Rosanna Figna IL SIGNOR HAYASHI

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Rosanna Figna IL SIGNOR HAYASHI
Rosanna Figna
IL SIGNOR HAYASHI
LietoColle
Libriccini da collezione
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Rosanna Figna, Il signor Hayashi, LietoColle
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Rosanna Figna, Il signor Hayashi, LietoColle
Foreword
L’uomo, unità circolare perfetta a cui non si può togliere ed aggiungere
niente , così come Leonardo l’ha disegnato, così come lo concepisce il
Tao, è il protagonista di questo lavoro. E’ la storia di come può iniziare una
perversione masochistica e di come la si vive cercandone il senso e le motivazioni. E’ un viaggio in verticale, all’interno dell’esperienza del dolore
volontario, di come arriva a trasformarsi in piacere, di quando gli estremi si
toccano e, circolarmente si uniscono. Non è solo un atto fisico, ed una
volontà psichica di sottomissione, ma come tutto ciò che riguarda la sfera
sessuale, è legato a delle radici vitali, ancestrali e profonde. L’iter del Signor
Hayashy, manager giapponese in carriera, è seguito con dovizia di particolari descrivendo il suo immaginario erotico, ed i suoi incontri con le Dominatrici, ma senza enfasi o moralismo, lontano dalla violenza e dalla volgarità che generalmente caratterizza le descrizioni di sesso estremo. Questa
vicenda ci porta in una Tokyo poco caratterizzata. Siamo invitati ad identificarci con questo personaggio, forte e debole nello stesso tempo, che ha
delle perversioni inaudite. Nel luogo, la cui massima espressione erotica
sono i fumetti Manga. Lo capiamo per quel po’ di masochismo che, inconsciamente alberga in ciascuno di noi, per quel po’ di inconfessato e di inconfessabile che c’è nel nostro immaginario intimo. Può esserci una inconsapevole volontà di farci del male tutte le volte che non evitiamo che qualcuno ci possa soverchiare, od ogni volta che ci feriamo accidentalmente; è
una osservazione acuta che forse ha una sua verità, il dolore è comunque
una conoscenza ed una pratica estremamente necessaria.
In una società estremamente permissiva, come la nostra, in cui è sparita
l’idea del castigo, è abbastanza frequente trovarne ancora dei retaggi, ed incontrare qualcuno che si crei sensi di colpa o che si voglia autopunire. La
sottomissione crea sicurezza, forse la stessa che si provava nell’infanzia ad
essere soggetti ai genitori, così Shikiro Hayashy ricerca la sua dimensione
più regressa, intima e sicura, nella passiva soggiogazione alle Signore. C’è
sempre un complesso rapporto tra dominante e dominato, anche in un
non apparente scambio di ruoli. Il finale a sorpresa, lascia poi liberi di pensare: che sia un gioco col lettore o con il personaggio, oppure che tutto
quello che cerchiamo o che immaginiamo, spesso è vicino a noi .
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Il Signor Hayashi
Quella sera d’autunno, il tunnel della metropolitana era affollato
come sempre. Lui stava tornando a casa dopo un’estenuante giornata di stage presso una società specializzata in consulenza su bilanci
e fusioni industriali. La sua attenzione fu inspiegabilmente attratta da
una lucente punta d’ombrello che ticchettava sulla pavimentazione.
Continuava a fissare la punta metallica premuta verso terra, e intuiva
quanto dovesse essere fredda e dolorosa raffigurandosela sulla schiena
nuda. I suoi occhi si posarono poco più a lato, e videro i piedi della
proprietaria dell’ombrello infilati in scarpe di vernice nera col tacco.
Alzò lo sguardo, ancora annebbiato dalla sua visione, e vide una
donna dagli occhi grigi e dai capelli rosso carminio. Fu un attimo.
Poi lei scomparve. Il suo treno arrivò e lui lo prese. Doveva arrivare
nel quartiere dall’altra parte di quella tentacolare megalopoli che è
Tokyo. L’immagine di quella scena con quella punta metallica lo
accompagnò ancora per giorni, e nel dormiveglia arrivò perfino a
desiderare d’essere penetrato da quella cosa fredda ed appuntita.
Una volta, a teatro, durante un concerto di musica classica, s’incantò
ad osservare la mano bianca ed affusolata della violinista. Immaginò
che quella mano e quel braccio così belli gli passassero l’archetto del
violino sulla pelle nuda del fianco, con forza, arrossandogliela, poi
che si spostasse più giù, facendogliela passare nell’interno cosce, e
verso l’attaccatura dei testicoli. Osservava quel movimento e lo vedeva su di sé. Iniziava a provare piacere, quando una corda si sfilacciò e lui fece un sussulto. La sua fidanzata, seduta di fianco, gli prese
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la mano e lo guardò, serena, con un lieve sorriso. Tutto svanì nel
nulla.
Cominciò a preoccuparsi, a chiedersi perché dovessero venirgli certe
strane fantasie sessuali. Si era sempre giudicato «abbastanza normale», in più era un dirigente in carriera, quindi non poteva permettersi sbagli o sgarri. Per certe cose, il Giappone è crudelmente puritano. Ci sono registri sociali molto esclusivi. Parecchie agenzie investigative si dedicano unicamente al controllo del background d’una
persona interpellata, se questa fa domanda di lavoro, o vuole sposarsi o far parte di un club. Esistono registri familiari che risalgono a
tempi molto remoti, e si possono anche diseredare i figli semplicemente per qualche loro manchevolezza morale. Lui non poteva
permettersi passi falsi.
Mentre nei mesi successivi la sua vita scorreva su binari prefissati,
con le previste escalation professionali, le sue fantasie, nei momenti
di distensione o di mancato controllo, si facevano per lui sempre più
inquietanti. Si vedeva legato a x ad un letto, con donne intorno, e gli
piaceva l’idea d’essere alla loro mercé. Di volta in volta, sperimentavano su di lui piccole nuove torture. Una volta immaginò addirittura
una ragazza mascherata che gli inseriva aghi da agopuntura nella
zona pubica, e avvertì un’erezione.
Aveva sempre pensato che i suoi gusti rientrassero nella norma. Solo
un’altra volta si era stupito delle sue reazioni: fu quando, da ragazzo,
lo portarono al museo dei tatuaggi. Raccoglieva pelli umane tatuate e
conciate, esposte per mostrare i disegni che vi erano stati impressi.
Era stato un medico legale ad iniziare questa raccolta verso il 1920
che mentre esaminava il corpo d’un uomo appartenente alla yakuza,
assassinato da un clan rivale, rimase colpito dalla bellezza dei disegni
sul corpo, così gli venne l’idea di conciarne la pelle. La collezione
continuò, fino a diventare museo. Nel corso del tempo, vennero effettuate centinaia di aggiunte, e lì c’era l’impronta d’una parte di
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Giappone: quella più oscura. Lui si era soffermato a leggere la storia
degli affiliati alla yakuza: l’usanza di tatuarsi aveva origini lontane.
Era un mezzo per riconoscersi e per proteggersi dagli informatori,
tuttora diffusissimo. In genere, mancavano loro parti delle dita, perché venivano tagliate via, nocca per nocca, a causa delle trasgressioni
connesse. Dovevano farlo davanti al Boss, e senza mostrare d’avere
paura o provare dolore. Gli uomini appartenenti a questo clan finivano spesso in prigione per i motivi più diversi, specialmente quelli
di basso rango, che pagavano le colpe dei capi. In prigione, anche
all’epoca attuale, eseguono questi impianti al pene: prendono una
perla e la inseriscono sotto la pelle, una per ogni anno trascorso in
cella. Tagliano un bastoncino o uno spazzolino da denti fino ad ottenere una punta molto aguzza. Praticano un taglio, poi sollevano ed
allargano la pelle inserendovi la perla. Alla fine, applicano un bendaggio stretto, in maniera che si richiuda sopra la rotondità. C’erano
foto in cui si vedevano membri pieni di protuberanze. Lui rimase
choccato da questa cosa. Era immobile e non riusciva a pensare ad
altro, fino a raffigurarsi due mani femminili, laccate di rosso, mentre
incidevano il suo per infilarvi una grossa perla grigia. Non c’era sangue, né paura del dolore: accadeva e sembrava quasi reale a lui, in
piedi, solo in una stanzetta in penombra del museo.
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Si trattò, comunque, d’un episodio. Niente a che vedere con questo
ripetersi di fantasie, delle quali non poteva parlare con nessuno. Le
donne delle sue performance immaginarie non avevano connotati
precisi: non c’era una Dominatrice, una che avesse provocato in lui
questa tendenza, né c’era stato un episodio scatenante. Succedeva, e
lui ne era deliziato, spaventato ed angosciato.
Viveva solo. All’alba dei trent’anni non era ancora sposato. Era un
passo che non si decideva a compiere, adducendo sempre, a sua madre ed alla sua fidanzata, mille motivi di carattere pratico ed economico, quindi molto ben recepiti e tollerati da entrambe.
In un paese dove la massima perversione era acquistare mutande
usate dalle liceali, dove l’erotismo era consumato sui Manga, lui si
sentiva veramente un estremista, credeva d’avere una malattia diabolica. Le sue erano deviazioni da imperatore romano, da europeo annoiato, e non da efficiente manager del Sol Levante… doveva eliminarle. Forse era stato troppo stressato, ultimamente. Si prese qualche
giorno di pausa, ma proprio quando la sua mente poteva vagare,
ecco che ritornavano le scene… Dopo una bella sudata in sauna,
mentre beveva un tè verde, avvolto da un morbido accappatoio,
immaginò una splendida donna biondo platino, capelli lunghi, occhi
azzurri, scalza, gioielli ai piedi ed alle caviglie, bustino di seta nera e
maschera sul volto, mettergli un collare da cane intorno al collo. Lo
fece inginocchiare ai suoi piedi, e, sganciatosi in basso il corsetto, gli
impose di leccarla: prima sull’interno cosce, poi sulle labbra, ed in
seguito dentro. A questo punto, la sua erezione si fece potente. Iniziò a masturbarsi mentre l’immagine della donna si faceva più nitida,
più particolareggiata. Ora lei prendeva un altro collare, molto più
lungo, fatto a Y con borchie più corte, e glielo faceva indossare legandolo alla vita, con la parte metallica rivolta all’interno. Lo obbligò
a muoversi carponi e quella cosa gli premeva all’attaccatura dei testi-
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coli e delle gambe, contro l’ano e in mezzo alle natiche. Era imbrigliato, e quelle briglie diventavano più strette. Alla fine, venne.
Pensò di rivolgersi ad uno psichiatra, ma credeva che non avrebbe
mai avuto il coraggio di raccontare queste cose nei minimi dettagli, e
sapeva che loro scavavano nel più piccolo particolare… inoltre riteneva che nessuno di loro potesse avere un rimedio. Anzi, probabilmente gli avrebbero consigliato di seguire le proprie inclinazioni,
tanto anche loro erano tutti più o meno deviati.
Un giorno decise di abbandonarsi e provare almeno una volta a seguire le sue tendenze, per vedere se erano solo perversioni della sua
mente, o se funzionavano anche messe in pratica. In un porno shop,
nel settore sesso estremo, scelse alcune cassette SM, pagò in contanti
per non essere individuato attraverso la carta di credito, e aspettò
con trepidazione d’essere a casa per poterle vedere. Non gli piacquero per nulla. Innanzi tutto detestava la violenza. Urla, frustate,
sangue, cose fatte con odio, lo inorridivano. Doveva esserci un’arte,
nel dolore: far provare piacere e male insieme era una raffinata ricerca
di due estremi che si toccano. Lui voleva qualcosa come quella
giovane e bella infermiera che andava a fargli le iniezioni quando era
piccolo e gracile. Lo accarezzava e gli diceva con tono suadente: «Ti
farò male, ma è per il tuo bene. Vedrai: brucia un po’, ma passa subito».
Se c’era arte e piacere nel dare dolore, ce n’era nel riceverlo, e questo
si trasformava in un godimento sommo, capace di superare le barriere
dei cinque sensi, di convertire l’allarme e la sofferenza provati in un
benessere superiore creato nella mente. Era un oltrepassare le barriere
della carne, sovraccaricare i nervi con stimoli opposti e fortissimi.
Poi non sopportava gli uomini ed i gay. Voleva donne, immaginava
creature di una femminilità potente e calma, non l’isteria, non la nevrosi sfogata nell’atto voluttuoso. Voleva essere Adamo tentato da
Eva, Ulisse legato di fronte alle sirene, Leopold von Sacher-Masoch
punzecchiato dalla sua Wanda, Penteo sbranato dalle baccanti… cer~ 15 ~
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