Per memoria speciale di Atlantide

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Per memoria speciale di Atlantide
michela monferrini
Per memoria speciale di Atlantide
piccola collana di poesia
diretta da Valerio Grutt
L’idea nasce dall’esigenza di dare alla
poesia una veste editoriale che
le restituisca un senso di segretezza
e preziosità, con la freschezza e la
creatività di un progetto nuovo e libero.
La collana si propone di pubblicare
pochi libri l’anno, tascabili e fatti a mano
in edizione limitata a 33 esemplari.
www.heket.it
nota introduttiva
C’è gioia e lucida attenzione nelle poesie
di Michela Monferrini. Uno sguardo che
penetra in case silenziose e poi si apre
in tagli luminosi di parchi, voci, ricordi.
Sono salti in un tempo che si allarga e
si restringe restando sempre uno, unico.
Tra personaggi che passano furtivi e ci
lasciano addosso la scia delle cose che
abbiamo amato. «L’uomo sta nel tuffo di
partenza», afferma, e c’è proprio l’uomo
al centro di questa piccola raccolta
che è come un bambino buttato senza
braccioli nel grande mare dell’essere.
Valerio Grutt
michela monferrini
Per memoria speciale di Atlantide
#2
Il mercoledì usciva Topolino –
i padri lo portavano la sera,
lo estraevano da sotto la cravatta
da persona seria.
Tanto bastava: guardare le figure
mentre qualcuno leggeva.
Unica giornata in cui il porto chiudeva
cessava
il traffico di quei bastimenti carichi
carichi di tale pazienza
che – dal giovedì al martedì –
dalle mani di una madre
salpava ogni cosa.
Avessero tenuto almeno un muro,
quello con su le tacche a matita
della mia crescita lenta
e le ombre di tutte le mie versioni
– tu non le conoscerai più –
aggiornate dopo pranzo
di cinque millimetri in cinque millimetri,
i segni neri per il lancio delle scarpe.
L’avessero tenuto,
ti porterei lì in gita a farti dire «c’ero»
non sarei sepolta in casa di sconosciuti
sotto uno strato spesso di carta da parati.
Invece, non ho fatto che tardi la mia conoscenza,
ricordando per caso
la testa dritta, i piedi uniti
e un vago senso di vertigine
la prima volta che ho guardato giù.
Siedono a capotavola opposti
tenendo di mezzo trent’anni e la tavola
coi gomiti.
Io le ho viste baciare il pane avanzato
prima di buttarlo
come baciano la mano dopo la croce
come tracciano la croce dopo l’acqua santa,
sfiorando.
Hanno avuto case dentro questa,
uomini che sono stati donne pure loro
e corone di sapone di Marsiglia
incrostate all’anulare, attorno all’oro
(così le ho scoperte regine bianche:
alzando i letti e l’acqua di colonia una mattina).
La tua voce che dice «Coniglio!»
e arrivo io, festosa di pelo bianco
e lunghe orecchie di polvere raccolta passando.
Tu che se mai sei stato albero,
sei stato un largo gioco di bambini controsole
su cui lasciare brandelli di jeans
e pochi, pochi rami spezzati
che a notte rimarginavi come ferite da niente.
Devo essere stata il cane bianco
seppellito alla tua ombra ampia,
se mi ricordo delle tue radici
come di braccia buone al mio riposo.
Oppure t’allargavi oltremisura
a raccogliere paracadutisti e scimmie,
qualcuno dai romanzi di Mark Twain,
qualcun altro da Calvino e da Capote,
poi palloni tirati troppo forte:
siamo a volte i due pali di una porta
quando i ragazzi giocano ai rigori
nello spazio che da te a me non si colma
se non di luce
se non del segno della croce del portiere,
che è pregare d’aver testa,
cuore e braccia buone
e che Dio
sposti come Ayrton la traiettoria del pallone.
Nella gara per dare un nome agli alberi
parco Snoopy, avevi proposto
ed era render grazie
alla notte e agli uccellini gialli
alle coperte e alle guance arrossate
ed era render grazie ai bracchi,
alle mazze da baseball,
agli occhiali da aviatore.
Volevi alberi per dire grazie
alla fantasia e all’infanzia
come due boschi che conoscevi bene
e però di poco amor di patria e senso civico
venivi rimproverato: pure,
eri bambino con tricolore appeso al letto,
figlio di Giugno sposato a Settembre
nell’anno del vento e delle bandiere.
Devo convincerti in fretta
che ogni cielo è un giardino
dove il prato non è d’erba
ma preghiera alzata in filamenti,
dove la neve la vedono salire
e i cartelli invitano recitando:
«calpestate, calpestate pure le aiuole,
ché tra un minuto ricresceranno».
Stai seduto tra i padri sulle tribune color cielo
a smettere di fare ciao
con le mani sporche di piombo
al bambino di cloro che sei stato.
Anche io potevo nascere a St. Mary,
portarti in salvo per le orecchie, dirti Tieni
i piedi distesi come le ballerine
leggere sopra il legno
ma invece è il tempo ideale
delle capriole in acqua,
delle granite gialle
per festeggiarti come un figlio.
Avevamo pensato di presentare
Elsa Morante a Lamartine
invece eccoli che già discutono da anni
– la sabbia scura attaccata ai talloni –
vanno a dormire ch’è mattina
negli alloggi in mezzo al vento
sfitti dai gabbiani.
Inizia con un fallimento, il nuotatore:
facendo, al contatto, un buco nell’acqua
uno, e uno solo come in un teorema,
dove immergere le mani in preghiera rovesciata,
il capo basso, la linea delle spalle,
i fianchi, la coda.
Inizia con un fallimento, il nuotatore:
discreto,
non come i sassi scagliati a piombo dall’alto.
Inizia fallendo il nuotatore
e l’uomo sparendo,
per tornare in superficie a specchiare
col costume la luce,
come il sole le acciughe al mercato del pesce
ma vivo, veloce.
Non il nuotatore, ma l’uomo
sta nel tuffo di partenza.
Là si richiede precisione e forza,
concentrazione e scatto,
tutto un dramma d’ossa
e muscoli in tensione
che aspirano all’impatto.
Il fotografo allineato ci fermava al volo
d’un hula hoop spezzato,
ma se le altre già rispondevano al fischio
come cani,
io, ancorata al blocco,
mi sottraevo al gioco sincronizzato.
La mia non essendo partenza, ma pazienza.
nota biografica
Michela Monferrini è nata nel 1986
a Roma, dove vive e lavora come
istruttrice di nuoto. È stata finalista ai
premi Subway-Poesia 2005, Campiello
Giovani 2008 e Calvino 2012. È autrice
del romanzo Chiamami anche se è notte
(Mondadori 2014) e della guida letteraria
Conosco un altro mare. La Napoli e il Golfo
di Raffaele La Capria (Perrone 2012).
Collabora alle pagine culturali delle
riviste: «Gli Altri», «L’Indice dei Libri del
Mese», «Nuovi Argomenti».