All.2 - Dipartimenti
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23. L'ESECUZIONE INDIRETTA 1 Misure coercitive Abbiamo più volte accennato alla esecuzione indiretta, come strumento necessario per tutelare in via esecutiva diritti correlati ad obblighi infungibili. Per lungo tempo il nostro ordinamento è stato lacunoso in questo settore, in quanto singole fattispecie di esecuzione indiretta erano previste qua e là in leggi speciali, ma mancava una previsione generale per tutte le ipotesi di obblighi infungibili. Inoltre, il legislatore non aveva mai fatto una scelta precisa, ma a seconda dei casi aveva previsto o sanzioni civili, nelle quali il beneficiario della sanzione pecuniaria è l’avente diritto; oppure sanzioni civili, nelle quali il beneficiario della sanzione pecuniaria è la pubblica amministrazione; oppure ancora sanzioni penali. Esempio: l'art. 124, II D. Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 (codice della proprietà industriale) stabilisce che il giudice può fissare una somma dovuta alla controparte per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata. Esempio: l'art. 18, X della L. 300/1970 (c.d. statuto dei lavoratori), prevede una sanzione pecuniaria (di cui è beneficiario il fondo adeguamento pensioni) in caso di mancata reintegrazione del sindacalista ingiustamente licenziato. Esempio: l'art. 28, IV L. 300/1970 prevede una sanzione penale per il datore di lavoro che non adempie a quanto stabilito nel provvedimento che accoglie la domanda dell'associazione sindacale dei lavoratori. Il primo caso riportato concretizza una misura coercitiva civile, di cui è destinataria la controparte; il secondo caso una misura coercitiva civile, di cui però è destinatario un ente pubblico (l'INPS); il terzo caso una misura coercitiva penale. Abbiamo già visto a suo tempo quali sono i vantaggi, gli svantaggi e le conseguenze dell’opzione per l’una o l’altra tecnica. 2 Competenza Questa lacuna è stata colmata con la riforma del 2009, che ha introdotto, nel terzo libro del c.p.c., l’art. 614-bis, il quale adotta la tecnica della sanzione civile di cui è beneficiario l’avente diritto. Stabilisce, infatti, detta norma – rubricata come <<attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare>> – che <<il giudice, con la 1 sentenza di condanna…fissa…la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento>>. La nuova norma è collocata nel terzo libro del c.p.c., nel titolo quarto dedicato all’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare: e tuttavia essa affida la concessione della tutela esecutiva al giudice della cognizione. Il legislatore è caduto nell’errore sistematico, già segnalato, di vedere come oggetto dell’esecuzione non il diritto, ma il provvedimento: come è reso palese dalla terminologia utilizzata, in cui si parla appunto di <<esecuzione del provvedimento>>. La conseguenza di un tale errore sistematico non è da poco, in quanto pone delicati problemi di coordinamento, ma soprattutto taglia fuori dalla tutela esecutiva indiretta tutti i titoli esecutivi diversi dai provvedimenti di condanna, ed in particolare i titoli esecutivi stragiudiziali. Esempio: l’art. 60, III lettera s) della L. 69/2009, nello stabilire i criteri cui il governo dovrà attenersi per attuare la delega in materia di conciliazione stragiudiziale, stabilisce che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’esecuzione in forma specifica. Tizio, dunque, in sede di conciliazione si obbliga nei confronti di Caio a non tenere un certo comportamento, e poi viola tale impegno. Caio dovrà proporre domanda al giudice della cognizione, per ottenere la misura esecutiva. Un corretto inquadramento sistematico avrebbe invece consentito di affidare il compito di determinare la sanzione pecuniaria al giudice dell’esecuzione, come accade per l’esecuzione degli obblighi di fare: dopo aver notificato titolo esecutivo (qualunque titolo esecutivo!) e precetto, in analogia a quanto prevede l’art. 612 c.p.c., il creditore avrebbe potuto proporre ricorso al giudice dell’esecuzione. Questi, convocate le parti, avrebbe determinato la misura della sanzione pecuniaria dovuta. Invece, avendo il legislatore ritenuto che è compito del giudice della cognizione concedere la misura esecutiva, l’avente diritto – beneficiario di un titolo esecutivo stragiudiziale per un obbligo infungibile – sarà costretto a proporre una domanda in sede dichiarativa per ottenere la determinazione della sanzione pecuniaria. Il compito di concedere la misura esecutiva è attribuito al giudice della cognizione competente per la domanda di condanna: quindi il giudice di pace potrà determinare la sanzione esecutiva anche in misura eccedente la sua competenza per valore. Inoltre, poiché, la determinazione della misura esecutiva è affidato a chi impartisce tutela dichiarativa, la misura potrà essere stabilita anche con il lodo arbitrale. 2 Infine, e per quanto riguarda i provvedimenti mediante i quali può essere concessa la misura esecutiva, l’art. 614-bis, I c.p.c. parla di sentenza, ma l’espressione non deve essere presa alla lettera, in quanto ciò che conta è che vi sia un provvedimento di condanna, qualunque sia la forma che esso assume. Dunque, ad es., anche con l’ordinanza pronunciata nel procedimento sommario si può determinare la sanzione esecutiva Come vedremo meglio a suo tempo, la misura esecutiva può essere concessa anche con un provvedimento cautelare anticipatorio. Ciò acquisito, occorre tuttavia chiarire che la misura esecutiva, ancorché impartita dal giudice del processo dichiarativo, conserva pur sempre le sue caratteristiche fondamentali. Più specificamente, essa è e rimane un provvedimento a contenuto processuale, e non diviene una pronuncia di merito per il solo fatto di essere contenuta nello stesso provvedimento, nel quale appunto è contenuta una pronuncia di merito. Il punto è fondamentale, e quindi deve essere chiarito. Un provvedimento è di merito quando impartisce una disciplina che attiene al diritto sostanziale, e dà regole di condotta che si sovrappongono a (o sostituiscono: non è importante in questa sede) norme sostanziali. Ora, è evidente che la regola di condotta contenuta nella misura esecutiva non ha niente di sostanziale. Né si dica che, in virtù di essa, si possono produrre conseguenze pecuniarie a favore di una parte nei confronti dell’altra. La portata economica del provvedimento non è rilevante. Basti pensare alle spese ed ai danni processuali, o alle varie sanzioni pecuniarie qua e là previste nel c.p.c.: nessuno potrà pensare che la sanzione pecuniaria al testimone riottoso è una misura di merito, perché comporta il pagamento di una somma di denaro! Dunque, quella parte della sentenza, o del lodo con la quale si determina la misura esecutiva è un provvedimento di rito, e non un provvedimento di merito. Da ciò, come vedremo fra poco, discendono importanti conseguenze. 3 Criteri di determinazio ne La determinazione della somma avviene <<per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento>>. Per intendere bene la sintetica espressione del legislatore, occorre distinguere gli obblighi di fare da quelli di non fare. In relazione agli obblighi di fare, la sanzione è parametrata ad ogni frazione di tempo in cui si verifica il ritardo nell’adempimento. Esempio: Tizio, famoso sarto, si obbliga a confezionare un vestito. Il giudice, con la condanna ad adempiere, stabilisce che Tizio dovrà pagare 3 100,00 € per ogni settimana (o giorno, o mese) di ritardo nella consegna del vestito. In relazione agli obblighi di non fare, la sanzione è parametrata ad ogni successivo episodio di violazione dell’obbligo di astensione Esempio: Tizio è condannato a non suonare la tromba dalle 23 di sera alle 8 di mattina. Il giudice, con la condanna, stabilisce che Tizio dovrà pagare 100,00 € (o 10,00 €, o 1.000,00 €) ogni volta che suonerà la tromba nella fascia oraria proibita. Gli esempi sopra fatti pongono con immediatezza il secondo problema: quale entità può avere la sanzione? L’art. 614-bis, II c.p.c. contiene una disposizione estremamente elastica, per non dire vuota, nella quale rientra tutto e il contrario di tutto. In sostanza, viene rimesso, più che alla discrezionalità, all’arbitrio del giudice determinare la somma dovuta. E poiché la determinazione avviene in sede dichiarativa, le contestazioni circa la congruità della somma determinata sono rimesse al giudice dell’impugnazione. Poiché, peraltro, la sanzione pecuniaria, ancorché affidata al giudice della cognizione, costituisce pur sempre una misura processuale (esecutiva) e non una pronuncia di merito, il sindacato in sede di impugnazione è quello delle pronunce di rito e non di merito. Conseguentemente, la Corte di cassazione ha cognizione piena relativamente alla sanzione determinata dal giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; ed il lodo è sempre impugnabile ai sensi dell’art. 829, I c.p.c., anche se le parti non hanno previsto l’impugnazione per errores in iudicando. 4 Entità della sanzione 5 Domanda di parte La determinazione della sanzione pecuniaria è effettuata “su richiesta di parte”. La previsione, al di là della sua portata più ovvia (e cioè che il giudice non provvede di ufficio), lascia però molti dubbi sull’esatto inquadramento di tale richiesta. Si potrebbe infatti pensare che tale “richiesta” costituisca una domanda in senso proprio, la cui proposizione rimane soggetta quindi alla disciplina temporale delle domande di merito. Pertanto, essa dovrebbe essere proposta contestualmente alla domanda di condanna, cui è strumentale o, al massimo, nell’udienza ex art. 183 c.p.c. Se non fosse tempestivamente avanzata, sarebbe necessario instaurare un successivo giudizio per richiederla. 4 Sembra, tuttavia, che le caratteristiche della stessa – si tratta pur sempre, come già detto, di una misura esecutiva, ancorché affidata al giudice della cognizione – consenta di ritenere che, non trattandosi di una domanda e quindi di una pronuncia di merito, la richiesta possa essere avanzata fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. La richiesta, una volta avanzata, non può non essere accolta, salve le eccezioni che vedremo fra poco. Il giudice deve naturalmente verificare che la condanna abbia ad oggetto un’astensione o un facere infungibile. Se per la prima alternativa non possono sorgere dubbi, più complessa è la seconda: anzitutto la fungibilità/infungibilità deve essere valutata secondo criteri oggettivi e non secondo quanto afferma l’avente diritto, sicché il giudice deve rifiutare di determinare la sanzione quando ritiene fungibile il facere. 6 Verifica della infungibilità Esempio: Tizio chiede la condanna di Caio a trasformare in luce la veduta, aperta a distanza inferiore alla legale dal confine, e chiede pure la determinazione della sanzione pecuniaria per l’ipotesi in cui Caio non adempia. Il giudice deve rigettare la richiesta, perché si tratta di facere fungibile. In secondo luogo, la decisione del giudice della cognizione, quando essa sia negativa in quanto qualifica il facere come fungibile, è evidentemente vincolante per il giudice dell’esecuzione, al quale sia presentato il ricorso ex art. 612 c.p.c.: egli non potrà rifiutare la determinazione delle modalità di esecuzione, allegando che il facere è infungibile. Le ipotesi in cui l’esecuzione indiretta è esclusa, pur trattandosi di un fare infungibile o di un non fare, sono due: la prima è prevista dall’art. 614bis, I c.p.c., laddove si esclude che l’esecuzione indiretta sia utilizzabile in materia di lavoro subordinato e parasubordinato. Si tratta di un’esclusione per la verità poco comprensibile, e probabilmente incostituzionale. Infatti, negare l’esecuzione indiretta in blocco ed indiscriminatamente per tutta una serie di rapporti significa negare a questi rapporti la tutela giurisdizionale garantita costituzionalmente dall’art. 24 Cost.: vedemmo a suo tempo, infatti, che anche la tutela esecutiva rientra a pieno titolo nel diritto di azione (inteso come diritto ad una tutela effettiva) garantito dalla Costituzione. La seconda è prevista, sempre dall’art. 614-bis, I c.p.c., laddove si esclude la determinazione della misura esecutiva, ove “ciò sia 5 7 Fattispecie escluse manifestamente iniquo”. Siamo ancora una volta in presenza di una norma vuota, che rischia di alterare i rapporti fra diritto sostanziale e processo, laddove nega la tutela esecutiva nei confronti di un obbligo inadempiuto, come tale previsto dal diritto sostanziale. 8 Riscossione delle somme Una volta determinata la sanzione, resta da verificare cosa accade ove si verifichino i presupposti della sua applicazione, e cioè vi sia un ritardo nel facere o la violazione dell’obbligo di astensione. Ai sensi dell’art. 614-bis, I c.p.c., <<il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute>>. Dunque, non vi è necessità di una preventiva verifica dell’effettiva esistenza dell’illecito: il creditore potrà intimare precetto, unilateralmente affermando che sono venuti ad esistenza i presupposti della nascita dell’obbligo di corrispondere le somme. Esempio: il giudice ha determinato, a favore di Tizio, una somma di 100,00 € per ogni settimana di ritardo di Caio nell’adempiere. Tizio intima precetto a Caio per 1.000,00 €, affermando che sono trascorse dieci settimane di ritardo. Esempio: il giudice ha determinato, a favore di Tizio, una somma di 100,00 € per ogni volta che Caio suona la tromba nelle ore notturne. Tizio intima precetto a Caio per 1.000,00 €, affermando che Caio ha suonato la tromba di notte dieci volte. Naturalmente, Caio potrà negare, proponendo opposizione all’esecuzione, che sia vero quanto afferma Tizio. E, in quella sede, si applicheranno le normali regole sull’onere della prova: nel primo esempio sopra utilizzato, sarà Caio a dover dimostrare di aver adempiuto; nel secondo esempio sopra utilizzato, sarà Tizio a dover dimostrare quante volte Caio ha suonato la tromba nelle ore notturne. Ciò in applicazione del brocardo negativa non sunt probanda, che, come vedemmo a suo tempo, costituisce applicazione della regola della vicinanza alla prova. È evidente, infatti, che sarebbe estremamente difficile se non impossibile, nel primo caso, per Tizio dimostrare che la prestazione non è stata effettuata; e, nel secondo caso, per Caio dimostrare che non ha suonato la tromba nelle ore notturne. Un’ultima considerazione: in applicazione dei principi generali, e secondo quanto abbiamo già visto, ove la pronuncia che condanna al facere 6 9 Riforma del provvedimen to infungibile o al non facere fosse modificata in sede di impugnazione, le somme eventualmente pagate devono essere restituite. 7