territorialita` iva delle prestazioni di servizi e debitore dell`imposta

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TERRITORIALITA’ IVA
DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI
E DEBITORE DELL’IMPOSTA
di Franco Ricca
1. INQUADRAMENTO E NOZIONI
Nel 2010 è entrata in vigore la nuova disciplina per l’individuazione del luogo delle
prestazioni di servizi, introdotta con il D.lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, attuativo della
direttiva 2008/8/CE del 12 febbraio 2008, che si proponeva di “modernizzare e semplificare
il funzionamento del sistema comune dell’Iva”.
E’ stata inoltre modificata la disciplina del debitore dell’imposta.
Importanti chiarimenti in materia sono contenuti nel regolamento n. 282/2011 del 15
marzo 2011 del Consiglio, concernente disposizioni di applicazione della direttiva Iva,
giuridicamente vincolante dal 1° luglio 2011. A dicembre 2012, la Commissione europea ha
suggerito alcune modifiche al predetto regolamento (proposta di regolamento COM n. 0763
del 2012), sulle quali il Consiglio ha raggiunto l’accordo a giugno 2013.
La riforma è stata illustrata in modo organico dall’Agenzia delle entrate nella
circolare n. 37 del 29 luglio 2011; in precedenza, l’Agenzia aveva fornito numerose
indicazioni su specifiche questioni in varie occasioni, con i documenti di prassi richiamati di
seguito.
All’atto dell’introduzione dell’Iva, il criterio basilare adottato per la localizzazione
delle prestazioni era quello del luogo di utilizzazione del servizio; tale criterio, certamente
funzionale all’obiettivo di tassare l’operazione nel luogo del consumo, era di difficile
applicazione pratica, per cui con la sesta direttiva del 1977 venne abbandonato e sostituito
dal criterio del luogo di stabilimento del prestatore, affiancato da alcuni criteri speciali per
numerose tipologie di prestazioni.
La citata direttiva 8 del 2008 ha modificato nuovamente il quadro di riferimento,
adottando:
- il criterio del luogo di stabilimento del committente quale regola generale per le
prestazioni di servizi rese a soggetti passivi, ossia il c.d. “business to business”
- il criterio del luogo di stabilimento del prestatore quale regola generale per le prestazioni
di servizi rese a privati consumatori, ossia il c.d. “business to consumer”
- criteri specifici per alcune prestazioni di servizi, considerate oggettivamente, cioè
indipendentemente dalle situazioni soggettive delle parti
- ulteriori criteri particolari per alcune prestazioni di servizi rese a privati consumatori.
Il sistema che ne risulta è, soprattutto nei rapporti fra imprese, molto più semplice e
vantaggioso del precedente, anche perché l’individuazione del paese del committente quale
luogo della prestazione, da un lato, e l’attribuzione al committente della veste di debitore
dell’imposta, dall’altro, facilitano, anche finanziariamente, l’applicazione dell’imposta.
La consistente riduzione del numero di prestazioni disciplinate in modo specifico,
poi, si traduce automaticamente, pur con qualche inevitabile eccezione, nella diminuzione
delle problematiche interpretative più ardue, ossia quelle che investono la qualificazione
della fattispecie, accrescendo così la certezza del diritto.
Un prezioso contributo alla semplificazione del sistema deriva inoltre dall’abbandono
del criterio ausiliario del luogo di utilizzazione, previsto in via facoltativa – per determinate
tipologie di prestazioni – dalla normativa comunitaria, che il legislatore domestico aveva
introdotto nell’ordinamento interno e che è stato molto opportunamente rimosso, con la sola
eccezione del noleggio breve dei mezzi di trasporto (oltre a quelle, obbligatorie, dei servizi
di telecomunicazione e di teleradiodiffusione).
Specialità delle prestazioni delle agenzie di viaggio
Ai sensi delle disposizioni dell’art. 74-ter del dpr 633/72, le operazioni effettuate
dalle agenzie di viaggio per la organizzazione di pacchetti turistici verso il pagamento di un
corrispettivo globale sono considerate una prestazione unica. Per la determinazione
dell’imposta, il corrispettivo dovuto all’agenzia è diminuito dei costi sostenuti per le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da terzi a diretto vantaggio dei
viaggiatori (vitto, alloggio, trasporti, ecc.), al lordo della relativa imposta, che non può
essere detratta dall’agenzia.
In sostanza, nel regime speciale dell’art. 74-ter, l’agenzia calcola e liquida l’imposta
(con l’aliquota ordinaria) scorporandola dal margine costituito dalla differenza fra il ricavo e
i costi specifici, relativamente alle prestazioni rese al cliente all’interno dell’Ue (quelle
esterne sono qualificate non imponibili).
La riforma del luogo delle prestazioni di servizi operata dalla direttiva n. 2008/8/CE
sopra richiamata non prevede nessuna disposizione particolare per le prestazioni rese dalle
agenzie di viaggio nell’ambito del descritto regime speciale.
Pur in assenza di specifiche disposizioni nell’ambito della nuova disciplina che sarà
illustrata appresso, si deve ritenere che nulla sia mutato per le predette prestazioni.
Nella normativa comunitaria, il regime speciale delle agenzie di viaggio è previsto e
disciplinato dalle disposizioni degli articoli 306 e seguenti della direttiva 112 del 2006.
L’art. 307, in particolare, stabilisce che le operazioni effettuate, conformemente alle
condizioni dell’art. 306, dalle agenzie per la realizzazione del viaggio sono considerate
come una prestazione di servizi unica resa dall’agenzia al viaggiatore, prestazione che “è
assoggettata all’imposta nello stato membro in cui l’agenzia di viaggio ha la sede della sua
attività economica o una stabile organizzazione a partire dalla quale essa ha fornito la
prestazione di servizi”.
Appare pertanto corretto concludere che tale disposizione, che localizza la
prestazione dell’agenzia nel luogo in cui essa è stabilita, costituisce, anche nel mutato
quadro di riferimento, la base normativa per continuare ad ancorare in ogni caso le
prestazioni in esame nel paese del fornitore.
Una conferma in tal senso è stata fornita dall’agenzia delle entrate con la circolare n.
36 del 21 giugno 2010, ove è stato infatti chiarito che il regime speciale Iva delle agenzie di
viaggio non ha subìto variazioni in seguito alla riforma dei criteri di territorialità delle
prestazioni di servizi.
Prima di analizzare le nuove disposizioni in materia di territorialità delle prestazioni
di servizi contenute nel dpr 633/72, come modificato dal citato dlgs n. 18/2010, occorre
esaminare alcune nozioni fondamentali.
1.1 Nozione di “soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato”
Per “soggetto passivo stabilito nel territorio dello stato” si intende, ai sensi dell’art. 7,
comma 1, lett. d):
- un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello stato, ovvero
- un soggetto passivo residente nel territorio dello stato che non abbia stabilito il domicilio
all’estero, ovvero
- una stabile organizzazione nel territorio dello stato di soggetto domiciliato e residente
all’estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute.
La stessa disposizione, riprendendo la norma previgente, precisa che per i soggetti
diversi dalle persone fisiche si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e
residenza quello in cui si trova la sede effettiva.
Le riportate definizioni valgono a tutti gli effetti del dpr 633/72.
Va subito osservato che, per quanto riguarda la stabile organizzazione, il
“radicamento” territoriale è limitato alle operazioni da essa stessa effettuate o ricevute e non
si estende, invece, alle operazioni effettuate o ricevute direttamente e autonomamente dalla
casa madre estera, oppure da altre stabili organizzazioni situate in altri paesi. L’argomento
sarà ripreso più avanti.
Non si può considerare “soggetto passivo stabilito nel territorio dello stato” il
soggetto estero che sia dotato di posizione Iva in Italia mediante rappresentante fiscale o
identificazione diretta, atteso che tale posizione ha una funzione meramente strumentale
all’adempimento degli obblighi ovvero all’esercizio dei diritti derivanti dalle disposizioni
sull’Iva in relazione ad operazioni poste in essere, oppure ricevute, dal soggetto passivo
estero nel territorio dello Stato. Nel senso dell’inidoneità del rappresentante fiscale a
radicare la “domiciliazione” del soggetto estero, si veda la sentenza della corte di giustizia
Ue 19 febbraio 2009, causa C-1/08, riportata più avanti.
Si deve osservare che la normativa comunitaria prende in considerazione, quale
elemento di collegamento fra il soggetto passivo e il territorio, nell’ordine:
- il luogo ove il soggetto passivo ha sede l’attività economica, oppure
- la stabile organizzazione che ha prestato il servizio, o
- in mancanza di tale sede o stabile organizzazione, il luogo dell’indirizzo permanente
(espressione tradotta con “domicilio” nella versione italiana della direttiva) ovvero della
residenza abituale della persona. Queste nozioni verranno esaminate a breve.
Nozione “allargata” di soggetto passivo
Ai soli fini delle disposizioni sulla territorialità delle prestazioni di servizi, la
direttiva ha delineato una nozione “allargata” di soggetto passivo, che il legislatore
nazionale ha recepito – in modo, per il vero, non del tutto conforme – nel comma 2 dell’art.
7-ter. Tale disposizione stabilisce che, ai detti fini, si considerano soggetti passivi per le
prestazioni ricevute:
a) gli esercenti imprese, arti e professioni; le persone fisiche si considerano soggetti passivi
limitatamente alle prestazioni acquisite nell’esercizio di tali attività
b) gli enti, associazioni e altre organizzazioni che svolgono un’attività commerciale o
agricola, anche quando agiscono al di fuori dell’esercizio di tali attività
c) gli enti, associazioni e altre organizzazioni che non svolgono attività commerciali o
agricole, se identificati ai fini Iva (essenzialmente perché effettuano acquisti intracomunitari
imponibili).
L’estensione, in sede comunitaria, ha inteso recepire i principi statuiti dalla corte di
giustizia Ue nella sentenza 6/11/2008, C-291/07, risolutiva della questione se un soggetto
passivo debba considerarsi tale anche quando riceve prestazioni di servizi destinate ad
attività estranee alla sfera dell’Iva.
La corte ha osservato, al riguardo, che la disposizione dell’art. 56 della direttiva
(ante-riforma), nel localizzare determinate prestazioni di servizi nel luogo in cui è stabilito il
soggetto passivo committente, non precisa se si applichi alla condizione che questi utilizzi la
prestazione per il fabbisogno della sua attività economica; di conseguenza, il fatto che il
destinatario utilizzi tali servizi per attività estranee all’Iva non osta all’applicazione della
disposizione in esame.
Questa interpretazione, oltre a conciliarsi con l’obiettivo delle regole in esame, che è
quello di evitare rischi di doppia imposizione e di non imposizione, facilita l’attuazione
della norma sul luogo delle prestazioni di servizi, rendendo possibile una gestione semplice;
ciò perché il prestatore deve soltanto accertare se il destinatario abbia oppure no la qualità di
soggetto passivo per individuare il luogo dell’operazione. Inoltre, l’art. 196 della direttiva
112 del 2006 prevede che l’Iva è dovuta dal soggetto passivo destinatario dei servizi di cui
all’art. 56, per cui il destinatario è debitore dell’Iva in ragione delle prestazioni di servizi di
cui egli fruisce, indipendentemente dal fatto che esse siano o meno state fornite per il
fabbisogno di attività non rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva.
Alla luce delle predette argomentazioni, la corte ha concluso che le disposizioni in
esame debbono essere interpretate “nel senso che il destinatario di una prestazione di servizi
di consulenza fornita da un soggetto passivo stabilito in un altro stato membro, il quale
destinatario esercita allo stesso tempo attività economiche e attività che esulano dall’ambito
di applicazione di tali direttive, deve essere considerato avente la qualità di soggetto
passivo, anche se la detta prestazione è utilizzata solo per il fabbisogno di queste ultime
attività.”
Il “quarto considerando” della direttiva n. 8 del 2008 puntualizza comunque che il
principio della tassazione a destinazione non deve estendersi alle prestazioni ricevute da un
soggetto passivo per il proprio uso personale o per quello dei suoi dipendenti (ponendo in
tal modo il problema di distinguere quando si versa in quest’ultima ipotesi e quando,
invece, in quella delle altre attività estranee all’applicazione dell’Iva, di cui alla richiamata
sentenza).
L’art. 7-ter sembra avere tenuto conto della puntualizzazione soltanto per le
prestazioni ricevute da persone fisiche, che, come si è visto, sono considerate soggetti
passivi limitatamente alle prestazioni ricevute quando agiscono nell’esercizio di tali attività,
disponendo invece che le prestazioni rese alle società commerciali e dagli enti non
commerciali con partiva Iva si considerano in ogni caso acquisite nell’esercizio dell’attività.
Il dubbio circa la non conformità della norma nazionale, laddove non prevede
un’eventuale “sfera privata” anche per i servizi acquisiti dalle persone giuridiche, è
confermato dall’art. 19 del regolamento comunitario n. 282/2011 del 15 marzo 2011,
pubblicato nella GUUE del 23 marzo 2011 (di seguito, per brevità, regolamento n.
282/2011), il quale prende in considerazione la possibilità che la persona giuridica riceva
prestazioni di servizi per scopi privati, chiarendo che, in tale ipotesi, essa non deve
considerarsi soggetto passivo. E’ dunque necessario interpretare la norma nazionale in
conformità alla normativa sovranazionale.
1.2 Nozione di sede dell’attività, domicilio e residenza
Secondo l’art. 10, par. 1, del regolamento n. 282/2011, il luogo in cui il soggetto
passivo ha stabilito la sede dell’attività economica, ai fini dell’applicazione delle
disposizioni sulla territorialità delle prestazioni di servizi, è il luogo in cui sono svolte le
funzioni dell’amministrazione centrale dell’impresa.
Per determinare tale luogo, il par. 2 precisa che si deve tenere conto dei seguenti
elementi:
- il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la gestione generale
dell’impresa
- il luogo della sede legale
- il luogo in cui si riunisce la direzione.
Qualora tali criteri non consentano di determinare con certezza la sede dell’attività
economica, prevale il criterio del luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali
concernenti la gestione generale dell’impresa.
Il par. 3, infine, precisa che la semplice esistenza di un indirizzo postale non può far
presumere che tale indirizzo corrisponda alla sede dell’attività economica del soggetto,
salvo che siano soddisfatti i requisiti di cui sopra.
L’art. 12 si occupa poi della nozione di “indirizzo permanente” di una persona fisica,
soggetto passivo o meno, chiarendo che si considera tale l’indirizzo figurante nel registro
della popolazione o in un registro analogo, oppure l’indirizzo indicato da tale persona alle
autorità fiscali competenti, salvo che esistano prove che detto indirizzo non corrisponde alla
realtà.
E’ da osservare che l’espressione “indirizzo permanente” (“permanent address” nella
versione inglese della direttiva Iva) era stato tradotto, nella versione italiana, con
l’espressione “domicilio”. Con una rettifica pubblicata nella GUUE serie L n. 74 del 19
marzo 2011, tuttavia, la direttiva è stata corretta sostituendo all’espressione “domicilio”
quella di “indirizzo permanente”, rendendo così maggiormente evidente che, nell’ambito
della normativa Iva, l’espressione “domicilio” non può essere intesa nel senso proprio
dell’art. 43 del codice civile domestico, né nel significato palesato dall’art. 7, comma 1, lett.
d), secondo cui, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, per “domicilio” si intende il
luogo in cui si trova la sede legale e per “residenza” il luogo in cui si trova la sede effettiva.
Si deve anzi sottolineare, al riguardo, che tanto la nozione di “domicilio” (ora
“indirizzo permanente”) quanto quella di “residenza”, su cui appresso, nella normativa
comunitaria sono rivolte esclusivamente alle persone fisiche.
L’art. 13 del regolamento, infine, chiarisce che per “residenza abituale”, ai sensi della
direttiva Iva, si intende il luogo in cui la persona fisica, soggetto passivo o meno, vive
abitualmente a motivo di interessi personali e professionali; qualora gli interessi personali
siano presenti in un certo luogo e quelli professionali in un altro, oppure manchino del tutto
interessi professionali, il luogo della residenza abituale è determinato dagli interessi
personali che presentino stretti legami fra il soggetto e il luogo in cui vive.
1.3 La stabile organizzazione
L’art. 11 del regolamento n. 282/2011 ha definito per la prima volta la nozione di
stabile organizzazione agli effetti dell’Iva, basandosi sugli elementi enucleati dalla
giurisprudenza della corte di giustizia.
La disposizione chiarisce che la nozione in esame designa qualsiasi organizzazione,
diversa dalla sede dell’attività economica, caratterizzata da un grado sufficiente di
permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle:
- di ricevere e utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie, laddove occorra
identificare il destinatario delle prestazioni (ai fini dell’applicazione del criterio di
territorialità nei rapporti B2B)
- di fornire i servizi di cui assicura la prestazione, laddove si tratti invece di identificare il
prestatore (ai fini dell’applicazione del criterio di territorialità nei rapporti B2C).
Gli elementi essenziali che configurano la struttura quale stabile organizzazione sono
dunque:
- un grado di permanenza sufficiente
- la compresenza di mezzi umani e di mezzi tecnici necessari (la giurisprudenza parla di
“consistenza minima”) per consentirle di utilizzare (dal lato passivo) o di confezionare (dal
lato attivo) le prestazioni di servizi rispettivamente ricevute o rese.
L’indagine circa la sussistenza della stabile organizzazione va svolta, caso per caso,
in base ai suddetti criteri generali e agli obiettivi dell’istituto; non sono invece previste,
diversamente dalla normativa reddituale, categorie “preconfezionate” (ad esempio, un
cantiere di una certa durata).
Al par. 3, l’art. 11 precisa che il fatto di disporre di un numero di identificazione Iva
non è di per sé sufficiente per ritenere che esista una stabile organizzazione.
Una volta accertata l’esistenza della stabile organizzazione, occorrerà verificare, ai
fini della localizzazione delle prestazioni, quando il servizio si considera reso oppure
ricevuto dalla stabile organizzazione.
Tornando alla nozione, sono opportune alcune osservazioni.
Anzitutto, la stabile organizzazione, evocata nella disciplina dell’Iva nell’ambito
delle disposizioni sul luogo delle operazioni imponibili e sul debitore dell’imposta, riveste
un duplice ruolo:
- quello di “soggetto passivo stabilito” nel territorio in cui è situata, limitatamente alle
operazioni da essa rese o ricevute
- quello di strumento del soggetto estero per l’adempimento degli obblighi e per l’esercizio
dei diritti derivanti dalle operazioni da esso stesso effettuate o ricevute nel territorio in cui è
situata la stabile organizzazione.
Nella prima veste, la sola oggetto di analisi in questa sede, la stabile organizzazione è
del tutto assimilata al soggetto passivo stabilito; nella seconda, essa è invece un mero
strumento del soggetto estero, funzionalmente equiparabile (quasi completamente) al
rappresentante fiscale e all’identificazione diretta.
La nozione di stabile organizzazione agli effetti dell’Iva non può essere mutuata dalla
normativa sull’imposizione diretta, come aveva già statuito la corte di cassazione nella
sentenza 25 luglio 2002, n. 10925, confermata dalla sentenza 23/3/2006 della corte di
giustizia, la quale ha infatti escluso che per la definizione della nozione di “centro di attività
stabile” (ora stabile organizzazione) ai fini dell’Iva possa farsi riferimento alla convenzione
OCSE, rilevando che “essa non è pertinente, in quanto vertente sulla fiscalità diretta,
laddove l’Iva rientra nelle imposte indirette”.
In merito all’individuazione delle caratteristiche idonee a radicare una stabile
organizzazione, la corte di giustizia si è pronunciata per la prima volta nel procedimento
168/84, nel quale era stato chiesto se dovesse considerarsi tale l’impianto per l’esercizio di
un’attività commerciale, nella fattispecie la gestione di macchine automatiche per giochi
d’azzardo, a bordo di una nave viaggiante in alto mare fuori del territorio nazionale.
Nella sentenza, resa il 4 luglio 1985, la corte ha osservato che la questione va risolta
alla luce dello scopo perseguito dall’art. 9 nell’ambito del sistema generale della direttiva.
Come si desume dal settimo “considerando”, questa disposizione mira a stabilire una
ripartizione razionale delle sfere d’applicazione delle leggi nazionali in materia di Iva,
determinando in modo uniforme il luogo di riferimento fiscale delle prestazioni di servizi.
Scopo di queste disposizioni è, dunque, di evitare i conflitti di competenza, che possono
comportare la doppia tassazione oppure la mancata tassazione, come si rileva al n. 3 dell’art.
9, benché soltanto per situazioni specifiche.
Trattandosi di prestazioni di servizi effettuate a bordo di navi marittime, è
preliminarmente opportuno determinare l’ambito di applicazione territoriale della direttiva.
In conformità al principio stabilito dall’art. 3, secondo cui l’interno del paese corrisponde al
campo d’applicazione del trattato che istituisce la Comunità, il campo d’applicazione della
direttiva coincide, per ciascuno stato membro, col campo d’applicazione delle rispettive
leggi fiscali. L’art. 9 non limita la libertà degli stati membri di determinare la tassazione di
prestazioni di servizi effettuate, al di fuori dell’ambito della loro sovranità territoriale, a
bordo di navi soggette alla loro giurisdizione, per cui la direttiva non impone in alcun modo
l’esonero fiscale delle prestazioni effettuate in alto mare o, più generalmente, al di fuori
della sfera di sovranità territoriale dello stato che esercita la propria giurisdizione sulla nave.
In ordine al criterio di collegamento per determinare il luogo della tassazione della
prestazione, secondo l’art. 9, n. 1, il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede dalla
propria attività economica appare il punto di riferimento preferenziale, nel senso che la
presa in considerazione di un altro centro di attività a partire dal quale viene resa la
prestazione di servizi entra in gioco solo nel caso in cui il riferimento alla sede non conduca
ad una soluzione razionale dal punto di vista fiscale o crei un conflitto con un altro stato
membro.
Pertanto, se ne desume che il riferimento di una prestazione di servizi ad un centro di
attività diverso dalla sede viene preso in considerazione solo se tale centro abbia una
consistenza minima, data la presenza permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per
determinate prestazioni di servizi; la qual cosa non è ravvisabile nel caso dell’installazione,
a bordo di navi marittime, di macchine automatiche da gioco, che danno luogo a saltuaria
manutenzione, specialmente nel caso in cui la sede permanente del gestore di dette
macchine automatiche fornisca un punto di riferimento utile ai fini della tassazione.
La corte ha dunque concluso che l’installazione destinata ad un’attività commerciale,
come la gestione di macchine automatiche per giochi d’azzardo, su una nave che viaggia in
alto mare fuori del territorio nazionale, può essere considerata centro di attività stabile solo
se tale centro d’attività implichi la presenza permanente di mezzi umani e tecnici necessari
per le prestazioni di servizi di cui trattasi e se queste prestazioni non possano essere
utilmente riferite alla sede dell’attività economica del prestatore.
I principi sono stati ribaditi nella sentenza 2 maggio 1996, C-231/94, con la quale la
corte ha escluso che il punto di ristoro sulla nave traghetto in servizio di linea tra la
Danimarca e la Germania, ove vengono somministrati pasti da consumare a bordo, denoti
quella consistenza minima, in termini di presenza permanente dei mezzi umani e tecnici,
tale da configurarsi quale “centro di attività stabile” per l’imputazione delle prestazioni,
tanto più che, nella fattispecie, la sede permanente del gestore fornisce un criterio di
connessione utile ai fini dell’imposizione fiscale (si ricorda che, nella disciplina attuale, per
i servizi di ristorazione sono previsti criteri specifici di localizzazione).
Un terzo intervento è la sentenza 17 luglio 1997, C-190/95, nella quale la corte ha,
parimenti, escluso che una società di leasing che non disponga in uno stato membro né di
personale proprio né di una struttura che presenti un sufficiente grado di stabilità e si limiti a
mettere a disposizione dei clienti, procurati da intermediari indipendenti stabiliti nello stato
membro, i veicoli concessi in locazione, effettui le proprie prestazioni da un centro di
attività stabile in detto stato membro. Le prestazioni di affitto dei veicoli in leasing, ha
osservato la corte, consistono precipuamente nella negoziazione, nella stesura, nella
sottoscrizione e nella gestione dei contratti e nel mettere materialmente a disposizione dei
clienti i veicoli, che restano di proprietà della società concedente. Pertanto, allorché tale
società non disponga, in uno stato membro, né di personale proprio né di una struttura che
presenti un sufficiente grado di stabilità, nell’ambito della quale possano essere redatti
contratti o prese decisioni amministrative, struttura che sia, quindi, idonea a rendere
possibili in modo autonomo le prestazioni in questione, essa non può essere considerata
disporre di un centro di attività stabile in tale stato. La conclusione non risulta inficiata,
prosegue la sentenza, dal fatto che i clienti, stabiliti nello stato membro diverso da quello
della società concedente, ricerchino direttamente i veicoli di loro scelta presso i
concessionari situati nel loro paese, giacché tale fatto è privo di relazione con il centro di
attività del prestatore di servizi. Gli intermediari indipendenti che mettono in contatto i
clienti con la società non possono considerarsi mezzi umani permanenti. Infine, la
circostanza che i veicoli siano immatricolati nel paese membro dei clienti, ove viene versata
la relativa tassa di circolazione, è collegata al luogo della loro utilizzazione, elemento che,
conformemente alla giurisprudenza della corte (in specie, la sentenza 15 marzo 1989, C51/88), non è pertinente ai fini dell’applicazione della norma dell’art. 9, par. 1, della sesta
direttiva.
Da ultimo, nella sentenza 20 febbraio 1997, C-260/95, la corte si è occupata della
questione se i servizi turistici forniti da un’agenzia stabilita nello stato membro A attraverso
l’intermediazione di una propria società controllata stabilita nello stato membro B debbano
considerarsi effettuati nel primo stato, in base al principio del luogo di residenza del
prestatore, oppure nel secondo, considerando la società controllata quale stabile
organizzazione della controllante.
La corte ha preliminarmente ricordato che il riferimento di una prestazione di servizi
ad un centro di attività diverso dalla sede viene preso in considerazione solo se tale centro
abbia una consistenza minima, costituita dalla presenza permanente dei mezzi umani e
tecnici necessari per determinate prestazioni di servizi. Nella fattispecie, imputare alla sede
della sua attività economica tutte le prestazioni di servizi di un organizzatore di viaggi
turistici, comprese quelle che sono fornite in altri stati membri tramite imprese che operano
in suo nome, offrirebbe evidentemente il vantaggio di individuare un unico luogo di
imposizione per tutte le attività del soggetto che rientrano nel regime speciale delle agenzie
di viaggio. Tuttavia questo riferimento non porterebbe ad una soluzione razionale dal punto
di vista fiscale, poiché non terrebbe conto del luogo effettivo di vendita dei viaggi che,
indipendentemente dalla destinazione del viaggiatore, le autorità nazionali hanno buon
motivo di prendere in considerazione come punto di riferimento più utile.
La corte ha quindi rilevato che la presa in considerazione della realtà economica
costituisce un criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’Iva. La
soluzione alternativa, per determinare il luogo di imposizione delle prestazioni delle agenzie
di viaggi, consistente nel far riferimento al centro di attività stabile a partire dal quale tali
prestazioni sono fornite, mira appunto a tener conto della possibile diversificazione delle
attività delle agenzie in diversi luoghi sul territorio della Comunità. La sistematica
applicazione del criterio della sede dell'attività economica, d’altra parte, potrebbe causare
distorsioni di concorrenza, in quanto comporterebbe il pericolo che le società che esercitano
attività in uno stato membro siano indotte a fissare la loro sede, per sfuggire alla tassazione,
nel territorio di un altro stato membro che si è avvalso della facoltà di mantenere in vigore
l’esenzione dall’Iva per tali prestazioni.
Di conseguenza, la corte ha statuito che la prestazione di servizi al viaggiatore,
quando è stata fornita da un organizzatore di viaggi turistici a partire da un centro di attività
stabile di cui detto organizzatore dispone in uno stato membro diverso da quello in cui ha
stabilito la sede della propria attività economica, è tassabile nello stato in cui è ubicato detto
centro di attività stabile.
Per stabilire se, in circostanze come quelle della fattispecie, l’agenzia di viaggi
disponga effettivamente nello stato membro di un tale centro di attività, si deve accertare, in
primo luogo, se la società controllata che opera in detto stato per la società controllante non
fruisca di uno status indipendente rispetto a quest’ultima. A questo proposito, il fatto che i
locali della società controllata, che ha propria personalità giuridica, appartengano ad essa e
non alla controllante, non è sufficiente a provare che la prima è effettivamente indipendente
dalla seconda. Dagli elementi contenuti nell’ordinanza di rinvio, in particolare dal fatto che
la controllante detiene l’intero capitale sociale della società controllata, e dall’esistenza di
vari obblighi contrattuali imposti alla società controllata dalla società madre, emerge invece
che la società controllata agisce come semplice ausiliaria della controllante.
Occorre in secondo luogo accertare se il centro di attività presenti la consistenza
minima richiesta in termini di mezzi umani e tecnici necessari. Sotto tale profilo, gli
elementi di fatto indicati nell’ordinanza di rinvio, segnatamente per quanto attiene alla
rilevanza del numero di dipendenti occupati dalla società controllata e alle condizioni
materiali nelle quali questa fornisce servizi ai viaggiatori, mostrano che tale società presenta
effettivamente le caratteristiche di un centro di attività stabile.
Irrilevanza dei rapporti interni
La disciplina dei rapporti fra stabile organizzazione nel territorio dello stato e casa
madre estera è stata una questione a lungo controversa, definitivamente chiarita a seguito
dei quesiti sollevati, con un’ordinanza del 12/2/2004, dalla corte di cassazione italiana, che
nel procedimento pregiudiziale C-210/04 aveva infatti chiesto alla corte di giustizia Ue:
- se gli articoli 2, n. 1 e 9, pag. 1, della sesta direttiva dovessero interpretarsi nel senso che la
filiale di una società avente sede in altro stato (appartenente o meno all’Ue), avente le
caratteristiche di una unità produttiva, possa essere considerata soggetto autonomo, e quindi
sia configurabile un rapporto giuridico tra le due entità, con conseguente soggezione ad Iva
per le prestazioni di servizi effettuate dalla casa madre; se per la sua definizione potesse
essere utilizzato il criterio dell’“arm’s lenght” di cui all’art. 7, secondo e terzo comma, del
modello di convenzione Ocse contro la doppia imposizione e della convenzione 21 ottobre
1988 tra Italia, Regno Unito e Irlanda del Nord; se fosse configurabile un rapporto giuridico
nell’ipotesi di un “cost-sharing agreement” concernente la prestazione di servizi alla
struttura secondaria; nel caso affermativo, quali fossero le condizioni per ritenere sussistente
tale rapporto giuridico; se la nozione di rapporto giuridico dovesse trarsi dal diritto
nazionale o dal diritto comunitario;
- se il riaddebito dei costi di tali servizi alla filiale potesse, e in quale misura, considerarsi
corrispettivo dei servizi prestati, ai sensi dell’art. 2 della sesta direttiva, indipendentemente
dalla misura del riaddebito e dal conseguimento di un utile d’impresa;
- se, ove si ritenessero le prestazioni di servizi tra casa madre e filiale in via di principio
esenti (recte: escluse) da Iva per mancanza di autonomia del soggetto destinatario, con
conseguente non configurabilità di un rapporto giuridico tra le due entità, nel caso in cui la
casa madre sia residente in un altro stato membro dell’Ue, una prassi amministrativa
nazionale che affermasse invece, in tale ipotesi, l’imponibilità della prestazione dovesse
considerarsi contraria al diritto di stabilimento, previsto dall’art. 43 del trattato CE.
Pronunciandosi con la sentenza del 23/3/2006, la corte di giustizia ha chiarito che i
rapporti tra la società non residente e la sua stabile organizzazione non danno luogo a
prestazioni di servizi rilevanti ai fini dell’Iva in quanto si svolgono all’interno di un unico
soggetto giuridico, e che la nozione di stabile organizzazione, come definita nell’ambito
delle convenzioni contro la doppia imposizione reddituale, non può essere impiegata agli
effetti dell’Iva.
La corte ha osservato anzitutto che la sesta direttiva assoggetta all’Iva, in particolare,
le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese dai soggetti passivi, i
quali sono coloro che esercitano un’attività economica “in modo indipendente”; ha ricordato
inoltre di avere chiarito che una prestazione è imponibile solo quando esista tra il prestatore
e il destinatario un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di
reciproche prestazioni.
Posto ciò, la sede secondaria dell’impresa (nella fattispecie, una banca) non può
considerarsi soggetto autonomo, in quanto il rischio dell’attività grava integralmente sulla
casa madre, con la quale essa costituisce un soggetto passivo unico.
La conclusione non è inficiata dall’art. 9, par. 1, che si applica nel caso di transazioni
effettuate tra la succursale ed i terzi.
Riguardo alla convenzione OCSE, la corte, come già si è detto prima, ha rilevato che
non è pertinente in quanto concerne la fiscalità diretta.
Quanto all’esistenza di un accordo sulla ripartizione dei costi, anche tale elemento è
irrilevante poiché non è stato negoziato tra parti indipendenti.
In conclusione, un centro di attività stabile che non sia un ente giuridico distinto dalla
società di cui fa parte non deve essere considerato soggetto passivo nei rapporti con la casa
madre.
Risolta così la questione principale, risulta conseguentemente assorbita la domanda
volta a conoscere se e in che misura possa considerarsi corrispettivo il riaddebito dei costi
forniti dalla sede secondaria alla casa madre.
In conseguenza della sentenza, l’agenzia delle entrate, con risoluzione n. 81, del
16/6/2006 ha revocato le precedenti istruzioni del 1981 che affermavano la rilevanza, ai fini
dell’Iva, dei rapporti fra casa madre e stabile organizzazione.
In considerazione di quanto si è detto fin qui in ordine all’autonomia della nozione di
stabile organizzazione ai fini dell’Iva ed alla irrilevanza dei rapporti con la casa madre, tanto
più dopo l’emanazione del regolamento n. 282/2011, suscita perplessità la risoluzione n.
327 del 30 luglio 2008 dell’agenzia delle entrate, ove è stato dichiarato che la stabile
organizzazione deve essere dotata del numero di partita Iva anche se non effettua operazioni
con i terzi.
L’agenzia muove dal concetto di stabile organizzazione, per la cui definizione, in
assenza di riferimenti normativi, occorre basarsi sulla prassi e sulla giurisprudenza. Con
sentenza n. 9580/1990, osserva, la corte di cassazione ha statuito che l’assoggettabilità ad
Iva dei soggetti non residenti in Italia presuppone, ai sensi degli artt. 7 e 35 del dpr 633/72,
una stabile organizzazione nel territorio nazionale, concetto che ha una portata più ampia di
quello di società estera di cui all’art. 2506 c.c. A tal fine rilevano, infatti, le situazioni di
fatto che denotino lo scopo degli stessi soggetti ad esercitare nello stato un’attività
imprenditoriale e che siano caratterizzate, oltre che dal collegamento non occasionale con il
territorio, dall’effettivo impiego di beni e di attività lavorative e da un’effettiva, ancorché
limitata, autonomia funzionale.
Come chiarito con risoluzione n. 52/1999, poi, la stabile organizzazione provvede ad
assolvere tutti gli adempimenti ordinari, compresa la tenuta dei registri previsti dalla
normativa fiscale.
Per riconoscere la branch quale centro di imputazione fiscale, è dunque necessario
verificare se l’attività nel territorio nazionale abbia o meno natura commerciale. Secondo la
direttiva n. 112 del 2006, si considera soggetto passivo dell’Iva chiunque esercita, in modo
indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, ovverosia ogni attività di
produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi. Rileva, dunque, l’esercizio
dell’attività economica, anche a prescindere dalla rilevanza delle singole operazioni ai fini
dell’imposta. Viene richiamata, in proposito, la sentenza del 29/2/96 della Corte di giustizia,
con la quale è stato chiarito che è attività economica, salvo il caso di frodi o abusi, anche
l’affidamento di uno studio preliminare sulla redditività di una certa attività che si intende
intraprendere,
L’agenzia osserva poi che, ai sensi dell’art. 4 del dpr n. 633/72, ai soggetti diversi
dalle persone fisiche e dagli enti non commerciali la soggettività passiva Iva è attribuita
indipendentemente dalla effettuazione di operazioni rilevanti. Nel caso di specie, l’agenzia
non dubita che la stabile organizzazione rientri nell’ambito degli enti commerciali,
consistendo la sua attività nello sviluppo di software per la casa madre; è irrilevante il fatto
che, come chiarito dalla Corte di giustizia con la sentenza del 23/3/2006, le prestazioni di
servizio intercorrenti tra casa madre estera e stabile organizzazione italiana, o viceversa,
sono fuori campo Iva.
Ne segue che la branch è da considerare soggetto passivo ai fini Iva e, come tale,
deve essere provvista del numero partita Iva e deve adempiere a tutti gli obblighi in materia.
Del resto, l’art. 35 del dpr n. 633/72 fa obbligo anche ai soggetti che istituiscono una
stabile organizzazione in Italia di dichiararsi ai fini Iva.
L’automatica derivazione della stabile organizzazione Iva dall’esistenza di una
stabile organizzazione reddituale, come si diceva, lascia perplessi, stante l’oramai pacifica
autonomia della nozione nei due comparti impositivi, uno dei quali armonizzato a livello
comunitario e perciò soggetto al vincolo di interpretazione uniforme nell’area degli stati
aderenti.
Ancora recentemente, peraltro, la cassazione ha avuto occasione di rimarcare tale
autonomia. Nella sentenza n. 8488 del 9 aprile 2010, infatti, la corte ha ribadito che
l’esistenza congiunta del duplice presupposto (elemento oggettivo o materiale ed elemento
soggettivo) è richiesta per la configurazione di un “centro di attività stabile” (ora stabile
organizzazione) ai fini dell’Iva, essendo invece sufficiente, ai fini reddituali, la sola
sussistenza dell’elemento oggettivo (stabile organizzazione “materiale”) oppure di quello
soggettivo (stabile organizzazione “personale”). Se le cose stanno in questi termini,
dovrebbe dunque ammettersi (indipendentemente dalla risalente previsione dell’art. 35,
richiamata nella risoluzione dell’agenzia) l’eventualità che la stabile organizzazione
reddituale non sia identificata ai fini Iva se non configurabile come soggetto passivo ai fini
del tributo.
2. LA REGOLA GENERALE PER I SERVIZI SCAMBIATI TRA IMPRESE
Ai sensi dell’art. 7-ter, comma 1, lett. a), si considerano effettuate nel territorio dello
stato le prestazioni di servizi in genere rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio stesso.
In base a questa regola generale, per individuare il luogo della prestazione scambiata
fra soggetti passivi occorre fare riferimento esclusivamente al paese in cui è stabilito il
committente, sicché:
- si considera territoriale la prestazione resa a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello
stato, indipendentemente dal luogo in cui è stabilito il prestatore
- non si considera territoriale la prestazione resa a soggetti passivi stabiliti in altri stati
(comunitari e non), anche se il prestatore è un operatore nazionale.
Fanno eccezione alla regola generale le tipologie di prestazioni espressamente
disciplinate dai criteri specifici dettati dalle disposizioni degli articoli 7-quater e 7quinquies, esaminate nel successivo paragrafo 3.
L’applicazione della regola generale, nella sua apparente semplicità, pone alcune
questioni teorico-pratiche di rilievo, attinenti ai presupposti su cui essa poggia, ovverosia:
- l’individuazione il luogo in cui è stabilito il committente
- l’accertamento dello status di soggetto passivo del committente
- l’accertamento della “veste” nella quale il committente acquisisce il servizio.
Queste problematiche investono in prima battuta e immediatamente il prestatore, il
quale dovrà, per così dire, dare conto all’autorità fiscale del proprio operato in ordine
all’applicazione o meno dell’Iva nella fatturazione del servizio.
Al riguardo, si riportano di seguito le indicazioni che il regolamento n. 282/2011
fornisce, essenzialmente, al fine di agevolare il compito del prestatore del servizio.
Luogo di stabilimento
L’art. 20 chiarisce che, quando il luogo della prestazione coincide con il luogo in cui
è stabilito il committente soggetto passivo, e costui è stabilito in un solo luogo (sede
dell’attività, oppure stabile organizzazione, o in mancanza indirizzo permanente o residenza
abituale), il prestatore individua tale luogo sulla base delle informazioni ottenute dal
committente, delle quali verifica l’esattezza applicando le normali procedure di sicurezza
commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento. Queste
informazioni possono comprendere il numero di identificazione Iva attribuito dallo stato
membro in cui è stabilito il destinatario.
L’art. 21 prende poi in considerazione l’eventualità che il committente sia stabilito,
oppure domiciliato, oppure residente in più di un paese, prevedendo che, in tale ipotesi,
prevale il luogo della sede dell’attività economica. Tuttavia, ai sensi del secondo comma, se
il servizio è fornito ad una stabile organizzazione situata (ovviamente) in un luogo diverso
dalla sede dell’attività, il luogo della prestazione è quello nel quale è situata la stabile
organizzazione “che riceve detto servizio e lo utilizza per le proprie esigenze”.
In relazione alla predetta ipotesi, l’art. 22 prevede che, al fine di identificare la stabile
organizzazione del destinatario cui viene fornito il servizio, il prestatore esamina la natura e
l’utilizzazione del servizio fornito. Qualora ciò non sia sufficiente, il prestatore esamina, in
particolare, se il contratto, l’ordinativo e il numero di identificazione Iva comunicatogli dal
destinatario identificano la stabile organizzazione quale destinataria dei servizi e se la
stabile organizzazione è l’entità che paga per il servizio.
Ove risulti ancora impossibile determinare la stabile organizzazione cui viene fornito
il servizio, oppure nell’ipotesi in cui i servizi sono prestati a un soggetto passivo nell’ambito
di un contratto che comprende uno o più servizi utilizzati in maniera non identificabile o
non quantificabile, il prestatore considera di avere fornito i servizi nel luogo in cui il
destinatario ha la sede dell’attività economica.
L’applicazione delle disposizioni dell’art. 22 riguarda la sfera del prestatore e lascia
impregiudicati gli obblighi del destinatario.
Status del committente
Nella relazione introduttiva della proposta di regolamento approvata nel dicembre
2009, la Commissione spiegava che, dal momento che la corretta applicazione delle norme
sul luogo delle prestazioni dipende in larga misura dallo status del destinatario, che deve
essere basato unicamente sulle norme che definiscono un soggetto passivo, e dalla qualità in
cui il destinatario agisce, è necessario stabilire gli elementi giustificativi che il prestatore
deve ottenere dal destinatario.
In ordine alla determinazione dello status di soggetto passivo, definizione che,
invero, mal si adatta ai soggetti operanti al di fuori del territorio comunitario, l’articolo 17
del regolamento n. 282/2011chiarisce che occorre fare riferimento alle disposizioni degli
articoli da 9 a 13 e 43 della direttiva 112 del 2006. Si considera quindi “soggetto passivo”
chiunque possa essere qualificato tale in quanto “esercita, in modo indipendente e in
qualsiasi luogo, un’attività economica”, in conformità alle disposizioni degli artt. 9 e
seguenti della direttiva, a prescindere dall’effettivo assoggettamento all’Iva (che
evidentemente non sussiste, per motivi di territorialità, in capo agli operatori economici
extracomunitari) e, come puntualizza la relazione della commissione, indipendentemente
dagli eventuali regimi speciali dei quali il soggetto possa fruire (ad esempio, il regime
speciale per le piccole imprese).
Il richiamo dell’art. 43 della direttiva vale poi a significare che la persona giuridica
che non è soggetto passivo, ma che è tuttavia identificata ai fini Iva in quanto effettua
acquisti intracomunitari tassabili, va considerata soggetto passivo ai fini dell’applicazione
delle disposizioni sul luogo delle prestazioni di servizi.
In ordine al problema dell’accertamento dello status di soggetto passivo del
destinatario, l’articolo 18 del regolamento n. 282/2011 stabilisce che, salvo che disponga di
informazioni contrarie, il prestatore può ritenere che il committente comunitario sia un
soggetto passivo:
- se il destinatario gli ha comunicato il proprio numero di identificazione Iva, qualora
ottenga conferma di validità del numero stesso, nonché del nome e dell’indirizzo
corrispondenti (la conferma del nome e dell’indirizzo, in sede di interrogazione del sistema
VIES, è prevista dal regolamento n. 904/2010, con effetto dal 1° gennaio 2012)
- in alternativa, se il destinatario non ha ancora ricevuto il numero di identificazione Iva, ma
informa il prestatore di averne fatto richiesta, questi potrà basarsi su qualsiasi altra prova
attestante lo status di soggetto passivo, effettuando una verifica di ampiezza ragionevole
circa l’esattezza delle informazioni fornitegli dal destinatario applicando le normali
procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di
pagamento.
In buona sostanza, dissipando i dubbi ingenerati dalla prima versione della proposta
licenziata dalla Commissione, nella quale era previsto che lo status di soggetto passivo del
committente potesse essere provato non solo dal numero identificativo Iva, ma anche
“attraverso qualsiasi altra prova” della cui validità il prestatore avesse ottenuto conferma, il
regolamento stabilisce che il possesso del numero di identificazione (fatto salvo in caso
particolare in cui sia stato richiesto, ma non ancora ottenuto) è l’elemento su cui si fonda
l’accertamento del predetto status e su cui il prestatore può, conseguentemente, basare la
fatturazione senza l’addebito dell’imposta in virtù del principio di tassazione a destinazione
dei servizi “business to business”. Del resto, l’art. 214 della direttiva 2006/112/CE, come
modificato, proprio nel quadro e in funzione della riforma del luogo delle prestazioni, dalla
direttiva 2008/8/CE, impone agli stati membri di attribuire il numero identificativo Iva, tra i
vari casi, ai soggetti passivi che ricevono/effettuano prestazioni di servizi per le quali l’Iva è
dovuta dal destinatario a norma dell’art. 196.
Va però segnalato quanto chiarito dalla Corte di giustizia Ue nelle sentenze 6/9/2012,
C-273/11 e 27 settembre 2012, C-587/10, con riferimento ai requisiti della cessione
intracomunitaria. La Corte ha osservato che, nel quadro del regime degli scambi
intracomunitari, l’identificazione dei soggetti passivi mediante i numeri individuali mira ad
agevolare la determinazione dello Stato membro in cui deve essere tassata l’operazione;
nessuna norma, però, indica, tra le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria,
tassativamente elencate (tra le quali lo status di soggetto passivo dell’acquirente), l’obbligo
di disporre di un numero d’identificazione Iva, il quale è un requisito formale che non può
mettere in discussione il diritto all’esenzione dall’Iva qualora ricorrano le condizioni
sostanziali. Di conseguenza, anche se l’amministrazione può subordinare l’esenzione di una
cessione intracomunitaria alla comunicazione del numero d’identificazione Iva
dell’acquirente, l’esenzione non potrà essere però negata solo per il fatto che detto obbligo
non è stato rispettato, qualora il fornitore non possa, in buona fede, e dopo aver adottato
tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere, comunicare tale numero e
fornisca invece indicazioni idonee a dimostrare sufficientemente che l’acquirente è un
soggetto passivo che agisce in quanto tale nell’ambito dell’operazione di cui trattasi. Queste
pronunce riguardano, come detto, gli scambi intracomunitari di beni; tuttavia, sembrano
pacificamente estensibili anche agli scambi di servizi, sottoposti ad una disciplina del tutto
analoga (principio di tassazione a destinazione dei rapporti B2B).
Tornando al regolamento, il par. 2 dell’art. 18 prevede infine che il prestatore, salvo
che disponga di informazioni contrarie, può considerare che il destinatario comunitario non
ha lo status di soggetto passivo qualora dimostri che questi non gli ha comunicato il numero
identificativo Iva.
Per quanto concerne, invece, l’accertamento dello status di soggetto passivo in capo
ai destinatari stabiliti fuori della Comunità, il medesimo art. 18, par. 2, prevede che il
prestatore, salvo che disponga di informazioni contrarie, può ritenere sussistente tale status:
- se ha ottenuto dal destinatario il certificato, rilasciato dalle competenti autorità fiscali,
attestate che questi svolge un’attività che gli dà diritto al rimborso dell’Iva a norma della
direttiva 86/560/CEE
- in alternativa, se il destinatario dispone del numero identificativo Iva o di un numero
analogo, attribuitogli dal paese in cui egli è stabilito e utilizzato per identificare le imprese,
oppure di qualsiasi altra prova attestante che è un soggetto passivo, purché effettui una
verifica di ampiezza ragionevole dell’esattezza delle informazioni fornite dal destinatario
applicando le normali procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli
di identità o di pagamento.
Anche a tale proposito è opportuno richiamare nuovamente la sentenza 27 settembre
2012, C-587/10, ove la Corte ha dichiarato che l’amministrazione finanziaria può
subordinare l’esenzione dall’Iva della cessione intracomunitaria all’acquisizione, da parte
del fornitore, del numero di partita Iva del cessionario, ma non può negare l’esenzione per il
solo fatto che il fornitore, in buona fede, non abbia potuto rispettare questo obbligo ed abbia
comunque dimostrato che il cessionario ha effettuato l’acquisto in veste di soggetto passivo.
La sentenza mette in evidenza la distinzione delle due questioni: quella sostanziale,
concernente i presupposti per la configurazione di una cessione intracomunitaria esente nel
paese membro di origine in quanto tassata come acquisto intracomunitario nel paese
membro di destinazione (ossia il requisito della soggettività passiva del cessionario), e
quella procedurale dei mezzi di prova circa l’esistenza dei presupposti.
La Corte osserva che il requisito secondo cui, per aversi una cessione
intracomunitaria esente, l’acquirente deve essere un soggetto passivo che agisce in quanto
tale, non implica, di per sé, che questi debba operare con un numero di identificazione Iva.
Di conseguenza, le questioni sollevate dal giudice nazionale devono considerarsi attinenti ai
mezzi di prova che possono essere richiesti al fornitore per dimostrare la sussistenza del
requisito relativo allo status di soggetto passivo dell’acquirente.
In proposito, la Corte ricorda di avere già dichiarato che, in mancanza di disposizioni
nella direttiva, rientra nella competenza degli Stati membri stabilire i mezzi di prova atti ad
assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi e che spetta al fornitore ha
l’onere di provare che le condizioni sono soddisfatte.
Nell’imporre le condizioni, però, gli Stati membri non possono eccedere quanto
necessario allo scopo. Subordinare il diritto all’esenzione della cessione intracomunitaria al
rispetto di obblighi di forma, tralasciando di considerare i requisiti sostanziali, eccederebbe
lo scopo della norma.
Quanto alla questione se questi principi siano rispettati nel caso in cui lo Stato
membro impone al fornitore l’acquisizione del numero di partita Iva del cessionario, è
incontestabile che tale numero d’identificazione sia intrinsecamente connesso allo status di
soggetto passivo. Tuttavia, la prova di tale status non può dipendere sempre e solo dal
suddetto elemento, trattandosi di in requisito formale che non può rimettere in discussione il
diritto all’esenzione dall’Iva qualora ricorrano le condizioni sostanziali di una cessione
intracomunitaria, donde la conclusione anticipata in apertura.
Qualità del committente
Dall’art. 19 del regolamento emerge inoltre che il prestatore è chiamato a valutare, in
una certa misura (attenuata rispetto alle iniziali previsioni contenute nel testo proposto dalla
commissione nel dicembre 2009), anche la “qualità” del committente rispetto al servizio
fornito, vale a dire la veste nella quale questi acquisisce la prestazione: se quella di soggetto
passivo oppure quella di consumatore.
Riprendendo in pratica le puntualizzazioni del “quarto considerando” della direttiva
112 del 2006, l’art. 19, primo comma, chiarisce anzitutto che quando il soggetto passivo,
oppure la persona giuridica assimilata ad un soggetto passivo (in quanto titolare di partita
Iva), riceve servizi destinati esclusivamente ad un uso privato, compreso quello dei suoi
dipendenti, si considera che tale soggetto non riveste lo status di soggetto passivo ai fini
dell’applicazione delle norme sul luogo delle prestazioni di servizi.
Il secondo comma, poi, stabilisce che il prestatore può considerare che i servizi sono
prestati a fini professionali dal destinatario se, per tale operazione, il destinatario gli ha
comunicato il numero identificativo Iva, “salvo che disponga di informazioni contrarie, ad
esempio sulla natura dei servizi forniti”. Questo significa che, come si diceva, il prestatore
non potrà basarsi esclusivamente sulla condotta del destinatario per valutare l’impiego
professionale dei servizi forniti, ossia sulla mera circostanza che questi gli ha comunicato il
numero identificativo Iva; dovrà, invece, tenere conto di eventuali informazioni contrarie in
proprio possesso, per esempio (ma non solo) la natura dei servizi. Di conseguenza, qualora
il servizio, per la sua intrinseca natura, sia oggettivamente ed esclusivamente ad uso privato,
il prestatore, ancorché il destinatario si sia qualificato come soggetto passivo, dovrà
considerarlo un privato consumatore ed applicare, dunque, i pertinenti criteri di territorialità
(la regola generale basata sul luogo in cui è stabilito in prestatore, o, se del caso, gli
eventuali criteri speciali previsti per la specifica prestazione).
Il terzo comma, infine, precisa che se un unico servizio è destinato sia all’uso
professionale sia all’uso privato del committente, la prestazione si considera localizzata nel
paese del committente in base alla regola generale dei rapporti “business to business”. In
sostanza, il servizio promiscuo (ad esempio, l’aggiornamento via internet del software
antivirus su un personal computer utilizzato sia per l’attività economica sia per fini privati)
si considera interamente destinato all’impresa del committente; è appena il caso di osservare
che questo vale ai (soli) fini della territorialità, mentre ai fini del diritto alla detrazione il
destinatario dovrà determinare la quota dell’utilizzo professionale in relazione alla quale
esercitare il diritto.
Si riporta, di seguito, il paragrafo 2.1.3 della circolare n. 37/2011, concernente “la qualità di soggetto
passivo del committente”
Una volta acclarato che il committente del servizio è un soggetto passivo di imposta, è necessario
verificare - ai fini della determinazione della territorialità dell’operazione - se il medesimo acquisisca i
servizi nella veste di soggetto passivo d’imposta.
Al riguardo va notato che, in base al primo comma dell’articolo 19 del regolamento, un soggetto
passivo o un ente non soggetto passivo assimilato ad un soggetto passivo che riceve servizi destinati
esclusivamente ad un uso privato, ivi compreso l’uso da parte dei suoi dipendenti, è considerato, ai fini
dell’acquisto dei predetti servizi, un soggetto non passivo (non trovando quindi applicazione la regola
generale di territorialità dei rapporti B2B, ma le regole operanti per i rapporti B2C, per cui si rimanda al
successivo paragrafo 2.2).
Il medesimo articolo 19, terzo comma, del regolamento precisa che, quando una prestazione di
servizio sia acquistata da un soggetto passivo sia per finalità private che per finalità imprenditoriali,
professionali o artistiche, per la stessa trovano applicazione i criteri di territorialità previsti per le
prestazioni rese nei confronti di committenti soggetti passivi. Ne discende che – ove non trovino
applicazione le previsioni di deroga di cui agli articoli 7-quater e 7-quinquies del d.P.R. n. 633 – detta
prestazione si considererà resa in Italia se commessa da un soggetto stabilito nel territorio dello Stato e non
si considererà resa in Italia se commessa da un soggetto stabilito all’estero.
In via di presunzione, l’articolo 7-ter del d.P.R. n. 633 stabilisce che, nel caso in cui il committente
sia un soggetto diverso da una persona fisica, cioè una società ovvero un ente, associazione o società
semplice di cui, rispettivamente, ai nn. 1) e 2) del secondo comma dell’articolo 4 del d.P.R. n. 633, la
soggettività passiva - ai fini del requisito della territorialità della prestazione di servizi - sussiste sempre: si
presume, pertanto, che le prestazioni di servizi siano acquisite da tali soggetti, diversi dalle persone fisiche,
nella veste di soggetto passivo. L’unica fattispecie in cui le società, enti, associazioni o società semplici non
devono essere considerati, ai predetti fini, soggetti passivi è costituita dal sopra menzionato caso in cui i
servizi siano destinati esclusivamente ad un uso privato del soggetto committente, ivi compreso l’uso da
parte dei suoi dipendenti. A tale riguardo, si è del parere che la previsione comunitaria citata debba
intendersi riferita ai casi in cui il servizio è destinato ad un uso privato delle persone facenti parte degli
organi delle società o enti in esame, ovvero dei dipendenti degli stessi.
Nel caso in cui, invece, il committente sia una persona fisica non è sufficiente che lo stesso eserciti
attività imprenditoriale, artistica o professionale, ma è necessario che il prestatore del servizio effettui una
valutazione di compatibilità complessiva, per verificare che il servizio medesimo sia acquistato
nell’esercizio di detta attività.
Non si considerano quindi effettuati da un soggetto passivo gli acquisti di servizi che attengono
alla sfera privata della persona fisica esercente attività imprenditoriale, artistica o professionale, o che
siano destinati esclusivamente all’uso da parte dei dipendenti dello stesso. Per tali acquisti, trovano
applicazione i criteri di territorialità previsti per i servizi resi nei confronti di committenti non soggetti
passivi, argomento per cui si rimanda al successivo paragrafo 2.2.
Particolare rilievo, ai fini dell’applicazione della lettera a) del comma 2 dell’articolo 7-ter, assume
quindi la verifica dell’utilizzazione di un servizio per finalità riconducibili ovvero estranee all’esercizio
dell’impresa.
Al riguardo, il secondo comma dell’articolo 19 del regolamento stabilisce che il prestatore - cui il
destinatario dei servizi abbia comunicato il suo numero di partita IVA per una data operazione - può
considerare che i servizi sono destinati all'attività economica del destinatario medesimo, a meno che non
disponga di informazioni contrarie, ad esempio sulla natura dei servizi forniti.
L’analisi circa la destinazione o meno all’esercizio dell’impresa dei servizi prestati potrebbe
risultare - in determinati casi - agevole in ragione della natura dei servizi forniti. In via esemplificativa, si
pensi a un imprenditore persona fisica, stabilito in Italia, che acquisti da un avvocato spagnolo una
consulenza relativa ad un problema matrimoniale (ad esempio, una causa di divorzio): in tal caso, il servizio
– pacificamente non attenendo a finalità imprenditoriali – dovrà considerarsi reso a un privato, ancorché il
committente abbia comunicato il suo numero di partita IVA. Sempre in via esemplificativa, si consideri il
caso di una consulenza resa a un imprenditore persona fisica, stabilito in Francia, da un prestatore stabilito
in Italia, che attiene all’organizzazione dell’impresa gestita da detto imprenditore: in tal caso il servizio –
pacificamente attenendo a finalità imprenditoriali – dovrà considerarsi reso a un soggetto passivo e sarà
quindi irrilevante ai fini impositivi ai sensi della lettera a) del comma 1 dell’articolo 7-ter del d.P.R. n. 633,
essendo il committente soggetto passivo stabilito in altro Stato e non essendo riconducibile il servizio a
quelli per cui trovano applicazione le previsioni derogatorie di cui ai successivi articoli 7-quater e 7quinquies (sempre che il committente comunichi il suo numero di partita IVA).
In tutti gli altri casi, in cui il servizio risulti essere compatibile sia con la sfera privata sia con la
veste di soggetto passivo, il prestatore considera la prestazione acquisita dal committente, soggetto passivo
comunitario, nell’ambito della propria attività di soggetto passivo a condizione che quest’ultimo comunichi
il proprio numero di partita IVA.
Per i soggetti non comunitari, nei casi in cui il servizio risulti essere compatibile sia con la sfera
privata sia con la veste di soggetto passivo dell’acquirente, il prestatore potrà richiedere al committente gli
elementi a supporto della non riconducibilità dell’acquisto alla sfera privata, onde giustificare la mancata
applicazione dell’imposta in base al criterio generale dei rapporti B2B.
Sulla base di quanto disposto dall’articolo 25 del regolamento, si rammenta che l’utilizzazione per
finalità private ovvero per finalità imprenditoriali, artistiche o professionali deve valutarsi solo in base alle
circostanze esistenti al momento dell’effettuazione dell’operazione – momento da individuarsi in base ai
criteri di cui all’articolo 6 del d.P.R. n. 633 – e che non assumono rilevanza i cambiamenti di tali
circostanze che avvengano successivamente a tale momento. Ove quindi un determinato servizio – per cui
non operano le previsioni di deroga di cui agli articoli 7-quater e 7-quinquies del d.P.R. n. 633 – sia
acquistato presso un operatore non stabilito nel territorio dello Stato da un soggetto passivo stabilito in
detto territorio per le esigenze della propria impresa, la prestazione si considera in ogni caso rilevante ai
fini IVA in Italia, ai sensi della lettera a) del comma 2 dell’articolo 7-ter del d.P.R. n 633, anche se il
servizio acquistato venga, per mutate successive esigenze, destinato a fini privati.
È da ritenere che, qualora all’atto del pagamento di un acconto si preveda una determinata
utilizzazione del servizio (ad esempio, per fini privati), che poi risulti modificata all’atto del pagamento del
saldo (nell’esempio prospettato, il servizio sia riconducibile alla veste di soggetto passivo), poiché entrambi
i momenti costituiscono momenti di effettuazione dell’operazione (“fatto generatore dell’imposta”, secondo
la locuzione utilizzata dall’articolo 63 della direttiva 2006/112/CE e dall’articolo 25 del regolamento),
possano trovare applicazione differenti regimi con riferimento all’acconto (per cui nell’esempio prospettato
non troverebbero applicazione i criteri previsti per i rapporti B2B) e al saldo (per cui nell’esempio
prospettato troverebbero invece applicazione i criteri previsti per i rapporti B2B).
Disposizione comune
L’art. 25 del regolamento, infine, chiarisce che per l’applicazione delle norme
relative al luogo della prestazione, segnatamente per quanto attiene alla valutazione dello
status, della qualità e del luogo di stabilimento del destinatario, si tiene conto
esclusivamente delle circostanze esistenti al momento del fatto generatore dell’imposta,
ossia al momento dell’effettuazione della prestazione; eventuali cambiamenti successivi in
merito alla destinazione del servizio medesimo sono irrilevanti, purché non sussista alcuna
pratica abusiva.
Soggetti che si avvalgono del regime speciale delle “piccole imprese”
Né la normativa comunitaria né quella nazionale contengono disposizioni circa la
disciplina applicabile alle prestazioni di servizi nelle quali interviene, in veste di prestatore o
di committente, un soggetto passivo che si avvale del regime speciale di franchigia per le
“piccole imprese” (regolato, in Italia, dall’art. 1, commi 96 e seguenti, della legge n.
244/2007, c.d. regime dei “contribuenti minimi”).
Della questione si è occupata l’agenzia delle entrate con la circolare n. 36 del 21
giugno 2010. Secondo la circolare, le prestazioni di servizi c.d. “generiche” (ossia quelle
disciplinate dalle regole generali dell’art. 7-ter), rese dal contribuente minimo italiano ad
altri soggetti passivi (comunitari e non), nonché le medesime prestazioni acquisite da
committenti nazionali presso operatori comunitari che si avvalgono del regime delle piccole
imprese, si configurano come operazioni soggette a tassazione nel paese di origine e sono,
pertanto, sottoposte al trattamento rappresentato nello schema seguente.
Il trattamento delle prestazioni con “piccole imprese” secondo la circolare 36/2010
Prestazione di servizi a
E’ un’operazione interna, senza
Contribuente minimo italiano
soggetto passivo Ue
diritto di rivalsa dell’Iva.
che scambia servizi con
Non sussiste obbligo Intrastat
soggetto passivo comunitario
(*)
Acquisti di servizi da soggetto E’ un servizio territoriale da
passivo Ue
assoggettare ad Iva in Italia.
L’Iva non è detraibile. Sussiste
l’obbligo Intrastat. (**)
(*) La stessa disciplina vale nel caso in cui il committente sia un operatore extraUe. Si ricorda che
il regime speciale non consente di effettuare operazioni non imponibili di cui all’art. 8, 8-bis, 9 e
assimilate.
(**) La stessa disciplina vale nel caso in cui il prestatore sia un operatore extraUe, ma in tal caso
non sussiste l’obbligo Intrastat.
Operatore italiano che scambia
servizi con un operatore Ue
che si avvale del regime delle
piccole imprese
Prestazione di servizi
“generica” nei confronti
dell’operatore Ue
Acquisto di servizi
dall’operatore Ue
E’ un servizio non territoriale
in Italia. L’imposta è dovuta
nel paese del committente.
Sussiste l’obbligo Intrastat.
L’operazione è rilevante nel
territorio di origine e non
sussiste obbligo Intrastat. In
assenza di documentazione del
fornitore, occorre emettere
autofattura senza imposta.
Ad avviso dell’agenzia, quindi, le prestazioni “in uscita” (dall’Italia verso l’estero)
sfuggono alla regola generale della localizzazione nel paese del committente, in virtù del
regime speciale; regola che torna invece ad applicarsi per quelle “in entrata” (dall’estero
verso l’Italia). In sostanza, l’agenzia ha risolto la questione del trattamento delle prestazioni
di servizi rese/ricevute da “contribuenti minimi” applicando per analogia il trattamento
previsto per gli scambi intracomunitari di beni posti in essere dai medesimi soggetti, in
relazione ai quali è infatti stabilito:
- che le cessioni verso operatori di altri stati membri non costituiscono cessioni
intracomunitarie, ma operazioni interne (art. 41, comma 2-bis, dl 30 agosto 1993, n. 331)
- che gli acquisti intracomunitari sono soggetti ad imposizione in Italia (art. 1, comma 100,
legge n. 244/2007).
La soluzione suscita qualche perplessità. Mentre per gli scambi intracomunitari di
beni è la stessa normativa comunitaria, ripresa dalla richiamata disposizione nazionale, a
prevedere che, in deroga ai principi del regime transitorio, le cessioni poste in essere dai
soggetti che si avvalgono del regime speciale delle piccole imprese non fruiscono
dell’esenzione prevista per le cessioni intracomunitarie,1 per gli scambi di servizi posti in
essere da tali soggetti non sono invece previste norme speciali, sicché per individuare il
luogo della prestazione si dovrebbero seguire le regole generali. Conseguentemente, le
prestazioni di servizi generiche rese da contribuenti minimi nei confronti di soggetti passivi
esteri dovrebbero ritenersi non territoriali in Italia, ai sensi dell’art. 7-ter. Questa
conclusione sembrerebbe in linea anche con l’art. 283 della direttiva 2006/112/CE, il quale
stabilisce alla lettera c) che sono escluse dal regime speciale per le piccole imprese “le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo che non è
stabilito nello Stato membro in cui è dovuta l’Iva”: la disposizione non ha infatti soltanto il
significato di riservare l’accesso al regime speciale ai soli soggetti passivi residenti, ma
altresì quello di escludere dal regime stesso le operazioni localizzate in un paese diverso da
quello di stabilimento (come, appunto, le prestazioni di servizi rese a committenti soggetti
passivi esteri).
Un ulteriore argomento a sostegno della tesi può desumersi dalla relazione della
commissione che accompagnava la proposta di regolamento COM (2009) 672 del 17
dicembre 2009, in cui si legge che “ove lo status del destinatario sia fondamentale per
stabilire il luogo della prestazione di un servizio, tale status è determinato unicamente in
conformità alle condizioni di cui al titolo III della direttiva Iva. Pertanto non si può tenere
conto a tale riguardo di eventuali regimi speciali a cui il destinatario sia soggetto, come ad
1
Cfr. l’art. 139, par. 1, della direttiva 2006/112/CE. esempio quello per le piccole imprese”. La precisazione, invero, si riferisce alle prestazioni
di servizi rese a soggetti in regime speciale; nondimeno, contribuisce, unitamente alla
surriferita assenza di norme particolari per la localizzazione delle prestazioni rese da detti
soggetti, a rafforzare le perplessità sulla soluzione della circolare.
3. I CRITERI SPECIFICI “OGGETTIVI”
Anche con la riforma del 2010 sono state mantenute alcune regole speciali, atte a
localizzare determinate prestazioni di servizi, oggettivamente considerate, seguendo appositi
criteri, diversi da quelli “soggettivi” sui quali si fondano le regole generali.
I criteri speciali si applicano alle prestazioni prese in considerazione dai nuovi
articoli 7-quater e 7-quinquies. Si ribadisce che dette prestazioni sono disciplinate
esclusivamente dai rispettivi criteri speciali, di seguito illustrati, per cui non assumono
nessuna rilevanza altri elementi, in particolare il luogo in cui sono stabilite le parti
(prestatore e committente) o lo status del committente.
3.1 Prestazioni di servizi relativi a beni immobili
Come nel sistema previgente, le prestazioni di servizi relative a beni immobili
restano localizzate nel paese in cui si trova l’immobile. La norma nazionale, ora contenuta
nell’art. 7-quater, lett. a), stabilisce che le prestazioni di servizi relativi a beni immobili,
comprese le perizie, le prestazioni di agenzia, la fornitura di alloggio nel settore alberghiero
o in settori con funzioni analoghe, ivi inclusa quella di alloggi in campi di vacanza o in
terreni attrezzati per il campeggio, la concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili
e le prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dell’esecuzione di lavori
immobiliari, si considerano effettuate nel territorio dello stato quando l’immobile è ivi
situato.
In pratica, i servizi collegati ad un bene immobile (circa l’intensità del collegamento
richiesta, si veda oltre) sono localizzati nello stesso luogo in cui è situato il bene, a nulla
rilevando, come già detto, il luogo in cui sono stabiliti il prestatore o il committente;
pertanto:
- se l’immobile è situato nel territorio italiano, la prestazione si considera effettuata in
Italia
- viceversa, se l’immobile è situato al di fuori del territorio dello stato, la prestazione non
si considera effettuata in Italia.
Si deve evidenziare, in proposito, che la norma, rispetto alla precedente formulazione
dell’art. 7, quarto comma, lett. a), include ora esplicitamente tra le prestazioni relative a beni
immobili anche:
- la fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori analoghi (campi di vacanza,
campeggi)
- la concessione di diritti di utilizzazione di un bene immobile.
Con risoluzione 16 maggio 2008, n. 199, l’agenzia delle entrate ha esaminato il caso
di una società italiana, operante nel settore turistico, che raccoglie, tramite un proprio sito
web installato presso due server condotti in locazione esclusiva e gestiti da un soggetto
americano, prenotazioni per ostelli ed alberghi ubicati in tutto il mondo. I clienti si
collegano al sito tramite il server situato negli Usa per effettuare la prenotazione dell’ostello
o dell’albergo scelto, all’atto della quale pagano, mediante carta di credito, il 10% di quanto
dovuto per l’intero soggiorno alla società, che emette la relativa fattura.
L’agenzia ha osservato che, nella fattispecie, la società prenota stanze d’albergo a
favore della clientela, per cui svolge un’attività di intermediazione nella quale il mezzo
elettronico costituisce un mero strumento mediante il quale essa raccoglie le domande dei
propri clienti ed effettua, per essi, le prenotazioni. L’uso di internet, quindi, è equiparabile
all’uso di un telefono o di un fax e non fa mutare la natura giuridica dell’operazione, che va
qualificata come intermediazione e non come commercio elettronico. Ciò posto, l’agenzia
ha ritenuto che le prestazioni di intermediazione in esame sono riferite a beni immobili, per
cui sono disciplinate, sotto l’aspetto della territorialità, dal criterio speciale previsto per i
servizi relativi a tali beni.
Questa qualificazione suscitava però dubbi; in base alla formulazione della norma
(tanto quella nazionale dell’art. 7-quater, quanto quella comunitaria dell’art. 47 della
direttiva 112 del 2006), il criterio speciale in esame non è dettato con riguardo alle
intermediazioni in genere afferenti i servizi relativi a beni immobili ricompresi nella
disposizione, ma soltanto con riguardo alle prestazioni degli agenti immobiliari.
In effetti, riconsiderando la questione, nella circolare n. 36 del 21 giugno 2010,
risposta n. 13, l’agenzia delle entrate ha dichiarato che le prestazioni di intermediazione in
nome e per conto del cliente, relative a prestazioni alberghiere, devono essere inquadrate tra
le prestazioni generiche di cui all’art. 7-ter. Questo inquadramento, è da precisare, vale se il
cliente è un soggetto passivo, perché se si tratta di un privato la prestazione di
intermediazione segue invece il criterio specifico previsto dall’art. 7-sexies, lett. a),
illustrato al successivo punto 4.2.2; in tal senso anche le disposizioni dell’art. 31 del
regolamento n. 282/2011.
Come si intuisce dalla questione appena ricordata, l’applicazione del criterio in
esame, di per sé semplice, pone dunque i consueti problemi di qualificazione della
fattispecie, sia per quanto concerne la definizione della categoria dei beni immobili, sia per
la determinazione dell’intensità del collegamento necessaria per ritenere la prestazione
come “relativa” al bene immobile.
In relazione al secondo aspetto, su cui si riporterà appresso l’insegnamento della
corte di giustizia Ue, l’agenzia delle entrate si è pronunciata con la risoluzione n. 48 del 1°
giugno 2010. Il quesito era stato presentato da una società italiana che svolge attività di
consulenza nei confronti di una società spagnola, la quale, per conto dei propri clienti,
privati consumatori spagnoli, affitta, per via telematica, appartamenti in Italia percependo
dai proprietari una provvigione. Più esattamente, la società italiana si occupa di:
- predisporre uno studio di mercato;
- valutare e revisionare lo standard di qualità della clientela;
- analizzare gli standard dei prodotti della concorrenza;
- assistere i clienti della società spagnola;
- assistere gli affittuari in caso di contestazioni generate da disservizi riscontrati negli
appartamenti;
- fare ricerche di marketing.
Il quesito mirava a chiarire se le attività sopra descritte, ai fini della territorialità
dell’Iva, dovessero qualificarsi come prestazioni di servizi generiche, soggette pertanto alla
regola generale dell’art. 7-ter del dpr 633/72, oppure come prestazioni di servizi relative a
beni immobili, soggette al criterio speciale dell’art. 7-quater, lett. a).
Al riguardo, l’agenzia delle entrate ha espresso l’avviso che le prestazioni in esame,
seppure connesse all’utilizzo degli appartamenti situati in Italia, non sono caratterizzate
dall’esistenza di una relazione concreta ed effettiva con il bene immobile, per cui non
rientrano fra quelle disciplinate dall’art. 7-quater, lett. a), ma rifluiscono nelle prestazioni
generiche disciplinate dalla regola generale. In particolare, ha aggiunto l’amministrazione,
per quanto concerne le prestazioni di agenzia menzionate dall’art. 7-quater, lett. a), la
previsione, alla luce della normativa comunitaria, riguarda solo le prestazioni delle agenzie
immobiliari.
Nozione di bene immobile
Venendo ora al primo aspetto, la nozione di “bene immobile” agli effetti dell’Iva non
è definita né nella normativa nazionale né in quella comunitaria.2 Quest’ultima, attualmente,
offre soltanto un riferimento utile con riguardo alla nozione di “fabbricato”, statuendo – nel
quadro delle norme sulla soggettività passiva – che si considera tale “qualsiasi costruzione
incorporata al suolo” (art. 12, par. 2, primo comma, direttiva n. 112 del 2006).
L’art. 812, primo comma, del codice civile qualifica beni immobili “il suolo, le
sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo
a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al
suolo”. Il secondo comma considera inoltre beni immobili “i mulini, i bagni e gli altri edifici
galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad
esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione”. Il terzo comma, infine, definisce in
via residuale la categoria dei beni mobili, inserendovi tutti gli altri beni.
La giurisprudenza della Corte di giustizia insegna però che le nozioni di diritto
comunitario devono ricevere un’interpretazione comune, necessaria per l’applicazione
uniforme del diritto, sicché non è consentito elaborare interpretazioni basate sulle
disposizioni degli ordinamenti nazionali.
Per quanto attiene alla nozione di beni immobili, qualche indicazione si ricava dalla
sentenza 16/1/2003, C-315/00, con la quale la corte ha definito una questione pregiudiziale
relativa al trattamento applicabile alle locazioni di edifici prefabbricati, a uno o due piani,
che avevano le seguenti caratteristiche:
- erano costruiti con elementi prefabbricati, paragonabili a case prefabbricate, che
poggiavano su piattaforme di cemento realizzate su fondamenta interrate
- le pareti, realizzate mediante pannelli, erano fissate a mezzo di viti su bulloni inseriti nelle
fondamenta
- i tetti erano ricoperti di tegole
- i pavimenti e le pareti dei servizi e delle cucine erano piastrellati
- il sistema di costruzione utilizzato consentiva in ogni momento lo smontaggio dei
fabbricati da parte di otto persone in un arco di dieci giorni e la loro successiva
riutilizzazione.
La corte, rilevato che tali edifici non si muovono né sono facilmente spostabili,
poiché occorrerebbe il lavoro di otto persone per dieci giorni, ha ritenuto che “tali fabbricati,
costituiti da costruzioni incorporate al suolo, costituiscano beni immobili. A tale proposito è
rilevante che le costruzioni non siano facilmente smontabili e spostabili, ma, contrariamente
a quanto sostiene il governo tedesco, non è necessario che siano indissolubilmente
incorporate al suolo.” La nozione di fabbricato così definita, prosegue la corte, corrisponde
alla definizione di tale termine figurante all’art. 4, n. 3, lett. a), della sesta direttiva (ora art.
2
A questa lacuna intende porre rimedio la proposta di regolamento della Commissione europea del 18 dicembre 2012,
che si prefigge di introdurre, ai fini dell’applicazione delle norme sulla localizzazione delle operazioni, la nozione di
beni immobili e precisare i casi in cui la prestazione deve considerarsi relativa a tali beni.
12, par. 2, della direttiva 112 del 2006), relativo alla cessione di un fabbricato o di una
frazione di fabbricato. Non vi è infatti motivo di distinguere tale nozione a seconda che si
tratti di un’operazione di locazione o di un’operazione di cessione.
Un’altra indicazione si ricava dalla disposizione dell’art. 34 del regolamento n.
282/2011, già contenuta nell’art. 5 del precedente regolamento n. 1777/2005. Tale
disposizione stabilisce che la prestazione di montaggio delle diverse parti di un macchinario
deve considerarsi, ai fini della territorialità, una lavorazione di beni mobili materiali, “ad
eccezione del caso in cui i beni montati diventano parte di beni immobili”. L’eccezione
sottende, evidentemente, una diversa qualificazione della prestazione nell’ipotesi in cui i
beni mobili si incorporino in un bene immobile, diversità che, pare corretto ritenere, si
concretizza nell’inquadrare in tale ipotesi la prestazione fra quelle relative ad un bene
immobile.
Dall’art. 34 del regolamento pare quindi lecito desumere che la nozione di bene
immobile, agli effetti della determinazione del luogo delle prestazioni di servizi, non sia
riferibile soltanto agli edifici, ma anche agli impianti stabilmente incorporati al suolo o al
fabbricato. In senso contrario, si veda però la risoluzione ministeriale 7 luglio 1994, n. VII15-558, nella quale è stato dichiarato che le prestazioni di servizi di manutenzione e
riparazione impianti (per il vero, non meglio specificati) seguono il criterio di territorialità
dei servizi relativi ai beni mobili.
L’intensità del collegamento: l’utilizzazione dell’immobile
L’esplicita menzione, nell’ambito della riformulata disposizione dell’art. 7-quater,
lett. a), della concessione dei diritti di utilizzazione di un bene immobile, non ha portata
realmente innovativa, in quanto si era già espressa in tal senso la corte di giustizia Ue con la
sentenza 7 settembre 2006, causa C-166/05.
La questione pregiudiziale mirava a chiarire il criterio per individuare il luogo di
imposizione della prestazione di servizi consistenti nella rivendita di permessi di pesca. La
controversia principale era sorta fra l’amministrazione fiscale austriaca e una società
tedesca, senza stabile organizzazione né identificazione Iva in Austria, che acquistava
permessi che legittimano la pesca in fiumi austriaci presso una società ivi stabilita e li
rivendeva a numerosi clienti di vari paesi comunitari. Secondo l’amministrazione, la
rivendita dei permessi costituiva un’operazione imponibile nel proprio territorio in quanto
prestazione relativa a beni immobili ivi situati, mentre la società riteneva invece di dover
applicare l’Iva tedesca, in base alla regola generale che localizzava le prestazioni di servizi
nel paese in cui è stabilito il prestatore. L’avvocato generale non aveva condiviso la tesi
dell’amministrazione, ritenendo che rientrassero nella disciplina particolare le prestazioni di
servizi forniti “al” bene immobile stesso, e non per mezzo di esso. La fornitura di permessi
di pesca, aveva osservato l’avvocato, non è un servizio il cui oggetto è l’alterazione
giuridica o fisica del bene immobile a cui essi sono relativi, ma autorizza i singoli a godere,
su base non esclusiva, di uno o più possibili usi dell’immobile stesso: si tratta di un servizio
che deriva dal bene immobile stesso piuttosto che di un servizio ad esso prestato.
La corte è stata però di diverso avviso. Ha ricordato, anzitutto, che la regola generale
per determinare il luogo di collegamento fiscale e i collegamenti specifici previsti per talune
prestazioni, tra i quali quello che regola i servizi relativi a beni immobili, non possono
considerarsi in rapporto di “regola” ed “eccezione”, sicché i collegamenti specifici non sono
sottoposti al principio dell’interpretazione restrittiva.
Ciò premesso, per risolvere la questione occorre in primo luogo verificare se la
rivendita dei permessi di pesca possa essere considerata una prestazione di servizi e se le
parti di fiume cui si riferiscono i permessi possano essere qualificate beni immobili. Posto
che l’Austria non sembra essersi avvalsa della facoltà, accordata dall’art. 5, n. 3, della sesta
direttiva, di considerare determinati diritti su beni immobili come “beni materiali”, la
cessione a titolo oneroso dei permessi di pesca non può essere qualificata cessione di beni,
per cui costituisce una prestazione di servizi.
Quanto alla nozione di “bene immobile”, una delle caratteristiche fondamentali di un
tale bene è il collegamento ad una porzione determinata della superficie terrestre, ancorché
delimitata o sommersa permanentemente dall’acqua. I diritti di pesca possono essere
esercitati nei tratti del corso d’acqua considerato; essi riguardano determinate zone
geografiche e sono collegati, quindi, ad una superficie ricoperta d’acqua delimitata
permanentemente. I tratti del fiume cui si riferiscono i permessi devono pertanto essere
considerati beni immobili ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. a), della sesta direttiva.
Resta da stabilire se la prestazione in esame si ponga in relazione ai detti beni
immobili con un nesso sufficiente a fini della disposizione in esame, che infatti non può
applicarsi alle prestazioni che presentino un nesso minimo con l’immobile. Solo le
prestazioni di servizi che presentano un nesso sufficientemente diretto con un bene
immobile rientrano, infatti, nell’ambito di applicazione della predetta disposizione (nesso
che caratterizza, d’altronde, tutte le prestazioni di servizi elencate nella disposizione stessa).
Su questo punto decisivo la corte ha dichiarato che poiché i diritti di pesca possono
essere esercitati solo in rapporto al fiume considerato e nei tratti menzionati nei permessi, il
corso d’acqua rappresenta elemento integrante dei permessi e, pertanto, della relativa
cessione. Nella fattispecie, pertanto, il fiume costituisce un elemento centrale ed
indispensabile della prestazione; inoltre, il luogo di ubicazione dell’immobile corrisponde al
luogo di consumo finale del servizio.
Il tema è stato nuovamente affrontato dalla corte nella causa C-37/08, che poneva la
questione pregiudiziale del luogo di tassazione delle prestazioni rese da un’associazione che
gestisce un circuito finalizzato allo scambio dell’utilizzo di immobili in multiproprietà,
percependo dagli associati una quota di iscrizione, una quota annuale e una commissione di
scambio. Era sorto, al riguardo, un contrasto fra il Regno Unito, che riteneva applicabile la
regola generale, e la Spagna, che invece riteneva applicabile il criterio speciale previsto per
le prestazioni di servizi relativi a beni immobili.
Nella sentenza, pronunciata il 3 settembre 2009, la corte ha stabilito che l’Iva è
dovuta nel luogo in cui si trova il bene immobile messo a disposizione dall’associato.
La corte ha osservato anzitutto che le quote di iscrizione e le quote associative
annuali sono corrisposte dagli associati per aderire al programma di scambio dei diritti di
godimento degli immobili, sicché costituiscono il corrispettivo del servizio prestato
dall’associazione. La circostanza che il contributo annuale sia forfetario e non possa essere
riferito ad ogni utilizzazione (che potrebbe anche non esservi) non incide sul fatto che
prestazioni reciproche sono scambiate tra i soci e il prestatore di servizi, per cui dette quote
devono essere considerate come il corrispettivo della partecipazione ad un sistema concepito
inizialmente per consentire ad ogni associato di scambiare il proprio diritto di godimento.
Quanto alle commissioni di scambio, sono riferibili ad elementi strumentali al
conseguimento del predetto scopo.
Venendo alla questione della territorialità, la corte ha ricordato di avere precisato
nella sentenza del 7 settembre 2006, richiamata sopra, che per applicare il criterio stabilito
per le prestazioni relative a beni immobili occorre un nesso sufficientemente diretto tra la
prestazione e il bene immobile. Nella fattispecie, la relazione sussiste se si tiene conto dello
scopo del rapporto tra l’associazione e gli associati; inoltre i diritti di godimento
costituiscono diritti su beni immobili, la cui cessione in cambio del godimento di diritti
analoghi costituisce una transazione relativa a beni immobili. In definitiva, ha concluso la
corte, le prestazioni in esame devono considerarsi relative a beni immobili e il luogo
dell’imposizione coincide con il territorio nel quale è situato l’immobile il cui diritto di
godimento viene ceduto dall’associato.
Deposito di merci
Nella circolare n. 28 del 21 giugno 2011, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che la
custodia di merci in un deposito all’estero per conto di un operatore economico italiano
deve assolvere l’Iva in Italia in base alla regola generale di localizzazione dei servizi
“B2B”; tale prestazione, ad avviso dell’Agenzia, non rientra infatti tra i servizi relativi a
beni immobili sui quali l’imposta è dovuta nel luogo in cui è situato l’immobile. Di
conseguenza, il committente nazionale deve provvedere ad assolvere l’imposta con il
meccanismo dell’inversione contabile, anche se abbia ricevuto dal fornitore comunitario la
fattura con addebito dell’Iva estera.
L’agenzia, posto che, ai sensi dell’art. 1766 del codice civile, con il contratto di
deposito una parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di
restituirla in natura, ritiene che le prestazioni di deposito merci non possano classificarsi fra
le prestazioni di servizi relative ai beni immobili, ma debbano essere ricondotte nella regola
generale recepita nell’art. 7-ter.
La questione della qualificazione delle prestazioni in esame ha formato oggetto del
procedimento pregiudiziale C-155/12 davanti alla Corte di giustizia Ue. All’origine della
questione, la controversia fra l’amministrazione finanziaria polacca e un’impresa che
fornisce ad operatori economici un servizio complesso di stoccaggio merci che include il
ricevimento delle merci in magazzino e la sistemazione nelle aree di stoccaggio, la custodia,
l’imballaggio per i clienti, la consegna, lo scarico e il carico; per alcuni clienti, inoltre, la
società provvede anche al reimballaggio in confezioni singole del materiale consegnato in
blocco. L’impresa riteneva che tali servizi dovessero considerarsi soggetti all’Iva nel paese
di stabilimento del committente, in base alla regola generale di localizzazione delle
prestazioni, mentre l’amministrazione sosteneva trattarsi di servizi relativi ad un bene
immobile, tassabili in Polonia secondo il criterio speciale che attribuisce rilievo al luogo in
cui si trova l’immobile.
Nella sentenza, pronunciata il 27 giugno 2013, la Corte ha osservato che occorre
anzitutto stabilire se, nel caso in esame, si è in presenza di una prestazione unica oppure di
prestazioni distinte e indipendenti, ricordando che si versa nella prima ipotesi quando i
diversi elementi della prestazione complessa sono così strettamente collegati da formare,
oggettivamente, un’unica prestazione economica indissociabile la cui scomposizione
avrebbe carattere artificiale, oppure quando è individuabile una prestazione principale,
rispetto alla quale le altre hanno funzione accessoria.
Nella fattispecie, lo stoccaggio delle merci costituisce, in linea di massima, la
prestazione principale, mentre il ricevimento, la sistemazione, la consegna, lo scarico e il
carico delle merci configurano soltanto prestazioni accessorie perché per la clientela non
hanno una finalità propria. Ciò non vale però per il reimballaggio in confezioni singole delle
merci consegnate in blocco, che deve considerarsi una prestazione principale autonoma in
tutti i casi in cui il nuovo confezionamento non è indispensabile per garantire un migliore
stoccaggio delle merci.
Individuata così la natura dell’operazione, si può passare ad esaminare la questione
se tale prestazione principale sia qualificabile come relativa ad un bene immobile. La
soluzione è affermativa se la prestazione è collegata a un bene immobile espressamente
determinato ed ha per oggetto il bene immobile stesso. Ciò si verifica, in particolare,
qualora un bene immobile espressamente determinato debba essere considerato come
elemento costitutivo di una prestazione di servizi, in quanto ne costituisce un elemento
centrale e indispensabile. Pertanto, ha concluso la corte, una prestazione di stoccaggio come
quella in esame nel procedimento principale, che non può essere considerata relativa alla
sistemazione, alla gestione o alla valutazione di un bene immobile, può rientrare nell’ambito
di applicazione del criterio speciale soltanto se viene riconosciuto al suo beneficiario il
diritto di utilizzare in tutto o in parte un bene immobile espressamente determinato.
Evoluzione normativa (de iure condendo)
Le difficoltà applicative del criterio speciale in esame hanno indotto la Commissione
europea a proporre una soluzione normativa delle incertezze in merito alla nozione di beni
immobili ed alla relazione necessaria per qualificare specificamente la prestazione. La
proposta della commissione si è concretizzata nel regolamento Ue n. 1042 del 7 ottobre
2013, pubblicato sulla G.U.U.E. serie L 284 del 26 ottobre 2013. Vediamo le disposizioni
che interessano i servizi relativi agli immobili, precisando che, al fine di consentire agli Stati
membri l’adeguamento della prassi e della legislazione in materia, dette disposizioni si
applicano dal 1° gennaio 2017. Di seguito si citano gli articoli del regolamento n. 282/2011,
come modificati dal regolamento n. 1042/2013.
Nozione di bene immobile
L’art. 13-ter del regolamento stabilisce che, ai fini dell’applicazione della direttiva
Iva, si considerano beni immobili:
a) una parte specifica del suolo, in superficie o nel sottosuolo, su cui sia possibile costituire
diritti di proprietà e il possesso
b) qualsiasi fabbricato o edificio eretto sul o incorporato al suolo, sopra o sotto il livello del
mare, che non sia agevolmente smontabile né agevolmente rimuovibile
c) qualsiasi elemento che sia stato installato e che formi parte integrante di un fabbricato o
di un edificio e in mancanza del quale il fabbricato o l’edificio risulti incompleto, quali
porte, finestre, tetti, scale e ascensori
d) qualsiasi elemento, apparecchio o congegno installato in modo permanente in un
fabbricato o in un edificio, che non possa essere rimosso senza distruggere o alterare il
fabbricato o l’edificio.
Relazione tra il servizio e il bene
L’art. 31-bis del regolamento ribadisce anzitutto che, come chiarito dalla Corte di
giustizia, i servizi relativi a beni immobili comprendono soltanto quelli che presentano un
nesso sufficientemente diretto con tali beni.
Viene poi chiarito che il suddetto requisito sussiste per i servizi:
1) derivati da un bene immobile se il bene è un elemento costitutivo del servizio ed è
essenziale e indispensabile per la sua prestazione
2) erogati o destinati a un bene immobile, aventi per oggetto l’alterazione fisica o giuridica
del bene.
Al riguardo, in via esemplificativa viene inoltre precisato che considerano servizi
relativi al bene immobile, tra gli altri:
- l’elaborazione di progetti per un fabbricato destinato a un particolare lotto di terreno,
anche se poi non sia realizzato; non vi rientra, invece, il progetto che non si riferisca a un
particolare terreno;
- i servizi di sorveglianza e di sicurezza nel luogo dell’immobile;
- il magazzinaggio di merci con assegnazione di una parte specifica dell’immobile ad uso
esclusivo del destinatario, mentre in difetto di tale esclusività la prestazione non si considera
di natura immobiliare;
- i servizi legali riguardanti la cessione o il trasferimento di proprietà di immobili, quali le
pratiche notarili o la stesura dei contratti di compravendita, anche qualora l’operazione non
vada poi a buon fine;
- la cessione e la trasmissione di diritti per l’utilizzo di un bene immobile o di sue parti, in
particolare licenze per l’utilizzo di parte di un immobile, come la concessione di diritti di
pesca e di caccia o l’accesso a sale d’aspetto negli aeroporti, o l’uso di infrastrutture
soggette a pedaggio, quali ponti o tunnel;
- la gestione immobiliare (diversa dalla gestione del portafoglio di investimenti
immobiliari), consistente nella gestione di beni immobili commerciali, industriali o
residenziali da o per conto del proprietario;
- l’attività di intermediazione nella vendita, nell’affitto o nella locazione di beni immobili e
per determinati diritti su beni immobili o diritti reali assimilati a beni materiali (diverse dalle
attività di intermediazione nella prestazione di alloggio nel settore alberghiero o in settori
con funzione analoga).
Sono anche fornite esemplificazioni “in negativo”. E’ stabilito, ad esempio, che non è
un servizio immobiliare la messa a disposizione di stand in fiere o luoghi di esposizione,
nonché dei servizi correlati atti a consentire l’esposizione dei prodotti, quali la progettazione
dello stand, il trasporto e il magazzinaggio dei prodotti, la fornitura di macchinari, la posa di
cavi, l’assicurazione e la pubblicità, nonché le prestazioni di servizi pubblicitari, anche se
comportano l’uso di beni immobili.
Si riporta il paragrafo 3.1.2 della circolare n. 37/2011, concernente “linee guida per la distinzione tra beni
mobili e beni immobili”
In seguito alla riforma dei principi generali che disciplinano la territorialità delle prestazioni di
servizi, risulta ora essenziale – in relazione alle prestazioni di servizi relativi a beni materiali – verificare se
tali beni siano immobili ovvero mobili.
Anteriormente al 1° gennaio 2010, agli effetti della territorialità dell’imposizione, non assumeva di
fatto rilievo la distinzione tra le prestazioni relative a beni immobili e quelle relative a beni mobili. Fino al
31 dicembre 2009, infatti, in forza delle disposizioni contenute nelle lettere a) e b) del quarto comma
dell’articolo 7 del d.P.R. n. 633, le prestazioni di servizi relative a un immobile si consideravano effettuate,
come pure attualmente avviene, nel territorio dello Stato in cui era situato l’immobile medesimo, mentre le
prestazioni di servizi relative a un bene mobile (ad esempio, un impianto riparato in loco, senza essere
trasportato altrove) si consideravano in ogni caso effettuate nel luogo in cui erano materialmente eseguite.
Tali luoghi normalmente coincidevano, per cui la difficoltà di qualificare un determinato bene come mobile
o immobile non avrebbe comportato incertezze in sede di determinazione del luogo di effettuazione
dell’operazione (si immagini, ad esempio, il caso di un committente italiano che avesse affidato a un
fornitore francese la riparazione di un impianto incorporato in un immobile situato in Italia, intervento a
sua volta subappaltato dal soggetto francese a un soggetto tedesco: a prescindere dalla qualificazione
dell’impianto come bene mobile o bene immobile, fino al 31 dicembre 2009 le prestazioni di servizi citate
sarebbero state da assoggettare a IVA in Italia).
Nell’attuale quadro normativo i servizi relativi a beni mobili resi a committenti soggetti passivi
d’imposta si considerano, come rilevato, effettuati nello Stato del committente – in carenza di una espressa
previsione di deroga al criterio-base di territorialità – mentre i servizi relativi a immobili resi a tali soggetti
continuano a considerarsi effettuati nello Stato ove è situato l’immobile.
In tale quadro, assume fondamentale importanza la distinzione fra beni mobili e beni immobili.
Trattandosi di profili di territorialità dell’imposizione, nel procedere a tale distinzione dovrà aversi
riguardo ai criteri operanti con riferimento all’IVA, quali risultanti dalla disciplina comunitaria come
interpretata dalla Corte di Giustizia
Al riguardo, particolare rilievo assume la disposizione contenuta nell’articolo 12, paragrafo 2,
primo comma, che - con specifico riferimento alla acquisizione dello status di soggetto passivo d’imposta –
stabilisce che “si considera <<fabbricato>> qualsiasi costruzione incorporata al suolo”.
Da ciò si ricava implicitamente che quando tali beni siano fissati stabilmente, gli stessi sono da
considerare agli effetti dell’IVA quali beni immobili. A conclusioni sostanzialmente analoghe si giunge sulla
base dell’orientamento costante più volte ribadito dalla scrivente [si veda, da ultimo, il punto 1.8.a) della
circolare n. 38/E del 23 giugno 2010], e cioè che si è in presenza di beni immobili quando non sia possibile
separare il bene mobile dall’immobile (terreno o fabbricato) senza alterare la funzionalità del bene stesso o
quando per riutilizzare il bene in un altro contesto con le medesime finalità debbano essere effettuati
antieconomici interventi di adattamento.
Ne consegue che, agli effetti della determinazione del luogo di effettuazione dell’operazione,
quando il bene mobile – nel momento in cui il servizio è eseguito – sia fissato stabilmente e non possa essere
separato (a meno di alterarne la funzionalità o di antieconomici interventi di adattamento), non opererà il
criterio base del committente, bensì la disposizione specifica prevista per i servizi relativi a beni immobili.
Per i beni situati in Italia, nelle more dell’emanazione da parte dell’Unione Europea di criteri generali atti a
distinguere beni mobili da beni immobili, occorre altresì aver riguardo all’eventuale accatastamento del
bene, elemento che lascia presumere di norma che il bene medesimo abbia caratteristiche tali da essere
qualificato come immobile.
Transito nei trafori alpini
Con decisione del 7 dicembre 2004, n. 2004/853/CE, il consiglio dell’Ue ha
autorizzato la Francia e l’Italia ad applicare, per ragioni di semplificazione, un criterio
particolare, detto “sistema dell’incasso”, per la riscossione dell’Iva sui pedaggi di transito
veicolare nei trafori del Monte Bianco e del Fréjus. Tale criterio, in deroga a quello previsto
dall’art. 9, par. 2), della sesta direttiva per le prestazioni su beni immobili, trasfuso ora
nell’art. 7 quater, lett. a), del dpr 633/72, consiste nel considerare l’intera lunghezza di un
senso della carreggiata all’interno del tunnel come parte del territorio dello stato membro
nel quale inizia il transito in quella direzione. Di conseguenza, lo stato membro nel cui
territorio inizia il transito può applicare e riscuotere la propria Iva sul pedaggio relativo
all’intero tratto, anziché solo alla tratta compresa nel proprio territorio.
Al riguardo, con risoluzione n. 67 del 1° giugno 2005, l’agenzia delle entrate ha
riconosciuto l’applicabilità della decisione anche per il periodo anteriore alla sua
emanazione. Ha ritenuto, inoltre, che il criterio speciale valga non solo per i biglietti di
singolo transito, ma anche per i carnet e gli abbonamenti, che sconteranno quindi l’Iva con
l’aliquota applicabile nello stato in cui avviene la cessione. Infine, l’agenzia ha chiarito che
il conguaglio annuale tra le due società che gestiscono il traforo costituisce una semplice
movimentazione finanziaria, resa necessaria dalla circostanza che ciascuna delle due ha
diritto al 50% degli incassi totali, a prescindere dalle vendite effettuate singolarmente; tale
movimentazione, pertanto, non costituisce il corrispettivo di una prestazione di servizio o
della cessione di un bene, per cui esula dalla sfera impositiva.
Per connessione d’argomento, si segnala che con decisione 21 ottobre 2004, n.
2004/737/CE, il consiglio dell’Ue ha autorizzato l’Italia a concludere un accordo con la
Svizzera per non imporre l’Iva sui pedaggi del traforo del Gran San Bernardo. Questa
autorizzazione, tuttavia, non deroga ai criteri di territorialità, bensì al principio generale
dell’imposizione delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi.
3.2 Trasporto di passeggeri
Una seconda categoria di prestazioni disciplinate oggettivamente in modo speciale è
quella dei trasporti di persone, per i quali è stato confermato, all’art. 7-quater, lett. b), il
criterio della rilevanza proporzionale già previsto dalla lettera c) dell’art. 7. Tali prestazioni,
pertanto, si considerano effettuate nel territorio dello stato in proporzione alla distanza ivi
percorsa. Diversamente che nella precedente disciplina, questo criterio non è più applicabile
ai trasporti di merci (salvo quanto si dirà appresso per i trasporti nei confronti di privati).
Il criterio in esame comporta, nel caso in cui il trasporto interessi il territorio di più
paesi membri, il frazionamento del servizio e la sua localizzazione in ciascuno di essi,
proporzionalmente alla percorrenza, mentre l’eventuale tratta percorsa fuori della Comunità
è del tutto irrilevante.
Dal punto di vista interno, in sostanza, si ha che:
- se il trasporto avviene interamente nel territorio nazionale, è integralmente soggetto
all’Iva italiana
- se avviene interamente all’estero, è completamente escluso dalla sfera di applicazione
dell’Iva italiana
- se avviene parte in Italia e parte all’estero, è soggetto all’imposta in Italia soltanto proquota, per la parte corrispondente alla distanza percorsa nel nostro territorio.
Si deve tenere presente che, nel caso (e nei limiti) in cui il trasporto sia
territorialmente rilevante, resta fermo, qualora ricorrano i presupposti, il trattamento di non
imponibilità previsto dall’art. 9, n. 1), del dpr n. 633/72 per i trasporti di persone eseguiti in
parte nel territorio nazionale e in parte in territorio estero in dipendenza di un unico
contratto.
In merito alle modalità della suddivisione della base imponibile nel caso di trasporti
eseguiti in più territori, era stata sollevata la questione se dovesse farsi riferimento
esclusivamente alle distanze percorse, come stabilisce la norma, oppure se potesse tenersi
conto anche di altri fattori, quali il tempo d’impiego del mezzo di trasporto e della
permanenza dei viaggiatori all’interno di ciascun territorio, in considerazione del fatto che
una notevole parte dei costi dell'impresa è imputabile non al chilometraggio, bensì al tempo
trascorso.
Respingendo la tesi prospettata da un’impresa tedesca e condivisa dalla Commissione
europea, la corte di giustizia Ue, con sentenza del 6 novembre 1997, causa C-116/96, ha
chiarito che la disposizione della direttiva implica che la suddivisione tra i vari luoghi sia
fondata sul criterio delle distanze percorse. Se si ammettessero principi diversi, si finirebbe
per privare il criterio in esame di qualsiasi valore reale, correndo il rischio di causare
incertezze circa i metodi di ripartizione della base imponibile tra gli stati interessati;
incertezze che potrebbero indurre gli amministrati ad applicare il modo di calcolo a loro più
conveniente, a seconda delle normative dei vari stati, scartando eventualmente un metodo di
ripartizione fondato su criteri semplici e obiettivi.
Il frazionamento del servizio in ambito comunitario
Come detto, il criterio della distanza percorsa nel territorio dello stato comporta che
la prestazione di trasporto di passeggeri, seppure unitaria, vada ripartita, ai fini della
tassazione Iva, tra i vari paesi membri interessati, ciascuno dei quali ha diritto a riscuotere la
quota d’imposta corrispondente alla tratta percorsa nel proprio territorio. Ipotizzando un
tragitto Roma-Bonn, con attraversamento di Italia, Francia e Germania, la prestazione sarà
territoriale nei tre paesi, proporzionalmente alla tratta percorsa in ciascuno di essi. Dal
limitato punto di vista nazionale, può dirsi che il corrispettivo del servizio
proporzionalmente imputabile alla distanza percorsa in Francia e Germania è fuori campo
Iva per mancanza di territorialità (per cui non rileva né ai fini degli obblighi formali, né del
volume d’affari, ferma restando la rilevanza ai fini del diritto di detrazione).
Nondimeno, l’attraversamento degli altri paesi comunitari implica la localizzazione
pro-quota della prestazione in ognuno di essi. Qualche anno addietro suscitò clamore
l’iniziativa assunta da alcuni paesi comunitari, che tassano i trasporti di persone con
autocorriere effettuati da imprese stabilite in altri stati in occasione dell’attraversamento del
proprio territorio; la pretesa, tuttavia, è perfettamente in linea con il criterio di territorialità
qui esaminato.
E’ opportuno precisare che la richiamata previsione nazionale che dichiara non
imponibile il trasporto internazionale di persone dipendente da un unico contratto, è
autorizzata dalla direttiva comunitaria in via di deroga transitoria, per cui non è armonizzata.
Trasporto di persone o noleggio con conducente
Non sempre è agevole distinguere la prestazione di trasporto da quella di noleggio
del mezzo con conducente; la contiguità delle due figure contrattuali rende a volte difficile
stabilire, analizzando le obbligazioni negoziali, se l’oggetto del contratto sia il semplice
spostamento di persone da un luogo all’altro (contratto tipico di trasporto) oppure la
concessione in godimento del mezzo con disimpegno del servizio di guida (contratto misto
di noleggio con conducente).
Con circolare 14 gennaio 1998, n. 7/E, il ministero delle finanze ha assimilato, ai fini
dell’aliquota Iva applicabile, le prestazioni derivanti da noleggio con conducente a quelle di
trasporto di persone. Tale presa di posizione non è tuttavia risolutiva di tutti gli aspetti
connessi al problema della corretta individuazione del negozio giuridico; infatti, ove si tratti
di stabilire il regime della territorialità, diviene fondamentale distinguere il contratto di
trasporto da quello di noleggio, applicandosi al primo il criterio qui in esame, al secondo,
come si vedrà nel prosieguo, criteri diversificati in ragione della durata del noleggio e dello
status del committente.
Semplificazioni per i trasporti marittimi e aerei
In considerazione delle difficoltà, rappresentate dalle imprese di navigazione
marittima, di individuare l’esatta quota del corrispettivo imputabile, nei singoli trasporti,
alla tratta percorsa nel mare territoriale, con circolare n. 11 del 7 marzo 1980 il ministero
delle finanze, sentito il ministero della marina mercantile, ha consentito la determinazione
forfetaria della tratta territorialmente rilevante nella misura del 5% del singolo trasporto.
Con risoluzione n. 89 del 23 aprile 1997, analoga misura di semplificazione è stata
disposta nei confronti di un’impresa di trasporti aerei, alla quale è stato consentito di
determinare la quota territorialmente rilevante nella misura del 38% dell’intero tragitto del
singolo volo internazionale. La risoluzione richiama un precedente provvedimento adottato
nei confronti di altra compagnia di trasporti aerei (ris. 405778 del 26 ottobre 1983).
Le predette semplificazioni sono state confermate dalla circolare n. 37/2011.
3.3 Ristorazione e catering
Un altro criterio specifico, introdotto dalla riforma del 2010, riguarda le prestazioni
di servizi di ristorazione e catering, che nel precedente sistema rifluivano nella regola
generale, mentre ora si considerano effettuate nel territorio dello stato quando sono
materialmente eseguite nel territorio stesso (fanno eccezione le prestazioni di cui al
successivo punto 3.4). In tal senso dispone infatti l’art. 7-quater, lett. c, dpr 633/72.
In ordine alla qualificazione oggettiva dei servizi in esame, l’art. 6 del regolamento n.
282/2011 precisa che essi consistono nella fornitura di cibi e/o bevande, preparati o non
preparati, destinati al consumo umano, accompagnata da servizi di supporto sufficienti da
permetterne il consumo immediato. La fornitura di cibi o bevande o di entrambi costituisce
solo una componente dell’insieme in cui i servizi prevalgono ampiamente. Nel caso della
ristorazione tali servizi sono prestati nei locali del prestatore, mentre nel caso del catering i
servizi sono prestati in locali diversi da quelli del prestatore.
L’art. 6 precisa altresì che non si considera servizio di ristorazione o di catering la
fornitura di cibi preparati o non preparati o di bevande o di entrambi, con o senza trasporto,
non accompagnata da altri servizi di supporto; in tal caso, quindi, l’operazione si deve
qualificare come cessione di beni, rispetto alla quale l’eventuale sevizio di trasporto è
meramente accessorio.
Sulle caratteristiche delle prestazioni di ristorazione e catering, si veda anche la
sentenza della corte di giustizia Ue del 10 marzo 2011, cause riunite C-497/09, C-499/09,
C-501/09 e C-502/09.
3.4 Ristorazione e catering “a bordo”
Nel caso in cui le prestazioni di servizi di ristorazione e catering siano rese a bordo di
una nave, di un aereo o di un treno nel corso della parte di un trasporto di passeggeri
effettuata all’interno della Comunità, per evidenti ragioni di semplificazione, in
considerazione delle difficoltà di applicazione del criterio indicato al punto precedente, è
stabilito che esse si considerano effettuate nel luogo di partenza. La relativa previsione è
dettata dall’art. 7-quater, lett. d), dpr 633/72.
Ai fini dell’applicazione di questa disposizione, l’art. 7, lett. e), fornisce le seguenti
definizioni, già viste a proposito delle cessioni di beni a bordo di treni, navi o aerei nel corso
di trasporti intracomunitari:
- per “parte di un trasporto di passeggeri effettuata all’interno della Comunità” si intende la
parte di trasporto che non prevede uno scalo fuori della Comunità tra il luogo di partenza e
quello di arrivo
- per “luogo di partenza” si intende il primo punto d’imbarco di passeggeri previsto nella
Comunità, eventualmente dopo uno scalo fuori della Comunità
- per “luogo di arrivo” si intende l’ultimo punto di sbarco nella Comunità, eventualmente
prima di uno scalo fuori della Comunità
- il percorso di ritorno è considerato come un trasporto distinto da quello di andata.
Per esempio, nell’ambito di un tragitto circolare che parte dall’Italia, attraversa la
Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria, per concludersi in Italia, il criterio speciale qui
in esame troverà applicazione nelle seguenti tratte comunitarie:
a) Italia-Francia-Germania (luogo di tassazione l’Italia)
b) Austria-Italia (luogo di tassazione l’Austria)
Nella tratta Svizzera-Italia, si applicherà il criterio del luogo di esecuzione materiale della
prestazione, di cui al precedente punto 3.3.
Si consideri, inoltre, l’esempio del viaggio dall’Italia alla Francia e ritorno: in questo
caso la tassazione avverrà in Italia per il viaggio di andata e in Francia per quello di ritorno.
Anche nei riflessi della disposizione in esame, il regolamento n. 282/2011 fornisce
alcune precisazioni.
In primo luogo, l’art. 35 chiarisce che la parte di un trasporto di passeggeri effettuata
all’interno della Comunità è determinata dal tragitto del mezzo di trasporto e non dal tragitto
compiuto da ciascun viaggiatore.
L’art. 36 chiarisce poi che:
- le prestazioni fornite durante la suddetta parte di trasporto seguono il criterio di
territorialità qui in esame
- le prestazioni fornite al di fuori di tale parte di trasporto, ma sul territorio di uno stato
membro (ad esempio, servizio di ristorazione a bordo di un treno in viaggio da Parigi a
Zurigo, materialmente espletato durante il tragitto nel territorio francese), seguono il criterio
del luogo di materiale esecuzione di cui al precedente punto 3.3.
Infine, l’art. 37 chiarisce che se un unico servizio di ristorazione o catering è
effettuato parzialmente durante la parte di un trasporto di passeggeri effettuata all’interno
della Comunità e parzialmente al di fuori di tale parte, ma sul territorio di uno stato
membro, il luogo della prestazione è determinato, per la sua totalità, in base al criterio
applicabile all’inizio della prestazione stessa.
Si riportano di seguito i chiarimenti contenuti nel paragrafo 3.1.5 della circolare n. 37/2011
Come si ricava anche dall’articolo 35 del regolamento, la parte di un trasporto di passeggeri
effettuata all’interno della Comunità è determinata non in termini soggettivi, in funzione del singolo
passeggero, ma in termini oggettivi, in funzione del tragitto del mezzo di trasporto.
Si consideri, in via esemplificativa, un trasporto a mezzo nave Genova –Barcellona – Cagliari –
Patrasso - Alessandria d’Egitto. Le prestazioni di ristorazione rese nella tratta Genova - Patrasso sono
soggette a IVA in Italia, Stato in cui è sito il primo punto di imbarco nella Comunità, mentre nella tratta
Patrasso - Alessandria d’Egitto trova applicazione il criterio base in materia di prestazioni di ristorazione,
dovendosi quindi determinare il luogo di effettuazione in funzione dello Stato nelle cui acque nazionali si
trova la nave al momento dell’esecuzione della prestazione (sul punto cfr. anche l’articolo 36, secondo
comma, del regolamento).
Si consideri, sempre in via esemplificativa, un trasporto a mezzo nave Alessandria d’Egitto –
Palermo - Barcellona. Le prestazioni di ristorazione rese nella tratta Palermo - Barcellona sono soggette a
IVA in Italia, Stato in cui è sito il primo punto di imbarco nella Comunità, mentre, con riferimento alla tratta
Alessandria d’Egitto - Palermo, saranno soggette a IVA in Italia le prestazioni di ristorazione rese nelle
acque territoriali italiane.
È da ritenere che, nella peculiare ipotesi in cui una prestazione di ristorazione inizi durante una
parte di trasporto di passeggeri effettuata all’interno della Comunità e prosegua durante una parte di
trasporto di passeggeri effettuata al di fuori della Comunità (ma sempre nel territorio di un Stato membro) o
viceversa, il luogo della prestazione sia determinato all’inizio della prestazione (cfr. l’articolo 37 del
regolamento). Si pensi, in via esemplificativa, tornando alla prima delle sopra prospettate fattispecie, a una
prestazione di ristorazione che cominci prima dell’arrivo al porto di Patrasso e prosegua mentre è ormai
iniziato l’imbarco alla volta del porto di Alessandria d’Egitto: in questo caso la prestazione sarà comunque
soggetta a IVA in Italia. Sempre in via esemplificativa, con riferimento alla seconda delle sopra prospettate
fattispecie, si pensi a una prestazione di ristorazione che inizi in acque internazionali, dopo che la nave ha
lasciato il porto di Alessandria d’Egitto, e che prosegua mentre è già iniziato l’imbarco nel porto di
Palermo alla volta del porto di Barcellona: in questo caso la prestazione resterà esclusa dal campo di
applicazione dell’IVA.
Le prestazioni di ristorazione e catering che, soddisfacendo il requisito di territorialità, si
considerano effettuate in Italia, saranno assoggettate al regime di non imponibilità di cui all’articolo 8-bis,
lettera d), del d.P.R. n. 633.
Vale ricordare, ad ogni buon conto, che non rientrano nell’articolo 7-quater, comma 1, lett. d), del
d.P.R. n. 633 del 1972 i servizi di catering forniti senza il pagamento di alcun corrispettivo a bordo di una
nave, di un aereo o di un treno, in quanto inclusi nel prezzo del biglietto. In tal caso il servizio di catering
deve ritenersi accessorio alla prestazione di trasporto passeggeri rientrante nella previsione di cui
all’articolo 7-quater, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 633.
Non rientrano, altresì, nella previsione di cui all’articolo 7-quater, comma 1, lett. d), del d.P.R. n.
633 le prestazioni di catering materialmente rese a bordo di una nave, di un aereo o di un treno, qualora
rese nell’ambito di un c.d. pacchetto turistico venduto da un tour operator al cliente. Per le predette
prestazioni comprese nel pacchetto turistico (così come definito dal decreto 30 luglio 1999, n. 340), la cui
vendita rileva nel paese del prestatore, trovano applicazione le speciali disposizioni per le agenzia di
viaggio e turismo di cui all’articolo 74-ter del d.P.R. n. 633.
3.5 Noleggio “a breve termine” di mezzi di trasporto
Un’altra novità introdotta dalla riforma del 2010 riguarda le prestazioni di servizi di
locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, a breve termine, di mezzi di trasporto;
l’espressione “a breve termine”, come chiarisce l’art. 7, lett. g), sta ad indicare il possesso o
l’uso ininterrotto del mezzo per un periodo massimo di trenta giorni, elevato a novanta per i
natanti.
Queste prestazioni, in base all’art. 7-quater, lett. d), si considerano effettuate in Italia
se il mezzo di trasporto è effettivamente messo a disposizione del destinatario nel territorio
dello stato, a meno che l’utilizzazione avvenga al di fuori della Comunità; si considerano
inoltre effettuate nel territorio dello stato, ancorché il mezzo di trasporto sia messo a
disposizione del destinatario fuori della Comunità, se sono utilizzate nel territorio dello
stato.
In altri termini, le prestazioni in esame si considerano effettuate in Italia nei seguenti
casi:
a) il mezzo di trasporto è messo a disposizione in Italia ed è utilizzato nell’Ue (Italia o altro
paese membro)
b) il messo di trasporto è messo a disposizione fuori dell’Ue, ma è utilizzato in Italia.
L’art. 40 del regolamento n. 282/2011 precisa che il luogo in cui il mezzo di trasporto
è effettivamente messo a disposizione del destinatario è quello in cui questi o un terzo che
agisce per suo conto ne prende fisicamente possesso.
La nozione di “mezzi di trasporto”
L’art. 38, par. 1 del regolamento n. 282/2011 chiarisce che, ai fini delle disposizioni
sul luogo delle prestazioni, la nozione di mezzo di trasporto comprende i veicoli,
motorizzati o no, e altri dispositivi e attrezzature concepiti per il trasporto di persone od
oggetti da un luogo all’altro, che possono essere tirati, trainati o spinti da veicoli e che sono
generalmente concepiti ed effettivamente idonei ad essere utilizzati per il trasporto.
Ai sensi del par. 2, si considerano mezzi di trasporto, in particolare:
a) veicoli terrestri, quali automobili, motociclette, biciclette, tricicli e roulotte, a meno che
siano fissate al suolo
b) rimorchi e semirimorchi
c) vagoni ferroviari
d) navi
e) aeromobili
f) veicoli concepiti specialmente per il trasporto di persone malate o ferite
g) trattori e altri veicoli agricoli
h) veicoli a propulsione meccanica o elettronica per il trasporto di disabili
Il par. 3, infine, esclude dalla nozione di mezzi di trasporto i veicoli immobilizzati in
modo permanente e i container.
Si deve notare che né la definizione, né l’elencazione (da ritenere esemplificativa)
richiedono la caratteristica della circolazione del mezzo su strada, sicché sembra di poter
ricondurre nella classificazione in esame, come peraltro sostenuto dal comitato Iva, anche i
carrelli elevatori, normalmente impiegati dalle imprese per lo spostamento delle merci
all’interno di aree scoperte o coperte non aperte alla circolazione.
Richiamando proprio l’orientamento del comitato a proposito dei carrelli elevatori a
forcale, espresso nel corso della 86a e 87a riunione, nella risoluzione n. 187 del 20 luglio
2009 l’agenzia delle entrate ha concluso che “vanno ricompresi tra i mezzi di trasporto tutti
i mezzi suscettibili di essere utilizzati per la movimentazione di persone o cose, anche se
non usati principalmente ed effettivamente in quanto tali”, comprese le piattaforme aeree
autocarrate, qualificabili quali attrezzature destinate al sollevamento e allo spostamento
aereo di merci.
Durata del noleggio
L’art. 39 del regolamento n. 282/2011 fornisce inoltre indicazioni utili per
l’accertamento del presupposto della durata del “noleggio breve”.
Il par. 1 chiarisce che la durata del possesso o dell’uso ininterrotto del mezzo di
trasporto oggetto di noleggio è determinata sulla base dell’accordo contrattuale tra le parti.
Il punto di riferimento principale è quindi il contratto, che tuttavia, puntualizza la stessa
disposizione, costituisce una presunzione relativa che può essere confutata con qualsiasi
mezzo di fatto o di diritto che consenta di stabilire la durata effettiva del possesso o dell’uso
ininterrotto.
In questa prospettiva, inoltre, viene chiarito che il superamento della durata
contrattuale del noleggio dovuto a cause di forza maggiore non incide sulla durata del
possesso o dell’uso del mezzo di trasporto. Pertanto, ad esempio, se la durata massima di un
contratto di noleggio “a breve termine” viene superata in dipendenza di eventi estranei alla
volontà delle parti, quali un’avaria o un incidente che abbia impedito la restituzione del
mezzo al noleggiatore nel termine stabilito, la disciplina fiscale applicabile resta quella del
noleggio “breve”.
Il par. 2 si occupa poi dell’ipotesi di più contratti consecutivi conclusi fra le stesse
parti, stabilendo che si assume la durata del possesso o dell’uso ininterrotto del mezzo di
trasporto prevista, sommando cioè la durata dei singoli contratti “contigui”; ai detti fini, un
contratto e le sue proroghe sono considerati consecutivi.
Tuttavia, salvo che sussista una pratica abusiva, la durata dei contratti “a breve
termine” che precedono quello a lungo termine non è rimessa in questione. Pertanto, ad
esempio, qualora siano stipulati, tra le stesse parti, due contratti di noleggio consecutivi di
durata di venti giorni ciascuno, relativi allo stesso mezzo di trasporto, il secondo contratto
va qualificato a lungo termine, perché si assume la durata complessiva di quaranta giorni,
ferma restando la qualificazione “a breve termine” del primo contratto, salvo che vi sia
motivo di ritenere abusivo il comportamento dei contraenti.
Infine, il par. 3 stabilisce che nel caso in cui il mezzo di trasporto oggetto di contratti
di noleggio consecutivi tra le stesse parti non sia il medesimo, tali contratti non sono
considerati consecutivi, per cui la durata di ciascun contratto è determinata separatamente,
con applicazione della pertinente disciplina Iva, a meno che sussista pratica abusiva.
Si riportano i chiarimenti resi nel paragrafo 3.1.6 della circolare n. 37/2011
Merita rammentare che l'articolo 39 del regolamento, ai fini della determinazione dell'arco
temporale citato, fa riferimento al contratto concluso tra le parti, chiarendo anche (cfr. paragrafo 2, comma
1, dell'articolo 39 citato), che se il noleggio dello stesso mezzo di trasporto è coperto da contratti consecutivi
(ivi comprese le proroghe) conclusi fra le stesse parti, la durata è quella del possesso o dell'uso ininterrotto
del mezzo di trasporto prevista.
Il terzo comma del paragrafo 2, tuttavia, chiarisce che nel caso in cui il contribuente abbia agito in
buona fede, e manchi un disegno preordinato ad una pratica abusiva, deve riconoscersi ai fini della
territorialità la durata di breve termine al/ai contratti di durata inferiore ai trenta giorni che precedono il
contratto considerato a lungo termine. Esemplificando, si pensi al caso in cui una società noleggi un
automezzo in prima battuta per dieci giorni e successivamente, rendendosi conto di proprie ulteriori
necessità, faccia ulteriori contratti: il primo per altri quindici giorni ed il secondo per venti giorni.
In assenza di pratiche abusive, i primi due contratti (rispettivamente della durata di dieci giorni e
di quindici giorni) debbono essere considerati a breve termine, non oltrepassando la somma delle rispettive
durate il limite di trenta giorni previsto dalla norma. Il terzo contratto - della durata di venti giorni - dovrà
invece essere trattato, ai fini del requisito della territorialità, come un contratto di noleggio a lungo termine
(pur durando solo venti giorni), dal momento che la sommatoria del contratto medesimo e dei due
precedenti porta a valicare il limite temporale proprio dei contratti a breve termine.
Il paragrafo 3 del medesimo articolo specifica che – salvo pratica abusiva - i contratti consecutivi
tra le stesse parti relativi a mezzi di trasporto diversi non sono considerati come contratti consecutivi ai fini
della determinazione del periodo di possesso.
Per le prestazioni riconducibili nella lettera g) del primo comma dell'articolo 7 sopra citata
(ovvero nella locazione e noleggio a breve termine), il presupposto è determinato, prescindendo
completamente dal luogo di stabilimento del prestatore e del committente, in funzione del luogo in cui il
mezzo di trasporto è effettivamente messo a disposizione del committente, per tale dovendosi intendere, ai
sensi dell'articolo 40 del regolamento, il luogo in cui il destinatario (o un terzo che agisce per suo conto)
prende fisicamente possesso del mezzo. La norma nazionale, inoltre, prevede che in determinati casi, assuma
rilievo – ai fini della determinazione del presupposto territoriale per i servizi di cui trattasi – anche il luogo
di effettiva utilizzazione del mezzo di trasporto.
I servizi anzidetti si considerano effettuati in Italia se il mezzo di trasporto è messo a disposizione
del committente in Italia, sempreché la concreta utilizzazione del mezzo di trasporto avvenga nel territorio
comunitario: nel caso, infatti, di parziale utilizzo del mezzo di trasporto in tratte che sono al di fuori di tale
ambito territoriale, i predetti servizi sono irrilevanti ai fini impositivi per la parte corrispondente.
A tale riguardo, con riferimento all’applicazione alle imbarcazioni della lettera e) dell’articolo 7quater [oltre che della successiva lettera e) dell’articolo 7-sexies, di cui si tratterà più avanti], si ritiene che
debba essere confermata la validità dei documenti di prassi che (nel caso in cui manchino elementi certi
attestanti l’effettivo utilizzo dell’imbarcazione in acque territoriali comunitarie) hanno stabilito percentuali
forfetarie di utilizzo dell’imbarcazione medesima in ambito comunitario, a seconda della tipologia del
natante (si rinvia, in particolare, alle circolari n. 49/E del 7 giugno 2002 e n. 38/E del 22 luglio 2009).
Si rileva, infine, che i servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili a breve termine di
mezzi di trasporto non si considerano effettuati in Italia se il mezzo stesso è messo a disposizione del
committente in altro Stato, comunitario o non comunitario. Nell’ipotesi di messa a disposizione in altro Stato
non comunitario, peraltro, l’operazione è soggetta a IVA in Italia quando la concreta utilizzazione del mezzo
di trasporto avvenga nel territorio italiano. Nel caso in cui, invece, il mezzo di trasporto sia messo a
disposizione in uno Stato comunitario, non rileva l’utilizzo del mezzo nel territorio italiano, e l’operazione
non si considera effettuata in Italia.
L’utilizzazione del servizio
Le prestazioni di noleggio di mezzi di trasporto rappresentano, nel sistema delineato
dalla riforma del 2010, le sole per le quali il nostro paese ha continuato ad avvalersi della
facoltà di adottare anche il criterio ausiliario del luogo di utilizzazione del servizio (per le
prestazioni di telecomunicazione e radiodiffusione, analizzate più avanti, si tratta infatti di
un criterio obbligatorio).
Analoga facoltà era stata esercitata anche nel precedente sistema (nel quale non era
prevista distinzione tra noleggio a breve termine e non a breve termine), per cui sembra
logico ritenere che, a fronte delle medesime problematiche, tornino applicabili le soluzioni
già sperimentate; la limitazione del criterio ausiliario, nei rapporti fra imprese, al “noleggio
breve”, comunque, circoscrive sensibilmente l’ampiezza delle questioni.
Il criterio, in particolare, pone il problema del trattamento applicabile alle prestazioni
utilizzate promiscuamente, ossia parte nel territorio comunitario e parte al di fuori
(nell’ipotesi territoriale di cui sopra, lett. a), ovvero parte nel territorio italiano e parte al di
fuori (nell’ipotesi territoriale di cui alla lett. b); pone inoltre, più in generale, la delicata
questione dell’onere probatorio della eventuale extra-territorialità, in tutto o in parte,
dell’operazione: si pensi, ad esempio, al noleggio breve di un’autovettura, consegnata a
Pesaro, che il cliente asserisca di utilizzare nella Repubblica di San Marino.
L’amministrazione finanziaria, nella circolare 16 novembre 2000, n. 207/E, ha
accennato solamente alla questione del trattamento applicabile in caso di utilizzo promiscuo,
affermando che qualora il mezzo di trasporto venga utilizzato in parte in territorio
comunitario e in parte al di fuori dell’Ue, dovrà considerarsi imponibile la percentuale del
canone di locazione corrispondente all’utilizzo che ne è stato fatto in ambito comunitario
(senza peraltro precisare se l’utilizzo debba essere misurato in termini di distanza oppure,
come appare più corretto, trattandosi di noleggio e non di trasporto, in termini di tempo);
non ha affrontato, però, il delicato problema della prova.
Anche Assonime, nella circolare n. 67 del 19 dicembre 2000, ha evidenziato che “la
nuova disposizione potrà dare luogo, a livello operativo, a problemi in ordine alla prova
dell’entità dell’utilizzo del mezzo di trasporto al di fuori della Comunità” ed ha osservato
che “potrà farsi utile riferimento al contenuto del contratto, a prove doganali dell’uscita dei
mezzi al di fuori della Comunità (apposizione di visto su autorizzazioni al trasporto
internazionale di merci) ovvero alla documentazione inerente al tipo di mezzo di trasporto
usato (manifesto, libro di bordo, piano di volo, ecc.), in caso di locazione o noleggio di navi
o aeromobili, anche ad uso privato”.
L’associazione auspicava, inoltre, che in caso di utilizzazione territorialmente
promiscua del mezzo di trasporto venisse ammessa “la possibilità di far ricorso, ai fini
dell’applicazione della norma, anche a criteri di quantificazione forfetaria, eventualmente
per tipologie e caratteristiche dei mezzi di trasporto, della parte di prestazione che deve
ritenersi rilevante ai fini dell'applicazione dell’Iva, e ciò al pari di quanto già riconosciuto in
altri stati membri dell’Unione europea ovvero dal ministero delle finanze per analoghe
prestazioni”, come i trasporti marittimi ed aerei.
Il nodo più complesso, però, resta quello dei mezzi di trasporto non commerciali,
autovetture in testa, per i quali mancano indicazioni di sorta in ordine ai supporti probatori
atti a giustificare la non applicazione (o la parziale applicazione) dell’Iva in ragione della
delocalizzazione, in tutto o in parte, del servizio. Sull’argomento, del resto, la corte di
giustizia dell’Ue, nella sentenza 15 marzo 1989, C-51/88, aveva già rilevato che poiché i
mezzi di trasporto possono facilmente valicare le frontiere, è difficile, se non impossibile,
determinare il luogo in cui vengono usati, per cui è necessario prevedere un criterio pratico
di applicazione ed a tal fine la sesta direttiva ha stabilito, come criterio di collegamento per
la locazione di tutti i mezzi di trasporto, non già il luogo in cui il bene locato viene usato,
bensì, per motivi di semplificazione e in conformità al principio generale, il luogo in cui il
prestatore ha fissato la sede della propria attività economica. Come dire che, a volte, in
un’ottica di comparazione dei costi e benefici, le esigenze di semplicità e di certezza devono
avere la meglio sull’esigenza di una tassazione coerente con la funzione dell’imposta, e
tuttavia di difficile applicazione concreta.
La forfetizzazione per le imbarcazioni da diporto
Accogliendo in parte le istanze di semplificazione e seguendo, pertanto,
l’impostazione adottata per altre tipologie di trasporto, l’agenzia delle entrate, all’esito di
un’analisi condotta in collaborazione con il ministero dei trasporti e della navigazione, ha
emanato la circolare 2 agosto 2001, n. 76, che fornisce parametri forfetari per stabilire la
quota di prestazione territorialmente rilevante nel campo delle locazioni di navi e
imbarcazioni da diporto (si veda la tabella).
Tali parametri, successivamente aggiornati con la circolare n. 49 del 7 giugno 2002,
si concretizzano in percentuali predeterminate, differenziate in relazione alla tipologia ed
alle caratteristiche del mezzo; sebbene siano indirizzati ai funzionari dell’agenzia, che
potranno utilizzarli, in sede di accertamento, “nella indisponibilità di elementi certi”, è
chiaro che essi costituiscono utile punto di riferimento anche per i soggetti passivi. In questo
senso si esprime anche la circolare n. 38 del 22 luglio 2009 dell’agenzia, che fornisce altresì
interessanti precisazioni sia in generale, sia con specifico riferimento ai cosiddetti canoni di
“prelocazione” usuali nel settore del leasing nautico; poiché però la nuova disciplina di
territorialità qui in esame riguarda solo le prestazioni di noleggio “breve”, tali precisazioni,
concernenti la locazione finanziaria, saranno opportunamente riportate più avanti, in sede di
esame del criterio specifico previsto per i noleggi “non a breve termine” nei confronti di
privati consumatori.
NOLEGGIO IMBARCAZIONI DA DIPORTO – FORFETIZZAZIONE DELLA QUOTA
Tipologia dell'unità da diporto
Quota del corrispettivo
rilevante (*)
Unità a motore o a vela di lunghezza superiore a 30%
24 metri
Unità a vela di lunghezza tra 20,01 e 24,00 metri 40%
ed unità a motore di lunghezza tra 16,01 e 24
metri
Unità a vela di lunghezza tra 10,01 e 20 metri ed 50%
unità a motore di lunghezza tra 12,01 e 16 metri
Unità a vela di lunghezza fino a 10 metri ed unità 60%
a motore di lunghezza tra 7,51 e 12 metri
Unità a motore di lunghezza fino a 7,50 metri
90%
Unità appartenenti alla categoria D (abilitate alla 100%
navigazione solo per acque protette)
(*) Si rammenta che le percentuali forfetarie non hanno fondamento normativo.
territorialmente
3.6 Accesso alle manifestazioni culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative,
ricreative e simili, nonché attività accessorie connesse con l’accesso
Un’ultima tipologia di servizi oggettivamente disciplinati in modo speciale è prevista
nell’art. 7-quinquies. Questa disposizione, nel testo in vigore dal 1° gennaio 2011,
stabilisce che le prestazioni di servizi per l’accesso alle manifestazioni culturali, artistiche,
sportive, scientifiche, educative, ricreative e simili, ivi comprese fiere ed esposizioni,
nonché le prestazioni di servizi accessorie all’accesso, si considerano effettuate nel territorio
dello stato quando tali attività sono ivi materialmente svolte.
Nel testo previgente, il suddetto criterio speciale si applicava inoltre, oggettivamente,
alle prestazioni di servizi relativi alle attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche,
educative, ricreative e simili, comprese fiere ed esposizioni; dette prestazioni seguono ora
tale criterio speciale solo quando sono rese a privati (per una questione di diritto transitorio,
concernente le prestazioni accessorie, si veda il punto 4.2.1).
Il regolamento n. 282/2011 detta alcune precisazioni in merito alle disposizioni in
esame. L’art. 32, par. 1, chiarisce in primo luogo che i servizi relativi all’accesso
comprendono le prestazioni di servizi le cui caratteristiche essenziali consistono nel
concedere un diritto di accesso ad una manifestazione in cambio di un biglietto o di un
corrispettivo, anche sotto forma di abbonamento, di biglietto stagionale o di quota periodica.
In particolare, ai sensi del successivo par. 2, tale criterio si applica:
- al diritto di accesso a spettacoli, rappresentazioni teatrali, spettacoli di circo, fiere, parchi
di divertimenti, concerti, mostre nonché ad altre manifestazioni culturali affini
- al diritto di accesso a manifestazioni sportive quali partite o competizioni
- al diritto di accesso a manifestazioni educative e scientifiche quali conferenze e seminari.
Il par. 3 chiarisce poi che il criterio speciale non si applica invece alle prestazioni
aventi ad oggetto l’utilizzazione di impianti quali sale di ginnastica o di altro tipo, in cambio
del pagamento di una quota di associazione.
Per quanto concerne, poi, le prestazioni accessorie al servizio di accesso, l’art. 33
chiarisce che tali prestazioni comprendono i servizi in relazione diretta con l’accesso alle
manifestazioni in esame, forniti separatamente alla persona che assiste alla manifestazione
dietro un corrispettivo, in particolare l’utilizzazione di spogliatoi o impianti sanitari, esclusi
però i semplici servizi di intermediazione relativi alla vendita di biglietti.
E’ da ritenere che la specificazione circa la fornitura separata di prestazioni
accessorie intende precisare che il criterio in esame si applica anche quando i servizi
accessori, nel senso sopra precisato, sono resi distintamente al partecipante (si ritiene, anche
da un soggetto diverso dal fornitore della prestazione di accesso), poiché se si tratta di
prestazioni rese in uno con quella principale l’applicazione del medesimo trattamento
discende dai principi generali.
SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE REGOLE PER LE PRESTAZIONI TRA IMPRESE
Tipologia di prestazione
Criterio
Territorialità
Debitore
dell’imposta/adempimenti
Prestazioni “generiche” Luogo in cui è Si considerano
1. Quando la prestazione è
(diverse, cioè, da quelle stabilito il
effettuate in Italia le territoriale, se il prestatore è un
di cui appresso)
soggetto
prestazioni rese a
soggetto estero (Ue o extraUe)
passivo
soggetti passivi
debitore dell’imposta è il
committente
residenti
committente soggetto passivo
residente, che deve emettere
autofattura.
2. Se la prestazione è resa nei
confronti di soggetto passivo di
altro stato membro, è
obbligatoria l’emissione della
fattura, anche se l’operazione
non concorre al volume
d’affari.
3. Se le prestazioni sono
scambiate fra soggetti Ue, si
deve presentare il modello
Intrastat, salvo che l’imposta
non sia dovuta.
Prestazioni relative a
beni immobili
Luogo in cui
si trova
l’immobile
Si considerano
effettuate in Italia le
prestazioni relative
ad immobili situati
nel territorio
Trasporto di passeggeri
Luogo di
esecuzione
Servizi di ristorazione e
catering non a bordo
Luogo di
esecuzione
Servizi di ristorazione e
catering a bordo di treni,
navi o aerei nel corso di
trasporti intraUe
Luogo di
partenza
Locazione, anche
finanziaria, noleggio e
simili “a breve termine”
di mezzi di trasporto
Luogo di
consegna del
mezzo e luogo
di
utilizzazione
Accesso alle
manifestazioni culturali,
artistiche, sportive,
scientifiche, educative,
ricreative e simili,
comprese fiere ed
esposizioni, nonché
servizi accessori
connessi con l’accesso
Luogo di
svolgimento
materiale
nazionale
La prestazione si
considera effettuata
in Italia
limitatamente alla
distanza percorsa nel
territorio nazionale
Le prestazioni si
considerano
effettuate in Italia se
materialmente
eseguite nel territorio
nazionale
Le prestazioni si
considerano
effettuate in Italia se
il trasporto ha inizio
nel territorio
nazionale
La prestazione si
considera territoriale
se il mezzo è messo
a disposizione del
destinatario in Italia,
salvo che sia
utilizzato fuori
dell’Ue.
La prestazione si
considera inoltre
territoriale anche
quando il mezzo è
messo a disposizione
del destinatario fuori
dell’Ue, se è
utilizzato in Italia.
La prestazione si
considera territoriale
se la manifestazione
è svolta in Italia.
4. PRESTAZIONI DI SERVIZI EFFETTUATE
CONSUMATORI (“BUSINESS TO CONSUMER”)
1. Quando la prestazione è
territoriale, se il prestatore è un
soggetto estero (Ue o extraUe)
debitore dell’imposta è il
committente soggetto passivo
residente, che deve emettere
autofattura
2. Non sussiste l’obbligo
Intrastat.
3. Se l’operazione non è
territoriale, non vi è obbligo di
fattura.
NEI
CONFRONTI
DI
Prima di analizzare la disciplina delle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di
non soggetti passivi (o, meno tecnicamente, “privati consumatori”), peraltro quasi identica a
quella antecedente alla riforma del 2010, è opportuno ribadire la valenza oggettiva dei
criteri speciali previsti per le prestazioni di servizi illustrati nel precedente paragrafo 3; tali
criteri, diversamente da quelli appresso illustrati, si applicano infatti indipendentemente
dallo status del committente, e dunque anche se questi non sia un soggetto passivo.
Venendo alla disciplina delle prestazioni a privati consumatori, essa prevede, oltre ai
criteri speciali oggettivi per le prestazioni descritte nel precedente paragrafo 3:
- una regola base
- alcuni criteri specifici per determinate prestazioni
- ulteriori particolarità per determinate prestazioni rese a committenti extracomunitari.
4.1 La regola base
In conformità all’art. 45 della direttiva, che fissa nel paese in cui è stabilito il
prestatore il luogo delle prestazioni “generiche” effettuate nei confronti di committenti non
soggetti passivi, l’art. 7-ter, comma 1, lett. b) stabilisce che si considerano effettuate nel
territorio dello stato le prestazioni rese a committenti non soggetti passivi da soggetti passivi
stabiliti nel territorio dello stato.
La regola non si discosta da quella in vigore prima della riforma, né sotto il profilo
dell’individuazione del luogo della prestazione, né in relazione al debitore dell’imposta e
agli adempimenti.
Si deve ricordare che, anche ai fini in esame, occorre fare riferimento alle nozioni di
“soggetto passivo”, di “soggetto passivo stabilito”, di “sede dell’attività economica”, di
“stabile organizzazione”, di “indirizzo permanente” e di “residenza abituale”.
4.2 Criteri specifici per alcune prestazioni rese a privati consumatori
In deroga alla regola basata sul luogo di stabilimento del prestatore, le prestazioni dei
seguenti servizi a privati consumatori sono disciplinate dai criteri specifici appresso
illustrati. In merito all’interpretazione e applicazione di tali criteri, si vedano le disposizioni
del regolamento Ue n. 282/2011 e le modifiche apportate, con effetto dal 1° gennaio 2015,
dal regolamento Ue n. 1042 del 7 ottobre 2013.
4.2.1 Attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative e simili,
nonché attività accessorie
L’art. 7-quinquies, nel testo in vigore dal 1° gennaio 2011, stabilisce che le
prestazioni di servizi relativi ad attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative,
ricreative e simili, ivi comprese fiere ed esposizioni, le prestazioni degli organizzatori di
dette attività, nonché le prestazioni di servizi accessorie alle precedenti, rese nei confronti di
privati, si considerano effettuate nel territorio dello stato quando tali attività sono ivi
materialmente svolte (si ricorda che fino al 31 dicembre 2010 questo criterio era oggettivo;
si applicava, cioè, anche alle prestazioni rese a soggetti passivi).
Si deve evidenziare, rispetto all’analoga previsione dettata dal previgente art. 7,
quarto comma, lett. b) del dpr 633/72, l’esplicita menzione delle fiere ed esposizioni, in
conformità con l’insegnamento della corte di giustizia, nonché delle prestazioni accessorie a
tutte le attività sopraelencate (riferimento, quest’ultimo, che pur previsto anche prima nella
norma comunitaria, per un difetto di recepimento era invece assente nella norma interna).
Trattamento delle prestazioni accessorie
Nella sentenza 26 settembre 1996, causa C-327/94, la corte di giustiziaUe si è
occupata di una questione sollevata in relazione ad una controversia circa il luogo di
tassazione delle prestazioni di un imprenditore che effettuava la sonorizzazione di
manifestazioni artistiche o ricreative, armonizzando la scelta e l’utilizzazione degli
apparecchi impiegati in funzione delle condizioni acustiche esistenti e degli effetti sonori
desiderati, e forniva gli indispensabili apparecchi ed operatori.
La corte ha osservato che l’insieme delle disposizioni del n. 2 dell’articolo 9, sesta
direttiva, recanti i vari criteri specifici, derogatori a quello generale della residenza del
prestatore di cui al n. 1 dello stesso articolo, mira a stabilire un regime speciale per
prestazioni di servizi tra soggetti d’imposta il cui costo è compreso nel prezzo delle merci.
A finalità analoga risponde la previsione che fissa il luogo delle prestazioni di servizi aventi
ad oggetto attività artistiche o ricreative, nonché attività ad esse accessorie, nel luogo in cui
sono materialmente eseguite. Il legislatore comunitario, spiega la corte, ha infatti
considerato che, qualora il prestatore fornisca i suoi servizi nello stato nel quale tali
prestazioni sono materialmente eseguite e l’organizzatore della manifestazione riscuota
nello stesso stato l’Iva gravante sul consumatore finale, l’imposta che ha per base
imponibile tutte queste prestazioni il cui costo rientra nel prezzo della prestazione globale
pagata dal consumatore finale deve essere versata a tale stato e non a quello nel quale è
stabilito il prestatore.
Quanto ai criteri in base ai quali ricondurre la prestazione a quelle artistiche,
sottoposte alla particolare disciplina della territorialità, la corte chiarisce che non è richiesto
nessun livello artistico particolare e che tale disciplina vale altresì per le prestazioni aventi
ad oggetto attività semplicemente affini a quelle artistiche, nonché per quelle ad esse
accessorie, considerando tali tutte le prestazioni che, oggettivamente (e dunque a
prescindere dalla persona che le esegue) costituiscono presupposto necessario per la
realizzazione delle attività principali.
Alla stregua di queste argomentazioni, la corte conclude che la sonorizzazione di una
manifestazione artistica o ricreativa costituisce presupposto necessario all’esecuzione della
manifestazione e deve, pertanto, essere considerata accessoria.
Come già accennato, nella previgente disciplina nazionale, la lettera b) del quarto
comma dell’articolo 7, diversamente dall’articolo 9, n. 2, lettera c), primo trattino, della
sesta direttiva (ora art. 53 della direttiva n. 112 del 2006), non menzionava le prestazioni
“accessorie” a quelle culturali, sportive, ricreative, ecc., ma soltanto quelle “simili”
(richiamando quindi soltanto il distinto concetto di “similarità”, anch’esso presente nella
disposizione comunitaria, che però menziona anche le operazioni “affini”). La sopra
riportata pronuncia della corte consentiva comunque di rimediare alla lacuna della norma
interna in base al principio dell’efficacia generale delle sentenze interpretative della corte3 e
a quello della “forza propria” della norma comunitaria: in altre parole, il principio di diretta
applicabilità negli stati membri delle cosiddette “direttive dettagliate” (invocabile però solo
dal cittadino e non dall’amministrazione) imponeva di considerare comunque incluso nella
lettera b) il riferimento alle prestazioni “accessorie”.
Questione: la fornitura di stand fieristici al soggetto espositore
3
Affermata per la prima volta dalla corte costituzionale nella sentenza n. 113 del 19 aprile 1985, depositata il 23 aprile
1985, pubblicata in G.U. n. 107-bis dell'8 maggio 1985.
E’ pacifico che, in seguito al dlgs n. 18/2010, nel corso del 2010 anche le prestazioni
di allestimento e noleggio di stand fieristici rese nei confronti del soggetto passivo che
organizza la fiera, essendo oggettivamente accessorie all’evento espositivo, seguivano la
regola speciale dell’art. 7-quinquies. Pertanto, ad esempio, se l’evento si svolgeva in
Germania, anche la prestazione accessoria era assoggettata all’Iva tedesca,
indipendentemente dal luogo in cui erano stabiliti il prestatore e il committente.
Meno pacifico era il trattamento applicabile alle suddette prestazioni allorquando rese
non all’organizzatore dell’evento, ma all’impresa che vi partecipava. Va precisato che nella
fattispecie presa in considerazione dalla corte nella sopra riportata sentenza 26 settembre
1996, C-327/94, la prestazione oggettivamente accessoria alla manifestazione artistica era
resa dall’imprenditore nei confronti dell’organizzatore della manifestazione stessa. Ciò
premesso, sulla questione si prospettavano due soluzioni differenti.
Secondo taluni, l’allestimento e noleggio di stand era in ogni caso una prestazione
accessoria alla fiera, anche quando commissionata dall’impresa espositrice, per cui, ad
esempio, la prestazione era soggetta ad Iva tedesca anche quando il committente era
l’impresa italiana che partecipava alla fiera in Germania. Questa interpretazione implicava
una notevole complicazione per i fornitori di tali servizi (oppure per i committenti, a
seconda della disciplina adottata dallo stato membro in merito all’individuazione del
debitore dell’imposta), i quali sarebbero stati costretti a identificarsi ai fini Iva in tutti i paesi
Ue nei quali operavano con le modalità sopradescritte, perlomeno quando anche la
controparte era un soggetto non stabilito nel paese in cui si svolgeva l’evento.
Una tesi alternativa, a nostro avviso più corretta, era di qualificare le prestazioni in
esame come accessorie a quelle fieristiche solo quando rese (come nella fattispecie di cui
alla sentenza della corte) nei confronti del soggetto che effettua la prestazione fieristica, ma
non quando rese alle imprese che vi partecipano (le quali, peraltro, non eseguono alcuna
prestazione, sicché manca qualsiasi nesso soggettivo con l’autore della prestazione
principale). In tal modo, le prestazioni in esame ricadevano nella regola generale del luogo
del committente, con indubbi vantaggi operativi.
La questione è ora sostanzialmente superata, perché dal 1° gennaio 2011, come già
detto, il criterio speciale dell’art. 7-quinquies, relativamente alle prestazioni fieristiche ed
accessorie, si applica soltanto nei rari casi in cui committente è un privato consumatore,
mentre resta aperta relativamente alle operazioni effettuate nel corso del 2010 e sarà risolta
dalla corte di giustizia, alla quale è stata infatti rimessa dal giudici polacchi attraverso il
rinvio pregiudiziale di cui al procedimento C-530/09.
Al riguardo, nelle conclusioni depositate il 13 gennaio 2011, l’avvocato generale ha
sostenuto che si tratti di prestazioni accessorie ai servizi fieristici, tassabili nel paese in cui
si svolge la manifestazione. Di parere opposto è però la commissione europea, che avalla la
tesi secondo cui si tratta invece di prestazioni generiche: dato che i costi della prestazione
che consiste nella fornitura di stand agli espositori non rientrano nel prezzo della
prestazione globale di servizi di esposizione forniti dall’organizzatore del salone, tali
prestazioni di servizi, ad avviso della commissione, non possono essere tassate nel luogo
della loro esecuzione, ma devono essere tassate nello stato membro del destinatario soggetto
passivo, che ne includerà il costo nel prezzo dei propri beni e servizi.
Attività delle guide turistiche
Con la circolare n. 36 del 21 giugno 2010, l’agenzia delle entrate ha dichiarato che
l’attività di guida turistica si caratterizza per il contenuto culturale della prestazione, per cui
rientra nel criterio speciale in esame (ovviamente, dal 2011, se svolta verso privati).
4.2.2 Intermediazioni in nome e per conto
Ai sensi dell’art. 7-sexies, lett. a), le prestazioni rese da intermediari che agiscono in
nome e per conto del cliente privato consumatore si considerano effettuate nel territorio
dello stato quando l’operazione principale si considera ivi effettuata. Da sottolineare, in
proposito, che la norma interna, come modificata dalla riforma del 2010, nel definire
l’oggetto della previsione speciale si è finalmente allineata a quella comunitaria, designando
le prestazioni non più semplicemente come intermediazioni, bensì come intermediazioni “in
nome e per conto”.
Ai sensi dell’art. 30 del regolamento n. 282/2011 (già art. 9 del precedente
regolamento n. 1777/2005), rientrano nella disciplina in esame sia le prestazioni rese da
intermediari che agiscono in nome e per conto del committente della prestazione
intermediata, sia quelle rese da intermediari che agisono in nome e per conto del prestatore
della prestazione intermediata.
Si ricorda inoltre che, ai sensi dell’art. 31 del regolamento, rientrano nel criterio
speciale in esame anche le prestazioni di intermediazione nella fornitura di alloggio,
allorché rese a privati consumatori.
4.2.3 Trasporti non intracomunitari di beni
Ai sensi dell’art. 7-sexies, lett. b), le prestazioni di trasporto di beni per conto di
privati, eccettuati quelli intracomunitari, si considerano effettuate nel territorio dello stato in
proporzione alla distanza ivi percorsa. In ordine alle modalità applicative del criterio in
esame, si rinvia a quanto già osservato a proposito delle prestazioni di trasporto di
passeggeri rese a committenti soggetti passivi, illustrate nel paragrafo 3.2.
4.2.4 Trasporti intracomunitari di beni
I trasporti intracomunitari di beni per conto di privati, si sensi dell’art. 7-sexies, lett.
c), si considerano effettuati nel territorio dello stato se l’esecuzione della prestazione inizia
nel territorio stesso.
La nozione di “trasporto intracomunitario di beni” è fornita dall’art. 7, lett. f) e
riprende quella già dettata dal soppresso comma 7 dell’art. 40 del D.L. n. 331/93. Secondo
tale disposizione, per trasporto intracomunitario di beni si intende quello che ha inizio e
termine nel territorio di due stati membri diversi; il luogo di partenza è quello in cui inizia
effettivamente il trasporto dei beni, senza tenere conto del tragitto compiuto dal vettore per
recarsi in tale luogo, mentre luogo di arrivo è quello in cui il trasporto si conclude
effettivamente.
4.2.5 Lavorazioni e prestazioni accessorie ai trasporti
Le prestazioni di lavorazione e le perizie relative a beni mobili materiali, nonché le
operazioni rese in attività accessorie ai trasporti, quali quelle di carico, scarico,
movimentazione e simili, rese a privati, si considerano effettuate nel territorio dello stato
quando sono rese nel territorio stesso, giusta l’art. 7-sexies, lett. d).
Ai sensi dell’art. 34 del regolamento n. 282/2011, il criterio in esame si applica anche
alla prestazione consistente unicamente nel montaggio delle diversi parti di un macchinario,
tutte fornite dal committente, eccetto il caso in cui i beni da montare diventano parte di un
bene immobile.
4.2.6 Noleggio “non a breve termine” di veicoli
La disciplina delle prestazioni di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili “non
a breve termine” di mezzi di trasporto è stata ridefinita con effetto dal 1° gennaio 2013, con
la modifica dei criteri e l’introduzione di un trattamento specifico per le imbarcazioni da
diporto.
4.2.6.1 Mezzi di trasporto in genere (escluse imbarcazioni da diporto)
Ai sensi della lett. e) dell’art. 7-sexies, come riformulata con effetto dal 1°
gennaio 2013, le prestazioni di servizi in argomento si considerano effettuate nel
territorio dello Stato:
- quando il committente è domiciliato o residente nel territorio stesso, salvo che il
servizio sia utilizzato fuori dell’Ue
- quando il committente è domiciliato e residente fuori dell’Ue, se il servizio è
utilizzato nel territorio dello Stato.
In sostanza, a parte il correttivo dell’utilizzazione, è stato adottato il criterio su
cui si basa la regola generale delle prestazioni di servizi “B2B”.
Nella fattispecie, tuttavia, si tratta di rapporti “B2C”, la cui localizzazione nel
paese del destinatario comporta inevitabili complicazioni qualora il prestatore non sia
stabilito nello Stato membro nel quale è dovuta l’imposta.
Si pensi al noleggio “lungo” di un mezzo di trasporto fra il prestatore stabilito
nello Stato membro A e il committente privato stabilito nello Stato membro B. Posto
che l’Iva è ora dovuta in tale secondo Stato (mentre fino al 31 dicembre 2012 era
dovuta nello Stato membro A), il prestatore dovrà necessariamente possedere una
posizione identificativa (stabile organizzazione, rappresentante fiscale o
identificazione diretta) nello Stato membro B al fine di assolvere gli obblighi
d’imposta.4
La complicazione interessa soprattutto le imprese comunitarie, perché per
quelle stabilite fuori dell’Ue l’esigenza di identificarsi per assolvere gli obblighi
d’imposta poteva sorgere già nella previgente disciplina, in relazione
all’effettuazione, nei confronti di privati, di prestazioni di noleggio non a breve
termine di mezzi di trasporto utilizzati nel territorio italiano.
Tornando al nuovo criterio di localizzazione, l’art. 24 del regolamento n.
282/2011 prevede che se il committente delle prestazioni in esame è un soggetto
(privato) stabilito in più paesi, oppure che ha l’indirizzo permanente in un paese e la
residenza abituale in un altro, per determinare il luogo della prestazione si dà la
priorità a quello che meglio garantisce l’imposizione nel luogo di fruizione effettiva.
4
Si ricorda che, secondo la Corte di giustizia Ue, l’impresa stabilita nello Stato membro A che concede in locazione
finanziaria mezzi di trasporto a committenti stabiliti nello Stato membro B, nel quale non dispone né di mezzi tecnici né
di personale, avvalendosi per la stipulazione dei contratti di intermediari indipendenti, non si considera avere una stabile
organizzazione in detto Stato membro (sentenza 17 luglio 1997, causa C-190/95).
Si deve segnalare, al riguardo, che la già menzionata proposta di regolamento
della Commissione europea del 18 dicembre 2012 prevede che, ai fini del suddetto
art. 24 si debba tenere conto, in particolare, del luogo in cui il mezzo di trasporto è
messo a disposizione del destinatario o di un terzo che agisce per suo conto, a meno
che sia provato che tale mezzo sarà utilizzato in un’altra località.
4.2.6.2 Imbarcazioni da diporto
Per quanto riguarda le prestazioni aventi ad oggetto imbarcazioni da diporto, la
disciplina applicabile dal 1° gennaio 2013, conformemente alle disposizioni dell’art.
56, par. 2, secondo comma e dell’art. 59-bis della direttiva 2006/112/CE, emerge
dalle disposizioni della riformulata lettera e) e dalla nuova lettera e-bis).
Secondo dette disposizioni, i noleggi “a lungo termine” (cioè di durata
superiore a 90 giorni) di imbarcazioni da diporto a privati si considereranno effettuate
nel territorio dello Stato:
- quando l’imbarcazione è effettivamente messa a disposizione nel territorio stesso e
la prestazione è eseguita da soggetti passivi ivi stabiliti, a meno che sia utilizzata
fuori dell’Ue
- quando l’imbarcazione è effettivamente messa a disposizione in un paese non Ue da
un prestatore stabilito nel medesimo paese ed è utilizzata nel territorio dello Stato
- quando l’imbarcazione è effettivamente messa a disposizione in un paese diverso da
quello in cui è stabilito il prestatore, il committente è stabilito in Italia e
l’imbarcazione è utilizzata nell’Ue
- quando l’imbarcazione è effettivamente messa a disposizione in un paese diverso da
quello in cui è stabilito il prestatore, il committente è stabilito fuori dell’Ue e
l’imbarcazione è utilizzata in Italia.
In ordine all’individuazione del luogo in cui l’imbarcazione è effettivamente
messa a disposizione del destinatario, che rappresenta l’elemento principale, devono
ritenersi valide le indicazioni dell’art. 40 del regolamento n. 282/2011, secondo cui
tale luogo è quello in cui il destinatario o un terzo che agisce per suo conto prende
fisicamente possesso dell’imbarcazione.
L’articolata disciplina sopra descritta, fondamentalmente, mira a tassare le
prestazioni in esame nel territorio dello Stato quando possono ritenersi ivi consumate
in virtù di un collegamento che può essere dato, a seconda dei casi, dalla residenza
del prestatore, dalla residenza del committente, dall’utilizzazione del servizio, ovvero
dalla combinazione di tali variabili.
4.2.7 Prestazioni rese con mezzi elettronici da imprese extraUe
Ai sensi dell’art. 7-sexies, lett. f), si considerano effettuate nel territorio dello stato le
prestazioni di servizi rese con mezzi elettronici da soggetti stabiliti fuori dalla Comunità a
privati consumatori domiciliati nel territorio nazionale, oppure ivi residenti che non hanno
stabilito il domicilio all’estero.
Per queste prestazioni di servizi si veda, inoltre, l’ulteriore particolarità descritta nel
successivo paragrafo 4.3.
Nozione di “servizi resi con mezzi elettronici”
L’allegato II alla direttiva n. 112 del 2006 chiarisce, in via esemplificativa, che
costituiscono servizi di e-commerce:
- fornitura di siti web e web hosting, gestione a distanza di programmi e attrezzature;
- fornitura di software e relativo aggiornamento;
- fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di basi di dati;
- fornitura di musica, film, giochi, compresi i giochi di sorte o d’azzardo, programmi o
manifestazioni politici, culturali, artistici, sportivi, scientifici o di intrattenimento;
- fornitura di prestazioni di insegnamento a distanza.
L’art. 58 della direttiva 112 precisa che il solo fatto che il fornitore di un servizio e il
suo cliente comunichino per posta elettronica, non implica che il servizio fornito sia un
servizio elettronico.
Ulteriori indicazioni circa la portata della nozione di servizi di e-commerce sono
fornite dal regolamento n. 282/2011 (e già dal precedente regolamento n. 1777/2005).
In particolare, l’art. 7 del regolamento, dopo avere premesso, in linea generale, che i
servizi di e-commerce comprendono quelli forniti attraverso Internet o una rete elettronica e
la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata di un intervento
umano minimo e impossibile da garantire senza la tecnologia informatica, chiarisce che la
predetta definizione include anche i seguenti servizi:
a) la fornitura di prodotti digitali in generale, compreso il software, relative modifiche e
aggiornamenti
b) i servizi che veicolano o supportano la presenza di un’azienda o di un privato su una rete
elettronica, come un sito o una pagina web
c) i servizi generati automaticamente da un computer attraverso Internet o una rete
elettronica, in risposta ai dati immessi dal destinatario
d) la concessione, a titolo oneroso, del diritto di mettere in vendita un bene o un servizio su
un sito Internet che operi come mercato on line, in cui i potenziali acquirenti fanno offerte
attraverso un procedimento automatizzato e in cui le parti sono avvertite di una vendita
attraverso posta elettronica generata automaticamente da un computer
e) le offerte forfetarie di servizi Internet, nelle quali la componente delle telecomunicazioni
rappresenta un elemento accessorio e subordinato, nel senso che il pagamento forfetario non
comprende il semplice accesso a Internet, ma anche altri elementi come pagine con
contenuto che consentono l’accesso a notizie di attualità, informazioni meteo o turistiche,
giochi o dibattiti on line, hosting di siti, ecc.
Sono inoltre servizi di commercio elettronico quelli elencati nell’allegato I al
regolamento n. 282/2011, che fornisce le seguenti specificazioni con riferimento a ciascuno
dei cinque punti dell’allegato II della direttiva 112 del 2006:
- con riferimento al punto 1)
a)
hosting di siti web e di pagine web;
b)
manutenzione automatica di programmi, remota e on line;
c)
amministrazione remota di sistemi;
d)
conservazione (warehousing) dei dati on line, quando dati specifici sono conservati e
recuperati elettronicamente;
e)
fornitura on line di spazio sul disco in funzione delle richieste.
- con riferimento al punto 2):
a)
accesso o scaricamento di software, tra cui programmi di aggiudicazione/contabilità,
software antivirus e loro aggiornamenti;
b)
bannerblocker, ossia software per bloccare la comparsa di banner pubblicitari;
c)
driver di scaricamento, come il software di interfaccia tra computer e periferiche
quali le stampanti;
d)
installazione automatica on line di filtri per i siti web;
e)
installazione automatica on line di sbarramenti (firewalls).
- con riferimento al punto 3):
a)
accesso o scaricamento di temi dell’interfaccia grafica;
b)
accesso o scaricamento di fotografie e immagini o salvaschermi;
c)
contenuto digitalizzato di libri e altre pubblicazioni elettroniche;
d)
abbonamento a giornali o riviste on line;
e)
siti personali (weblog) e statistiche relative ai siti web;
f)
notizie, informazioni sul traffico e previsioni meteorologiche on line;
g)
informazioni on line generate automaticamente da software sulla base di immissioni
di dati specifici da parte del cliente, come dati di tipo giuridico o finanziario, compresi dati
sui mercati azionari ad aggiornamento continuo;
h)
fornitura di spazio pubblicitario, compresi banner pubblicitari su una pagina o un sito
web;
i)
utilizzo di motori di ricerca e di elenchi su Internet.
- con riferimento al punto 4):
a)
accesso o scaricamento di musica su computer e su telefoni cellulari;
b)
accesso o scaricamento di sigle o brani musicali, suonerie o altri suoni;
c)
accesso o scaricamento di film;
d)
scaricamento di giochi su computer e su telefoni cellulari;
e)
accesso a giochi on line automatici dipendenti da Internet o reti elettroniche
analoghe, nei quali i giocatori sono geograficamente lontani gli uni dagli altri.
- con riferimento al punto 5):
a)
tutte le forme di insegnamento a distanza automatizzato che funziona attraverso
Internet o reti elettroniche analoghe e la cui fornitura richiede un intervento umano limitato
o nullo, incluse le classi virtuali, ad eccezione dei casi in cui Internet o una rete elettronica
analoga vengono utilizzati semplicemente come uno strumento di comunicazione tra il
docente e lo studente;
b)
libri di esercizi completati dagli studenti on line e corretti e valutati automaticamente,
senza intervento umano.
Il par. 3 dell’art. 7 del regolamento, infine, chiarisce che non rientrano tra i servizi di
commercio elettronico:
- i servizi di radiodiffusione e di televisione
- i servizi di telecomunicazione
- i beni (materiali) la cui ordinazione avvenga o sia elaborata elettronicamente
- cd-rom, dischetti e supporti fisici simili
- materiale stampato, come libri, bollettini, giornali o riviste
- cd e audiocassette
- dvd e videocassette
- giochi su cd-rom
- i servizi professionali resi mediante posta elettronica (es. consulenze legali, finanziarie)
- servizi di insegnamento per i quali il contenuto del corso è fornito dall’insegnante
mediante un collegamento remoto
- servizi di insegnamento che comprendono esclusivamente corsi per corrispondenza
- servizi di riparazione del materiale off line delle apparecchiature informatiche
- servizi di conservazione dei dati off line
- servizi pubblicitari, ad esempio su giornali, manifesti, televisione
- servizi di helpdesk telefonico
- servizi di vendita all’asta tradizionali, che richiedono l’intervento dell’uomo,
indipendentemente dalle modalità dell’offerta
- servizi di videofonia
- accesso a Internet e al World Wide Web
- servizi telefonici tramite Internet.
4.2.8 Telecomunicazione e teleradiodiffusione
L’ultima tipologia speciale, prevista dall’art. 7-sexies, lett. g), è costituita dalle
prestazioni di telecomunicazione e tele radiodiffusione, che se rese a privati si considerano
effettuate nel territorio dello stato:
- quando sono rese da prestatori ivi stabiliti a consumatori residenti o domiciliati nel
territorio dello stato o in quello di altro stato membro, salvo che siano utilizzate fuori della
Comunità
- quando sono rese da prestatori ovunque stabiliti a committenti extracomunitari, se
utilizzate nel territorio dello stato
- quando sono rese da prestatori extracomunitari, se sono utilizzate nel territorio dello Stato.
Per queste prestazioni di servizi si veda inoltre la particolarità evidenziata nel
successivo paragrafo 4.3.
4.3 Ulteriori particolarità per alcune prestazioni rese a privati consumatori
extracomunitari
Infine, ai sensi dell’art. 7-septies, le seguenti prestazioni di servizi, ancorché
effettuate nei confronti di privati consumatori, non si considerano effettuate nel territorio
dello stato qualora il destinatario sia “domiciliato e residente” (stabilito, domiciliato o
abitualmente residente, secondo l’art. 59 della direttiva 112) fuori della Comunità:
a) prestazioni di servizi di cui all’art. 3, secondo comma, n. 2, del dpr 633/72, ossia le
operazioni relative ai diritti immateriali: cessioni, concessioni, licenze e simili relative a
diritti d’autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e
simili e quelle relative a marchi e insegne, nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili
relative a diritti o beni similari ai precedenti
b) prestazioni pubblicitarie
c) prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale, nonché di elaborazione e fornitura
dati e simili;
d) operazioni bancarie, finanziarie e assicurative, comprese le operazioni di riassicurazione,
con esclusione delle locazioni di casseforti
e) messa a disposizione di personale
f) prestazioni derivanti da contratti di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili di beni
mobili materiali diversi dai mezzi di trasporto
g) concessione dell’accesso ai sistemi di gas naturale o di energia elettrica, servizio di
trasporto o di trasmissione mediante tali sistemi e fornitura di altri servizi direttamente
collegati
h) servizi di telecomunicazione e di teleradiodiffusione, esclusi quelli utilizzati nel territorio
dello stato anche se resi da soggetti che non siano ivi stabiliti
i) servizi prestati per via elettronica
l) prestazioni inerenti all’obbligo di non esercitare in tutto o in parte un’attività o un diritto
di cui ai punti precedenti.
Si deve evidenziare come le disposizioni in esame non abbiano carattere innovativo,
essendo la detassazione delle suddette prestazioni (già elencate nella lett. d del quarto
comma del previgente articolo 7), allorquando rese a destinatari extracomunitari, desumibile
anche dalle previgenti disposizioni della direttiva n. 112 del 2006 e dell’art. 7 del dpr
633/72. L’unico elemento di novità consiste nell’abbandono del criterio di utilizzazione
(eccetto che per i servizi di telecomunicazione e di tele radiodiffusione), che consentiva, ai
sensi della lett. f) del quarto comma dell’art. 7, di localizzare talune prestazioni nel territorio
dello stato.
5. IL DEBITORE DELL’IMPOSTA SULLE OPERAZIONI TERRITORIALI
Quando l’operazione, in base alle regole esaminate, si considera localizzata nel
territorio dello stato, occorre individuare il soggetto che deve farsi carico degli adempimenti
finalizzati all’applicazione dell’imposta, primo fra tutti quello della fatturazione.
E’ bene precisare subito che gli obblighi formali devono essere adempiuti anche se
l’operazione territorialmente rilevante non è concretamente imponibile, in quanto fruisce del
trattamento di non imponibilità (artt. 8, 8-bis, 9, 71 e 72) o di esenzione (art. 10).
Va inoltre ricordato che, ai sensi dell’art. 21, comma 6-bis, l’obbligo di fatturazione a
decorrere dal 1° gennaio 2013 l’obbligo di fatturazione sussiste anche in relazione alle
operazioni non territoriali ivi menzionate (fino al 31 dicembre 2012 l’obbligo sussisteva
invece solo per le cessioni di beni in transito e per le prestazioni di servizi “generiche” rese
a committenti soggetti passivi stabiliti in altri stati membri).
Le disposizioni per individuare il debitore dell’imposta sono dettate dall’art. 17 del
dpr 633/72, analizzate di seguito.
5.1 OPERAZIONI EFFETTUATE DA SOGGETTI PASSIVI STABILITI
Se l’operazione è effettuata da un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato,
debitore dell’imposta è il soggetto stesso (cedente o prestatore), il quale deve pertanto
osservare i conseguenti adempimenti ordinariamente previsti dalla legge.
Questo si desume dalla lettura del primo comma dell’art. 17, coordinata con le
disposizioni dei commi successivi. Fanno eccezione, per motivi non legati alla disciplina dei
rapporti transazionali, ma esclusivamente di contrasto alle frodi, le operazioni soggette al
meccanismo dell’inversione contabile “interno” (subappalti edili, materiali di recupero,
ecc.).
Si ricorda che la definizione di “soggetto passivo stabilito” è fornita dall’art. 7, lett.
d) e che la norma considera tale anche la stabile organizzazione del soggetto estero,
limitatamente però alle operazioni da essa rese oppure ricevute.
5.2 OPERAZIONI EFFETTUATE DA SOGGETTI PASSIVI NON STABILITI
Se invece il cedente o prestatore non è stabilito nel territorio dello stato, ai fini
dell’identificazione del debitore dell’imposta occorre distinguere a seconda che il
destinatario dell’operazione (cessionario o committente) abbia oppure no lo status di
“soggetto passivo stabilito”.
Prima di esaminare tale distinzione, si deve osservare che nelle riformulate
disposizioni dell’art. 17 non è più contenuta la previsione che obbligava i soggetti stabiliti in
territori esclusi dalla nozione convenzionale di “territorio dello stato” (Livigno, Campione
d’Italia, acque nazionali del lago di Lugano) di identificarsi in ogni caso allorché
effettuassero determinate prestazioni di servizi in Italia.
In ordine allo status di “soggetto passivo stabilito”, oltre alla già ricordata definizione
dell’art. 7, lett. d), occorre rammentare che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni in
materia di territorialità delle prestazioni di servizi, l’art. 7-ter fornisce una specifica
definizione della nozione di “soggetto passivo”. Inoltre, poiché, come si è detto prima, la
stabile organizzazione del soggetto estero si considera “soggetto passivo stabilito” soltanto
per le operazioni proprie, quelle che vengono invece poste in essere direttamente dal
soggetto estero – senza intervento della stabile organizzazione – si considerano effettuate da
un “soggetto passivo non stabilito” e sono pertanto sottoposte alle regole appresso descritte
nei punti 5.2.1 e 5.2.2.
5.2.1 Destinatari soggetti passivi stabiliti
Il secondo comma dell’art. 17 prevede che gli obblighi relativi a tutte le operazioni
(cessioni di beni e prestazioni di servizi) effettuate nel territorio dello Stato da soggetti esteri
nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio stesso, sono adempiuti dai cessionari o
committenti mediante il meccanismo dell’inversione contabile.
Questo significa che il cedente/prestatore estero, ancorché abbia in Italia un
rappresentante fiscale, oppure una posizione Iva accesa direttamente, oppure una stabile
organizzazione, non può in nessun caso emettere fattura con addebito dell’Iva verso soggetti
passivi stabiliti (in ordine alla presenza della stabile organizzazione, si veda però quanto
precisato più avanti).
Gli obblighi d’imposta dovranno quindi essere assolti dal destinatario soggetto
passivo nazionale, che a tale fine dovrà:
- emettere autofattura se il fornitore è un soggetto extraUe
- applicare le disposizioni degli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/93, se il fornitore è
invece un soggetto Ue (in tal caso, quindi, occorre integrare e registrare la fattura del
fornitore, nei modi e termini previsti da tali disposizioni).
Se l’operazione è imponibile, l’autofattura (o l’integrazione) dovrà evidenziare
l’ammontare dell’imposta, che sarà poi contabilizzata a debito nella liquidazione periodica
(ovviamente l’autofattura o la fattura integrata saranno anche registrate nel registro degli
acquisti, al fine di esercitare, se spettante, il diritto alla detrazione).
Se l’operazione è invece non imponibile oppure esente, l’autofattura recherà il titolo
e la norma di non applicazione dell’imposta.
Partecipazione della stabile organizzazione
L’art. 192-bis della direttiva n. 112 del 2006, aggiunto dalla direttiva 2008/8/CE con
effetto dal 1° gennaio 2010, stabilisce che, ai fini delle disposizioni sugli obblighi del
debitore dell’imposta, “un soggetto passivo che dispone di una stabile organizzazione nel
territorio di uno stato membro in cui è debitore di imposta si considera soggetto passivo non
stabilito nel territorio di tale stato membro qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a) egli effettua in tale paese una cessione di beni o una prestazione di servizi
imponibile
b) la cessione di beni o prestazione di servizi è effettuata senza la partecipazione di
una sede del cedente o del prestatore di servizi situata nello stato membro in questione.
Il significato di questa non chiarissima disposizione è quello di identificare la stabile
organizzazione come debitore dell’imposta per l’operazione posta in essere dal soggetto
estero quando la stabile organizzazione abbia preso parte alla realizzazione dell’operazione
stessa (ovviamente, all’infuori dell’ipotesi in cui la prestazione debba imputarsi alla stabile
organizzazione, in quanto da essa stessa “generata”, ai sensi dell’art. 45 della direttiva e
dell’art. 7, lett. d, del dpr 633/72, poiché in tal caso non vi è dubbio che gli obblighi
d’imposta siano in capo alla stabile organizzazione in quanto “soggetto passivo stabilito”).
Al riguardo, alcuni chiarimenti sono contenuti nell’art. 53 del regolamento n.
282/2011.
In primo luogo, al par. 1 viene precisato che per l’applicazione dell’articolo 192-bis
si prende in considerazione esclusivamente una stabile organizzazione caratterizzata da un
grado sufficiente di permanenza e da una struttura idonea in termini di mezzi umani e
tecnici atti a consentirle di effettuare la cessione di beni o la prestazione di servizi alla quale
partecipa; in sostanza, si assume la nozione di stabile organizzazione già fornita dall’art. 11
del regolamento stesso ai fini della localizzazione delle prestazioni di servizi.
Ciò detto, il par. 2 precisa che si considera che la stabile organizzazione non
partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata dal soggetto passivo
estero nello stato membro, a meno che i mezzi tecnici o umani di detta stabile
organizzazione siano utilizzati dal soggetto passivo per operazioni inerenti alla realizzazione
della cessione o della prestazione prima o durante la realizzazione dell’operazione. Se i
mezzi della stabile organizzazione sono utilizzati unicamente per funzioni di sostegno
amministrativo, quali la contabilità, la fatturazione e il recupero di crediti, si considera che
essi non siano utilizzati per la realizzazione della cessione di beni o della prestazione di
servizi.
Tuttavia, se viene emessa una fattura con il numero di identificazione Iva attribuito
dallo stato membro della stabile organizzazione, si considera, salvo prova contraria, che
essa abbia partecipato alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata in tale
stato membro.
L’art. 54, infine, precisa che se un soggetto passivo ha stabilito la sede della propria
attività economica nel territorio dello Stato membro in cui è debitore di imposta, le
disposizioni dell’articolo 192-bis non si applicano anche qualora detta sede non partecipi
alla cessione di beni o alla prestazione di servizi che egli effettua in tale stato membro.
In estrema sintesi, se il soggetto estero, nell’effettuare l’operazione in Italia, si avvale
della partecipazione (nel senso sopra precisato) della sua stabile organizzazione nel
territorio dello stato, dovrà essere quest’ultima ad adempiere gli obblighi d’imposta, per cui
non troverà ingresso il meccanismo dell’inversione contabile.
Viceversa, secondo quanto parrebbe desumersi dall’art. 54, nel caso in cui un
soggetto stabilito nello stato membro effettui una prestazione territorialmente rilevante in
tale stato (per esempio, una prestazione di servizi generica nei confronti di un altro soggetto
passivo stabilito), non entra in conto l’eventuale circostanza che alla realizzazione di tale
prestazione abbia partecipato una stabile organizzazione estera del prestatore.
E’ da rilevare, infine, che la disposizione dell’art. 192-bis della direttiva 112 del 2006
parrebbe trovare riscontro, nella normativa nazionale, nel quarto comma dell’art. 17 del dpr
633/72, il quale, nel prevedere che “le disposizioni dei commi secondo e terzo non si
applicano per le operazioni effettuate da o nei confronti di soggetti non residenti, qualora le
stesse siano rese o ricevute per il tramite di stabili organizzazioni nel territorio dello stato”,
in buona sostanza individua la stabile organizzazione come debitore dell’imposta non solo
per le operazioni da essa stessa rese, ma anche per quelle alle quali abbia “partecipato” nel
senso precisato dall’art. 53 del regolamento. Nonostante la diversa espressione utilizzata
dalla norma interna in merito al grado di coinvolgimento della stabile organizzazione (“per
il tramite” anziché con la “partecipazione”), l’interpretazione appena indicata sembra la sola
attribuibile alla disposizione del quarto comma dell’art. 17, che altrimenti risulterebbe
superflua, in quanto si risolverebbe nella mera conferma dell’imputabilità alla stabile
organizzazione, in veste di soggetto passivo stabilito, delle operazioni da essa stessa rese o
ricevute.
Si riportano i chiarimenti resi nella circolare n. 37/2011 al paragrafo 4.5 in materia di “Stabile
organizzazione e debitore d'imposta”
Una particolare disciplina è dettata con riferimento alle prestazioni rese o ricevute da soggetti
residenti con stabile organizzazione all’estero o da soggetti non residenti con stabile organizzazione nel
territorio dello Stato.
Con specifico riferimento alla problematica dell’individuazione del debitore dell’imposta, dalle
disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dell’articolo 17 del d.P.R. n. 633, lette anche alla luce della
disposizione di cui all’articolo 192-bis della Direttiva 2006/112/CE, si ricava che, per le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi territorialmente rilevanti in Italia, rese da soggetti stabiliti sia in Italia che in altro
Stato membro, dovranno distinguersi le seguenti ipotesi:
(1) quella di soggetto estero con stabile organizzazione in Italia (rectius, un soggetto con sede principale
all’estero e stabile organizzazione in Italia);
(2) quella di soggetto italiano con stabile organizzazione (o stabili organizzazioni) all’estero (rectius, un
soggetto con sede principale in Italia e stabile/i organizzazione/i all’estero).
In entrambe le ipotesi, ai fini di verificare il luogo di stabilimento principale, appaiono utilmente
estensibili i criteri forniti con riferimento alla diversa, ma contigua, problematica sopra affrontata relativa
all’individuazione dello Stato di stabilimento del cessionario o committente in presenza di soggetti stabiliti
sia in Italia che in altro Stato (cfr. gli articoli da 20 a 22 del regolamento).
Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese da soggetti non residenti, ma con stabile
organizzazione in Italia, trova applicazione la seguente disciplina:
- per le operazioni rese nei confronti di soggetti passivi residenti o di stabili organizzazioni nel territorio
dello Stato di soggetti non residenti, debitore dell’imposta è i) il cessionario o committente ove la stabile
organizzazione del prestatore non partecipi all’effettuazione dell’operazione e ii) il cedente o prestatore ove
la stabile organizzazione del prestatore partecipi all’effettuazione dell’operazione. Anche in tale ipotesi, ai
fini di verificare se la stabile organizzazione del cedente o prestatore intervenga o meno, appaiono utilmente
estensibili i criteri forniti con riferimento alla diversa, ma contigua, problematica relativa all’individuazione
dello Stato di stabilimento del cessionario o committente in presenza di soggetti stabiliti sia in Italia che in
altro Stato, di cui sopra si è detto (cfr. in particolare gli articoli 21 e 22 del regolamento). In altre parole,
come precisato dal secondo paragrafo dell’articolo 53 del regolamento, deve escludersi che la stabile
organizzazione partecipi all’effettuazione del servizio quando in nessun modo il cedente o prestatore utilizzi
le risorse tecniche o umane della stabile organizzazione in Italia per l’esecuzione della cessione o della
prestazione in considerazione;
- per le operazioni rese nei confronti di cessionari o committenti non residenti né stabiliti nel territorio dello
Stato e per le operazioni rese nei confronti di cessionari o committenti non soggetti passivi d’imposta,
debitore dell’imposta è in ogni caso il cedente o prestatore. Questi assolverà ai relativi obblighi tramite il
numero identificativo IVA già allo stesso attribuito, utilizzando una serie distinta di numerazione per le
fatture non riferibili alle operazioni poste in essere attraverso la stabile organizzazione italiana. Tali ultime
operazioni saranno annotate in apposito registro o blocco sezionale e riportate nella dichiarazione annuale
del soggetto non residente, ma stabilito in Italia, in un distinto modulo.
Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti in Italia rese da un
soggetto italiano attraverso una propria stabile organizzazione all’estero, non trovando applicazione la
disposizione di cui all’articolo 192-bis della direttiva 2006/112/CE, il debitore dell’imposta dovrà comunque
essere individuato nel cedente o prestatore: in tale senso è anche l’articolo 54 del regolamento. Questi
assolverà ai relativi obblighi tramite il numero identificativo IVA già allo stesso attribuito, utilizzando una
serie distinta di numerazione per le fatture riferibili alle operazioni poste in essere attraverso la stabile
organizzazione estera. Tali ultime operazioni saranno annotate in apposito registro o blocco sezionale e
riportate nella dichiarazione annuale del soggetto residente in un distinto modulo.
Enti non commerciali
Particolari modalità procedurali sono dettate per l’ipotesi in cui destinatario
dell’operazione posta in essere da un soggetto estero sia un ente non commerciale
identificato ai fini Iva, che l’art. 7-ter, come si è visto, considera “soggetto passivo” per le
prestazioni di servizi ricevute, anche se non svolge attività rilevante ai fini dell’imposta.
In base al secondo comma dell’art. 17 del dpr 633/72, come riformulato dal decreto
legislativo n. 18/2010, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel
territorio dallo stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi residenti,
compresi gli enti non commerciali dotati di partita Iva, gli obblighi d’imposta sono
adempiuti dai cessionari o committenti.
Il citato dlgs, inoltre, ha aggiunto nel dpr 633/72 l’art. 30-bis, il quale stabilisce che
gli enti non commerciali di cui alle lettere b) e c) del comma 2 dell’art. 7-ter (ossia tutti gli
enti con partita Iva, anche se non svolgono attività rilevanti per il tributo), relativamente alle
operazioni di acquisto di beni e servizi realizzate nello svolgimento di attività non
commerciali, per le quali hanno emesso autofattura ai sensi del secondo comma dell’art. 17,
devono assolvere gli obblighi di registrazione, dichiarazione e versamento secondo le
modalità e nei termini indicati negli artt. 47, comma 3 e 49 del dl n. 331/93.
Si applicano, in altri termini, le stesse regole previste per gli acquisti intracomunitari
dei medesimi enti. A tal fine, con provvedimento dell’agenzia delle entrate del 16 aprile
2010, è stata approvata una nuova versione del modello di dichiarazione Intra-12, da
presentare esclusivamente per via telematica, che accoglie ora non soltanto gli acquisti
intracomunitari, ma tutte le operazioni passive per le quali l’ente assume il ruolo di debitore
dell’imposta ai sensi del citato secondo comma dell’art. 17.
Per le autofatture emesse in relazione agli acquisti effettuati nell’ambito
dell’eventuale attività commerciale, invece, l’ente deve osservare gli adempimenti ordinari.
Infine, ai sensi del comma 6 dell’art. 50 del dl 331/93, come modificato dal dlgs
18/2010, gli enti non commerciali, al pari degli altri soggetti passivi, sono tenuti a
presentare il modello Intrastat, oltre che per gli acquisti intracomunitari, anche quando
ricevono, da imprese stabilite in altri paesi Ue, prestazioni di servizi “generiche” per le quali
essi assumono la veste di debitori dell’imposta secondo le nuove regole sopra descritte.
La nuova disciplina comporta dunque un aggravio per gli enti non commerciali con
partita Iva che ricevono cessioni e prestazioni da soggetti esteri.
Occorre peraltro notare che, in base al nuovo articolo 30-bis, i predetti obblighi
d’imposta scattano anche per gli acquisti di beni effettuati nell’esercizio di attività non
commerciali. Tuttavia, anche se il secondo comma dell’art. 17 qualifica gli enti non
commerciali debitori dell’imposta sia per le cessioni di beni sia per le prestazioni ricevute
da non residenti, l’estensione della soggettività passiva sancita dall’art. 7-ter, comma 2, lett.
b) e c), è disposta “ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative al luogo di
effettuazione delle prestazioni di servizi”. La generalizzazione del secondo comma dell’art.
17 va dunque oltre l’estensione disposta dall’art. 7-ter, che è limitata (in conformità alla
norma comunitaria) alle prestazioni di servizi ricevute.
Si riportano i chiarimenti resi nel paragrafo 4.3 della circolare n. 37/2011 in materia di “adempimenti del
cessionario o del committente”. Si segnala che i termini degli adempimenti degli enti non commerciali
sono stati ridefiniti, a decorrere dal 1° gennaio 2013, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n.
228/2012.
Il cessionario o committente, soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato dovrà provvedere,
ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 21 del d.P.R. n. 633, all’emissione della fattura in un unico esemplare
(nella prassi definita “autofattura”) al momento di effettuazione dell’operazione, determinato ai sensi
dell’articolo 6 del predetto decreto. Giova rilevare che, ai fini dell’individuazione di tale momento, non
assume alcuna rilevanza il momento di ricezione della fattura estera (diversamente da quanto previsto, in
materia di acquisto intracomunitario di beni, dall’articolo 39 del decreto legge n. 331). Tale “autofattura”
dovrà quindi essere emessa, per le prestazioni di servizi, non oltre il momento del pagamento (in caso di
pagamento parziale, limitatamente all’importo pagato) e, per le cessioni di beni, non oltre il momento della
consegna o spedizione o, se anteriore, del pagamento (in caso di pagamento parziale, limitatamente
all’importo pagato).
In ogni caso, i committenti che ricevono da soggetti UE servizi disciplinati, ai fini della territorialità,
dalla regola generale di cui all’articolo 7-ter, possono scegliere tra l’emissione dell’autofattura di cui
sopra, e l’integrazione del documento ricevuto dal prestatore comunitario con la relativa IVA italiana,
fermo restando l’obbligo di rispettare le regole generali sul momento di effettuazione dell’operazione (si
veda, al riguardo, quanto affermato al punto 3.2 della circolare n. 12/E del 12 marzo 2010).
Per le cessioni di beni la cui consegna o spedizione risulti dal documento di cui al d.P.R. n. 472 del
1996, all’emissione dell’autofattura (anche riepilogativa delle consegne intervenute nel corso di un mese)
potrà provvedersi entro il giorno 15 del mese successivo a quello della consegna o spedizione.
Le “autofatture” dovranno essere annotate nel registro delle fatture emesse di cui all’articolo 23
del d.P.R. n. 633, entro i quindici giorni dall’emissione (entro il 15 del mese successivo a quello della
consegna o spedizione per le fatture di cui all’articolo 21, comma 4, secondo periodo, del d.P.R. n. 633). Per
i commercianti al minuto e gli altri soggetti che ai sensi dell’articolo 24 del d.P.R. n. 633 non sono obbligati
alla tenuta del registro delle fatture emesse, le “autofatture” potranno essere annotate, nel rispetto della
predetta tempistica, nel registro dei corrispettivi tenuto ai sensi del predetto articolo.
Ai sensi dell’articolo 25, le “autofatture”, fotografando pur sempre operazioni di acquisto di beni
o servizi, dovranno poi ricevere un numero progressivo in entrata – in base all’ordine progressivo delle
fatture ricevute – e riportate nel registro degli acquisti di cui allo stesso articolo. Poiché l’annotazione in
detto registro è funzionale all’esercizio del diritto alla detrazione, alla stessa dovrà procedersi
anteriormente alla liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale in cui il diritto viene esercitato.
L’annotazione in esame potrà quindi essere effettuata, ai sensi dell’articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633,
a partire dal mese in cui l’imposta diviene esigibile – come di regola nella pratica avviene, al fine di
compensare, attraverso la detrazione, la corrispondente partita a debito – fino alla scadenza del termine
della dichiarazione annuale relativa al secondo anno in cui l’imposta è divenuta esigibile (tale dichiarazione
rappresenta, a norma del primo comma dell’articolo 19, l’ultimo momento per esercitare il diritto alla
detrazione dell’IVA).
È ovviamente possibile, per i cessionari o committenti che effettuino acquisti di beni e servizi per i
quali trova applicazione il reverse charge, annotare detti acquisti – sia con riferimento al registro delle
fatture emesse (o dei corrispettivi) che a quello degli acquisti – in un registro sezionale o in un blocco
sezionale, con correlativa adozione di una distinta serie di numerazione. Come già riconosciuto con
riferimento agli acquisti intracomunitari di beni (cfr. la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 144/E
dell’8 settembre 1999), gli obblighi in tema di numerazione delle fatture e di annotazione delle stesse sia nel
registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi) che in quello degli acquisti possono ritenersi soddisfatti
anche ove si proceda a un’unica numerazione delle “autofatture” relative alle operazioni per cui trova
applicazione il reverse charge e a un’unica annotazione delle stesse su un apposito registro sezionale, che
assume quindi il duplice ruolo di registro sezionale sia del registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi)
che del registro degli acquisti, fermo restando ovviamente che, ancorché in presenza di un’unica
annotazione, nelle liquidazioni e nelle dichiarazioni dell’imposta devono comunque distintamente
valorizzarsi l’imposta a debito e l’imposta a credito relative a tali operazioni.
Modalità particolari di assolvimento dell’imposta sono previste per i soggetti di cui alle lettere b) e
c) del comma 2 dell’articolo 7-ter (ovvero i soggetti che, pur non svolgendo attività imprenditoriale,
artistica o professionale, o pur non effettuando l’acquisto nell’ambito di attività imprenditoriale, artistica o
professionale, sono considerati soggetti passivi dalla normativa in materia di territorialità dell’imposizione).
Il reverse charge obbligatorio opera anche per tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi poste in
essere nei confronti di tali soggetti che assumano rilevanza territoriale ai fini IVA.
Ai fini dell’assolvimento dell’imposta, è prevista l’osservanza da parte di tali soggetti delle stesse
modalità previste per l’assolvimento dell’IVA sugli acquisti intracomunitari di beni effettuate dai soggetti
che non pongono in essere un’attività imprenditoriale, artistica o professionale (cfr. la circolare del
Ministero delle Finanze n. 13/E del 23 febbraio 1994).
Ove l’acquisto sia effettuato da un soggetto che non pone in essere un’attività imprenditoriale,
artistica o professionale, tale soggetto:
• dovrà tenere un apposito registro in cui annotare le operazioni di acquisto entro il mese successivo a
quello di effettuazione delle stesse;
• dovrà presentare entro la fine di ciascun mese una dichiarazione relativa agli acquisti effettuati nel mese
precedente (utilizzando il modello INTRA12 approvato con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
Entrate del 16 aprile 2010) e, infine,
dovrà versare la relativa imposta entro lo stesso termine.
Nella peculiare ipotesi di un acquisto effettuato da un soggetto che esercita sia attività
commerciale che attività non commerciale, l’imposta andrà applicata col meccanismo del reverse charge. In
tale ultima ipotesi, peraltro, ove l’acquisto sia relativo all’attività non commerciale, non competerà il diritto
alla detrazione dell’IVA afferente detto acquisto (fermo restando che, in detta ipotesi di esercizio sia di
attività rilevanti ai fini IVA che di attività non rilevanti, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA
relativa agli acquisti afferenti alle attività rilevanti ai fini IVA sarà subordinato all’osservanza degli
adempimenti previsti dall’articolo 19-ter del d.P.R. n. 633).
Merita infine di essere analizzato il caso in cui, in presenza di prestazioni di servizi
territorialmente rilevanti nello Stato, le stesse siano esenti da IVA. È da ritenere che il contribuente – con
riferimento ai servizi ricevuti – non sia soggetto agli obblighi di emissione della “autofattura” e ai connessi
obblighi di annotazione quando lo stesso non sia tenuto alla fatturazione dei servizi della stessa tipologia
che fossero dallo stesso effettuati. In via esemplificativa, quindi, un soggetto che riceva servizi di
finanziamento o di assicurazione non dovrà procedere all’emissione della “autofattura” e alla annotazione
della stessa, posto che per i servizi di finanziamento e di assicurazione a propria volta resi opera l’esonero
dall’emissione della fattura di cui all’articolo 22, primo comma, n. 6, del d.P.R. n. 633. Del pari, le banche e
le società finanziarie, esonerate dall’obbligo di fatturazione per tutti i servizi resi dal n. 5) del predetto
articolo 22, primo comma, non sono tenute agli obblighi di emissione della “autofattura” e ai connessi
obblighi di annotazione, con riferimento a tutti i servizi – esenti o non imponibili – ricevuti.
5.2.2 Destinatari privati consumatori, oppure soggetti passivi non stabiliti
Allorquando gli obblighi derivanti dalla applicazione delle norme in materia di Iva
sono a carico dei soggetti non residenti che hanno posto in essere l’operazione, in quanto il
destinatario non è un soggetto passivo stabilito, l’art. 17, terzo comma, prevede che tali
obblighi vanno adempiuti, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti esteri, i quali, se non
dispongono di una stabile organizzazione nello stato, possono avvalersi del sistema
dell’identificazione diretta ai sensi dell’articolo 35-ter, oppure di un rappresentante fiscale
residente nel territorio dello stato.
Il soggetto estero che dispone, invece, di una stabile organizzazione in Italia, dovrà
adempiere agli obblighi d’imposta avvalendosi della stabile organizzazione, per cui non
potrà identificarsi direttamente né tramite rappresentante fiscale,
In considerazione della previsione del secondo comma dell’art. 17, esaminata al
punto 5.2.1, l’ipotesi disciplinata dal terzo comma si realizza nel caso in cui cessionario o
committente delle operazioni poste in essere dal soggetto estero sia:
- un privato consumatore, oppure
- un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello stato.
Si deve osservare che, alla luce delle nuove regole di territorialità, l’ipotesi in esame
riguarda le cessioni di beni e le prestazioni di servizi sottoposte a criteri specifici, ai sensi
degli articoli 7-quater, 7-quinquies e 7-sexies, per le quali può infatti realizzarsi la duplice
condizione della (i) rilevanza territoriale dell’operazione e della (ii) situazione di privato
consumatore oppure di soggetto passivo estero del cessionario/committente; l’ipotesi non
può, viceversa, realizzarsi per le prestazioni di servizi ricadenti nelle regole generali, le
quali infatti:
- o non sono territoriali, perché rese da un soggetto estero a un privato consumatore
- oppure sono territoriali in quanto rese a soggetti passivi stabiliti, ma in tal caso gli obblighi
d’imposta sono a carico dei destinatari.
Sempre il terzo comma dell’art. 17 prevede, poi, che se gli obblighi derivano
esclusivamente dall’effettuazione di operazioni non imponibili di trasporto ed accessorie ai
trasporti, gli adempimenti del soggetto estero sono limitati alla sola fatturazione; viene
configurata, in tale ipotesi, una forma di rappresentanza “leggera”, che non comporta altri
obblighi oltre a quello dell’emissione della fattura.
Infine, resta fermo, per il soggetto estero, l’obbligo di avvalersi del rappresentante
fiscale, dell’identificazione diretta o della stabile organizzazione nel caso in cui effettui in
Italia cessioni o acquisti intracomunitari imponibili ai sensi del dl 331/93, giusta quanto
previsto dall’art. 44 dello stesso dl (per esempio, allorché trasferisce in un magazzino in
Italia, per le proprie esigenze, beni provenienti da un altro stato membro).
Di seguito si analizzano le varie posizioni “strumentali” attraverso le quali il soggetto
estero può adempiere i propri obblighi (o esercitare i propri diritti, quale la detrazione) in
Italia.
5.2.2.1 Rappresentante fiscale
Rappresentante fiscale di un soggetto estero può essere sia una persona fisica che una
persona giuridica, purché residente in Italia. Ai sensi del terzo comma dell’art. 17, il
rappresentate risponde in solido con il rappresentato degli obblighi derivanti
dall’applicazione delle disposizioni sull’Iva e deve essere nominato mediante una delle
forme previste dall’art. 1, comma 4, del dpr 10 novembre 1997, n. 441, e cioè:
- atto pubblico
- scrittura privata registrata
- lettera d’incarico annotata in apposito registro presso l’ufficio dell’agenzia delle entrate
competente in base al domicilio del rappresentante.
La nomina deve essere comunicata all’altro contraente anteriormente
all’effettuazione dell’operazione.
Il rappresentante fiscale deve richiedere all’ufficio dell’agenzia delle entrate
l’attribuzione del numero di partita Iva; dopo di che deve assolvere, per conto del
mandante, in relazione alle operazioni territorialmente rilevanti a questi imputabili, i
normali obblighi previsti per la generalità dei contribuenti (istituzione registri contabili,
fatturazione, registrazione, liquidazione, versamento, dichiarazione, ecc.).
Il rappresentante fiscale ha diritto al rimborso annuale dell’Iva a credito risultante
dalla dichiarazione, ai sensi dell’articolo 30, terzo comma, lettera e), del dpr n. 633/72,
nonché al rimborso infrannuale ai sensi dell’art. 38-bis, secondo comma, ovviamente alla
condizione che sussista il diritto alla detrazione.
In ordine alla portata della responsabilità del rappresentante fiscale, la corte di
cassazione, nella sentenza 15 maggio 2001, n. 8122, ha affermato che, a differenza del
rappresentante fiscale ai fini delle imposte sul reddito, per il quale vige il criterio della intera
tassabilità del reddito prodotto in Italia anche nei confronti delle società non residenti e
prive di stabile organizzazione e che, quindi, assume l’obbligazione tributaria in relazione al
complesso dell’attività produttiva di reddito, il rappresentante fiscale Iva non diviene punto
di riferimento di tutte le operazioni effettuate dal mandante estero nel territorio dello stato.
Infatti, è il soggetto non residente a restare destinatario diretto di qualunque altra norma che
non debba transitare attraverso il rappresentante fiscale. Conseguentemente, secondo il
condivisibile avviso della corte suprema, per stabilire se al rappresentante fiscale sia stato o
meno conferito l’incarico di esercitare diritti o adempiere obblighi in relazione a
determinate operazioni, occorre rapportarsi ai contenuti del mandato.
In sostanziale difformità dalla citata sentenza, secondo la quale al rappresentante
fiscale Iva sarebbe attribuita “soggettività passiva parziale”5, nella risoluzione 4 marzo
2002, n. 66 l’agenzia delle entrate ha affermato che la responsabilità del rappresentante
fiscale è determinata non tanto in funzione dell’accordo privatistico (contratto di mandato)
che lo lega al rappresentato non residente, quanto dall’applicazione delle norme giuridiche
sulla territorialità dell’operazione e sulla conseguente individuazione del debitore
dell’imposta. Sul presupposto della onnicomprensività della disposizione dell’articolo 17,
l’agenzia ha pertanto ritenuto che il rappresentante fiscale sia solidalmente responsabile “per
tutte le operazioni territorialmente rilevanti nello stato, con esclusione, perciò, di quelle
poste in essere direttamente dal soggetto non residente che non risultino effettuate in Italia,
ai sensi dell’art. 7 del citato dpr n. 633 del 1972”.
Secondo la risoluzione, insomma, la responsabilità del rappresentante andrebbe
esclusa non già nel caso in cui l’operazione sia effettuata direttamente dal rappresentato
senza darne notizia al mandatario, ma solamente nel caso di operazioni extraterritoriali (il
che, però, sembra privo di significato, giacché l’assenza di operazioni localizzate in Italia
elimina alla radice qualsiasi questione di responsabilità per l’Iva).
Con sentenza del 19 febbraio 2009, causa C-1/08, la corte di giustizia Ue ha fornito
importanti precisazioni in ordine al ruolo del rappresentante fiscale, volte ad escludere
categoricamente una pretesa valenza di tale figura nei riflessi dei criteri per l’individuazione
del luogo delle prestazioni.
La corte ha sottolineato che “la designazione di un rappresentante fiscale, come
quello menzionato, in particolare, all’art. 2, n. 3, della tredicesima direttiva e all’art. 17 del
decreto relativo all’Iva, è, di per sé, irrilevante ai fini della natura imponibile o meno delle
prestazioni ricevute o effettuate dalla persona rappresentata, giacché il meccanismo della
rappresentanza ha unicamente lo scopo di consentire al fisco di avere un interlocutore
5
Tale espressione appare comunque impropria, essendo la soggettività passiva cosa diversa rispetto alla funzione di
debitore dell’imposta.
nazionale quando il soggetto passivo è stabilito all’estero.” Diverso è il caso in cui il
rappresentante fiscale svolga un ruolo economico nelle prestazioni, ma, in tale ipotesi, è in
ragione di detto ruolo e non della sua qualità di rappresentante fiscale che le operazioni da
lui effettuate sono imponibili.
5.2.2.2 Identificazione diretta
Con il decreto legislativo 19 giugno 2002, n. 191, adottato ai sensi della legge 1°
marzo 2002, n. 31, sono state recepite, tra l’altro, le disposizioni della direttiva 2000/65/CE
del 17 ottobre 2000 ed è stato pertanto introdotto, per i soggetti non residenti, l’istituto della
“identificazione diretta”, ossia l’opportunità di adempiere gli obblighi ed esercitare i diritti
in materia di Iva, relativamente alle operazioni effettuate in Italia, anziché attraverso un
rappresentante fiscale, registrandosi direttamente all’anagrafe dei soggetti passivi nazionali.
Questa opportunità, i cui aspetti dichiarativi sono disciplinati nell’art. 35-ter del dpr
633/72, è riservata ai soggetti esteri che esercitano attività di impresa, arte o professione in
altro stato membro della Comunità, oppure in un paese terzo con il quale esistano strumenti
giuridici che disciplinano la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta
analogamente a quanto previsto dalle direttive del consiglio n. 76/308/CEE del 15 marzo
1976 e n. 77/799/CEE del 19 dicembre 1997 e dal regolamento (CEE) n. 218/92 del
consiglio del 27 gennaio 1992.
Al riguardo, con la risoluzione dell’agenzia delle entrate 5 dicembre 2003, n. 220, è
stato precisato che, data l’assenza di siffatti strumenti di cooperazione, al momento nessun
contribuente di paesi terzi può utilizzare il sistema di identificazione diretta. Va però
osservato che la legge 10 febbraio 2005, n. 19, ha autorizzato il Capo dello stato ad aderire
alla convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1988, che disciplina la reciproca assistenza
amministrativa in materia fiscale tra gli stati membri del consiglio d’Europa e i paesi
membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Tra le forme di
assistenza previste dalla convenzione, applicabile anche in materia di Iva, figurano lo
scambio di informazioni (su richiesta, spontaneo o automatico), il recupero di crediti fiscali,
la notifica di documenti; sono inoltre possibili controlli fiscali all’estero e controlli fiscali
contemporanei in più stati. La sostanza di queste misure di collaborazione ricalca quindi,
nelle linee fondamentali, il regolamento n. 1798/2003,6 sostitutivo del precedente
regolamento n. 218/1992, che in ambito comunitario disciplina la materia della
cooperazione amministrativa in materia di Iva, completando le disposizioni della direttiva n.
77/799/CEE. La ratifica della convenzione di Strasburgo, pertanto, dovrebbe avere
realizzato, nei confronti dei paesi Ocse non aderenti all’Ue (Australia, Canada, Corea,
Giappone, Islanda, Messico, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Svizzera e Turchia), il presupposto
per l’accesso all’identificazione diretta per l’adempimento degli obblighi e l’esercizio dei
diritti in materia di Iva. Sul punto, tuttavia, ad oggi non risultano pronunce
dell’amministrazione finanziaria.
Ai sensi del citato art. 35-ter, l’operatore che intende identificarsi in Italia deve
presentare all’agenzia delle entrate, con le modalità appresso descritte, una dichiarazione
redatta utilizzando l’apposito modello ANR/3 (l’ultima versione del quale è stata approvata
con provvedimento dell’agenzia delle entrate del 28 dicembre 2009).
6
Si rammenta che il regolamento n. 1798/2003, a sua volta, è stato abrogato e sostituito, con effetto dal 1° gennaio
2012, dal regolamento n. 904/2010 del 7 ottobre 2010.
L’ufficio competente alla gestione dei rapporti con i soggetti non residenti, ai sensi
del provvedimento del 30 dicembre 2005, è il Centro Operativo di Pescara. Dall’1/1/2006,
pertanto, i modelli ANR/3 vanno indirizzati alla predetta struttura, mentre le eventuali
richieste di rimborso con modello VR dei soggetti in esame vanno inoltrate all’agente della
riscossione di Pescara (salvo successive modifiche che dovessero intervenire per effetto del
dl 78/2009).
In seguito alla presentazione del modello ANR/3, viene attribuito all’interessato un
numero di partita Iva, contraddistinto in modo da evidenziarne la natura di soggetto non
residente identificato in Italia.
La dichiarazione di identificazione contiene le seguenti indicazioni:
- per le persone fisiche: nome, cognome, eventuale ditta, luogo e data di nascita, domicilio
fiscale nello stato estero di attività;
- per gli altri soggetti: denominazione, ragione sociale o ditta, sede legale o, in mancanza,
amministrativa nello stato estero di attività, nonché gli elementi di cui sopra per almeno una
delle persone fisiche che ne hanno la rappresentanza;
- l’ufficio dell’amministrazione dello stato estero competente ad esercitare i controlli,
nonché il numero di identificazione Iva o, in mancanza, quello di identificazione fiscale
attribuito dallo stato medesimo;
- il tipo e l'oggetto dell'attività esercitata nello stato estero;
- l’impegno ad esibire le scritture contabili entro i termini stabiliti dall’amministrazione
richiedente;
- ogni altro elemento richiesto dal modello di dichiarazione.
Ai soggetti che si identificano direttamente non viene pertanto imposta nessuna
forma di “recapito” in Italia, neppure al solo scopo di rendere possibile l’esame della
documentazione contabile. Va anzi rilevato come il modello non contempli neppure
l’eventualità che il soggetto abbia la disponibilità di un ufficio, un magazzino, un deposito,
ecc., e ciò costituisce un inconveniente, poiché di tale eventuale circostanza si dovrà dare
comunicazione all’amministrazione finanziaria con altri mezzi.
Il soggetto che si sia identificato direttamente è obbligato a presentare apposita
dichiarazione, anche in caso di successiva variazione dei dati indicati in sede di
identificazione, nel termine di trenta giorni. La dichiarazione va presentata utilizzando il
medesimo modello ANR/3. Le istruzioni prevedono, inoltre, la presentazione della
dichiarazione anche per denunciare la cessazione dell’attività, sempre nel termine di trenta
giorni.
Il modello ANR/3 va presentato, per quanto riguarda la dichiarazione di
identificazione, mediante consegna diretta, anche attraverso persona delegata, oppure
mediante raccomandata postale, allegando copia fotostatica di un documento di
identificazione del dichiarante nonché la certificazione attestante lo status di soggetto
passivo Iva nel paese di appartenenza. La dichiarazione di variazione dati o di cessazione
dell’attività può essere presentata, oltre che con le suddette modalità, anche mediante
trasmissione telematica, direttamente dal soggetto oppure tramite intermediari abilitati.
Si ricorda che l’identificazione diretta, il rappresentante fiscale e, dopo il dl
135/2009, la stabile organizzazione sono strumenti alternativi tra loro; prima di detto
decreto, invece, la normativa interna prevedeva la possibilità per il soggetto estero con
stabile organizzazione di identificarsi anche direttamente o tramite rappresentante fiscale.
Come il rappresentante fiscale, anche il soggetto identificato direttamente ha diritto al
rimborso annuale o infrannuale in base alle disposizioni sopra richiamate; secondo
l’interpretazione logico-sistematica, tale diritto, nel nuovo quadro normativo, dovrebbe
estendersi anche alla stabile organizzazione, limitatamente al credito d’imposta maturato in
relazione alle operazioni veicolate per conto del soggetto estero.
5.2.2.3 Regime speciale per le imprese extracomunitarie di e-commerce
La direttiva 2002/38/CE del 7 maggio 2002, attuata con il dlgs 1° agosto 2003, n.
273, nel disciplinare in modo speciale la territorialità di talune prestazioni, ha disposto che i
servizi prestati con mezzi elettronici da imprese stabilite fuori della Comunità a privati
consumatori comunitari devono essere tassati nel paese in cui è stabilito il consumatore (si
veda il precedente paragrafo 3.2.6). Ovviamente, non potendo il consumatore farsi carico
degli adempimenti d’imposta, è il prestatore che deve provvedervi.
In considerazione di ciò, al fine di rendere più agevole l’osservanza delle disposizioni
Iva alle imprese extracomunitarie, consentendo loro di adempiere agli obblighi connessi ai
servizi in esame senza doversi identificare in ciascuno dei paesi in cui effettuano prestazioni
di e-commerce, la direttiva ha introdotto, in via sperimentale, un sistema semplificato,
recepito in Italia con l’art. 74-quinquies del dpr 633/72.
Tale sistema temporaneo prevede che l’impresa extracomunitaria che non sia
identificata in un altro stato membro può identificarsi in Italia, per assolvere gli obblighi
relativi alle prestazioni di e-commerce effettuate in tutta l’area comunitaria. In sostanza,
fermo restando la tassazione delle operazioni nel paese del consumatore, il fornitore ha un
unico interlocutore per quanto riguarda gli adempimenti Iva relativi a tutte le prestazioni
effettuate nella Comunità, per cui:
- dichiara in Italia (o nello stato membro in cui ha scelto di registrarsi) l’inizio dell’attività,
ottenendo l’attribuzione del numero individuale di posizione Iva; tale dichiarazione, da
effettuarsi per via telematica, va redatta secondo lo schema approvato dall’agenzia delle
entrate con provvedimento dell’8 ottobre 2003;
- presenta con cadenza trimestrale, entro venti giorni dalla fine del trimestre, la
dichiarazione Iva, anche in assenza di operazioni, redatta secondo lo schema approvato con
il suddetto provvedimento;
- indica nella dichiarazione, distintamente per ogni stato membro in cui ha effettuato
forniture di servizi elettronici, il valore totale di tali forniture, l’aliquota applicabile e la
relativa imposta dovuta;
- provvede al pagamento, entro il termine di presentazione della dichiarazione, dell’imposta
dovuta, sul conto bancario indicato dallo stato membro di identificazione;
- ha diritto, in luogo della detrazione, al rimborso dell’imposta ai sensi della direttiva
79/1072/CEE del 6 dicembre 1979 (c.d. ottava direttiva), senza talune limitazioni previste
dalla direttiva medesima (si ricorda che la materia del rimborso dell’Iva ai soggetti esteri,
già regolata dalla predetta direttiva, dal 1° gennaio 2010 è disciplinata dalla direttiva
2008/9/CE del 12 febbraio 2008);
- conserva una documentazione sufficientemente dettagliata delle transazioni effettuate, per
consentire sia allo stato membro di identificazione sia a quello di consumo di verificare la
correttezza della dichiarazione.
Lo stato membro di identificazione, oltre a verificare che l’impresa mantenga i
requisiti per l’identificazione ed osservi le disposizioni stabilite, provvederà a fornire agli
stati membri di consumo le informazioni particolareggiate ricevute dal soggetto passivo, ad
attribuire loro le quote d’imposta di competenza ed agli altri adempimenti connessi.
Per le imprese extracomunitarie che scelgono di identificarsi in Italia, l’agenzia delle
entrate ha allestito, nel proprio sito internet, un apposito servizio, denominato “V@t on eservice”, per la gestione degli adempimenti (per via telematica) e per ogni informazione.
Ulteriori disposizioni chiarificatrici, relative al regime speciale in esame, sono
contenute negli artt. Da 58 a 63 del regolamento n. 282/2011.
6. PRESTAZIONI SCAMBIATE
ADEMPIMENTI PARTICOLARI
FRA
SOGGETTI
PASSIVI
UE:
Si è visto che la nuova regola base per le prestazioni generiche scambiate fra soggetti
passivi individua quale luogo dell’operazione quello in cui è domiciliato il committente.
Allo scopo di controllare, nell’ambito della Comunità, che il destinatario adempia
agli obblighi d’imposta, sono stati istituiti adempimenti particolari in relazione alle
prestazioni generiche scambiate fra soggetti passivi stabiliti in due stati membri dell’Ue (es.
fornitore IT e cliente FR, fornitore FR e cliente IT).
In questa prospettiva, si può assumere una nuova nozione di “prestazioni di servizi
intracomunitari”, prima riferita alle prestazioni disciplinate dagli speciali criteri di cui ai
soppressi commi 4-bis, 5, 6 e 8 dell’art. 40 del dl 331/93 (lavorazioni, trasporti,
intermediazioni), per designare le prestazioni di servizi “generiche” scambiate fra soggetti
passivi comunitari e sottoposte, in quanto tali, agli obblighi di cui ai successivi punti 6.1 e
6.2.
Regime autorizzatorio
Si ricorda che l’art. 27 del dl 31 maggio 2010, n. 78, ha istituito un regime di
autorizzazione per le operazioni intracomunitarie, secondo cui i soggetti passivi che
intendono effettuare tali operazioni (attive o passive) devono preventivamente chiedere
l’autorizzazione all’agenzia delle entrate. Le disposizioni attuative sono state emanate con
due provvedimenti dell’agenzia del 29 dicembre 2010.
In proposito, con la circolare n. 39 del 1° agosto 2011 l’agenzia ha chiarito che,
sebbene la norma richiami soltanto gli scambi intracomunitari di beni, il regime
autorizzatorio riguarda anche i soggetti che scambiano con clienti o fornitori Ue prestazioni
di servizi c.d. “generiche”.
6.1 OBBLIGO DI FATTURAZIONE DEL PRESTATORE
Ai sensi del comma 6-bis dell’art. 21 del DPR n. 633/72 (ma già in base al previgente
comma 6 del medesimo articolo), il prestatore italiano che effettua una prestazione generica
nei confronti di un soggetto passivo di altro Stato membro, non soggetta all’Iva in Italia ai
sensi dell’art. 7-ter, è tenuto ad emettere la fattura indicandovi l’annotazione “inversione
contabile” e il numero di identificazione Iva attribuito al committente dal proprio stato
membro; l’obbligo non sussiste relativamente alle operazioni esenti di cui ai nn. da 1 a 4 e 9
dell’art. 10 del DPR 633/72.
L’obbligo di fatturazione, dal 1° gennaio 2013, riguarda anche le prestazioni di
servizi rese a committenti extraUe; in tal caso, sulla fattura occorre indicare l’annotazione
“non soggetta”.
L’importo di queste fatture, a decorrere dalla predetta data, concorre al volume
d’affari del prestatore italiano.
Relativamente alle prestazioni generiche rese a committenti esteri, la fattura deve
essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione
dell’operazione (ultimazione del servizio, salvo pagamento anticipato), ma va registrata con
riferimento al mese di effettuazione dell’operazione.
6.2 L’OBBLIGO INTRASTAT
Dal 2010 l’obbligo di presentazione dell’elenco riepilogativo degli scambi
intracomunitari (modello Intrastat) è stato esteso anche alle prestazioni di sevizi “generiche”
scambiate fra soggetti passivi Ue.
Il comma 6 dell’art. 50 del dl n. 331/93, infatti, nel testo riformulato dal decreto
legislativo n. 18/2010, stabilisce che gli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti
intracomunitari devono contenere anche le “prestazioni di servizi diverse da quelle di cui
agli articoli 7-quater e 7-quinquies…, rese nei confronti di soggetti passivi stabiliti in un
altro stato membro della Comunità e quelle da questi ultimi ricevute”.
L’operatore italiano che scambia, in veste di fornitore o di cliente, una prestazione di
servizi “generica” (disciplinata cioè dalla nuova regola base illustrata al paragrafo 1) con un
soggetto passivo di un altro stato membro dell’Ue, dovrà pertanto dichiarare la prestazione
nel modello Intrastat.
L’obbligo Intrastat servizi scatta dunque qualora ricorrano entrambi i seguenti
requisiti:
a) oggetto della prestazione è un servizio generico nel senso sopra precisato
b) prestatore e committente sono stabiliti in due diversi stati membri dell’Ue.
Tuttavia, quand’anche ricorrano tali requisiti, il citato comma 6 dell’art. 50 prevede
che non devono essere incluse negli elenchi riepilogativi “le operazioni per le quali non è
dovuta l’imposta nello stato membro in cui è stabilito il destinatario”. Ad esempio,
l’impresa italiana che riceve dal fornitore comunitario una fattura per l’addebito di interessi
su finanziamento, esenti ai sensi dell’art. 10, oppure per un trasporto di merci in
esportazione, non imponibile ai sensi dell’art. 9, n. 2, anche quando debba adempiere
all’obbligo di integrazione della fattura del fornitore, non dovrà includere detti acquisti di
servizi nel modello Intrastat. Lo stesso vale, naturalmente, per l’ipotesi speculare, ossia per
le prestazioni rese da fornitori italiani a clienti Ue, nel qual caso, però, sarà opportuno (e
talvolta necessario) interpellare il cliente per conoscere il regime Iva della prestazione nello
stato membro di destinazione.
Se dunque questa previsione, da un lato, semplifica gli adempimenti, eliminando
l’obbligo Intrastat allorquando non vi è, in concreto, imposta da applicare a destinazione,
dall’altro potrà causare qualche problema in relazione alle operazioni il cui trattamento non
è perfettamente armonizzato e renderà necessario uno scambio di informazioni tra le parti in
merito al regime dell’operazione nel paese del committente.
In proposito, l’agenzia delle entrate, nella circolare n. 43 del 6 agosto 2010, ha
dichiarato che, ai fini dell’esonero dalla compilazione dell’elenco Intrastat, il prestatore
nazionale ha l’onere di accertare che la prestazione resa sia esente o non imponibile nel
paese del committente comunitario, precisando che, a tal fine, “si considera che il prestatore
italiano abbia agito in buona fede nell’accertare che per la prestazione resa non sia dovuta
l’imposta nello stato membro del committente quando ha richiesto ed ottenuto una
dichiarazione redatta dal medesimo committente in cui questi afferma che la prestazione è
esente o non imponibile nel suo paese di stabilimento. Tale dichiarazione può essere
rilasciata una sola volta dal committente comunitario con riguardo a tutte le prestazioni
della stessa specie da lui ricevute e rimane valida finché non mutano le caratteristiche del
servizio reso o il trattamento fiscale previsto nello stato del committente.”
Pertanto, il prestatore che sia in possesso di tale dichiarazione sarà legittimato a non
includere l’operazione nell’elenco Intrastat. L’agenzia puntualizza giustamente che, anche
in mancanza della dichiarazione, il prestatore potrà comunque omettere l’indicazione della
prestazione nell’elenco Intrastat se ha la certezza che nello stato del committente l’imposta
non sia dovuta.
Nel corso dell’esame parlamentare dello schema di decreto legislativo n. 18/2010 era
stato proposto di limitare l’obbligo Intrastat alle sole prestazioni rese (elenco cessioni), in
ragione del fatto che la direttiva non prevede l’obbligo speculare per le prestazioni ricevute
(elenco acquisti). La proposta, però, non è stata accolta, per cui nel nostro paese,
diversamente che in altri stati membri, la presentazione del modello Intrastat è obbligatoria
non soltanto per le prestazioni rese, ma anche per quelle ricevute.
La modulistica
L’estensione dell’obbligo Intrastat alle prestazioni di servizi ha reso necessario
l’aggiornamento dei modelli precedentemente in uso per i soli scambi di beni, come previsto
dal comma 6-ter, inserito nell’art. 50 del dl 331/93 dal dlgs n. 18/2010.
Conseguentemente, con provvedimento dell’agenzia delle dogane del 22 febbraio
2010 è stata approvata la nuova modulistica Intrastat, che comprende ora, in aggiunta ai
precedenti, anche i seguenti modelli destinati alle prestazioni di servizi:
- Intra-1 quater, per i servizi resi, registrati nel periodo di riferimento
- Intra-1 quinquies, per le rettifiche ai servizi resi, dichiarati in periodi precedenti
- Intra-2 quater, per i servizi ricevuti, registrati nel periodo di riferimento
- Intra-2 quinquies, per le rettifiche ai servizi ricevuti, dichiarati in periodi precedenti
Oltre alle indicazioni essenziali (ammontare delle operazioni e codice Iva del
cliente/fornitore), i modelli richiedono numerose altre informazioni complementari, non
indispensabili nell’ottica dell’adempimento (poiché diversamente sarebbero state imposte
dalla normativa comunitaria, che invece non le contempla), tra cui:
- il numero e la data della fattura; in proposito, per quanto riguarda i servizi ricevuti,
l’agenzia delle entrate, con le circolari n. 14 del 18 marzo 2010 e n. 36 del 21 giugno 2010,
ha chiarito che occorre riportare non gli estremi della fattura del fornitore estero, bensì il
numero e la data attribuiti dal committente italiano secondo la progressione delle fatture
attive seguita nella propria contabilità
- codice del servizio, che deve essere desunto dall’apposita classificazione consultabile sul
sito dell’agenzia delle dogane
- modalità di erogazione (I se in unica soluzione, R se a più riprese)
- modalità di incasso (bonifico, accredito, altre modalità)
- paese di pagamento.
Le avvertenze che corredano i modelli non contengono istruzioni sufficienti per la
corretta compilazione (si rimanda, sul punto, alle osservazioni formulate da Assonime nella
circolare n. 18 del 27 maggio 2010); numerosi chiarimenti, i principali dei quali sono
riassunti nel riquadro riportato in calce a questo paragrafo, sono stati forniti dall’agenzia
delle entrate con la circolare n. 36 del 21 giugno 2010.
E’ opportuno ricordare che:
- l’ordinamento prevede la non punibilità delle violazioni meramente formali (legge
212/2000, dlgs n. 472/97)
- l’art. 11, comma 4, del dlgs n. 471/97 prevede che l’inesattezza o incompletezza degli
elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie non è sanzionabile se i dati mancanti
o inesatti vengono integrati o corretti anche a seguito di richiesta degli uffici.
Frequenza, termini e modalità di presentazione dei modelli
Con il decreto ministeriale 22 febbraio 2010, pubblicato nella G.U. del 5 marzo 2010,
sono state modificate le regole in merito alla frequenza, ai termini e alle modalità di
presentazione dei modelli Intrastat.
L’art. 2 del decreto stabilisce che gli elenchi sono presentati con riferimento a:
- periodi trimestrali da parte dei soggetti che hanno realizzato, nei quattro trimestri
precedenti e per ciascuna categoria di operazioni (cessioni di beni, acquisti di beni,
prestazioni di servizi rese, prestazioni di servizi ricevute), un ammontare totale trimestrale
non superiore a 50.000 euro
- periodi mensili da parte dei soggetti che non si trovano nella suddetta condizione.
La soglia di 50.000 euro si assume distintamente per l’elenco delle operazioni attive e
per quello delle operazioni passive e, nell’ambito di ciascun elenco, per ciascuna categoria
di operazioni. Ad esempio, il soggetto che nel trimestre ha effettuato:
- cessioni di beni per 48.000 euro
- prestazioni di servizi per 51.000 euro
- acquisti di beni per 49.000 euro
- acquisti di servizi per 49.000 euro
presenterà mensilmente l’elenco delle operazioni attive (Intra-1), perché ha superato la
soglia nelle prestazioni rese, e trimestralmente l’elenco delle operazioni passive (Intra-2).
E’ in facoltà del contribuente presentare comunque l’elenco mensilmente, per l’intero
anno solare.
I soggetti che hanno iniziato l’attività da meno di quattro trimestri possono presentare
gli elenchi trimestralmente, a condizione che la soglia di 50.000 euro non risulti superata nei
trimestri trascorsi.
In applicazione di questo principio, l’agenzia delle entrate, con la citata circolare n.
14/2010, ha ritenuto che i soggetti tenuti a presentare gli elenchi esclusivamente per le
prestazioni di servizi, considerato che l’obbligo è stato introdotto con effetto dal 2010,
possono, mancando i riferimenti storici, adottare la periodicità trimestrale, salvo quanto si
dirà a breve per l’ipotesi di superamento.
In caso di superamento della soglia nel corso del trimestre, scatta l’obbligo di
presentare l’elenco con periodicità mensile “a partire dal mese successivo in cui tale soglia è
superata”. Questa disposizione non si presta, invero, ad interpretazione univoca, tanto che è
stata intesa in modo diverso dall’agenzia delle dogane e dall’agenzia delle entrate.
Con la circolare n. 36 del 21 giugno 2010, confermando l’interpretazione resa con la
circolare 14/2010, l’agenzia delle entrate ha ribadito che in caso di superamento della soglia
di 50.000 euro nel corso del trimestre, l’operatore è tenuto immediatamente a presentare gli
elenchi con periodicità mensile. Ad esempio, in caso di superamento della soglia nel mese
di gennaio, l’operatore dovrà presentare l’elenco trimestrale entro il 25 febbraio, riferito al
solo mese di gennaio, contrassegnando nel frontespizio la casella “primo mese del
trimestre”; presenterà poi l’elenco mensile a partire dal mese di febbraio. In caso di
superamento nel mese di febbraio, l’operatore presenterà entro il 25 marzo l’elenco
trimestrale riferito ai mesi di gennaio e febbraio; presenterà l’elenco mensile a partire dal
mese di marzo.
Ai sensi dell’art. 3 del decreto, gli elenchi devono essere presentati esclusivamente
per via telematica, attraverso il servizio telematico doganale; con successivo provvedimento
del 7 maggio 2010 è stata però consentita, a partire dal 10 maggio 2010, la trasmissione
anche attraverso i canali telematici dell’agenzia delle entrate.
Quanto ai termini di presentazione, infine, sempre il citato art. 3 stabilisce che gli
elenchi sono presentati entro il giorno 25 del mese successivo al periodo di riferimento.
Va evidenziato che nella nuova disciplina non trova più applicazione la disposizione,
introdotta dal dpr n. 190/2004, che differiva al 6 settembre il termine per la presentazione
degli elenchi Intrastat relativi al mese di agosto.
Ai sensi dell’art. 7 del D.L. n. 70/2011, se il termine di presentazione cade di sabato
o in giorno festivo, è prorogato al primo giorno lavorativo successivo.
I principali chiarimenti sulla compilazione/presentazione dei modelli Intrastat della circolare n. 36/2010
Rettifiche per variazioni, errori e
omissioni
Adozione spontanea della periodicità
mensile
Mancanza di operazioni nel periodo di
riferimento
Beni inviati in conto visione
Determinazione del controvalore
Fatture di acconto
Lavorazioni
Indicazione degli estremi della fattura
Vendite di “pacchetti turistici”
Spese di viaggio e di ristorazione
Addebito spese di trasporto merci a
Le rettifiche ex art. 26, dpr 633/72 vanno riportate negli elenchi relativi al
periodo di registrazione della nota di variazione.
Le omissioni non possono essere sanate con il meccanismo delle rettifiche,
ma occorre dichiarare l’operazione nella sezione 3 del modello, con
riferimento al periodo di competenza.
Se è stata adottata la periodicità mensile, presumendo di superare il limite,
tale periodicità va obbligatoriamente mantenuta per l’intero anno solare.
Il modello Intrastat non va presentato se nel corso del mese o del trimestre
non sono state effettuate operazioni.
Se non sussiste una cessione intracomunitaria (o assimilata), non c’è
obbligo di compilare il modello Intrastat ai fini fiscali. In caso di
successiva cessione del bene, già inviato in prova, conto visione, ecc.,
l’obbligo sorge in relazione al periodo di registrazione della fattura.
Ove necessario, per determinare il controvalore si assume il cambio della
valuta estera alla data di effettuazione dell’operazione. Tale riferimento
vale anche per le rettifiche successive.
Le fatture relative ad acconti su prestazioni di servizi vanno emesse alla
data del pagamento e rilevate nei modelli Intrastat con riferimento tale
data.
A partire dal 2010 è obbligatoria la presentazione del modello Intrastat
servizi per le lavorazioni di beni intraUe, salvo che la prestazione sia
accessoria ad una cessione.
Nel modello Intrastat dei servizi ricevuti occorre riportare, quali estremi
della fattura, il numero e la data attribuiti all’autofattura in base alla
registrazione di cui all’art. 23, oppure del registro unico delle operazioni
intraUe. Non è necessario correggere eventuali diverse indicazioni negli
elenchi presentati prima del 18/3/2010.
In deroga alle regole generali, queste prestazioni si considerano sempre
effettuate nel paese del prestatore e non devono essere indicate nei modelli
Intrastat.
Si tratta di prestazioni di servizi regolate dai criteri speciali dell’art. 7quater, per cui non vanno indicate nel modello Intrastat.
Se si tratta di una prestazione autonoma, va indicata nel modello Intrastat
soggetti passivi Ue
Software scaricato via internet
Riparazioni di beni mobili con impiego
di ricambi
Beni prodotti con materie fornite dal
committente
Beni ceduti in Italia da società Ue
tramite il rappresentante fiscale
Modalità di incasso
Paese di pagamento
Modalità di erogazione del servizio
servizi. Se è invece accessoria alla vendita, va compresa nel modello
Intrastat cessioni.
Se acquisita da un soggetto passivo, la prestazione si considera “generica”
e va pertanto indicata nel modello Intrastat.
Si tratta di una prestazione di servizi, da riportare per l’intero corrispettivo
(comprensivo del valore dei ricambi) solo nel modello Intrastat servizi.
L’azienda che, utilizzando il tessuto fornito in conto lavorazione dal
cliente Ue, realizza sedie per lo stesso cliente, effettua una cessione di beni
da indicare soltanto nel modello Intrastat cessioni.
In relazione all’introduzione dei beni, il rappresentante fiscale deve
presentare l’Intrastat acquisti intracomunitari. La successiva cessione a
soggetti passivi italiani deve essere autofatturata dai cessionari.
Nella colonna “modalità di incasso” del modello Intrastat va riportato:
- il codice “A” se il pagamento della prestazione avviene mediante
accredito in conto corrente, oppure mediante carta di credito
- il codice “B” se avviene mediante bonifico
- il codice “X” se avviene mediante ricevute bancaria o compensazione
finanziaria.
La differenza fra bonifico e accredito sta nel fatto che il primo è disposto
da un altro conto, mentre il secondo può provenire da fonti diverse (es.
contanti).
Per paese di pagamento si intende quello in cui il corrispettivo entra nella
disponibilità del beneficiario.
La modalità di erogazione è “istantanea” per i servizi erogati in unica
soluzione (es. singolo trasporto, singola lavorazione), mentre è “a più
riprese” per i servizi erogati ciclicamente (manutenzioni periodiche,
contratto di trasporto ad esecuzione plurima).
7. IL MOMENTO DI EFFETTUAZIONE DELLA PRESTAZIONE
La direttiva n. 117 del 2008 ha apportato alla direttiva 112 del 2006 alcune modifiche
finalizzate a contrastare più efficacemente le frodi all’Iva attraverso una più stringente
disciplina in materia di elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie.
Nel già richiamato quarto “considerando” della direttiva viene spiegato che è
opportuno, al fine di rendere utile la verifica incrociata delle informazioni provenienti dagli
operatori, che il fornitore e l’acquirente (o destinatario) dichiarino le operazioni
intracomunitarie per lo stesso periodo d’imposta. A tale scopo occorreva eliminare le
possibili cause di disallineamento, per cui la direttiva 117, con effetto dal 1° gennaio 2010:
a) ha modificato l’art. 64 della direttiva 112 del 2006, al fine di stabilire che le prestazioni di
servizi per le quali l’imposta è dovuta dal committente, che sono effettuate in modo
continuativo nell’arco di un periodo superiore a un anno e che non comportano versamenti
di acconto o pagamenti in tale periodo, si considerano effettuate alla scadenza di ogni anno
civile
b) ha aggiunto all’art. 66 della direttiva 112 del 2006 un secondo comma che vieta agli stati
membri di avvalersi delle deroghe previste dal primo comma dell’art. 66 – tra le quali
rientra la possibilità di fissare, per determinate operazioni, il momento dell’esigibilità
dell’Iva al momento dell’incasso del corrispettivo – relativamente “alle prestazioni di
servizi per le quali l’imposta è dovuta dal destinatario dei servizi a norma dell’art. 196”.
Le modifiche mirano dunque a rimuovere le possibili cause di disallineamento
temporale nella fornitura delle informazioni da parte del prestatore e del committente, per
realizzare l’obiettivo di uniformità, essenziale per l’esecuzione dei riscontri.
Il dlgs 18/2010 ha recepito soltanto (e parzialmente) la modifica sub a), introducendo
in seno al terzo comma dell’art. 6 del dpr 633/72 la descritta previsione sul momento di
effettuazione delle prestazioni continuative di durata ultrannuale “in entrata” in Italia,
mentre nulla ha previsto in ordine alla modifica sub b), di portata ben più rilevante.
Il corretto recepimento di questa modifica è avvenuto solo con la legge n. 217 del 15
dicembre 2011, con effetto sulle operazioni effettuate dal 17 marzo 2012. L’art. 8 di detta
legge ha infatti integrato l’art. 6 del D.P.R. n. 633/72, prevedendo che le prestazioni di
servizi “generiche” scambiate fra soggetti passivi nazionali e soggetti passivi esteri7 si
considerano effettuate non all’atto del pagamento del corrispettivo, bensì:
- in via di principio, nel momento in cui sono rese (ossia ultimate)
- se di carattere continuativo o periodico, alla data di maturazione del corrispettivo
- se di durata ultrannuale, alla data del 31 dicembre di ciascun anno.
E’ fatto salvo l’eventuale pagamento anticipato, che comporta l’effettuazione della
prestazione limitatamente all’importo pagato, mentre non rileva l’eventuale emissione
anticipata della fattura.
Al fine di evitare agli operatori il gravoso onere della fatturazione istantanea della
prestazione all’atto dell’ultimazione, l’art. 21, comma 4, del dpr n. 633/72, come modificato
dalla legge n. 228/2012 a decorrere dal 1° gennaio 2013, stabilisce che la fattura relativa alle
prestazioni “generiche” rese a committenti esteri deve essere emessa entro il giorno 15 del
mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, ma va registrata con riferimento
al mese di effettuazione dell’operazione.
Chiarimenti dell’Agenzia delle entrate
Con la circolare n. 16/E del 21 maggio 2013, l’Agenzia delle entrate ha fornito alcuni
chiarimenti di ordine generale sui nuovi criteri specifici introdotti nel sesto comma dell’art.
6 per determinare il momento di effettuazione delle prestazioni di servizi c.d. generiche
scambiate con soggetti esteri.
Prestazioni continuative e prestazioni istantanee
In relazione alla distinzione tra prestazioni continuative o periodiche, il cui momento
impositivo è la data di maturazione dei corrispettivi, e prestazioni, per così dire, uniche (o
istantanee), il cui momento impositivo è invece l’ultimazione del servizio, la circolare
osserva che nell’ordinamento nazionale si distinguono i contratti che comportano una sola
esecuzione (contratti ad esecuzione unica o istantanea) da quelli in cui la prestazione è
distribuita o reiterata nel tempo, nei quali la durata è elemento essenziale per la
determinazione della prestazione (contratti ad esecuzione continuata o periodica).
Posto che “il contratto ad esecuzione continuata o periodica è quello nel quale il
protrarsi dell’adempimento per un certo tempo è condizione perché il contratto produca
l’effetto voluto dalle parti e soddisfi il bisogno (durevole o continuativo) che le ha indotte a
contrarre”, il contenuto e la finalità dell’obbligazione sono determinanti per la
qualificazione della prestazione e, di conseguenza, per l’individuazione del momento di
effettuazione ove si tratti di prestazioni di servizi generiche transfrontaliere.
In proposito, l’Agenzia ricorda di essersi occupata di tale distinzione nella circolare
n. 36 del 31 giugno 2010, in relazione alla compilazione dei modelli Intrastat per gli scambi
7
La norma, riferendosi ai soggetti “esteri”, estende i suddetti criteri speciali sul momento di effettuazione delle
prestazioni anche a quelle scambiate con clienti o fornitori extracomunitari, che esulano tuttavia dall’adempimento
Intrastat.
di servizi intracomunitari, e di avere precisato in tale occasione, riguardo alle modalità di
erogazione delle prestazioni, <<che la modalità “istantanea” (codice I) si riferisce alle
ipotesi di servizi erogati in un’unica soluzione, mentre la modalità di erogazione “a più
riprese” (codice R) si riferisce alle ipotesi di servizi erogati ciclicamente, dunque
caratterizzati da una certa periodicità o continuità, con una erogazione prolungata nel
tempo>>.
Ultimazione della prestazione e maturazione dei corrispettivi
Ciò premesso, tanto per le prestazioni uniche, che si considerano effettuate al
momento dell’ultimazione, quanto per quelle continuative o periodiche, che si considerano
invece effettuate al momento della maturazione del corrispettivo, sono sicuramente rilevanti
le singole clausole contrattuali, che consentono di individuare il momento in cui il singolo
servizio è da considerarsi ultimato, ovvero le scadenze periodiche di maturazione dei
corrispettivi.
Questi momenti non sempre coincidono con quello in cui viene effettivamente pagato
il corrispettivo. Ad esempio, se il contratto prevede la maturazione del corrispettivo al
termine di ogni bimestre ed il pagamento avviene entro il quindici del mese successivo a
quello di scadenza, la circolare chiarisce che “il momento di esigibilità dell’imposta
coinciderà con la data di scadenza del bimestre e non con quella in cui è eseguito il
pagamento”.
Naturalmente, resta in ogni caso fermo che l’eventuale pagamento, in tutto o in parte,
anteriormente all’ultimazione della prestazione o alla maturazione dei corrispettivi, realizza
l’effettuazione dell’operazione, limitatamente all’importo pagato.
Rilevanza della documentazione
La circolare riconosce che i suddetti criteri possono risultare di non agevole
applicazione, non essendo sempre oggettivamente verificabili; può pertanto accadere che le
parti non abbiano la stessa percezione dello stato di esecuzione della prestazione. Qualora si
verifichi un disallineamento temporale tra ultimazione della prestazione e conoscenza di tale
circostanza da parte del committente, secondo la circolare saranno i documenti scambiati tra
le parti (ai fini della reciproca conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori e
dell’ammontare del corrispettivo dovuto), sulla base delle previsioni contrattuali, ad avere
un ruolo determinante in ordine alla tempistica degli adempimenti contabili che il
committente/prestatore dovrà effettuare ai fini dell’assolvimento dell’imposta.
Corrispettivo non determinabile
Può verificarsi che, alla data dell’effettuazione della prestazione, non sia ancora
possibile determinare il corrispettivo in quanto la sua quantificazione è collegata ad
elementi fattuali non ancora realizzati. In tale ipotesi, secondo l’Agenzia, l’ultimazione della
prestazione o la maturazione del corrispettivo “può essere individuata nel momento in cui
saranno noti i predetti elementi, purché i particolari criteri di individuazione del momento di
ultimazione della prestazione o di maturazione del corrispettivo siano preventivamente
stabiliti in sede contrattuale. Solo in tale momento sorgerà, pertanto, l’obbligo di
assolvimento dell’imposta, salvo, naturalmente, che per eventuali acconti di prezzo già
corrisposti.”
Effetti del ricevimento della fattura
Per la realizzazione del momento di effettuazione della prestazioni di cui trattasi, in
base alla disciplina dettata nel sesto comma dell’art. 6, è irrilevante l’emissione anticipata
della fattura: diversamente da quanto previsto al terzo comma dello stesso articolo, infatti,
in assenza degli eventi indicati nel sesto comma, la fatturazione “spontanea” non realizza la
prestazione.
Nondimeno, con la circolare n. 35/E del 20 settembre 2012 l’Agenzia ha ritenuto che,
nell’ipotesi in cui il prestatore sia un soggetto comunitario, la fattura emessa da quest’ultimo
possa essere assunta come indice dell’effettuazione dell’operazione. E’ dunque al momento
di ricezione della fattura che va ricondotta l’esigibilità dell’imposta che deve essere assolta
dal committente nazionale, a prescindere dal pagamento (nonché, è da aggiungere,
dall’effettivo stato di esecuzione della prestazione). La circolare giustifica questa soluzione
osservando che, ai sensi dell’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633/72, l’operatore
nazionale, allorquando debba assolvere l’Iva in relazione agli acquisti di beni e servizi
effettuati presso operatori comunitari, deve adempiere gli obblighi materiali (integrazione
della fattura e registrazione) secondo le disposizioni e nei termini degli artt. 46 e 47 del D.L.
n. 331/93, che assumono come punto di riferimento non il momento di effettuazione
dell’operazione o quello di esigibilità dell’imposta, bensì il mese di ricevimento della fattura
del fornitore.
La circolare n. 16/E aggiunge ora che “anche nell’ipotesi in cui il prestatore sia un
soggetto extracomunitario si deve, comunque, ritenere che la ricezione di un qualunque
documento da quest’ultimo emesso, volto a certificare l’operazione resa, sia indice
dell’ultimazione dell’operazione o della maturazione del corrispettivo, con conseguente
obbligo di emissione dell’autofattura da parte del committente nazionale.”
Servizi continuativi di durata ultrannuale
Per quanto concerne i servizi continuativi di durata infrannuale, l’Agenzia ha fornito
chiarimenti con la circolare n. 37 del 29 luglio 2011, osservando che:
“1) in primo luogo, è necessario attendere (anche per servizi per cui è sin dall’inizio prevista
una durata pluriennale) che siano trascorsi dodici mesi per annoverare le prestazioni
ricevute tra quelle interessate dalla disposizione in esame;
2) il momento dell’effettuazione delle prestazioni di servizio che rispondono al requisito
precedente è comunque il 31 dicembre di ciascun anno.
Da ciò deriva che la prima rilevazione dell’avvenuta effettuazione di un servizio che
rientra nell’ambito applicativo del terzo periodo del terzo comma dell’articolo 6 potrebbe
avvenire a distanza di quasi due anni dall’inizio della prestazione medesima: si pensi, ad
esempio, al caso di un servizio di manutenzione (per cui non siano previsti acconti o
pagamenti parziali in corso d’opera) che un artigiano francese renda, a far data dal 1° aprile
2011, ad un imprenditore italiano. Con riferimento a tale fattispecie, si dovrà in primo luogo
attendere la data del 1° aprile 2012 (per verificare che sia trascorso un anno dall’inizio del
servizio di manutenzione), e successivamente, il 31 dicembre 2012 registrare l’effettuazione
della prestazione (che nel frattempo il soggetto francese avrà continuato a rendere) per la
durata di 21 mesi. Il committente soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato dovrà
emettere un'autofattura, con riferimento al servizio fornitogli in ciascun anno (o in un arco
temporale superiore, come visto nell’esempio precedente), determinando la base imponibile
da assoggettare ad imposta ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettera c), del d.P.R. n. 633
del 1972.”
Si riportano i chiarimenti resi nella circolare n. 37/2011 al paragrafo 4.4 sui “servizi di durata superiore ad un
anno”
Una regola particolare è prevista – al terzo comma, terzo periodo, dell’articolo 6 del d.P.R. n. 633 –
per le prestazioni di servizi generiche (ovvero disciplinate dall'articolo 7-ter) che siano rese da un soggetto
comunitario ad un committente nazionale in modo continuativo nell’arco di un periodo superiore ad un
anno, e per le quali non sia prevista la corresponsione nel predetto arco temporale di acconti o pagamenti,
anche parziali. Tali prestazioni, in base a quanto disposto dal legislatore del decreto n. 18, si considerano
effettuate al termine di ciascun anno solare, fino alla conclusione delle prestazioni medesime.
Dal dato normativo emerge:
1) in primo luogo, che è necessario attendere (anche per servizi per cui è sin dall’inizio prevista una durata
pluriennale) che siano trascorsi dodici mesi per annoverare le prestazioni ricevute tra quelle interessate
dalla disposizione in esame; ed, inoltre,
2) che il momento dell’effettuazione delle prestazioni di servizio che rispondono al requisito precedente è
comunque il 31 dicembre di ciascun anno.
Da ciò deriva che la prima rilevazione dell’avvenuta effettuazione di un servizio che rientra
nell’ambito applicativo del terzo periodo del terzo comma dell’articolo 6 potrebbe avvenire a distanza di
quasi due anni dall’inizio della prestazione medesima: si pensi, ad esempio, al caso di un servizio di
manutenzione (per cui non siano previsti acconti o pagamenti parziali in corso d’opera) che un artigiano
francese renda, a far data dal 1° aprile 2011, ad un imprenditore italiano. Con riferimento a tale fattispecie,
si dovrà in primo luogo attendere la data del 1° aprile 2012 (per verificare che sia trascorso un anno
dall’inizio del servizio di manutenzione), e successivamente, il 31 dicembre 2012 registrare l’effettuazione
della prestazione (che nel frattempo il soggetto francese avrà continuato a rendere) per la durata di 21 mesi.
Il committente soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato dovrà emettere un'autofattura, con
riferimento al servizio fornitogli in ciascun anno (o in un arco temporale superiore, come visto nell’esempio
precedente), determinando la base imponibile da assoggettare ad imposta ai sensi dell'articolo 13, comma 2,
lettera c), del d.P.R. n. 633 del 1972.
Al riguardo, si ritiene che il richiamo normativo alle “spese sostenute dal soggetto passivo per
l’esecuzione dei servizi medesimi” [si veda l’ultimo periodo della lettera c) da ultimo citata] debba essere
interpretato nel senso che la base imponibile da indicare nell’autofattura è determinata rapportando il
corrispettivo totale pattuito dalle parti (da corrispondersi a fine prestazione) alla quota parte di servizio che
è stata resa nel momento in cui si rileva l’ultimazione della prestazione, e cioè alla fine di ciascun anno
solare. Per esemplificare, con riferimento al caso sopra citato, si ipotizzi che la durata del contratto di
manutenzione sia di 5 anni e il corrispettivo da corrispondere al termine di tale periodo sia di 100.000 euro.
Con riferimento alla data del 31 dicembre 2012, l’imprenditore italiano dovrà emettere un’autofattura in cui
indicherà, come base imponibile 35.000 euro, dati dalla seguente formula:
B:A=D:100.000
Legenda:
A) durata del contratto di manutenzione: 60 mesi
B) durata della prima tranche del servizio di manutenzione: 21 mesi (1° aprile 2011 – 31 dicembre 2012)
C) quota percentuale del servizio fornito sino al 31 dicembre 2012:
35 per cento
applicazione di tale percentuale al corrispettivo totale pattuito: 35.000 euro (35 per cento di
100.000 euro).