20.1.1981 GLEN GARFIELD WILLIAMS È ANCORA POSSIBILE

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20.1.1981 GLEN GARFIELD WILLIAMS È ANCORA POSSIBILE
20.1.1981
GLEN GARFIELD WILLIAMS
È ANCORA POSSIBILE OGGI L’ECUMENISMO IN EUROPA?1
Dopo due o tre osservazioni di introduzione, vorrei poi trattare il soggetto in quattro punti molto
semplici.
La prima osservazione generale è questa: per definizione l’ecumenismo è una dimensione mondiale
nel senso geografico ed eterna nel senso spirituale. Tocca tutte le Chiese, di tutto il mondo, e
dobbiamo riconoscere che parlarne per quel che riguarda l’Europa vorrà dire trattare solo una parte
di un tema, che è molto più vasto, e che , in fin dei conti, l’ecumenismo in Europa non è un fine in
se stesso, ma un contributo ad uno sfarzo, ad un movimento molto più ampio.
E qui mi permetto di dire che la parola italiana “ecumenismo” non mi piace molto: abbiamo tanti
“ismi” in questo mondo di oggi, c’è troppo dell’ideologia in questo termine.
Preferirei utilizzare il termine “movimento ecumenico”.
La seconda osservazione: intendo limitare la discussione alla situazione europea. L’Europa è quella
parte del mondo con la quale io sono più familiare. Però devo sottolineare che quando parlo
dell’Europa per me vuol dire quella piccola agglomerazione di paesi che noi generalmente alla radio
e alla televisione chiamiamo “Europa”, cioè non l’Europa del Mercato Comune, nemmeno l’
“Europa dei 21”, ma è l’Europa che incomincia con la costa occidentale del Portogallo e va fino a
qualche parte dell’Unione Sovietica; che incomincia a Capo Nord della Norvegia per scendere fino
alle isole del Mediterraneo, incluso Cipro.
Insomma è questa Europa vasta, integra, e sottolineo questo perché voglio dire che includo nei miei
pensieri diversi tipi di struttura politica ed economica e, fatto anche più importante, includiamo
molte delle Chiese ortodosse, le più grandi e le più anziane. Parlando dell’ecumenismo in Europa
dobbiamo, inoltre, riconoscere che stiamo parlando dell’ecumenismo nella sua forma più difficile.
Non lo dico perché trovo il mio lavoro oltre che interessante anche molto difficile, ma lo dico
perché altri in Europa lo affermano. Perché molte delle divisioni della Chiesa cristiana hanno avuto
la loro origine proprio qui nel nostro continente, e. perché tutte le nostre Chiese stanno portando un
peso storico, che è un tesoro, ma che troppo spesso invece che essere visto e sentito come un tesoro
è vissuto come un peso.
Il lavoro ecumenico incontra qui, nel nostro continente, delle difficoltà che non si conoscono in
altre parti del mondo.
E nello stesso momento noi europei dobbiamo sentire nel profondo del nostro cuore quella
responsabilità che abbiamo verso i cristiani e le Chiese di tutto il mondo, perché proprio qui le
divisioni hanno trovato il loro principio, ed è nostro dovere prima di tutto mostrare che proprio qui è
possibile raggiungere l’unità che il Cristo ci ha già dato.
Ultima osservazione di introduzione: se nel titolo del tema usiamo le due parole “ancor oggi” vuol
dire che c’è stato un “ieri” e che qualche cosa è successo in quel “ieri” che oggi è messo in causa.
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Testo non rivisto dall'Autore.
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Credo che nessuno di noi esiterebbe ad affermare che fino ad ieri e per gli ultimi 20, 30, 40, anni c’è
stato un movimento, un progresso ecumenico in Europa che sbalordisce.
Almeno sbalordisce la mia generazione e la generazione ancora più vecchia della mia, anche se non
sbalordisce più molto i giovani.
C’è stato un movimento di riconoscimento, di riavvicinamento che oggi è stato limitato, forse
contestato, messo in dubbio.
In altre parole bisogna constatare che l’ecumenismo in Europa a livello nazionale almeno è entrato
in una situazione di stasi.
Non voglio assolutamente dire che l’ecumenismo in Europa è finito! Ma dobbiamo riconoscere che
i freni ci sono. O, per cambiare metafora, c’è una pausa per riprendere fiato.
Affrontiamo il primo dei quattro punti.
Vorrei cominciare col chiedermi: se ieri era diverso da oggi, cos’è successo?
E’ di moda specialmente in certi circoli d’affermare che il movimento ecumenico è entrato in crisi;
può anche darsi, anzi direi che il giorno in cui il movimento ecumenico non si sente in stato di crisi
allora rischia di addormentarsi veramente.
Ma mi domando se veramente il movimento ecumenico è entrato in crisi o se non sono piuttosto le
Chiese che sono entrate in crisi, se non è piuttosto il movimento ecumenico che sta mettendo le
nostre Chiese in una situazione di crisi.
Perché avvicinandoci l’uno all’altro stiamo tutti quanti interrogando le nostre Chiese sempre più
profondamente e cristianamente.
E quando la mia Chiesa (non parlo delle altre perché sarebbe più comodo) è portata a causa dei
contatti ecumenici a ripensare, ad esempio, alla sua ecclesiologia; le Chiese battiste mettono una
grande enfasi sull’autonomia di ogni singola congregazione, senza pensare a quell’altro lato del
problema: i contatti tra una congregazione e l’altra, ovvero il concetto di Chiesa; ecco che quando
alla mia Chiesa è chiesto di riesaminare la sua struttura ecclesiologica senza farse rendersi conto
sente che la sua propria identità viene posta in questione. E io francamente ho l’impressione che in
molte Chiese, specialmente in Europa, è proprio l’esperienza ecumenica che sta ponendo in
questione l’identità di ciascuna nostra Chiesa.
E quando si pone in questione l’identità di una Chiesa si sta proprio toccando un nervo!
Ma il Vangelo parla di coloro che vogliono salvare la vita, ovvero salvare l’identità dicendo che “la
perderanno”.
Ad ogni modo un senso di crisi c’è. C’è poi un altro elemento con cui possiamo rispondere: c’è
stata una disillusione. Non in generale, ma su certi punti.
Scegliamo solo un punto: c’è stata una disillusione nel senso che possiamo parlare tanto di
movimento ecumenico, di responsabilità, di azione in comune, eccetera, ma c’è un’azione in
comune che non ci possiamo permettere per niente: proprio quell’azione che è simbolo dell’unità
delle Chiese: non possiamo radunarci intorno alla tavola del Signore.
E qui non sto pensando semplicemente alle relazioni cattolico-protestanti: ho in mente in questo
momento un caso gravissimo di relazione tra un protestante ed un membro della Chiesa anglicana
dove lì pure mariti e mogli non possono prendere la comunione insieme.
E questo “andare quasi” senza poi poter “arrivare” che stimola un senso di disillusione.
Un altro elemento identifico in un confessionalismo recrudescente: il confessionalismo in se stesso
non è da condannare, anzi sostengo sempre che coloro che vogliono lavorare nel lavoro ecumenico
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devono prima di tutto essere bene informati della propria confessione, non è che quando si pratica il
lavoro ecumenico si deve diluire il proprio senso della confessione, anzi, tutt’altro, anche se sono un
responsabile in un organismo ecumenico non ho dimenticato e non dimenticherò mai che
principalmente sono della confessione cristiana che si chiama battista, e battista probabilmente
rimarrò, anche se molto aperto.
Il confessionalismo visto come un contributo ad una comprensione più vasta e più generale della
fede cristiana è positivo, ma il pericolo è il confessionalismo come fine a se stesso. Ed ho paura che
è proprio ciò che sta risorgendo nella situazione attuale: un confessionalismo che crea barriere.
A questo si potrebbe aggiungere un punto di nuovo molto in evidenza: un conservatorismo
teologico. Un desiderio di non più rischiare, un concetto della teologia che guarda sempre indietro e
quasi mai avanti. Posizioni teologiche “familiari” sono sempre molto più comode che l’avventurarsi
insieme coi fratelli d’altre convinzioni verso una nuova comprensione del Vangelo.
E francamente trovo un conservatorismo teologico nel pensiero di molti studenti di teologia di
diverse confessioni. E questo mi fa spavento perché anche questa è una forma di difesa.
Poi non sarei onesto se non aggiungessi come ultimo elemento il fatto che abbiamo tutti, non
solamente i cattolici, a che fare con un nuovo modo di praticare il pontificato nel papato della
Chiesa cattolica.
Dobbiamo riconoscere che questo modo di comprendere e praticare il pontificato sta provocando
una polverizzazione non semplicemente nella Chiesa cattolica, ma adesso che esiste il movimento
ecumenico, per riflesso nelle altre Chiese.
Tutte queste cose sono successe.
E per questo ora c’è stasi.
Allora cosa facciamo?
Vorrei allora passare al secondo punto e parlare di un’altra faccia della medaglia: c’è stasi ma c’è
un’altra faccia.
Per la prima volta le Chiese grazie al movimento ecumenico sentono di non essere isolate, di non
vivere per loro stesse soltanto.
Anche le Chiese che hanno rifiutato il dialogo ecumenico sono state marcate e scosse da quella
sfida portata dalla visione ecumenica.
E nessuna Chiesa oggi reagisce più come se fosse l’unica depositaria della verità; siccome ogni
Chiesa ora prima di prendere una decisione pensa anche alle altre, abbiamo un elemento molto
importante anche per l’avvenire.
E poi quante azioni in comune sono diventate ormai non solo eccezione, non solo innovazione,
“miracoli”, ma cose di ogni giorno.
Azioni di preghiera sono diventate ormai comuni.
Ed anche azioni di aiuto a quelli che sono in difficoltà; parliamo ad esempio dei terremotati di
questo grande disastro nel meridione dell’Italia; quante e quante azioni in comune le Chiese hanno
intrapreso lì, senza domandarsi “vogliamo fare?” hanno fatto!
Vi posso assicurare che lo stesso avviene all’estero: io abito in Svizzera e lì, senza la minima
esitazione, tutte le Chiese, cattoliche e protestanti, in uno slancio di solidarietà hanno intrapreso
un’azione in comune.
E’ diventata una parte della vita normale delle Chiese.
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Poi c’è un altro momento molto importante: cioè che la teologia ha preso una dimensione ed una
forma ecumenica. I professori di teologia non lavorano mai come se fossero rinchiusi in una
confessione, anche se criticano le posizioni di teologi di altre confessioni, fanno la teologia sotto
l’aspetto ecumenico. Ed ormai non si può tornare indietro.
Se vogliamo prendere un solo esempio di questo fatto allora consideriamo lo sforzo, che è ormai
quasi completo, di tradurre ecumenicamente la Scrittura.
E siccome la Scrittura è il fondamento di tutta la discussione teologica, vuol dire che la base è in
uno stato di preparazione ecumenica.
Forse sapete che in Francia non solamente hanno potuto fare la traduzione insieme, ma sono riusciti
a mettere le note alla Bibbia, al testo insieme.
Allora la teologia ha preso quella dimensione, quell’inquadramento ecumenico che non si può più
togliere.
E si deve anche riconoscere che gli studenti in teologia hanno numerosi contatti ecumenici,
lavorano molto spesso insieme; cosa questa importante per oggi ed ancora più importante per
domani.
Prendo un piccolo esempio. Conoscete molto della Polonia, ma accanto alla Chiesa cattolica
romana in Polonia vi sono altre nove Chiese di grossa dimensione, si va dalla Chiesa ortodossa ai
pentecostali passando per battisti, metodisti, luterani, eccetera.
E queste nove confessioni sono riuscite a mettere insieme a studiare studenti in teologia della
Chiesa ortodossa e studenti in teologia, diciamo, della Chiesa pentecostale! E va bene che poi
alcune di queste Chiese, dopo quattro anni riprendono gli studenti per correggere questo o
quell’elemento…
Ma il fatto che lì ogni anno una cinquantina dei futuri teologi pastori, vescovi, arcivescovi,
metropoliti delle Chiese in Polonia studiano insieme, si conoscono di nome, questo è di grande
importanza per l’avvenire.
In questa seconda faccia della medaglia vi è un altro elemento molto importante; io lo vedo nei
movimenti laici in favore della giustizia, in favore dei diritti dell’uomo, in favore della pace che si
sono creati in tante parti del nostro continente; su temi specifici si ritrovano uniti fedeli di tutte le
Chiese, fedeli che rimangono fedeli alle loro Chiese, ma che sono frustrati da quelle restrizioni
imposte dalle loro Chiese e che oggi per loro sono incomprensibili.
C’è ancora della dinamite nel buonsenso!
Il movimento ecumenico è diventato una dimensione della fede e della pratica che nell’atmosfera di
oggi non si può più estirpare.
Allora il tema che trattiamo potrebbe diventare: l’azione ecumenica non può essere che perseguita
anche qui in Europa.
Allora arriviamo al terzo punto.
Il movimento ecumenico è un movimento dello Spirito, è una chiamata divina a tutte le Chiese e a
tutti i cristiani.
Qualche settimana fa ho avuto il privilegio di parlare privatamente con il Papa Giovanni Paolo II in
una lunga discussione a proposito della situazione ecumenica in Europa. Durante questo colloquio
ho esposto parecchi punti che anche stasera sto cercando di esporre. Un colloquio interessantissimo,
in cui il Papa ad un certo momento ha detto: “Pastore Williams la mia convinzione è che
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l’ecumenismo è una chiamata di Dio oggi a tutte le Chiese; una chiamata a cui non possiamo fare
altro che rispondere con un sì”.
E poi il movimento ecumenico non è una risposta alla preghiera di Cristo in quella notte in cui fu
tradito?
E non era la convinzione degli apostoli, come leggiamo in tante epistole del Nuovo Testamento?
Sì. C’è tutto questo elemento spirituale, questa dimensione di sottomissione alla volontà di Dio
come è espressa in Cristo.
Ma nello stesso momento il movimento ecumenico mi sembra una risposta attuale delle Chiese alle
necessità ed alle prospettive di un mondo che per la prima volta nella storia si rende conto che è
immondo.
Si dice “il mondo è diventato un piccolo villaggio”, avrete visto e letto nei vostri giornali intorno a
Natale che il professore canadese che ha formulato quest’espressione è morto.
Il fatto che basta premere un bottone per portare in casa immagini che vengono da migliaia di
chilometri vuol dire che il mondo “sta succedendo” a casa nostra.
Non c’è un modo di separazione. E l’Europa, che è cosciente di questo “nuovo mondo” nel senso
più grande, richiede un messaggio, un Vangelo integro, cioè un Vangelo che risponde alle necessità
ed alle prospettive di quel nuovo mondo.
Il movimento ecumenico non è una moda, sebbene ci siano punti alti e punti bassi. Non è un
tentativo di unificare le strutture delle diverse Chiese, ma un tentativo di presentare insieme, uniti,
l’opera riconciliatrice di Cristo Gesù.
Abbiamo avuto a Ginevra, nella parte dove abito io, una bellissima esperienza qualche anno fa;
siccome non c’è una parrocchia battista a Ginevra, faccio parte di una parrocchia della Chiesa
riformata di Ginevra, e nella nostra parte della città vi è anche una parrocchia cattolica, la Santa
Trinità, c’è anche una parrocchia delle Chiese libere, c’è anche un raggruppamento dell’Esercito
della Salvezza e c’è una Chiesa metodista. I giovani di queste parrocchie, indipendentemente, sono
arrivati alla decisione di dover fare qualcosa per evangelizzare la nostra parte della città (e Dio solo
sa come ne ha bisogno, perché è la parte della città più malfamata). E questi giovani sono arrivati
alla convinzione che era inutile, assolutamente inutile, fare diverse evangelizzazioni
(evangelizzazione cattolica, evangelizzazione riformata, evangelizzazione dell’esercito della
salvezza ecc.).
Anche contro una certa resistenza da parte delle autorità ecclesiastiche hanno programmato dieci
giorni di evangelizzazione insieme! Meraviglioso. Ed ecco che un giorno ricevo una telefonata a
casa mia: un gruppo di giovani che mi vuole parlare e mi domandano se possono venire a casa solo
per dieci minuti. “Sì, venite” dico. Quando arrivano vedo che sono il gruppo di giovani della Chiesa
cattolica e mi domandano: “Pastore Williams, vorrebbe predicare l’ultima predicazione di questa
settimana di evangelizzazione?”
Non voglio parlare dell’esperienza (è stata bellissima), ma che gioia che un gruppo di cattolici
vengano da un pastore battista con una richiesta di aiuto nell’evangelizzazione.
Presentare uniti l’opera del Signore in Cristo!
Siamo chiamati nel movimento ecumenico a vivere insieme la nostra vita di credenti, a vivere
insieme la nostra fede, a vivere insieme anche i nostri problemi. Ed anche le nostre gioie. Certi che
per la Grazia del Signore la convivenza della fede diventerà un’osmosi.
E così arriviamo all’ultimo punto.
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Vorrei domandarmi, tra tutti i principali compiti ecumenici in Europa vi sono forse tre o quattro che
potrebbero essere sottolineati?
Forse sì. Vorrei fare il tentativo.
Senza dubbio metterei l’accento prima di tutto sul fatto che tutti noi individualmente e come Chiese
abbiamo come compito principale quello di essere disponibili per mezzo della preghiera, per mezzo
dell’approfondimento della propria fede a partecipare, a contribuire, ad offrire e ricevere.
Allora che lo scopo, che l’intenzione delle nostre preghiere per l’unità sia prima di tutto questa:
“Signore dammi questa grazia dell’apertura”.
Un altro principale compito sarebbe quello di trovarci teologicamente con tutte le nostre differenze,
forse bisogna incominciare di nuovo a riflettere teologicamente su significato teologico della
diversità: Paolo l’ha fatto e noi l’abbiamo dimenticato!
E che contributo sarebbe alla testimonianza della Chiesa se si potesse arrivare ad un consenso
dinamico, teologico, tra la teologia occidentale e la teologia orientale, invece di trattare l’uno e
l’altro come cose diverse.
E se continuiamo in questa ricerca ecumenica un altro compito essenziale sarebbe: insieme
evangelizzare, andare in missione, in un continente che è completamente alla deriva; e non
pensiamo solo alla parte orientale come continente alla deriva, mentre noi no: ho l’impressione che
se c’è una parte di continente che è alla deriva questa è piuttosto dalle parti nostre.
L’Europa è alla deriva e la gioventù d’ogni parte ci ricorda questo fatto doloroso.
Un altro compito che dobbiamo intraprendere insieme è il servizio della pace.
E chi meglio di noi, cristiani di tutte le confessioni insieme, chi meglio di noi è preparato a costruire
e a mantenere aperti quei contatti, quei ponti, tra nazione e nazione, tra popolo e popolo che sono
essenziali. E appresso a questo compito ci sta quello del servizio della giustizia. Non sto parlando
solo di “più giustizia nell’Unione Sovietica”, sto parlando di “più giustizia in Inghilterra (da dove
vengo io), sto anche parlando di “un po’ più di giustizia in Italia”, ciò è molto più difficile che
richiamare semplicemente la giustizia fuori dalle frontiere.
Ed infine dobbiamo, nel movimento ecumenico, assumere il compito di sollecitudine per tutti i
credenti come un’espressione della nostra fratellanza in Cristo.
L’ecumenismo non è una macchina, né un metodo, né una struttura, né un’istituzione, né un
movimento di credenti di tutte le confessioni cristiane gli uni verso gli altri perché tutti insieme
andiamo verso l’unità che è Cristo. Non solamente unità in Cristo, ma Cristo stesso è quell’unità.
E siamo, con tutte le nostre differenze, con tutte le nostre distinzioni, credenti in un solo Signore,
credenti in una sola fede e credenti (mi è permesso dire questo come battista) in un solo battesimo
come via di entrata nella Chiesa.
Ma siamo credenti così, con tutte le diversità che Polo riconosce soprattutto nel dodicesimo
Capitolo della prima lettera ai Corinzi e dove, parlando di tutte queste differenze, non di meno dice:
“Voi siete il corpo di Cristo”, ed ha detto questo proprio ai Corinzi, dove c’erano più difficoltà, più
diversità, più distinzioni che in qualsiasi altra Chiesa.
Il corpo è il segno della diversità di unità.
Noi ci ricordiamo sempre in momenti come questo che in quell’ultima notte, prima di essere
crocifisso, Gesù si è rivolto verso il Padre e dal profondo del suo cuore ha pregato “Padre non prego
per questi che sono intorno a me, ma prego anche per quelli che crederanno”.
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Che pensiero meraviglioso, quella notte in cui aveva davanti a sé la croce si è messo a pregare per
ciascuno di noi. Cosa ha pregato? “Che tutti siano uno, affinché il mondo creda”.
E Dio ha esaudito quella preghiera oppure no? Non posso credere che sia andata vuota. Io credo che
siamo già tutti uniti, io credo che siamo diversi ma uniti, ed il nostro problema è “come esprimere”
questo fatto della vita e della fede.
In obbedienza alla preghiera di Cristo l’ecumenismo deve continuare oggi, domani, dopodomani, a
fare anche in Europa.
E per la Grazia del Signore si farà.
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