabilità possono portare. Credo che si debba partire da qui. Dalla conoscenza di una dimensione soggettiva della sessualità riconoscibile in tutte le persone, anche in quelle verso le quali in molti, ancora troppi, il pregiudizio, il non sapere, una “cultura” ed una educazione sessuofobiche, inducono a pensare che il deficit, l'handicap, la malattia, e la diversità, svuotano i corpi di emozioni, desideri e ricerca del piacere. Emozioni, desideri diversi, vissuti sulla propria pelle con l’esclusione, la solitudine e le difficoltà ad esprimere la propria sessualità. La problematicità, che certamente riveste il tema della sessualità e disabilità, non deve essere da una parte segregata in un luogo di trincea dove a pagare un caro prezzo sono sempre e solo i disabili, e dall'altra risolta con un “intervento tecnico specialistico”: come è accaduto ad un ragazzo di Oxford con una gra- di Pannella, da altri curati, come questo di Palazzolo. A noi va benissimo ugualmente. Aver “salvato” dai polverosi archivi della Camera dei Deputati questi interventi; averli depurati dagli errori commessi dai pur bravissimi stenografi; aver corredato questi interventi da un pregevole apparato di note esplicative (a voler cercare il pelo nell’uovo: non siamo del tutto sicuri che don Marco Bisceglie sia morto nell’anno in cui si attribuisce il decesso; ma si cerca il pelo perché l’uovo c’è), aver fatto tutto questo, è azione altamente meritoria. A noi, infatti, importa soprattutto di poter disporre di un volume che racconta “fatti”, e leggendo di “ieri” molto di comprende dell’ “oggi”. Ecco che sfilano dinanzi a noi pagine relative a fatti che alcuni di noi hanno vissuto in prima persona: il 12 maggio del 1974, con gli incidenti voluti e provocati da agenti di polizia travestiti da autonomi, e nel corso dei quali una ragazza, Giorgiana Masi, venne uccisa; ma anche le pagine dove si racconta del generale Enrico Mino, morto in un “incidente” a bordo di un elicottero che si schianta sulla Sila, lui che aveva giurato a se stesso di non prenderne, di elicotteri…(“…uno dei rischi maggiori e più gravi, dai quali dovremmo premunirci, per quanto riguarda le alte sfere ve forma di distrofia muscolare “accontentato” nel desiderio di “fare sesso almeno una volta nella vita”. Questi due estremi invece possono essere percorsi da una interpretazione della sessualità come manifestazione del desiderio di normalità. Desiderio che rimanda alla dimensione naturale della persona, che abbassa la soglia dei limiti del deficit solo fisico o psichico, per scongiurare così la sistematica “castrazione” - figlia di schiaccianti pregiudizi morali - di chi non rientra nei canoni estetici e seduttivi di ruoli sociali importanti e di prestigio; e obbliga così a vivere una castità non voluta: una sorta di costrizione grave e violenta delle relazioni emotive ed intime. Quindi il riconoscimento di un diritto, quello della sessualità imprescindibile di tutte le persone, che la società civile e politica non può permettersi di non riconoscere: è il diritto di vivere l’esperienza della conoscenza del proprio corpo, all’interno di una relazione o individualmente, nelle situazioni più complesse, attraverso una educazione sessuale non repressiva. E’ compito delle istituzioni promuovere una politica di sostegno e di aiuto che consenta la piena e libera affermazione della persona. Oggi, troppo spesso, quel che viene fatto riguardo alla sessualità è esattamente il contrario. Maria Antonietta Farina Coscioni militari del nostro Stato, da qualche tempo a questa parte, dal generale Ciglieri al generale Mino, è rappresentato dagli incidenti, stradali o aerei, o dagli inspiegabili suicidi…” (pag.446). C’è davvero tutto il Pannella che conosciamo: il Pannella che oggi parla di Antonio Rosmini e di Romolo Murri, di Tommaso Campanella e di Vincenzo Gioberti, della “destra” radicale di Antonio Salandra, del movimento “Le Sillon”, che ricorda una dozzina e più volte Ernesto Rossi, ma anche Mario Pannunzio, Guido Calogero, Piero Calamandrei, Leopoldo Piccardi, Gaetano Salvemini: perché almeno negli atti parlamentari ne resti una traccia, i loro nomi – spesso epurati dai cataloghi degli editori “importanti” – non scompaiano del tutto. C’era già allora, come ora, la denuncia del complesso militar-industriale (pag.105), ma anche successivamente: “…Quali erano gli interessi se non quelli di quel complesso militar-industriale che il generale presidente Eisenhower già vent’anni fa indicava come il terribile, concreto pericolo che si stava affermando nel mondo?...” (pag.268). Insomma, per capirci: il Pannella che molti rimpiangono e contrappongono a quello di “oggi”, sostenendo che quello di “ieri” era il Pannella “buono”, mentre “oggi”… Oggi Pannella è semplicemente uguale a quello di ieri: batte in fin dei conti sempre sugli stessi chiodi, vive e lotta per gli stessi ideali e obiettivi: vita del diritto, diritto alla vita; unità laica delle forze da contrapporre all’unità delle forze laiche… Giorgio Galli, nella nota introduttiva, coglie molte delle buone ragioni che consigliano l’acquisto di questo libro e la sua lettura. Libro da leggere, per ricordare e per cercare di capire. Leggi quel che Pannella diceva trent’anni fa, e ti chiedi: aveva, ha ragione; ma allora come mai è stato ed è così difficile riconoscerlo? Perché mai sono condannati, Pannella e i radicali, a un eterno ruolo di minoranza? Che strano, bizzarro paese è mai questo che tiene fuori dalle istituzioni Pannella, e le cui università, così prodighe di lauree, a lui non si sognano di dargliela? Possibile che ora come allora, pur essendo tra i pochi (e forse l’unico) che non ha nulla di che rimproverarsi, come dice Giorgio Galli nella sua prefazione, Pannella debba patire un ostracismo odioso e intollerabile da parte dei mezzi di comunicazione e di molta parte della classe politica? Beh, leggendo il libro curato da Palazzolo, qualche spiegazione si trova, qualche interrogativo si scioglie… 38 DAL CORPO DEI MALATI AL CUORE DELLA POLITICA STORIA DI SPERANZA MARINA Ho un bambino che adesso ha compiuto dodici anni. Mio figlio sa della mia malattia e quando il suo papà mi fa la puntura, lui viene a vedere e mi sorride. Quando era più piccolo gli ho spiegato che ci sono delle cellule birichine che invece di fare il loro lavoro attaccano i fili della corrente che fanno funzionare la centralina del mio corpo, e lui si è messo a ridere. Adesso che è un po’ più grande è consapevole del problema e cerca di rendersi sempre più indipendente per non pesare su di me. Mi chiamo Marina, sono malata da quattro anni di sclerosi multipla, ma me lo ricordo solo quando devo fare la puntura. Il resto della settimana mi tengo impegnata con dodici ore di lavoro il giorno (ho un centro stampa che fa orario continuato) e mi stanco fino allo svenimento. Ma se il Signore mi ha messo davanti dei paletti mi conosce bene perché sa che più si cerca di fermarmi e più io corro! Quando mi sono ammalata ero lavoratrice dipendente e, nonostante la mia salute avesse avuto solo una spallata, sono stata pesantemente discriminata dal mio datore di lavoro, che mi rendeva la vita impossibile. Evidentemente, nella sua ignoranza, pensava che da un giorno all'altro si sarebbe trovato a spingere la mia sedia a rotelle. Allora me ne sono andata e ho deciso che non sarei più stata trattata in quel modo da nessuno. Mi sono messa in proprio, con gli oneri che una decisione del genere comporta. Non esiste più mutua, non esistono diritti. Nessuna assicurazione vuole farmi una polizza infortuni e quando racconto del mio piccolo "problema" se la danno tutti a gambe levate! Ma è la sfida quotidiana che mi dà la forza e le energie per andare avanti. In tutto quello che faccio ci metto l'anima e il mio spirito ne trae beneficio. MARINA LA MALATTIA SULLA PUNTA DELL’AGO Ogni giorno spero che succeda il "miracolo" e che si trovi il modo perché si possano rigenerare cellule sane dalle nostre stesse cellule, perché malattie oggi inguaribili non lo siano più, ma credo, e ne sono convinta, che molte aziende farmaceutiche non abbiano interesse affinché questo accada e facciano di tutto per ostacolare la ricerca. Ogni scatola di iniezioni che mi passa l'ospedale costa oltre 1.300 euro! Purtroppo siamo in un mondo sbagliato che gira tutto intorno agli interessi dei potenti. @approfondisci Altre "storie di speranza" sono consultabili su www.lucacoscioni.it ISCRITTI NEL MESE DI APRILE Maria Aiello € 350; Isabella Cardone € 220; Mario Ardenghi € 200; Simona Carniato € 200; Giuseppe Dell'erba € 200; Franca Letizia Angiolillo € 100; Regina Bertipaglia € 100; Pierluigi Bisagni € 100; Elisabetta Cabibbe € 100; Salvatore Caruso € 100; Carlo Chiopris € 100; Maria Cianchi € 100; Maria Clemente € 100; Antonio Corapi € 100; Angela Cosentino € 100; Ezio Dallo € 100; Luigia D'amato € 100; Lorenzo Del Porto € 100; Luca Di Cesare € 100; Serafino D'onofrio € 100; Guido Foa € 100; Angelo Fregni € 100; Riccardo Galetti € 100; Marisa Jaconi € 100; Ugo Manetti € 100; Gianfranco Maraviglia € 100; Franca Marcone € 100; Bruna Marra Armando € 100; Neva Martinuzzi € 100; Adriano Monticelli Carlini € 100; Luca Moretti € 100; Giovanni Angelo Multinu € 100; Gaia Musiani € 100; Vanda Panzeri € 100; Fabrizio Paolillo € 100; Alessandra Pieracci € 100; Rino Pieroni € 100; Eugenio Probati € 100; Marcello Ricci € 100; Luigi Rossi € 100; Cecilia Rossi Luciani € 100; Carlotta Rossi Luciani € 100; Marcello Sadocchi € 100; Claudio Giuseppe Scaldaferri € 100; Francesco Sogliuzzo € 100; Clara Stella € 100; Bruno Tescari € 100; Alejandro Tonti € 100; Giovanni Tria € 100; Marco Turco € 100; Francesco Voltolina € 100; Liana Zen € 100 Greco; Raffaele Ianniruberto; Carmine Marraffa; Catello Masullo; Stefano Moschini; Paolo Osso; Luca Ponsele'; Rubens Sanna; Irene Santoro; Rodolfo Sapello; Paolo Vagliasindi; Roberto Verde; Simone Vignini; Iacopo Volpi; Gian Gaspare Zuffa Sono iscritti all’Associazione Coscioni attraverso la formula “Iscrizione Pacchetto Area Radicale” (590 euro): Zeudi Araya Cristaldi € 300,00; R. Resta Nanni € 300,00; Federico Orlando € 250,00; Gesuina Ambrogina Somaschini € 150,00; Lia Bergamaschi € 102,75; Giovanni Cocconi € 100,00; Alan Orlando € 100,00; Margherita Bertino € 50,00; Mario Bianchi € 50,00; Pietro Cancemi € 50,00; Andrea Cavaggioni € 50,00; Vincenzo Chiulli € 50,00; Marina Corso € 50,00; Alessandro D'ottavio € 50,00; Ugo Ferri € 50,00; Riccardo Garbarino € 50,00; Roberto Giuseppe Amato; Francesco Benzi; Antonino Cappiello; Giorgio Cataldi; Giuseppe Compagnini; Alberto Coretti; Carlo Crocchi; Antonio Di Maio; Marco Di Salvo; Guido Renato Emanuele Ferretti; Cesare Friggi; Silvana Germena; Nicola Ghiotto; Barbara Girardon Crespi; David Tra gli altri hanno versato un contributo all’associazione nel mese di aprile: Giannarelli € 50,00; Maria Assunta Girardi € 50,00; Lorenzo Gobbi € 50,00; Luigi Marinaccio € 50,00; Mattia Mattias € 50,00; Franca Piliego € 50,00; Maria Renata Sequenzia € 50,00; Grazia Tavoletta € 50,00; Fabio Timo € 50,00; Aldo Urbini € 50,00; Roberto Anzellotti € 48,77; Anna Maria Bonomelli € 40,00; Flavia Lanari € 40,00; Piero Cinelli € 30,00; Luca Curci € 30,00; Andrea Millefiorini € 30,00; Roberto Piazzalunga € 30,00; Marina Richelli € 30,00; Sergio Venuti € 30,00; Marco Basset € 25,00; Francesco Ciappichini € 25,00; Tullio Ratossa € 25,00; Giovanni Battagliarini € 20,00; Luigi Carlone € 20,00; Donatella Ceriani € 20,00; Vincenzo Cuoccio € 20,00; Concetta Farella € 20,00; Francesco Paolo Fazio € 20,00; Cristiano Onofrio Gerlando € 20,00; Delio Lambiase € 20,00; Graziella Litro € 20,00; Silvio Pineta € 20,00; Adriano Romano € 20,00; Brunello Volpe € 20,00 DIVENTA AZIONE CELLULE DI ALTERNATIVA 39 EUTANASIA CLANDESTINA: CONTINUA LA SFIDA PER LE CELLULE É in corso una battaglia per realizzare indagini conoscitive nel maggior numero possibile di Regioni, in modo che i risultati, presi nel loro complesso, abbiano una valenza nazionale. GIULIA SIMI, ANDREA FRANCIONI Il tentativo ancora in corso dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica di incardinare un’indagine conoscitiva sul fenomeno dell’eutanasia clandestina nel nostro Paese permette di fare alcune considerazioni sulla base dei primi riscontri ottenuti. L’iniziativa è partita al Congresso di Orvieto del dicembre 2005 e ha conosciuto momenti di forte mobilitazione con un appello indirizzato al Parlamento italiano lo scorso autunno al quale hanno aderito più di ventimila persone, prima fra tutte Piergiorgio Welby. L’esito di questo appello, che di fatto è stato ignorato dalle istituzioni, dà la misura di come anche la sinistra continui a evitare di confrontarsi con il problema dell’eutanasia, trasformando quello che dovrebbe essere un diritto in un privilegio di classe, riservato a chi ha risorse economiche e di conoscenza tali da essere libero di decidere sul proprio fine vita, in Italia o all’estero. Molti sanno cosa avviene in situazioni drammatiche nelle corsie degli ospedali e fra le mura domestiche. Molti sanno che nella clandestinità le decisioni di fine vita vengono prese dai medici e dai familiari, più che dai malati. Molti sanno che ci sono persone che vorrebbero porre fine alla propria vita, ma sono completamente disarmate, costrette, se hanno fortuna, ad affidarsi alla pietà di un medico, di un familiare, di un amico. Molti sanno, ma è un sapere clandestino; se ne parla nei corridoi degli ospedali, degli hospice, delle case di cura, lo confidano in via riservata medici o infermieri, se ne discute in cucina davanti a un tazza di caffé, mentre qualcuno rantola nella camera accanto. “So che è un segreto, perché lo sento sussurrare dappertutto”, scriveva Congreve. Cosa fare perché questo segreto drammaticamente vissuto nella solitudine e nella clandestinità diventi consapevolezza pubblica? Restiamo convinti che sia necessaria una indagine conoscitiva, promossa da istituzioni autorevoli, al fine di offrire un contributo di chiarezza alla discussione sulle decisioni di fine vita e di dare la possibilità ai cittadini, qualunque sia la loro posizione, di attingere a dati scientifici attendibili, aggiornati e rilevati su scala nazionale. L’Associazione Luca Coscioni è ora impegnata a chiedere che siano le Regioni a realizzare l’indagine conoscitiva sull’eutanasia clandestina. In queste settimane, grazie all’impegno dei militanti delle Cellule Coscioni, la richiesta di indagine conoscitiva è stata o sarà sottoposta all’attenzione degli assessori regionali alla Sanità. L’idea è che indagini conoscitive siano realizzate nel maggior numero possibile di Regioni, in modo che i risultati, presi nel loro complesso, abbiano una valenza nazionale. A tal fine è importante che il lavoro scientifico e la rilevazione dei dati statistici sia coordinato da un’unica struttura in modo da ottenere dati omogenei e confrontabili. Il 12 aprile scorso Mina Welby, Antonio Bacchi, Giulia Simi e Andrea Francioni hanno avuto un primo incontro all’Assessorato alla Sanità della Toscana. La proposta di indagine conoscitiva è stata accolta con grande interesse ed è stato molto apprezzato il fatto che l’Associazione Luca Coscioni, nel farsi promotrice della richiesta, abbia chiarito che la realizzazione dell’indagine resta affidata al- la responsabilità delle singole Regioni, e questo per evitare strumentalizzazioni politiche. Per quanto riguarda la Toscana, la procedura dovrebbe prevedere la consultazione in via preliminare della Commissione regionale di Bioetica, dell’Agenzia regionale di Sanità e dell’Ordine dei Medici al fine di acquisire elementi sulle modalità di realizzazione dell’indagine. Un altro passaggio importante è previsto il 4 maggio, quando Mina Welby, Tommaso Ciacca e Giulia Simi incontreranno l’assessore alla Sanità dell’Umbria, Maurizio Rosi. In questo caso la richiesta di indagine conoscitiva è stata sottoscritta anche dai dottori Fabio Conforti, responsabile delle cure palliative dell’ASL 3, e Paolo Catanzaro, presidente della sezione umbra della Società italiana di psiconcologia (SIPO). Altri contatti sono in via di definizione attraverso le Cellule Coscioni di Calabria, Basilicata, Campania, Liguria, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Trentino Alto-Adige. Restano ancora molti ostacoli da superare, di natura politica e culturale. Temiamo che la situazione a livello regionale non sia mol- to diversa da quella nazionale, e che anche sulle amministrazioni regionali di sinistra incomba la volontà di compromesso sui temi laici che sembra animare il costituendo Partito Democratico. Per altro verso, una parte consistente della classe medica continua a coltivare il pregiudizio verso l’uso della parola eutanasia, un pregiudizio che nasconde la volontà di non conoscere, la tolleranza dell’illegalità percepita come rimedio a un fenomeno con il quale non si vuole fare i conti. Non sarà facile, ma crediamo che, se una o due Regioni troveranno il coraggio di prendere l’iniziativa, ci sarà la possibilità concreta di allargare il fronte della battaglia. Andiamo avanti nella convinzione che la durata è la forma delle cose. @pprofondisci Per aiutare la cellula locale a te più vicina, collegati a www.lucacoscioni.it/cellule INDAGINE EUTANASIA: CALENDARIZZATA LA PROPOSTA DELLA CELLULA COSCIONI DI NAPOLI ANDREA FURGIUELE ILEANA LEPRE Prosegue il cammino dell’odg a sostegno della campagna dell'Associazione Coscioni ed incentrato sulla “petizione al parlamento italiano perché affronti la questione eutanasia”, presentato all’attenzione del consiglio comunale di Napoli dalla locale Cellula Coscioni e dal “Clabarc”, assieme all'associazione “Napoli Punto a capo” ed al coord. prov. “ANC e SCAO”. Tale ordine del giorno sottoscritto da almeno un componente per tutti i gruppi consiliari, e la cui discussione è stata all’inizio rinviata da una espressa richiesta fatta dal sindaco in persona al presidente del consi- glio comunale, è stato ufficialmente inserito nella riunione del Consiglio comunale del 7 maggio 2007. Ringraziamo il Presidente del Consiglio Comunale Leonardo Impegno che ha raccolto con sensibilità la nostra proposta e ha portato avanti con costanza l’iter procedurale necessario alla calendarizzazione dell’ordine del giorno, e ringraziamo i consiglieri che, nel sostenerla in maniera trasversale e motivata, ne hanno permesso la presentazione nell’ambito della discussione del Consiglio Comunale. Confidiamo che, considerate tali premesse, insieme alla condivisione che il sindaco stesso ha dimostrato nel firmare la petizione, l’esame consiliare possa concludersi coerentemente con l’approvazione della nostra proposta. Il testo dell'ordine del giorno ed i nomi dei consiglieri firmatari: IL CONSIGLIO COMUNALE DI NAPOLI O.d.G. Premesso di condividere la richiesta delle associazioni: "Cellula Coscioni di Napoli", "Clabarc" (Comitato di Lotta per l'abbattimento delle barriere architettoniche e culturali"), "Napoli punto a capo", e "Anc" e "Scao", a che siano al più presto messe all'ordine del giorno in Parlamento: le proposte di legge esistenti in materia di accanimento terapeutico, testamento biologico ed eutanasia; la realizzazione di un'indagine conoscitiva sulla consistenza del fenomeno dell'eutanasia clandestina; e di ritenere necessario di potenziare la coscienza civile della cittadinanza, incrementandone l'attenzione sulle tematiche dei diritti civili e umani al fine di far diventare Napoli un luogo simbolo nell'impegno contro ogni barriera culturale ed etica, impegna il Sindaco e l'A.C. a sostenere in modo ufficiale la Petizione attivata dall'Associazione Luca Coscioni su tali tematiche. Napoli, 20 febbraio 2007 Stanislao Lanzotti (UDC, cg); Gennaro Carbone (FI); Francesco Moxedano (DS); Diego Venanzoni (UDEUR, cg); Stefano Palomba (Margherita); Raffaele Carotenuto (PRC, cg); Ciro Borriello (Verdi, cg); Marco Mansueto (Iniziativa Popolare, cg); Roberto De Masi (SDI); Domenico Palmieri (Nuovo PSI, cg); Luciano Schifone (AN, cg); Antonio Fellico (PdCI); Alfredo Giordano (IdV, cg); Achille De Simone (Misto, cg) @pprofondisci Per aiutare la cellula locale a te più vicina, collegati a www.lucacoscioni.it/cellule Non bastano “grazie” CON CARTA DI CREDITO su www.lucacoscioni.it oppure telefonando allo 06 68979.286 CON CONTO CORRENTE POSTALE n. 41025677 intestato a "Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica", Via di Torre Argentina n. 76 - cap 00186, Roma CON VAGLIA ORDINARIO intestato a "Ass. Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica", Via di Torre Argentina n. 76 - cap 00186, Roma CON CONTO CORRENTE BANCARIO n. 000041025677 intestato a "Ass. Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica" CIN N ABI 07601 CAB 03200 presso Poste Italiane s.p.a Se il bonifico bancario è effettuato dall'estero usare queste coordinate: Bonifico bancario intestato a Associazione Luca Coscioni presso la Banca di Credito Cooperativo di Roma ag. 21 IBAN: IT79E0832703221000000002549 BIC: ROMAITRR LE QUOTE DI ISCRIZIONE Socio sostenitore almeno 200 euro Socio ordinario almeno 100 euro www.lucacoscioni.it O LI SCEGLI O LI SCIOGLI. I RADICALI CON CARTA DI CREDITO su www.radicalparty.org oppure telefonando allo 06 6826 QUOTA D’ISCRIZIONE 200 EURO E' nella storia radicale ricevere "grazie". Non servono per continuare le lotte che con Luca e Piergiorgio abbiamo intrapreso. Ogni giorno, ogni ora, per fare iniziativa, anche per poter inviare il giornale che hai fra le mani, occorre il tuo contributo, la tua iscrizione all'Associazione Coscioni. 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