Rassegna giurisprudenziale in tema di Condominio riservata agli

Transcript

Rassegna giurisprudenziale in tema di Condominio riservata agli
Rassegna giurisprudenziale in tema di Condominio riservata agli iscritti al
corso per amministratori di condominio su www.overlex.com
** Utilizzare le funzioni di ricerca del proprio programma (es. Acrobat Reader) per cercare argomenti di proprio interesse.
La legge n. 633 del 22/04/1941 art. 5 esclude l'applicazione del diritto d'autore ai testi degli atti ufficiali
dello Stato e delle amministrazioni pubbliche italiane e straniere
Cass. Civ. 7/01/92 n. 49 - Immissioni - Regolamento - Uso proprietà .esclusiva
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove sia accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l'uso o il godimento
dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini
sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca. Ne consegue che
qualora il regolamento di condominio faccia divieto di svolgere determinate attività (nella specie: divieto di
adibire i locali del fabbricato condominiale ad esercizio di ristorante) non occorre accertare, al fine di ritenere
l'attività stessa illegittima, se questa costituisca oppure no immissione vietata a norma dell'art. 844 c.c., con le
limitazioni ed i temperamenti in tale norma indicati, in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche diverse o maggiori di
quelle stabilite dalla citata norma, e l'obbligo del condominio di adeguarsi alla norma regolamentare discende in
via immediata e diretta ex contractu per il generale principio espresso dall'art. 1372 c.c.). Il regolamento
convenzionale di condominio, anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei
singoli appartamenti compresi nell'edificio condominiale, fa corpo con essi purché espressamente richiamato ed
approvato, di guisa che le sue clausole rientrano per relationem nel contenuto dei singoli contratti di acquisto; e
poiché il richiamo per relationem del contenuto del regolamento è opera di entrambi i contraenti, ne deriva che le
singole clausole restano fuori della previsione legislativa del secondo comma dell'art. 1341 c.c. che nel sancire
la necessità della specifica approvazione fa riferimento alle sole clausole cosiddette "vessatorie" che risultano
predisposte da una soltanto delle parti contraenti.
Cass.04/02/92 n.1195 - Immissioni
I limiti di destinazione e di uso imposti da un regolamento di condominio ad una unità immobiliare di proprietà
esclusiva sono opponibili, pur in difetto della trascrizione del relativo atto, al terzo acquirente, nel caso in cui lo
stesso nel contratto di compravendita abbia espressamente dichiarato di conoscere il regolamento di
condominio e di accettarlo in ogni sua parte (nella specie il regolamento condominiale conteneva una clausola
che vietava l'adibizione degli appartamenti ad attività rumorose, insalubri, ed emananti esalazioni nocive o
sgradevoli). Qualora i condomini, con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci
in materia di immissioni con norma più rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo,
della liceità o meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto
dalla legge, bensì del criterio di valutazione fissato nel regolamento (nella specie trattavasi dell'installazione di
una tipografia nonostante che il regolamento facesse divieto di svolgere attività rumorose od emananti
esalazioni nocive).
Cass. 07/03/92 - n. 2774 - Canna fumaria
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilità di uso degli altri
comproprietari.
Cass. 10/04/92 n. 4405 - Tabelle Millesimali
La domanda di uno dei condomini per l'accertamento della invalidità ed inefficacia della tabella millesimale
deliberata dall'assemblea dei condomini senza voto unanime, deve essere necessariamente proposta nei
confronti di tutti i condomini, e non anche del solo amministratore del condominio, la cui rappresentanza
processuale passiva dei condomini è limitata, a norma dell'art. 1131 c.c. alle parti comuni dell'edificio, ma che è
passivamente legittimato ad causam per la tutela degli interessi comuni, sui quali la domanda di accertamento
della invalidità delle tabelle millesimali è destinata a riflettersi.
Cass. 19/05/92 n. 5977 - Regolamento
La disposizione di un regolamento condominiale che prevede una indennità di mora in caso di ritardato
pagamento dei contributi da parte dei condomini non ha natura di clausola penale e di conseguenza non può
essere soggetta a riduzione in sede giudiziale, non competendo al giudice un potere di riduzione che finirebbe
per modificare la norma regolamentare secondo le diverse e concrete applicazioni con la conseguente perdita,
nei confronti dei condomini, della sua funzione.
Cass. 27/06/92 n. 8074 - Assemblea
La mancata comunicazione, agli aventi diritto, dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini
prescritto dall'art. 1136, comma sesto, c.c., comporta la nullità assoluta ed insanabile della deliberazione,
opponibile anche dai condomini che hanno ricevuto la comunicazione e partecipato all'assemblea.
Cass. 24/08/92 - n. 9828 - Spese
Poiché l'amministratore di condominio nell'attività di riscossione dei contributi dovuti da ciascun condomino per
l'utilizzazione delle cose comuni agisce in rappresentanza degli altri condomini, le controversie che insorgono in
ordine a tale riscossione costituiscono una lite tra condomini soggetta quanto alla competenza territoriale ai
criteri dell'art. 23 c.p.c. e quindi devoluta alla cognizione del giudice del luogo in cui si trova l'immobile
condominiale
Cass. 29/08/92 n. 9999 - Cancelli
In tema di condominio di edifici la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di
accesso al fabbricato condominiale con un cancello o con una sbarra comandati elettricamente e con consegna
del congegno di apertura e di chiusura ai proprietari delle singole unità immobiliari, rientra nei poteri
dell'assemblea dei condomini, attinendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza
sopprimere o limitare le facoltà di godimento dei condomini, e non incorre, pertanto, nel divieto stabilito dall'art.
1120, comma secondo, c.c. per le innovazioni pregiudizievoli delle facoltà di godimento dei condomini, non
incidendo sull'essenza del bene comune, né alterandone la funzione o la destinazione. In tema di condominio di
edifici la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato
condominiale con un cancello o con una sbarra comandati elettricamente e con consegna del congegno di
apertura e di chiusura ai proprietari delle singole unità immobiliari, rientra nei poteri dell'assemblea dei
condomini, attinendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le
facoltà di godimento dei condomini, e non incorre, pertanto, nel divieto stabilito dall'art. 1120, comma secondo,
c.c. per le innovazioni pregiudizievoli delle facoltà di godimento dei condomini, non incidendo sull'essenza del
bene comune, né alterandone la funzione o la destinazione
Cass. 02/10/92 - n.- 10838 - Amministratore - responsabiltà
In tema di condominio di edifici l'approvazione assembleare dell'operato dell'amministratore e la mancata
impugnativa delle relative delibere preclude l'azione di responsabilità al singolo condomino leso dall'attività e
dalle iniziative arbitrarie dello stesso soltanto per le attività di gestione dei beni e dei servizi condominiali, per le
quali il potere di approvazione compete esclusivamente all'assemblea a norma dell'art. 1135 n. 3 c.c. La delibera
assembleare di approvazione non esclude invece l'anzidetta responsabilità nel caso di mancata tempestiva
informazione da parte dell'amministratore di atti che hanno incidenza diretta sul patrimonio del singolo
condomino, come nel caso di mancato riferimento di perizie relative a controversie con altri soggetti.
Cass. 21/10/92 - n. 11509 - Facciata
La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in pristino
della facciata dell'edificio condominiale, ove comporti l'accertamento del diritto del condomino convenuto di
modificare sostanzialmente la facciata dell'edificio in forza del proprio titolo d'acquisto, essendo destinata ad
incidere sui diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perché
investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi l'integrazione del
contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a norma dell'art. 102 cod. proc. civ.
Cass. 29/1092 - 11774 - Lastrico solare
Il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini, svolge
funzione di copertura del fabbricato e perciò l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre
che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle
relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.; di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex
art. 2051 c.c., dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico
solare, non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o ricostruttivi non consistano in un mero
ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica modifica od integrazione in conseguenza di vizi o
carenze costruttive originarie, salva in questo caso l'azione di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore (nella
specie per impedire infiltrazioni d'acqua ai piani sottostanti, era necessaria la messa in opera di materiale
isolante, idoneo a sopperire all'inadeguata coibentazione delle strutture originarie).
Cass. 05/11/92 - n. 11981 - Spese
L'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione
e manutenzione delle parti comuni dell'edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con
l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1135, n. 3, c.c., sorge soltanto dal
momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese. Ne consegue che la
prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della
ripartizione delle spese e non dall'esercizio di bilancio.
Cass. 11/11/92 - n. 12115 - Tabelle Millesimali
In tema di ripartizione di spese condominiali la tabella millesimale approvata da tutti i condomini è modificabile
soltanto con deliberazione adottata con il consenso di tutti i condomini, oppure con provvedimento del giudice
nei soli casi tassativamente indicati dall'art. 69 att. c.c. Ne consegue che il potere dell'assemblea condominiale
di deliberare a maggioranza una ripartizione provvisoria dei contributi a titolo di acconto e salvo conguaglio può
riconoscersi soltanto in assenza di una precedente regolamentazione negoziale.
Cass. 11/11/92 - n. 12125 - Amministratore - condono edilizio
L'amministratore del condominio, in quanto tenuto ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea, ha la
legittimazione ad agire nei confronti dei condomini inadempienti alle obbligazioni di pagamento dei contributi in
base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, senza necessità di una specifica autorizzazione,
trattandosi di controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni. La deliberazione dell'assemblea dei
condomini, la quale, ai fini della sanatoria degli abusivismi edilizi di cui alla l. 28 febbraio 1985, n. 47, determini
la ripartizione fra i condomini delle somme da corrispondere a titolo di oblazione in base alle superfici dei singoli
appartamenti anziché in base ai millesimi di proprietà, non è affetta da nullità, né per contrasto con norme
imperative, né sotto il profilo della lesione dei diritti individuali dei condomini, in considerazione della
rispondenza di detto criterio a quelli previsti dagli artt. 34 e 51 della citata legge.
Cass. 11/11/92 - n. 12119 - Assemblea
Affinché uno dei comproprietari pro indiviso di un piano o porzione di piano possa ritenersi ritualmente
convocato a partecipare all'assemblea del condominio, nonché validamente rappresentato nella medesima, con
riguardo ad affari di ordinaria amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unità immobiliare, non si
richiedono particolari formalità, essendo sufficiente che risulti provato, anche per presunzioni, che il primo dei
predetti comproprietari abbia ricevuto effettiva notizia della convocazione dell'assemblea ed abbia conferito, sia
pure verbalmente, il potere di rappresentanza. Il verbale dell'assemblea del condominio, anche nella parte in cui
indica la presenza, di persona o per delega, dei condomini, offre una prova presuntiva, di modo che spetta al
condomino che impugni la deliberazione, contestando la rispondenza a verità di detta indicazione, di fornire la
relativa dimostrazione.
Cass. 19/11/92 - n. 12379 - Assemblea - rappresentanza
Qualora il condomino agisca per far valere l'invalidità di una delibera assembleare, incombe sul condominio
convenuto l'onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente avvisati della convocazione, quale
presupposto per la regolare costituzione dell'assemblea, mentre resta a carico dell'istante la dimostrazione degli
eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà dell'assemblea medesima. All'amministratore del condominio
compete l'esclusiva legittimazione passiva nelle cause promosse da uno dei condomini per impugnare le
deliberazioni assembleari, ove queste non attengono a diritti sulle cose comuni. In tali cause, pertanto, deve
riconoscersi la capacità a deporre degli altri condomini, in quanto non portatori di un interesse che li abiliti a
partecipare al giudizio.
Cass. 28/11/92 - n. 12792 - Balconi
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio, mentre sono pertinenze dell'appartamento di proprietà esclusiva
quando servono solo per il decoro di quest'ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di
costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l'azione di responsabilità nei confronti del
costruttore è legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell'art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi
decorativi abbiano prevalente funzione estetica per l'intero edificio.
Cass. 11/11/92 - n. 13111- Assemblea - spese legali
È nulla per contrarietà alla legge la deliberazione dell'assemblea di un condominio che abbia approvato il
rendiconto annuale includendovi le spese legali sostenute in proprio dagli amministratori in una procedura
promossa nei loro confronti, attesa la non inerenza delle spese anzidette alla gestione condominiale. Tale
delibera può essere impugnata in parte qua dai condomini dissenzienti, ancorché le loro quote di spesa siano
state successivamente assunte a loro carico dagli amministratori, scaturendo l'interesse all'impugnazione,
nonostante la rinuncia al rimborso, dal carattere vincolante per tutti i condomini della deliberazione, che
conserva immutata la propria efficacia esecutiva.
Cass. 11/01/93 n. 172 - Uso della cosa comune
La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e
diverso dal suo normale uso se ciò non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli
altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari; pertanto, è
legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da
non pregiudicare né la normale funzione del cortile, che è di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili
circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) né le possibilità di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli
infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente
il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era
ristretto da un'antica sporgenza). Il condomino non ha il dovere di limitare l'uso della cosa comune ai soli casi in
cui il suo interesse non possa essere altrimenti soddisfatto con il medesimo costo, perché il solo limite che l'art.
1102 c.c. pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino è quello del divieto di
alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto.
Cass. 14/01/93 - n. 395 - Acquirente - regolamento - sopraelevazione
Il regolamento convenzionale di condominio - anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di
compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio condominiale - fa corpo con esso, purché espressamente
richiamato ed approvato, di modo che le sue clausole rientrano, almeno per relationem, nel contenuto dei singoli
contratti di acquisto. E trattandosi, in questo caso, di relatio perfecta, in quanto il richiamo è opera di entrambi i
contraenti, le singole clausole del regolamento di condominio restano fuori dalla previsione del secondo comma
dell'art. 1341 c.c., che, nel sancire la necessità della specifica approvazione per iscritto di condizioni vessatorie,
ha riguardo alle sole clausole, di contratti per adesione o analoghi, che risultino predisposte da una soltanto
delle parti contraenti. Il regolamento di condominio, qualora abbia natura contrattuale (in quanto accettato da
tutti i condomini), può imporre restrizioni anche ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti
dell'edificio di loro esclusiva proprietà. Tali limitazioni vincolano anche gli acquirenti dei singoli appartamenti,
indipendentemente dalla trascrizione, qualora essi nell'atto di acquisto, facendo espresso riferimento al
regolamento, dimostrino di esserne a conoscenza e di accettarne il contenuto. (Nella specie la Suprema Corte
ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto che la clausola del regolamento,
richiamato negli atti di acquisto, che faceva divieto di effettuare qualunque modifica o variazione esterna
all'edificio, costituiva titolo per l'esclusione del diritto di sopraelevazione riconosciuto al proprietario dell'ultimo
piano dall'art. 1127 c.c.).
Cass. 27/01/93 n. 966 - Aggetti - cortile
Negli edifici in condominio poiché la funzione dei cortili comuni è quella di fornire aria e luce alle unità abitative
che vi prospettano, lo spazio aereo ad essi sovrastante non può essere occupato dai singoli condomini con
costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi
dell'art. 840, terzo comma, c.c., l'utilizzazione ancorché parziale a proprio vantaggio della colonna d'aria
sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa. Ne discende il
diritto degli altri condomini di opporsi, ai sensi dell'art. 840, terzo comma, citato, a siffatta utilizzazione esclusiva
dello spazio aereo, senza necessità di chiamare in causa altri condomini al di fuori di quelli cui s'addebita la
responsabilità della violazione che s'intende eliminare, non ricorrendo una ipotesi di litisconsorzio necessario.
Cass. 01/02/93 n. 1218 - Regolamento
I regolamenti condominiali, non approvati dall'assemblea, ma adottati coattivamente, in virtù di sentenza
attuativa del diritto potestativo di ciascun partecipe del condominio (con più di dieci componenti) di ottenere la
formazione del regolamento della comunione, hanno efficacia vincolante per tutti i condomini, ai sensi dell'art.
2909 c.c., a seguito del passaggio in giudicato di detta sentenza.
Cass. 12/02/93 n. 1781 - Ascensore - innovazioni
L'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con
determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di
spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante
può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto e può apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie
per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha
facoltà di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione
degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
Cass. 12/02/93 n. 1789 - Decreto ingiuntivo - spese
Per la riscossione dei contributi condominiali, l'amministratore può chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente
esecutivo, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., nei confronti del condomino moroso, in base al preventivo delle
spese approvato dall'assemblea, soltanto fino a che l'esercizio cui tali spese si riferiscono non sia terminato,
dovendo altrimenti agire in base al consuntivo della gestione annuale.
Cass. 12/02/93 n. 1791 - Amministratore
Per la nomina dell'amministratore del condominio di un edificio è applicabile l'art. 1392 c.c., in base al quale,
salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la
procura che conferisce il potere di rappresentanza può essere verbale o anche tacita. Detta nomina, pertanto,
può risultare, indipendentemente da una formale investitura da parte dell'assemblea e dall'annotazione nello
speciale registro di cui all'art. 1129 c.c., dal comportamento concludente dei condomini, che abbiano considerato
l'amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui abitualmente in tale veste.
Cass. 19/02/93 n. 2018 - Pulizia scale
In tema di condominio di edifici, la disposizione dell'art. 1124 c.c. concernente la ripartizione fra i condomini delle
spese di manutenzione delle scale, come la norma di regolamento condominiale che vi si conformi, riguarda le
spese relative alla conservazione della cosa comune che si rendono necessarie a causa della naturale
deteriorabilità della stessa per consentirne l'uso ed il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili
per mantenere la cosa in efficienza. La disposizione non riguarda, pertanto, le spese di pulizia delle scale, alle
quali i condomini sono tenuti a contribuire in ragione dell'utilità che la cosa comune è destinata a dare a
ciascuno e che l'assemblea può legittimamente ripartire in virtù delle attribuzioni riconosciutele dall'art. 1135 c.c.,
anche modificando i precedenti criteri con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c. trattandosi di criteri aventi
natura solo regolamentare.
Cass. 15/03/93 n. 3090 - Immissioni
La disposizione dell'art. 844 c.c., è applicabile anche negli edifici in condominio nell'ipotesi in cui un condomino
nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose
nella proprietà di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il
criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla
destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare,
nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a
destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilità sociale, cui è
informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed
economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali ,le esigenze personali di vita
connesse all'abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all'esercizio di attività commerciali.
(Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva ordinato la rimozione dal
muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a breve distanza dalle finestre di
alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli odori prodotti dal forno di un esercizio
commerciale ubicato nel fabbricato condominiale).
Cass. 16/03/93 n. 3102 - Scioglimento
L'art. 62 att. c.c., che, nel caso di sostituzione di più condomini separati ad un unico preesistente condominio,
assoggetta alla disciplina del condominio negli edifici, piuttosto che alle norme sulla comunione, quelle, tra le
cose indicate dall'art. 1117 c.c., rimaste in comunione, al servizio di tutti, deve ritenersi applicabile anche nei
casi in cui in seguito allo scioglimento della comunione i singoli immobili siano rimasti in proprietà solitaria.
Pertanto, nel caso di divisione di un edificio soggetto al regime del condominio in porzioni aventi le
caratteristiche di edifici autonomi, sulle parti rimaste in comproprietà degli originari partecipanti nonostante lo
scioglimento del condominio, in difetto di espresso mutamento del titolo continua ad applicarsi la disciplina del
condominio di edifici con la conseguenza che, il tratto di accesso, racchiuso dalle costruzioni in proprietà
esclusiva e destinato a dare ad esse il passaggio, in quanto compreso nella comproprietà ex art. 1117 c.c.,
viene usato jure proprietatis e non jure servitutis dai comproprietari, che possono procedere all'apertura di nuove
porte attraverso il muro delimitante i fabbricati insistenti sull'accesso medesimo, quale legittima utilizzazione
della cosa comune a norma dell'art. 1102 cod. civ.
Cass. 17/03/93 n. 3159 - Amministratore - assemblea
Nel corso del giudizio, di cui sia parte costituita un condominio legalmente rappresentato dall'amministratore, la
cessazione del rapporto di rappresentanza per dimissioni comporta l'interruzione del processo, a norma dell'art.
300 c.p.c., soltanto se e quando l'evento sia stato dichiarato in udienza, ovvero sia notificato alle altre parti dal
procuratore costituito; altrimenti, il rapporto processuale prosegue senza soluzione di continuità e senza dar
luogo a successione nel processo quando si costituisca in giudizio il nuovo amministratore, ed è perciò valida
l'impugnazione proposta dall'amministratore dimissionario il cui potere perdura fino alla sua sostituzione. La
disposizione dell'art. 2377 ultimo comma c.c. secondo cui l'annullamento della deliberazione non può essere
pronunciato se la deliberazione impugnata sia stata sostituita da altra presa in conformità della legge e dell'atto
costitutivo, benché dettata con riferimento alle società per azioni, ha carattere generale ed è pertanto applicabile
alle assemblee dei condomini di edifici. Pertanto, l'assemblea dei condomini, regolarmente riconvocata, può
deliberare sugli stessi argomenti di una precedente deliberazione invalida, ponendo in essere, pur senza
l'adozione di formule ad hoc, un atto sostitutivo di quello invalido, stabilendone liberamente gli effetti nel tempo
fino alla completa retroattività. Nei poteri attribuiti all'amministratore di condominio dall'art. 1130 c.c. rientra
quello di stipulare contratti necessari per provvedere, nei limiti della spesa approvata dall'assemblea, tanto
all'ordinaria manutenzione, quanto alla prestazione dei servizi comuni. Detti contratti sono, pertanto, vincolanti
per tutti i condomini ai sensi dell'art. 1131 cod. civ.
Cass. 26/03/93 - n. 3642 - Danni - solai
Negli edifici in condominio, a differenza del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in proprietà comune ai due
rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie
di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in proprietà esclusiva al proprietario
del piano, alla stessa stregua del pavimento. Ne consegue che in caso di vizio costruttivo del solaio, rivelatosi
inidoneo a svolgere autonomamente la funzione di sostenere l'unità immobiliare, la responsabilità per i danni
che ne siano derivati alle singole proprietà individuali deve ascriversi al proprietario del piano con esclusione di
ogni responsabilità del condominio.
Cass. 30/03/93 n. 3865 - Servitù
Per il disposto dell'art. 1108 comma terzo c.c., applicabile anche al condominio di edifici per il rinvio contenuto
nell'art. 1139 alle norme sulla comunione, la costituzione di una servitù sulle parti comuni dell'edificio richiede il
consenso unanime di tutti i condomini. Pertanto, in mancanza di un tale consenso non è valida la deliberazione
adottata dall'assemblea dei condomini, che abbia approvato i lavori eseguiti, su autorizzazione
dell'amministrazione, dalla Sip, di posa di un cavo telefonico sull'edificio condominiale, in guisa da creare una
situazione di fatto corrispondente ad una servitù di passaggio di conduttura di cavo telefonico, suscettibile di far
maturare con il tempo l'usucapione di tale diritto.
Cass. 16/04/93 n. 4530 - Lastrico solare
L'azione di rivendicazione della proprietà comune dell'appartamento abusivamente costruito da un condomino
sul lastrico solare comune dell'edificio condominiale, non avendo scopo meramente conservativo, non rientra tra
gli atti che, ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'amministratore ha il potere di compiere senza necessità di delega o
autorizzazione dell'assemblea dei condomini.
Cass. 17/04/93 n. 4558 - Amministratore - obbligazioni verso terzi
Le obbligazioni contratte verso i terzi dall'amministratore del condominio (o da chi altri sia stato delegato dai
condomini a contrarle) per conto del condominio e nei limiti delle sue attribuzioni o eseguendo deliberazioni
dell'assemblea, sono direttamente riferibili ai singoli condomini che, in base all'art. 1284 c.c., sono, quindi,
solidalmente responsabili, nei confronti del terzo, dell'adempimento delle predette obbligazioni, salvo il diritto di
chi ha pagato di esercitare verso i condomini condebitori il diritto di regresso e di dividere il debito nei rapporti
interni; pertanto, il terzo creditore del condominio può agire per la tutela del suo diritto sia contro l'amministratore
o di chi altri abbia contratto l'obbligazione per delega o in rappresentanza dei condomini, sia nei confronti dei
singoli condomini, direttamente obbligati nei suoi confronti.
Cass. 20/04/93 n. 4631- Vigilanza
In tema di condominio degli edifici, la delibera istitutiva di un servizio di vigilanza armata, per la tutela
dell'incolumità dei partecipanti, è rivolta a perseguire finalità estranee alla conservazione e gestione delle cose
comuni, e, quindi, non è riconducibile nelle attribuzioni dell'assemblea (art. 1135 c.c.). Ne deriva che tale
delibera, ancorché presa a maggioranza, non opera nei confronti dei condomini assenti all'assemblea e non può
essere fatta valere per una ripartizione della relativa spesa anche a loro carico.
Cass. 26/04/93 - n. 4881 - Parti comuni in genere
La presunzione legale di comunione di talune parti dell'edificio condominiale, stabilita dall'art. 1117 c.c., deve
ritenersi applicabile, per analogia, anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti
comuni di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate alla conservazione, all'uso od al
servizio di detti edifici, ancorché insistenti sull'area appartenente al proprietario (od ai proprietari) di uno solo
degli immobili; in simili ipotesi, però, la presunzione è invocabile solo se l'area e gli edifici siano appartenuti ad
una stessa persona - o a più persone pro indiviso - nel momento della costruzione della cosa o del suo
adattamento o trasformazione all'uso comune, mentre, nel caso in cui l'area sulla quale siano state realizzate le
opere destinate a servire i due edifici sia appartenuta sin dall'origine ai proprietari di uno solo di essi, questi
ultimi acquistano per accessione la proprietà esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, anche se poste in
essere per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati e/o con il contributo economico dei proprietari degli altri
edifici.
Cass. 27/04/93 - n. 4931 - Vendita
In tema di condominio di edifici le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà
individuale estendono i loro effetti, secondo il principio accessorium sequitur principale, alle parti comuni
necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria, ma non
anche alle cose legate all'edificio da mera relazione spaziale, costituenti beni ontologicamente diversi suscettibili
di godimento fine a se stesso che si attua in modo indipendente da quello delle unità abitative (nella specie la
Suprema Corte ha ritenuto corretta l'interpretazione di un contratto di vendita di un appartamento da parte dei
giudici di merito i quali, nel silenzio del titolo, avevano escluso che le parti avessero inteso ricomprendere nel
trasferimento la quota millesimale di comproprietà di un'area condominiale scoperta).
Cass. 29/04/93 - n. 5064 - tetto
Le spese di rifacimento del tetto di un edificio diviso in più piani sono sostenute dai condomini, ai sensi degli artt.
1117 e 1123 c.c., in proporzione al valore del piano o della porzione di piano appartenente a ciascuno in via
esclusiva, salvo diversa convenzione, senza che sia applicabile il principio dell'art. 1101 c.c. in materia di
comunione (in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in eguale misura, ove non risulti una
diversa entità delle quote), trovando spiegazione la detta deroga nella funzione strumentale delle parti comuni
dell'edificio in condominio rispetto alle parti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a
servizio, consentendone la esistenza e l'uso.
Cass. 03/05/93 - n. 5125 - lastrico solare
In tema di ripartizione delle spese condominiali le attribuzioni dell'assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte
alla verificazione ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, che non comprendono il potere di
introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe venendo ad incidere sul diritto individuale del
singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell'edificio condominiale in misura non
superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto è nulla e non meramente annullabile, anche se presa all'unanimità, la delibera che modifichi il criterio
legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i
condomini abbiano manifestato la espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso,
con la conseguenza che detta nullità può essere fatta valere, a norma dell'art. 1421 c.c., anche dal condomino
che abbia partecipato all'assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purché alleghi e
dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio, non
operando nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha
concorso a dare causa alla nullità non può farla valere. In base al criterio di ripartizione delle spese stabilito
dall'art. 1126 c.c. il proprietario esclusivo del lastrico solare (cui va equiparata la terrazza a livello) deve
contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un terzo, senza dover concorrere nella ripartizione
degli altri due terzi della spesa stessa, che restano a carico dei soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il
lastrico (o la terrazza) serve da copertura.
Cass. 04/05/93 - n. 5161- modificazioni
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilità di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente attribuiti il godimento separato, in quanto anche
in tal caso, non venendo meno la contitolarità dell'intero bene, la facoltà di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di comproprietà degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e
quindi concretamente sottratta alla possibilità dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
Cass. 08/06/93 - n. 6403 - riscaldamento e risparmio energetico
La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di
riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della
disposizione del regolamento di condominio che prevede il riparto volumetrico della spesa, non è affetta da
nullità bensì soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza
di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 cod. civ.
Cass. 15/06/93 - n. 6640 - sottotetto e risparmio energetico
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata, in
alto, dalla struttura del tetto ed, in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto sottotetto),
assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa
destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non è, quindi, oggetto di comunione ma costituisce
pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano.
Cass. 21/06/93 - n. 6850 -cortile - sporti
La costruzione, da parte del condominio, di sporti sul cortile o sul passaggio comune, con conseguente
occupazione della colonna d'aria sovrastante il terreno comune, costituisce esplicazione del diritto di
utilizzazione della cosa, ai sensi dell'art. 1102 c.c., quando non ne pregiudichi la normale funzione o le
possibilità di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini.
Cass. 21/06/93 - n. 6856 - danni - legittimazione
L'azione a tutela di un diritto comune, come l'impugnativa di una sentenza di condanna emessa nei confronti
dell'intero condominio, può essere esercitata anche da un singolo condomino, senza che sia necessario
integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti, né intervenienti in appello e senza che ciò
determini passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di questi ultimi, dato che l'interesse
per il quale il singolo agisce è comune a tutti i condomini, dovendo in tal caso ravvisarsi nei rapporti fra i
condomini una forma di rappresentanza reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva
nascente dal fatto che ogni compartecipe non può tutelare il proprio diritto senza necessariamente e
contemporaneamente difendere l'analogo diritto degli altri. Riguardo ai danni che una porzione di proprietà
esclusiva in edificio condominiale subisca per vizi delle parti comuni, imputabili all'originario
costruttore-venditore, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilità di esperire azione risarcitoria
contro il condominio, non in forza dell'art. 1669 c.c., dato che il condominio quale successore a titolo particolare
di detto costruttore non subentra nella responsabilità posta a suo carico da detta norma, ma in base all'art. 2051
c.c. in relazione alla ricollegabilità di quei danni all'inosservanza da parte del condominio medesimo dell'obbligo
di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa.
Cass. 03/07/93 - n. 7297 - riscaldamento e risparmio energetico - spese
L'osservanza, da parte della minoranza dissenziente, della deliberazione legittimamente adottata dall'assemblea
dei condomini dell'edificio ai fini del regolamento interno della ripartizione delle spese per il godimento di parti
comuni (nella specie, ripartizione delle spese di esercizio e manutenzione dell'impianto di riscaldamento),
essendo esclusivamente dovuta alla efficacia vincolante dell'atto collettivo anche nei confronti dei dissenzienti,
non esprime una volontà negoziale di tacita adesione e non può, pertanto, trasformare la delibera condominiale
in regolamento contrattuale non più modificabile senza il consenso unanime delle parti.
Cass. 07/07/93 - n. 7449 - parti comuni in genere - terrazze a livello
In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante
dall'art. 1117 c.c. - il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i
condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria - può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un
determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate
oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.
Cass. 13/07/93 - n. 7691 - modificazioni
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o più delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
Cass. 18/08/93 - n. 8755 - assemblea - locazioni
L'art. 10 L. 27 luglio 1978 n. 392 il quale attribuisce al conduttore il diritto di votare in luogo del proprietario nelle
assemblee condominiali aventi ad oggetto l'approvazione delle spese e delle modalità di gestione dei servizi di
riscaldamento e di condizionamento d'aria e di intervenire senza diritto di voto sulle delibere relative alla
modificazione di servizi comuni, riconosce implicitamente con il rinvio alle disposizioni del codice civile
concernenti l'assemblea dei condomini, il diritto dell'inquilino di impugnare le deliberazioni viziate, sempreché
abbiano ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria. Al
di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame non attribuisce all'inquilino il potere generale di sostituirsi
al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicché deve escludersi la legittimazione del conduttore ad
impugnare la deliberazione dell'assemblea condominiale di nomina dell'amministratore e di approvazione del
regolamento di condominio e del bilancio preventivo.
Cass. 20/08/93 - n. 8804 - amministratore - responsabilità - sanzioni - uso della cosa comune
L'amministratore del condominio, che è responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso
dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, non può essere ritenuto
responsabile, ancorché sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso
dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei
singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilità di
applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose
comuni - né obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa
disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
Cass. 03/09/93 - n. 9311 - insegne e targhe - muri
In tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito
dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facoltà che normalmente caratterizzano il contenuto del
diritto di proprietà sulle cose comuni, vertendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con
regolamento contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni,
ovvero subordinarla al consenso dell'amministrazione.
Cass. 23/10/93 - n. 10513 - decoro architettonico
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle
varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia,
senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se, in concreto,
un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico è demandata al giudice del merito, il cui
apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato.
Cass. 23/10/93 - n. 10519 - scambiatori di calore
La controversia, instaurata da un condomino per la rimozione dalla facciata dell'edificio condominiale di uno
scambiatore di calore installatovi da un altro condomino con l'autorizzazione della assemblea, a motivo del
pregiudizio arrecato al decoro architettonico e alla sicurezza dell'edificio stesso, riguarda non le modalità d'uso o
la misura dei servizi condominiali, ma la contestazione in radice del diritto del condomino di fare un determinato
uso della cosa comune e del potere dell'assemblea di consentirlo, e, quindi, esula dalla competenza per materia
del conciliatore o del pretore, restando soggetta alle regole della competenza per valore nelle cause relative a
beni immobili (art. 15 c.p.c.), con la conseguenza che è onere della parte che eccepisca l'incompetenza del
giudice adito di dedurre e dimostrare il superamento del relativo limite.
Cass. 13/11/93 - n. 11207 - parti comuni in genere - servitù
Nel caso in cui su una delle parti comuni di un edificio in condominio (elencate dall'art. 1117 c.c.), gravi un peso
diretto a fornire ad un piano o ad una porzione di piano in proprietà esclusiva una utilità ulteriore e diversa,
rispetto a quella normalmente derivante dalla destinazione della cosa al servizio di tutte le unità immobiliari, si
configura una servitù, sempre che tale peso abbia origine nei modi previsti dalla legge e, tra questi, la
destinazione del padre di famiglia.
Cass. 04/12/93 - n. 12028 - animali
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicché in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacché le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per sé inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatorietà.
Cass. 11/12/93 - n. 12208 - competenza - condominio in genere - domicilio
Il condominio di edifici, che non è una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in
senso tecnico, ove non abbia designato nell'ambito dell'edificio un luogo espressamente destinato e di fatto
utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con
quello privato dell'amministratore che lo rappresenta. Pertanto, ai fini della competenza territoriale ex artt. 18 e
20 c.p.c. nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di contributi condominiali, il luogo di adempimento
dell'obbligazione dedotta in giudizio va individuato nel domicilio dell'amministratore in carica al tempo della
scadenza dell'obbligazione.
Cass. 15/12/93 - n. 12420 - riscaldamento e risparmio energetico
Il singolo condomino non è titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio
relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e, pertanto, non può esimersi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi, allegando la mancata o
insufficiente erogazione di quel servizio, né può proporre azione di danno contro il condominio per il mancato
promovimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto, posto che il
condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei
suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorità giudiziaria nel caso di
inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma
applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 cod. civ.
Cass. civ., sent. n. 5084 del 29 aprile 1993, sez. II
L'intempestiva comunicazione al condomino della data fissata per l'assemblea implica un'ipotesi di contrarietà
alla legge, ai sensi dell'art. 1137 cod. civ., della deliberazione assembleare, comportante l'annullamento della
medesima a prescindere dal suo contenuto decisionale o meramente preparatorio o programmatico,
risultandone viziato il processo formativo per violazione del diritto di intervento e di voto del condominio. Né
l'interesse del condomino pretermesso a proporre l'impugnazione viene meno per il fatto che la delibera sia stata
seguita da altra presa sullo stesso oggetto da assemblea ritualmente convocata.
Cass. civ., sent. n. 1780 del 12 febbraio 1993, sez. II
Nel caso in cui l'avviso di convocazione dell'adunanza condominiale non sia stato comunicato anche ad uno solo
dei condomini, ancorché detto condomino sia titolare di una quota millesimale ininfluente ai fini del
raggiungimento della maggioranza prescritta dalla legge, la deliberazione adottata è affetta da nullità assoluta,
che può essere fatta valere da qualsiasi condomino anche presente in assemblea.
Cass. civ., sent. n. 3607 del 16 aprile 1994, sez. II
L'amministratore del condominio cessato dalla carica non è legittimato ad impugnare la sentenza – resa nella
causa cui egli abbia partecipato in rappresentanza del condominio stesso – pronunciata successivamente a tale
cessazione, accompagnata da revoca espressa del precedente mandato.
Cass. civ., sent. n. 12152 del 10 dicembre 1993, sez. II
Il regolamento dei rapporti tra i proprietari di distinte unità immobiliari site in un edificio soggetto a regime del
condominio non si esauriscono con le disposizioni relative ai rapporti di vicinato tra due proprietà finitime
(emulazione, immissioni e servitù). Detti rapporti sono disciplinati anche dalle regole generali sulla responsabilità
civile, essendo obbligato ciascun condomino propter rem a non eseguire nel piano o porzioni di piano di sua
proprietà opere che rechino danno alle parti comuni o di proprietà esclusiva di altri condomini.
Cass. civ., sent. n. 12304 del 14 dicembre 1993, sez. II
Il condominio non è soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno
parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell'interesse comune dei
partecipanti, limitatamente all'amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti
autonomi di ciascun condomino. Ne deriva che l'amministratore per effetto della nomina ex art. 1129 cod. civ. ha
soltanto una rappresentanza ex mandato dei vari condomini e che la sua presenza non priva questi ultimi del
potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti sia esclusivi che comuni.
SENTENZE 1994
Cass. 12/01/94 - n. 246 - locazioni
La L. n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare
in ordine alla normativa generale sul condominio degli edifici, sicché l'amministratore ha diritto - ai sensi del
combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per la
manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun
condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari.
Cass. 19/01/94 - n. 446 - divisione - perimento dell'edificio
Il perimento totale di un edificio condominiale determina l'estinzione del condominio, per mancanza dell'oggetto,
venendo meno il rapporto di servizio tra le parti comuni e le porzioni di proprietà esclusiva (non più esistenti), e
permane soltanto la comunione pro-indiviso tra gli ex condomini sull'area di risulta. Ne deriva che, in caso di
mancata ricostruzione dell'immobile (nell'ipotesi, non consentita dalla disciplina urbanistica) e di mancata vendita
all'asta del suolo e dei materiali (non richiesta, nella specie, da nessuno dei comproprietari), può porsi fine alla
predetta comunione con lo scioglimento della stessa, che, in caso d'indivisibilità del suolo, deve essere
effettuato a norma degli artt. 1116 e 720 c.c., attribuendo preferibilmente il bene per intero al titolare della quota
maggiore (o ai titolari della quota maggiore, ove questi ne richiedano congiuntamente l'attribuzione), con
addebito dell'eccedenza, corrispondendosi, cioè, agli altri condomini la somma equivalente al valore della loro
quota.
Cass. 20/01/94 - n. 476 - servitù - strade - uso della cosa comune
Posto che il partecipante alla comunione può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la
conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate
dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di essa, o di non impedire l'altrui pari uso,
il passaggio su una strada comune, in origine destinata a servire alcuni, determinati fondi di proprietà esclusiva,
che venga effettuato da un comunista anche per accedere ad altro fondo, a lui appartenente in proprietà
esclusiva, di per sè non raffigura un godimento vietato, a norma dell'art. 1059, primo comma, c.c., non
comportando la costituzione di una servitù sul bene comune, perché non si risolve nella modifica della
distinzione di questo, né nell'impedimento dell'altrui pari diritto.
Cass. 03/02/94 - n. 1104 - assemblea - locazioni - riscaldamento e risparmio energetico
La legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza
innovare in ordine alla normativa generale sul condominio negli edifici, sicché l'amministratore ha diritto - ai
sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per
la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da
ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari
(contro i quali può invece agire in risoluzione il locatore ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il
mancato rimborso degli oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento
ancorché questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino locatore, nelle delibere assembleari
riguardanti la relativa gestione.
Cass. 10/02/94 - n. 1700 - rumori
Per integrare il reato previsto dall'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) non è
sufficiente che rumori prodotti all'interno di un appartamento si propaghino in quelli vicini, ma è necessario che
tali rumori siano di tale intensità da disturbare le occupazioni o il riposo delle persone. (Nella specie, relativa ad
annullamento senza rinvio di sentenza di condanna perché il fatto non sussiste, risultava che dall'appartamento sottostante - "della parte lesa si sentivano rumori di gioco di pallone e di qualche sedia che cadeva davanti ai
bambini").
Cass. 23/02/94 - n. 1776 - pianerottoli
L'atto costitutivo del condominio può senz'altro sottrarre al regime della condominialità, di cui all'art. 1117 c.c., i
pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale
esclusivo dei proprietari di questi.
Cass. 12/03/94 - n. 2393 - legittimazione - rappresentanza
Il principio per cui, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi
partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a
difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né quindi del potere d'intervenire nel giudizio in cui tale difesa
sia stata legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per
evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell'amministratore stesso, che vi abbia
fatto acquiescenza, non trova applicazione con riguardo alle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di
deliberazioni dell'assemblea condominiale che, come quelle relative alla gestione di un servizio comune (nella
specie, l'ascensore), tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione stessa, senza attinenza
diretta all'interesse esclusivo di uno o più partecipanti, con la conseguenza che, in tali controversie, la
legittimazione ad agire - e, quindi, anche ad impugnare - spetta in via esclusiva all'amministratore, la cui
acquiescenza alla sentenza esclude la possibilità d'impugnazione proposta dal singolo condomino.
Cass. 15/03/94 - n. 2448 - spese legali
La domanda di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali svolte da un avvocato in favore di un
condominio, è soggetta alla procedura di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, anche se proposta non nei confronti
della collettività condominiale, ma di un solo condomino, perché avuto riguardo alla natura di ente di mera
gestione non personalizzato del condominio, il singolo condomino va comunque considerato parte sostanziale
del rapporto di clientela ancorché non tradotto in un formale rapporto procuratorio.
Cass. 15/03/94 - n. 2452 - amministratore
Per il disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c. l'amministratore del condominio ha la legittimazione ad agire in
giudizio, nei confronti del condomino moroso per la riscossione dei contributi, senza necessità di autorizzazione
da parte dell'assemblea, rilevando l'esistenza o meno di uno stato di ripartizione delle spese approvato
dall'assemblea soltanto in ordine alla fondatezza della domanda, con riferimento all'onere probatorio a suo
carico.
Cass. 15/03/94 - n. 2453 - dissenso rispetto alle liti
Il termine di giorni trenta, previsto dall'art. 1132 c.c., per l'atto di estraniazione del condomino dissenziente è di
decadenza, com'è fatto palese dalle parole usate e dalla ratio legis correlata all'esigenza di provvedere in tempi
brevi all'amministrazione e di dare certezza ai rapporti condominiali caratterizzati da dinamismo e rapidità: ne
consegue che la decadenza per la relativa inosservanza non può essere rilevata dal giudice di ufficio.
Cass. 15/03/94 - n. 2454 - danni
Dalla comproprietà delle cose, dei servizi e degli impianti comuni nascono per i condomini delle obbligazioni
propter rem con la conseguenza che, in particolare, la responsabilità per i danni derivanti alle unità immobiliari in
proprietà esclusiva dalle cose comuni grava su tutti i condomini, essendo questi tenuti alla manutenzione delle
cose comuni, con l'obbligo di adottare tutte le cautele idonee a scongiurare i pregiudizi, e quindi, responsabili
ove tali pregiudizi si verifichino.
Cass. 17/03/94 - n. 2546 - registro - regolamento
Il regolamento di condominio predisposto dal costruttore-venditore che contenga vincoli afferenti all'intero
edificio - e, quindi, a tutte le unità immobiliari comprese nel fabbricato - quando sia stato da questi trascritto nei
registri immobiliari, è opponibile non soltanto a coloro che acquistano le unità immobiliari da proprietari che
abbiano accettato esplicitamente o implicitamente il regolamento stesso, ma anche a coloro che, in epoca
successiva alla trascrizione, per la prima volta acquistino piani dell'edificio o loro porzioni direttamente dal
costruttore, anche in assenza di espressa previsione in tal senso nei singoli atti di acquisto, atteso che tutti
costoro, non avendo partecipato all'approvazione del regolamento o alla stipulazione degli atti, devono
ricomprendersi, prima della conclusione del loro acquisto, come terzi rispetto ai quali opera, ai fini
dell'opponibilità dei vincoli suddetti, siffatta forma di pubblicità.
Cass. 19/03/94 - n. 2609 - divisione - parti comuni in genere
La disciplina del codice civile del condominio negli edifici deve essere applicata ad ogni parte, bene e servizio
comune che rientri, per la sua struttura e destinazione, tra quelli indicati dall'art. 1117 c.c., a nulla rilevando che i
piani o porzioni di piano alla cui utilizzazione o migliore utilizzazione le cose servono siano compresi in un
edificio unico o in edifici autonomi per effetto di successiva divisione.
Cass. 24/03/94 - n. 2862 - antenne
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e l'art. 231 del D.P.R. 29 marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari dell'edificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte di
abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dell'utenza il diritto all'installazione dell'antenna sulla terrazza dell'edificio, ferma restando la facoltà del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorché comporti la rimozione od il diverso
collocamento dell'antenna, che resta a carico del suo utente, all'uopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dell'antenna non può essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta all'utente provvedere a sua cura e spese alla rimozione ed
al diverso collocamento dell'antenna.
Cass. 15/04/94 - n. 3542 - tabelle millesimali
La deliberazione dell'assemblea condominiale che modifichi a maggioranza una tabella millesimale
contrattualmente approvata ovvero fissi criteri di ripartizione delle spese comuni secondo criteri diversi da quelli
stabiliti dalla legge, è inficiata da nullità, per il cui accertamento sono legittimati, dal lato attivo, ciascun
condomino, ivi compreso quello che abbia espresso voto favorevole - non operando al riguardo la regola,
propria della materia processuale (art. 157 c.p.c.), secondo cui la nullità non può essere fatta valere dalla parte
che vi ha dato causa - e, passivamente, soltanto l'amministratore del condominio, senza necessità di
partecipazione al giudizio dei singoli condomini, i quali, invece, sono parti necessarie esclusivamente rispetto
alla diversa azione diretta ad ottenere modificazioni in sede giudiziale della tabella millesimale.
Cass. 16/04/94 - n. 3600 - riscaldamento e risparmio energetico
In tema di ripartizione delle spese condominiali attinenti al servizio centralizzato di riscaldamento di un edificio
adibito ad uso abitativo, che costituito da due appartamenti sia in comunione pro indiviso tra due comproprietari,
trova applicazione la disciplina dettata per la comunione dall'art. 1104 c.c., con la conseguenza che ogni
comproprietario è obbligato a sostenere le spese stesse in proporzione al valore della sua quota,
indipendentemente dal concreto vantaggio che tragga dal detto servizio e senza possibilità di sottrarsi a
quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove tale rinuncia possa produrre effetti pregiudizievoli per l'altro
comproprietario.
Cass. 18/04/94 - n. 3666 - alberi
Alle spese di potatura degli alberi, che insistono su suolo oggetto di proprietà esclusiva di un solo condomino
sono tenuti, tuttavia, a contribuire tutti i condomini allorché si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio
e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso.
Cass. 20/04/94 - n. 3747 - amministratore - assemblea
L'approvazione da parte dell'assemblea dei condomini del rendiconto di un determinato esercizio non
presuppone che la contabilità sia redatta dall'amministratore con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per
i bilanci delle società, ma è sufficiente che la contabilità sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di
entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c. la deliberazione
dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può essere impugnata dai
condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall'art. 1137, terzo comma, c.c. non per ragioni di merito,
ma solo per ragioni di mera legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non
essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se
non nella forma dell'impugnazione della delibera.
Criteri per la redazione del bilancio da parte dell'amministratore di condominio
Cassazione civile Sentenza 28/04/2005, n. 8877
L'amministratore di condominio, nella tenuta della contabilità e nella redazione del bilancio, non è obbligato al
rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, essendo sufficiente che egli si attenga, nella tenuta
della contabilità, a principi di ordine e di correttezza e che, nel redigere il bilancio, appronti un documento chiaro
e intelligibile, con corretta appostazione delle voci dell'attivo e del passivo, che siano corrispondenti e congrue
rispetto alla documentazione relativa alle entrate e alle uscite.
Cass. 22/04/94 - n. 3832 - terrazze a livello
In tema di edifici in condominio, affinché una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani
sottostanti, possa ritenersi di proprietà esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, è necessario che essa faccia parte integrante da un punto di
vista strutturale e funzionale del piano cui è annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
Cass. 26/04/94 - n. 3952 - amministratore - assemblea
Per le deliberazioni dell'assemblea in seconda convocazione concernenti le materie indicate dall'art. 1136,
quarto comma, c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore, il richiamo alle maggioranze stabilite dall'art. 1136,
secondo comma, c.c., non vale ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione, ma
importa che per la costituzione dell'assemblea, come per l'approvazione di esse, è richiesta una maggioranza
che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio e che sia costituita dalla maggioranza degli intervenuti e
da almeno un terzo dei partecipanti al condominio. In difetto di norme particolari, i rapporti tra il rappresentante
intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato con la
conseguenza che solo il condomino delegante è legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega.
Cass. 29/04/94 - n. 4152 - ascensore - barriere architettoniche
Il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilità dell'originario godimento della cosa
comune è offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto.
Cass. 12/05/94 - n. 4632 - regolamento - uso della proprietà esclusiva
Le norme del regolamento condominiale che incidono sulla utilizzabilità e la destinazione delle parti dell'edificio
di proprietà esclusiva, distinguendosi dalle norme regolamentari, che possono essere approvate dalla
maggioranza dell'assemblea dei condomini, hanno carattere convenzionale e, se predisposte dall'originario
proprietario dello stabile, debbono essere, pertanto, accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto o con
atti separati; se deliberate, invece dall'assemblea, debbono essere approvate all'unanimità, dovendo, in
mancanza, considerarsi nulle, perché eccedenti i limiti dei poteri dell'assemblea.
Cass. 17/05/94 - n. 4814 - tabelle millesimali
La partecipazione con voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio
per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello
espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, può assumere
il valore di unico comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei
condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può
dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle
spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta
ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purché inequivoco, di tutti i condomini.
Cass. 17/05/94 - n. 4804 - riscaldamento e risparmio energetico
Con riguardo al risarcimento del danno dovuto a norma dell'art. 1494 c.c. il credito dei comproprietari di un bene
unico ed indivisibile (nella specie, impianto di riscaldamento condominiale) per il rimborso delle spese occorrenti
alla sua riparazione, deve considerarsi indivisibile perché, essendo indivisibile, per finalità e funzione, la
prestazione che ne è oggetto, indivisibile è anche il fatto ed il risultato del ripristino; tale credito può essere
pertanto fatto valere da ciascuno dei comproprietari per l'intero, ai sensi dell'art. 1319 c.c. (salva la successiva
definizione del rapporto all'interno della contitolarità).
Cass. 18/05/94 - n. 4831 - assemblea - riscaldamento e risparmio energetico - spese
Nel condominio degli edifici anche le spese di manutenzione ordinaria e quelle fisse relative ai servizi comuni
essenziali richiedono la preventiva approvazione dell'assemblea dei condomini essendo questa espressamente
richiesta dall'art. 1135, n. 2 c.c. per tutte le spese occorrenti durante l'anno e non solo per le spese di
straordinaria manutenzione alle quali si riferisce il citato art. 1135, n. 5. È pertanto annullabile la delibera
dell'assemblea che autorizza l'amministratore ad aumentare i contributi previsti dal preventivo di spese
approvato. La sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in
cui il bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto
diretto a ripristinare la funzionalità dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso,
mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia più redditizia, più economica o meno inquinante. (Nella specie, si trattava
della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano).
Cass. 25/05/94 - n. 5083 - amministratore - cose in custodia
In tema di responsabilità per danni da cose in custodia il caso fortuito idoneo a superare la presunzione di
responsabilità del custode può anche consistere nel comportamento del danneggiato, allorché questo abbia
costituito la causa esclusiva dell'evento dannoso, esistendo per il danneggiato agevoli e valide condotte
alternative idonee a scongiurare l'eventualità dell'accadimento dannoso.
La nomina di un nuovo amministratore di condominio in sostituzione del precedente dimissionario per spiegare
efficacia nei confronti dei terzi deve avvenire con una deliberazione dell'assemblea nelle forme di cui all'art. 1129
cod. civ.
Cass. 03/06/94 - n. 5374 - coniugi
In tema di separazione personale, qualora il giudice attribuisca ad uno dei coniugi la casa familiare di proprietà
dell'altro coniuge, la gratuità di tale assegnazione si riferisce solo all'uso dell'abitazione (per il quale non deve
versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a tale uso, quali quelle condominiali, che
riguardano la manutenzione delle cose comuni - poste a servizio anche della casa familiare - e vanno
legittimamente poste a carico del coniuge assegnatario.
Cass. 09/06/94 - n. 5608 - amministratore
La nomina di un nuovo amministratore del condominio di edificio non richiede la previa formale revoca
dell'amministratore in carica, atteso che dando luogo ad un rapporto di mandato, comporta, ai sensi dell'art.
1724 c.c., la revoca di quello precedente. L'amministratore del condominio negli edifici non può essere una
persona giuridica sia perché il rapporto di mandato è essenzialmente caratterizzato dalla fiducia sia perché le
norme del codice civile sull'amministrazione dei condomini presuppongono che l'amministratore sia una persona
fisica, ed in tal senso ne disciplinano il controllo giudiziario dei relativi atti.
Cass. 21/06/94 - n. 5956 - amministratore - rappresentanza
Il condominio, contro il quale è prodotta una scrittura privata sottoscritta da un suo precedente amministratore
nella vigenza del suo incarico, ha l'onere, se vuole sottrarsi alla presunzione di cui all'art. 2702 c.c., di
disconoscere la sottoscrizione della scrittura medesima, perché la cessazione del rapporto di rappresentanza
per sostituzione dell'amministratore non esclude la riferibilità, al condominio, degli atti validamente compiuti dal
precedente amministratore.
Cass. 25/06/94 - n. 6109 - ascensore - barriere architettoniche
L'art. 2 L. 9 gennaio 1989 n. 13, recante norme per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere
architettoniche negli edifici privati, che prevede la possibilità per l'assemblea condominiale di approvare le
innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136 comma secondo e terzo c.c. in
deroga all'art. 1120 comma primo, che richiama il comma quinto dell'art. 1136 e, quindi, le più ampie
maggioranze ivi contemplate, dispone tuttavia che resta fermo il disposto dell'art. 1120 comma secondo, il quale
vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un
solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità secondo l'originaria costituzione della
comunione. Ne deriva che a maggior ragione sono nulle le delibere che ancorché adottate a maggioranza al fine
indicato siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente
da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione
dei giudici di merito i quali avevano dichiarato la nullità della deliberazione adottata a maggioranza in base
all'art. 2 legge n. 13/1989 cit. di installazione di un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino
portatore di handicap, che comportava peraltro un sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare di altro
condomino sita a piano terra).
Cass. 27/06/94 - n. 6187 - condominio apparente - coniugi - spese
In tema di ripartizione delle spese condominiali, è passivamente legittimato, rispetto all'azione giudiziale per il
recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa
apparire tale - come uno dei coniugi che curi personalmente ed attivamente la gestione della proprietà dell'altro
coniuge - difettando, nei rapporti fra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l'operatività
del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede.
Cass. 23/07/94 - n. 6884 - scantinati
Poiché l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto e, quindi, anche i
vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su cui sorge l'edificio, costituisce oggetto di
proprietà comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non la superficie a livello del piano di campagna che viene scavata
per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l'intero edificio ed
immediatamente, la parte infima di esso. Di conseguenza, per stabilire a chi spetti la proprietà di un locale
dell'edificio condominiale sottostante al piano terreno deve farsi riferimento alle norme che regolano la proprietà
condominiale per piani orizzontali e, perciò, con riguardo ai piani o porzioni di piano che siano o meno sotto il
livello del circostante piano di campagna, agli atti di acquisto dei singoli appartamenti e delle altre unità
immobiliari ed al regolamento di condominio allegato agli atti di acquisto o in essi richiamato (cosiddetto
regolamento contrattuale).
Cass. 22/08/94 - n. 7464 - solai
Dal solaio che divide due unità abitative, l'una all'altra sovrapposta, formando una struttura comune che i
proprietari delle due unità possono modificare solo alla condizione che non venga alterata la destinazione della
cosa e che non sia impedito all'altro di farne parimenti uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la
copertura del solaio, che appartiene esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e che può essere,
quindi, da questo liberamente rimossa o sostituita secondo la sua utilità e convenienza.
Cass. 29/08/94 - n. 7569 - decreto ingiuntivo
Non esiste un obiettivo rapporto di pregiudizialità comportante la necessità della sospensione del processo a
norma dell'art. 295 c.p.c. tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 63 att. c.c.
sulla base di una deliberazione dell'assemblea condominiale che approva la ripartizione delle spese tra i
condomini ed il giudizio di impugnazione della deliberazione ex art. 1137 c.c., giacché la condanna al
pagamento è condizionata non alla validità della delibera assembleare, ma soltanto al perdurare della sua
efficacia sicché il giudice dell'opposizione deve limitarsi a prender atto che la sospensione dell'esecuzione della
deliberazione non sia stata ordinata dal giudice investito dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1137 cit. Qualora
l'opponente a decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 63 att. c.c. per il pagamento di contributi condominiali
contesti la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell'ingiunzione (verbale della
delibera assembleare), incombe all'amministratore del condominio, in quanto attore, l'onere di dimostrare i fatti
costitutivi del credito con la produzione di tutti gli opportuni documenti.
Cass. 05/09/94 - n. 7652 - porticato - uso della cosa comune
L'art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la
maggior possibilità di godimento della cosa comune, nel senso che, purché non resti alterata la destinazione del
bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi
libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, senza
che possano costituire vincolo per lui forme più limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e
può scegliere, tra i vari possibili usi quello più confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si è escluso
che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di un portico con
legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell'occupazione e di un apprezzabile
pregiudizio per gli altri condomini).
Cass. 05/09/94 - n. 7651- appalto - autorimesse - parcheggi - posti auto
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne all'edificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unità sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della proprietà esclusiva dei singoli condomini - è applicabile la presunzione di comunione
stabilita dall'art. 1117, n. 1, c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto dell'edificio
condominiale, oggetto di proprietà comune e che l'amministratore del condominio è legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al
rimborso per eseguirla direttamente). Qualora una parte tenuta per legge alla garanzia per vizi, come
l'appaltatore ed il venditore, riconosca, sulla base del precedente impegno negoziale, la sussistenza di vizi della
prestazione eseguita ed assuma, in luogo dell'obbligazione di garanzia rientrante nel contenuto dell'originario
contratto, l'obbligo di eliminare i vizi stessi, si configura a carico di tale parte un'obbligazione nuova ed autonoma
(rispetto a quella di garanzia), non soggetta ai termini di prescrizione e decadenza previsti dalla disciplina del
contratto di appalto (art. 1667 c.c.) e da quello del contratto di vendita (art. 1495 c.c.), restando soggetta
all'ordinaria prescrizione decennale.
Cass. 27/09/94 - n. 7885 - condominio parziale
I presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le
cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per
l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di
alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono
necessariamente a tutti i partecipanti. Ne consegue che dalle situazioni di cosiddetto "condominio parziale"
derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussiste il diritto di
partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la
titolarità, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità
delle parti comuni che della delibera formano oggetto.
Cass. 19/10/94 - n. 8528 - locazione - uso della cosa comune
La sospensione necessaria del processo, prevista dall'art. 295 c.p.c., deve essere disposta soltanto quando la
preventiva definizione di una controversia civile, penale o amministrativa, avente carattere pregiudiziale e dalla
cui risoluzione dipende la decisione della causa, sia imposta da un'espressa norma di legge ovvero ne
costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico il cui accertamento venga postulato con autorità di
giudicato. (Nella specie, il giudice del merito - in una causa promossa per sentire dichiarare la nullità della
deliberazione condominiale con la quale era stato concesso in locazione un intero immobile di proprietà comune
alle parti - aveva escluso il carattere pregiudiziale della separata causa promossa tra le stesse per
l'accertamento della comoda divisibilità del bene, sul presupposto che tale accertamento avrebbe risolto solo la
questione dell'attribuzione del cespite ai comproprietari pro quota, non quella della sua utilizzabilità diretta o
indiretta. La S.C. ha confermato la pronuncia, ribadendo il principio di cui alla massima). L'uso indiretto della
cosa comune (nella specie, mediante locazione), incidendo sull'estensione del diritto reale che ciascun
comunista possiede sull'intero bene indiviso, può essere disposto dal giudice o deliberato dall'assemblea dei
condomini a maggioranza, soltanto quando non sia possibile o ragionevole l'uso promiscuo, sempreché la cosa
comune non consenta una divisione, sia pure approssimativa, del godimento. L'indivisibilità del godimento
costituisce il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto, onde la deliberazione che
l'adotta senza che ne ricorrano le condizioni è nulla, quale che sia la maggioranza, salvoché ricorra l'unanimità.
Cass. 19/10/94 - n. 8531- legittimazione - rappresentanza
Le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio tendono a
statuizioni relative alla titolarità ed al contenuto dei diritti medesimi che esulando dall'ambito degli atti meramente
conservativi (art. 1130 n. 4 c.c.) possono essere proposte dall'amministratore del condominio solo se autorizzato
dall'assemblea a norma dell'art. 1131 comma 1 cod. civ. Ai fini dell'ammissibilità della domanda riconvenzionale
che non importi spostamento di competenza è sufficiente un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia
ravvisabile un collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere
consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus. In tema di condominio, ciascun
partecipante è legittimato a proporre le azioni a difesa della proprietà della cosa comune senza necessità di
integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini salvo che la controparte non si limiti a negare
la situazione soggettiva dell'attore, ma opponga la proprietà esclusiva del bene contestando il diritto di tutti i
condomini, sicché la controversia riguardi l'esistenza stessa della condominialità e pertanto un rapporto
soggettivo unico ed inscindibile, nel qual caso è necessaria la presenza nel processo anche degli altri
condomini, dovendo la pronuncia avere effetto nei confronti di tutti.
Cass. 26/10/94 - n. 8777 - terrazze a livello - tetto
La trasformazione in tutto o in parte nell'ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno
dei condomini può essere validamente deliberata soltanto all'unanimità, ossia mediante una decisione che abbia
valore contrattuale. Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva
dichiarato la nullità della deliberazione dell'assemblea presa a maggioranza con cui un condomino era stato
autorizzato ad aprire un varco nel tetto, trasformandolo in terrazza a livello per il proprio uso esclusivo.
Cass. 29/10/94 - n. 8946 - rappresentanza
La rappresentanza processuale dell'amministratore del condominio dal lato passivo, ai sensi del comma 2
dell'art. 1131 c.c., non incontra limiti quando le domande proposte contro il condominio medesimo riguardano le
parti comuni dell'edificio. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio enunciato, ha confermato la
sentenza di merito, la quale aveva ritenuto ben instaurata nei confronti del condominio l'azione tendente ad
ottenere la consegna della chiave del cancello d'accesso alla scala dell'edificio, che l'attore presupponeva anche
ad esso comune e, come tale, illegittimamente sottratta al suo godimento).
Cass. 04/11/94 - n. 9062 - parti comuni in genere
Ai fini di stabilire se esista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dalla norma dell'art. 1117
c.c. occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio, cioè al primo atto di trasferimento di una unità
immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto.
Cass. 07/11/94 - n. 9221 - parti comuni in genere - pertinenze
Il vincolo pertinenziale comporta l'esclusività della funzione accessoria, onde nell'ipotesi di un immobile
contemporaneamente adibito al servizio di diversi altri, appartenenti ciascuno a proprietari diversi può solo
verificarsi un caso di proprietà comune ovvero un caso di servitù. In tema di condominio la presunzione di
proprietà comune di ciascuna delle parti indicate nell'art. 1117 c.c. non può essere vinta se non da elementi di
significato certo ed univoco, idonei a far ritenere che la parte in contestazione sia stata considerata dalla
comune volontà dei contraenti oggetto della proprietà esclusiva di uno di essi.
Cass. 15/11/94 - n. 9629 - rimborso spese anticipate dal condominio
L'esperibilità dell'azione generale di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. postula, per il disposto dell'art.
2042, la non esperibilità di altra azione per conseguire l'indennizzo del pregiudizio subito. Ne consegue che il
giudice, in presenza di una pluralità di domande - oltre quella ex art. 2041 c.c. - fondate su titoli diversi, deve
preliminarmente decidere sulla fondatezza di queste ultime e solo ove decida di non accoglierle potrà esaminare
l'azione sussidiaria di arricchimento, sempreché l'impossibilità di proporre quest'ultima non derivi da un divieto
stabilito dalla legge. (Nella specie, un condomino aveva chiesto il rimborso della spesa sostenuta per la
manutenzione della cosa comune, in base ad un triplice titolo: l'accordo di tutti i condomini, l'urgenza della spesa
ex art. 1134 c.c. e l'arricchimento senza causa. La Suprema Corte nel formulare il principio di cui in massima ha
precisato che al condomino non compete l'azione di arricchimento in caso di spesa non urgente, stante il divieto
di rimborso stabilito dall'art. 1134 c.c. al di fuori delle ipotesi ivi previste).
Cass. 29/11/94 - n. 10217 - autorimesse - parcheggi - posti auto
La norma di cui all'art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 - la quale stabilisce che nelle nuove costruzioni ed
anche nelle opere di pertinenza delle costruzioni stesse debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in
misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione - pone un vincolo pubblicistico
di destinazione degli spazi in questione al servizio delle unità abitative dei condomini, ma tale regime, rimasto
immutato anche dopo l'entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (il cui art. 26, ultimo comma,
stabilisce che gli spazi anzidetti costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 817,
818 e 819 c.c.), non comporta affatto che le aree di parcheggio, fermo il vincolo di destinazione, rientrino tra le
parti comuni dell'edificio a norma dell'art. 1117 c.c. e tanto meno che il loro godimento da parte dei proprietari
delle unità abitative debba essere gratuito ove esse siano rimaste di proprietà del costruttore o di un terzo.
Cass. 03/12/94 - n. 10397 - sopraelevazione
L'art. 1127 del codice civile, disciplinante il regime legale delle sopraelevazioni, è derogabile, come emerge
dall'espressa riserva contenuta nel comma 1, da una convenzione preesistente o coeva alla costituzione del
condominio. Ne consegue che il divieto assoluto di sopraelevazione - nella specie, stabilito dal regolamento di
condominio (costituente parte integrante del contratto di acquisto dei singoli cespiti) a carico dell'ultimo piano
dell'edificio ed a favore tanto delle parti di proprietà comune, quanto delle unità immobiliari in proprietà esclusiva
dell'edificio - avendo sostanzialmente natura di servitù altius non tollendi, può essere fatto valere sia dai singoli
condomini che dal condominio.
Cass. 13/12/94 - n. 10652 - distanze legali - tubature - usucapione
Il requisito della continuità, necessario per la configurabilità del possesso ad usucapionem, ex art. 1158 c.c., si
fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale
posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione
della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa
contrapposta all'inerzia del titolare del diritto. La continuità si distingue, pertanto, dall'interruzione del possesso,
giacché la prima si riferisce al comportamento del possessore, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che
privi il possessore del possesso (interruzione naturale) o dall'attività del titolare del diritto reale che compia un
atto di esercizio del diritto medesimo. Nella specie, il possessore di una servitù di veduta ne aveva dismesso per
un certo periodo l'esercizio, eliminando con la schermatura di una terrazza ogni possibilità di inspectio e di
prospectio sul fondo limitrofo. La distanza di almeno un metro dal confine che l'art. 889, comma 2, c.c. prescrive
per l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante
di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo vicino, in
relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni. Detta norma, pertanto, non è applicabile con
riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a
quella del camino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all'art. 890 c.c. e, quindi, poste alla distanza
fissata dai regolamenti locali.
Cass. 14/12/94 - n. 10704 - porte - vedute
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o
trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l'esercizio della indicata facoltà, disciplinata dagli
artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione
di aria e luce in danno dell'appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte
dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare
dell'edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica.
Cass. 14/12/94 - n. 10699 - innovazione - sopraelevazione - uso della cosa comune
Poiché l'uso della cosa comune è sottoposto dall'art. 1102 c.c. ai due limiti fondamentali consistenti nel divieto
per ciascun partecipante di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto, esso non può estendersi alla occupazione di una parte del bene comune, tale da portare,
nel concorso degli altri requisiti di legge, alla usucapione della parte occupata.
La normativa dell'art. 936 c.c. postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo e, pertanto,
non potendo qualificarsi come tali il titolare di un qualsiasi diritto, di natura reale o personale avente oggetto il
fondo su cui le opere sono state eseguite, la normativa suddetta non si applica quando l'autore delle opere sia
uno dei comproprietari del fondo. Ove una fattispecie trovi specifica disciplina nell'art. 1102, che regola l'uso
della cosa comune da parte dei partecipanti alla comunione, è preclusa l'applicazione alla stessa, in via
analogica, dell'art. 936 c.c. in materia di accessione, non essendo consentito il ricorso alle disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe (c.d. analogia legis) in assenza di una qualsivoglia lacuna
dell'ordinamento.
L'art. 1127 c.c. in tema di sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio, essendo inserito nella
regolamentazione del condominio, più specifica rispetto a quella della comunione in generale, ed avendo, nel
comma 1, quale destinatario il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, postula una divisione della proprietà in
senso orizzontale e non trova pertanto applicazione nella comunione disciplinata negli artt. da 1100 a 1116 cod.
civ. In materia di innovazioni e di altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione il consenso dei partecipanti alla
comunione deve risultare espresso nelle forme previste dall'art. 1108 cod. civ.
Cass. 23/12/94 - n. 11138 - sottosuolo uso della cosa comune
Per il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondità al di
sotto dell'area superficiaria che è alla base dell'edificio condominiale, ancorché non menzionato espressamente
da detto art. 1117, va considerato di proprietà comune in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà
esclusiva a uno dei condomini, e ciò anche con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a
svolgere per la stabilità del fabbricato. Pertanto, un condomino non può senza il consenso degli altri partecipanti
alla comunione procedere alla escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per
ingrandire quelli preesistenti, giacché con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva,
viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte comune dell'edificio. L'esercizio della facoltà di
ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera
giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il
vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino perché in tal caso si verrebbe ad imporre una
servitù sulla cosa comune per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini.
Cass. 24/12/94 - n. 11155 - amministratore
Le norme del codice civile sulla nomina, la revoca e l'attività dell'amministratore del condominio negli edifici (artt.
1129 c.c. 64 e 65 att. c.c.) non escludendo la possibilità che l'amministrazione del condominio sia affidata ad
una pluralità di amministratori dato che, per un verso, la carenza di una specifica disposizione per
l'individuazione tra i diversi amministratori di quello tenuto a rappresentare il condominio nei rapporti con i terzi
comporta solo, ai sensi dell'art. 1131 c.c., l'attribuzione a tutti del potere di rappresentanza anche nei confronti di
terzi e che, per altro verso, grazie al rinvio alle norme sulla comunione, operato dall'art. 1139 c.c., deve ritenersi
applicabile al condominio negli edifici l'art. 1106 c.c., che, per una esigenza di tutela degli interessi dei
comproprietari e di razionalizzazione delle amministrazioni particolarmente complesse, comune anche al
condominio negli edifici, espressamente consente la delega per l'amministrazione della cosa comune ad uno o
più partecipanti o anche ad un estraneo. Ne consegue la possibilità che l'amministrazione del condominio sia
affidata anche ad una società di fatto in cui la disciplina del potere di amministrazione come derivante da un
rapporto di mandato fra la collettività dei soci amministratori (art. 2260 c.c.) e l'attribuzione, nei rapporti esterni,
della rappresentanza del socio amministratore (art. 2266 c.c.) presenta un notevole parallelismo con quella
dell'art. 1131 c.c., alla quale aggiunge la predisposizione di regole legali per la risoluzione del conflitto tra gli
amministratori (art. 2257), dovendosi escludere che la possibilità di inserimento di nuovi soci, nelle società di
persone, si rilevi incompatibile con il carattere personale del mandato conferito all'amministratore dall'assemblea
dei condomini, dato che, come nel caso di nomina dell'amministratore unico, che è dotato della facoltà di delega
dei suoi poteri ad un sostituto, l'intuitus personae risiede nella originaria scelta del mandatario e che l'ingresso di
nuovi soci non riduce, ma semmai accresce, la garanzia per i condomini.
Cass. Civ. 384 - 13/1/95
Quella prevista dall'art. 10 della legge 27 luglio 1978 n. 392 è un'assemblea condominiale allargata alla
partecipazione, per determinate materie (spese e modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e
condizionamento dell'aria), dei conduttori, i quali, su queste, deliberano in luogo dei condomini. Trattasi di
un'ipotesi di sostituzione legale del conduttore al locatore, ispirata dal principio che, poiché le spese di
riscaldamento gravano su di lui (art. 9 della legge n. 392 del 1978), il conduttore è maggiormente interessato alle
relative deliberazioni. Ne consegue che le predette disposizioni si riferiscono solo ai rapporti tra locatore e
conduttore, mentre il condominio, essendo privo di un'azione diretta nei confronti del conduttore - tant'è che l'art.
5 della legge stessa prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del solo locatore, se il conduttore
non gli rifonde gli oneri accessori a suo carico - può rivolgersi solo ai condomini per il rimborso delle spese
condominiali.
Cass. Civ. 602 - 19/01/95
La delibera condominiale di accertamento e ricognizione dell'esistenza di una determinata tabella millesimale,
con riserva di successivo riesame, ed il pagamento per diversi anni da parte dei condomini in base a tale tabella
accertata essere di fatto applicata, costituiscono prova certa e sicura della vigenza di quella tabella che
rappresenta il criterio concreto di ripartizione delle spese per la gestione delle cose comuni. Ne consegue che il
singolo condomino, il quale per vari anni ha effettuato il pagamento in base a tabella millesimale di fatto in vigore
- ancorché difforme da quella originaria - non può opporsi al decreto ingiuntivo, emesso ai sensi dell'art. 63 att.
c.c., finché non propone domanda giudiziaria (nei confronti di tutti i condomini e non del solo amministratore)
diretta ad ottenere la revisione di tale tabella di fatto e salva ripetizione delle maggiori somme pagate.
Cass. Civ. 724 - 23/01/95
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle
cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime
e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative
all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale, ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
Cass. Civ. 870 - 25/01/95
Poiché a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facoltà di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o
porzione di piano di sua proprietà) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa
comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unità, costituisce danno per le cose comuni anche
il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione
imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessità delle
operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilità di recare danno all'impianto di
riscaldamento centrale.
Cass. Civ. - 948 - 26/01/95
In tema di condominio, poiché l'art. 70 att. c.c. prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio può
essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, sono nulle, in quanto contra
legem, le eventuali disposizioni del regolamento di condominio che dovessero prevedere sanzioni di importo
maggiore
Cass. Civ. 1028 - 28/01/95
L'accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore- costruttore ed
allegata ai singoli contratti di vendita dà luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che,
anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni
dell'edificio, è vincolata tra le parti, attesa la derogabilità dei predetti criteri legali, salva la possibilità di revisione
delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unità immobiliari, prevista dall'art. 69 att. cod.
civ.
Cass. Civ. 1033 -28/01/95
La comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini può essere data con qualsiasi
forma idonea al raggiungimento dello scopo e può essere provata anche da univoci elementi dai quali risulti che
il condomino ha, in concreto, ricevuta la notizia. (Nella specie, si è ritenuta sufficiente la prova desumibile da un
foglio nel quale risultava apposta la firma dei condomini per "ricevuta convocazione assemblea condominiale del
25-26 febbraio 1988).
Cass. Civ. 1255 - 02/02/95
Nel condominio degli edifici la comproprietà delle parti comuni indicate dall'art. 1117 del codice civile e, più in
generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di
partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma 1 dell'art. 1123 c.c. pone a
carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo
fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella relazione di
accessorio a principale con le singole unità (piani o porzioni di piano) in proprietà individuale dell'immobile, per
cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unità immobiliari di una parte soltanto
dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unità) e non ai proprietari delle unità immobiliari dell'altra
parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che è il presupposto necessario del diritto di
comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che
servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute
solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del
comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale "quando un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o
impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità (nel
caso specifico, è stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del
perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unità abitative, dovessero
concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).
Cass. Civ. 1455 - 09/02/95
Nel condominio degli edifici la comproprietà delle parti comuni indicate dall'art. 1117 del codice civile e, più in
generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di
partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma 1 dell'art. 1123 c.c. pone a
carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo
fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella relazione di
accessorio a principale con le singole unità (piani o porzioni di piano) in proprietà individuale dell'immobile, per
cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unità immobiliari di una parte soltanto
dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unità) e non ai proprietari delle unità immobiliari dell'altra
parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che è il presupposto necessario del diritto di
comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che
servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute
solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del
comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale "quando un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o
impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità (nel
caso specifico, è stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del
perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unità abitative, dovessero
concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).
Cass. Civ. 1560 -13/02/95
I divieti e le limitazioni di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, come i
vincoli di una determinata destinazione ed il divieto di mutare la originaria destinazione, posti con il regolamento
condominiale predisposto dall'originario proprietario ed accettati con l'atto d'acquisto, devono risultare da una
volontà chiaramente ed espressamente manifestata nell'atto o da una volontà desumibile, comunque, in modo
non equivoco dall'atto stesso, e non è certamente sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione di una
determinata attuale destinazione delle unità immobiliari medesime, trattandosi di una volontà diretta a
restringere facoltà normalmente inerenti alla proprietà esclusiva da parte dei singoli condomini. I divieti e le
limitazioni di cui sopra possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attività
vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, basterà verificare se
la destinazione stessa sia inclusa nell'elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di
evitare; in questo secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, è necessario accertare la idoneità in concreto
della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare.
Cass. Civ. 1597 - 14/02/95
Il distacco delle diramazioni relative ad una o più unità immobiliari dell'edificio condominiale dall'impianto
centrale di riscaldamento è consentito quando il condomino interessato provi che da questo deriverà un'effettiva
proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà uno squilibrio in pregiudizio del regolare
funzionamento dell'impianto centrale stesso.
Cass. Civ. 1890 - 21/02/95
In materia di condominio negli edifici, al potere dell'assemblea del condominio di deliberare, nelle forme e con le
maggioranze prescritte, l'esecuzione delle opere necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali, fa riscontro l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle
relative spese, discendente dalla titolarità del diritto reale sull'immobile ed integrante un'obbligazione propter rem
preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di riparto, ed in concreto direttamente
correlato alla precedente deliberazione, di esecuzione delle opere. Ne consegue che, quando la contestazione
del condomino investa, prima ancora che il quantum dell'obbligo di contribuzione, il relativo an, è tale ultima
deliberazione che deve essere impugnata nel termine di decadenza di cui all'art. 1137, comma 3, c.c., ove si
assuma essere la deliberazione affetta da vizi formali, perché presa in violazione di prescrizioni legali,
convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, o da
eccesso di potere o da incompetenza; svincolata da tale termine è invece la delibera radicalmente nulla perché
esorbitante dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea o concernente innovazioni lesive dei diritti di ciascun
condomino sulle cose o servizi comuni o su quelle di proprietà esclusiva di ognuno di essi.
Cass. Civ. 1980 - 22/02/95
Nella causa promossa da un condomino contro il condominio, ai sensi dell'art. 1136, comma sesto, c.c.,
l'assemblea del condominio, chiamata a dichiarare se debba costituirsi e resistere, non può deliberare, se non
consta che sono stati invitati tutti i condomini, ivi compreso il condomino che ha promosso la causa.
Cass. Civ. 2329 - 01/03/95
Il condominio può deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c., che il
dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali
condominiali, trattandosi di un'attività che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il
potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune.
Cass. Civ. 2324 - 01/03/95
La norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si presumono comuni, ove non risulti
espressamente dal titolo, non è limitata all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma è applicabile, per analogia, anche
quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, persino se aventi caratteristiche di edifici
autonomi, sempre che le cose di cui si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del
confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o all'uso di entrambi gli edifici
medesimi.
Cass. Civ. 2861 - 11/03/95
Nel caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al condominio, funga da copertura
ad un locale cantinato di proprietà di un terzo, ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate
infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte, non già
nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bensì nel
disposto dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilità, è sufficiente
che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti
riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa),
nonché dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di
vigilare onde evitare che produca danni a terzi.
Cass. Civ. 3366 - 23/03/95
L'art. 1130 n. 4 c.c. che attribuisce all'amministratore del condominio il potere di compiere gli atti conservativi dei
diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio deve interpretarsi estensivamente nel senso che oltre agli atti
conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa od a quella parte comune, l'amministratore ha il
potere-dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale
unitariamente considerato. Rientra, pertanto, nel novero degli atti conservativi di cui all'art. 1130 n. 4 l'azione
dell'art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l'intero edificio
condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita
alternativamente l'amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che
possa farsi distinzione fra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto.
Cass. Civ. 3368 - 23/03/95
Non sussiste un rapporto di inscindibilità fra le cause riguardanti i vari condomini di un edificio in ordine all'uso
delle cose comuni sicché non ricorre la necessità di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione ex
art. 331 c.p.c. nei confronti del condominio pretermesso. La nozione di pari uso della cosa comune che ogni
compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va
intesa nel senso di uso identico perché l'identità nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto
per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che
per stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i
partecipanti al condominio - e perciò da ritenersi non consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi
riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma di quello
potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.
Cass. Civ. 3708 -29/03/95
Qualora un servizio condominiale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condominio, la sua
soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall'assemblea con la
maggioranza stabilita dall'art. 1136, secondo comma, c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno
la metà del valore dell'edificio) richiamato dall'art. 1138, comma 3.
Cass. Civ. 3840 - 01/04/95
L'opera nuova può dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, è stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in proprietà esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
Cass. Civ. 4156 -11/04/95
Allorquando, ai sensi degli artt. 61 e 62 att. c.c., l'unico condominio comprendente un complesso immobiliare si
sciolga e si costituiscano tanti condominii separati, si verifica, ai fini processuali, una situazione cui va applicata,
in via analogica, la disposizione di cui all'art. 110 c.p.c. Ne consegue che il processo intrapreso contro l'originario
condominio, venuto meno quest'ultimo, deve essere proseguito nei confronti dei nuovi condominii risultanti dallo
scioglimento.
Cass. Civ. 4465 -20/04/95
In virtù della natura pubblicistica del vincolo di destinazione che l'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 ha
imposto sulle aree di parcheggio pertinenti ai fabbricati ed alle esigenze di carattere generale che stanno alla
base dell'imposizione del detto vincolo, nelle ristrutturazioni di edifici preesistenti alla sua entrata in vigore che
comportino la realizzazione di fabbricati dotati di spazi di parcheggio, questi, entro i limiti quantitativi stabiliti dalla
legge, restano assoggettati alla disciplina di cui alla citata disposizione normativa e, quindi, al diritto d'uso dei
proprietari dei fabbricati stessi e delle relative porzioni. Ogni partecipante al condominio è titolare della facoltà di
agire anche da solo e individualmente a difesa dei diritti comuni inerenti al fabbricato condominiale ed alle sue
componenti. Pertanto, sussiste la legittimazione del singolo condomino ad agire, in base all'art. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765, per l'accertamento del diritto condominiale di uso degli spazi di parcheggio inerenti al
fabbricato. A norma dell'art. 345 c.p.c., può configurarsi un mutamento di domanda non consentito, riguardo al
petitum, solo quando risulti innovato l'oggetto della pretesa, inteso non come petitum immediato (ossia, come
provvedimento richiesto), bensì come petitum mediato (cioè, come richiesta di attribuzione di un determinato
bene). Ne consegue che è da escludere la ravvisabilità di una mutatio libelli vietata, dovendosi invece ritenere
ricorrente una consentita emendatio, allorché la modifica della domanda iniziale venga ad incidere sul petitum
solo nel senso di adeguarlo in una direzione più idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale
oggetto dell'originaria domanda. (Nella specie, i ricorrenti avevano chiesto la tutela dei loro diritti sugli spazi di
parcheggio di un edificio, a norma dell'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765, reclamando l'attribuzione del bene
a titolo di dominio in primo grado ed a titolo di uso in secondo grado. Il giudice d'appello aveva ritenuto
improponibile la domanda siccome nuova. La Suprema Corte, in applicazione dell'enunciato principio, ha
ritenuto, invece, ricorrere una lecita emendatio libelli ed ha cassato la pronunzia del giudice di merito).
Cass. Civ. 4588 -22/04/95
Il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore dall'art. 9 della
legge sull'equo canone si prescrive nel termine di due anni indicato dall'art. 6 della L. 22 dicembre 1973, n. 841
per il diritto del locatore al rimborso delle spese sostenute per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carico
del conduttore, perché tale norma, anche se inserita in una legge relativa alla proroga dei contratti di locazione
degli immobili ad uso d'abitazione, introduce una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale
del canone di locazione e di ogni altro corrispettivo di locazione fissato dall'art. 2948, n. 3, c.c. che risponde ad
un'esigenza di rapida definizione di quell'accessorio rapporto giuridico, comune ad ogni locazione, e che è,
pertanto, applicabile anche agli oneri accessori dovuti dal conduttore in base all'art. 9 della L. 27 luglio 1978, n.
392, senza che a ciò osti l'art. 84 di quest'ultima legge che, disponendo l'abrogazione di tutte le norme
incompatibili con la legge sull'equo canone, non può essere riferita anche alla disposizione in materia di
prescrizione del sopra citato art. 6, che trascende il regime vincolistico.In tema di condominio negli edifici, dal
combinato disposto degli artt. 1137 c.c., 9 e 10 della L. 27 luglio 1978, n. 392 si desume che il conduttore, il
quale abbia partecipato all'assemblea condominiale avente ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei
servizi di riscaldamento e condizionamento d'aria o sia stato posto in condizione di parteciparvi, contribuendo
alla relativa deliberazione, non può, nel caso che abbia omesso di impugnare la deliberazione stessa, sottrarsi
dal rimborsare al condomino - locatore le menzionate spese, a meno che non provi, nel caso che lamenti la
mancanza o l'insufficienza della relativa fornitura, che esse derivino da difetti o guasti della parte dell'impianto di
esclusiva proprietà del condomino - locatore stesso (art. 1117 c.c.), la cui riparazione sia posta dalla legge a
carico di quest'ultimo (artt. 1575 e 1576 c.c.).
Cass. Pen. 5215 - 09/5/95
Ai fini della configurabilità dei reati di cui agli artt. 659, comma primo, e 674 c.p., l'attitudine, rispettivamente, dei
rumori a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone e delle emissioni di gas, vapori o fumi a molestare
persone non deve necessariamente essere accertata mediante perizia, ben potendo, al contrario, il giudice,
secondo le regole generali, fondare il proprio convincimento al riguardo su elementi probatori di diversa natura
quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado riferire caratteristiche ed effetti dei
rumori e delle emissioni summenzionati, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni
meramente soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai
dichiaranti medesimi. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che legittimamente fosse
stata affermata la responsabilità dell'imputato, gestore di una discoteca, in ordine ai reati in questione, sulla base
delle dichiarazioni testimoniali di soggetti i quali avevano riferito che durante le ore notturne non riuscivano a
dormire a cagione delle emissioni sonore provenienti da detta discoteca e che i fumi parimenti da essa
provenienti invadevano abitualmente la tromba delle scale condominiali).
Cass. Civ. 5385 - 16/5/95
Il condomino è tenuto al pagamento dei contributi per le spese preesistenti all'approvazione del bilancio, ma
fornite di forza esecutiva in quanto costituenti obbligazione nei confronti di terzi estranei.
Cass. Civ. 5612 - 22/5/95
L'actio negatoria servitutis può essere utilmente esperita anche soltanto da uno dei comproprietari del fondo,
senza che ciò comporti la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri.
Cass. Civ. 5640 - 23/5/95
Il comproprietario può usucapire la proprietà esclusiva della cosa comune solo possedendola, animo domini, per
il tempo necessario, in modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune, come nel caso in
cui la cosa venga attratta nella sua sfera di materiale ed esclusiva disponibilità mediante una attività che valga,
comunque, ad escludere il concorrente compossesso degli altri comproprietari.
Cass. Civ. 6496 - 8/6/95
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti
dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia, senza che
occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se, in concreto,
un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico, è demandata al giudice del merito, il cui
apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato. L'art. 1120 c.c., nel richiedere che
le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con una determinata maggioranza, mira
essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una spesa da ripartire tra tutti i
condomini su base millesimale. Ne consegue che, quando le spese debbano far carico esclusivamente al
gruppo di condomini che ne trae utilità, trattandosi di innovazioni destinate a servire solo una parte dell'edificio
condominiale (art. 1123), terzo comma, c.c., il computo della maggioranza prescritta dal primo comma dell'art.
1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli facenti parte di detto gruppo.
Cass. Civ. 7069 - 22/6/95
La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dell'immobile e così
un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata,
comportando una interferenza nel godimento medesimo, può integrare una indebita turbativa suscettibile di
tutela possessoria.
Cass. Civ. 7077 - 22/6/95
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalità tra spese ed uso di cui al secondo comma dell'art.
1123 c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti
comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione dell'uso che ciascuno può farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, può servire ad uno o più condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dell'atrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in proprietà esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della legge 7 dicembre 1984 n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
Cass. Civ. 7148 - 23/6/95
I balconi, essendo elementi accidentali rispetto alla struttura del fabbricato e non avendo funzione portante
(assolta da pilastri ed architravi), non costituiscono parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1117 c.c., anche se
inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento che vi ha accesso come
prolungamento del piano. Conseguentemente la domanda di demolizione dei medesimi va proposta nei
confronti dei condomini proprietari degli appartamenti ai quali sono annessi i balconi, sicché il contraddittorio può
considerarsi integro anche se non sono stati chiamati in giudizio il condominio ovvero tutti gli altri condomini
dell'edificio.
Cass. Civ. 7155 - 23/6/95
La domanda di accertamento del diritto reale di uso dell'area destinata a parcheggio condominiale ai sensi
dell'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942 n. 1150 (nel testo novellato dalla legge 6 agosto 1967 n. 765) e
dell'art. 26 comma 5 legge 28 febbraio 1985 n. 47, non è nuova rispetto alla domanda di accertamento del diritto
di comproprietà originariamente proposta dalla parte, quale proprietaria di una unità abitativa dell'edificio, perché
non altera radicalmente il petitum di tale domanda, il cui oggetto mediato (l'area condominiale destinata a
parcheggio) rimane comunque inalterato, ma lo modifica soltanto, adeguandolo in una direzione più idonea a
legittimare la concreta attribuzione del bene materiale che ne è oggetto.
Cass. Civ. 7544 - 08/7/95
La rappresentanza processuale dell'amministratore del condominio non incontra, dal lato passivo, limite alcuno
nelle controversie riguardanti cose o parti comuni, in ordine alle quali l'amministratore può, quindi, anche
proporre impugnazioni, compreso il ricorso per cassazione, senza autorizzazione dell'assemblea.
Cass. Civ. 7546 - 08/7/95
L'unità sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 primo comma c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni dell'edificio è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del primo comma dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della proprietà di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi
gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di proprietà delle cose comuni o dall'uso.
(Nella specie, è stata riconosciuta la validità dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unità abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
Cass. Civ. 7752 - 15/7/95
L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti
fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l'uso basta il mancato
rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni, sicché anche l'alterazione della destinazione della cosa comune
determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore,
ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 cod. civ. Negli edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni
con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'art. 1102
c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di distanze,
onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva proprietà.
Tale disciplina, tuttavia, non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili
ai fini di una reale abitabilità dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti
l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo
l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui.
Cass. Civ. 8079 - 24/7/95
La dichiarazione del condomino soccombente di non voler avvalersi dell'impugnazione avverso la sentenza
emessa nei confronti suoi, del condominio e di altri condomini, è validamente resa, con effetti preclusivi della
proponibilità del gravame, nel corso di un'assemblea condominiale, senza necessità che il verbale nel quale
essa viene riportata sia sottoscritto dal condomino, giacché la dichiarazione di voler prestare acquiescenza ad
una sentenza, potendo essere resa anche tacitamente, non è soggetta al requisito della forma scritta, mentre la
sottoscrizione del verbale assembleare da parte dei condomini è necessaria solo quando la delibera abbia il
contenuto di un contratto per il quale sia richiesto ad substantiam il suddetto requisito.
Cass. Civ. 8085 - 25/7/95
Il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune, traendo origine dal diritto di
concorrere all'amministrazione di tale bene (art. 1105 c.c.), incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la
volontà della maggioranza. Pertanto, allorché un immobile locato appartenga ad una molteplicità di condomini e
dagli stessi sia congiuntamente stipulato il relativo contratto, è la maggioranza dei condomini a stabilire circa
l'amministrazione ed il godimento della cosa comune e quindi, della possibilità e volontà di disdire e far cessare,
alla scadenza contrattuale, il contratto di locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.
Cass. Civ. 8484 - 03/8/95
L'art. 10 della L. 27 luglio 1978 n. 392 non ha previsto che i conduttori possano sostituirsi al locatore nella
gestione dei servizi condominiali ed, in particolare, in quello della fornitura del riscaldamento, bensì ha introdotto
un meccanismo volto a consentire la partecipazione dei conduttori stessi alle assemblee condominiali con
riguardo alle decisioni dei proprietari locatori, senza che, nel caso di edifici non in condominio, ne derivi un
obbligo del proprietario dell'edificio di convocare in assemblea i conduttori. Ne consegue che non è configurabile
in capo al proprietario locatore né un inadempimento, né un obbligo di conseguente risarcimento dei danni in
confronto del conduttore per non averne convocato l'assemblea ed il conduttore non può invocare il principio di
cui all'art. 1460 c.c. per esimersi dal concorrere alle spese di riscaldamento.
Cass. Civ. 8602 - 04/8/95
L'azione concessa al proprietario ex art. 844 c.c., per far dichiarare l'illiceità delle immissioni moleste provenienti
dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca, costituisce un'azione di carattere reale, che
rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della proprietà, in ordine alle quali il valore della
causa va determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c. Ne consegue, che, quando agli atti non risulta il
reddito dominicale o la rendita catastale del bene immobile, si ha presunzione di competenza del giudice adito, e
grava sul convenuto, che eccepisce l'incompetenza per valore, l'onere di provare l'ammontare del predetto
reddito o della predetta rendita (o che, non risultando tali elementi di valutazione, la causa deve considerarsi di
valore indeterminabile), senza che i limiti di competenza per valore possano ritenersi superati per effetto di
un'ulteriore richiesta risarcitoria, atteso che la riserva di contenimento della competenza va riferita all'intero
petitum.
Cass. Civ. 8643 - 07/8/95
Il contenuto ed i limiti della servitù di passaggio vanno desunti dal titolo costitutivo interpretato, ove occorra,
anche in rapporto alla situazione dei luoghi senza che questa possa assumere rilievo autonomo e
preponderante. In ogni caso, ove il titolo per la sua formulazione presenti dei dubbi sulle modalità di esercizio, la
servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del
fondo servente, sicché correttamente viene riscontrata dal giudice di merito la sola servitù di passaggio
pedonale, ove non si possano ravvisare gli estremi del passaggio carrabile.
Cass. Civ. 9113 - 29/8/95
Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestorii da parte di tutti i
comproprietari, in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne consegue che il
singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile in comunione e che un
condomino diverso da quello che ha assunto la veste di locatore è legittimato ad agire per il rilascio del bene
stesso (senza che sia necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini), purché non
risulti l'espressa ed insuperabile volontà contraria degli altri comproprietari, la quale fa venire meno il presunto
consenso della maggioranza.
Cass. Civ. 10837 - 17/10/95
L'art. 70 att. c.c., in base al quale il regolamento di condominio può prevedere delle sanzioni pecuniarie a carico
dei trasgressori delle sue disposizioni, ha carattere di norma eccezionale in quanto contempla una cosiddetta
"pena privata" che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto non può ritenersi applicabile ai conduttori
degli alloggi condominiali, i quali, ancorché si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base ad un
rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale.
Cass. Civ. 11068 - 24/10/95
Il contratto locativo stipulato tra il proprietario esclusivo dell'alloggio originariamente destinato al portiere ed il
condominio, ad uso di abitazione del portiere, non può essere inquadrato in nessuna delle categorie di cui alla
legge 27 luglio 1978 n. 392 per uso abitativo o per uno degli usi di cui all'art. 27, restando quindi regolato dalla
disciplina ordinaria e residuale del codice civile. Le parti dell'edificio condominiale (locali per la portineria e per
l'alloggio del portiere ecc.) indicate al n. 2 dell'art. 1117 c.c. - che al pari di quelle indicate ai nn. 1 e 3 dello
stesso articolo sono oggetto di proprietà comune se il contrario non risulta dal titolo - sono anche suscettibili, a
differenza delle parti dell'edificio di cui ai citati nn. 1 e 3 di utilizzazione individuale in quanto la loro destinazione
al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta necessità. Pertanto, in relazione ad esse
occorre accertare nei singoli casi se l'atto che le sottrae alla presunzione di proprietà comune contenga anche la
risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi nel secondo
caso l'esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una limitazione del diritto del proprietario e
suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti anche in mancanza di
trascrizione (peraltro possibile ai sensi dell'art. 2646 c.c.).
Cass. Civ. 11138 - 26/10/95
La deliberazione dell'assemblea condominiale di sigillare le cosiddette "canne pattumiere" non concreta
l'approvazione di un'innovazione vietata a norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c., bensì la statuizione di
una modalità di svolgimento del servizio di smaltimento dei rifiuti, per il quale dette "canne" non sono
indispensabili, che può essere adottata dalla maggioranza dei condomini sulla base di valutazioni di opportunità
(nella specie, relativa ai costi ed alle ragioni di igiene) e, come tale, insindacabile, quanto al merito, dall'autorità
giudiziaria.
Cass. Civ. 11197 - 27/10/95
Tra la domanda proposta dal condomino, nei confronti degli altri partecipanti al condominio, tendente ad
ottenere il rimborso delle spese effettuate per le cose comuni (nella specie, di riparazione del tetto dell'edificio
condominiale), in considerazione della loro urgenza, e la medesima domanda, fondata sulla prova dell'esistenza
del consenso manifestato dagli altri partecipanti, sussiste diversità di causa petendi, in quanto la prima è diretta
a provare un'attività gestoria del condomino, la seconda l'esistenza di un'autorizzazione o di una delega da parte
dell'assemblea condominiale. Ne consegue, che, a norma dell'art. 345 c.p.c., nel caso in cui in primo grado sia
stata proposta la prima domanda, è inammissibile, in quanto nuova, la seconda domanda proposta in grado
d'appello.
Cass. Civ. 11276 - 28/10/95
È nulla la delibera adottata da una assemblea di supercondominio, a maggioranza dei suoi componenti, istitutiva
di un unico condominio tra i vari edifici interessati, in quanto lesiva del diritto di ciascun condomino di far parte
del condominio costituito dal solo edificio in cui era proprietario di unità immobiliari; sono altresì nulle, di
conseguenza, le delibere assunte successivamente da assemblee convocate come se esistesse un unico
condominio, per deliberare su materie attinenti ai singoli fabbricati.
Cass. Civ. 11278 - 28/10/95
L'interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in
sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica, oppure vizi logici.
Cass. Civ. 11227 - 25/11/95
In tema di uso della cosa comune, non può ritenersi consentita l'installazione, da parte di un condomino, per suo
esclusivo vantaggio ed utilità, di un cancello in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla
costituzione del condominio al passaggio dei condomini, per l'accesso, tra l'altro, a vani di proprietà esclusiva dei
medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in
quanto detta installazione costituisce - anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi
del cancello - una modificazione delle modalità di uso o di godimento della cosa comune, che interferisce sul
"pari uso" della stessa spettante agli altri condomini.
Cass. Civ. 12342 - 29/11/95
Il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando
abbia natura contrattuale, si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto
della collettività condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti
per tutti i componenti di detta collettività, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come
fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettività come tale quanto, soprattutto, per i singoli condomini;
consegue da ciò che l'azione promossa per ottenere declaratoria della nullità, totale o parziale, del regolamento
medesimo è esperibile non da e nei confronti del condominio, carente di legittimazione in ordine ad una siffatta
domanda ma da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario, non
potendo, altrimenti, risultare utiliter data l'eventuale sentenza di accoglimento.
Cass. Civ. 12636 - 09/12/95
Il condominio non è legittimato passivo nei confronti della domanda di risarcimento dei danni proposta
dall'amministratore per la revoca dell'incarico disposta dall'autorità giudiziaria, atteso che i condomini che
chiedono la revoca, ai sensi dell'art. 1129 c.c., esercitano un diritto proprio e non agiscono in virtù di un mandato
reciproco esistente tra tutti i condomini.
Cass. Civ. 12894 - 18/12/95
La spesa per la riparazione dei canali di scarico dell'edificio in condominio, che, ai sensi dell'art. 1117 n. 3 c.c.,
sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei
singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei
rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti. (Nella specie,
sulla base del principio affermato, si è ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente posto a carico del
singolo la spesa di riparazione del tratto della tubazione orizzontale che si innesta in quella verticale).
Cassazione del 19/11/1996 n. 10144
Titolo: L’amministratore, può effettuare verifiche negli appartamenti, per verificare la parità di godimento dei beni
e/o servizi erogati.
Massima: Tra gli obblighi dell’amministratore del condominio, ai sensi dell’art.1130 comma 2 cod.civ. rientra la
vigilanza sui servizi comuni compreso alle interferenze su tali servizi, dai singoli appartamenti. A tal fine,
l’amministratore può’ eseguire verifiche e ripartire le necessarie provvidenze intese a mantenere integra la parità
del godimento dei beni e servizi da parte di tutti i condomini. (Art.1130 cod.civ.).
Cassazione del 28/11/1996 n. 10615
Titolo: Solo una delibera dell'assemblea può' autorizzare l'amministratore ad agire contro terzi per la tutela delle
parti comuni..
Massima: Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali
quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni
relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano, tra gli atti meramente conservativi e
possono, quindi, promuoversi dall'amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall'assemblea a norma
dell'art.1131 comma primo, cod.civ. (Artt.872, 1130, 1131, 1136 cod.civ.).
Cassazione 16/02/1996 n. 1206
Titolo: E’ valida la convocazione assembleare quando, l’avviso viene inviato al domicilio di uno coniugi
conviventi comproprietari dell’appartamento.
Massima: La validità della convocazione per la riunione dell’assemblea condominiale di uno dei comproprietari
"pro-indiviso" di piano o porzione di piano di un condominio può evincersi anche dall’avviso dato all’altro
comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo proprietario abbia
reso edotto il primo della convocazione stessa (nella specie, trattandosi di coniugi comproprietari di un
appartamento, conviventi in pieno accordo e senza contrasti di interessi tra loro, è stato ritenuto presumibile che
l’avviso notificato ad uno di essi per l’assemblea condominiale fosse stato portato a conoscenza anche
dell’altro). (Art.1136 cod. civ., art. 66 disp .att. cod. civ.).
Cassazione del 10/04/1996 n. 3296
Titolo: L'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche in base ai prospetti mensili delle
spese, ma non otterrà la immediata esecuzione di tale decreto.
Massima: L'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo per i contributi dovuti dai condomini
non solo in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, ma anche in base ai prospetti mensili delle
spese condominiali non contestati, ma in questo secondo caso non può ottenere la clausola di immediata
esecuzione nonostante opposizione. (Art.1130, 1131,cod.civ. art.63 disp. att. cod. civ.).
Corte di cassazione del 22/4/1996 n. 3805
Titolo : Mancata nomina dell'amministratore. Litisconsorzio necessario. L'azione va proposta nei confronti di tutti
i condomini.
Massima : Nell'ipotesi di mancata nomina dell'amministratore di condominio, la domanda giudiziaria riguardante
beni comuni deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini, con la conseguenza che, ove si accerti in
grado di appello il difetto di integrità del contraddittorio, per essere stati convenuti in giudizio soltanto alcuni di
essi, il giudice di appello, a norma dell'art. 354 c.p.c. , deve dichiarare la nullità della sentenza impugnata e
rimettere la causa al giudice di primo grado per l'integrazione del contraddittorio e la trattazione della causa con
la partecipazione di tutti i condomini. (c.c., art. 1117 ; c.p.c., art. 354).
Cassazione del 24/04/1996 n. 3862
Titolo: Non è indispensabile trascrivere nel verbale che l'assemblea in prima convocazione non si è tenuta.
Massima: In tema di assemblea condominiale, la sua seconda convocazione è condizionata dall'inutile e
negativo esperimento della prima, sia per completa assenza dei condomini, sia per insufficiente partecipazione
degli stessi in relazione al numero ed al valore delle quote. La verifica di tale condizione va' espletata nella
seconda convocazione, sulla base delle informazioni orali rese dall'amministratore, il cui controllo può essere
svolto dagli stessi condomini, che o sono stati assenti alla prima convocazione, o, essendo stati presenti, sono
in grado di contestare tali informazioni. Pertanto, una volta accertata la regolare convocazione dell'assemblea,
l'omessa redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell'assemblea in prima convocazione non
impedisce che si tenga l'assemblea in secondo convocazione, né la rende invalida. (Art.1136 cod. civ.).
Cassazione del 10//05/1996 n. 4388
Titolo: Il singolo condomino può agire contro un terzo o contro il singolo condomino, a tutela degli spazi o dei
servizi comuni.
Massima: Ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla
concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune (e non una frazione della stessa), è
legittimato ad agire o resistere in giudizio, senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei
confronti dei terzi o di un singolo condomino.(Artt.1102, 1105, cod.civ. 102 cod. proc. civ.).
Cassazione 27/01/1996 n. 642
Titolo: La destinazione d'uso dell'alloggio portiere, può' essere variata con un'assemblea che deliberi con la
maggioranza degli intervenuti in seconda convocazione, che rappresentino almeno la metà del valore
dell'edificio.
Massima: In tema di condominio negli edifici, la modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad
alloggio portiere, anche se di origine contrattuale, non richiede l'unanimità dei consensi, bensì una deliberazione
dell'assemblea dei condomini adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell'art.1136
cod.civ. (Artt.1136, 1138, cod.civ.)
Cassazione del 08/08/1996 n. 7286
Titolo: Nozione di supercondominio. Servizi comuni. Delibera di licenziamento del portiere assunta da uno solo
dei fabbricati.
Massima: Singoli edifici costituiti in altrettanti condomini vengono a formare un "supercondominio" quanto talune
cose, impianti e servizi comuni (viale d'ingresso, impianto centrale per il riscaldamento, parcheggio, locali per la
portineria o per l'alloggio portiere, ecc.) contestualmente sono legati, attraverso la relazione di accessorio a
principale, con più edifici, appartengono ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi
fabbricati e sono regolati, se il titolo non dispone altrimenti, in virtù di interpretazione estensiva o analogica, delle
norme dettate per il condominio degli edifici. Ne consegue che le disposizioni dettate dall'art. 1136 cod.civ. in
tema di convocazione, costituzione, formazione e calcolo delle maggioranze si applicano con riguardo agli
elementi reale e personale sul supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le unità immobiliari
comprese nel complesso e da tutti i proprietari. (Nella specie, il servizio di portierato era destinato al servizio
degli edifici "A" e "B", costituiti in condomini autonomi; l'assemblea del condominio del solo edificio "A" deliberò
la divisione del servizio di portierato ed il licenziamento del portiere. La S.C., in applicazione dell'enunciato
principio di diritto, ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità della predetta
deliberazione, per non essere stati convocati a partecipare alla assemblea in cui essa fu assunta, anche i
condomini dell'edificio "B"). (Art.1136 cod.civ.).
Cassazione del 09/08/1996 n. 7353
Titolo: In caso di nuovo condomino, la ripartizione di spese in deroga ai principi legali, non lo vincola se non
abbia manifestato la volontà ad aderirvi.
Massima: L'efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell'art.1123 primo coma, cod.civ., si deroga al
regime legale di ripartizione delle spese non si estende, in base all'art.1372 cod.civ., agli aventi causa a titolo
particolare degli originari stipulanti, a meno che detti aventi causa non abbiano manifestato il loro consenso nei
confronti degli altri condomini, anche per fatti concludenti, attraverso un'unica manifestazione tacita di volontà,
dalla quale possa desumersi un determinato intento con preciso valore sostanziale (Artt.1123, 1372 cod.civ.).
Cassazione del 09/08/1996 n.7359
TITOLO: L'amministratore può rispondere in un giudizio promosso da un condomino sul conflitto sorto inerente
le spese.
MASSIMA: L'amministratore del condominio e' legittimato passivamente a stare in causa, senza necessita' di
essere autorizzato dall'assemblea, nei giudizi aventi ad oggetto la ripartizione delle spese per le cose ed i servizi
comuni promossi dal condominio dissenziente dalla relativa deliberazione assembleare, in quanto la
controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini e coinvolge l'interesse di altri partecipanti alla
comunione in antitesi con l'interesse individuale del singolo condomino (Art.1131, c.c.)
Cassazione del 07/09/1996 n. 8159
Titolo: E' il proprietario del balcone che ha l'onere di provare che il materiale distaccato dai balconi che hanno
causato il danno, era parte di quelle parti del balcone che rientrano tra i beni ornamentali e comuni.
Massima: I balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti
comuni dell'edificio e appartengono ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti, che sono gli unici
responsabili dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati,
mentre i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscono (quali i rivestimenti della fronte o della
parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla
funzione ornamentale dell'intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi
corrispondenti, con la conseguenza che è onere di chi vi ha interesse (il proprietario del balcone, da cui si sono
distaccati i frammenti, citato per il risarcimento), al fine da esimersi da responsabilità, provare che il danno fù
causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell'intero edificio
appartenevano alle parti comuni di esso. (Art.1117 cod.civ).
Cassazione del 27/09/1996 - 8530
Titolo: L'amministratore cessato dall'incarico può chiedere (al nuovo amministratore), il rimborso delle spese da
lui anticipate.
Massima: L'amministratore cessato dall'incarico, può chiedere il rimborso delle somme da anticipate per la
gestione condominiale sia nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore
(dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente
dall'espletamento del mandato, che appunto riflette la gestione e la conservazione di quelle cose e impianti
comuni) sia, cumulative, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare
all'amministratore, mandatario, le anticipazioni da questo fatte nell'esecuzione dell'incarico deve considerarsi
sorta nel momento stesso in cui avviene l'anticipazione per effetto di essa, non può considerarsi estinta dalla
nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle
originali, sostanziali e processuali. L'amministratore del condominio ha diritto di richiedere ai singoli condomini in
rimborso delle spese da lui anticipate per la gestione condominiale solo nei limiti delle rispettive quote dovendosi
ritenere applicabili anche nei rapporti esterni la disposizione dell'art.1123 cod.civ.. (Artt.1123, 1720, 1129, 1130
cod.civ.).
Cassazione del 13/11/1996 n. 9942
Titolo: La nomina di un amministratore da parte del Presidente del Tribunale è atto amministrativo e non è
ammesso il ricorso alla Corte di Appello né alla Cassazione.
Massima: Il procedimento di nomina dell'amministratore adottato dal Presidente del tribunale, a norma
dell'art.1129 c.c. sul presupposto che il condominio ne sia sprovvisto, costituisce attività di carattere non
giurisdizionale ma amministrativa, in quanto non è diretta alla risoluzione di un conflitto di interessi, ma solo ad
assicurare al condominio dell'organo necessario e imposto dalla legge. Tale atto, non è soggetto a reclamo
innanzi alla Corte di Appello in quanto manca una previsione normativa in tal senso. Di conseguenza, è
inammissibile il ricorso per cassazione ex art.111 Costituzione, art.1129 cod. civ. art.64 disp. att. cod. civ..
SENTENZE 1997
Patti in deroga
Al regime dei "patti in deroga" e alla proroga biennale prevista dall'art. 11 comma 2 bis L. n. 359 del 1992 sono
soggetti anche i contratti di locazione in corso al momento dell'entrata in vigore della suddetta legge, posto che
l'espressione "contratti rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione", di cui al citato
art. 11 comma 2 bis, va intesa come comprensiva di quei contratti che, quantunque stipulati o rinnovati prima
dell'entrata in vigore della legge, sono destinati a scadere (e, quindi, potenzialmente, ad essere ulteriormente
rinnovati) in epoca successiva. Cass. Civ. 24/01/97 - 761
Legittimazione
La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi
componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa
giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire
personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a
ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non può tutelare il
proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini. Pertanto il
condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della
collettività condominiale non è un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma è una delle parti
originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicché, ove tale intervento sia stato spiegato
in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado fissati
nell'art. 344 cod. proc. civ. Cass. Civ. 27/01/97 - 826
Assemblea
Deve ritenersi legittimo il rifiuto apposto da un condomino alla ricezione dell'avviso di convocazione
dell'assemblea, qualora l'avviso suddetto sia consegnato a mani, e non - così come previsto dal regolamento di
condominio - tramite raccomandata. Trib. Monza 6/02/97 - 352
Amministratore
L'amministratore di condominio - nel quale non è ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bensì la
gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o compressione dell'autonomia individuale - configura
un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante
una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che è assimilabile, pur
con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione ed al contenuto "sociale" della gestione, al mandato con
rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini,
dell'art. 1720, comma 1, c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nella
esecuzione dell'incarico diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell'interesse della gestione del
condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore, anche contro il singolo condomino
inadempiente all'obbligo di pagare la propria quota L'amministratore di condominio cessato dall'incarico è
attivamente legittimato a proporre l'azione per il recupero delle somme da lui anticipate nell'interesse del
condominio nel corso della sua gestione, non soltanto nei confronti di quest'ultimo, bensì anche nei confronti dei
singoli condomini, per le quote rispettivamente a loro carico; tale legittimazione attiva trova il suo fondamento
nella disciplina del rapporto di mandato, quale è quello configurabile tra i condomini e l'amministratore (art. 1720
c.c.). (Nella specie il convenuto aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva, affermando che l'attore, non
essendo più amministratore del condominio, non poteva pretendere dai condomini il pagamento di quanto essi
dovevano per spese condominiali). . Cass. Civ. 12/02/97 -1286
Assemblea : spese
La nullità di una delibera condominiale è disciplinata dall'art. 1421 c.c., a norma del quale chiunque vi ha
interesse può farla valere e quindi anche il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla
formazione di detta delibera, salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale
obbligazione. L'accertamento della sussistenza della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea
condominiale è demandato all'apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, se
congruamente motivato. Affinché la delibera di un organo collegiale (nella specie assemblea di condominio) sia
valida è necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso,
specificatamente gli argomenti da trattare, in modo da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire
agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione, diretta o indiretta, alla
deliberazione. È illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un
onere di contribuzione, nelle spese di gestione, maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro
più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perché la modifica ai criteri legali
(art. 1123 c.c.) o di regolamento di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perché
il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal
comma 2 dell'art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al
comma 1 dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della proprietà di ciascuno. Cass. Civ.19/02/97 1511
Muri
A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la
destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e
che debbono essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell'interesse di tutti i partecipanti - le
modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo
condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non
alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto, è legittima l'apertura di vetrine da
esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato all'apertura di porte e di
finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua
proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea può
attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini
a questo tipo di utilizzazione del muro comune. Cass. Civ. 20/02/97 - 1554
Autorimesse parcheggi:
È illegittimo il divieto rivolto ai condomini proprietari di autocaravan di parcheggiare tali mezzi nelle aree
condominiali adibite a parcheggio autoveicoli, sempre che i proprietari suddetti non utilizzino il parcheggio
condominiale come area per campeggio. Giud. Pace Foligno – 6/03/97 - 15
Lastrico solare
Poiché il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della proprietà superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del
terzo residuo. . Cass. Civ. 29/04/97 - 3672
Pagamento a mezzo vaglia postale Efficacia liberatoria per il condominio debitore - Esclusione. (Cc, articoli 1182,1184,1185,1197 e 1277).
Il vaglia postale e' un documento di legittimazione all'ordine, che impone al creditore al fine di incassare in
contanti la somma in esso indicata, l'onere di recarsi presso un ufficio postale; come tale esso non ha efficacia
liberatoria per il condominio debitore, perchè non costituisce ne' pagamento al domicilio del creditore ne'
esecuzione di prestazione di moneta avente corso legale, non diversa da quella dovuta, secondo i principi
enunciati negli articoli 1182, 1197, e 1277 del Cc. Sezione II, sentenza 22 marzo 1997 n. 2558 .
Muro perimetrale dell’edificio condominiale Apertura praticata da parte del singolo condomino per mettere in comunicazione un proprio locale sito nel
condominio con altro immobile - Uso indebito della cosa comune - Sussiste. (Cc. articoli 1102 e 1122)
In tema di utilizzazione del muro perimetrale da parte del singolo condomino, costituisce uso indebito della cosa
comune, alla stregua dei criteri di cui agli articoli 1102 e 1122 del Cc, l’apertura praticata dal condomino nel
detto muro per mettere in comunicazione locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell’edificio condominiale,
con altro suo immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro,
incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all’acquisto di una servitù di passaggio a carico
della proprietà condominiale. Sezione II, sentenza 19 aprile 1996 n. 3719
Aree di parcheggio Vincolo in favore dei proprietari di nuove costruzioni - Obbligo per questi ultimi in forza della imperatività della
norma di acquistare detti spazi e di pagare il corrispettivo - Sussiste. (Cc, articoli 1064, 1102, 1118e 1119; legge
47/1985, articolo 26; legge 765/1967, articolo 18)
Il vincolo di destinazione a parcheggio degli appositi spazi nelle nuove costruzioni, in favore dei proprietari delle
unità immobiliari site nel fabbricato, scaturisce da norme cogenti per cui la norma imperativa, da cui ha origine la
costituzione di un diritto reale d’uso, non opera solo a vantaggio dell’acquirente. Essendo, infatti, il costruttore
tenuto a destinare gli appositi spazi per parcheggio, in favore degli acquirenti delle unità immobiliari site
nell’edificio, questi ultimi non possono sottrarsi all’acquisto del diritto e al pagamento del corrispettivo. Una volta
chiesta in giudizio l’applicazione della norma imperativa, questa deve trovare integrale applicazione,
comportando la sostituzione di diritto della clausola negoziale nulla e la costituzione del diritto reale d’uso, con il
diritto del proprietario costruttore a conseguire il compenso. Sezione II, sentenza 16 aprile 1996 n. 3580
Suolo su cui sorge l’edificio - Parti comuni - Sottosuolo - Sbancamento del terreno sottostante il piano terreno.
Illegittimità (Cc, articoli 840 e 1117)
Il suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di proprietà comune, ai sensi dell’articolo 1117 del Cc, è la
porzione di terreno sulla quale viene a poggiare l’intero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso
e, per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che costituisce il sottosuolo, in mancanza di
titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in proprietà comune,
indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che ove i proprietari del piano terreno
abbiano eseguito uno sbancamento del terreno sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50
centimetri, con tale opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per la messa
in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del
singolo comunista, con conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc. Sezione
II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295
Patti in deroga
Al regime dei "patti in deroga" e alla proroga biennale prevista dall'art. 11 comma 2 bis L. n. 359 del 1992 sono
soggetti anche i contratti di locazione in corso al momento dell'entrata in vigore della suddetta legge, posto che
l'espressione "contratti rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione", di cui al citato
art. 11 comma 2 bis, va intesa come comprensiva di quei contratti che, quantunque stipulati o rinnovati prima
dell'entrata in vigore della legge, sono destinati a scadere (e, quindi, potenzialmente, ad essere ulteriormente
rinnovati) in epoca successiva. Cass. Civ. 24/01/97 - 761
Legittimazione
La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi
componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa
giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire
personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a
ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non può tutelare il
proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini. Pertanto il
condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della
collettività condominiale non è un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma è una delle parti
originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicché, ove tale intervento sia stato spiegato
in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado fissati
nell'art. 344 cod. proc. civ. Cass. Civ. 27/01/97 - 826
Amministratore
L'amministratore di condominio - nel quale non è ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bensì la
gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o compressione dell'autonomia individuale - configura
un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante
una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che è assimilabile, pur
con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione ed al contenuto "sociale" della gestione, al mandato con
rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini,
dell'art. 1720, comma 1, c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nella
esecuzione dell'incarico diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell'interesse della gestione del
condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore, anche contro il singolo condomino
inadempiente all'obbligo di pagare la propria quota L'amministratore di condominio cessato dall'incarico è
attivamente legittimato a proporre l'azione per il recupero delle somme da lui anticipate nell'interesse del
condominio nel corso della sua gestione, non soltanto nei confronti di quest'ultimo, bensì anche nei confronti dei
singoli condomini, per le quote rispettivamente a loro carico; tale legittimazione attiva trova il suo fondamento
nella disciplina del rapporto di mandato, quale è quello configurabile tra i condomini e l'amministratore (art. 1720
c.c.). (Nella specie il convenuto aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva, affermando che l'attore, non
essendo più amministratore del condominio, non poteva pretendere dai condomini il pagamento di quanto essi
dovevano per spese condominiali). . Cass. Civ. 12/02/97 -1286
Assemblea : spese
La nullità di una delibera condominiale è disciplinata dall'art. 1421 c.c., a norma del quale chiunque vi ha
interesse può farla valere e quindi anche il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla
formazione di detta delibera, salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale
obbligazione. L'accertamento della sussistenza della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea
condominiale è demandato all'apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, se
congruamente motivato. Affinché la delibera di un organo collegiale (nella specie assemblea di condominio) sia
valida è necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso,
specificatamente gli argomenti da trattare, in modo da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire
agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione, diretta o indiretta, alla
deliberazione. È illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un
onere di contribuzione, nelle spese di gestione, maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro
più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perché la modifica ai criteri legali
(art. 1123 c.c.) o di regolamento di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perché
il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal
comma 2 dell'art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al
comma 1 dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della proprietà di ciascuno. Cass. Civ.19/02/97 1511
Autorimesse parcheggi:
È illegittimo il divieto rivolto ai condomini proprietari di autocaravan di parcheggiare tali mezzi nelle aree
condominiali adibite a parcheggio autoveicoli, sempre che i proprietari suddetti non utilizzino il parcheggio
condominiale come area per campeggio. Giud. Pace Foligno – 6/03/97 - 15
Vincolo in favore dei proprietari di nuove costruzioni - Obbligo per questi ultimi in forza della imperatività della
norma di acquistare detti spazi e di pagare il corrispettivo - Sussiste. (Cc, articoli 1064, 1102, 1118e 1119; legge
47/1985, articolo 26; legge 765/1967, articolo 18)
Il vincolo di destinazione a parcheggio degli appositi spazi nelle nuove costruzioni, in favore dei proprietari delle
unità immobiliari site nel fabbricato, scaturisce da norme cogenti per cui la norma imperativa, da cui ha origine la
costituzione di un diritto reale d’uso, non opera solo a vantaggio dell’acquirente. Essendo, infatti, il costruttore
tenuto a destinare gli appositi spazi per parcheggio, in favore degli acquirenti delle unità immobiliari site
nell’edificio, questi ultimi non possono sottrarsi all’acquisto del diritto e al pagamento del corrispettivo. Una volta
chiesta in giudizio l’applicazione della norma imperativa, questa deve trovare integrale applicazione,
comportando la sostituzione di diritto della clausola negoziale nulla e la costituzione del diritto reale d’uso, con il
diritto del proprietario costruttore a conseguire il compenso. Sezione II, sentenza 16 aprile 1996 n. 3580
Suolo su cui sorge l’edificio - Parti comuni - Sottosuolo - Sbancamento del terreno sottostante il piano terreno.
Illegittimità (Cc, articoli 840 e 1117)
Il suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di proprietà comune, ai sensi dell’articolo 1117 del Cc, è la
porzione di terreno sulla quale viene a poggiare l’intero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso
e, per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che costituisce il sottosuolo, in mancanza di
titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in proprietà comune,
indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che ove i proprietari del piano terreno
abbiano eseguito uno sbancamento del terreno sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50
centimetri, con tale opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per la messa
in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del
singolo comunista, con conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc. Sezione
II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295
Cassazione del 09/01/1998 n° 138
Titolo:
Può essere presunta la conoscenza dell’avvenuta convocazione dell’assemblea del condominio.
Massima:
La convocazione dell’assemblea di un condominio, a pena di invalidità della medesima(art.1136 cod.civ.), deve
essere comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, ma in assenza di
particolari formalità per la notifica dell’avviso, la conoscenza di esso da parte di tutti i comproprietari può essere
presunta se le circostanze sono gravi, precise e concordanti in assenza di forma necessaria per le modalità di
notifica, la conoscenza di essi può essere presunta, se le circostanze sono precise e concordanti.
Cassazione del 02/03/1998 n° 2259
Titolo:
L’amministratore deve al più presto comunicare all’assemblea l’azione legale intrapresa nei suoi confronti che
esorbita le sue attribuzioni. Se rientra invece nella sue attribuzioni non è tenuto a farsi autorizzare
dall’assemblea.
Massima:
L’amministratore del condominio, convenuto in giudizio da un terzo o da un condomino è tenuto a darne senza
indugio notizia all’assemblea quando la domanda abbia un contenuto esorbitante dalle sue attribuzioni, così
come delineate dall’art. 1130 cod.civ. Pertanto poiché in base a detto articolo deve ritenersi spettante
all’amministratore nell’ambito dei compiti di conservazione delle cose comuni (ossia di preservazione della loro
integrità e di reazione ad attentati o pretese di terzi) il potere discrezionale, autonomamente esercitabile, di
impartire le disposizioni necessarie ad eseguire lavori di manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e
di erogare le relative spese, non può considerarsi esorbitante dalle dette attribuzioni la decisione autonoma
dell’amministratore rispetto ad una lite quando con la domanda proposta contro il condominio si facciano valere
pretese risarcitorie (in forma specifica, oltreché per equivalente) correlata a difetto di manutenzione ordinaria di
una parte comune quale il tetto di copertura dell’edificio. Ne deriva, ulteriormente, la mancanza, in siffatta
ipotesi, della condizione essenziale per l’esercizio da parte del condomino dissenziente del potere di estraniarsi
dalla lite scindendo la propria responsabilità in ordine alle sue conseguenze per il caso di soccombenza, non
potendo tale potere esercitarsi ove legittimamente manchi intorno alla lite promossa contro il condominio una
specifica decisione dell’assemblea.
Cassazione del 27/03/1998 n° 3238
Titolo:
Il singolo può agire contro il condominio per la tutela del decoro architettonico. Se viene sollevata l’eccezione di
esecuzione di opere nelle parti esclusive il contraddittorio deve essere integrato a tutti i condomini.
Massima:
Ciascun partecipante al condominio di edifici, può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della
proprietà comune, ma se la controparte di aver apportato modifiche e innovazioni sulla proprietà esclusiva, è
necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini perché oggetto di controversia è
l’accertamento della natura condominiale o meno, in base ai rispettivi titoli di acquisto, delle parti di edificio
alterate.
Cassazione del 27/03/1998 n° 3251
Titolo:
La delibera di formazione o di modifica delle tabelle millesimali può essere delegata verbalmente ad una
commissione, "facta concludentia" con l’approvazione dei successivi bilanci.
Massima:
In tema di condominio, la delibera di formazione e modifica delle tabelle millesimali, è valida anche se il
consenso è espresso da delegati verbali dei condomini, senza necessità di procura scritta, potendo il mandato
essere provato con qualsiasi mezzo, anche per "facta concludentia" - come nel caso di prolungata accettazione
dei successivi bilanci - perché le dette tabelle hanno funzione accertativa e valutativa delle quote condominiali
onde ripartire le relative spese stabilire la misura del dirittodi partecipazione alla volontà assembleare, ma non
incidono sui diritti reali spettanti a ciascun condomino.
Cassazione del 03/04/1998 n° 3422
Titolo:
Gli spazi esterni nei condomini per legge (18/08/1967 n°765) vanno destinati a parcheggio. Questo non vieta la
trattazione e la vendita separata da quella dell’abitazione.
Massima:
L’art.41 "sexies" della Legge 17 agosto 1942 n. 115, nel testo introdotto dall’art.18 Legge 6 agosto 1967 n. 765,
ha istituito tra costruzioni e spazio per parcheggio ad essi progettualmente annessi una relazione che ha
connotati di necessità e di indispensabile permanenza di rilievo pubblicistico e con caratteristiche di realtà che
nell’ipotesi in cui la costruzione sia costituita da un edificio in condominio, comporta che detti spazi ricadono
sulle parti comuni ex art.1117 cod. civ. quando appartengano in comunione a tutti i condomini ovvero vengano a
costituire oggetto di un diritto reale d’uso spettante ai condomini medesimi, quando la relativa proprietà competa
a terzi estranei alla collettività condominiale o ad uno solo dei componenti di questa. Tale disciplina non vieta la
negoziazione separata delle costruzioni e delle aree di parcheggio ad esse pertinenti, ma esclude che tale
negoziazione possa incidere sulla permanenza del vincolo reale di destinazione sulle aree accennate.
Cassazione del 03/04/1998 n° 3424
Titolo:
E’ valida la delibera o la decisione dell’amministratore che autorizzi l’accesso carraio in uno spazio prima adibito
a passaggio pedonale.
Massima:
La delibera condominiale, che autorizza il passaggio carrabile dei condomini, già titolari di un diritto di passaggio
pedonale, su un viale comune del fabbricato, regola l’uso del bene comune - demandato all’amministratore, a
cui però possono sostituirsi, in qualità di mandanti, i condomini - costituendo un diritto personale a loro favore,
ed è valida, anche se adottata a maggioranza, purché non comprima i diritti ad essi appartenenti per
convenzione o per effetto dell’acquisto delle unità immobiliari o per legge.
Cassazione del 17/04/1998 n° 3887
Titolo:
L'obbligo di vigilare sul pozzo comune, anche se allocato in un determinato spazio o locale esclusivo, incombe
sull'intero condominio.
Massima:
In tema di condominio di edifici, l'obbligo di vigilare e mantenere il bene comune (nella specie il pozzo) in stato
da non creare danni ad altri condomini o a terzi estranei al condominio, incombe su tutti gli aventi diritto senza
che rilevi l'ubicazione della cosa comune rispetto alle proprietà esclusive.
Cassazione del 26/01/1998 n° 714
Titolo:
Il regolamento del condominio non trascritto è comunque valido ma non è opponibile ai successivi acquirenti. Se
il regolamento prevede che una parte di condomini siano esonerati dalla contribuzione alle spese, tali beni non
ricadono nella comproprietà di questi.
Massima:
La trascrizione prevista dall'art.1138 comma terzo cod. civ. del regolamento di condominio nel registro (peraltro
non istituito), di cui all'art.1129 cod. civ. integra un mero onere di pubblicità dichiarativa, la cui inosservanza non
comporta la nullità o l'inefficacia del regolamento approvato dall'assemblea dei condomini o predisposto
dall'originario costruttore dell'edificio condominiale. L'omessa trascrizione del regolamento nei RR.II. determina
invece l'inopponibilità ai successivi acquirenti delle singole unità immobiliari comprese nell'edificio condominiale
delle eventuali clausole limitative di diritti esclusivi di proprietà spettanti a ciascun condomino senza influire
anch'essa sulla validità ed efficacia del regolamento. La norma di un regolamento di condominio che stabilisca
per una determinata categoria di condomini l'esenzione dal concorso dalle spese di conservazione di una delle
parti dell'edificio indicate nell'art. 1117 cod. civ., comporta il superamento nei riguardi di detta categoria di
condomini della presunzione di comproprietà su detta parte del fabbricato.
Cassazione del 02/02/1998 n° 981
Titolo:
Il venditore deve comunque pagare tutte le spese fino alla data della vendita.
Massima:
Il condomino di un edificio che venda l'appartamento di sua esclusiva proprietà è tenuto al pagamento dei
contributi condominiali deliberati dall'assemblea quando egli era ancora proprietario.
REGOLAMENTO DI CONDOMINIO PREDISPOSTO DAL COSTRUTTORE
Cass. civ., sez. II, 6 agosto 1999 n. 8486 Acquirente di unità immobiliare facente parte del fabbricato - Impegno contrattuale a rispettare il regolamento
condominiale da predisporsi da parte del costruttore - Vincolatività
L'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unità immobiliare di un fabbricato, di
rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non può valere come
approvazione di un regolamento allo stato inesistente, poiché è solo il concreto richiamo nel singolo atto di
acquisto ad un regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem, di
quest'atto.
LA PROPRIETA' DEL SOTTOTETTO
Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764
Sottotetto - Utilizzabilità da parte di tutti i condomini - Presunzione di proprietà comune
In un edificio di più piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato
nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in
base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a
servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perciò
considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se
utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di
comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile,
per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi.
DIRITTO DI SOPRAELEVAZIONE
Cass. civ., sez. II, 19 luglio 1999, n. 7678 - Ercolino c. Cond. via Doria 40 - Roma
Terrazza a livello - Equiparazione al lastrico solare - Diritto di sopraelevazione - Regolamento di condominio Limitazione - Condizioni
La terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva, è equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale è considerata anche nel regime della sopraelevazione; ne
consegue che il regolamento condominiale può limitare il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario
dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale.
IMPUGNAZIONE DEL RENDICONTO: SOGGETTI LEGITTIMATI
Appello Milano 6 agosto 1999, n. 2215
Azione di rendiconto - Legittimazione ad agire - Passaggio di consegne
Si deve escludere che l'azione di rendiconto dia azione che spetta esclusivamente al singolo condomino,
dovendosi rilevare che fra le attribuzioni dell'assemblea è sicuramente quella di approvare il preventivo delle
spese, il piano di riparto ed il rendiconto annuale dell'amministratore (art. 1135 nn. 2 e 3, Codice civile). Né
riveste alcuna efficacia sul punto il rilievo che l'impugnativa del rendiconto spetti al singolo condomino e non al
condominio, considerato che il richiamo è da intendersi riferito al rendiconto approvato dall'assemblea, onde la
norma giustamente ha previsto l'ipotesi di impugnativa da parte del condomino dissenziente o che comunque ne
abbia interesse. Non è dubitabile che normale destinataria del rendiconto di gestione sia l'assemblea quale
tipica espressione della collettività condominiale, onde in assenza di spontanea sottomissione del rendiconto
all'organo che per legge è destinato all'esame e all'approvazione del rendiconto, la medesima assemblea sia
legittimata ad investire l'amministratore del potere di agire per richiedere la presentazione del conto al
precedente amministratore.
CRITERI DI REVISIONE DELLE TABELLE MILLESIMALI
Appello Milano 20 luglio 1999, n. 1938 - Tabelle millesimali - Revisione e modificazione - Condizioni
Non può considerarsi conseguenza di un errore, ai sensi e per gli effetti della revisione e modificazione delle
tabelle millesimali prevista dall'articolo 69, disp. att., Codice civile, l'adozione di criteri più o meno soggettivi con
cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, allorché questi criteri non portino
ad una palese e obbiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore
proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle. Se, dunque, i criteri utilizzati sono espressione di un libero e
consentito apprezzamento, per giungere alla dimostrazione della sussistenza di un errore tabellare occorre una
ricostruzione del procedimento logico e tecnico di valutazione seguito dal primo redattore e l'individuazione, in
tale ambito, di un errore della cui prova è onerato colui che ha promosso l'azione. Neppure potrebbe portare ad
una diversa soluzione il denunciato mutamento del regime di mercato degli immobili e la sua incidenza sui criteri
di redditività originariamente attribuiti alle singole unità immobiliari, per il quale viene invocata l'applicazione della
norma di cui all'articolo 69, n. disp. att., Codice civile, relativa al mutamento di condizioni, atteso che il fatto che
le "mutate condizioni" cui si riferisce il n. 2 del citato articolo 69 sono solo quelle tassativamente elencate, ossia
quelle che comportano una "notevole" alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di
piano "in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta
portata". Tra le predette tassative condizioni non potrebbe perciò farsi rientrare quella, diversa, della mutata
situazione di redditualità di alcune unità immobiliari, e per di più adottata indipendentemente da ogni
dimostrazione sul fatto che il rapporto originario tra i piani o le porzioni di piano ne sia effettivamente risultato
"notevolmente alterato".
CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE DI RIFACIMENTO DEI BALCONI
Trib. Milano 17 giugno 1999, n. 5934 Balconi - Lavori di rifacimento - Ripartizione della spesa - Intervento sulla facciata - Interesse generale Interesse particolare - Criteri distintivi
Deve essere dichiarata invalida la delibera, che avendo disposto la ripartizione dei costi delle opere di ripristino
sui balconi dell'edificio senza tenere conto della regola ex articolo 1123, secondo comma, Codice civile, e,
quindi, senza alcuna valutazione della diversa utilità della spesa rispetto ai due gruppi di condomini configurabili
nell'edificio quanto ai balconi. Mentre, infatti, per i condomini i cui appartamenti non sono dotati di balconi l'unità
dell'intervento va individuata nel mero ripristino del complessivo decoro della facciata dell'edificio, per tutti gli altri
a tale generale utilità si aggiunge anche quella specificatamente concernente il permanere della possibilità di
utilizzo diretto della zona balcone quale esclusivo prolungamento della proprietà individuale.
Balconi - Lavori di rifacimento - Ripartizione della spesa - Portieri dell'assemblea - Esclusività
Alla pronuncia di invalidità di una delibera (relativa alla ripartizione di una spesa riguardante il rifacimento dei
balconi ) non può conseguire alcuno specifico accertamento "dell'esatto criterio per la ripartizione della spesa"
controversa, accertamento richiesto dal convenuto in via subordinata: la ripartizione dei costi risulta invero
secondo le regole ex articolo 1135 Codice civile, riservata alle determinazioni della collettività, secondo il
principio del funzionamento assembleare della stessa, cosicché non appare possibile una sostituzione a tale
esplicazione di autonomia privata dell'Autorità giudiziaria; quest'ultima potendo solo valutare, a seguito di
un'impugnazione degli interessati, la validità delle deliberazioni in concreto adottate, nell'ambito di discrezionalità
propria, dalla collettività in applicazione dei canoni legali ovvero regolamentari.
RESPONSABILITA' PER DANNI A PERSONE O COSE
Tribunale Napoli, sez. IV, 3 giugno 1999, n. 3492 Parti comuni e parti esclusive - Danni a persone o cose - Risarcimento dei danni - Legittimazione passiva
Allorquando si siano verificati danni a persone e/o cose a causa della caduta di un marmo che si trova sotto la
ringhiera di un balcone, deve escludersi la legittimazione passiva del condominio, in quanto "in un edificio
condominiale….. ..l'aggetto costituito da un balcone appartiene esclusivamente al proprietario dell'unità
immobiliare corrispondente, il quale, pertanto, è esclusivo responsabile del danno cagionato a terzi da un pezzo
di muratura staccatosi dal balcone"
IMPUGNAZIONE DI DELIBERA ASSEMBLEARE E TERMINE DI DECADENZA
Tribunale Napoli, sez. VI, 20 maggio 1999, n. 3303
Assemblea - Deliberazioni - Nullità e annullabilità - Impugnazione - Esercizio del diritto - Termine di decadenza
Per stabilire se si è verificata o meno l'ipotesi di decadenza del diritto per l'esercizio dell'impugnativa di
assemblea condominiale, ai sensi dell'articolo 1137, Codice civile, bisogna dapprima valutare il tipo d'invalidità
da cui sarebbe affetta la delibera impugnata. Le delibere radicalmente nulle - la cui impugnativa (cosiddetta
azione di nullità) è di mero accertamento, infatti, non è soggetta ad alcun termine di decadenza ed è
imprescrittibile, mentre sono soggette al termine di decadenze, di cui al secondo comma del citato articolo 1137,
Codice civile, le sole delibere cosiddette "annullabili". Sono nulle le delibere che ledono i diritti dei condomini, sia
nel singolo condominio (si parla, in tal caso, di nullità relativa, quanto dei condomini tutti, nel qual caso si parla di
nullità assoluta). La delibera assembleare con la quale si decida di "consentire la sosta ed il parcheggio nel
cortile condominiale ai soli residenti nel palazzo", laddove, in precedenza - data la esiguità dei posti disponibili si era previsto che questi restassero a disposizione "dei condomini primi giunti" , costituisce un'innovazione
incidente sulla disciplina dell'uso del cortile in relazione al parcheggio delle autovetture che va ad incidere sui
diritti dei singoli condomini, e, pertanto, vietata ai sensi del secondo comma dell'articolo 1120, Codice civile, non
potendo l'assemblea dei condomini, seppure a maggioranza, disporre la sottrazione di parti comuni condominiali
all'uso e al godimento anche di uno solo dei condomini.
ASSEMBLEA: PROVA DELL'AVVENUTA CONSEGNA DELL'AVVISO DI CONVOCAZIONE
Cass. Civ., sez. II, 25 marzo 1999, n. 2837
Assemblea - Convocazione - Avviso ai condomini - Prova del recapito - onere dell'amministratore Dimostrazione della consegna dell'avviso a persona priva di stabile potere di rappresentanza nei confronti del
condominio.
L'onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente convocati fa carico al condominio. Tale
prova non può essere offerta con la dimostrazione della consegna dell'avviso a soggetti ai quali non è stato
conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
CONTRIBUTI E SPESE CONDOMINIALI
Cass. Civ., sez. II, 20 marzo 1999, n. 2617
Contributi e spese condominiali - Soggetti obbligati - Condominio apparente - Giustificazione dell'errore
incolpevole dell'amministratore terzo in buona fede.
L'amministratore di un condominio può invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore
di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento della quota per spese comuni da colui che si comporta da
condomino, non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri immobiliari per accertare la titolarità della
proprietà (nella specie promissario acquirente di appartamenti dell'edificio condominiale, trasferitigli
coattivamente con sentenza di primo grado, benché non definitiva perché appellata dalla soccombente
controparte, e locati in qualità di proprietario).
DELIBERE NON PREVISTE NELL'ORDINE DEL GIORNO
Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320
Assemblea - Avviso di convocazione - Ordine del giorno - Invalidità delle delibere su questioni non all'ordine del
giorno.
Nell'ipotesi di assenza di espressa convocazione sul punto nell'ordine del giorno diramato ai condomini, deve
ritenersi la ricorrenza del vizio di incompletezza della convocazione stessa, determinante invalidità della
deliberazione conseguente, senza che il rilievo di tale invalidità possa essere precluso dal carattere totalitario
della riunione, posto che, comunque, taluni dei condomini risultano rappresentati "per delega" da altri e, dunque,
in ogni caso, il difetto di compiuta informazione acquista rilevanza rispetto alla posizione del condominio non
personalmente presente e non in grado di impartire preventivamente al proprio rappresentante ragionevoli
istruzioni su di un tema non "prevedibile " quale oggetto di discussione.
MODIFICA DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE
Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320
Spese - Ripartizione - Accettazione tacita protratta nel tempo - Modifica dei criteri di ripartizione
Deve ritenersi che la ripetuta approvazione assembleare (senza alcun voto contrario sul punto) per quindici anni
di rendiconti evidenzianti costantemente criteri di riparto, differenti da quelli negoziali originari, abbia integrato
una specifica volontà collettiva di modifica convenzionale di tali originari canoni negoziali. Volontà collettiva da
ritenersi idonea a determinare tale convenzione modificatrice in quanto, pur non essendo essa riferibile sempre
alla totalità dei condomini , il consenso di tutti i membri della collettività è da ritenere poi sopraggiunto in forma
tacita, per facta concludentia, attraverso l'accettazione del "nuovo" schema di reparto da parte degli assenti, i
quali hanno comunque provveduto costantemente al pagamento dei contributi determinati secondo tale schema.
DELIBERAZIONE CONTRARIA ALLA LEGGE O AL REGOLAMENTO
Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320
Delibera assembleare - Impugnazione - Atto introduttivo - Citazione ordinaria - Deposito di ricorso
Il "ricorso all'autorità giudiziaria" previsto dall'art. 1137, Codice Civile, contro le deliberazioni assembleari
contrarie alla legge o al regolamento dà luogo ad un procedimento contenzioso, soggetto al principio del
contraddittorio e, come tale, introducibile anche con atto di citazione, purché notificato al condominio nel termine
di decadenza indicato dal terzo comma della norma citata
APERTURA DI LUCI TRA UN VANO E L'ALTRO DEL MEDESIMO EDIFICIO
Cass. civ., sez. II, 10 settembre 1999, n. 9637
Limitazioni legali della proprietà - Apertura di luci - Caratteri - Conseguenze - Acquisto per usucapione o
destinazione del padre di famiglia - configurabilità
All'apertura tra due vani di un medesimo edificio, realizzata allo scopo di dare aria e luce ad uno di essi
attraverso l'altro, non è applicabile la disciplina dettata dagli articoli 901 - 904, Codice di procedura civile,
giacché tale apertura non costituisce estrinsecazione del diritto di proprietà, ossia manifestazione di una facultas
del diritto di dominio, ma ponendo in essere una vera e propria incursione sulla sfera di godimento della
proprietà altrui, ha sostanza, struttura e funzioni di uno ius in re aliena, acquisibile perciò mediante usucapione o
destinazione del padre di famiglia, sempre che l'apertura si concreti in opere visibili e parametri, strutturalmente
destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del vano, sì da rilevare all'esterno l'imposizione di un peso
a suo carico per l'utilità dell'altro.
NOMINA E REVOCA DELL'AMMINISTRATORE
Cass. civ., sez. II, 23 agosto 1999, n. 8837
Amministratore - Nomina e revoca - Revoca - Qualità di parte dell'amministratore
Nel giudizio promosso da alcuni condomini per la revoca dell'amministratore per violazione del mandato,
l'interessato legittimato a contraddire è soltanto l'amministratore e non il condominio, il quale non è tenuto né ad
autorizzare né a ratificare la resistenza in giudizio dell'amministratore medesimo, trattandosi d'ipotesi estranea a
quelle previste dagli articoli 1130 e 1131, Codice civile, e ciò malgrado le ripercussioni nei confronti del
condominio degli effetti della pronuncia giudiziale.
IMPIANTI CONDOMINIALI E APPLICABILITA' DELLE NORME SULLE DISTANZE LEGALI
Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801
Distanze legali - Unità abitative di edifici in condominio - Disciplina applicabile
La disposizione dell'articolo 889, Codice civile, relativa alle distanze da rispettare per i pozzi, cisterne, fossi e
tubi, è applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi
indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile, tale da essere adeguata all'evoluzione
delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
RAPPRESENTANZA GIUDIZIALE DELL'AMMINISTRATORE
Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1999, n. 8589
Rappresentanza giudiziale - Legittimazione dell'amministratore - Azioni reali contro terzi a tutela delle cose
comuni - Rivendica - Autorizzazione dell'assemblea
A norma dell'articolo 1131, comma primo, Codice civile, tra i maggiori poteri che l'assemblea o il regolamento di
condominio possono conferire all'amministratore per la rappresentanza nel condominio stesso rientrano anche
quelli attinenti all'esercizio dell'azione di rivendica.
SPESE DI RIPARAZIONE DEL LASTRICO SOLARE
Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1999, n. 8532
Parti comuni dell'edificio - Terrazze, lastrici solari, logge - Ripartizione delle spese in base all'uso
L'articolo 1126, Codice civile, nel disciplinare la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico
solare per chi ne ha l'uso esclusivo, non specifica la natura reale o personale di esso, che è invece determinata
dal titolo, né a tal fine rileva l'attribuzione millesimale, utilizzata come criterio per contribuire agli oneri
condominiali.
CONTESTAZIONE DEL VERBALE DI ASSEMBLEA
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11526
Assemblea dei condomini - Deliberazioni - Verbale - Valore di prova presuntiva - Contestazione da parte del
condomino della verità di quanto riferito nel verbale - Onere della prova
Il verbale dell'assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati,
per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestando la rispondenza a
verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto.
UTILIZZO DELLA COSA COMUNE DA PARTE DEL SINGOLO
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999 n. 11520
Parti comuni dell'edificio - Utilizzazione della cosa comune da parte del condomino in modo particolare e diverso
dall'uso comune - Ammissibilità - Limiti
Il limite che l'articolo 1102, Codice civile, pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun
condomino è quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso
secondo il suo diritto. Pertanto l'uso particolare della cosa comune da parte del condomino non deve
determinare pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, ancorché non ne sia
impedito l'uso.
LIMITAZIONI DEI DIRITTI DEI CONDOMINI
Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121
Regolamento contrattuale - Imposizioni di limitazioni dei diritti dei condomini sia sulle parti comuni che sulle
proprietà individuali - Ammissibilità - Condizioni
In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano
limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parte comuni, sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l'esercizio del diritto
individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le
norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario
proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti d'acquisto dai condomini ovvero adottate in sede
assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare ed integrare la disciplina legale ed
in particolare possono dare al concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta
dall'articolo 1120, Codice civile, estendendo il divieto di mutazione sino ad imporre la conservazione degli
elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della
sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.
SPESE STRAORDINARIE E IMPUGAZIONE DEL PIANO DI RIPARTO
Tribunale Milano 22 novembre 1999, n. 10109
Spese straordinarie - Ripartizione - Approvazione del piano di riparto - Legittimazione ad impugnare
A fronte di una specifica richiesta di pagamento da parte dell'amministratore, conseguente ad una deliberazione
assembleare con la quale viene approvata l'esecuzione di opere straordinarie la cui ripartizione della spesa è
stata dalla stessa assemblea demandata allo stesso "secondo le normative vigenti e tabelle millesimali" (ndr.
senza, quindi che vi sia stata approvata una concreta ripartizione della spesa), ogni condomino appare portatore
di un interesse concreto ed attuale all'accertamento giudiziale della erroneità della richiesta nei suoi confronti
specificatamente formulata e da qualificarsi, comunque, quale pretesa creditoria promanante dalla collettività
rappresentata dall'amministratore, anche in base allo specifico mandato da questi ricevuto nel corso
dell'assemblea che autorizza i lavori.
SPESE DI IMPERMEABILIZZAZIONE DEL CORTILE
Tribunale Milano 15 novembre 1999, n. 9960
Spese di impermeabilizzazione del cortile - Ripartizione - Criteri - Onere a carico della collettività
Considerato invero il diverso grado di "servizio" del "cortile" rispetto alle porzioni immobiliari "box" (rispetto alle
quali una parte del cortile funge da copertura e via costante di accesso a mezzi motorizzati) e rispetto al restante
edificio (per il quale il cortile funge solo da zona di generico passaggio e di accesso al locale rifiuti), non se ne
può che trarre la conclusione di una più intensa destinazione d'uso della porzione interessata dalle opere di
rifacimento dell'impermeabilizzazione del cortile (sovrastante alcuni box nonché due locali comuni adibiti alla
raccolta dei rifiuti dello stabile principale) per i soli condomini proprietari dei box: e ciò, si noti,
indipendentemente da ogni questione in termini di uso "potenziale" ovvero concreto da parte dei membri della
collettività, alla diversa destinazione della cosa essendo direttamente discendente dalla conformazione del
complesso. La delibera impugnata deve quindi essere dichiarata invalida in quanto essa disattende la regola di
riparto ex articolo 1123, secondo comma, Codice civile, applicabile alla fattispecie.
MODALITA' DI CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA
Tribunale Napoli, sez. II, 30 settembre 1999, n. 6867
Assemblea - Convocazione - Modalità - Presunzione di conoscenza - Onere della prova
Se è vero, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, che la convocazione dell'assemblea di un
condominio, a pena d'invalidità della medesima, ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 1136, Codice civile, va
comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, stante l'inapplicabilità
anche in via analogica dell'art. 2347, Codice civile, è altrettanto vero che in assenza di particolari formalità per la
notifica dell'avviso di convocazione il coniuge convivente, allorquando la stessa sia stata notificato all'altro
coniuge, comproprietario, talché una volta dimostrata tale presunzione, spetta alla controparte fornire la prova
che in concreto tale conoscenza non vi sia stata. Così pure è da ritenersi che sussistano elementi tali da poter
affermare l'esistenza della presunzione di conoscenza della convocazione da parte degli altri comproprietari, se
pur non conviventi, allorquando - come nel caso di specie - uno dei coeredi, in quanto, secondo l'orientamento
della Suprema Corte, uno dei comproprietari può ritenersi ritualmente convocato a partecipare ad un'assemblea
del condominio, nonché validamente rappresentato nella medesima, con riguardo ad affari di ordinaria
amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unità immobiliare, senza il bisogno di particolari formalità
essendo sufficiente che risulti provata - anche per presunzioni - l'effettiva notizia della convocazione di
assemblea ed abbia conferito, sia pure verbalmente, il potere di rappresentanza.
CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE DI RIFACIMENTO DELLA FACCIATA
Tribunale Milano 30 dicembre 1999, n. 10526
Rifacimento delle facciate - ripartizione della spesa - Art. 1123, Codice civile - Inapplicabilità tabelle millesimali di
proprietà
Merita accoglimento la domanda di impugnazione di delibera con la quale sia stato deciso di ripartire in base al
criterio millesimale, indistintamente tra tutti i condomini, le spese per una serie di interventi di ristrutturazione
dello stabile che comprendevano il rifacimento della facciata previa demolizione dell'intonaco e sostituzione con
l'altro, comprese le balconate (n. d. r. nel caso in esame comunque correttamente addebitate ai soli proprietari di
queste, per la parte loro esclusiva). Ci si trova qui in presenza di opere non di opere di semplice manutenzione
estetica della facciata, suscettibili, secondo noti principi, di essere ripartite tra tutti i condomini in ragione delle
rispettive quote di proprietà, ma interessanti strutture di cui si avvalgono principalmente i proprietari di
appartamenti cui la facciata serve da protezione, o addirittura, come nel caso di balconi, i soli proprietari di
questi (n. d. r. vedi quanto già sopra precisato e quindi in questo caso non oggetto d'impugnazione).
Rappresenta quindi un eccesso di potere da parte dell'organo decisorio condominiale la ripartizione di queste
spese indiscriminatamente tra tutti i partecipanti al condominio comprendendovi coloro che, essendo proprietari
di un'unità situata al livello delle cantine, non si avvale in alcun modo diretto della facciata se non per le parti
comuni che appartengono all'edificio riparato dalla facciata (come l'androne).
CONDOMINIO - PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 875, 3 febbraio 1999, Sez. II
Delibera assembleare di chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo - Innovazione - Esclusione - Maggioranza
prevista
In tema di condominio negli edifici, non è richiesta, per la legittimità della delibera assembleare avente a oggetto
la chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo ove sono collocati i posti macchina riservati ai condomini,
l'adozione con la maggioranza qualificata dei due terzi del valore dell'edificio, non concernendo tale delibera una
"innovazione", secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la
regolamentazione dell'uso ordinato della cosa comune consiste nel non consentire a terzi estranei al condominio
l'indiscriminato accesso al sottosuolo dello stesso.
CONDOMINIO - REGOLAMENTO
Cass. civ., sent. n. 1057, 6 febbraio 1999, Sez. II
Assembleare - Modifiche delle disposizioni in materia di uso delle parti comuni - Modificabilità - Condizioni
Qualora il regolamento condominiale non abbia natura contrattuale, l'assemblea dei condomini, anche in
mancanza di unanimità, può modificare le disposizioni regolamentari in materia di uso delle cose comuni, purché
sia assicurato il diritto al pari uso di tutti i condomini, e cioè il diritto di ciascun condomino di trarre dalle cose
comuni il massimo godimento possibile, dovendo, peraltro, la eventuale maggiore utilizzazione consentire, sia
pure a livello di previsione potenziale, un godimento di pari natura ed intensità da parte degli altri condomini.
Cass. civ., sent. n. 3749, 15 aprile 1999, Sez. II
Contrattuale - Effetti vincolanti
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli
iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso o
il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli
condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca.
CONDOMINIO - RESPONSABILITA CIVILE
Cass. civ., Sent. n. 3753, 15 aprile 1999, Sez. II
Umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali - Danni a singoli condomini Responsabilità del condominio
L'umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, può integrare, ove sia
compromessa l'abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del
costruttore ex art. 1669 cod. civ.; tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei
confronti di costoro è responsabile in via autonoma ex art. 2051 cod. civ. il condominio, che è tenuto, quale
custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
CONDOMINIO - RIPARTIZIONE SPESE
Cass. civ., sent. n. 3568, 12 aprile 1999, Sez. II
Manutenzione dei soffitti, delle volte e dei solai - modalità di ripartizione per i danni ascrivibili a singoli condomini
In tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle
volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 cod. civ., riguarda le ipotesi in cui la necessità delle riparazioni
non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova
applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li ha cagionati.
Cass. civ., sent. n. 2617, 20 marzo 1999, Sez. II
Pagamento della quota per spese comunali - Applicabilità del principio dell'apparenza
L'amministratore di un condominio può invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore
di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento delle quota per spese comuni da colui che si comporta da
condomino, nella specie promissario acquirente di appartamenti nell'edificio condominiale, trasferitigli
coattivamente con sentenza di primo grado, benché non definitiva perché appellata dalla soccombente
controparte, e locati in qualità di proprietari, non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri
immobiliari per accertare la titolarità della proprietà.
CONDOMINIO - RISCALDAMENTO CENTRALE
Cass. civ., sent. n. 1165, 11 febbraio 1999, Sez. II
Trasformazione di impianti autonomi a gas - Validità della delibera approvata ai sensi dell'art. 26 della legge
10/1991 anche in mancanza del progetto dell'opera
La delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai
sensi dell'art. 26, comma 2, legge 10 del 9 gennaio 1991, in relazione all'art. lett. g), stessa legge, assunta a
maggioranza delle quote millesimali, è valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato
dalla relazione tecnica di conformità di cui all'art. 28, comma 1, stessa legge, attenendo tale progetto alla
successiva fase di esecuzione della delibera.
CONDOMINIO - USO DELLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 1162, 11 febbraio 1999, Sez. II
Tubatura di scarico di un servizio esclusivo di un condomino - Collocazione in un muro maestro - Legittimità Infiltrazioni causate alla proprietà di un altro condomino - Obbligo di risarcire i danni
La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro
maestro dell'edificio condominiale, rientra nell'uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui
esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma
specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla proprietà, o
comproprietà, di altro condomino
Cass. 25/03/99 - n. 2837
Assemblea - Convocazione - Prova del recapito - Onere dell'amministratore
L'onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente convocati, fa carico al condominio. Tale
prova non può essere offerta con la dimostrazione della consegna di un avviso a soggetti quali non è stato
conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
Parcheggio - Rivendica del diritto reale nei confronti del venditore/costruttore - litisconsorzio con gli altri
condomini.
Qualora alcuni condomini abbiano convenuto in giudizio il venditore - costruttore dell'edificio, per rivendicare il
diritto reale d'uso sull'area dell'edificio destinata a parcheggio, non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario,
nei confronti degli altri condomini, ai quali pertanto non va notificato l'atto d'impugnazione per l'integrazione del
contraddittorio.
Cass. 12/04/99 - n. 3568
Contributi e spese - Manutenzione - Danno ascrivibile a singoli condomini - Risarcimento.
In tema di condomini ed edifici, la ripartizione delle spese, per la manutenzione, ricostruzione di soffitti, delle
volte e dei solai, secondo i criteri previsti dall'art. 1125 c. c., riguarda le ipotesi in cui le necessità delle
riparazioni non siano da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli
condomini, trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li
ha provocati.
Cass. 12/04/99 - n. 3574
Pertinenza - Trasferimento a terzi del bene principale - Estensione alla cosa accessoria.
Costituitosi un rapporto pertinenziale tra beni a seguito della destinazione operata dal proprietario della cosa
principale, che ha piena che ha piena disponibilità anche della cosa accessoria ( nella specie una veranda a
servizio di un appartamento, realizzata su un'area condominiale, dall'originario proprietario costruttore dell'intero
edificio), gli atti di disposizione aventi ad oggetto la cosa principale, si estendo a quella accessoria. Ciò sempre
che non intervenga un atto del proprietario di cessazione della destinazione, vale a dire l'esplicita esclusione
della pertinenza in un atto avente in un atto avente ad ogni oggetto la cosa principale o il compimento di un atto
avente ad oggetto la sola pertinenza.
Cass. 15/04/99 - n. 3749
Regolamento contrattuale - Clausole delimitanti il potere e le facoltà dei singoli condomini sulle proprietà
esclusive - Opponibilità ai successivi acquirenti .
Il regolamento di condominio, predisposto dall'originario e unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto presso i registri immobiliari, assume carattere di
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso
e il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli
condomini sulle proprietà esclusive, venendo a costruire su queste ultime una servitù reciproca.
Cass. 16/04/99 - n. 3803
Contributi e spese - Soggetti obbligati - Lastrico con funzione di copertura e di raccolta di acque di scolo manutenzione.
In un condominio il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio condominiale, che ha la funzione,
oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio, deve ritenersi
destinato a scrivere anche queste ultime. Conseguentemente le spese di manutenzione devono essere ripartite
fra tutti i condomini che ne traggono utilità, tenendo conto della diversa utilità che ciascuna parte può trarne.
Cass. 28/04/99 n. 4266
Parti comuni dell'edificio - Sottotetti, soffitti e solai - Presunzione di comunione.
Il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano, soltanto ove assolva
l'esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidità, mediante
la creazione di una camera d'aria. Di contro tale principio non si applica allorché il sottotetto ambia dimensioni e
caratteristiche strutturali tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo, nel qual caso deve presumersi di
proprietà condominiale, se esso risulti in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso
comune o all'esercizio di un interesse comune.
RESPONSABILITA' DEL COMMITTENTE PER I DANNI CAUSATI DALL'APPALTATORE
Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2000, n. 187
Appalto - Responsabilità per danni cagionati a terzi - Ingerenze del committente - Esclusione della responsabilità
dell'appaltatore - Condizioni
La responsabilità per i danni arrecati a terzi nell'esecuzione dell'opera, rimane esclusa solo se vi sia la prova che
egli ha reso edotto il committente dell'erroneità delle istruzioni ricevute e ciò nonostante si è dovuto attenere alle
dette istruzioni, per averle il committente ribadite.
MODIFICA DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE GENERALI
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126
Contributi e spese condominiali - Ripartizione delle spese generali - Modifica dei criteri - Difetto del consenso di
tutti i condomini - Nullità della delibera - Sussistenza - Conseguenze - Esperibilità dell'azione di nullità anche da
parte del condomino consenziente
E' affetta da nullità ( la quale può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato
all'assemblea e ancorché abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine d'impugnazione previsto
dall'art. 1137, Codice civile,) la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i
condomini, si modifichino i criteri legali (art. 1123, Codice civile) o di regolamento contrattuale di riparto delle
spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse comune, e ciò perché il riparto in base all'uso
differenziato, previsto dal secondo comma del citato art. 1123, non è applicabile alle spese generali.
RESPONSABILITA' DELL'APPALTATORE
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 117
Gravi difetti di costruzione - Infiltrazioni di acqua per carenze di impermeabilizzazione - Responsabilità del
costruttore - Garanzia a carico dell'appaltatore.
Tra i vari difetti di costruzione per i quali è operante a carico dell'appaltatore la garanzia prevista dall'art. 1669,
Codice civile, rientrano le infiltrazioni d'acqua determinate da carenze dell'impermeabilizzazione perché incidono
sulla funzionalità dell'opera menomandone il godimento.
APERTURA DI UN VARCO D'ACCESSO DAL CORTILE CONDOMINIALE ALLA PROPRIETA' ESCLUSIVA
Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 42
Parti comuni - Uso - Estensione e limiti - Apertura nel muro perimetrale comune di un varco di accesso dal
cortile condominiale ai locali di proprietà esclusiva - Ammissibilità e limiti
Le modificazioni di un bene condominiale per iniziativa del singolo sono lecite nelle sole ipotesi in cui esse, oltre
a non compromettere la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico, ed a non alterare la destinazione del
bene, non siano lesive dei diritti degli altri condomini relativi al godimento sia delle parti comuni interessate alla
modificazione, sia delle parti di loro proprietà. Più in particolare, il condomino, nel caso in cui il cortile comune
sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà esclusiva, può apportare a tale recinzione, pur essa
condominiale, senza bisogno di consenso da parte degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che
gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri
condomini e, quindi, procedere anche all'apertura di un varco d'accesso dal cortile condominiale alla sua
proprietà esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile,
come in precedenza.
RISCOSSIONE DI CONTRIBUTI CONDOMINIALI
Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 29
La riscossione dei contributi condominiali in base ad una deliberazione dell'assemblea di approvazione del
relativo stato di ripartizione rientra tra le attribuzioni dell'amministratore ( artt. 1130 1131, Codice civile), il quale
per ottenere il pagamento può avvalersi del decreto ingiuntivo nell'interesse comune senza necessità di una
preventiva autorizzazione dell'assemblea, e a fortiori può impugnare la sentenza che sia stata emessa nel
giudizio nel quale abbia rivestito la qualità di parte.
AMMINISTRAZIONE DELLA COSA COMUNE E INERZIA DELL'ASSEMBLEA
Tribunale Napoli, sez. X, 10 febbraio 2000, n. 1927
Assemblea - Amministrazione della cosa comune - Inerzia dell'assemblea - Ricorso in sede di volontaria
giurisdizione - Legittimazione del condominio - Condizioni e limiti
Il ricorso all'Autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione, previsto dall'art. 1105, quarto comma, Codice
civile, presuppone l'inerzia dell'assemblea nell'adottare quei provvedimenti necessari per l'amministrazione della
cosa comune, o provvedimenti dell'amministratore che non esegua le decisioni prese dall'organo deliberante
l'atto. Ne consegue che, ove tale presupposto venga meno, ancorché l'A.G. sia già intervenuta, per esercitare i
poteri di supplenza conferitale dalla norma in esame, è consentito ai condomini di provvedere
all'amministrazione della cosa comune attraverso i propri organi.
ESERCIZIO DI ATTIVITA' APERTE AL PUBBLICO
Tribunale Napoli, sez. IV, 3 febbraio 2000, n. 1296
Regolamento condominiale - Destinazione d'uso - Attività di scuola di danza - Divieto
L'esercizio dell'attività di "scuola di danza" all'interno di un fabbricato condominiale costituisce attività idonea a
determinare un turbamento del bene e della tranquillità degli altri partecipanti al condominio che, se tutelati da
espressa norma regolamentare, come nel caso di specie, è vietata. L'obbligo per il singolo condomino di
adeguarsi a detta norma discende in via immediata e diretta ex contratto, per il principio generale espresso
dall'art. 1137, Codice civile.
PASSAGGIO DI CONSEGNE TRA AMMINISTRATORI
Tribunale Milano 24 gennaio 2000, n. 646
Amministratore - Documentazione - Passaggio di consegne - Obbligo - Proponibilità del ricorso d'urgenza
Sussiste il diritto della collettività ad ottenere la consegna del cessato amministratore della documentazione
inerente lo svolgimento del mandato di gestione delle cose comuni e, in particolare, della documentazione
relativa al personale dipendente e alla esecuzione di lavori straordinari, diritto che ben può essere fatto valere
attraverso il procedimento d'urgenza.
RESPONSABILITA' DELL'AMMINISTRATORE USCENTE PER I DEBITI RIMASTI INSOLUTI
Giudice di Pace Milano 31 gennaio 2000, n. 837
Amministratore - Passaggio di consegne - Mancata informazione dell'esistenza di un debito - Oneri aggiuntivi Responsabilità dell'amministratore uscente
L'ex amministratore che non abbia provveduto al pagamento di un fornitore e non abbia informato dell'esistenza
di un debito il suo successore, senza peraltro aver fornito in giudizio alcuna giustificazione di tale mancato
pagamento, è tenuto a rimborsare al condominio la differenza tra l'originario credito del terzo fornitore e quanto il
condominio sia stato costretto a pagare a seguito di azione giudiziaria da parte del terzo medesimo.
RISARCIMENTO DEI DANNI DOVUTI A INFILTRAZIONE DI ACQUA
Tribunale Firenze 15 maggio 2000, n.330
Oneri condominiali – Richiesta giudiziale di pagamento – Eccezione del convenuto di esistenza di un giudizio
instaurato per risarcimento di danni da infiltrazioni nella proprietà esclusiva – Ipotesi di pregiudizialità –
Esclusione
L’esistenza di un contenzioso instaurato da un condomino nei confronti del condominio per ottenere il
risarcimento dei danni causati dall’esistenza di infiltrazioni di acqua nella proprietà esclusiva, avendo un oggetto
di causa completamente diverso da quello instaurato successivamente dal condominio, nei confronti dello
stesso proprietario, per il mancato pagamento di oneri condominiali di sua spettanza, non costituisce un’ipotesi
di pregiudizialità e, quindi, non può essere disposta la sospensione del giudizio instaurato per secondo.
La mancata contestazione, come nel caso di specie, degli importi richiesti e dalla sussistenza delle delibere
condominiali e il mancato svolgimento di tempestive impugnazioni avverso le delibere assembleari, determinanti
le quote e gli importi posti a carico dei condomini, comporta sul piano giuridico il riconoscimento da parte del
condomino convenuto del credito del condominio.
RESPONSABILITA’ DELL’AMMINISTRATORE
Tribunale Milano 15 maggio 2000, n. 5883
Amministratore – Responsabilità – Risarcimento del danno – Solidarietà fra due amministratori
Non apparendo credibile che l’amministratore (n.d.r. subentrato nella carica nel corso dell’esercizio) abbia
omesso un comportamento di ordinaria diligenza quale il controllo dei rendiconti (n.d.r. di fatto stilati dal suo
predecessore) e della relativa documentazione al momento dell’assunzione del mandato, ed avendo egli
illustrato all’assemblea per ottenere l’approvazione il rendiconto dell’esercizio, deve ritenersi lo stesso
responsabile – in solido con il suo predecessore – dei danni causati al condominio che derivassero da
irregolarità presenti nel rendiconto medesimo
VARIAZIONE DI DESTINAZIONE D’USO
Tribunale Milano provvedimento reso in giudizio cautelare R.G.34286/2000
Variazione di destinazione – Assemblea – Richiesta di autorizzazioneLa mancata richiesta di autorizzazione per
l’esecuzione dei lavori all’amministratore non può di per sé rappresentare esito in ogni caso preclusivo della
facoltà del condomino di procedere a variazioni di destinazione della propria unità, la mancata autorizzazione (in
via amministrativa e assembleare) potendo rappresentare non già un discrezionale divieto all’esercizio di facoltà
d’uso della cosa privata ma solo una ricognizione della non corrispondenza di tale esercizio a vincoli normativi o
convenzionali e come tale rimanendo sempre soggetta a valutazione di liceità in sede contenziosa.
IMMISSIONI ILLECITE
Cass. civ. sez. II 2 giugno 2000, n. 7420 –
Le propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale tollerabilità costituiscono un fatto
illecito perseguibile, in via comulativa, con l’azione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura
negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura
personale), a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio medesimo abbia assunto i connotati della
temporaneità e non della definitività.
USO DELLE PERTINENZE
Cass. civ.,sez. II, 10 maggio 2000, n. 6001 –
Una pertinenza in comunione può essere destinata al contemporaneo servizio di più cose principali appartenenti
ciascuna in proprietà esclusiva ai condomini della pertinenza.
USO DELLE PARTI COMUNI
La cosa comune, ai sensi dell’art. 1102, Codice civile, può essere utilizzata dal condomino anche in modo
particolare e diverso rispetto alla sua normale destinazione se ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti
utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari, e non determini pregiudizievoli invadenze dell’ambito
dei coesistenti diritti di costoro (nella specie, utilizzazione, da parte di un condomino, degli scariche condominiali
senza alterarne la destinazione e senza impedirne pari uso, attuale o potenziali, agli altri condomini).
IMPUGNAZIONE DELLA DELIBERA DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE STRAORDINARIE
Tribunale di Napoli, sez. XI, 15 maggio 2000, n. 6516
L’esecuzione di lavori per un importo elevato rientra tra le opere di straordinaria manutenzione, per la
approvazione delle quali necessita la maggioranza qualificata, di cui all’art. 1136, quarto comma del Codice
civile, e, cioè, la metà più uno degli intervenuti ed almeno la metà dei millesimi.
Il riparto della relativa spesa deve necessariamente essere effettuato in base a tabella, anche per quanto
concerne il solo fondo di accantonamento ad essa destinato.
Il condomino che intenda impugnare una delibera assembleare vi ha comunque interesse, indipendentemente
dal risultato, in quanto detto interesse consiste nella rimozione della delibera impugnata.
La delibera con la quale si approva un consuntivo (già approvato in altra assemblea) nonostante la mancata
verifica della documentazione contabile richiesta dai condomini e posta all’ordine del giorno della assemblea,
non costituisce "ratifica" di una precedente delibera, bensì nuova delibera che, atteso, appunto, il mancato
riscontro, è viziata da accesso di potere, determinante un’errata formazione del consenso assembleare e,
pertanto, soggetta ad annullabilità.
RESPONSABILITA’ PER DANNI DERIVATI ALLA PROPRIETA’ INDIVIDUALE
Tribunale Napoli, sez. V, 12 maggio 2000, n. 6612
Il condominio non può essere ritenuto responsabile dei danni derivati alla proprietà individuale del singolo
condomino a causa della cattiva esecuzione, da parte dell’impresa designata, di lavori di natura condominiale,
essendo, invece, responsabile degli stessi l’impresa esecutrice di detti lavori, nei cui confronti va richiesto il
risarcimento del danno, a meno non si possa attribuire al condominio una "culpa in eligendo" nella scelta
dell’impresa da parte del committente.
CORTILI E CAVEDI
Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4350.
Parti comuni dell’edificio – Cortili, chiostrine, finestre – Cavedio – Nozione
Il cavedio – talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce – è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto
dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell’edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a
locali secondari ( quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi ), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico
del cortile, espressamente contemplato dall’ art. 1117, n. 1, Codice civile, tra i beni comuni, salvo specifico titolo
contrario.
AZIONI A DIFESA DELLA COSA COMUNE
Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4345
Azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune – Necessità d’integrazione del contraddittorio nei confronti degli
altri partecipanti alla comunione – Esclusione
Le azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune possono essere esperite dai singoli condomini senza che sia
necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione.
AREE DESTINATE A PARCHEGGIO
Cass. civ. sez.II, 5 aprile 2000, n.4197
Area di parcheggio – Alienazione degli appartamenti di un immobile – Elusione del vincolo di destinazione
dell’area di parcheggio – Violazione di una norma edilizia – Diritto al risarcimento dei soggetti privati del
godimento dell’area – Configurabilità
Di fronte alla violazione di norme pubblicistiche incidenti sul regime della proprietà privata, la posizione del
privato che subisca un danno è pur sempre posizione di diritto soggettivo, onde il danno segue al mancato
godimento del bene, oggetto del diritto riconosciuto. (Fattispecie in tema d’alienazione degli appartamenti di un
immobile, con elusione del vincolo di destinazione dell’area di parcheggio edificata ai sensi dell’art.41 sexies
della legge 17 agosto 1942, n.1150, aggiunto dall’art.18 della legge "ponte").
APERTURA DI VEDUTE
Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2000, n. 4190
Distanze legali delle costruzioni dalle vedute – Rapporti tra condomini – Obbligo d’osservanza delle distanze –
Sussistenza
Le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra condomini di un
edificio in quanto l’art.1102, Codice civile, non deroga al disposto dell’art.907, Codice civile
DOMICILIO DEL CONDOMINIO
Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2000, n. 976
Domicilio del condominio - Individuazione - Criteri
Il condominio di edifici, che non è una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in
senso tecnico, ove non abbia designato nell'ambito dell'edificio un luogo espressamente destinato e di fatto
utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con
quello privato dell'amministratore che lo rappresenta.
QUANDO SORGE L'OBBLIGO DI ADEMPIERE AL PAGAMENTO DELLE SPESE
Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 857
Contributi e spese condominiali - Obbligazioni del condomino - Insorgenza dell'obbligo di effettuare il pagamento
L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva
non dalla preventiva approvazione della spesa e della ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione
dell'attività di manutenzione e sorge, quindi, per effetto dell'attività gestionale concretamente compiuta e non per
effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione
( nella specie avendo il condomino ammesso di non avere pagato le quote richieste e non contestato il loro
ammontare, è stata ritenuta superflua e priva di fondamento ogni altra questione, ivi compresa quella
concernente la nullità delle deliberazioni assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo emanato nei
suoi confronti).
DIFFERENTE ESERCIZIO DEL DIRITTO DI POSSESSO SULLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 855
Parti comuni dell'edificio - Possesso - Modalità di esercizio - Differenze - Obbiettiva utilità ai piani o alle porzioni
di piano a cui sono collegate ovvero alle attività dei rispettivi proprietari
Il possesso dei condomini sulle parti comuni di un edificio si esercita diversamente a seconda che le cose, gli
impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o
per destinazione funzionale ( come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari,
oggettivamente utili per la statica ), oppure siano utili soggettivamente, e perciò la loro unione materiale o la
destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività dei rispettivi proprietari ( come ad
esempio per scale, portoni, anditi, portici stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o l'aria
condizionata ). Infatti nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di
piano - soltanto per traslato proprietario - trae da tali utilità; nel secondo caso nell'espletamento delle predetta
attività da parte da parte del proprietario.
ASSEMBLEA CONVOCATA IN ORA NOTTURNA
Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2000, n. 697
Assemblea dei condomini - Convocazione - Orario della convocazione - Limiti - Esclusione
In mancanza di una norma che disponga il contrario, non esistono limiti di orario alla convocazione di
un'assemblea condominiale; né la fissazione di un'assemblea in ora notturna può ritenersi completamente
preclusiva della possibilità di parteciparvi. Ne consegue che non sono applicabili, ai fine della verifica della
regolare costituzione dell'assemblea e della validità delle delibere adottate in seconda convocazione, allorché, in
prima, l'assemblea stessa sia andata deserta a causa dell'orario notturno, le maggioranze richieste dall'art.
1136, Codice civile con riferimento alla validità delle deliberazioni adottate in prima convocazione.
RIPARTIZIONE DELLE SPESE DEL LASTRICO SOLARE
Appello Milano 11 gennaio 2000, n. 4, a conferma Tribunale Milano del 27 novembre 1995, n. 10618
Lastrico solare - Duplice funzione: calpestio e copertura - Ripartizione delle spese - onere della manutenzione
I lastrici solari, in generale, assolvono a una duplice funzione di copertura e di piano di calpestio, e tali diverse
funzioni possono essere anche a favore di soggetti diversi, come è evidente nell'ipotesi di lastrico che, pur
coprendo una porzione di edificio condominiale ( e in tale funzione servendo una pluralità di condomini), sia
come piano di calpestio, in proprietà superficiaria esclusiva, ovvero in uso esclusivo di godimento di un singolo
condomino ( conforme Cass. sez. un., 29 aprile 1997, n. 3672 ). La duplicità di funzioni assolte da un lastrico
solare comporta dunque che in applicazione dei criteri desumibili dagli artt. 1123 e 1126, Codice civile,
l'obbligazione propter rem di tutelarne l'integrità e quindi di provvedere alla manutenzione e conservazione vada
attribuita sia al soggetto per cui funge da copertura, sia a quello che ne gode come piano di calpestio. La
particolarità di una situazione che vede praticamente rovesciate le posizioni presupposte dall'art. 1126, ove cioè
la pluralità dei condomini gode del piano di calpestio, mentre la copertura serve ad un solo condomino, potrebbe
suggerire una diversa suddivisine dell'onere economico ( la norma chiaramente non intende penalizzare il
singolo condomino ) ma identica rimane la ratio desumibile, ossia una corresponsabilità tra l'intera comunità
condominiale ed il singolo condomino che dal bene trae una particolare ed esclusiva utilità ( come del resto
chiaramente previsto dall'art. 1123, secondo comma, Codice civile ). Deve pertanto ritenersi che l'utilità fornita
come copertura abbia rilevanza pari a quella fornita all'intera comunità condominiale per il calpestio: con la
conseguenza che la responsabilità per i danni derivanti dalla cattiva manutenzione del lastrico solare vanno
posti per metà a carico del condominio e per l'altra a carico del singolo per cui funge da copertura.
ORDINE DEL GIORNO: REQUISITI
Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2000, n. 3634
Assemblea dei condomini - Avviso di convocazione - Ordine del giorno - Contenuto - Elencazione specifica degli
argomenti da trattare - Accertamento della sua completezza
Affinché la delibera di un'assemblea condominiale sia valida è necessario che l'avviso di convocazione elenchi,
sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificatamente gli argomenti da trattare sì da far comprendere i
termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla
partecipazione alla deliberazione. In particolare la disposizione dell'art. 1105, terzo comma, Codice civile,
applicabile anche in materia di condominio di edifici, la quale prescrive che tutti i partecipanti debbano essere
preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta
che nell'avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame
dei singoli punti da parte dell'assemblea. L'accertamento della completezza o meno dell'ordine del giorno di
un'assemblea condominiale, nonché della pertinenza della deliberazione dell'assemblea al tema in discussione
indicato nell'ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, è poi demandato all'apprezzamento
del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
APERTURA DI VEDUTE
Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3421
Distanze legali - Costruzione a distanza inferiore a quella stabilita dall'art. 873, Codice civile - Apertura in essa di
una veduta diretta - Inammissibilità
La disposizione dell'art. 905, Codice civile, secondo cui, per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino si
deve osservare la distanza di un metro e mezzo, va posta in relazione con l'art. 873 dello stesso codice che
prescrive una distanza non minore di tre metri ( o quella maggiore stabilita dai regolamenti edilizi locali ) per le
costruzioni su fondi finitimi. Da ciò consegue, pertanto, che, ove nel compiere la costruzione non sia stata
rispettata la distanza dal fondo del vicino fissata dal Codice civile, non possa aprirsi in detta costruzione una
veduta iure proprietatis.
PRESUNZIONE DI COMUNIONE SULLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3409
Parti comuni dell'edificio - Presunzione di comunione - Titolo contrario - Necessità - Situazione di fatto non
risultante dal titolo - Ininfluenza - Superamento della presunzione
La presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, delle parti comuni indicate dall'art.
1117, Codice civile, può esser superata soltanto se il contrario risulta dal titolo, non dalla singola situazione di
fatto ( principio affermato dalla Cassazione in una specie in cui unitamente all'acquisto del primo piano era stato
acquistato, in proprietà esclusiva, l'accesso ad esso da una scala esterna, mentre era stato murato l'altro
accesso attraverso una scala interna comune, che però costituiva l'unico transito per accedere ai lastrici solari,
comuni anche al proprietario del primo piano ).
AMMINISTRATORE NOMINATO DALL'AUTORITA' GIUDIZIARIA
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli arte. 1105, comma quarto, 1129, comma primo, c.c.
737 e ss. c.p.c. nelle parti in cui non prevedono che il ricorso introduttivo del procedimento per la nomina
dell'amministratore del condominio da parte dell'autorità giudiziaria debba essere notificato agli altri condomini,
questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
* Corte cost., 27 novembre 1974, n. 267, in Arch. civ. 1975, 175.
L'amministratore della cosa comune nominato dall'autorità giudiziaria a norma dell'art. 1105, quarto comma, c.c.,
al pari dell'amministratore nominato dall'assemblea dei comproprietari, ha il mero compito di amministrare, non
già quello di deliberare o di risolvere conflitti di diritti soggettivi tra i vari cointeressati; la risoluzione dei conflitti di
diritti soggettivi tra i comproprietari costituisce, infatti, compito esclusivo dell'autorità giudiziaria in sede
contenziosa, ovvero dell'autonoma condotta contrattuale degli interessati.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1977, n. 571.
Il ricorso all'autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione previsto dall'art. 1105 (quarto comma) c.c., per
l'ipotesi in cui non vengano adottati i provvedimenti necessari all'amministrazione della cosa comune, è
improponibile quando tra i partecipanti alla comunione si controverta sull'esistenza e sull'estensione di diritti
soggettivi.
* Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1974, n. 1765.
Il provvedimento di nomina dell'amministratore adottato dal presidente del tribunale, a norma dell'art. 1129,
comma 1, c.c., sul presupposto che il condominio ne sia sprovvisto, costituisce attività di carattere non
giurisdizionale ma amministrativo, non essendo diretta a risolvere un conflitto di interessi ma solo ad assicurare
al condominio l'esistenza dell'organo necessario per l'espletamento delle incombenze ad esso demandate dalla
legge. Esso non è soggetto a reclamo innanzi alla corte d'appello, mancando una previsione normativa in tal
senso (a differenza del provvedimento di revoca dell'amministratore adottato ai sensi del comma 3 del citato art.
1129 nonché dell'ultimo comma dell'art. 1131, per il quale il reclamo è previsto dall'art. 64 att. c.c.) con
conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., avverso il provvedimento della corte
d'appello che abbia dichiarato inammissibile il reclamo contro lo stesso proposto.
* Cass. civ., sez. II, 13 novembre 1996, n. 9942, Minelli c. Siani ed altri, in Arch. loc. e cond. 1997, 439.
L'amministratore di un compendio immobiliare nominato ex art. 1105, ultimo comma, c.c., non può, in virtù della
fonte giudiziaria dei propri poteri, sottrarsi all'adempimento delle obbligazioni derivanti dalla precedente
gestione. Egli, infatti, è effettivamente estraneo al bene gestito soltanto quale persona fisica, con la
conseguenza che non risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni già contratte nell'interesse comune.
* Trib. civ. Brescia, ord. 24 novembre 1999, Bonfiglio c. Soc. A.S.M. in Arch. loc. e cond. 2000, 98.
E' improponibile il ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. presentato da un condomino nel caso in cui non si adottino i
provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza ovvero se la
deliberazione adottata non venga eseguita: in tali ipotesi deve essere prima promosso il procedimento di
volontaria giurisdizione, in camera di consiglio, previsto dall'art. 1105, quarto comma, cod. civ.
* Pret. civ. Taranto, 12 aprile 1988, Paduano Picciolo c. Condominio Via Di Palma n. 41, Taranto, in Arch. loc. e
cond. 1988, 460.
Allorquando il provvedimento di nomina dell'amministratore di un condominio di edificio da parte dell'autorità
giudiziaria, a norma dell'art. 1129 cod. civ., è impugnato perché affetto da nullità sotto il profilo dell'inesistenza
del condominio, assumendosi che si verta, invece, in tema di comunione di cose, legittimi contraddittori sono
soltanto i comproprietari di queste e non l'amministratore nominato, di cui implicitamente si contesta in radice lo
stesso potere di gestione e rappresentanza. (Nella specie, la C.S., rilevato che era stato citato in giudizio il solo
amministratore anche come comproprietario delle cose comuni, ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei
confronti degli altri compartecipi ai sensi dell'art. 102 cod. proc. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1985, n. 2309, Dalla Bona c. Lauwero.
L'amministratore giudiziario di un condominio è un mandatario dei condomini partecipanti alla comunione e
pertanto il compenso allo stesso spettante, ove non concordato tra le parti, deve essere determinato in sede
contenziosa e non può, quindi, essere liquidato dal giudice che ha provveduto alla nomina a norma dell'art.
1129, primo comma, c.c.
* Corte app. civ. Lecce, sez. dist. Taranto, 3 maggio 1995, Marturano c. Condominio villaggio ‹‹Fatamorgana›› di
Marina di Pulsano, in Arch. loc. e cond. 1996, 73.
La domanda diretta ad ottenere dal giudice la risoluzione del contrasto insorto tra i comunisti in ordine alle sole
modalità di realizzazione di interventi di riparazione della cosa comune, va proposta nelle forme camerali
previste dall'art. 1105, quarto comma cod. civ., a nulla rilevando che, nel corso del giudizio contenzioso a tal fine
promosso, siano sollevate questioni di conflitto su diritti soggettivi influenti sulla scelta della soluzione pratica da
adottare.
* Trib. civ. Monza, 24 febbraio 1987, Mufanò c. Sala e altri, in Arch. loc. e cond. 1987, 529.
a) Danno cagionato da animali
In tema di responsabilità per danni cagionati da animali, l'art. 2052 cod. civ. stabilisce a carico del proprietario
dell'animale una presunzione di colpa a vincere la quale non è sufficiente la prova di avere usato la comune
diligenza nella custodia dell'animale, ma occorre la prova del caso fortuito. In questo è riconducibile anche la
colpa del danneggiato, che, però, per avere effetti liberatori, deve consistere in un comportamento cosciente che
assorba l'intero rapporto causale, e cioè in una condotta che, esponendo il danneggiato al rischio e rendendo
questo per ciò stesso possibile in concreto, si inserisca in detto rapporto con forza determinante.
* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1983, n. 1400, Parini c. Olivari.
La responsabilità sancita dall'art. 2052 c.c. ricorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto, con diretto nesso
causale, dal fatto proprio dell'animale secundum o contra naturam, comprendendosi in tale concetto qualsiasi
atto o moto dell'animale quod sensu caret, che dipenda dalla natura dell'animale medesimo e prescinda
dall'agire dell'uomo.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1977, n. 261.
La presunzione di responsabilità per danno cagionato da animali, ai sensi dell'art. 2052 cod. civ., può essere
superata esclusivamente qualora il proprietario o colui che si serve dell'animale provi il caso fortuito e pertanto
non può attribuirsi identica efficacia liberatoria alla semplice prova dell'uso della normale diligenza nella custodia
dell'animale stesso o della mansuetudine di questo, essendo, pertanto irrilevante che il suo comportamento
dannoso sia stato causato da impulsi interni imprevedibili o inevitabili ed essendo, invece, sufficiente al
permanere della suddetta presunzione che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale, da fatto proprio
dell'animale.
* Cass. civ., sez. III, 6 gennaio 1983, n. 75, Ente Teatr. Op. c. Ricci.
La responsabilità per fatto di animale, di cui all'art. 2052 c.c., riguarda alternativamente il proprietario
dell'animale e chi si serve dell'animale, per tutto il periodo in cui lo ha in uso.
* Pret. civ. Torino, 4 ottobre 1991, in Arch. civ. 1992, n. 3.
b) Divieto di detenzione
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti comuni animali domestici non può essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicché in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacché le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per sé inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatorietà.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028.
La detenzione di animali in un condominio, essendo la suddetta facoltà una esplicazione del diritto dominicale,
può essere vietata solo se il proprietario dell'immobile si sia contrattualmente obbligato a non detenere animali
nel proprio appartamento, non potendo un regolamento condominiale di tipo non contrattuale, quand'anche
approvato a maggioranza, stabilire limiti (oneri reali e servitù) ai diritti ed ai poteri dei condomini sulla loro
proprietà esclusiva, salvo che l'obbligo o il divieto imposto riguardino l'uso, la manutenzione e la eventuale
modifica delle parti di proprietà esclusiva, e siano giustificati dalla necessità di tutelare gli interessi generali del
condominio, come il decoro architettonico dell'edificio.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990,
287.
La detenzione di un animale può integrare in astratto la fattispecie di cui all'art. 844 cod. civ., in quanto tale
norma, interpretata estensivamente, è suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che
abbiano carattere materiale, mediato o indiretto e provochino una situazione di intollerabilità attuale; pertanto, in
mancanza di un regolamento condominiale di tipo contrattuale che vieti al singolo condomino di detenere
animali nell'immobile di sua esclusiva proprietà, la legittimità di tale detenzione deve essere accertata alla luce
dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilità delle immissioni.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990,
287.
Nel caso in cui un regolamento condominiale di tipo contrattuale vieti di tenere animali che possano recare
disturbo ai condomini, il giudice, accertati tali disturbi, può ordinare, con provvedimento di urgenza,
l'allontanamento degli animali dagli appartamenti in cui sono tenuti.
* Trib. civ. Napoli, ord. 25 ottobre 1990, Ragosta ed altri c. Miranda e Cario, in Arch. loc. e cond. 1990, 737.
Il giudice può, con provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ordinare l'allontanamento di animali molesti (
nella specie, cane) dal condominio, affidando l'esecuzione ad organi pubblici, con divieto assoluto di ritorno
nell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Napoli, ord. 8 marzo 1994, in Arch. loc. e cond. 1994, 337.
Qualora una norma contenuta in un regolamento condominiale vieti la detenzione di animali che possano
turbare la quiete o l'igiene della collettività, il semplice possesso di cani o di altri animali non è sufficiente a far
incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato
alla collettività dei condomini sotto il profilo della quiete o dell'igiene.
* Pret. civ. Campobasso, 12 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 176.
Non può l'assemblea, con voto di maggioranza, imporre ad un condomino il divieto di detenere cani negli
appartamenti, ma occorre che il divieto sia posto nel regolamento condominiale.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
L'amministratore del condominio è legittimato ad agire giudizialmente per il rispetto del regolamento e per la
cessazione di molestie derivanti dalla detenzione di animali negli appartamenti, e la competenza in ordine a tale
questione spetta al pretore.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
La delibera assembleare di approvazione del regolamento di condominio presa a maggioranza è invalida,
perché limitativa delle proprietà individuali, nella parte in cui vieta ai condomini di tenere cani anche nelle logge
e nei terrazzi.
* Trib. civ. Messina, 8 aprile 1981, n. 743, in Riv. giur. dottr. leg. e giur. 1981, 53.
c) Immissioni
In caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare ‹‹disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi
natura››, il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale
norma regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, In Arch. loc. e cond. 1991, 792.
d) Omessa custodia e malgoverno
L'art. 672 c.p. configura tre fattispecie criminose: ‹‹lasciar liberi››, ‹‹custodire senza le debite cautele››, ‹‹affidare
a persona inesperta›› animali pericolosi. Consuma la seconda di tali ipotesi colui che, nella sua dimora, tenga un
cane lupo da guardia di grossa taglia, slegato e privo di museruola, quando al medesimo sia possibile portarsi
nell'ingresso, nella portineria e in ogni altro luogo ove siano ammessi i visitatori, per tal modo esposti al rischio di
improvvisi assalti.
* Cass. pen., sez. VI, 17 marzo 1970, n. 684, Fraschini.
L'obbligo di custodire e di governare animali dotati di naturale ed istintiva ferocia o che in determinate
circostanze possano diventare aggressivi incombe sul detentore a qualsiasi titolo. Risponde, quindi, della
contravvenzione di cui all'art. 672 c.p. il custode non proprietario di un cane lupo affidatogli se omette di
osservare le regole di condotta previste dal detto articolo.
* Cass. pen., sez. IV, 29 ottobre 1968, n. 1738, Scali.
Pericolosi per l'altrui incolumità devono ritenersi non soltanto gli animali la cui ferocia è caratteristica naturale o
istintiva, ma tutti quelli che, sebbene domestici, possono divenire pericolosi in determinati casi e determinate
circostanze. Dal novero di questi ultimi non si può escludere il cane normalmente mansueto; per tale categoria di
animali la pericolosità deve essere accertata in concreto considerando la razza di appartenenza ed ogni altro
elemento rilevante.
* Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 1970, n. 822, Bonichini.
Ai fini dell'integrazione del reato p.p. dell'art. 672 n. 1 cod. pen. non occorre l'accertamento della pericolosità
dell'animale né l'esposizione e pericolo della pubblica incolumità e non rileva la durata, ancorché breve,
dell'omessa custodia.
* Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 1982, n. 1942, (ud. 27 ottobre 1981), Nolli.
I cani da guardia in genere, e quelli appartenenti anche per somiglianza alla razza dei pastori tedeschi in
particolare, sono da considerarsi pericolosi e, quindi, rientranti nella disciplina di cui all'art. 672 c.p. (omessa
custodia e malgoverno di animali).
* Cass. civ., sez. I, 8 marzo 1990, n. 1840, Vara c. Pref. Caltaniss.
a) Inquinamento elettromagnetico (telefonia cellulare)
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e l’attivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
l’interesse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
l’installazione e l’attivazione dell’impianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Cons. Stato, sez. VI, ord. 25 marzo 1997, Soc. Omnitel c. Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184 in
Roma e Codacons.
L’installazione di un ripetitore per telefonia cellulare su di un lastrico solare situato in un edificio condominiale
non costituisce violazione dell’art. 1122 c.c., in quanto: a) non sussiste alcun riscontro scientifico della
pericolosità di tale impianto per la salute dei condomini; b) la concessionaria del servizio di telefonia presenti
all’autorità competente un progetto che attesti come l’impianto suddetto non arrechi danni alla statica
dell’edificio.
* Trib. civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella.
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e l’attivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
l’interesse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
l’installazione e l’attivazione dell’impianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Tar Lazio, sez. I, ord. 18 dicembre 1996, n. 3806, Codacons e Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184
in Roma c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e Soc. Omnitel.
b) Installazione
Il diritto all’installazione di antenne ed accessori - sia esso configurabile come diritto soggettivo autonomo che
come facoltà compresa nel diritto primario all’informazione e diretta alla attuazione di questo (art. 21, Cost.) limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino, o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare
(in misura apprezzabile) il diritto di proprietà di colui che deve consentire l’installazione su parte del proprio
immobile. Pertanto, qualora sul terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volontà della maggioranza
dei condomini) un’antenna televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece
installare un’antenna autonoma, l’assemblea dei condomini può vietare tale seconda installazione solo se la
stessa pregiudichi l’uso del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro
pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni. Al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti
l’installazione deve essere considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso può fare accertare il
proprio diritto all’installazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dall’art. 1137 cod.
civ. o, essendo stato presente all’assemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia
manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa.
* Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1985, n. 5399, Acinapura c. Cond. via Colli.
L’art. 1 della L. 6 maggio 1940, n. 554, con lo stabilire che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non
possono opporsi all’installazione nella loro proprietà di aerei esterni destinati al funzionamento di apparecchi
radiofonici appartenenti agli abitanti degli stabili e degli appartamenti stessi, non impone una servitù, ma si limita
all’attribuzione di un diritto, a favore degli abitanti dello stabile e degli appartamenti, all’installazione, e quindi
anche alla manutenzione degli impianti, pure contro la volontà di altri abitanti. Tale diritto non ha contenuto
reale, ma ha natura personale e il titolare di esso, in virtù della detta norma, può esercitarlo indipendentemente
dalla qualità di condomino, per il solo fatto di abitare nello stabile e di essere o diventare utente radio-televisivo.
Conseguentemente, quando il locatario di un appartamento, nell’installare un’antenna televisiva, arrechi danno
al tetto comune dell’edificio, legittimato all’azione di risarcimento del danno proposta dal condominio é il solo
locatario e non anche il locatore-proprietario dell’appartamento.
* Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1986, n. 1176, Cond. Pollaiuol. c. Parodi.
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e l’art. 231 del d.p.r. 29marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari dell’edificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte
di abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dell’utenza il diritto all’installazione dell’antenna sulla terrazza dell’edificio, ferma restando la facoltà del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorché comporti la rimozione od il diverso
collocamento dell’antenna, che resta a carico del suo utente, all’uopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dell’antenna non può essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta all’utente provvedere a sua causa e spese alla rimozione
ed al diverso collocamento dell’antenna.
* Cass. civ., sez. Il, 24 marzo 1994, n. 2862.
Il diritto riconosciuto dall’art. 232, secondo comma, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 ad ogni occupante,
proprietario od inquilino, di unità immobiliari di appoggiare antenne televisive sui muri e sulle coperture dei
fabbricati, si configura come un diritto soggettivo perfetto ed assoluto di natura personale, avente la sua fonte
nella primaria libertà, costituzionalmente garantita, all’informazione e, pertanto, va ritenuto, per sua natura,
insuscettibile di valutazione pecuniaria, con la conseguenza che le azioni ad esso relative rientrano fra quelle da
considerarsi di valore indeterminabile, riservate alla competenza per valore del tribunale, a norma dell’art. 9,
secondo comma, c.p.c.
* Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1993, n. 1139, Carro L. c. Carro A.
In tema di compossesso, ricorre l’ipotesi dello spoglio quando l’atto compiuto dal compossessore (preteso
spoliatore) abbia travalicato i limiti del compossesso (impedendo o rendendo più gravoso l’uso paritario della res
agli altri compossessori), ovvero abbia comportato l’apprensione esclusiva del bene, con mutamento
dell’originario compossesso in possesso esclusivo, ne consegue che, con riguardo all’utilizzazione del tetto di un
immobile da parte di uno dei compossessori mediante l’installazione di un’antenna ricetrasmittente, la
configurabilità di uno spoglio o di una turbativa del possesso nei confronti degli altri compossessori postula,
necessariamente, l’accertamento di un impedimento ad un analogo uso del bene comune da parte di costoro,
conseguente allo specifico comportamento in concreto tenuto dal primo utilizzatore.
* Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1998, n. 5517, Obbialero c. Esposito.
Il diritto di installare l’antenna televisiva comprende la facoltà di compiere tutte le attività necessarie per la messa
in opera, ivi compreso il diritto di accedere temporaneamente attraverso la proprietà aliena, e tale imposizione
del limite al diritto di proprietà è da riconoscersi a favore non solo di chi è titolare di un diritto di comproprietà o di
altri diritti reali sullo stabile, ma anche di chiunque vi abiti a qualunque titolo.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
Il diritto di installazione di antenna non ha natura reale, ovvero non si configura come una speciale limitazione
del diritto di proprietà, inquadrabile in un’ipotesi di servitù coattiva, ma personale, poiché la norma che lo
contempla prescinde, nell’attribuirlo, dalla titolarità di un diritto di proprietà o di un altro diritto reale
sull’appartamento ed ha la propria origine in un rapporto obbligatorio ex lege, onde lo stesso ha diretta rilevanza
nei confronti del proprietario o del condominio e, come tale, è da ritenersi azionabile dinanzi al giudice ordinario.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
E' tutelabile ex art. 700 cod. proc. civ. il diritto dei condomini di un edificio di passare attraverso l’appartamento
di un altro condomino al fine di poter installare un’antenna televisiva sul tetto dell’edificio, purché non ne risulti
menomato, in modo apprezzabile, il diritto di proprietà di quest’ultimo.
* Pret. civ. Roma, ord. 16 dicembre 1989, Marras e altri c. Salata.
Il diritto di installare un’antenna TV spetta esclusivamente al condomino e all’inquilino dello stabile interessato
all’installazione, ma non all’utente che non abita in tale stabile. Appare quindi manifestamente infondata
l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 232 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nella parte in cui, in violazione
dell’art. 21 Cost., non prevede la possibilità di installare antenne TV anche sui terrazzi degli stabili adiacenti a
quello in cui abita l’utente ove questi non capti sufficientemente i segnali televisivi con l’antenna installata sul
proprio stabile a causa della interclusione di quest’ultimo tra edifici più alti.
* Corte app. civ. Lecce, 8 febbraio 1994.
L’installazione su di un lastrico solare di proprietà di un condomino di un ripetitore per telefonia cellulare, con
utilizzo delle cose comuni che consista esclusivamente nell’ancoraggio dell’impianto suddetto ai muri esterni,
non configura alcuna violazione dell’art. 1102 cc.
*Trib civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella.
L’inquilino di un immobile condominiale ha un diritto personale e non reale, ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 6
agosto 1990, n. 233, di installare e mantenere qualsiasi tipo di antenna di ricezione televisiva sul terrazzo di
copertura dello stabile (sia comune che di proprietà esclusiva di alcuni condomini) e di compiere tutte le attività
necessarie alla sua messa in opera ed al suo funzionamento: tale diritto — tutelabile in via cautelare col ricorso
ex art. 700 c.p.c. —compete, pertanto, in via autonoma ed immediata, anche al detentore qualificato (conduttore
o comodatario) dell’alloggio.
* Trib. civ. Palermo, 13 maggio 1991.
L’art. 1 della L. 6 maggio 1940 n. 554 — che sancisce il diritto del condomino ad installare un’antenna sul
terrazzo comune o di proprietà altrui — si applica anche all’esercizio di attività radiofonica in una unità
immobiliare sita in un edificio condominiale. Ed infatti siffatta attività, anche se svolta da privati, non solo è
espressione di esercizio di impresa tesa al lucro, ma è altresì strumento di esternazione del pensiero. Il solo
limite è che la installazione non deve in alcun modo impedire il libero uso della proprietà secondo la sua
destinazione né arrecare danni alla proprietà medesima od a terzi.
* Trib. civ. Latina, 16 novembre 1992.
Il diritto all’installazione di una antenna parabolica sul lastrico solare condominiale non va riferito al parametro
dei diritti reali su cosa altrui, ma costituisce una facoltà compresa nell’amplissimo diritto primario alla libera
manifestazione del pensiero ed è, pertanto, soggetto alla tutela prevista dall’art. 700 cod. proc. civ.
*Pret. civ. Manfredonia, 4 maggio 1989, n. 16, Agenzia Ippica c. Condominio Palazzo di Largo San Francesco
nn. 21/42 di Manfredonia
e) Manutenzione
Il difetto di manutenzione dell’antenna televisiva è suscettibile di creare pericolo nella statica dell’antenna
medesima, pregiudicando la ricezione e compromettendo il diritto all’informazione televisiva per cui è legittima la
richiesta di tutela in via d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., da parte del locatore che sia impedito alla
manutenzione predetta dal conduttore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 13 giugno 1983, Durante ed altri c. Gay e altro.
La ristrutturazione dell’antenna centralizzata televisiva già esistente, comportante lo smantellamento delle
strutture preesistenti allo scopo di ampliare la gamma dei programmi da ricevere, non costituisce innovazione.
* Trib. civ. Genova, 18 giugno 1988, n. 1850.
Il passaggio di un radioamatore e del personale tecnico da questi incaricato attraverso l’abitazione di un
condomino, al fine di eseguire dalle finestre di esso interventi di riparazione o manutenzione di cavi di
collegamento ad una antenna installata sul tetto dell’edificio condominiale, con sacrificio della libertà di domicilio,
non è consentito dagli artt. 397 e 232 comma 4, del D.P.R. 29marzo 1973, n. 156, interpretati in modo conforme
alla Costituzione, quando gli interventi stessi siano possibili in altro modo, ancorché più costoso.
*Corte app. civ. Milano, 30 giugno 1995.
d) Ponte radio
In materia di radiodiffusione, il reato di cui all’art. 195, secondo comma, D.P.R. n. 156/1973, che si riferisce
soltanto all’installazione o all’esercizio senza concessione di un impianto, non è configurabile in relazione
all’installazione di un semplice "ponte radio", che non può certamente considerarsi autonomo impianto di
radiodiffusione, essendo un semplice "collegamento di telecomunicazione" per migliorare il segnale in un
determinato bacino di utenza.
*Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1997, n. 1653 (cc. 10 aprile 1997), Calcante.
e) Ricetrasmittenti
Il dovere dei comproprietari o coabitanti di un fabbricato di non opporsi a che altro comproprietario o coabitante,
in qualità di radioamatore munito della prescritta autorizzazione amministrativa, installi un’antenna
ricetrasmittente su porzione di proprietà altrui o condominiale, nei limiti in cui ciò non si traduca in
un’apprezzabile menomazione dei loro diritti o della loro possibilità di procedere ad analoga installazione, deve
essere riconosciuto, anche in difetto di un’espressa regolamentazione delle antenne da radioamatore nella
disciplina della legge 6 maggio 1940 n. 554 e del d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, dettata a proposito delle antenne
per la ricezione radiotelevisiva, tenuto conto che tale dovere, anche per le antenne radiotelevisive, non si
ricollega ad un diritto dell’installatore costituito dalla citata normativa, ma ad una sua facoltà compresa nel diritto
primario alla libera manifestazione del proprio pensiero e ricezione del pensiero altrui, contemplato dall’art. 21
della Costituzione, e che, pertanto, un pari dovere ed una pari facoltà vanno riconosciuti anche nell’analogo
caso delle antenne da radioamatore.
* Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n. 7418, Rudelli c. Cerina.
Il titolare del diritto di installazione di un’antenna ricetrasmittente può legittimamente rinunciare a determinate
modalità di esercizio di tale diritto. Per essere valida, la suddetta rinuncia deve essere manifestazione di una
libera e cosciente determinazione della volontà di disporre del proprio diritto, nonché risultare da espressioni
incontrovertibii rivelatrici di un intento chiaro in tal senso. (Fattispecie in ordine a clausole, contenute in un
contratto di locazione, relative alle modalità di uso di un’antenna radioamatoriale installata sul tetto dell’immobile
locato).
* Trib. civ. Milano, 15 dicembre 1997, Sfreddo e. Campeotto. [99800621]
L’impedimento all’esercizio del diritto di installazione di antenna ricetrasmittente sul terrazzo condominiale
(manifestatosi attraverso il rifiuto opposto da alcuni condomini di consentire ai tecnici di accedere alla terrazza
per riparare l’antenna, nonché attraverso il rifiuto dell’amministratore di consegnare le chiavi della porta di
accesso ditale terrazza) non legittima l’azione di reintegrazione, in quanto il predetto diritto non ha natura reale,
ma personale, spettando a chiunque abiti nel condominio.
* Pret. civ. Roma, ord. 13 luglio 1987, Ciocca e Soc. Road Runner c. Condominio Via De Saint Bon, 49 di Roma.
Con riguardo ad un edificio in condominio ancorché dotato di antenna televisiva centralizzata, né l’assemblea
dei condomini, né il regolamento da questa approvato possono vietare l’installazione di singole antenne
ricetrasmittenti sul tetto comune da parte dei condomini, in quanto in tal modo non vengono disciplinate le
modalità di uso della cosa comune, ma viene ad essere menomato il diritto di ciascun condomino all’uso della
copertura comune, incidendo sul diritto di proprietà dello stesso.
* Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7825, Del Degan c. Cond. Malbor. Ud.
Ai sensi dell’art. 1 lett. g), L. 28 dicembre 1993, n. 561, l’esercizio senza autorizzazione di impianto radioelettrico
ricetrasmittente, previsto dall’art. 195 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, non costituisce più reato ed è soggetto
soltanto al pagamento di una sanzione amministrativa.
* Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1994, n. 3969 (ud. 16 maggio 1994), Cazzola.
f) Sul balcone di un appartamento
E' da ritenersi lecita l’installazione sul balcone di un appartamento condominiale di una antenna televisiva
trasmittente non diversa dalle comuni antenne riceventi, non potendo essere qualificati innovazioni gli atti di
maggior utilizzazione della cosa comune che non importino alterazione o modificazione e non precludano agli
altri condomini un uguale maggior uso.
Trib. civ. Roma, 27 ottobre 1980, Cond. via Govoni 1 c. Aladino S.p.a. e altro.
AREE VERDI CONDOMINIALI
L'indagine sull'uso della cosa comune da parte del condomino, ai fini della valutazione della sussistenza e della
liceità o meno dell'alterazione o del mutamento di destinazione del bene e della salvezza del pari uso da parte
degli altri condomini, va compiuta con riferimento non alla sola parte della cosa comune oggetto diretto della
modificazione, bensì alla cosa stessa nella sua interezza. Pertanto, nel caso in cui un condomino abbia
eliminato un tratto dell'aiuola condominiale (antistante un proprio vano) rendendola carrabile, la sussistenza
dell'alterazione o del mutamento di destinazione deve essere accertata con riguardo all'aiuola
complessivamente considerata.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1984, n. 2206, Sansalone c. Cond. Somma Dona.
Nel caso in cui un condomino chieda il risarcimento dei danni ed, innanzitutto, l'eliminazione totale o parziale di
alberi che, piantati a distanza ravvicinata l'uno dall'altro in un'aiuola comune, con le loro chiome a ridosso del
proprio alloggio impediscano l'ingresso a questo dell'aria e della luce, tale questione deve essere risolta non
soltanto alla stregua dell'art. 892 c.c., occorrendo invece indagare se la mancata manutenzione degli alberi,
anche se piantati alla distanza legale, non costituisca un comportamento negligente del condominio, idoneo a
cagionare ingiusto danno ed a violare il principio per il quale l'uso delle parti comuni non deve mai risolversi in
pregiudizio di alcun condomino.
* Cass. civ., sez. I, 24 agosto 1992, n. 9829, Corso ed altri c. Condominio di Via Castellino n.
115 di Napoli.
Nella nozione di superficie condominiale a verde che, ai sensi dell'art. 13, lett. f), della L. 27 luglio 1978, n. 392,
nella misura percentuale del 10 per cento, si traduce in una maggiore superficie convenzionale di un'unità
immobiliare facente parte di un edificio in condominio (in proporzione alla relativa quota millesimale) ai fini della
determinazione del canone di locazione, non rientrano soltanto quelle aree che - arricchite da fiori, piante,
panchine, ecc.- vengono ad impreziosire lo svolgimento della vita dei condomini, perché anche un semplice
prato realizza quel minimo di godimento estetico, di più serena vivibilità dell'abitazione e di riservatezza che il
legislatore ha inteso valorizzare, con esclusione, invece delle superfici scoperte mantenute allo stato naturale, le
quali sviliscono, più che esaltare, il conseguimento delle finalità perseguite dal legislatore.
* Cass. civ., 17 aprile 1991, n. 4113.
La copertura a lastrico, sovrastata da terra e da manto erboso, che assolva anche alla funzione di sostenere
un'area verde condominiale, rientra nelle parti necessariamente comuni.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Ravà n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilità ritratta, che può equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dell'amministratore, ed è l'assemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Ravà n. 1 in Parma.
ASCENSORE CONDOMINIALE
SOMMARIO: a) Condominio multiscale; b) Gettoniera; c) Impignorabilità; d) Installazione; e) Limitazioni all'uso;
f) Locali macchina; g) Manutenzione e conservazione; h) Presunzione di comunione; i) Proprietari dei locali al
piano terreno; I) Separato godimento; m) Sostituzione; n)Spese (ripartizione).
a) Condominio multiscale
Se in un unico complesso condominiale esiste una pluralità di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali serve,
per obiettiva destinazione, in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, essa
cosa o servizio deve considerarsi comune non già alla totalità dei condomini. bensì soltanto a quella parte di
essi al cui uso comune è funzionalmente e strutturalmente destinata. (Nella specie, in relazione ad un edificio
condominiale fornito di due scale, ciascuna delle quali destinata a servire esclusivamente gli appartamenti cui dà
accesso, è stato escluso che, deliberata la installazione dell'ascensore in una delle scale, potesse opporvisi un
condomino proprietario di appartamento servito dall'altra scala)
*Cass. civ., 26 gennaio 1971, n. 196.
In un condominio ove siano due scale è da applicarsi per il collocamento dell'ascensore il condominio parziale;
inoltre in applicazione dell'art. 2, L. n. 13/89 le maggioranze sono quelle previste dall'art. 1136 secondo e terzo
comma c.c.
*Trib. civ., Milano, 12 aprile 1990, in L'Amministratore 1990, n. 5.
In un condominio multiscale e dovendo occupare gli ascensori parte del cortile comune le decisioni spettano
all'assemblea globale. Per il vantaggio che l'innovazione porta può essere sacrificato 1'uso degli spazi occupati
dagli impianti degli ascensori stessi.
Trib. civ., Milano, 21 dicembre 1989, in L'Amministratore 1990, n. 7/8.
b) Gettoniera
Nei regolamenti condominiali, accettati in seno agli atti di acquisto delle singole unità immobiliari. hanno natura
negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini, mentre hanno
natura tipicamente regolamentare quelle che concernono le modalità d 'uso delle cose comuni e, in genere,
l’organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, e che non riguardano quindi il diritto alloro
godimento, né qualsivoglia altro diritto spettante ai condomini come tali. Le disposizioni oggettivamente
regolamentari, a differenza di quelle a contenuto negoziale, possono essere modificate con deliberazione
assembleare maggioritaria, ai sensi dell'art. 1136 c.c., pur se formalmente inserite in un regolamento a tipo
contrattuale. (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato le legittimità della deliberazione assembleare
maggioritaria, che aveva disposto l'installazione di una gettoniera nell'ascensore, in deroga alla disposizione a
contenuto regolamentare, fissata in un regolamento condominiale a tipo contrattuale, prevedente un sistema
diverso di pagamento delle spese relative all'ascensore stesso).
*Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1976. n. 864.
L'installazione della gettoniera al servizio dell'ascensore, comporta una notevole incidenza sull'economia del
servizio in quanto risulta addirittura mutato il sistema di reperimento dei fondi necessari per l'esercizio del
servizio.
*Trib. civ., Roma, 25 marzo 1964, n. 1225.
c) Impignorabilità
Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici
nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorché
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed
unitaria degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ciò consegue che l'ascensore
e l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che I' opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilità, in quanto tendente a
contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell'art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.
*Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654; conf. Cass. 27 febbraio 1976, n. 653.
d) Installazione
La installazione in un edificio in condominio (o in una parte di esso) di un ascensore di cui prima esso era
sprovvisto costituisce, ai sensi dell'art. 1120. primo comma, c.c., una innovazione, con la conseguenza che la
relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c., secondo
cui l'approvazione deve avvenire "con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell'edificio". L'installazione di un ascensore in un edificio in condominio (o
parte autonoma di esso), che ne sia sprovvisto, può essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di
separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri
di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione
dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera. Sono innovazioni vietate, che, quindi, debbono essere
approvate dalla unanimità dei condomini, soltanto quelle che, pur essendo volute dalla maggioranza
nell'interesse del condominio, compromettono la facoltà di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto
degli altri, mentre non lo sono quelle che compromettono qualche facoltà di godimento per tutti i condomini. A
meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, al
posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente a pianterreno, si immette un impianto di ascensore, a
cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio
nell'identico modo originario non contrasta con la norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c. perché, se pur
resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto
migliore, onde la posizione dei dissenzienti è salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della
comunione del nuovo impianto.
*Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1975, n. 2696.
L'art. 1120 cc., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con
determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di
spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante
può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto e può apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie
per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha
facoltà di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione
degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
*Cass. civ., sez. II, 12febbraio 1993, n. 1781, Fonti e altri c. Colombo e altri.
Il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilità dell'originario godimento della cosa
comune è offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto.
*Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1994, n. 4152. Bava c. Condominio edificio in C.so Vittorio Emanuele.
L'opera nuova può dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, è stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in proprietà esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
*Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840, Chiappara c. Villari.
L'installazione di un servizio in precedenza inesistente, suscettibile di uso separato ed a spese del solo
condomino interessato non richiede l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza qualificata
richiesta per le innovazioni ex art. 1120 cod. civ., trovando, in questo caso, applicazione l'art. 1102 cod. civ.
(Nella fattispecie. trattavasi dell'installazione di un ascensore da parte di un condomino portatore di handicap, il
quale si era accollato l'intero onere delle Spese).
*Trib. civ., Milano, Il maggio 1989, Soli c. Condominio via Ozanam 10/a, Milano, in Arch. loc. e cond. 1990, 325.
Allorché I'uso della cosa comune, pur comportando innovazione, venga effettuato dal singolo condomino a sue
spese e non risulti alterata la destinazione della cosa né ne sia impedito l'uso agli altri condomini. non è
necessaria una preventiva delibera assembleare di approvazione. (Nella specie è stata accolta, in base al
suddetto principio, la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da soggetto affetto da incapacità
deambulatoria che lamentava il rifiuto opposto all'installazione di un impianto di ascensore nel condominio ove
risiedeva).
*Pret. civ., Milano, ord. 19 maggio 1987, Soli e L.E.D.H.A. c. Condominio di via Ozanam 10/A, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1988, 197.
La norma dell'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini
con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino
per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna
applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui ciascun
partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, può apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune, come (nel caso di specie) applicare nella
tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione di tutti i condomini.
*Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Sussiste, alla stregua dell'art. 1102 cod. civ., il diritto del condomino di installare, a proprie cure e spese, un
impianto di ascensore nel vano delle scale in cui è ubicata la propria unità immobiliare, salva la facoltà di ogni
altro condomino interessato di richiedere la partecipazione all'utilizzo dell'opera, previa corresponsione delle
quote di spesa dovute secondo legge.
*Trib. civ., Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989, n. 8434, Quajanni c. Condominio Via Burlamacchi n. 3, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1990, 543.
L'installazione dell'ascensore, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, può essere attuata
anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai
vantaggi della innovazione contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
*Pret. civ., Taranto, ord. 5 ottobre 1993, in Arch. loc. e cond. 1994. 383.
In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare, che, pur senza approvare uno specifico progetto e
preventivo di spesa, autorizzi l'installazione di un ascensore ad opera ed a spese di un singolo condomino. ma
con salvezza del diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque momento ai vantaggi dell'installazione
medesima, tramite contributo ai costi di esecuzione e manutenzione, configura innovazione diretta al
miglioramento della cosa comune, e come tale, è validamente adottata con le maggioranze prescritte dall'art.
1136 quinto comma. c.c..Né sulla legittimità di detta delibera incide l'indicata mancanza di progetto e di
preventivo, la quale comporta soltanto la necessità che la delibera stessa venga integrata da successive
decisioni assembleari, per determinare le modalità di attuazione ed esecuzione dell'innovazione, nel rispetto dei
limiti e dei divieti fissati dal secondo comma dell'art. 1120 c.c..
*Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4921, Molinari c. Cond. V.S. Stefano.
Costituisce innovazione vietata ex art. 1120, secondo comma, c.c., 1'installazione di un impianto di ascensore
che, rispettando le dimensioni minime della cabina previste dalle prescrizioni tecniche sia della legge nazionale
che di quella regionale, comporti una riduzione del piano di calpestio dei vari piani.
*Trib. civ., Milano, 23 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Ciascun condomino può procedere alla installazione, a proprie cure e spese, di un impianto di ascensore, salva
la facoltà degli altri condomini di chiedere la partecipazione all'uso previa corresponsione della quota di spesa, e
semprechè non venga alterata la destinazione della cosa comune e non venga impedito agli altri condomini di
farne parimenti uso.
*Pret. civ., Messina, ord. 7 dicembre 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
Nel caso in cui i condomini siano gravati, in base ad un atto pubblico di acquisto, dalla servitù passiva di
installazione di un ascensore a favore di una singola porzione immobiliare, non occorre una nuova
manifestazione di volontà in sede di assemblea condominiale per autorizzare tale installazione e la realizzazione
delle relative opere.
*Pret. civ., Roma, sez. IV, 28 giugno 1994, n.4191, Orsini c. Rossetti, Albertazzi e altri, in Arch. loc. e cond.
1994, 846.
Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
*Trib. civ., Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un più proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
*Trib. civ., Milano, 9 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Non sussiste alcun concreto interesse ad impugnare una deliberazione dell'assemblea condominiale che si limiti
a disporre l'installazione di un ascensore rinviando ad una successiva riunione l'approvazione della spesa e la
relativa ripartizione, non potendo affatto escludersi che l'assemblea non approvi la spesa e non potendo in ogni
caso prefigurarsi quale potrebbe essere l'effettivo contenuto di una futura deliberazione sulla materia.
*Trib. civ., Milano. 18 aprile 1991. in Arch. loc. e cond. 1992. 154.
Quando l'installazione di un ascensore consiste in un uso più intenso della cosa comune, senza alterazione
della sua destinazione e senza sottrazione agli altri condomini del pari uso della cosa, si ha uso della cosa
comune ai sensi dell'art. 1102 e non innovazione ex art. 1120.
*Trib. civ., Foggia 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'installazione di ascensore nella tromba delle scale, pur comportando la riduzione o il venire meno
dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nel modo originario, non contrasta con la norma dell'art. 1120
comma 2 c.c., in quanto, pur se resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne
offre uno diverso e di contenuto migliore, anche alla luce della L. n. 13 del 1989, mentre la posizione dei
dissenzienti è salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto. Pertanto
non sussiste una vera alterazione della destinazione, né si compromette la facoltà di godimento della cosa
comune da parte di tutti i condomini.
*Pret. civ., Catania. ord. 14 maggio 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
L 'installazione dell'ascensore costituisce una delle eccezioni alla regola dell'applicabilità delle norme sulle
distanze in campo condominiale in quanto l'ascensore va considerato alla stregua di un impianto indispensabile
ai fini di una civile abitabilità in sintonia con l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n.13008. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La disciplina in materia di distanze non opera per quegli impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di
una reale abitabilità dell'appartamento e che riflettono l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini. Inoltre,
l'art. 3 comma 2 L. n. 13 del 1989, nel porre l'obbligo dell'osservanza delle distanze di cui all'art. 907 c.c. per la
sola ipotesi in cui "tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di
proprietà o uso comune" implicitamente riconosce che tali distanze, se eventualmente applicabili, non debbano
comunque essere osservate con riferimento alle unità immobiliari comprese nel medesimo edificio condominiale.
*Pret. civ., Catania, ord. 20 marzo 1992, in Giur. mer. 1993, 351.
La nullità di una delibera assembleare che abbia disposto l'installazione di un ascensore in uno stabile
condominiale non impedisce che tale installazione possa essere realizzata autonomamente da uno o più singoli
condomini.
*Trib. civ., Napoli, 1 ottobre 1991. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
*Trib. civ., Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 4.
È nulla la delibera - adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di
un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ciò comporti un
sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare di altro condomino.
*Corte app. civ., Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994. n. 3074. Condominio di via Salvator Rosa n. 253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
L'installazione dell'ascensore non può comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condominio, nel qual caso l'innovazione non può essere considerata legittima, e ciò vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989, n. 13.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
Ai sensi della L. n. 13/1989 anche se l'ascensore è da considerarsi innovazione per la sua approvazione sono
sufficienti le semplici maggioranze del secondo e terzo comma dell'art. 1136 e non quelle del quinto comma del
citato articolo.
*Trib. civ., Milano, 14 novembre 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
e) Limitazioni all'uso
Anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile
dall'art. 1102 cod. civ., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine
particolare, con conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle
generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto
spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di
condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo
condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia
compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la
tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze
giornaliere, alla durata e all'eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per
la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali
conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal suddetto uso particolare
dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 aprile l982, n. 2ll7, Colaci c. Cond. V. Casilina.
Integra una molestia possessoria la regolamentazione dell'uso delle cose comuni da parte dell'amministratore di
un condominio, anche se adottata nel convincimento di agire nel legittimo esercizio delle attribuzioni a lui
devolute dall'art. 1130 n. 2 cod. civ. - in difetto di esplicite limitazioni stabilite nel regolamento di condominio e
sempre che tale regolamentazione non risulti giustificata da particolari ragioni connesse, ad esempio, alla
sicurezza dei condomini o dei terzi o alla salvaguardia della stessa conservazione della cosa comune - che
attenti al contenuto del diritto che su di esse compete a ciascun condomino, in violazione dei principi che
regolano l'uso delle cose comuni da parte dei singoli partecipanti alla comunione. È pertanto, illegittimo il divieto
dell'uso del lastrico solare per limitate e temporanee esigenze connesse al trasporto di alcuni mobili da un
appartamento all'altro dello stesso fabbricato, nonché il divieto di usare l'ascensore per il trasporto di materiale
edilizio, ove non si accerti che tale uso risulti concretamente dannoso, sia compromettendo la buona
conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente
utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alla frequenza giornaliera del suddetto uso
particolare e agli inconvenienti che possono derivarne al decoro dell'edificio, tenuto conto delle cautele che
vengono o meno adoperate in ciascun caso concreto per la custodia del materiale trasportato, del numero degli
utenti che normalmente si servono dell'ascensore per accedere alle varie unità immobiliari, nonché di ogni altra
circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto,
possono realmente derivare dal su indicato uso particolare dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1982, n. 686, Colaci c. Cond. Casilina.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, cod. civ. (nella specie, consistenti nella collocazione di una
porta sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministratore del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condomino su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (com)possesso (delle menzionate parti comuni) proposta da
quest'ultimo. Peraltro l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera condominiale che ratifichi,
con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma. cod. civ., le spese relative alle eseguite
innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure tardivamente, sotto il profilo
dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto, facendo venir meno i
connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisabili, con conseguente rigetto nel
merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.
*Pret. civ., Gallarate, 16 gennaio 1990, Steri c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 361.
f) Locali macchina
La servitù di accesso ai locali macchina degli ascensori attraverso il seminterrato di proprietà di un condomino,
comprende il diritto del condominio, e per esso dell'amministratore, ad avere copia delle chiavi di accesso a
detto locale.
*Trib. civ., Napoli, sez. III, 30 ottobre 1993, n. 10600, Cond. di via degli Aranci. n. 25 di Sorrento c. Stinga, in
Arch. loc. e cond. 1994, 597.
g) Manutenzione e conservazione
La Sostituzione dell'argano e del motore di un ascensore condominiale, non può avere altra finalità che la
conservazione dell'ascensore stesso ed è un atto di amministrazione ordinaria della cosa comune, non
comportando innovazione.
*Corte app. civ., Bologna, Sez. II, 1 aprile 1989, n. 273
È da ritenersi inefficace e non produttivo di alcuna conseguenza giuridica in capo al condominio un contratto
decennale di manutenzione degli ascensori stipulato dall'amministratore condominiale senza la preventiva
delibera dell'assemblea, trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione.
*Pret. civ., Bologna, 28 novembre 1992, n. 948.
h) Presunzione di comunione
L'area di base del vano di corsa dell'ascensore deve considerarsi parte comune dell'edificio, ai sensi dell'art.
1117, n. 3, cc., ed ogni condomino è legittimato a far valere il suo diritto reale sulle aree condominiali e far
cessare occupazioni illecite od usi non consentiti.
*Trib. Civ., Napoli, 15 novembre 1989, in Rass. equo canone 1990, 272.
L'ascensore quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga
installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini non costituisce proprietà comune di tutti i
condomini, bensì appartiene in proprietà a quei condomini che l'hanno impiantato a loro spese, salvo la facoltà
degli altri condomini. prevista dall'art. 1121 ultimo comma c.c., di partecipare successivamente all'innovazione.
*Cass. civ., 18 novembre 1971, n. 3314.
i) Proprietari dei locali al piano terreno
Non risultando il contrario dai titoli di acquisto delle singole proprietà individuali, l'ascensore deve considerarsi di
proprietà comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poiché occorre far riferimento
non all'utilizzo in concreto, ma alla potenzialità del medesimo.
*Corte app. civ., Bologna, sez. II, 1 aprile 1989. n. 273, Zerbini e altri c. Condominio di via Marconi 6, Bologna, in
Arch. loc. e cond. 1990, 67.
Il proprietario di unità immobiliari sue al piano terreno o aventi accesso separato mediante scala in proprietà
esclusiva, è tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale o degli ascensori
comuni, limitatamente a quella parte di oneri che viene suddivisa, ai sensi dell 'art. 1124 cod. civ., in ragione del
valore del piano o della porzione di piano: non è invece dovuta alcuna quota di quella parte di spese ripartite, in
base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo.
*Trib. civ., Monza, 12 novembre 1985, Tarasconi c. Condominio Assiria I di Sesto San Giovanni, in Arch. loc. e
cond. 1986, 299.
L'ascensore è una parte comune anche per i proprietari delle unità condominiali site al piano terra poiché essi
possono trarre utilità dall'impianto, che è idoneo a valorizzare l'intero immobile e normalmente permette di
raggiungere più comodamente parti superiori che sono comuni a tutti.
* Trib. civ., Milano, sez. VIII, 16 marzo 1989, Mazzilli ed altri c. Condominio di via Valassina 45, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1989, 515.
l) Separato godimento
In caso di installazione da parte di un condomino di un ascensore suscettibile di suo separato godimento, trova
applicazione l'art. 1102 cod. civ. - a mente del quale il singolo condomino può apportare alla cosa comune le
modificazioni necessarie al migliore godimento - e non l' arti. 1120 cod. civ.. dettato per le ipotesi di innovazione
della cosa comune, per cui non pare necessaria l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza
qualificata richiesta per le innovazioni e le spese di installazione sono esclusivamente a carico dell'interessato.
*Trib. civ. Milano, 1 maggio 1989. Sole c. Condominio di via Ozanam,10/A di Milano, in Arch. loc. e cond. 1990,
74.
Nel condominio di edificio, in caso di godimento separato di servizi comuni, ai fini della validità delle
deliberazioni assembleari. è configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla
quale è destinato il servizio in separato godimento. (Nella specie, in un edificio in condominio, provvisto di tre
scale, ciascuna fornita di proprio ascensore, la deliberazione assembleare di sostituzione dell'ascensore di una
scala, vecchio, con un ascensore nuovo, era stata presa con maggioranza limitata ai condomini di quella parte
di edificio servita dall'ascensore da sostituire).
*Cass. civ., sez. II, 4 settembre 1970, n. 1188.
In caso di godimento separato di servizi comuni all'interno di un unico condominio, ai fini della validità delle
delibere assembleari è configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla quale
è destinato il servizio in separato godimento. (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore).
*Trib. civ, Milano, 12 aprile 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 336.
m) Sostituzione
La sostituzione di ascensori usurati e non più agibili con ascensori nuovi, anche di tipo e marca diversi, conformi
alle nuove tecniche, non costituisce innovazione poiché le cose comuni oggetto delle modifiche (strutture del
vano ascensore e locali annessi, cabina) non subiscono alcuna sostanziale trasformazione e conservano la loro
destinazione strumentale al servizio, anche se si realizzano mutamenti alla loro conformazione.
*Corte app. civ., Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983, Condominio di via Console Marcello 18/2 di Milano c.
Dondoli, in Arch. loc.e
cond. 1989, 707.
n) Spese
In tema di condominio degli edifici, la disciplina di cui agli arti. 1123, 1125 cod. civ. sul riparto delle spese
inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con patto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento
condominiale, ove abbia natura convenzionale, e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i
partecipanti. Pertanto, con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve
ritenersi valida ed operante la disposizione del suddetto regolamento, che preveda il concorso di tutti i
condomini, inclusi quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive proprietà.
*Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1986, n. 6499, Jannace c. C. V. Petrarca NA.
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bensì alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unità strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di proprietà, compresi i proprietari degli
appartamenti sui al piano terra.
Trib. civ., Parma, sez. II, 29 settembre 1994, n. 859, Paini e altra c. Condominio Elisabetta, in Arch. loc. e cond.
1994, 831.
Le spese che ineriscono al mantenimento e all'uso dell'ascensore - ossia della comodità – vanno ripartite
proporzionalmente fra i condomini in ragione dei diversi piani cui lo stesso è posto al servizio, mentre quelle che
attengono all’impianto come tale, per modificazioni e migliorie, vanno sopportate dai comproprietari in ragione
dei rispettivi millesimi. (Nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che la spesa per la sostituzione dell’argano e
del motore dell’ascensore debba essere ripartita tra i condomini in ragione delle rispettive proprietà millesimali).
Trib. civ., Bologna, sez. V, 27 febbraio 1986, n. 357
ASSISTENZA DELLA FORZA PUBBLICA
SOMMARIO: a) Competenza; b) Discrezionalità: c) Esercizio arbitrario delle proprie ragioni; d) Giurisprudenza
costituzionale; e) Poteri del prefetto: f) Proroga; g) Senzatetto; h) Sospensione.
a) Competenza
Ai fini dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso abitativo. le questioni relative
alla necessità del locatore per la concessione della forza pubblica rientrano nell’esclusiva competenza
dell’autorità prefettizia.
* Pret. civ. Padova, 4 dicembre 1997, n. 1315. Alibardi c. Agostini, in Arch. loc. e cond. 1998, 105.
Le norme di cui al D.L. 30 dicembre 1988. c. 551, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 1989, n. 61,
fanno obbligo al Prefetto di assicurare ai proprietari, in possesso dei requisiti di legge, l’assistenza della forza
pubblica, ma al tempo stesso lasciano alla sua prudente e responsabile valutazione, con riferimento alle diverse
realtà locali, il compito di stabilire - sulla base di criteri predeterminati - il tempo, le modalità e la gradualità
dell’intervento, in guisa da evitare da un lato che l’ordine di rilascio dell’immobile, impartita dal Pretore, risulti
tamquam non esset e, dall’altro, che la sua esecuzione, ove lasciata alle sole cure del proprietario, possa
determinare incontrollabili (per quanto antigiuridiche) reazioni da parte del conduttore sfrattato con possibili
negativi riflessi sull’ordine pubblico. Trattasi di procedimento che assume inequivoche connotazioni di
procedimento amministrativo dal punto di vista sia soggettivo (cioè per l’Autorità cui è affidato il suo svolgimento)
che oggettivo (cioè per gli specifici interessi pubblici che è preordinato a tutelare) per cui ad esso certamente si
applica la legge sulla trasparenza n. 241 del 1990.
* Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 1995, n. 108. Ministero dell’Interno c. Carmignato, in Arch. loc. e cond. 1995,
127.
È illegittimo, perché viziato da incompetenza assoluta, l’atto amministrativo con il quale la Commissione
prefettizia, dopo aver prima graduato la forza pubblica per un determinato giorno, differisce l’esecuzione ad altra
data. Detto atto va disapplicato dal giudice dell’esecuzione investito dell’opposizione agli atti esecutivi.
* Pret. civ. Torre Annunziata, sez. dist. Sorrento, 2 maggio 1994, n. 156, Celentano c. Marotta ed altra, in Arch.
loc. e cond. 1995, 181.
Trascorsi i quarantotto mesi previsti dall’art. 3. n. 5. L. n. 61/1989 entro i quali deve essere concessa l’assistenza
della forza pubblica per l’esecuzione di qualsiasi sfratto ad uso abitativo, anche se per finita locazione, il pretore,
quale giudice dell’esecuzione, non è più competente ad emettere pronunce di decadenza ex artt. 2 e 3 della L.
n. 61/1989 venendo a cessare qualsiasi sua competenza in merito.
* Pret. civ. Roma. sez. V, 19 luglio 1993. n. 4628, Facconio c. Silva, in Arch. loc. e cond. 1993, 802.
Il pretore, quale giudice dell’esecuzione, è incompetente a valutare e decidere in ordine alla mancata
concessione dell’assistenza della forza pubblica negli sfratti per finita locazione ad uso abitativo anche se sono
scaduti i quarantotto mesi previsti dall’art. 3, n. 5. L. n. 61/1989 trattandosi di valutazioni attinenti la
discrezionalità della P.A. e quindi di competenza del giudice amministrativo.
* Pret. civ. Roma, sez. V, ord. 16 luglio 1993, Contera c. Angeli, in Arch. loc. e cond. 1993, 802.
Nel caso di disponibilità di altra abitazione da parte del conduttore, la valutazione dei tempi necessari per la
eliminazione di tutti gli inconvenienti che ostano ad un’immediata utilizzazione dell’immobile medesimo da parte
del proprietario non compete al giudice dell’esecuzione, ma potrà essere effettuata dal prefetto in sede di
assegnazione dell’assistenza della forza pubblica, al fine dell’esecuzione dello sfratto.
* Pret. civ. Napoli, sez. VII, 29 giugno 1991, n. 3603, Troise c. Vigo, in Arch. loc. e cond. 1992, 420.
L’autorità amministrativa (prefetto) non ha alcun potere o facoltà di stabilire se un procedimento di rilascio da
eseguire in un dato circondario, in un determinato periodo di tempo, ricada o meno tra quelli da eseguire con
l’assistenza della forza pubblica. Questo giudizio di specie spetta all’ufficiale giudiziario e - in caso di difficoltà al giudice dell’esecuzione.
* Pret. civ. Pietrasanta, ord. 8 maggio 1990, Nardini e. Ricci, in Arch. loc. e cond. 1990, 575.
L’autorità amministrativa non ha alcun potere o facoltà. ex art. 31. n. 61/1989, di stabilire se un procedimento di
rilascio da eseguirsi in un dato circondario in un determinato periodo di tempo, ricada o meno tra quelli da
eseguire con l’assistenza della forza pubblica, per cui il provvedimento del prefetto che statuisca in tal senso è
inesistente perché preso in carenza assoluta di potere, spettando il relativo giudizio all’ufficiale giudiziario e, in
caso di difficoltà, al giudice dell’esecuzione.
* Pret. civ. Pietrasanta, 24marzo 1990. Mazzotti c. Santanchè, in Arch. loc. e cond. 1990, 342.
L’attività amministrativa del prefetto nell’esecuzione degli sfratti per finita locazione, di cui all’art. 3 D.L. 30
dicembre 1988 n. 551, conv. con mod. dalla L. 21 febbraio 1989, n. 61, non può intaccare il diritto soggettivo
dell’esecutante, di cui all’art. 608 comma secondo c.p.c., di ottenere effettiva esecuzione del provvedimento di
sfratto o di licenza del giudice. Per cui l’esecutante che ha già ottenuto la monitoria e l’accesso dell’ufficiale
giudiziario. di cui all’art. 608 c.p.c., ma non ha ancora ottenuto, per l’interposizione dell’attività prefettizia
all’interno del processo giudiziario, l’effettiva esecuzione dello sfratto, non può essere considerato decaduto dai
suoi diritti, di cui all’ art. 608 c.p.c. e il pretore, investito ex art. 610 c.p.c., può rifissare l’accesso dell’ufficiale
giudiziario.
* Pret. civ. Torino, ord. 1 agosto 1996, Brunelli c. Gualtieri, in Arch. loc. e cond. 1996, 765.
A seguito del mancato accoglimento della richiesta di un privato di accesso a documenti amministrativi
concernenti l’impiego della forza pubblica in riferimento ad una procedura di sfratto, è configurabile una
situazione giuridicamente tutelabile davanti al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 25, quarto comma, della
legge 7 agosto 1990 n. 241 (che individua un caso di giurisdizione esclusiva, poiché la disposizione citata fa
riferimento, senza distinzioni, alle impugnazioni avverso le determinazioni della P.A. concernenti il diritto di
accesso) - fermo restando che appartiene al merito del giudizio l’accertamento circa l’esistenza o meno del
diritto fatto valere - perché il diritto di accesso, disciplinato dagli artt. 22 ss. della legge citata, compresi nel capo
quinto della legge, ha un ambito di applicazione non limitato a quello dei procedimenti amministrativi, regolati dai
capi precedenti, essendo riconosciuto "a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti", e poiché, comunque, la concessione della forza pubblica per l’esecuzione degli sfratti
(procedimentalizzata con l’istituzione a livello provinciale di commissioni consultive per la individuazione dei
criteri circa l’impiego della forza pubblica e l’attribuzione al prefetto della competenza a determinare tali criteri
sulla base di determinate priorità fissate dalla legge: cfr. l’art. 3 DL. n. 708 del 1986, convertito dalla legge n. 899
del 1986 e l’art. 4 del DL. n. 551 del 1988, convertito dalla legge n. 61 del 1989) appartiene interamente ed
esclusivamente all’ambito amministrativo, nonostante il suo collegamento con l’esecuzione di un provvedimento
giurisdizionale.
* Cass. civ., sez. un., 16 dicembre 1996, n. 11214, Prefetto di Roma c. Azzali ed altro, in Arch. loc. e cond. 1997,
223.
b) Discrezionalità
L’azione esecutiva, come strumento del diritto sostanziale, costituisce un diritto soggettivo pubblico del singolo
ad ottenere dallo Stato quelle attività che si rendano necessarie all’esercizio del diritto riconosciuto nel titolo, tra
le quali rientra senza dubbio anche l’uso della forza pubblica: la PA. può negare al privato l’assistenza della
forza pubblica soltanto per comprovate esigenze di servizio, che rendano temporaneamente indisponibile la
forza pubblica e che sostanzialmente costituiscano causa di forza maggiore.
* Trib. civ. Genova, 27maggio 1997, n. 1352, Linoso c. Ministero dell’Interno, in Arch. loc. e cond. 1997, 847.
L’azione esecutiva, in quanto strumentale rispetto al diritto riconosciuto nel titolo, costituisce un diritto soggettivo
pubblico del singolo ad ottenere dallo Stato quelle attività che si rendano necessarie per l’esercizio del diritto
riconosciuto nel titolo e fra tali attività deve senza dubbio annoverarsi l’uso della forza pubblica. Pertanto, il
provvedimento di concessione o di diniego della forza pubblica nell’ipotesi di esecuzione di sfratto non ha
margine di discrezionalità se non con riferimento esclusivamente alla disponibilità della forza e ad eventi
equivalenti (al limite anche per un gravissimo fatto impeditivo per il conduttore, purché assolutamente
momentaneo) e, sempre, per tempi tecnici assolutamente ristretti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 27 ottobre 1981, n. 1694, Min. Interno c. Abbatangelo, in Arch. loc. e cond. 1981,
421.
c) Esercizio arbitrario delle proprie ragioni
Non esclude il reato di esercizio arbitrario di private ragioni la circostanza che la questura abbia concesso
l’assistenza della forza pubblica e ne abbia dato pubblica notizia, qualora il locatore, nel giorno fissato per
l’esecuzione dello sfratto, provveda a sostituire la serratura della porta dell’appartamento del conduttore, in
assenza dell’ufficiale giudiziario.
* Pret. pen. Milano, sez. I, 28 ottobre 1993, n. 4536, Catapano e altra, in Arch. loc. e cond. 1994, 143.
d) Giurisprudenza costituzionale
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del d. l. 30 dicembre 1988,
n. 551 (Misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità abitative), convertito con
modificazioni nella l. 21febbraio 1989. n. 61, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto
non vi è alcuna omogeneità fra l’ipotesi che il locatore faccia valere la propria necessità come causa di priorità
nell’ottenimento della forza pubblica, ai fini dell’esecuzione del proprio titolo rispetto ad altri locatori richiedenti
del pari la detta assistenza, e l’ipotesi che il conduttore esecutato intenda far valere la non persistenza della
necessità del locatore, accertata nel giudizio di cognizione fra le dette due parti, per opporsi all’esecuzione
promossa dal locatore.
* Corte cost., ord. 26 marzo 1989, n. 142. Panariello c. Castellano, in Arch. loc. e cond. 1990, 207.
e) Poteri del prefetto
È illegittimo il decreto prefettizio di costituzione della commissione sui criteri di concessione della forza pubblica
per l’esecuzione dei rilasci di immobili ad uso abitativo e di cui all’art. 4 L. 22 febbraio 1989. n. 61, ove il
rappresentante delle organizzazioni dei proprietari sia stato nominato su designazione non di tutte le
organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, ma solo di alcune.
* Tar Liguria. sez. I, 13 febbraio 1992, n. 88. Confedilizia c. Ministero dell’interno, Ass. Piccoli proprietari case di
Imperia e U.P.P.I., in Arch. loc. e cond. 1992, 178.
Il potere del prefetto di stabilire i criteri per l’impiego della forza pubblica nell’assistenza all’ufficiale giudiziario, in
sede di esecuzione degli sfratti presuppone che vi sia una effettiva disponibilità di uomini delle forze dell’ordine
da utilizzare nello specifico impiego. (Nella specie un provvedimento prefettizio aveva sospeso l’esecuzione
degli sfratti non concedendo la forza pubblica per i mesi in cui si erano svolti in Firenze i campionati mondiali di
calcio e le elezioni).
* Tar Toscana, sez. I, 18 dicembre 1991, n. 669, Confedilizia di Firenze ed altro c. Pref. Firenze, Muller e
U.P.P.I. di Firenze, in Arch. loc. e cond. 1992, 178.
f) Proroga
Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, e la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e
le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Sono pertanto illegittimi il parere
non motivato con il quale la Commissione provinciale per la graduazione degli sfratti decida la proroga per la
concessione dell’assistenza della forza pubblica, ed il successivo provvedimento prefettizio che si limiti a
recepirne il contenuto.
* Tar Toscana, sez. I, 9 marzo 1995, n. 240, Grippo c. Prefetto di Pistoia ed altri, in Arch. loc. e cond 1995, 902.
g) Senzatetto
È illegittima, per mancanza del presupposto della carenza di una disciplina legislativa e regolamentare che
abbia specificamente considerato la situazione in oggetto, l’ordinanza con la quale il Prefetto di Roma aveva
disposto che la quota di appartamenti sfitti che gli istituti di previdenza e le compagnie assicuratrici devono
annualmente mettere a disposizione dei senzatetto, dovesse essere interamente assegnata, per due anni, a
particolari categorie di sfrattati. Inoltre, la priorità riconosciuta dall’ordinanza prefettizia in sede di assegnazione
degli alloggi a coloro che si sono rifiutati di obbedire all’ordine di rilascio impartita dal giudice, sì da provocare
l’intervento della forza pubblica, non può non avere, come effetto immediato, il generalizzarsi di tale situazione di
ribellione e di minaccia per l’ordine pubblico. dal momento che al comportamento illegittimo viene riconosciuta
valenza privilegiata agli effetti dell’assegnazione degli alloggi. In tal modo risultano premiati ed incentivati
comportamenti antigiuridici idonei ad aggravare le tensioni sociali, che l’ordinanza dichiara invece di voler
prevenire.
* Cans. Stato, sez. IV, 2 giugno 1994. n. 467, Prefetto di Roma e altri c. Soc. Alleanza Assicurazioni ed altri, in
Arch. Ioc. e cond. 1994, 572.
h) Sospensione
Per i titoli esecutivi di rilascio di immobili urbani destinati ad uso di abitazione - nei comuni ad alta tensione
abitativa - la sospensione totale dell’esecuzione di cui all’art. 1, L. 21 febbraio 1989 n. 61 opera solo per titoli di
formazione anteriore al 30 aprile 1989: i provvedimenti emessi e divenuti esecutivi dopo il 30 aprile 1989 - e
quindi di formazione successiva alla scadenza del termine di sospensione delle esecuzioni - non sono soggetti
al regime di graduazione degli sfratti.
* Trib. civ. Genova, 27maggio 1997, n. 1352. Linoso c. Ministero dell’Interno, in Arch. loc. e cond. 1997, 847.
L’art. 1, L. n. 61/1989 dispone la sospensione dell’esecuzione del rilascio di immobili in numerosi centri soltanto
sino al 30 aprile 1989 e l’art. 3 dispone che, terminato il periodo di sospensione, l’assistenza della forza pubblica
per l’esecuzione di rilasci sospesi sino al 30 aprile 1989, ai fini della esecuzione di cui all’art. 1, avverrà secondo
i criteri stabiliti dal prefetto; è pertanto evidente che il caso di specie (data di rilascio fissata per il 30 giugno
1992) non è sottoposto alla regolamentazione della L. n. 61/1989 atteso che termine del contratto, intimazione,
convalida, precetto, esecuzione sono successivi al 30 aprile 1989.
* Pret. civ. Trani, ord. 14 novembre 1992, Simone c. Lattanzio. in Arch. loc. e cond. 1993, 817.
Il provvedimento con il quale il prefetto abbia sospeso l’esecuzione di un provvedimento di rilascio di immobile
per finita locazione è illegittimo e deve essere disapplicato dal giudice dell’esecuzione chiamato a dare i
provvedimenti occorrenti per l’ulteriore corso dell’esecuzione, in quanto il prefetto, ai sensi dell’art. 3, comma
primo, del D.L. n. 551/1988 convertito nella L. n. 61/1989, ha il compito di dettare criteri di ordine generale circa
l’assistenza della forza pubblica e non può scendere nell’esame dei casi particolari.
* Pret. civ. Firenze, ord. 31 agosto 1990, Iovino e altro c. Auditore, in Arch. loc. e cond. 1991, 642.
a) Atti osceni
Gli atti osceni messi in atto in una autorimessa condominiale si intendono commessi in luogo aperto al pubblico
anche se l’accesso è consentito ad una determinata categoria di terze persone.
* Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 1989.
b) Autorimessa sotterranea
In tema di condominio di edifici, costituisce innovazione vietata ai sensi del secondo comma dell’art. 1120 cod.
civ. (e, pertanto, deve essere approvata dalla unanimità dei condomini), la costruzione di autorimesse nel
sottosuolo del cortile comune, in quanto comporta il mutamento di destinazione del sottosuolo da sostegno delle
aree transitabili e delle aree verdi a spazio utilizzato per il ricovero di automezzi (con conseguente modifica di
destinazione anche dell’area scoperta soprastante a copertura di locali sotterranei) e determina una situazione
di permanente esclusione di ogni altro condomino dall’uso e dal godimento di ciascuna autorimessa sotterranea,
assegnata ai singoli condomini, ancorché rimasta di proprietà comune.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1988, n. 6817, Cond. Collignon c. Cavallini.
La costruzione di "autorimesse interrate" fatta utilizzando un’area comune destinata a giardino con conseguente
trasformazione della stessa in una somma di singole proprietà, corrispondenti ai "boxes" erigendi, traducendosi
in un mutamento di destinazione della cosa comune in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini, non può
essere validamente deliberata dall’assemblea del condominio con le maggioranze previste per le innovazioni
utili (artt. 1120, comma 1 e 1136, comma 5, cod. civ.), ma postula il consenso di tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 giugno 1985, n. 5410, Medeghini e altro c. Cond. via Orbetello 3, Milano, motivaz.
e nota in Arch. loc. e cond. 1986. 112.
c) Box
Il condomino che abbia acquistato in proprietà esclusiva lo spazio destinato al parcheggio di un autoveicolo,
ancorché sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, ha facoltà a norma dell’art. 841 c.c. di
recintarlo anche con la struttura di un cosiddetto "box", sempre che non gliene facciano divieto l’atto di acquisto
o il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni dell’edificio
ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dell’autorimessa.
* Cass. civ., 25 maggio 1991, n. 5933.
L’assegnazione in uso esclusivo di porzione di area condominiale destinata a parcheggio, con delimitazione sul
pavimento dell’area dei singoli posti macchina. esclude la facoltà di ciascun condomino di migliorare il
godimento della cosa mediante l’erezione di box chiuso sulla porzione di area assegnata.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 8 luglio 1977
Il condominio deve provvedere alle riparazioni e al risarcimento dei danni derivanti dall’infiltrazione di acqua
piovana o di irrigazione nei boxes, la cui copertura è rappresentata dal fondo del giardino, di cui il condominio è
detentore e custode.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 9 marzo 1989
Ripartizione spese di manutenzione e riparazione di un giardino pensile
Trib. civ. Udine, 1 settembre 2004, n. 1089
La ripartizione fra condomini delle spese di manutenzione e riparazione di un giardino pensile che serva da
copertura ad autorimesse sottostanti, secondo il principio dettato dall'art. 1126 c.c. riguarda non solo le spese
per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cioè del manto impermeabilizzato, ma altresì quelle
relative agli interventi che si rendono necessari in via conseguenziale e strumentale, sì da doversi considerare
come spese accessorie.
Posta la natura comune del cortile sovrastante i box e posto il conseguente godimento del medesimo da parte di
tutti i condomini, ne consegue la necessità di ripartizione delle relative spese di manutenzione tra tutti i
condomini, sia pure con l’adozione di criteri correttivi in riferimento all’ulteriore godimento della cosa comune da
parte dei boxisti, non potendo i condomini non proprietari di box pretendere di essere esclusi da tale ripartizione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 5aprile 1993
La realizzazione, in difetto di concessione edilizia, di box per auto (nella specie, costruiti dopo la demolizione di
locali destinati a magazzini), siti in cortile separato dall’edificio principale, configura il reato di cui all’art. 17, lett.
b), L. 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile pur dopo l’entrata in vigore del D.L. 20 novembre 1981, n. 663, in
quanto l’art. 7, lett. a) di questo si riferisce solo alle pertinenze di modesta entità, strutturalmente collegate alla
preesistente costruzione principale.
* Pret. pen. Foggia, 1 dicembre 1981, Di Lascia ed altri, motivaz. e nota in Riv. pen. 1982, 515.
Nel caso in cui un box per auto sia locato, ancorché con separato contratto, al conduttore di un appartamento
destinato ad abitazione, sito nello stesso stabile, da parte del proprietario di entrambi i detti immobili, si che
questi risultino destinati ad un uso unitario per un più completo godimento dell’abitazione concessa in locazione,
il rapporto locativo del box, il cui uso si attua in funzione di pertinenza dell’abitazione, va assoggettato allo
stesso regime giuridico relativo alla locazione di tale secondo immobile.
* Cass. civ., sez. III, 4settembre 1990, n. 9115,
La costruzione di muri lungo i due lati del posto auto sito nel cortile condominiale, in guisa di trasformarlo in un
box, configura una iniziativa compatibile con i principi e con i limiti di uso delle cose comuni, nella misura in cui
non comporti alcuna alterazione dal punto di vista architettonico ed estetico, né alcuna alterazione ai diritti degli
altri condomini.
* Trib. civ. Milano, 2 maggio 1991.
d) Cancelli
Non costituisce innovazione, ma semplice modificazione della cosa comune, la sostituzione dei cancelli di
ingresso e uscita dei box, con sistema di apertura manuale, con altri a movimento automatizzato. Pertanto la
relativa spesa può essere validamente deliberata dall’assemblea dei condomini con le maggioranze previste
dall’art. 1136, secondo e terzo comma, cod. civ.
* Trib. civ. Monza 14 dicembre 1984,
Il soggetto che quale proprietario di un appartamento di un edificio in condominio agisca in giudizio nei confronti
di un terzo, perché gli sia inibita la sosta ed il parcheggio di veicoli effettuata sull’area di proprietà condominiale
in violazione delle disposizioni del regolamento del condominio, non esercita un’azione possessoria di
manutenzione (rientrante nell’esclusiva competenza per materia del pretore) bensì un’azione petitoria, agendo in
forza ed a tutela dei poteri e delle facoltà inerenti alla comproprietà del suddetto bene, con la conseguenza che
per la individuazione del giudice per essa competente trovano applicazioni gli ordinari criteri della competenza
per valore.
* Cass. civ.. sez. II, 25 maggio 1992, n. 6225.
La controversia promossa dal proprietario di appartamento in fabbricato condominiale, nei confronti del
costruttore-venditore, per sentire riconoscere la destinazione a parcheggio di veicoli di spazi realizzati nel
fabbricato stesso, in conformità del disposto dell’art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150
(introdotto dall’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765), non investe direttamente atti amministrativi, quali quelli
in base a cui è stato costruito e destinato l’edificio, ma riguarda esclusivamente posizioni di diritto soggettivo
nell’ambito di rapporti privatistici, e, pertanto, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
* Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6602
L’azione diretta ad ottenere l’accertamento della destinazione dell’autorimessa a servizio dello stabile
condominiale introduce una controversia che concerne l’estensione del diritto dei singoli condomini in
dipendenza dei rispettivi acquisti e, pertanto, esula dalla sfera di rappresentanza attribuita dall’art. 1131 cod. civ.
all’amministratore del condominio, il quale quindi è sfornito di legittimatio ad processum.
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129,
Il singolo condomino da solo ovvero un gruppo di condomini senza necessità di chiamare in giudizio gli altri
condomini o l’amministratore del condominio possono proporre l’azione giudiziaria contro il costruttore-venditore
per rivendicare il diritto reale d’uso sull’area dell’edificio destinata a parcheggio con atto d’obbligo nei confronti
dell’amministrazione comunale, non ricorrendo un ipotesi di litisconsorzio necessario.
* Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1994, n. 3717,
La domanda di un condomino di sistemazione in via definitiva dei postimacchina del garage condominiale non
rientra fra le cause relative alla misura o comunque alle modalità d ‘uso dei servizi o dei beni del condominio.
* Pret. civ. Taranto, 22 ottobre 1985, o. 523,
Il fatto di chi parcheggia la propria vettura in uno spazio privato adeguatamente segnalato come interdetto alla
sosta, può senza dubbio qualificarsi come una molestia al pacifico godimento della strada privata da parte
dell’ente proprietario e possessore. Ne consegue che la rimozione dell’auto parcheggiata contro le disposizioni
date e rese adeguatamente conoscibili integra il lecito esercizio dell’autotutela possessoria, che trova il suo
fondamento normativo nell’art. 2044 c.c. che esclude l’antigiuridicità della reazione ad un’azione obiettivamente
ingiusta.
* Giud. conc. Bologna 9 ottobre 1991
f) Destinazione di un locale comune a garage
L’assemblea di un condominio edilizio può validamente deliberare con la maggioranza di cui all’art. 1136,
secondo comma, cc. la specifica destinazione di un locale di proprietà comune a garage in relazione alle
caratteristiche obbiettive del locale medesimo (nella specie: locale situato al piano terra dell’edificio con accesso
alla via pubblica mediante una rampa carrabile) non importando una sostanziale modifica della cosa comune
bensì trattandosi di un atto di amministrazione diretto ad assicurare a tutti i condomini il miglior godimento e la
migliore utilizzazione della cosa comune, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario
per l’impossibilità di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune
non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i compartecipi della comunione,
che resta affidato alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1992, n. 2084
g) Difficoltà di manovra
È illegittima la costruzione di un ripostiglio nel corridoio condominiale, sia pur deliberata a maggioranza
dall’assemblea condominiale, che diminuisca in modo apprezzabile il godimento della proprietà esclusiva anche
di uno solo dei condomini. (Nel caso di specie originariamente l’operazione di fuoriuscita dell’autovettura
dall’autorimessa del condomino dissenziente era facilmente eseguibile con manovra in due tempi, mentre dopo
la costruzione del ripostiglio, di fronte all’autorimessa, tale manovra poteva compiersi soltanto in quattro tempi).
* Pret. civ. Monza, 5 luglio 1982, n. 666,
La deliberazione dell’assemblea condominiale, con la quale venga autorizzato l’uso di un bene comune in modo
incompatibile con l’utilizzazione ed il godimento di parti dell’edificio di proprietà di un singolo condomino, è
illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di proprietà
individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione. (In base al suddetto
principio la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la
illegittimità di una delibera con la quale era stata decisa l’utilizzazione come parcheggio di un’area condominiale
sotto il profilo che detto uso avrebbe ostacolato l’accesso ad alcuni locali di proprietà individuale destinati ad
essere utilizzati come autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessità di
realizzare alcuni lavori di rifinitura e di adattamento dell’immobile).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858,
h) Diritto di parcheggio nell’autorimessa comune
Nel condominio degli edifici la disciplina delle parti comuni, o presuntivamente dichiarate tali dall’art. 1117 cod.
civ., è informata ai principi dell’indivisibilità e della loro inseparabilità, in ragione della loro destinazione al relativo
servizio, da quelle di pertinenza esclusiva dei condomini, sicché, non potendo il singolo condomino, senza il
consenso degli altri condomini, unilateralmente disporre delle parti comuni in modo autonomo ed indipendente
da quelle di sua proprietà esclusiva, il cedente di una porzione di piano di sua esclusiva proprietà non può
riservare a sé il diritto di comproprietà e quindi l’uso di parti comuni destinate al complesso condominiale (nella
specie, diritto al parcheggio nell’autorimessa comune), con la conseguenza che, essendo inopponibile al
condominio l’anzidetta riserva di proprietà, egli, ormai terzo rispetto al condominio, non è più legittimato a
partecipare alle assemblee né ad impugnarne le deliberazioni.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1990, n. 9,
Il locale autorimessa, anche se situato entro il perimetro dell’edificio condominiale (nella specie, nel
seminterrato), non può ritenersi incluso tra le "parti comuni dell’edificio" indicate dall’art. 1117 c.c., neppure sotto
l’aspetto di "parte dell’edificio necessaria all’uso comune", così che, da un canto, il condominio non può giovarsi
della relativa presunzione al fine di pretendere il contributo di ogni condomino alle relative spese di
manutenzione e dall’altro, sul condomino che adduca di non essere tenuto a tale contributo (per non essere
comproprietario del locale) non incombe l’onere della relativa prova negativa. Al fine di accertare la esistenza, o
meno, dell’obbligo del singolo condomino di sostenere, in misura proporzionale, le spese di manutenzione del
detto locale occorre, pertanto, la prova positiva dell’appartenenza di esso in proprietà comune, determinante
essendo, al fine anzidetto, l’esame dei titoli di acquisto dei singoli comproprietari dell’immobile.
* Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 1997, n. 10371
In tema di furto, la circostanza aggravante dell’esposizione alla pubblica fede è configurabile anche quando la
cosa si trova in luogo privato, ma aperto al pubblico o comunque facilmente accessibile, ovvero in un cortile di
casa di abitazione in diretta comunicazione con una pubblica via ovvero in parcheggio privato non custodito.
* Cass. pen., sez. II, 5 settembre 1991, n. 8798 (ud. 17 gennaio 1991
Sussiste l’aggravante di cui all’art. 625, n. 1, c.p., nel caso di furto di due biciclette commesso in un’autorimessa
condominiale, comunicante con l’edificio soprastante ove erano le abitazioni dei condomini, sebbene la porta di
comunicazione fosse chiusa a chiave al momento del furto.
* Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1981, Pelamatti.
l) In area comune alberata
In tema di condominio degli edifici, l’utilizzazione a parcheggio di autovetture private di un’area comune alberata,
originariamente goduta come "parco-giardino", in relazione alla sua apprezzabile estensione, non si traduce in
un miglioramento della cosa comune, ma comporta mutamento ed alterazione della destinazione della
medesima, in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini. Essa, pertanto, non può essere validamente deliberata
dall’assemblea del condominio, con le maggioranze previste per le innovazioni utili (artt. 1120 primo comma e
1136 quinto comma c.c.), ma postula l’unanimità di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4922.
m) Opere di prevenzione anti incendio
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalità tra spese ed uso di cui al comma 2 dell’art. 1123
c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
dell’edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione dell’uso che ciascuno può farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, può servire ad uno o più condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dell’atrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in proprietà esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della L. 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7077,
Le spese per la riparazione delle porte tagliafuoco e l’impianto di ventilazione dei box vanno ripartite unicamente
tra i proprietari dei medesimi beni, e non anche tra gli altri condomini che non ne possiedono, non potendo avere
alcuna rilevanza a riguardo la circostanza che tali misure attengono alla sicurezza dell’intero edificio.
* Corte app. civ. Roma 24 aprile 1991,
n) Parcheggio a pagamento
Il potere della maggioranza dei partecipanti alla comunione di disporre le modalità per il miglior godimento della
cosa comune presuppone il rispetto della condizione che il diritto di comproprietà debba potersi estrinsecare
liberamente, con l’unico limite derivante dal divieto di impedire uguale uso da parte degli altri compartecipanti e
di alterare la destinazione della cosa comune. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto corretta
l’affermazione dei giudici del merito secondo cui la deliberazione della maggioranza che stabiliva l’onere del
pagamento di una somma per il parcheggio di autobus dei comproprietari su di un area comune da essi
utilizzata per il deposito di detti autoveicoli, veniva a limitare illegittimamente il potere di ciascuno di disporre
liberamente del bene comune).
* Cass. civ., sez. II, 24giugno 1974, n. 1905.
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori l’obbligo di integrare il
pagamento (c.d. conguaglio del prezzo).
* Trib. civ. Napoli ord. 24 ottobre 1991, in Nuovo dir. 1992, 454.
È legittima la norma del regolamento della comunione che stabilisce che i viali e i marciapiedi comuni, la cui
funzione normale è quella del transito pedonale, siano destinati al parcheggio oneroso degli autoveicoli degli
inquilini; siffatta innovazione vincola tutti i partecipanti nel senso che essi devono accollarsi l’onere della
manutenzione delle cose per l’usura che il transito e la sosta delle vetture comportano.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 gennaio 1987, n. 840,
o) Sosta su spazio destinato al libero accesso del pubblico
Le disposizioni del regolamento condominiale e la relativa delibera assembleare, adottate non all’unanimità ma
a maggioranza, le quali pregiudichino i diritti di un condominio risultanti dall’atto originario del suo acquisto sono
radicalmente nulle e l’azione giudiziaria per far valere tale nullità non è soggetta al termine di decadenza di cui
all’ultimo comma dell’art. 1137 cod. civ. (Nella specie, alla stregua del citato principio, la Suprema Corte ha
confermato la pronuncia del giudice del merito di nullità di una delibera dell’assemblea dei condomini che a
maggioranza aveva consentito la sosta dei veicoli su uno spazio condominiale destinato, per una clausola del
contratto di acquisto, al libero accesso del pubblico).
* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1988, n. 4851,
p) Strisce di vernice
È lecita la realizzazione di strisce in vernice tracciate sulla pavimentazione dell’accesso alle autorimesse
condominiali da parte di chi eserciti su di esse una servitù di passaggio, a patto che non vengano menomati i
diritti del proprietario del fondo dominante ex art. 1067, secondo comma, c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 giugno 1993
q) Superficie convenzionale
All’autorimessa concessa dal locatore con separato contratto di locazione allo stesso conduttore
dell’appartamento di proprietà del medesimo locatore si applicano i criteri di determinazione del canone fissati
dall’art. 13, L. n. 392 del 1978 solo se ne sia concretamente provato il rapporto di pertinenza, per essere
l’autorimessa destinata in modo durevole ed effettivo al servizio dell’abitazione, anche nella sua componente
soggettiva (oltre che oggettiva), la quale implica l’esigenza che il detto collegamento funzionale tra i due beni sia
l’effetto della volontà, anche tacita, del proprietario (o del titolare di un diritto reale sulla cosa) e non solo la
conseguenza dell’uso a cui è stata destinata dal conduttore. (Nella specie in base all’enunciato principio la
Suprema Corte ha annullato la decisione del merito che non riguardo ad autorimessa posta nello stesso edificio
in cui si trovava l’appartamento, in locazione con distinto contratto e per un canone autonomamente
determinato, aveva ritenuto il vincolo pertinente con l’appartamento solo in base "alla situazione di fatto
esistente").
* Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1991, n. 10124,
In tema di determinazione del canone di locazione di un immobile destinato ad uso di abitazione, l’art. 13 della L.
27luglio 1978, n. 392, riferendosi alle autorimesse ed ai posti macchina, stabilisce che essi vanno considerati, ai
fini del calcolo complessivo del canone, quali componenti della superficie convenzionale degli immobili locati; ne
consegue che, qualora un’autorimessa ed un appartamento, siti nello stesso immobile, siano stati locati dal
proprietario ad uno stesso conduttore, con pattuizione di due canoni separati, la subordinazione funzionale tra
l’autorimessa e l’appartamento e cioè la utilizzazione della stessa da parte del conduttore per il ricovero della
sua autovettura - il cui accertamento compete al giudice di merito - comporta che, ove con la pattuizione
intervenuta le parti abbiano inteso eludere i criteri imperativi posti dalla legge, la pattuizione stessa incorre nella
sanzione di nullità prevista dall’art. 79 della citata legge.
* Cass. civ., sez. III, 16 marzo 1990, n. 2203
Con riguardo alla locazione di immobili urbani, sussiste la presunzione di un rapporto pertinenziale a norma
dell’art. 817 cod. civ. tra l’appartamento destinato ad abitazione ed il posto macchina sito nell’autorimessa
condominiale, qualora gli immobili appartengano al medesimo proprietario, siano ubicati nel medesimo edificio,
siano concessi in locazione allo stesso conduttore ed il posto macchina risulti destinato a soddisfare le esigenze
abitative della famiglia alloggiata nell’appartamento anche se ciò avvenga con separati e successivi contratti,
atteso che la volontà del locatore in ordine alla destinazione dell’autorimessa, può anche essere desunta da un
successivo negozio con il quale egli, trasferendo il bene considerato accessorio in godimento allo stesso
soggetto che si trova già nel possesso, in forza di un rapporto di natura personale, della cosa principale,
consente di fatto una miglior utilizzazione di quest’ultima.
* Cass. civ., sez. III, 8 marzo 1990, n. 1857,
Nel caso in cui un appartamento per uso abitativo ed il locale per il posto macchina sito nell’autorimessa
condominiale siano stati concessi in locazione dal loro proprietario, anche con separati contratti, al medesimo
conduttore, che abbia destinato il posto macchina per il posteggio dei veicoli propri e dei suoi familiari, il rapporto
di pertinenza stabilito tra i due beni, secondo il vincolo di servizio imposto, tra gli stessi beni, dall’ art. 26, ultimo
comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (a norma del quale gli spazi destinati a parcheggi nelle nuove costruzioni
a norma dell’art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765, costituiscono pertinenza della costruzione al servizio della
quale sono stati posti) non può essere efficacemente escluso da una contraria volontà delle parti, perché il
predetto vincolo, per quanto ispirato da finalità pubblicistiche inerenti alla normalizzazione della viabilità urbana,
incide, per la sua natura cogente ed inderogabile, anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato, tra cui quelli
di locazione degli immobili per uso abitativo, che restano, conseguentemente, assoggettati alla
regolamentazione unica del computo dell’equo canone prevista dall’art. 13 della legge del 1978, n. 392.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1992, n. 1155, Ina c. Nicosia.
Ai fini della determinazione dell’equo canone, sussiste un vincolo pertinenziale e di accessorietà, derivante da
una relazione di subordinazione funzionale, tra un immobile locato ad uso abitazione ed un altro locato ad uso
autorimessa.
* Pret. civ. Pordenone, 5 marzo 1990.
r) Tetto a copertura delle autorimesse
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne all’edificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unità sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della proprietà esclusiva dei singoli condomini - è applicabile la presunzione di comunione
stabilita dall’art. 1117 n. 1 c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto dell’edificio
condominiale, oggetto di proprietà comune e che l’amministratore del condominio è legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al
rimborso per eseguirla direttamente).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651,
s) Trasformazione dell’area di parcheggio
L’assemblea dei condomini, con deliberazione presa a maggioranza, mentre ha potere di predeterminare, sul
cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, nell’interno di esse, le porzioni
separate di cui ciascun condomino può disporre, non ha, altresì, il potere di disporre la trasformazione dell’area
di parcheggio in una vera e propria area edificabile, destinata alla costruzione di alcune autorimesse (a
beneficio, oltretutto, non della collettività, bensì dei singoli che intendano profittarne).
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697.
t) Uso del cortile
In tema di condominio di edifici, poiché la naturale e principale funzione dei cortili (cose comuni ex art. 1117 cod.
civ.) è quella di dare aria e luce ai locali prospicienti di proprietà esclusiva e di consentire il libero transito per
accedere ai medesimi, l’assemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di
predeterminare, nel cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, al loro interno,
le porzioni separate di cui ciascun condominio può disporre, ma non quello di deliberare la trasformazione in
un’area edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse, a beneficio di alcuni
soltanto dei condomini, configurandosi una innovazione vietata a norma dell’ultimo comma dell’art. 1120 cod.
civ., in ragione, oltre che del venir meno della stessa funzione della detta area comune, della sua utilizzazione
esclusiva da parte di alcuni dei condomini, con la sottrazione all’uso ed al godimento anche di un solo
condomino.
* Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6673,
Il comproprietario di un cortile destinato al parcheggio degli autoveicoli dei condomini non può utilizzarne una
parte per la costruzione di una autorimessa per la propria auto, comportando questa una alterazione sia della
consistenza strutturale della cosa comune che della destinazione funzionale della stessa, così utilizzata, oltre
che per la sosta della autovettura, per il deposito dei relativi accessori e di altri beni.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996,
La sussistenza di un divieto assoluto per tutti i condomini di sostare con le auto nel cortile condominiale non
comporta necessariamente che l’eventuale deroga concessa ad un terzo (nella specie l’amministratore) debba
essere adottata con il consenso di tutti i condomini, giacché non sussiste in tale ipotesi violazione di alcun diritto
soggettivo dei singoli condomini.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 17settembre 1987, n. 1349,
E' illegittima, in quanto lesiva dei diritti dei partecipanti pretermessi, la delibera con la quale, nell’ipotesi in cui il
cortile comune non sia abbastanza ampio da accogliere le autovetture di tutti i condomini, l’assemblea anziché
prevedere un uso turnario dell’area abbia stabilito di concedere in locazione i posti macchina disponibili ad
alcuni soltanto dei condomini stessi.
Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 febbraio 1987, n. 1266,
L’espressione "sosta di autoveicoli", usata nel regolamento di un condominio, al fine di consentire la medesima
alle autovetture dei condomini nel cortile interno dello stabile, va interpretata alla luce della situazione dei luoghi,
al fine di stabilire se la citata espressione faccia riferimento ad un uso a parcheggio stabile, ovvero ad un uso a
sosta temporanea di automezzi per carico e scarico di merci o per altre necessità eccezionali.
* Trib. civ. Milano 25 maggio 1992,
La deliberazione assembleare che specifica le modalità di utilizzo del cortile come parcheggio, precludendo ai
residenti di posteggiare in aree diverse dalle due fasce laterali libere e mantenendo inalterato il precedente
divieto di lasciare l‘auto davanti al proprio box o in spazi che impediscono il diritto di tutti all’agevole uso del
cortile comune, non può essere considerata come introduttiva di un’innovazione, ex art. 1120 cod. civ., nel caso
in cui la suddetta deliberazione sia astrattamente e concretamente inidonea a ledere l’interesse di uno o più
condomini in particolare, poiché garantisce a tutti, indistintamente, il diritto di parcheggio nelle due aree laterali
individuate. (Nella specie, è stata pienamente rispettata la destinazione molteplice che il cortile aveva in
precedenza, in quano area destinata non esclusivamente a parcheggio, bensì al transito ed alla sosta di
persone e veicoli, al gioco dei bambini e all’accesso agli stessi edifici).
*Pret. civ. Legnano, 21 novembre 1988, n. 122
La norma di un regolamento contrattuale di condominio che vieti di parcheggiare e lavare le auto nel cortile
interno non fissa un modo di regolamentare la cosa comune (di tal tipo sarebbe stata invece ad esempio una
clausola che, sul presupposto che fosse consentito il parcheggio e il lavaggio delle auto, regolamentasse tali
diritti fissando gli orari, i giorni e le modalità), bensì limita il diritto di godimento dei condomini sulla cosa comune
escludendo che di essa si possa fare un certo uso perché, evidentemente, non ritenuta confacente agli interessi
dei condomini. Trattasi quindi di una norma che fa nascere un vero e proprio diritto soggettivo in capo a tutti i
condomini, e che, in quanto tale, può essere modificata solo con il consenso unanime di tutti i condomini.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 29 ottobre 1992, n. 438
Il fatto di parcheggiare con sistematicità nel cortile comune un’autocisterna, ove contrasti con la destinazione
abitativa dell’intero complesso immobiliare causando altresì un danno di natura estetica all’aspetto dei luoghi,
nonché la sostanziale trasformazione del cortile in luogo di deposito, integra quel mutamento di destinazione
che l’art. 1102 cod. civ. pone come limite all’uso di ogni singolo condomino.
* Pret. civ. Foligno, 12 marzo 1987, n. 16
In mancanza di un divieto contrattuale è lecito realizzare nel cortile comune posti macchine per l’assegnazione
ai condomini in uso esclusivo unitamente ad archetti per impedire il parcheggio selvaggio ed ai limitatori di
velocità.
* Trib. civ. Milano 17 giugno 1991, in L’Ammin. 1991, n. 9.
E' da ritenere legittima la delibera assembleare che, disciplinando le modalità d’uso del cortile condominiale,
abbia previsto la possibilità per i singoli condomini di parcheggiarvi le proprie vetture a condizione che la sosta
degli automezzi avvenga in spazi ben delimitati e non impedisca agli altri condomini le manovre di accesso e di
uscita dai garages ivi esistenti nonché un uso proprio del cortile comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987,
E' legittima la delibera dell’assemblea dei condomini che attribuisca a tutti i condomini la facoltà di occupare il
cortile comune con autovetture proprie, purché senza pregiudizio per il godimento delle proprietà o pertinenze
degli altri condomini, anche se lo spazio limitato non consente il parcheggio contemporaneo delle autovetture di
tutti i partecipanti.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in Arch. /oc. e cond. 1991, 623.
u) Uso del parcheggio
Sussiste la violazione di cui all’art. 1120, secondo comma, cod. civ., allorché il condominio, deliberando che
l’uso del parcheggio sia riservato ai soli condomini proprietari di una determinata quota millesimale (nella
fattispecie 112,33 millesimi), inibisca agli altri proprietari, con quota millesimale inferiore a detto limite, l’uso
dell’area destinata a parcheggio.
* Pret. civ. Modugno, 29 maggio 1987
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori l’obbligo di integrare il
pagamento (cd. conguaglio del prezzo).
*Trib. civ. Napoli, ord. 24 ottobre 1991
Anche dopo le innovazioni all’art. 18 L. n. 765 del 1967 con la L. n. 47 del 1985, il titolare del potere di
disposizione degli spazi per parcheggi ha l’obbligo di consentire la concreta utilizzazione degli stessi a favore dei
condomini che ne facciano richiesta.
* Pret. civ. Bari, 4 ottobre 1988, in Giur. merito 1989, 1132.
E' lecito il parcheggio negli spazi comuni condominiali a condizione che sia ben delimitato e non impedisca agli
altri condomini l’uso dei garages ivi esistenti ed un uso proprio del bene comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987, in Nuovo dir. 1988, 743.
v) Vincolo di destinazione
Il vincolo pubblicistico inderogabile riguardante gli spazi adibiti a parcheggio di cui all’art. 18 della L. n. 765 del
1967 (che ha trovato conferma nella successiva L. n. 122 del 1982), traducendosi in un rapporto di
pertinenzialità necessaria con diritto reale dei singoli condomini all’uso dell’autorimessa, non può riguardare le
costruzioni anteriori all’entrata in vigore della detta norma, alle quali sarà da ritenersi applicabile la disciplina
ordinaria di cui agli artt. 817 ss. c.c. (secondo la quale, per l’esistenza del vincolo pertinenziale tra beni, è
richiesta la sussistenza di un elemento oggettivo — che, cioè, il bene sia destinato al servizio o all’ornamento di
altro bene — e di un elemento soggettivo — che, cioè, tale destinazione risponda all’effettiva volontà dell’avente
diritto di creare un vincolo di strumentalità necessaria o complementarietà funzionale tra i beni —), con la
conseguenza che, per affermare la esistenza di un vincolo pertinenziale tra una abitazione oggetto di
alienazione e l’autorimessa (specie se individuata in distinta particella catastale) sarà necessario accertare
l’esistenza, oltre che del rapporto funzionale tra la cosa principale e quella accessoria, anche dell’elemento
soggettivo della destinazione pertinenziale, consistente nella effettiva volontà dei titolari della proprietà sui beni
collegati di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio di quella principale.
* Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1997, n. 5395
L’art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, nel testo introdotto dall’art. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, il
quale prescrive che "nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono
essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri
cubi di costruzione", pone un vincolo pubblicistico di destinazione, che non può subire deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi stessi, le cui clausole difformi sono perciò sostituite di diritto dalla norma imperativa.
Tale principio resta immutato anche dopo l’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985 n. 47, atteso che l’art. 26
ultimo comma di detta legge, nello stabilire che "gli spazi di cui all’art. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765
costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi degli artt. 817, 818 ed 819 cod. civ.", non ha portata
innovativa, ma assolve soltanto alla funzione di esplicitare la regola, già evincibile nella norma interpretata,
secondo cui i suddetti spazi possono essere oggetto di atti o rapporti separati, fermo però rimanendo quel
vincolo pubblicistico.
* Cass. pen., sez. un., 18 luglio 1989, n. 3363
L’art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. introdotto dall’art. 18 della legge 6 agosto 1967,
n. 765, il quale dispone che nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse
debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni
venti metri cubi di costruzione, configura norma imperativa ed inderogabile, in correlazione degli interessi
pubblicistici da essa perseguiti, che opera non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e
l’autorità competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti spazi, nel senso di
imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che stabilmente occupano le costruzioni o ad esse
abitualmente accedono. Ciò comporta, in ipotesi di fabbricato condominiale, che, qualora il godimento dello
spazio per parcheggio non sia assicurato in favore del proprietario del singolo appartamento in applicazione dei
principi sull’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio o delle sue pertinenze, essendovi un titolo contrattuale
che attribuisca ad altri la proprietà dello spazio medesimo, deve affermarsi la nullità di tale contratto nella parte
in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla suddetta inderogabile destinazione, e conseguentemente deve
ritenersi il contratto stesso integrato "ope legis’ con il riconoscimento di un diritto reale di uso di quello spazio in
favore di detto condomino (salva restando la possibilità delle parti di ottenere, anche giudizialmente, un
riequilibrio del sinallagma contrattuale. alterato dall’indicata integrazione dell’oggetto di una delle prestazioni).
*Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6600,
Il regime di cui all’art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 introdotto dall’art. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) e rimasto immutato dopo l’entrata in vigore della L. 28 febbraio
1985, n. 47 il cui art. 26, ultimo comma, stabilisce che gli spazi di parcheggio costituiscono pertinenze, non
comporta che tali aree, fermo restando il vincolo di destinazione, rientrino tra le parti comuni dell’edificio a norma
dell’art. 1117 cc.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1994, n. 6696, Alvaro c. Galvani.
Le aree degli edifici riservate a parcheggio ex art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dall’art.
18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, devono presumersi comuni ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. (la cui elencazione
non è tassativa), atteso che sussiste per dette aree, obiettivamente destinate per legge ad uso comune,
l’identica ratio che sta alla base della presunzione di comunione stabilita da detta norma codicistica. Ove, poi,
tale presunzione sia vinta dal titolo, risultando quelle aree di proprietà esclusiva di uno o più condomini, il vincolo
di destinazione comune determina la costituzione ope legis a favore dell’intero edificio o delle sue singole parti,
appartenenti a proprietari diversi, di un diritto reale di uso sulle aree medesime.
* Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1987, n. 6365, De Santis c. Acconcia.
L’obbligo di riservare a parcheggio, nelle nuove costruzioni ed aree ad esse inerenti, appositi spazi (in misura
non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri di fabbricato), ai sensi e nel vigore dell’art. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (e quindi prima della L. 28 febbraio 1985, n. 47, il cui art. 26, in via innovativa, qualifica
come pertinenziale il rapporto con i suddetti spazi), si ricollega ad esigenze pubblicistiche e costituisce un
vincolo di destinazione, in favore degli abitanti delle costruzioni medesime, non derogabile, né da parte del
costruttore, né da parte di successivi rapporti privatistici. che restano colpiti da nullità ove si pongano in
contrasto con tale destinazione. Pertanto, in edificio condominiale, e per il caso in cui gli indicati spazi si trovino
in aree incluse fra i beni comuni, la citata norma rende invalida la clausola del regolamento condominiale,
recepita nei contratti di vendita, che introduca divieti di parcheggio, e, quindi, legittima la deliberazione
assembleare che consenta il parcheggio stesso in contrasto con tale regolamento.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1988, n. 3370, Pignone c. Cond. P. S. Ant.
L’art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1150, così come modificato dall’art. 18, della L. 6 agosto 1967, n.
765, il quale prescrive che nelle nuove costruzioni e anche nelle aree di loro pertinenza debbono essere riservati
appositi spazi per parcheggi, pone un vincolo pubblicistico di destinazione, ed un rapporto di pertinenza
necessario tra gli appartamenti dell’edificio e gli spazi per parcheggio posti al loro servizio, che non può essere
spezzato da atti di autonomia privata e che conseguentemente comporta, nel caso di locazione, con separati
contratti, dell’appartamento e dell’area di parcheggio o del box al medesimo conduttore, l’assoggettamento, ai
sensi dell’art. 818 cc., della cosa accessoria (il box o l’area di parcheggio) al regime locativo della cosa
principale (l’appartamento). Per gli immobili in precedenza costruiti, ai quali la predetta norma, essendo
irretroattiva, non può essere applicata, l’assoggettamento del distinto contratto di locazione del box al regime del
contratto di locazione dell’appartamento presuppone, invece, l’accertamento, in concreto, sotto il profilo
oggettivo e soggettivo, di un rapporto pertinenziale tra i due beni, secondo gli ordinari criteri fissati dalle
disposizioni del codice civile.
* Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11731, Centore c. Pinto.
L’art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dall’art. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765
(cosiddetta legge ponte) prescrivendo che negli edifici di nuova costruzione siano riservati appositi spazi di
parcheggio, pone un vincolo pubblicistico di destinazione non suscettibile di deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi ridetti, ma non ne indica la localizzazione in una parte piuttosto che in un’altra del
complesso condominiale, né crea per essi una presunzione di comunione inquadrabile nell’art. 1117 c.c.,
implicando soltanto il divieto per il propritario di disporne in modo da sottrarlo a detta destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4934, De Lucia c. Chiaro.
In tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, l’art. 18 della L. 6
agosto 1967 n. 765, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti
dell’immobile di usufruire dell’area di parcheggio nonostante la riserva di proprietà a favore dell’alienante,
originario proprietario dell’edificio, non presuppone né è condizionato al previo accordo sulla misura della
integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, né all’accertamento giudiziale di tale integrazione,
che può essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento.
* Cass. civ., sez. II, 28 maggio 1993, n. 5979, Todaro e altra c. Di Noi.
Anche a norma dell’art. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che non ha modificato il regime
vincolistico imposto dall’art. 18 della legge «ponte» 26 agosto 1967, n. 765 fra unità abitativa e spazi di
parcheggio condominiali, chiarendone solo l’originaria portata, deve ritenersi che i contratti di autonoma
disposizione di detti parcheggi, pur ammissibili, non possono intaccare il diritto reale d’uso a favore del titolare
dell’unità abitativa. È pertanto nulla e va sostituita ope legis la clausola contrattuale con la quale il venditore
dell’immobile abbia riservato a sé la proprietà dell’area di parcheggio, salvo il diritto del venditore e
correlativamente l’obbligo dell’acquirente dell’unità abitativa di integrare il prezzo convenuto per il riequilibrio del
sinallagma del contratto di compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 18luglio 1991, n. 7994, Berlino c. Calabrò.
L’art. 41 sexies della L. 17agosto l942, n. 1150, nel testo introdotto dall’art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (a
norma del quale nelle nuove costruzioni o nelle aree di pertinenza di queste debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione) ed
ulteriormente chiarito dall’art. 26 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che, conferendo certezza testuale alla regola
già desumibile dall’art. 18 della L. n. 765 del 1967, ha precisato che l’area destinata a parcheggio costituisce
pertinenza della costruzione), pone un inderogabile vincolo pubblicistico di destinazione di detta area, che non
impedisce al proprietario dell’edificio di riservarsi, negli atti di vendita dei singoli appartamenti, la proprietà
dell’area stessa destinata a parcheggio o di trasferire ad altri la proprietà, atteso che non attribuisce tale
proprietà ai condomini per effetto automatico dell’acquisto dell’appartamento, ma esclude solo la possibilità che
la riserva o il trasferimento a terzi della proprietà privi i proprietari degli appartamenti dell’edificio del diritto reale
di utilizzazione di tale area per il parcheggio dei loro veicoli, sottraendola al vincolo pubblicistico di destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1993, n. 6104, Lisandrelli c. Snc lannozzi.
Con riguardo agli spazi riservati a parcheggio, secondo quanto prescrive per le nuove costruzioni l’art. 18 della
L. 6 agosto 1967, n765, deve ritenersi consentita, in applicazione delle regole dettate dal codice civile sulle
pertinenze, ed anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che
comunque chiarisce la portata di detto art. 18, inquadrando quelle porzioni nella normativa delle pertinenze), la
riserva di proprietà in favore del costruttore, con gli atti di trasferimento delle singole unità condominiali o
dell’intero fabbricato, sempreché venga rispettato l’indicato vincolo di destinazione (come nel caso in cui il
parcheggio resti assicurato ai condomini mediante il pagamento di un canone).
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129, Cond. V. Imprunet. c. Soc. Pian. 2 Torri.
Costituiscono un valido strumento interpretativo del contratto di vendita di appartamento condominiale, nel
silenzio o nell’ambiguità della convenzione in ordine al diritto dell’acquirente al godimento dell’area di parcheggio
realizzata dal costruttore, le norme disciplinanti le costruzioni — tra cui l’art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n.
1150 (introdotto dall’art. 18 della L. 6agosto 1967,0.765), statuente che nelle nuove costruzioni debbono essere
riservati appositi spazi per parcheggi — e ciò per il principio che il bene— casa deve essere concepito nella sua
regolare conformazione, delineata dalle norme suindicate, nonché in virtù del principio di buona fede, di cui agli
artt. 1366 e 1375 cod. civ., ed in base all’art. 1374 dello stesso codice, che obbliga le parti anche a tutte le
conseguenze che ne derivano secondo le leggi, tra le quali vanno incluse quelle regolanti erga omnes, in vista
del pubblico interesse, le caratteristiche del bene oggetto della compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1981, n. 2452. Cond. Porris. S. c. Marrazzo.
La nullità della clausola del contratto di compravendita di appartamento che esclude il trasferimento della
proprietà o del diritto reale di utilizzazione dell’area condominiale da riservare a parcheggio, ai sensi dell’art. 41
sexies L. 27 agosto 1942 n. 1150, aggiunto dall’art. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765, ed il conseguente trasferimento
ex lege del predetto diritto al compratore, comporta il diritto del venditore al corrispettivo di tale trasferimento,
che dà luogo ad un credito di valore rivalutabile perché ha la funzione di integrazione non del prezzo, in senso
proprio, ma degli effetti legali della compravendita, con l’aggiunta di un effetto legale che articolandosi nel
trasferimento della proprietà o del diritto reale di godimento dell’area di parcheggio e nella integrazione del
corrispettivo, in egual misura le parti sono tenute a rispettare ed in egual misura deve conseguentemente
incidere sul loro patrimonio, senza alterare l’obbligo del venditore di rimborsare l’avente diritto dei frutti civili
eventualmente percepiti con lo sfruttamento dell’area dalla data del contratto.
* Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1993, n. 4622, Cond. di via G. Pilli 86/b di Camaro Inferiore c. Lascari.
L’art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 - come introdotto dall’art. 18 della L. 6 agosto
1967 n. 765, che dispone l’obbligatoria «riserva», a servizio delle nuove costruzioni, di «spazi per parcheggi» ha, per la finalità perseguita (ordinato assetto urbanistico), carattere imperativo ed opera non solo come norma
di azione, nel rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione e chi domanda la licenza edilizia, bensì
anche come norma di relazione, nei rapporti privatistici concernenti detti parcheggi, in quanto pone un limite
all’autonomia privata, sanzionando di nullità, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 cod. civ., ogni convenzione che, per
privato interesse del costruttore o del rivenditore degli immobili (o anche dei condomini stessi), sottragga gli
spazi suindicati alla funzione loro assegnata dalla legge. Ne deriva che va dichiarata nulla, per contrarietà alla
disposizione imperativa in questione, sia la clausola con cui il costruttore od altri nel vendere i singoli
appartamenti, escludano dalla vendita la comproprietà dei locali di parcheggio, come parte di natura
condominiale (art. 1117 cod. civ.), o, comunque, il godimento del servizio di parcheggio a titolo di servitù, sia
l’atto con cui l’acquirente di un appartamento rinuncia al servizio medesimo, con il conseguente diritto di
quest’ultimo di fruire del servizio e dell’alienante di esigere il relativo corrispettivo pecuniario.
* Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1982, n. 483, Paolillo c. Napoli.
Per sentir dichiarare la destinazione di un’area a parcheggio condominiale, ai sensi dell’art. 18 della L. 6 agosto
1967, n. 765, e la nullità dei negozi contrari alla citata norma vincolistica, ove l’area stessa sia comune a due
condominii (rendendosi applicabili le norme specifiche della comunione ex art. 1100 e 1105 c.c. e non anche
quelle che regolano il condominio), la legittimazione dei singoli partecipanti, e per essi degli amministratori, ad
agire contro terzi, o contro altri partecipanti, può sorgere anche da una semplice manifestazione di volontà dei
partecipanti.
*Cass. civ., sez. II, 4gennaio 1993, n. 18, Prosperi c. Bucci.
L’art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (introduttivo dell’art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150) — disponendo che nelle nuove costruzioni devono essere riservati spazi per parcheggi in misura non
inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione — non delinea una servitù di uso
pubblico, ma crea una situazione pertinenziale tra la proprietà dell’edificio e l’area di parcheggio ad esso
destinata (confermata, per la Regione siciliana, dalla qualifica dell’area di parcheggio come dotazione
dell’edificio, ex art. 21 della legge regionale 26 maggio 1973 n. 21), la quale, nell’ipotesi di edificio condominiale,
assume la forma della comproprietà, in capo ai condomini, dell’area, come parte necessaria all’uso comune (art.
1117 cod. civ.), se l’area stessa era di proprietà del costruttore, ovvero di un diritto (comune) di servitù dei
condomini sull‘area, se questa appartiene ad un terzo. La normativa, dato il fine pubblico perseguito, ha natura
cogente e pertanto qualsiasi negoziazione avente ad oggetto unità immobiliari di un edificio dotato dell’area di
parcheggio comporta ipso iure il trasferimento al compratore della proporzionale quota dell’area medesima
(quota di comproprietà o di coservitù), in virtù dell’integrazione ope legis degli effetti del contratto ai sensi dell’art.
1374 cod. civ., senza il versamento di un ulteriore corrispettivo, salva, per il venditore, ricorrendo gli estremi
richiesti dall’art. 1429 n. 4 cod. civ., l’azione di annullamento del contratto, ove l’omesso computo nel prezzo del
valore della quota dell’area di parcheggio si ricolleghi ad un errore sulle conseguenze giuridiche del negozio.
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6714, Romano c. Trio.
Nella disciplina urbanistica di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, l’obbligo di riservare nelle nuove costruzioni spazi
per parcheggio, ai sensi dell’art. 18 della citata legge, può essere osservato realizzando tali spazi tanto in aree
di pertinenza, quanto in locali facenti parte delle costruzioni stesse (e da trasferire agli acquirenti delle singole
unità immobiliari), come nel caso di boxes o garages ricavati in piani interrati.
*Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1989, n. 1390, Calcagna c. Cianfriglia.
La mera circostanza che il costruttore di un fabbricato condominiale, il quale, prima di vendere i singoli alloggi,
nel destinare delle aree a parcheggio ai sensi e nel vigore dell’art. 18 della L. 6 agosto 1967. n. 765, se ne sia
riservato la proprietà, come il fatto che i successivi atti di vendita non contengano espressa menzione del
trasferimento anche della comproprietà delle aree medesime, non è sufficiente a superare la presunzione di
inclusione delle dette aree fra i beni comuni, posta dall’art. 1117 cot. civ.
* Cass. civ., sez. II, 26 giugno 1990, n. 6472, Di Giuseppe c. Massafra.
La superficie a parcheggio può essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilità privatistica: può restare di proprietà del costruttore dell’edificio nell’ipotesi di vendita separata delle
singole unità immobiliari; può diventare un’entità condominiale; può essere ceduta a terzi estranei al
condominio; può essere infine collegata alla proprietà esclusiva dì un singolo appartamento. Ciò che importa è
che il titolare di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o del singolo appartamento cui il
parcheggio afferisce. In quest’ultima ipotesi è fatto salvo il diritto del proprietario attuale dell’alloggio di cui il
parcheggio costituisce pertinenza a reclamare il parcheggio medesimo: in tale momento il proprietario del
parcheggio, previo pagamento di una indennità, dovrà metterlo a disposizione del proprietario
dell’appartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, n. 830, Giovannelli e altro c. Riccardo, motivaz. e nota in .Arch. loc. e cond.
1988, 438.
In tema di spazi per parcheggi e del relativo vincolo pubblicistico di destinazione di cui all’art. 41 sexies della L.
n. 1150/1942, il singolo condomino può invocare la forzosa costituzione in suo favore del diritto reale d’uso
nonché la titolarità di uno jus possessionis di analogo contenuto non con riferimento a qualunque area
strutturalmente annessa all’edificio ma sottratta dal costruttore al regime condominiale di cui all’art. 1117 cc., ma
solo nelle ipotesi nelle quali risulti acclarato il vincolo di destinazione a parcheggio di quell’area siccome
originariamente previsto nell’ambito del progetto approvato.
*Pret. civ. Trani, 25 marzo 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 343.
Ai sensi dell’art. 18 L. 6 agosto 1967, n. 765 gli spazi per parcheggi debbono intendersi coattivamente vincolati
alla destinazione di pertinenza delle singole unità abitative dell’edificio e le parti non hanno il potere di
concludere contratti contrastanti con la detta destinazione.
* Trib. civ. Napoli, 12 ottobre 1988, in Giur. merito 1990, 44.
L’amministratore di condominio non è legittimato a proporre azioni per l’acquisizione delle aree destinate a
parcheggio di cui all’art. 18 della L. n. 765/1967, nemmeno quando agisca in base a delibera maggioritaria
dell’assemblea.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 agosto 1994, n. 7225
La superficie a parcheggio può essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilità privatistica: può restare di proprietà del costruttore dell’edificio nell’ipotesi di vendita separata delle
singole unità immobiliari; può diventare un’entità condominiale: può essere ceduta a terzi estranei al
condominio; può essere, infine, collegata alla proprietà esclusiva di un singolo appartamento. Alla legge importa
solo che chiunque risulti poi essere il titolare di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o
del singolo appartamento cui il parcheggio afferisce. In tale ultima ipotesi, invero, tanto il proprietario costruttore
che si sia riservata la proprietà dell’area alienando separatamente l’alloggio, quanto il terzo acquirente della sola
superficie a parcheggio senza alcun diritto sull’alloggio cui essa afferisce, possono liberamente disporre del loro
diritto di proprietà fintantoché l’uso o la proprietà del parcheggio non vengano reclamati dal proprietario attuale
dell’alloggio di cui esso costituisce pertinenza. In tale momento, previo pagamento di un’indennità, il proprietario
del parcheggio dovrà metterlo a disposizione del proprietario dell’appartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, in Nuovo dir, 1988, 339.
Il vincolo di dotazione di aree destinate a parcheggio, previsto dall’art. 41 sexies della L. n. 1150/1942, ha natura
di diritto reale di uso a favore degli inquilini dello stabile condominiale: pertanto, ove non sia contemplato nel
contratto di vendita. questo si reputa inficiato da nullità nella parte in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla
suddetta inderogabile destinazione.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 17 novembre 1993, n. 9856,
L’art. 41 sexies L. n. 1150/1941 non attribuisce alcun diritto soggettivo ai condomini di nuova costruzione,
integrando piuttosto una norma di azione destinata a disciplinare l’attività della P. A. in sede di controllo degli
interventi urbanistici privati sul territorio.
* Trib. civ. Napoli, sez. I, 13 aprile 1994, n. 3447, Soc. Presud c. Cond. Parco La Nuova Residenza di Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1995, n. 1.
Nel caso in cui gli acquirenti di appartamenti in condominio agiscono per il riconoscimento del diritto di
parcheggio contro l’acquirente dei relativi spazi, quest’ultimo non ha diritto di chiedere il pagamento del valore
dello spazio riconosciuto (cd. conguaglio).
* Trib. civ. Napoli, 7 febbraio 1994, in Giur. merito 1994, 470.
L’art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1l50 stabilisce solo misure quantitative per la determinazione degli
spazi da destinare a parcheggi, senza statuire alcuna formalità in ordine alla localizzazione delle aree da
asservire a tale scopo, ragion per cui i parcheggi possono essere localizzati sia in luoghi interrati dell’edificio, sia
al suo piano terreno, sia in aree esterne, anche se non strettamente adiacenti.
* Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 1992, n. 140, in Giur. it. 1992, III, 1, 560.
BALCONI
SOMMARIO: a) Ballatoi; b) Chiusura a vetro; c) Costruzione di sporti, balconi e pensili; d) Elementi decorativi;
e) Fioriere; f) Proprietà; g) Soletta o piattaforma; h) Spese; i) Sporti chiusi; l) Stendimento panni; m) Tende; n)
Veranda.
a) Ballatoi
I ballatoi delle cosiddette case a ringhiera devono intendersi parti comuni e le spese per la loro manutenzione e
ricostruzione devono essere divise secondo l'art. 1124 c.c.
* Trib. civ. Milano, 24 novembre 1988.
Non esiste un diritto del singolo condomino a farsi installare, nei muri perimetrali interni dei ballatoi condominiali,
nicchie per immettervi contatori del gas o della luce; anzi, l'apposizione di tali nicchie-portacontatori deve essere
considerata un peso di diritto reale sulle parti comuni.
* Pret. civ. Torino, ord. 23 dicembre 1995.
b) Chiusura a vetri
La chiusura con finestre a vetri con telaio metallico realizzata su balconi di proprietà esclusiva dei singoli
condomini è illegittima, allorché, limitando la circolazione dell'aria all'interno delle scale e dei pianerottoli e
determinando conseguenti ristagni di odori, può creare situazioni di pericolo o danni alle parti comuni
dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 giugno 1989, Gallo e altri c. Condominio di via Val Lagarina 67, Milano e Istituto
Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Milano e Pastino e altri.
Salve limitazioni di natura pubblicistica, la chiusura a vetri di balconi o terrazzi di pertinenza esclusiva deve, di
norma, ritenersi consentita ai rispettivi proprietari, purchè non alteri il decoro architettonico dell'edificio
condominiale e non rechi pregiudizio, sotto alcun profilo, agli altri condomini, ai quali deve essere comunque
assicurato un pari uso del bene comune.
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, Malentacchi c. Galletti.
c) Costruzione di sporti, balconi e pensili
L'immissione di balconi e pensili su un cortile comune, pur comportando l'occupazione con un'opera solida e
stabile dell'area sovrastante, si risolve in un ampliamento della presa di aria e luce da parte del singolo
condomino e, non alterando la destinazione normale del cortile, deve ritenersi pienamente legittima, salvo che,
per la dimensione degli sporti, non si verifichi un uso della cosa comune esorbitante dai limiti previsti dalla legge.
Ben diversa, invece, è la situazione che si determina per l'aggetto di un vero e proprio corpo di fabbrica, poichè
in tal caso alla incorporazione di una parte della colonna d'aria del cortile si connette anche la finalità di
assegnare alla superficie del cortile stesso la qualità e la natura di spazio sfruttabile a fini costruttivi dai singoli
comproprietari, a vantaggio delle rispettive proprietà, e quindi per l'utilità e disponibilità esclusiva degli stessi,
con la conseguente alterazione della destinazione normale del cortile comune che non può essere consentita.
* Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 1976, n. 624.
Gli sporti che il singolo condomino ha diritto di costruire sul cortile comune debbono essere concretamente
realizzati in maniera che non venga alterata la destinazione di tale cortile, che è principalmente quella di fornire
luce e aria agli immobili circostanti, ed in modo che la loro costruzione non si ponga in contrasto con le esigenze
di un pari uso dello stesso cortile da parte degli altri comproprietari, nei limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., in
relazione alle prospettive offerte dalla struttura e ubicazione delle proprietà individuali.
* Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1988, n. 2370, Carcano c. Maggi.
Deve ritenersi pertinenza, al fine di assoggettarla a semplice autorizzazione e non a concessione ex art. 7, cpv.,
lettera a) D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella L. 25 maggio 1982, n. 94, l'opera la quale, pur
conservando la propria individualità fisica ed autonomia funzionale, venga posta in un durevole rapporto di
subordinazione strumentale con altra persistente, per renderne più agevole o comunque migliorarne l'uso. Per
delimitare la relativa nozione, che, nell'ambito della normativa edilizia, non può farsi coincidere completamente
con quella di cui all'art. 817 c.c., è possibile far ricorso interpretativo alla normativa catastale, secondo la quale
la pertinenza consiste in un volume privo di autonomo accesso dalla via pubblica ed insuscettibile di produrre un
proprio reddito senza subire modificazioni fisiche. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha ritenuto che la
superficie realizzata mediante la costruzione di un balcone non possa qualificarsi pertinenza, essendo opera
accessoria, soggetta al diverso regime concessorio, la quale congiunta intimamente con altra costituisce parte
costitutiva ed integrante del tutto. La Suprema Corte ha inoltre precisato che mentre le pertinenze possono
anche fisicamente essere separate dalla cosa principale senza alterarne l'essenza fisica e funzionale, le opere
accessorie non sono suscettibili di separazione, senza determinare frazionamenti fisici del tutto ovvero riportare
alterazioni funzionali dell'immobile).
* Cass. pen., sez. III, 5 maggio 1992, n. 5331 (ud. 3 marzo 1992), Staiano.
La costruzione, da parte del condominio, di sporti sul cortile o sul passaggio comune, con conseguente
occupazione della colonna d'aria sovrastante il terreno comune, costituisce esplicazione del diritto di
utilizzazione della cosa, ai sensi dell'art. 1102 c.c., quando non ne pregiudichi la normale funzione o le
possibilità di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1993, n. 6850, Malizia c. Rizzo e altro.
La costruzione, nel muro perimetrale dell'edificio condominiale, di balconi prospicienti sul cortile comune costruzione che si risolve in un ampliamento della presa di aria e di luce da parte del singolo condomino - può
ritenersi legittima soltanto quando la dimensione di tali sporti, oltre a non compromettere la stabilità e la
sicurezza del fabbricato, nonché a non alterare la destinazione normale del cortile, non menomi il pari diritto
degli altri condomini a fruire della normale presa di aria e luce.
* Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1977, n. 3351.
Il proprietario di un appartamento sito in uno stabile condominiale ha diritto di ottenere l'eliminazione di uno
sporto costruito sul muro comune, in corrispondenza dell'appartamento sovrastante, quando tale manufatto
importa una sensibile diminuzione di luce e di aria ai danni dell'unità immobiliare di sua proprietà; e ciò
indipendentemente dal fatto che il terreno contiguo allo stabile, cui aggetta il manufatto medesimo, appartenga
al condominio ovvero al condomino attore in via esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1978, n. 2408.
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o
trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l'esercizio della indicata facoltà, disciplinata dagli
artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione
di aria e luce in danno dell'appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte
dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare
dell'edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica).
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10704, Scibetta c. Naro e Alongi.
Con riguardo ad un edificio in condominio a norma dell'art. 1102 cod. civ. è consentita al condomino la
costruzione di balconi e pensili sul cortile comune quando, pur comportando l'occupazione con un'opera solida e
stabile dell'area sovrastante, concreti solo un ampliamento della presa d'aria e luce dell'appartamento del
singolo condomino senza alterare la destinazione normale del cortile ai fini costruttivi dei singoli proprietari, con
vantaggio delle rispettive proprietà, e quindi per l'utilità e disponibilità esclusiva degli stessi. (Nella specie la
C.S., in applicazione di tale principio, ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto che
il vano occupante la colonna d'aria sovrastante il cortile comune, per le sue dimensioni di oltre mq. 4 e mezzo,
alterasse la destinazione economica del cortile stesso, diminuendo l'utilizzazione dell'aria e della luce che esso
era destinato ad assicurare).
* Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 1987, n. 9644, Jaccarino c. Marino.
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione, prescrive che in ogni caso non può
essere alterata la destinazione della cosa comune, sicchè‚ solo le modificazioni di questa, in quanto consentano
il pari uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre è vietata ogni diversa attività
innovatrice. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, è stata giudicata corretta la decisione che ha
ritenuta vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con la costruzione, inoltre di
gradini e di un'aiuola sul cortile stesso).
* Cass. civ., sez. II, 26 luglio 1983, n. 5132, Bono c. D`Accordo.
La tollerabilità, o meno, del pregiudizio che la costruzione di uno sporto nel muro perimetrale comune può
arrecare alla presa di aria e luce di locali appartenenti a uno dei condomini dipende non solo dall'ampiezza dello
sporto e dalla superficie del cortile eventualmente antistante all'edificio, ma soprattutto, dalla distanza in cui tale
sporto viene a trovarsi dalle sottostanti aperture; se tale distanza risulta esigua, anche l'esistenza di un ampio
cortile potrebbe non compensare adeguatamente una diminuzione di aria e soprattutto di luce.
* Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1977, n. 3351.
E' nulla la delibera dell'assemblea condominiale per la parte in cui autorizza il condomino del terzo piano alla
costruzione di due balconi sulla facciata prospiciente il cortile interno, e ciò in quanto la delibera medesima
esorbita dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea ed è lesiva dei diritti dei condomini del secondo piano sulla
cosa comune e sulla loro proprietà esclusiva.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 9 maggio 1989, n. 720, Colombo c. Battezzati.
Il condomino di un edificio che sia proprietario esclusivo dell'area scoperta adiacente alla facciata dell'edificio
stesso, può legittimamente procedere alla costruzione di una balconata appoggiandola al muro comune in
corrispondenza dell'appartamento di sua proprietà; né‚ il proprietario dell'appartamento sottostante, il quale
lamenti la diminuzione di luce e di aria attraverso un'apertura, avente natura di luce, per effetto della costruzione
eseguita, può vantare alcuna ragione di danno, poiché‚ l'aggetto della balconata rappresenta l'utilizzazione della
colonna d'aria soprastante il suolo, sul quale il condomino dell'edificio, che ne è proprietario esclusivo, può
compiere opere che limitano la funzione delle luci aperte nella facciata dell'edificio posto a confine dell'area di
proprietà esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1974, n. 776.
d) Elementi decorativi
Gli elementi decorativi situati al di sotto dei balconi, avendo soltanto una funzione estetica volta a rendere
armonica la facciata dell'edificio condominiale, sono cose che servono all'uso e al godimento comune e, quindi,
ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., sono oggetto di proprietà comune e non di proprietà esclusiva del
condomino cui appartengono i singoli balconi. Ne consegue che la delibera con la quale l'assemblea abbia
ripartito tra i condomini le spese necessarie alla rimozione e alla riparazione dei predetti elementi decorativi
pericolanti non È viziata da nullità assoluta, ma può essere impugnata nel termine di trenta giorni di cui all'art.
1137 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1980, n. 4377, Porcaro c. Condominio di Via Sammartino 128, Palermo.
Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, cementi decorativi relativi ai frontali
ed ai parapetti) svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all'intero edificio, del quale accrescono il pregio
architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117 n. 3 c.c., con la conseguenza che la
spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di
ciascuno.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2000, n. 568, Stanganini ed altro c. Condominio di Via Reggimento Savoia
Cavalleria 10, Milano.
Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, aggiunte sovrapposte con malta
cementizia, viti di ottone e piombi ai pilastrini della balaustrata) svolgendo una funzione decorativa estesa
all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi
dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 176, Cond. V. Cusuman. c. Fortuna.
La legittimità o meno della costruzione ad opera di un condomino di un muro di mattoni forati sul lato esterno di
un balcone di sua esclusiva proprietà aperto su una chiostrina condominiale destinata a dare luce ed aria anche
ai vani degli altri condomini che si aprono su di essa, va accertata in relazione all'utilizzazione della cosa
comune che è consentita al singolo condomino in misura anche più intensa del normale, quando non alteri la
destinazione della cosa e non pregiudichi il pari diritto degli altri partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1982, n. 6869, Grammatica c. Nuovo.
L'assemblea condominiale non può assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell'ambito dei beni di
loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso delle cose comuni; ne consegue che nel
caso in cui i balconi, che appartengono in modo esclusivo al proprietario dell'appartamento di cui fanno parte,
presentino nella facciata esterna elementi decorativi, o anche semplicemente cromatici, che si armonizzano con
la facciata del fabbricato dal quale sporgono, per i lavori di restauro o di manutenzione straordinaria della
facciata, decisi con la prescritta maggioranza, legittimamente viene incluso nei lavori comuni il contemporaneo
rifacimento della facciata esterna dei detti balconi, essendo il decoro estetico dell'edificio condominiale un bene
comune, della cui tutela è competente l'assemblea.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1994, n. 7603, Masella c. Cond. via Campania 15-17, Taranto.
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte e della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio. Tale funzione può essere esclusa solo in presenza di prova contraria,
da cui risulti che trattasi di un fabbricato privo di qualsiasi uniformità architettonica, o che trovasi in uno stato di
scadimento estetico tale da rendere irrilevante l'arbitrarietà costruttiva o di manutenzione dei singoli particolari.
* Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1999, n. 7603, P.M. Raimondi.
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio, mentre sono pertinenze dell'appartamento di proprietà esclusiva
quando servono solo per il decoro di quest'ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di
costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l'azione di responsabilità nei confronti del
costruttore è legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell'art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi
decorativi abbiano prevalente funzione estetica per l'intero edificio.
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1992, n. 12792, Soc. Gefim c. Cond. Flox.
I balconi aggettanti, non avendo una funzione portante, non costituiscono parti comuni anche se siano inseriti
nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento cui accedono. Per contro, il rivestimento e
gli elementi decorativi del fronte (parapetto) o della parte sottostante della soletta debbono essere considerati di
proprietà comune dei condomini laddove essi assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente
gradevole l'edifico.
* Trib. civ. Salerno, sez. I, 16 febbraio 2001, n. 542, Cornetta c. Condominio Rubino di Via Generale Clark 15 in
Salerno.
Le lastre applicate alla parte inferiore di ogni balcone e i listelli incollati sotto la copertina di finitura dei parapetti
dell'edificio condominiale, costituendo elementi con funzione estetica, volti a rendere armonica la facciata
dell'edificio (le copertine) ovvero anche posti al servizio di una parte comune quale è la facciata (i listelli), devono
essere considerati di proprietà comune dei condomini. Conseguentemente, nel caso di distacco dei predetti
elementi decorativi, per vizio di costruzione, la legittimazione ad causam relativamente all'azione di
responsabilità nei confronti del costruttore ex art. 1669 c.c. compete all'amministratore del condominio.
* Trib. civ. Udine, 23 novembre 1998, n. 925, Condominio S. Marco di Udine c. Soc. Side ed altri.
Le spese di manutenzione riguardanti il frontalino dei balconi, che è un elemento della struttura esterna del
balcone destinato a garantire l'integrità architettonica dell'edificio come componente della facciata, devono
gravare su tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 settembre 1988, Aletti e altra e Marconari e altra c. Condominio di via Treviso
16/18, Milano.
La spesa per la riparazione delle colonnine e dei pilastrini che fanno parte integrante del parapetto dei balconi e
della terrazza a livello deve gravare esclusivamente sul proprietario dei beni medesimi, in quanto il parapetto
assolve alla funzione primaria di protezione dell'unità immobiliare del condomino ed è perciò soggetta
all'autonomo diritto dominicale.
* Corte app. civ. Napoli, 16 ottobre 1990.
Gli elementi verticali dei balconi, soprattutto quando si tratti di edifici moderni nei quali i balconi, incolonnati ed
allineati secondo un preciso disegno architettonico rappresentano il tratto ornamentale essenziale della facciata,
devono considerarsi parti integranti della facciata e componenti del bene del decoro dell'edificio, onde alle loro
riparazioni devono concorrere tutti i condomini in proporzione dei rispettivi millesimi di partecipazione alla
proprietà comune; fra tali elementi rientrano pertanto i frontalini, le piantane e le fasce marcapiano.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 maggio 1992.
Gli interventi riguardanti la parte dei balconi prospettante verso l'esterno (nella specie i frontalini) gravano
sull'intera collettività dei condomini in quanto tali elementi costituiscono parte integrante della facciata.
* Trib. civ. Milano, 14 ottobre 1991.
La sostituzione del materiale e del tipo di balaustra (non più a scudo ma a fasce verticali) di un balcone non
comporta una innovazione in senso proprio, ma una semplice manutenzione straordinaria.
* Corte app. civ. Milano, 20 settembre 1991, n. 1316, .
La proprietà esclusiva delle terrazze e dei balconi si estende a tutte le opere necessarie al godimento e
all'utilizzazione, quali la pavimentazione, la parte interna ed i davanzali dei parapetti, mentre invece sono di
proprietà condominiale la parte esterna dei parapetti, la fascia di coronamento (cornicione o marcapiano) e
quella di rivestimento dei bordi aggettanti (frontalini) con relativi intradossi.
* Corte app. civ. Salerno, 16 marzo 1992, n. 97.
Con riguardo al rivestimento del fronte della soletta dei balconi di un edificio in condominio, la loro natura di beni
comuni in quanto destinati all'uso comune a norma del terzo comma dell'art. 1117 c.c. ovvero pertinenze ad
ornamento dell'appartamento di proprietà esclusiva, ove i balconi sono siti, va accertata in base al criterio della
loro precipua e prevalente funzione in rapporto all'appartamento di proprietà esclusiva e alla struttura e
caratteristica dell'intero edificio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del merito, in cui si era
riconosciuta la natura di parti comuni ai suddetti manufatti, frontalini di marmo, con riguardo alla esclusa loro
funzione protettiva od ornamentale dei balconi ed alla rilevata efficacia decorativa dell'intero edificio nonchè
all'utilizzazione come gocciolatoi). Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7831, Lattanzio c. Cond. Miram. Arm.
e) Fioriere
La collocazione di vasi di geranei su dei sottovasi ed all'interno di fioriere saldamente ancorate alla ringhiera dei
balconi non contrasta n‚ con la disposizione di cui all'art. 844 c.c. n‚ con la norma regolamentare che vieti la
collocazione di vasi di piante su parapetti, ove gli stessi non siano fissi e creino problemi di stillicidio.
* Trib. civ. Bologna, sez. V, 1 marzo 1993, n. 245, Billi c. Cavazza.
f) Proprietà
I balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti comuni
dell'edificio e appartengono ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti, che sono gli unici responsabili
dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati, mentre i fregi
ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscano (quali i rivestimenti della fronte o della parte
sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla
funzione ornamentale dell'intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi
corrispondenti, con la conseguenza che è onere di chi vi ha interesse (il proprietario del balcone, da cui si sono
distaccati i frammenti, citato per il risarcimento), al fine di esimersi da responsabilità, provare che il danno fu
causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell'intero edificio
appartenevano alle parti comuni di esso.
* Cass. civ., sez. II, 7 settembre 1996, n. 8159, Cima c. Mastrantonio.
I balconi di cui sono dotate le scale di un edificio condominiale, che sono accessibili unicamente da queste ed
hanno una funzione architettonica, lucifera e di aerazione, costituiscono parte organica ed integrante dell'intero
fabbricato e debbono, pertanto, presumersi di proprietà comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 1979, n. 6502, Davoli c. Rotta.
g) Soletta o piattaforma
La presunzione assoluta di comunione, ex art. 1125 cod. civ., del solaio divisorio di due piani di edificio
condominiale tra i proprietari dei medesimi si estende anche alla piattaforma o soletta dei balconi, la quale,
avendo gli stessi caratteri, per struttura e funzione, del solaio, di cui costituisce prolungamento, è attratta nel
regime giuridico dello stesso. Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli
indicati proprietari, che si attua con l'uso esclusivo delle rispettive facce della stessa, esercitato da quello del
piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi, per quello del piano inferiore, oltre
che nella fruizione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni ulteriore attingibile utilità
cui non ostino ragioni di statica o di estetica, e comporta a loro rispettivo carico la manutenzione e la
ricostruzione. Pertanto, qualora il proprietario del piano inferiore alleghi la esistenza di fatti, come infiltrazioni di
acqua o altro, che abbiano danneggiato la faccia inferiore del balcone, sussiste la sua legittimazione a
pretendere il risarcimento dal proprietario del piano superiore.
* Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 1987, n. 283, Rocco c. Forni.
La presunzione assoluta di comunione (ex art. 1125 cod. civ.) del solaio divisorio di due piani di edificio
condominiale tra i proprietari dei medesimi vale pure per la piattaforma o soletta del balcone dell'appartamento
del piano superiore, la quale, avendo gli stessi caratteri, per struttura e funzione (separazione in senso verticale,
sostegno, copertura), del solaio, di cui costituisce prolungamento, è attratta nel regime giuridico dello stesso.
Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli indicati proprietari, esercitato dal
proprietario del piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi per l'altro
proprietario, oltre che nella funzione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni
ulteriore attingibile utilità, cui non ostino ragioni di statica e di estetica, sicché‚ quest'ultimo può ancorare a detta
soletta le strutture di chiusura necessarie per la realizzazione di una veranda ed altresì utilizzarne la faccia
inferiore (prolungamento del proprio soffitto) per installarvi apparecchi d'illuminazione, per farvi vegetare piante
rampicanti, ecc.
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1983, n. 4821, Falcone c. Caldareri.
La presunzione assoluta di comunione ex art. 1125 c.c. si estende alla parte ferma o soletta dei balconi.
Pertanto, l'aggancio di tendaggi alla soletta è legittimo a norma dell'art. 1102 c.c., non alterando la destinazione
del bene comune e non impedendo agli altri partecipanti alla comunione di farne pari uso secondo il loro diritto.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 11 aprile 1994, n. 3348.
In riferimento al rivestimento della fronte della soletta dei balconi di un edificio in condominio, la loro natura di
beni comuni in quanto destinati all'uso comune ovvero pertinenze a ornamento dell'appartamento di proprietà
esclusiva, ove i balconi sono siti, va accertata in base al criterio della loro precipua e prevalente funzione in
rapporto all'appartamento di proprietà esclusiva e alla struttura e caratteristica dell'intero edificio (nella specie, la
Corte ha riconosciuto la prevalente natura condominiale degli sporti dei balconi in considerazione della loro
forma, valenza architettonica, integrazione cromatica nella struttura dell'immobile e, soprattutto,
dell'omogeneizzazione degli stessi nella linea del disegno dell'intero palazzo, anche considerando che non tutte
le unità immobiliari dell'edificio erano fornite di balcone).
* Corte app. civ. Roma, 12 giugno 1997, n. 2047, Sebastianelli c. Cond. di Viale Ungheria.
h) Spese
In tema di ripartizione delle spese di manutenzione dei balconi di un edificio, per stabilire se le stesse devono
essere sostenute esclusivamente dai proprietari dei piani in cui detti balconi si aprono o essere ripartite tra tutti i
condomini, deve essere accertato se le opere di manutenzione concernono parti costituenti proiezioni della
proprietà individuale o, invece, elementi che, per la loro attinenza alla facciata, devono essere considerati parti
comuni dell'edificio ex art. 1117 cod. civ. Alla luce dell'individuato criterio rientrano tra le prime quelle dirette a
preservare e consentire l'utilizzazione della superficie praticabile del balcone, quali gli interventi di manutenzione
della pavimentazione del piano di calpestio, tra le seconde quelle concernenti elementi del balcone - tra i quali i
pilastrini e i sottobalconi - che, prospettando all'esterno dell'edificio, ineriscono alla facciata, concorrendo
insieme a questa a conferire allo stabile, attraverso l'armonia ed unità di linee e di stile, quel decoro
architettonico che costituisce bene comune dell'edificio.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 24 febbraio 1988, n. 1791, Saggese c. Condominio di via del Parco Margherita 24,
Napoli.
In tema di condominio degli edifici, le spese occorrenti per il ripristino dei rivestimenti esterni dei muretti di
recinzione delle terrazze a livello e delle balconate di proprietà esclusiva, afferendo ad elementi che
costituiscono parte integrante della facciata - oggetto di proprietà comune - e che si inquadrano nell'aspetto
estetico dell'edificio, sono a carico di tutti i condomini e non soltanto dei proprietari esclusivi delle singole
terrazze.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1989, n. 1361, Cimmino c. Nadalet e altro.
Le spese concernenti gli elementi del balcone che prospettano all'esterno dell'edificio condominiale gravano
sempre e comunque sul condominio, in quanto tali elementi (frontalini, balaustre, ecc.) ineriscono alla facciata e
concorrono a conferire all'immobile, attraverso l'armonia e l'unità di linee e di stile, quel decoro architettonico che
costituisce bene comune, economicamente valutabile e - come tale - autonomamente tutelato ex art. 1120 c.c.
* Trib. civ. Napoli, 27 ottobre 1993, Gallo c. Condominio di via Manzoni n. 120 di Napoli.
Le spese relative ad interventi sui balconi e sulle parti a vista delle terrazze di un edificio condominiale vanno
ripartite in proporzione ai millesimi di proprietà generale.
* Trib. civ. Roma, sez. II, 7 ottobre 1985, n. 12483, Cimarelli e altri c. Condominio di via Giacomo Corradi, n. 3,
Roma.
La tinteggiatura dei sottobalconi non può qualificarsi come intervento su parti individuali dell'edificio
condominiale; pertanto è legittimo l'addebito della spesa relativa all'intera collettività dei condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 settembre 1992, Barone e altri c. Condominio di Via Zoia 5 di Milano.
In materia di riparazione di balconi negli edifici condominiali, le relative spese sono in parte a carico del
proprietario dell'appartamento di cui costituiscono accessorio, in quanto consentono il calpestio e l'affaccio; ed in
parte a carico dei condomini, in quanto costituiscono elementi della facciata dell'edificio, di cui concorrono a
formare struttura e decoro.
* Trib. civ. Napoli, 18 dicembre 1991, in Nuovo dir. 1992, 348.
E' nulla la delibera con la quale l'assemblea condominiale abbia ripartito le spese inerenti ai lavori di
manutenzione straordinaria dei balconi, per la loro interezza, tra i soli proprietari dei piani in cui si trovano i
balconi medesimi che, contribuendo a determinare l'aspetto estetico-formale della facciata, attengono per ciò
stesso al decoro architettonico dell'edificio e, quindi, ad un bene comune a tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991.
l) Stendimento panni
Lo stendimento dei panni su di un balcone condominiale, consistendo non in un'opera materiale ma in una
attività comportamentale a carattere necessariamente saltuario, non può essere assunto come elemento di
deturpamento del decoro architettonico, per il quale si richiede appunto il compimento di opere materiali idonee
a modificare stabilmente le linee strutturali del fabbricato.
* Pret. civ. Pisa, 3 maggio 1993, n. 140.
m) Tende
Le norme sulle distanze legali sono applicabili nei rapporti reciproci fra condomini, in relazione alle parti
immobiliari di proprietà esclusiva, qualora uno di essi, utilizzando una parte comune a vantaggio della sua
proprietà, sia pure nei limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., incorra nella violazione dei diritti di un altro condomino.
N‚ al riguardo sono configurabili temperamenti, alla stregua di una valutazione di compatibilità delle norme
suindicate con gli interessi da considerare nei rapporti condominiali, allorchè trattasi di utilizzazione implicante la
violazione di una norma del regolamento condominiale predisposto dall'originario unico proprietario e recepito
nei singoli atti di acquisto. (Nella specie, in base al surriportato principio, il Supremo Collegio ha ritenuto corretta
la decisione dei giudici del merito con la quale, in accoglimento della domanda di un condomino, altri condomini
erano stati condannati a rimuovere una struttura metallica a sostegno di una tenda, realizzata su di un balcone
di loro proprietà esclusiva a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 907 cod. civ. dal balcone soprastante
dell'attore ed in violazione di una norma del regolamento condominiale, vietante ogni modificazione dei balconi).
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1981, n. 2531, Giordano c. Politi.
Nell'ambito di un unico immobile condominiale le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano applicazione
solo in quanto compatibili con la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi. Pertanto,
qualora esse siano invocate in una controversia tra condomini, spetta al giudice del merito valutare se, nel
singolo caso, dette norme debbano essere osservate o meno, in considerazione dell'esigenza di contemperare i
diversi interessi di più proprietari conviventi in un unico edificio, al fine dell'ordinato svolgimento di tale
convivenza, propria dei rapporti condominiali. (Nella specie la Corte di cassazione, applicando tale principio, ha
rigettato il ricorso avverso la pronuncia del giudice di merito che aveva ritenuto legittima la tettoia in lamiera di
una tenda parasole (quest'ultima conforme al tipo e colore previsti dal regolamento condominiale) installata da
un condomino, ritenendola necessaria - nel caso concreto - per la tutela della sua privacy e per il riparo dagli
agenti atmosferici, nonostante fosse di dimensioni maggiori rispetto a quella di analoghi manufatti di altri
condomini, provocasse fastidiosi riverberi di luce a causa della copertura metallica, e comprimesse l'esercizio
del diritto di veduta in appiombo del condomino dell'appartamento sovrastante).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2000, n. 3891, Frunzo c. Piaggi.
Nel divieto, contenuto in una norma di un regolamento condominiale, di applicare a finestre e balconi tende
esterne diverse per tipo e per colore da quelle adottate dal condominio e di esporre qualsiasi targa, insegna o
altro... sulle facciate, sui balconi, nei vani delle finestre nonchè sui vetri delle finestre stesse, si deve
ricomprendere anche la collocazione - da parte di un condomino - di doppi infissi che non si limitino a rinforzare
gli infissi precedenti, ma intercludano spazi dei balconi, prima aperti, creando un effetto di tuttopieno laddove in
precedenza esisteva un'alternanza fra pieni e vuoti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 19 novembre 1993, n. 2392, Azzola ed altri c. Chiodaroli e altri.
I condomini possono far uso delle parti comuni per le utilità accessorie inerenti al godimento della propria
proprietà esclusiva, anche nelle parti corrispondenti ai piani degli altri proprietari, quando tale utilizzazione non
viene ad alterare la naturale funzione di sostegno dei muri medesimi; di conseguenza, è ammissibile
l'installazione di tende da attaccarsi alla base del balcone del piano superiore, con la sola limitazione che le
stesse devono essere conformi al tipo approvato dall'assemblea. (Nella specie, alcuni condomini avevano
lamentato che l'installazione di detti tendaggi poteva comportare una limitazione della loro veduta e una
mancanza di sicurezza personale, affermazioni comunque confutate dalle fotografie e dalla documentazione
prodotte in atti).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 31 maggio 1988, n. 1824, Gagliardoni e Personeni c. Condominio di via Bassini,
n. 17/2-19, Milano.
Una delibera assembleare che indichi tassativamente le caratteristiche estetiche delle tende da sole apponibili
dai singoli condomini è lecita e vincolante anche per chi non ebbe a parteciparvi.
* Trib. civ. Monza, 16 novembre 1990.
L'installazione di una tenda su di un balcone di un edificio condominiale non incide sul decoro architettonico del
fabbricato qualora la stessa fuoriesca solo minimamente dal limite del parapetto e presenti le stesse
caratteristiche di modello e di colorazione di tutte le altre installate sulle facciate condominiali.
* Pret. civ. Pisa, 3 maggio 1993, n. 140, in Arch. loc. e cond. 1994, 385.
n) Veranda
I balconi di un edificio condominiale prospicienti sul cortile comune appartengono in via esclusiva, assieme alla
colonna d'aria, soprastante a ciascuno di essi, ai proprietari dei singoli appartamenti ai quali accedono, in qualità
di pertinenza. Ne consegue che ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua
proprietà senza dover richiedere l'autorizzazione degli altri compartecipi imposta dal regolamento del
condominio soltanto per le innovazioni delle parti comuni dell'edificio.
* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1976, n. 2543.
I poteri dell'assemblea condominiale concernono la disciplina dell'uso delle cose comuni, senza mai invadere la
sfera delle proprietà individuali, salvo le limitazioni accettate convenzionalmente dai singoli condomini, i quali,
conseguentemente, eccettuate queste limitazioni, non possono essere autorizzati dall'assemblea ad una
utilizzazione più ampia di parti comuni, che si risolva in una violazione delle norme sui rapporti di vicinato, quale
la realizzazione di una veranda su un terrazzo di proprietà esclusiva, senza il rispetto della distanza legale della
veduta esercitata dal proprietario dell'appartamento sovrastante.
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1980, n. 5652, Vignale c. Servetti.
La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura
a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precaria n‚ costituisce
intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera soggetta a concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2000, n. 3879 (ud. 13 gennaio 2000), Spaventi.
Il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non può eseguire nella sua proprietà esclusiva
opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell'art. 1122 cod. civ., rechino danno alle parti comuni
dell'edificio stesso, n‚, a maggior ragione, opere che, attraverso l'utilizzazione delle cose comuni, danneggino le
parti di una unità immobiliare di proprietà esclusiva di un altro condomino. (Nella specie, in applicazione del
surriportato principio la S.C. ha confermato la decisione di merito con cui si è ritenuto che al proprietario di un
appartamento non sia consentito costruire sul suo balcone una veranda in appoggio al muro comune dell'edificio
condominiale la quale raggiunga l'altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell'aria e della luce al
proprietario del piano contiguo).
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1985, n. 1132, Dambruoso c. Spinelli.
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, secondo comma, cod. civ.,
deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota
dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonchè‚ all'edificio stesso nel suo insieme, una sua
determinata armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico.
L'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione (nella specie: veranda in ferro e vetro) determini o
meno alterazione del decoro architettonico è demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al
sindacato di legittimità, se congruamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1981, n. 2189, Maisano c. Troiolo.
Ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua proprietà (senza dover richiedere
l'autorizzazione degli altri condomini), purchè la trasformazione non arrechi danno alle parti comuni dell'edificio
ed, in particolare, non alteri il decoro architettonico dell'edificio e non arrechi pregiudizio agli altri condomini, ai
quali deve essere comunque assicurato un pari uso del bene comune.
* Trib. civ. Milano, 31 gennaio 1991.
Nel caso in cui una norma contenuta in un regolamento condominiale preveda che qualsiasi modificazione al
fabbricato, anche quando non se ne guasti l'estetica e la simmetria esteriore, deve essere autorizzata
dall'amministrazione del condominio, il condomino che intenda costruire una veranda in struttura metallica e
vetro sul proprio terrazzo prospiciente la facciata verso strada dello stabile condominiale, deve informarne
preventivamente l'amministratore.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 22 ottobre 1993, n. 2028, Cond. di via Redi n. 8 di Milano c. Vivaldi.
Se un condomino agisce per la demolizione di un manufatto - nella specie veranda - realizzato su una striscia di
terreno in comproprietà con il coniuge del convenuto, pur se in base all'assunto attore o soltanto questi è l'autore
delle opere, il contraddittorio deve essere integrato nei confronti di entrambi i comproprietari e la relativa
violazione è rilevabile anche per la prima volta in Cassazione, se emerge dagli atti e sul punto non si è formato il
giudicato.
* Cass. civ., sez. II, 13 giugno 1997, n. 5335, Lucarelli c. Minucci.
Una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, una vera e propria costruzione assoggettata al
requisito della concessione, poiché difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata
non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo,
ampliando così il godimento dell'immobile. La definizione di tale sua natura non è da ritenersi modificata dalla
disciplina normativa introdotta con la L. 28 febbraio 1985, n. 47, la quale anzi precisa, tra l'altro, che sono da
giudicarsi opere in assenza di concessione anche quelle rivolte alla esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti
indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o
autonomamente utilizzabile. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l'imputato aveva sostenuto che per la
veranda, in quanto destinata alla protezione dagli agenti atmosferici, non fosse necessaria la concessione
edilizia. La Suprema Corte ha invece affermato la necessità della concessione prospettando che la salvaguardia
dalle intemperie si realizza con la semplice apposizione alle aperture dei cosiddetti doppi infissi in alluminio
anodizzato, mentre la veranda non solo non rappresenta un'opera precaria, ma, realizzando anche la difesa
dagli agenti atmosferici, pone in essere un rilevante aumento della volumetria abitativa, comunque utilizzabile,
assicurando, infine, spazio e privacy al corpo immobiliare).
* Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1988, n. 6127 (ud. 6 aprile 1988), Rossi.
Il proprietario o condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una
veduta diretta o obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non
è soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall'art. 907, comma terzo, c.c. nel caso in cui il manufatto
sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in
modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra. Infatti, tra le normali
facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa quella di
inspicere e prospicere in avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l'interno della sottostante proprietà
coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalità
abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto.
* Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13012, Cannone Palumbo c. Lo Muscio Sibillano.
La normativa introdotta per la prima volta dall'art. 7 del D.L. n. 88 del 1995 e successivamente reiterata ha
espressamente abrogato gli artt. 7 e 8 della legge n. 94 del 1982, per cui è venuta meno la disciplina
differenziata delle cosiddette pertinenze, se non ricomprese nelle categorie individuate nel nuovo regime o in
quello predisposto dalle regioni in base alla lettera n) del settimo comma dell'art. 9 del D.L. n. 285 del 1996, che
ha confermato la cosiddetta denuncia legittimante. (Fattispecie relativa ad una struttura intelaiata, simile ad una
veranda a vetri, che non costituisce pertinenza, perchè non può essere considerata come un vano accessorio a
servizio della costruzione principale, bensì un ampliamento ed un ambiente nuovo, nè opera precaria, poiché
non è realizzata per motivi di carattere contingente e con caratteristiche oggettive ed intrinseca destinazione
temporanea, non assumendo rilievo nè la cosiddetta facile rimovibilità nè la soggettiva destinazione data dal
costruttore).
* Cass. pen., sez. III, 18 luglio 1996, n. 2676 (c.c. 18 giugno 1996), Ciuffarella.
La cosiddetta veranda si caratterizza come manufatto costruttivo, anche se privo di individualità propria, siccome
destinato ad integrare il restante edificio, che determina comunque una modifica esterna del territorio,
suscettibile di rilievo urbanistico. Ne consegue che la relativa superficie va calcolata al fine di stabilire la limitata
entità dei volumi illegittimamente realizzati quale requisito richiesto per l'applicazione dell'amnistia, ai sensi del
D.P.R. n. 75 del 1990. (Fattispecie relativa ad una costruzione abusiva che impegnava una superficie pilastrata
di mq 150, inclusa quella destinata a veranda; la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di
merito, che aveva escluso l'applicazione dell'amnistia, osservando che le opere eseguite erano sufficienti a
delimitare una porzione di volume di complessivi 860 mc ed a conseguire, compresa la veranda, una
trasformazione urbanistica dello spazio, asservendolo, abusivamente, a fini edilizi).
* Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 1991, n. 10648 (ud. 14 settembre 1991), Antonuccio.
BARRIERE ARCHITETTONICHE
SOMMARIO: a) Applicabilità delle agevolazioni; b) Disciplina antisismica; c) Eliminazione; d) Installazione di
ascensore; e) Piani di intervento; f) Piattaforma mobile.
E' nulla la delibera adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di un
ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ciò comporti un sensibile
deprezzamento dell'unità immobiliare di altro condomino.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994, n. 3074, Condominio di via Salvator Rosa n.253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
Ai fini dell'applicabilità delle agevolazioni consentite alla eliminazione delle barriere architettoniche ex L. n.
13/1989, non è necessaria la presenza nell'edificio interessato di handicappati che vi abitino, posto che la ratio
degli interventi della legge del 1971 era proprio quella di consentire la <<visitabilità>> degli edifici medesimi da
parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con
l'immobile anche di natura diversa dalla proprietà (ad esempio in forza di un rapporto di locazione).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 aprile 1993, n. 4466, Sciutti c. Cond. di Via Goldoni di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1994, 130.
Le agevolazioni consentite dalla L. n. 13/1989 in tema di eliminazione delle barriere architettoniche sono
applicabili anche senza la presenza nell'edificio interessato di handicappati che vi abitino, posto che la ratio degli
interventi della L. n. 118/1971 (richiamata espressamente dall'art. 2 della L. n. 13/1989) è proprio quella di
consentire la visitabilità degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i
portatori di handicap possono avere relazioni con l'immobile anche di natura diversa dalla proprietà ( si pensi
agli inquilini, ai loro parenti, agli abituali frequentatori, eccetera). La presenza nello stabile di abitanti
handicappati vale invece a rendere operanti le provvidenze di ordine economico previste dalla legislazione
regionale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 22 marzo 1993, Società Lory e altro c. Condominio di Via Sapeto 7 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 314.
L'art. 2 della L. n. 13/1989 è applicabile anche riguardo alle necessità di un invalido civile e non solo di un
portatore di handicap.
* Trib. civ. Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
L'art. 2 della L. n. 13/1989 è applicabile anche riguardo ai soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
* Trib. civ. Napoli, 14 marzo 1994, n. 2606, in Arch. loc. e cond. 1994, 335.
La normativa concernente l'abbattimento delle barriere architettoniche è applicabile non solo relativamente a
quei soggetti che presentino difficoltà di deambulazione, ma anche a coloro - quali le persone anziane - che pur
non essendo affetti da menomazioni motorie, si trovino comunque in minorate condizioni fisiche.
* Pret. civ. Roma, 15 maggio 1996, Lucisano ed altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 564.
b) Disciplina antisismica
In base all'art. 6 della L. 9 gennaio 1989, n. 13, per l'esecuzione delle opere dirette a favorire il superamento e
l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati vanno rispettate le disposizioni della legge n. 64
del 1974 con esclusione dell'obbligo dell'autorizzazione. Ne deriva che l'ottemperanza della disciplina
antisismica è in parte qua espressamente statuita. Il richiamo concerne l'intera normativa e quindi anche la
previsione sanzionatoria, che è applicabile con riferimento alle residue ipotesi tipiche. L'ordine di demolizione è
conseguenziale non ad ogni condanna per contravvenzione antisismica, ma soltanto alle violazioni di specifiche
disposizioni tecniche, dalle quali possa derivare un concreto pericolo per la incolumità pubblica. Rientrano nel
novero delle incombenze formali, applicabili anche alle costruzioni de quibus, le disposizioni che prevedono la
necessità del preavviso di inizio dei lavori e del deposito del progetto. Per la loro inosservanza il giudice non
deve ordinare la demolizione.
* Cass. pen., sez. III, 18 dicembre 1993, n. 11605 (ud. 11 novembre 1993), Fiumara.
c) Eliminazione
Non può essere autorizzata la collocazione di una rampa d'accesso al portone d'ingresso di uno stabile, richiesta
da un portatore di handicap, con riferimento alle disposizioni previste dalla L. n. 13/1989 (disposizioni per
favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), qualora tale
collocazione determini innovazioni di carattere murario all'ingresso ed interventi sul giardino comune tali da
modificare l'estetica dell'immobile e da sottrarre una porzione della cosa comune allo sfruttamento da parte di
tutti i condomini, per attrarla nella sfera di esclusiva disponibilità del singolo.
* Pret. civ. Milano, ord. 18 aprile 1989, Fumagalli c. Condominio di via Trentacoste 34, Milano,
in Arch. loc. e cond. 1990, 143; Arch. civ. 1990, 293.
I provvedimenti di urgenza previsti dall'art. 700 c.p.c. non possono essere applicati al fine di eliminare le barriere
architettoniche in un edificio privato, se il condomino disabile che li richiede non risiede nel comune in cui si
trova l'immobile.
* Trib. civ. Savona, ord. 26 maggio 1994, Cardinali c. Condominio Eucaliptus di Alassio, in Arch. loc. e cond.
1995, 668.
Va accolta la richiesta di provvedimenti di urgenza diretti a consentire al portatore di handicap, stante il rifiuto o il
ritardo nell'assunzione della prevista delibera condominiale, l'esecuzione a proprie spese delle opere necessarie
per l'eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono l'accesso all'abitazione.
* Pret. civ. Roma, ord. 21 luglio 1989, in Foro it. 1991, I, 1614.
Al portatore di handicap non compete alcuna azione di condanna ad un facere, nei confronti del condominio ove
è situata la sua abitazione, avente ad oggetto l'attuazione delle opere dirette ad eliminare le barriere
architettoniche dello stabile, bensì un'azione di accertamento del proprio diritto ad eseguire a proprie spese le
opere necessarie all'abbattimento delle barriere architettoniche (costituite, nel caso di specie, dalle scale, che si
proponeva di superare attraverso l'installazione di un ascensore).
* Pret. civ. Roma,15 maggio 1996, Lucisano ed altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 564.
d) Installazione di ascensore
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un più proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio. (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
* Trib. civ. Milano, 9 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992,138.
L'installazione dell'ascensore non può comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condomino, nel qual caso l'innovazione non può essere considerata legittima, e ciò vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989,n. 13.
* Trib. civ. Napoli, 16 novembre 1991,n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La delibera adottata dall'assemblea condominiale relativamente all'installazione di un ascensore è nulla quando,
sebbene assunta nel rispetto delle maggioranze previste dall'art. 2 L. n. 13/1989 (recante norme per favorire il
superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati),sia lesiva dei diritti di altro
condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva.
* Corte app. civ. Genova, 27 dicembre 1997, n. 947, Pollacchioli c. Iozzelli ed altri, in Arch. loc. e cond. 1998,
719.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
* Trib. civ. Firenze,19 maggio 1992,n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
Nel caso in cui un condomino affetto da grave infermità fisica richieda di installare a proprie spese un ascensore
nell'edificio condominiale, la suddetta patologia ha rilievo solo nella fase cautelare, al fine di valutare il periculum
in mora; nella successiva fase cognitiva le condizioni fisiche del condomino non hanno rilievo alcuno, dovendosi
giudicare solo della sussistenza o meno del diritto del richiedente all'installazione, a proprie spese, di un
ascensore. (Fattispecie in materia di edificio con due soli condomini).
* Trib. civ. Napoli,sez. X, 19 giugno 1996,n. 6328, Coppola c. Picariello, in Arch. loc. e cond. 1996, 941.
E' ammissibile l'installazione di un ascensore nella gabbia scale di un edificio condominiale operata a proprie
spese da un condomino portatore di handicap, dovendosi contemperare l'eventuale modesto sacrificio subito
dagli altri condomini con il prioritario interesse dell'handicappato ad una vita sociale agevolata.
 Trib. civ. Foggia, 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.

Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
* Trib. civ. Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
In caso di installazione di un ascensore in un edificio condominiale è applicabile la disposizione di cui all'art. 2
della L. n. 13/1989 sulla eliminazione delle barriere architettoniche anche in caso di mancata esistenza di
handicappati all'interno del condominio, in quanto tale normativa persegue la finalità di consentire la libera
frequentabilità di tutte specie di edifici anche da parte di handicappati che possano recarvisi e non solo di
agevolare quelli che vi abitano.
* Trib. civ. Milano, 14 novembre 1991,n. 9287,in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
Posto che l'uso della cosa comune a spese del singolo condomino, anche quando comporti innovazione, non
necessita di previa delibera assembleare di approvazione, a patto che non sia alterata la destinazione della cosa
e non ne sia impedito l'uso agli altri condomini, va accolta la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da
chi, affetto da incapacità de ambulatoria, lamenti il rifiuto opposto all'installazione di un ascensore nella tromba
delle scale condominiali.
* Pret. civ. Milano,19 maggio 1987, in Foro it. 1987.
Dovendosi coordinare la disciplina legale sulle innovazioni con la normativa contenuta nell'art. 2 della L. 9
gennaio 1989, n. 13, in relazione alla installazione di un ascensore, ragioni di pubblico interesse e di solidarietà
sociale (invocabili in ogni caso in cui destinatari dell'impianto siano i portatori di handicap, sia pure nell'ambito di
una struttura associativa) rendono lecite anche le opere di escavazione che incidono sul compossesso dei
condomini.
* Pret. civ. Pordenone, 14 giugno 1994, n. 212, Condominio Isonzo in Pordenone c. Merlo, in Arch. loc. e cond.
1996, 102.
e) Piani di intervento
Gli interessi della categoria dei portatori di handicap nel suo complesso all'eliminazione delle barriere
architettoniche possono essere soddisfatti solo tramite l'adozione di piani organici degli interventi da effettuare e
non per mezzo di interventi contingenti e disorganici.
* Pret. pen. Firenze, 23 ottobre 1989, n. 2239, Frangioni, in Riv. pen. 1990, 268.
E' legittima (oltre che conforme alle regole di buona amministrazione) la deliberazione con cui un comune affida
all'istituto autonomo case popolari anche la sola progettazione (ed eventualmente pure l'esecuzione) di un piano
per l'eliminazione delle barriere architettoniche.
* Tar Lombardia, 8 settembre 1990, n. 977, in Foro it. 1992, III, 85.
f) Piattaforma mobile
L'installazione ex L. n. 13/1989 di una piattaforma mobile idonea al sollevamento dal livello giardino al livello del
piano della hall, pur comportando l'avanzamento di 40 cm. verso l'esterno di una struttura metallica con la
creazione di un nuovo scalino esterno al portone, non determina alcuna innovazione né con riferimento alla
funzione propria dell'atrio e del portone d'ingresso, né nei confronti del decoro architettonico dell'edificio, la cui
tutela deve essere contemperata anche con le altre esigenze nella specie particolarmente rilevanti in quanto
connesse ai principi di eguaglianza e di solidarietà anche costituzionalmente protetti.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 maggio 1992, Romanelli ed altri c. Condominio di via Ripamonti n. 255/257 di
Milano, in Arch. loc e cond. 1994, 139.
CANNE FUMARIE
SOMMARIO: a) Concessione edilizia; b) Installazione; c) Proprietà; d) Spese; e) Sostituzione; f) Uso.
a) Concessione edilizia
I lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano "funzionalmente" un’opera
preesistente, richiedono la concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 1988, n. 10396 (ud. 9 febbraio 1988), Amatori.
L’autorizzazione edilizia per la realizzazione di una canna fumaria in un muro perimetrale di un edificio può
essere rilasciata al singolo condomino proprietario dell’unità immobiliare che la canna fumaria è destinata a
servire.
* Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 1997, n. 699, Comune di Milano c. Ardizzon, in Arch. loc. e cond. 1997, 1058.
b) Installazione
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilità di uso degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2774, Cenci E. c. Cenci G.
Negli edifici in condominio, qualora distinte canne adibite a sfiatatoi, destinate a servire singolarmente diversi
locali o appartamenti, siano incorporate nel muro comune e preesistano al condominio, il servizio può essere
qualificato comune quanto meno nel suo complesso.
* Cass. civ., 16 luglio 1964, n. 1931.
è illegittima l’installazione di un’autonoma canna fumaria nel tratto di facciata compreso tra i balconi e le finestre
di cinque piani di un edificio condominiale in quanto, pur non alterando la naturale destinazione del muro
comune né la stabilità dell’edificio, viola le
norme sulle distanze legali, riduce la visuale laterale che si gode dalle finestre ed altera in modo sensibile il
decoro architettonico della facciata.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII. 26 marzo 1992, Soc. Milmar c. Alescio; Condominio Chiocciola e Agnello e altri,
motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1992, 354.
L’installazione da parte di un condomino di una canna fumaria in aderenza, appoggio o con incastro nel muro
perimetrale di un edificio, è attività lecita rientrante nell’uso della cosa comune, previsto dall’art. 1102 c.c. e,
come tale, non richiede né interpello né consenso degli altri condomini.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 17 marzo 1990, n. 3422, in Arch. loc. e cond. 1991, 145.
È illegittima l’installazione in appoggio alla facciata di un edificio condominiale di un condotto in lamiera ad uso
camino per l’estrazione di fumi ed odori da un vano retrostante un negozio, qualora turbi l’esercizio del possesso
di una terrazza a livello esclusivamente posseduta da un singolo condomino limitandone il prospetto e la veduta.
* Pret. civ. Pordenone, 7 dicembre 1990, n. 508.
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso
delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le
prime e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme
relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali
che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale, ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 23gennaio 1995, n. 724, Albini c. Cond. "Il Pino" di Como, in Arch. loc. e cond. 1995, 320.
Il singolo condomino non ha diritto alla tutela possessoria nei confronti del condominio con riferimento ai
comportamenti di fatto posti in essere in attuazione di decisioni prese da alcuno dei suoi organi. (Nella
fattispecie, un condomino aveva proposto l’azione di manutenzione contro l’attuazione della delibera
assembleare riguardante l’installazione delle canne fumarie).
* Trib. civ. Parma, ord. 3 gennaio 1997, Bottini c. Condominio "I Tigli" in Salsomaggiore, in Arch. loc. e cond.
1997,97.
c) Proprietà
La canna fumaria è soggetta alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c. e deve, quindi, ove il
contrario non risulti dal titolo, ritenersi comune e la circostanza che la canna inizi da un determinato
appartamento è irrilevante e non può giustificare la pretesa del proprietario dell’appartamento stesso di un
acquisto per accessione.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
La canna fumaria destinata a servire un determinato appartamento è da ritenersi di proprietà esclusiva del
titolare dell’appartamento medesimo anche se non sia formata da tubi in cotto o cemento o altro materiale
idoneo, ma risulti, invece, ricavata nel vuoto di un muro perimetrale per tutta l’altezza dell’edificio.
* Cass. civ., 17 maggio 1967, n. 1033.
Il condomino, titolare della servitù di tenere canne fumarie e di ventilazione sulla proprietà comune, non ha
anche il diritto di passaggio attraverso le parti di proprietà esclusiva altrui per procedere alla installazione ed alla
manutenzione delle canne.
* Cass. civ., 2 agosto 1977, n. 3385.
Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non
è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a
servire esclusivamente l’appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla
presunzione legale di comunione.
* Cass. civ., sez. II, 29agosto 1991, n. 9231, Battista ed altro c. Signorelli ed altro.
d) Spese
L’obbligazione di ricostruire una canna fumaria, la cui originaria consistenza sia stata mutata nel tratto che
attraversa un singolo appartamento, è a carico del proprietario di questo come obbligazione reale e non già a
carico comune dei condomini.
* Corte app. civ. Napoli, 14 gennaio 1950.
Le spese per la riparazione di una canna fumaria che serve un appartamento non possono essere messe a
carico della collettività.
* Trib. civ. Milano, 18 gennaio 1990, in L’Amministratore 1990, n. 3.
e) Sostituzione
è consentito sostituire una vecchia canna fumaria in metallo, comune a due edifici in condominio, distinti e
contigui, alla quale erano collegate le caldaie delle lavanderie dei due stabili, con una nuova canna in eternit
collegata all’impianto di riscaldamento di uno soltanto dei suddetti fabbricati, alla condizione, però, che sia
possibile all’altro condominio di servirsi della nuova canna collegandovi il proprio impianto.
*Cass. civ., 21 maggio 1976, n. 1836.
f) Uso
La riduzione della sezione di una canna fumaria ad opera di uno dei condomini (nella specie mediante
immissione di un tubo in eternit) non è consentita qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed
impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
Nel caso in cui cessi l’uso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione
il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perché è riconducibile ai poteri del
titolare di un diritto reale la facoltà di mettere o non mettere in attività un impianto, sia perché la canna fumaria
va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.
* Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 1995, n. 1719, Massafra c. Longhini.
CONDOMINIO MINIMO
In base all'art. 1139 c.c., la disciplina del capo II del titolo VII del terzo libro del codice civile (artt. 1117-1138) è
applicabile - e solo per quanto in tali norme non espressamente previste possono osservarsi le disposizioni sulla
comunione in generale (artt. 1100-1116 c.c.) - ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche, in quanto per essi né
esplicitamente né implicitamente derogato, ai cosiddetti condomini minimi, e cioè a quelle collettività
condominiali composte da due soli partecipanti, in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili le sole
norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli artt.
1104, 1105, 1106.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1993, n. 5914, Solaro srl c. Testa.
Nella ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (c.d. piccolo condominio), le spese necessarie alla
conservazione o riparazione della cosa comune (nella specie, rifacimento del tetto e dei solai) devono essere
oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non
costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condomino della necessità
di procedere a determinati lavori, benché urgenti ed indifferibili.
* Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5298, Antonetti c. Fabiani.
Anche nei cosiddetti piccoli condomini (nella specie, con due soli comproprietari), pur non essendo prescritte
particolari formalità per la convocazione dell'assemblea, è sempre necessario che una delibera sia adottata e
che l'altro compartecipe sia stato posto in grado di conoscere l'argomento con una preventiva convocazione.
* Cass. civ., sez. II, 15 novembre 1996, n. 10009, R. Santoro c. T. Santoro, Arch. loc. e cond. 1997, 1025.
Nell'ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (cosiddetto piccolo condominio) le spese necessarie
alla conservazione o alla riparazione della cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata
previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero
avvertimento o la mera comunicazione all'altro condominio della necessità di provvedere a determinati lavori. Il
principio anzidetto può esser derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza ovvero trascuratezza da
parte degli altri comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2000, n. 8876, Caffaratti U. c. Caffaratti G., Arch. loc. e cond. 2000, 715.
Se il condominio di edificio è costituito da due soli partecipanti e difetta quindi, per mancanza del presupposto di
una pluralità di condomini, la possibilità di applicare la disciplina dettata dall'art. 1136 c.c. sulla costituzione delle
assemblee e la validità delle sue delibere, operano le norme sulla comunione in generale e, fra queste, l'art.
1105 c.c., il quale consente il ricorso all'autorità giudiziaria per superare un contrasto fra i due partecipanti che
pregiudichi la necessaria amministrazione della cosa comune: ove però uno dei due partecipanti intenda
procedere, contro la volontà dell'altro, ad innovazioni (nella specie l'installazione di un ascensore) o, in genere,
ad atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, è applicabile non l'art. 1105 c.c., riguardante i soli atti di ordinaria
amministrazione, ma l'art. 1108 c.c. e pertanto, di fronte alla materiale impossibilità di formare fra due soli
condomini la maggioranza prevista da quest'ultima norma, deve concludersi con l'escludere che l'interesse di
uno dei due partecipanti all'innovazione od all'atto di straordinaria amministrazione trovi nell'ordinamento tutela
giuridica per superare l'opposizione dell'altro partecipante.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1604.
Con riguardo al rimborso delle spese fatte da un condomino per le cose comuni, nel caso di c.d. condominio
minimo non trova applicazione l'art. 1134 c.c., bensì il regime, dettato in tema di comunione, di cui all'art. 1110
c.c., da interpretarsi estensivamente nel senso che il potere di gestione del condominio deve ritenersi sussistere
non solo con riferimento alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, secondo la previsione
testuale dell'articolo da ultimo citato, ma altresì con riferimento alle spese realmente indispensabili per il
godimento della cosa stessa. (Nella specie quelle relative all'acqua potabile, all'acqua irrigua per il giardino e
all'alimentazione e manutenzione dell'impianto di riscaldamento).
* Trib. civ. Verona, 17 settembre 1999, n. 1530, Solito c. Rama G. ed altro, Arch. loc. e cond. 2000, 281.
La riduzione a due sole unità del numero dei partecipanti al condominio di edificio non comporta il venir meno
del condominio medesimo, ma determina soltanto l'inapplicabilità della disciplina dettata dall'art. 1136 c.c., in
tema di costituzione della assemblea e di validità delle relative delibere, la quale postula un numero di
partecipanti superiore a due. In tale ipotesi, in forza della norma di rinvio contenuta nell'art. 1139 c.c., le
deliberazioni del condominio, ivi comprese quelle attinenti alla nomina dell'amministratore, sono soggette alla
regolamentazione prevista per l'amministrazione della comunione in generale dagli artt. 1105 e 1106 c.c. e la
legittimazione a riscuotere dai condomini i contributi per la manutenzione delle parti comuni e per l'esercizio dei
servizi condominiali spetta all'amministratore nominato con la maggioranza indicata nel combinato disposto dai
citati artt. 1105 e 1106.
* Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1978, n. 535.
Giusta il disposto dell'art. 1139 c.c., la nomina di un amministratore giudiziale ai sensi dell'art. 1105, quarto
comma, c.c. è applicabile ai c.d. condomini minimi, e cioè alle collettività condominiali composte da due soli
partecipanti.
* Trib. civ. Ariano Irpino, decr. 14 ottobre 1997, Gambacorta c. Cardinale, Arch. loc. e cond. 1998, 574.
Nel caso di condominio formato da due soli condomini ogni comunista può apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune mentre gli è interdetto effettuare innovazioni
o atti di straordinaria amministrazione che pregiudichino il godimento della cosa comune da parte degli altri
comunisti.
* Trib. civ. Milano, 23 maggio 1991.
Anche nell'ipotesi di cosiddetto piccolo condominio, composto di due soli partecipanti, per la convocazione
dell'assemblea dei condomini, come della comunione in generale, non sono prescritte particolari formalità, ma è
pur sempre necessario che tutti i compartecipi siano stati posti in grado di conoscere l'argomento della
deliberazione, per cui la preventiva convocazione costituisce requisito essenziale per la sua validità. Detta
rituale convocazione non può essere sostituita dall'avvertimento o mera comunicazione della necessità di
procedere a determinati lavori richiesti dall'autorità amministrativa.
* Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1991, n. 7126, Nutini c. Stellini, Arch. loc. e cond. 1992, 322.
Nel c.d. piccolo condominio - al quale si applicano, per l'amministrazione, le norme degli artt. 1104, 1105 e 1106
c.c., piuttosto che quelle dell'art. 1136 c.c. - pur non essendo prescritte formalità particolari per la convocazione
dell'assemblea, è sempre necessario che a) una delibera sia adottata a seguito di regolare convocazione
dell'assemblea e che b) la delibera riceva il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti, calcolata
secondo il valore delle quote ex art. 1105 c.c.
* Trib. civ. Brescia, sez. II, 11 gennaio 2001, n. 199, Breda A. c. Breda G., Arch. loc. e cond. 2001, 575.
CORTILI CONDOMINIALI
SOMMARIO: a) Attraversamento di condutture; b) Chiostrine; c) Differenze tra cortili e intercapedini; d) Di
proprietà individuale; e) Evasione; f) Funzione; g) Modificazione della destinazione; h) Nozione; i) Opere vietate;
l) Pavimentazione; m) Presunzione di comproprietà; n) Tra edifici limitrofi e autonomi; o) Uso; p) Utilizzazione del
sottosuolo; q) Vanelle o cavedi.
a) Attraversamento di condutture
Ciascun partecipante alla comunione immobiliare non può, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della
cosa comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva proprietà, distinto dai fondi a servizio dei quali la
cosa medesima sia stata originariamente destinata, in quanto tale uso verrebbe a risolversi nell'imposizione di
una servitù. Pertanto, con riguardo ad un cortile comune fra i proprietari dei fabbricati circostanti ed adibito al
miglior godimento dei medesimi, deve ritenersi precluso al proprietario del singolo fabbricato, in difetto di
consenso degli altri condomini, di attraversare detto cortile con condutture di gas od acqua, che siano destinate
ad approvvigionare non quel fabbricato, ma un altro distinto immobile di sua proprietà, rimanendo irrilevante che
tale ultimo fine sia realizzato, non con condutture autonome, rispetto a quelle adducenti al fabbricato compreso
nell'area condominiale, ma con successive derivazioni da tali condutture.
* Cass. civ., sez. II, 8 aprile 1977, n. 1355.
b) Chiostrine
In un edificio in condominio le chiostrine, vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani
o porzioni di piano, attribuite per titolo in proprietà esclusiva ai proprietari dei piani superiori, raffigurano beni
giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell'edificio, che le delimitano. Questi muri, in quanto parti
essenziali per l'esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l'edificio, appartengono in proprietà
comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri
maestri (che delimitano le chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a
piano terra, ancorché essi non siano proprietari delle chiostrine.
* Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1993, n. 11435.
c) Differenze tra cortili e intercapedini
Costituisce cortile lo spazio scoperto circondato dai corpi di fabbrica di uno stesso edificio o da più fabbricati
contermini, che sia destinato, nell'ambito di un rapporto condominiale o implicante, comunque, una disciplina, a
carattere interno, di interessi comuni od omogenei, a fornire, in via primaria, aria e luce agli edifici che vi si
affacciano ed a servire, in via complementare, da disimpegno per le esigenze degli immobili che lo circondano,
consentendo il traffico delle persone e, in via eventuale, dei veicoli. Costituiscono, invece, intercapedini, le zone
di rispetto fra diversi edifici prescritte al fine di regolare, con una disciplina a carattere esterno, il
contemperamento degli interessi contrapposti di proprietari vicini, nell'ambito del rapporto di vicinato e non di
comunione. Le dette intercapedini, dirette a soddisfare esigenze di igiene e di sicurezza pubblica o privata,
svolgono, diversamente dai cortili, la funzione di assicurare aria e luce, solo in via subordinata e nei limiti
inderogabili del rispetto delle distanze fra costruzioni.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3380.
d) Di proprietà individuale
Allorché si verifica la separazione tra la proprietà di un cortile (o di altro bene rientrante in astratto nel novero di
quelli cui si riferisce la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ.) e la proprietà delle unità
immobiliari di un edificio, i rapporti tra tali distinte proprietà vanno disciplinati non già secondo l'art. 1102 cod. civ.
sebbene secondo la normativa dei rapporti di vicinato, cioè dei rapporti che corrono tra proprietà contigue
separate, per cui, tra tali proprietà, vanno rispettate le distanze legali, tranne che sussista un titolo che deroghi al
rispetto di tali distanze, con la conseguenza che, mentre il proprietario esclusivo del cortile è obbligato a
rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione, i proprietari delle singole unità immobiliari non possono
creare nuove vedute sul cortile. (Nella specie trattavasi di un'area di proprietà esclusiva, destinata, in
dipendenza della situazione dei luoghi, a cortile).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4605, Apuzzo O. c. Apuzzo S.
Allorché un cortile già appartenente ad un condominio diventi proprietà individuale, da un lato il proprietario è
obbligato a rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione e dall'altro i proprietari dell'immobile a cui era
annesso il cortile non possono creare nuove vedute (né altre servitù) e debbono da quel momento rispettare le
norme sulle distanze legali tra proprietà confinanti.
* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1984, n. 101, Apuzzo c. Apuzzo.
e) Evasione
Ai fini della configurazione del reato di evasione l'ambito di fruibilità dello spazio della persona ristretta agli
arresti domiciliari è limitato al luogo in cui questa conduce vita domestica, per definizione strettamente riferibile
allo spazio destinato alle relazioni di vita comunitaria di quanti in esso coabitano, con esclusione quindi del
cortile condominiale.
* Cass. pen., sez. VI, 22 luglio 1995, n. 8248 (ud. 23 marzo 1995), Buffa.
E' configurabile il reato di evasione nel fatto del soggetto agli arresti domiciliari che venga sorpreso dai
carabinieri nel cortile condominiale, a pochi metri dalla sua abitazione.
* Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 8150 (ud. 26 aprile 1995), Idotta.
La funzione in relazione alla quale il legislatore ha disposto che, in mancanza di titoli contrari, i cortili debbono
presumersi comuni, è quella di dare accesso, aria e luce a edifici che, senza il cortile, resterebbero totalmente o
parzialmente privi di codesti essenziali benefici. Tale funzione, pertanto, non è configurabile, e la presunzione
non si applica, in rapporto a edifici che siano separati dal cortile stesso da giardini, terreni o altri spazi liberi già
di per sé idonei a garantire il soddisfacimento delle predette esigenze.
* Cass. civ., 24 maggio 1972, n. 1619.
g) Modificazione della destinazione
L'accertamento, operato in concreto, circa il contenuto, la qualità e l'ampiezza della destinazione impressa dai
condomini al cortile, nonché la coerenza, con essa, delle modificazioni impressevi dal condomino per una
migliore utilizzazione e la non esorbitanza dai limiti imposti all'esercizio di un tale potere, si risolve in un
apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logico-giuridici.
* Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378.
In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino può servirsi delle parti comuni a condizione che non ne
alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico del
fabbricato e che non arrechi danno alle singole proprietà esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti,
di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla
cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull'entità materiale della cosa, alterandone in
tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volontà dei compartecipanti
ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall'uso o dalla
natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all'uso degli altri condomini in guisa da turbare
l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, è stata
ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unità immobiliare sita ad un
livello più alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione
della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del
traffico veicolare a servizio dell'unità immobiliare utilizzata non più ad uso abitativo, bensì commerciale).
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789, Gaudioso c. Toscano.
Il notaio, in occasione della stipula del contratto "definitivo", ha l'obbligo, ai sensi dell'artt. 1176 e 1375 c.c., di
informare gli acquirenti - ove questi ultimi non ne siano già a conoscenza aliunde - della eventuale circostanza
per cui, trattandosi di compravendita di appartamento condominiale, lo stato giuridico di una cosa comune (nella
specie il cortile dell'edificio di cui faccia parte l'appartamento oggetto della compravendita), sia mutato e la cosa in difformità rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto "preliminare", ed in deroga rispetto all'art.
1117 c.c. - sia divenuta, in forza di un altro suo rogito, di proprietà esclusiva di un singolo soggetto (nella specie,
la società venditrice). Sotto un tal profilo, i riflessi di responsabilità conseguenti all'inadempimento di un tale
obbligo non vengono superati dalla semplice circostanza per cui, in sede di contratto "definitivo", gli acquirenti
dichiarino di accettare le tabelle millesimali allegate al predetto altro rogito in questione.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2000, n. 6514, Chirici c. Franchi.
h) Nozione
Il cortile, tecnicamente, è l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a
dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all'ampia portata della parola e, soprattutto alla
funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi
anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto,
le intercapedini, i parcheggi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 c.c., vanno ritenute
comuni a norma della suddetta disposizione.
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889, Lombardi c. Lonigro ed altra.
Da un punto di vista generale, è "cortile" anche lo spazio a disimpiego di uno o più fabbricati, siano essi di
proprietà di uno solo o di più soggetti, ovvero anche comune a più immobili che su di esso prospettano.
* Cass. civ., 2 luglio 1969, n. 2431.
L'accertamento in concreto che un determinato spazio adiacente all'edificio in condominio sia o meno pertinenza
dell'entità condominiale e appartenga strutturalmente al condominio, non può essere fondato semplicemente ed
unicamente sull'interpretazione della fattispecie astratta dell'art. 1117 c.c. ma occorre effettuare, con riferimento
all'epoca di costituzione del condominio, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi, dei rapporti, in relazione
alla volontà delle parti che possono aver voluto escludere proprio la presunzione di comunione.
* Cass. civ., 11 febbraio 1969, n. 463.
La presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva destinazione del bene a servizio e utilità
degli edifici circostanti, sicché nella nozione di cortile devono intendersi compresi anche gli spazi esterni che,
oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altresì l'esigenza dell'accesso alla via pubblica.
* Cass. civ., 23 marzo 1970, n. 783.
i) Opere vietate
Anche nel caso in cui una parte dell'edificio condominiale necessaria all'uso comune si appartenga in proprietà
esclusiva ad uno soltanto dei condomini, questi è tenuto, nell'esercizio delle sue facoltà di godimento, a
rispettare la destinazione obiettiva della suddetta parte all'utilità generale dell'intero condominio. Per cui, financo
al condomino che sia proprietario esclusivo dell'intero cortile sul quale prospettano gli appartamenti dello stabile,
è vietato di eseguirvi costruzioni o manufatti che impediscano o limitino l'esercizio del diritto, spettante ex lege
agli altri condomini, di trarre dallo stesso cortile la luce e l'aria necessarie ai loro rispettivi appartamenti.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1977, n. 78. Conforme, Cass. II, 17 ottobre 1974, n. 2897.
La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale è consentita al singolo condomino
solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche, pertanto, quando si traduca in corpi di
fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d'aria sovrastante ed utilizzazione della stessa
ai fini esclusivi (nella specie, trattavasi della costruzione di "bovindi").
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
L'utilizzazione della cosa comune può avvenire da parte di uno o più compartecipi alla comunione anche in
modo particolare e diverso da quello degli altri, senza sconfinare in abuso, sempre che la destinazione della
cosa resti rispettata: a tal fine la legittimità d'un tale uso va verificata, dal giudice del merito, in base al confronto
tra uso diverso e destinazioni possibili della cosa quali stabilite, anche per implicito, dalla volontà comune dei
condomini. (In base a tale principio, la corte di cassazione ha confermato la decisione del giudice del merito che
aveva considerato incompatibile con la destinazione a cortile dell'area comune la costruzione su di essa di
gabinetti da parte di alcuni condomini).
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1990, n. 4566, De Falco c. Panno.
L'occupazione da parte di un condomino dello spazio aereo sovrastante una striscia di terreno comune,
destinata a mettere in comunicazione due cortili, per mezzo di una costruzione aggettante che sporge all'altezza
di tre metri dal suolo, costituisce un'illegittima estensione della proprietà individuale sulla cosa comune a danno
degli altri proprietari, i quali subiscono una definitiva sottrazione del loro potere dispositivo e di utilizzazione a
seguito di opere che impediscano o diminuiscano sensibilmente il passaggio e l'utilizzazione dell'aria e della
luce.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1976, n. 501.
l) Pavimentazione
La pavimentazione di un cortile condominiale, originariamente in terra, può essere valutata come ricostruzione o
riparazione straordinaria di notevole entità per la quale è sufficiente che la deliberazione venga assunta con
l'approvazione di un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore
dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 maggio 1989, Visentin c. Condominio di via Tortona, 31, Milano.
La sostituzione della pavimentazione del cortile condominiale è opera di ordinaria manutenzione e non già
innovazione, essendo quest'ultima costituita dalle modificazioni materiali della cosa comune che ne importino
l'alterazione dell'entità sostanziale o il mutamento della sua originaria destinazione e non da mutamenti delle sue
modalità di utilizzazione o da modificazioni e sostituzioni che non ne alterino la struttura sostanziale da
precedente destinazione.
* Trib. civ. Piacenza, 5 febbraio 1991.
m) Presunzione di comproprietà
In tema di condominio di edifici la presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva
destinazione del bene a servizio e utilità degli edifici circostanti, sicché nella nozione di cortile devono intendersi
compresi anche gli spazi esterni che oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altresì l'esigenza dell'accesso
alla via pubblica.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1991, n. 10309, Gallia c. Fontana.
Ai fini della presunzione di comproprietà del cortile per le unità immobiliari che vi si affacciano è sufficiente che
queste da esso traggano aria e luce, poiché la ratio della norma contenuta nell'art. 1117 c.c. si fonda sulla
funzionalità obiettiva dei beni ivi indicati e cioè sulla loro attitudine a servire l'immobile condominiale. Pertanto,
una volta accertato insindacabilmente in sede di merito che l'unità immobiliare costituita da un fabbricato con
giardino "è servita"dal cortile col quale confina e dal quale riceve aria e luce, è ininfluente che il cortile confini
con la parte scoperta, dalla quale è separato da un muretto, anziché con la parte coperta dell'unità immobiliare.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1976, n. 2142.
In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono
oggetto di proprietà comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento
della destinazione particolare del bene al servizio di una o più determinate unità immobiliari. Pertanto, non è
necessario, ai fini del riconoscimento della proprietà collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilità specifica
che da esso tragga ciascuna delle unità dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione
particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unità al fine di escludere il diritto di tutti i
proprietari sul bene stesso. Né è sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unità
immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilità di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo
dette utilità le potenzialità di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito
temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unità.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, Acampora c. Apuzzo G. ed altri.
La presunzione di proprietà comune di cui all'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovano
fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e sono obiettivamente destinati a dare
aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano.
* Cass. civ., sez. II, 10 luglio 1991, n. 7630, Di Scala c. Parisi.
La presunzione di comproprietà del cortile, ubicato fra diversi fabbricati, ovvero nell'ambito di un unico edificio
condominiale, trova il suo fondamento nella funzione principale del cortile medesimo, consistente nell'essere
esso destinato a fornire aria e luce alle unità immobiliari circostanti e non già nella destinazione, puramente
accessoria ed eventuale, consistente nel consentire l'accesso a tali unità. Ne discende che la suddetta
presunzione sussiste anche nel caso in cui l'ubicazione del cortile rispetto alle diverse unità immobiliari sia tale
da consentire l'accesso ad un solo condomino con esclusione degli altri comproprietari i quali, pertanto, usano
dello stesso nella sua interezza, iure proprietatis e non iure servitutis. Per vincere tale presunzione di comunione
occorre un titolo contrario, cui si riferisce l'art. 1117 c.c., il quale può essere rappresentato solo dal negozio
concluso da colui o da coloro che costituiscono il condomino, in quanto rappresenta la fonte comune dei
rispettivi diritti dei condomini, mentre i successivi negozi che determinano l'acquisto di una parte dell'edificio,
sono rispetto agli altri condomini res inter alios acta e quindi inutilizzabili per la ricerca di una eventuale
disposizione contraria alla presunzione legale.
* Cass. civ., 3 settembre 1976, n. 3085.
In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono
oggetto di proprietà comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento
della destinazione particolare del bene al servizio di una o più determinate unità immobiliari. Pertanto, non è
necessario, ai fini del riconoscimento della proprietà collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilità specifica
che da esso tragga ciascuna delle unità dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione
particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unità al fine di escludere il diritto di tutti i
proprietari sul bene stesso. Né è sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unità
immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilità di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo
dette utilità le potenzialità di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito
temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unità.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, Acampora c. Apuzzo G. ed altri.
I cortili sono previsti espressamente dall'art. 1117 c.c. fra le parti dell'edificio che si presumono comuni, salvo
che il contrario risulti da titolo. Deve considerarsi cortile non soltanto lo spazio esistente nell'interno di un
fabbricato, circoscritto dalla superficie del suolo, ma anche tutta l'area soprastante, limitata ai lati dalle
costruzioni che la fronteggiano, e delle quali esso può ritenersi un accessorio, destinato a dare aria e luce ai
vani delle costruzioni stesse; per tali sue speciali caratteristiche la legge presume che il cortile rientri nelle cose
del condominio, sicché ne consegue che i proprietari ne usino iure domini e non iure servitutis. La presunzione
di comunione, che è dunque fondata su questa attitudine funzionale obiettiva del cortile al servizio e al
godimento collettivo, opera anche se il cortile si trova circondato (ed è accessorio) da edifici diversi.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1991.
n) Tra edifici limitrofi e autonomi
Ove due edifici diversi siano in origine appartenuti ad un solo proprietario, che li trasferiva a persone diverse, il
cortile destinato a servizio comune resta in condominio tra gli acquirenti, mentre ove non risulti l'unica proprietà
originaria, non sussiste alcuna ragione di incompatibilità tra la proprietà del cortile da parte di uno solo dei
proprietari degli edifici e l'uso comune del cortile, ben potendo tale uso esercitarsi, dai non proprietari, a titolo di
servitù.
* Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 1975, n. 3197.
Nel caso in cui un cortile sia racchiuso tra edifici appartenenti a proprietari diversi e, per la sua ubicazione,
appaia destinato all'uso e al godimento di alcuni soltanto degli edifici che lo delimitano, in mancanza di titoli
validi, la presunzione iuris tantum di condominio opera solo ed esclusivamente a favore di questi.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1977, n. 1486.
Il cortile ubicato fra due fabbricati deve ritenersi di proprietà comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., qualora ne
costituisca accessorio, in quanto stabilmente destinato all'uso ed all'accesso dei medesimi. Ne consegue che la
domanda, con la quale il proprietario di un fabbricato chieda, nei confronti del proprietario dell'altro,
l'accertamento della comunione di tale cortile, al fine di conseguire la rimozione di una costruzione realizzata dal
convenuto su parte del cortile stesso, non è soggetta al rigoroso onere probatorio previsto in tema di
rivendicazione, ma trova sufficiente fondamento nella dimostrazione di detta relazione di accessorietà, evincibile
dall'obiettiva situazione dei luoghi, ed anche dagli elementi indiziari forniti dalle risultanze catastali.
* Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 1980, n. 286, Barbaro c. Tisiot.
La presunzione di comunione dei cortili prevista dall'art. 1117 cod. civ., e quindi il regime delle parti comuni
dell'edificio, è applicabile per analogia anche al cortile compreso tra edifici limitrofi appartenenti a proprietari
diversi, trovando fondamento sull'obiettiva destinazione del cortile al servizio o utilità delle abitazioni dei
proprietari che vi si affacciano o lo circondano, e tale situazione può verificarsi anche nell'ipotesi della
destinazione del cortile per l'uso ed i bisogni di più edifici limitrofi.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1980, n. 2984, Soc. ACSA c. Cond. Ariston.
Con riguardo ad un cortile comune a più fabbricati ma in possesso di un solo condomino, il giudizio contro di
questi promosso da altro condomino per sentirsi riconoscere condomino del cortile stesso per una quota pari
alla metà, nel quale sia invocata dal convenuto, in via riconvenzionale, la verificatasi usucapione dell'intero
immobile in suo favore, deve essere svolto nei confronti di tutti i proprietari dei fabbricati circostanti sussistendo
una situazione di litisconsorzio necessario in ragione dell'unità ed inscindibilità del rapporto plurisoggettivo su cui
deve incidere la richiesta pronuncia giudiziale.
* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9092, Raimo c. Spiezia.
Il regime condominiale riguarda non solo le parti comuni di uno stesso edificio diviso per piano o porzioni di
piano tra proprietari diversi, ma anche parti comuni - quale il cortile - di edifici limitrofi ed autonomi, appartenenti
a differenti proprietari, sempreché ali parti, anche se fisicamente distaccate, siano destinate al servizio comune
dei proprietari medesimi.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1904, Soc. Edifar c. Cond. via Fara.
La presunzione di proprietà comune dei cortili, dettata dall'art. 1117 c.c. in materia di condominio, è applicabile
anche nel caso in cui un cortile sia circondato da edifici appartenenti a proprietari diversi. A vincere la
presunzione di comunione - la quale trae origine dal silenzio del titolo - è necessario che il titolo contrario - vale
a dire l'attribuzione di proprietà esclusiva ad una o a più determinate persone - risulti in modo non equivoco.
* Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 318.
La presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ., riguarda gli edifici in condominio per piani orizzontali e
non è applicabile al fine di dimostrare la comunione di un cortile esistente fra edifici appartenenti a proprietari
diversi, e destinato all'uso e godimento di uno solo degli edifici quanto all'accesso a questo ed al godimento
anche dell'altro edificio quanto all'aria e alla luce. Pertanto in tale ipotesi, chi invoca la comunione ha l'onere di
provarne i fatti costitutivi.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 647, Lunardini c. Collina.
La presunzione di proprietà comune posta dall'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovino
fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e siano obiettivamente destinati a dare
aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano. Né tale presunzione può essere vinta, nel silenzio del titolo di
acquisto della porzione immobiliare, dalla mera possibilità di accesso al bene comune in favore di uno solo dei
condomini o proprietari di accesso al bene comune in favore di uno solo dei condomini o proprietari dei singoli
edifici, in quanto l'utilità particolare che da siffatta circostanza deriva non incide sulla destinazione tipica e
normale del bene, che è di dare aria e luce ai circostanti edifici.
* Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1984, n. 4625, Acquaviva c. Piricò.
Quando un cortile sia comune a due edifici, ciascuno costituente un autonomo condominio, e manchi al suo
riguardo una disciplina contrattuale vincolante per tutti i comproprietari dei due edifici, l'uso del cortile da parte di
questi ultimi non è assoggettato sia al regolamento dell'uno che a quello dell'altro condominio, essendo, invece,
applicabili le norme sulla comunione in generale, e, in particolare, l'art. 1102 cod. civ., in base al quale ciascun
partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la sua destinazione e non
impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1986, n. 1598, Pipan c. Cond. V. Cor. App.
Il principio di diritto secondo il quale il regime legale della comunione stabilito dall'art. 1117 c.c., è applicabile
anche quando non si tratti di parti comuni di uno stesso edificio diviso per piani bensì di parti comuni di edifici
limitrofi ed autonomi, presuppone che le parti siano destinate al servizio comune degli edifici medesimi. Il vincolo
di destinazione di un bene (cortile) che risulti contemporaneamente adiacente a edifici distanti ed autonomi, al
servizio esclusivo di uno di essi soltanto è condizione sufficiente per escludere in radice il regime condominiale.
(Nella specie, i magazzini dei contendenti erano originariamente appartenuti ad un unico proprietario e
comunicavano con il cortile in contestazione. Successivamente il proprietario aveva chiuso la comunicazione di
uno dei magazzini con il cortile, comunicazione costituita dal passaggio attraverso una grotta, mediante la
costruzione di un muretto e l'apposizione di una grata di ferro e poi aveva venduto il magazzino a terzi. Attesa
tale situazione, i giudici di merito avevano ritenuto che il cortile non fosse comune anche al magazzino venduto.
Il S.C. ha condiviso tale decisione ed ha enunciato il principio che precede).
* Cass. civ., 28 aprile 1971, n. 1242.
La presunzione di comunione del cortile prevista dall'art. 1117 c.c. per il caso di un tipico edificio in proprietà
separata per piani o per porzioni di piani, sussiste analogicamente nel caso in cui trattasi di cortile racchiuso tra
edifici appartenenti a proprietari diversi.
* Cass. civ., 22 febbraio 1964, n. 380.
La norma dettata dall'art. 1117, n. 1, c.c., con riguardo ai cortili negli edifici condominiali, è applicabile per
analogia anche ai cortili ed agli spazi permanentemente destinati per l'uso e per l'accesso ad edifici limitrofi,
appartenenti a proprietari diversi, con la conseguenza che quei cortili e quegli spazi si presumono in comunione
fra i predetti proprietari, fino a prova contraria.
* Cass. civ., 13 ottobre 1976, n. 3411.
La presunzione di comunione dei cortili di fabbricati in condominio, prevista dall'art. 1117 c.c., si estende anche
ai cortili compresi tra edifici limitrofi, anche se appartenenti a proprietari diversi, poiché tale presunzione si fonda
sulla normale destinazione del cortile al servizio dell'edificio in condominio, e tale situazione può verificarsi
anche nell'ipotesi di destinazione all'uso ed alle necessità di più edifici limitrofi. A vincere la presunzione, è
necessario che il "titolo contrario"(e cioè l'attribuzione in proprietà esclusiva) risulti in modo inequivoco,
apprezzabile incensurabilmente dal giudice del merito.
* Cass. civ., 8 ottobre 1975, n. 3197.
o) Uso
Il comproprietario di un cortile il quale, trasformando vani terranei di proprietà esclusiva, costruisca un ampio
androne che consenta il transito nel cortile comune con mezzi pesanti, realizzando un uso che, per qualità ed
intensità, è diverso da quello che, per la conformazione dei luoghi, era possibile in precedenza a tutti i
comproprietari, viola il divieto ex art. 1102 cod. civ. di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire
agli altri proprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841, Sorrentino c. Nappi.
Il cortile (sia esso interno al fabbricato condominiale ovvero racchiuso da costruzione di proprietà distinta e
destinato a dare ad esse accesso, luce ed aria) rientra fra le cose in comunione ex art. 1117 cod. civ. che i
proprietari pro quota usano iure domini e non iure servitutis, con la conseguenza che il comportamento relativo
del singolo partecipante alla comunione costituisce utilizzazione legittima della cosa comune ex art. 1102 cod.
civ., se mantenuto nei limiti posti dalla norma stessa (nella specie, transito pedonale e veicolare attraverso il
cortile, previa apertura di nuovi accessi ad esso attraverso il muro delimitante fabbricati insistenti sul cortile
stesso).
* Cass. civ., sez. II, 23 novembre 1982, n. 6336, Antonazzo c. Pastore.
In un edificio in condominio la funzione naturale di un cortile, di fornire aria e luce alle unità abitative che vi
prospettano, non è incompatibile con l'appartenenza o la destinazione di esso all'uso esclusivo di uno o più
condomini, né l'obbligo da parte di costoro di rispettare quella funzione comporta il sorgere di diritti particolari in
favore degli altri partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1984, n. 1209, Pitanza c. Fecarotta.
Qualora il cortile di un condominio sia destinato all'esclusivo transito pedonale, l'usufruttuario dei vani terranei
non può aprire su di esso un accesso per automezzi, atteso che tale modifica esorbita dall'ambito di un uso "più
intenso ed esteso"dell'area comune, rientrando in quello delle innovazioni vietate ai sensi dell'art. 1102 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1991, n. 9273, Bucci c. Condominio Via Giovanni XXIII, 47 di Isernia.
Il proprietario di un edificio, legato con rapporto pertinenziale ad un cortile di proprietà comune ad altri frontisti,
non può servirsi della cosa comune per accedere ad altro immobile di sua proprietà esclusiva, in quanto tale uso
comporterebbe l'asservimento ad una o più servitù delle quote ideali degli altri partecipanti.
* Cass. civ., 21 ottobre 1972, n. 3187.
In materia di condominio negli edifici, è illegittimo l'accordo di destinare la corte comune a spazi di uso esclusivo,
mediante la fruizione esclusiva dei singoli appezzamenti, qualora l'accordo medesimo non risulti comprovato da
alcuna delibera o atto scritto; ne deriva, quindi, la legittimità del provvedimento con il quale il giudice ordina la
rimozione di tutte le recinzioni e dei manufatti abusivi, dovendosi restituire all'uso e al godimento di tutti i
condomini l'intera area verde o corte comune che circonda il fabbricato.
* Corte app. civ. Perugia, 9 febbraio 1988, n. 17, Cardoni e altri c. Miceli, in Arch. loc. e cond. 1988, 585.
In mancanza di vincoli convenzionali l'assemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza e non
all'unanimità dei partecipanti, ha soltanto il potere di predeterminare le forme di disciplina dell'uso del cortile, ma
non può disporre la sottrazione all'uso e al godimento anche di uno solo dei condomini.
* Trib. civ. Milano, 29 aprile 1991.
La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio autorizza un condomino ad occupare per il proprio
uso esclusivo una parte del cortile condominiale dà luogo in via contrattuale alla costituzione di una servitù
soggetta al consenso unanime di tutti i condomini in forma scritta. In difetto di tali requisiti, l'avente causa del
condomino a cui favore l'occupazione era stata prevista non ha titolo per pretendere il rispetto della
deliberazione né per impugnare la successiva delibera con la quale l'assemblea abbia revocato la pregressa
autorizzazione.
* Trib. civ. Monza, 20 maggio 1993, Soc. Irte c. Cond. di via Raiberti n. 14 di Monza.
In tema di condominio, e con riferimento alle parti comuni dell'edificio, il termine "godimento"designa due
differenti realtà, quella della utilizzazione obiettiva della res, e quella del suo godimento soggettivo in senso
proprio, con la prima intendendosi l'utilità prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore
delle unità immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi
(suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi, invece, nell'uso delle parti
comuni quale effetto dell'attività personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi,
stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento). Nondimeno, talune delle parti
comuni elencate nell'art. 1117 c.c. (solitamente destinate a fornire utilità oggettiva ai condomini) sono talora,
suscettibili anche di uso soggettivo, uso, pervero, particolare ed anomalo, diverso, cioè, da quello connesso con
la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (i muri maestri utilizzati, ad
esempio, per l'applicazione di vetrine o insegne luminose), con la conseguenza che i cortili, funzionalmente
destinati a fornire aria e luce al fabbricato (destinazione "oggettiva") ben possono esser destinati (anche) ad un
uso soggettivo (sistemazione di serbatoi, deposito merci, parcheggio auto), di talché, pur costituendo
"normalmente"oggetto di trasferimento conseguenziale al trasferimento della proprietà del piano o porzione di
piano, purtuttavia possono, ex titulo, formare, quanto al relativo godimento soggettvo, oggetto di diversa
pattuizione, quale, come nella specie, l'esclusione del trasferimento della relativa quota di comproprietà dell'uso
(soggettivo) come parcheggio auto, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad ospitare le
autovetture di tutti i condomini (sì che la clausola di esclusione de qua appare destinata a perseguire interessi
non immeritevoli di tutela). Peraltro, nell'ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della cosa comune, non è al
singolo condomino che spetta la legittimazione alla cessione stessa, essendo, all'uopo, necessario il consenso
di tutti i partecipanti alla comunione, giusta disposto dell'art. 1108, comma 3 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2000, n. 2255, Lichino ed altro c. Folchi Vici Merighi.
In tema di azione di reintegrazione, la dimostrazione dell'esercizio di fatto del possesso deve essere fornita
dall'attore, ai sensi dell'art. 2697 c.c.; in mancanza di tale prova la domanda va rigettata, poiché l'invocata
inversione dell'onere della prova è collegabile solo ad eccezionali previsioni di legge (nella specie gli attori,
proprietari e possessori d'un appartamento condominiale, lamentavano la sottrazione di parte del cortile comune
al loro godimento).
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 28 giugno 1990.
p) Utilizzazione del sottosuolo
Con riguardo all'utilizzazione del sottosuolo di un cortile interno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo
condomino per l'installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua proprietà esclusiva, la
configurabilità di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino (denunciabile con azione di
reintegrazione o manutenzione) postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da
parte di questo altro condomino (corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà e non di un mero diritto di
servitù di passaggio), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di
accesso, affaccio, luce ed aria dei singoli partecipanti, oltre che, "ad colorandam possessionem", dalla sua
inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 cod. civ.), nonché l'accertamento
ulteriore che l'indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore,
traducendosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di quest'ultimo.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 432, Costa c. Dellerba.
Nel regime giuridico del condominio di edifici, l'uso particolare che il condomino faccia del cortile comune,
interrando nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad aliminare l'impianto termico del suo
appartamento condominiale, è conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in
concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di
fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, né escluda per gli stessi la
possibilità di fare del cortile stesso analogo uso particolare.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1997, n. 4394, Boretti c. Bellini.
Il comproprietario di un cortile può legittimamente scavare il sottosuolo per installarvi tubi onde allacciare un
bene di sua proprietà esclusiva agli impianti idrico-fognario centrali perché da un lato non perciò ne viene
alterata la destinazione ad illuminare ed arieggiare le unità immobiliari degli altri condomini; dall'altro rientra nella
funzione sussidiaria del sottosuolo del cortile il passaggio in esso di tubi e condutture.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 85, Cond. Stabile Palagiano via Manzoni c. Di Sarno.
q) Vanelle o cavedi
Il cavedio - talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce - è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai
muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali
secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del
cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1 c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4350, Maga Moda srl c. Cond. Via Settembrini 36, Milano.
Le vanelle o cavedi, che consistono in un cortile di dimensioni ridotte circondato da tutti i lati, con funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio, sono soggette allo stesso regime del cortile. Tali spazi,
pur potendo essere di proprietà esclusiva di taluni condomini, si presumono comuni e costituiscono una
pertinenza dell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 13 novembre 1989.
La vanella è un cortile di dimensioni ridotte, circondato da tutti i lati, avente essenzialmente la funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio (pozzo di luce); essa è presunta comune anche nel
caso in cui sia delimitata da più edifici contigui, anziché essere situata entro un unico edificio.
* Trib. civ. Napoli, 25 giugno 1962.
Le cosiddette vanelle, pur potendo essere di esclusiva proprietà di taluni condomini, non possono essere
considerati fondi distinti dall'edificio condominiale di cui sono pertinenze.
* Trib. civ. Napoli, 17 settembre 1962.
DANNI IN CONDOMINIO
SOMMARIO: a) Allagamento di locali; b) Assicurazione del fabbricato; c) Azione risarcitoria; d) Caduta di neve
dal tetto; e) Caduta di oggetti; f) Cattivo funzionamento di impianto comune; g) Cose in custodia; h) Denuncia di
nuova opera; i) Furto; l) Getto di acqua piovana da terrazza; m) Getto pericoloso di cose; n) Indennità; o)
Infiltrazioni d'acqua; p) Libretto casa; q) Precarietà fondale dell'edificio; r) Responsabilità concorrente del
condominio; s) Responsabilità dell'amministratore; t) Responsabilità del locatore; u) Responsabilità solidale; v)
Scarsa illuminazione; z) Violenza privata.
a) Allagamento di locali
In caso di allagamento di locali seminterrati a causa esclusivamente del riflusso entro la fogna privata di acque
provenienti da quella comunale, riflusso dovuto unicamente alla mancata e doverosa predisposizione dei
dispositivi antirigurgito, si deve ritenere che responsabile dei danni sia il condominio, ove lo stesso non abbia
adottato le prescritte valvole antirigurgito, e non il Comune proprietario della fognatura.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 15 febbraio 1988, n. 477, Comune di Roma c. Parenza, Cond. Via dei Colli
Portuensi, Di Bernardino e Soc. L'Architettonica I e II, in Arch. loc. e cond. 1989, 498.
Nel caso in cui l'attore richieda il risarcimento del danno per l'allagamento dell'abitazione da parte di acque
piovane, a seguito del loro mancato deflusso nei canali e nell'impianto fognario, imputandolo non ad una
inosservanza delle comuni norme di diligenza, bensì a scelte e operazioni di manutenzioni riguardanti i canali
collettori di acque piovane ed alluvionali, la controversia, a norma dell'art. 150, lettera e), R.D.L. 11 dicembre
1933, n. 1775, è devoluta alla competenza del Tribunale regionale delle acque, comportando l'esame e la
definizione di questioni attinenti ad atti materiali od a provvedimenti dell'amministrazione nell'esercizio dei poteri
di governo delle acque pubbliche.
* Cass. civ., sez. I, 23 marzo 1994, n. 2784, Consorzio di bonifica di Pisa c. Berti Lorenzi F.
b) Assicurazione del fabbricato
Con riguardo a contratto di assicurazione della responsabilità civile del proprietario di un fabbricato, la clausola
di polizza, la quale delimiti l'obbligazione dell'assicuratore in relazione al valore dell'immobile, implicando una
riduzione proporzionale dell'obbligazione medesima in caso di inferiorità di tale valore rispetto a quello effettivo
alla data dell'evento, configura legittima espressione dell'autonomia negoziale e non abbisogna di specifica
approvazione scritta, vertendosi in tema di patto inerente all'individuazione e quantificazione del rischio
assicurato.
* Cass. civ., sez. I, 8 giugno 1994, n. 5535, Condominio Ponte Italia di Parma - Viale Caprera n. 3 c. La
Fondiaria Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni Spa.
La stipulazione di contratti di assicurazione del fabbricato, in quanto atto volto a conservare la cosa comune,
rientra fra i compiti propri dell'amministratore e non necessita di preventiva autorizzazione dell'assemblea.
* Trib. civ. Roma, 11 agosto 1988, Marullo c. Condominio via Nomentana 314, Roma, in Arch. loc. e cond. 1989,
532.
In tema di delibere assembleari di un condominio, non sono da considerarsi atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione quelli relativi alla riparazione dell'impianto idrico dell'edificio, all'autorizzazione a resistere ad un
atto di citazione proposto contro il condominio ed all'aggiornamento dell'assicurazione dell'immobile, con la
conseguenza che per la validità della delibera in ordine agli atti suddetti è sufficiente che, in seconda
convocazione, sia rappresentato un terzo del valore dell'immobile.
* Cass. civ., sez. II, 8 novembre 1989, n. 4691, Renza c. Cond. Via De Ce.
La spesa per l'assicurazione del fabbricato va posta a carico del locatore e del conduttore in parti uguali, così
come quelle postali e di cancelleria.
* Trib. civ. Napoli, sez. V, 13 gennaio 1984, n. 160, Colella Legnami Spa c. Maione e altro, in Arch. loc. e cond.
1984, 474.
Nel caso in cui un condominio stipuli un contratto di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, il
condomino che abbia sofferto danni per infiltrazioni da tubature condominiali non è legittimato ad agire in proprio
nei confronti della compagnia assicuratrice.
* Cass. civ., sez. I, 26 marzo 1996, n. 2678, Florio c. Coop. Cattolica Ass. Srl.
L'assicurazione per la responsabilità civile non può riguardare i fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso
fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, ma importa necessariamente che il fatto dannoso,
per il quale l'assicurazione sia stipulata, debba essere colposo, coprendo, con la sola eccezione dei fatti dolosi,
ogni rischio derivante da quella responsabilità, anche se dipendenti da colpa grave o gravissima. (Nella
fattispecie, con riferimento ad una polizza assicurativa stipulata da un condomino per danni arrecati a terzi, il
tribunale ha riconosciuto l'operatività della garanzia per i danni subiti da infiltrazioni prodottesi nella tubatura
condominiale a causa della vetustà ed usura degli impianti).
* Trib. civ. Nocera Inferiore, sez. II, 25 febbraio 1999, n. 35, Condominio Palazzo Guarna c. Rainone e Soc.
Polaris, in Arch. loc. e cond. 1999, 839.
c) Azione risarcitoria
Con riguardo al danno subito da cosa oggetto di comproprietà, l'azione risarcitoria è esperibile da ciascun
partecipante nei limiti della propria quota verso il responsabile, senza che insorga necessità di integrazione del
contraddittorio nei confronti degli altri condomini.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 14 gennaio 1987, n. 186, Com. Di Rosa c. Infante.
Con riguardo ai danni che siano derivati ad un condominio di edificio dall'imperfetta esecuzione di un appalto,
conferito con deliberazione maggioritaria dell'assemblea, il singolo condominio assente o dissenziente, oltre che
agire direttamente contro l'appaltatore, può impugnare detta deliberazione, ai sensi e nei casi di cui all'art. 1137
cod. civ., ma non anche esperire azione risarcitoria nei confronti del condominio o degli altri condomini, non
essendo configurabile una loro responsabilità aquiliana per il solo fatto della partecipazione alla maggioranza
attraverso la quale si esprime la volontà dell'ente condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3395, Bovenzi - Irollo c. Con. Riv. Chiaia.
Ciascun condomino può agire a tutela del suo diritto sulla cosa comune contro il condomino che, con l'uso
pregiudizievole delle cose di sua esclusiva pertinenza, abbia determinato il deterioramento o la distruzione della
cosa stessa, senza essere tenuto a ricercare se il danno sia stato prodotto dal condomino personalmente o da
persona a lui legata da un qualsiasi rapporto, cui il condomino che agisce sia estraneo, e ferma restando la
possibilità per quest'ultimo di agire contro il terzo responsabile con l'azione ordinaria di risarcimento per fatto
illecito di cui all'art. 2043 c.c. e per il condomino giudizialmente chiamato a ripristinare la cosa danneggiata o
distrutta a seguito di lavori eseguiti nella parte dell'immobile di sua esclusiva proprietà, di rivalersi nei confronti
dell'autore o degli autori materiali del danneggiamento.
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
Il singolo condomino risponde verso gli altri condomini dei danni causati da guasti verificatisi nella sua proprietà
esclusiva, e deve, perciò, sostenere la relativa spesa, ove abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa sia
stata accertata in sede giudiziale. Tuttavia, fino a quando l'obbligo risarcitorio del condomino non risulti in uno di
tali modi accertato, l'assemblea non può porre a suo carico detto obbligo, né imputargli a tale titolo alcuna
spesa, non potendo l'assemblea disattendere l'ordinario criterio di ripartizione, n‚ la tabella millesimale e
dovendo, invece, applicare la regola generale stabilita dall'art. 1123 c.c., secondo cui ogni addebito di spesa
deve essere effettuato in base alla quota di partecipazione di ciascun condomino alla proprietà comune, cioè in
base ai millesimi. Pertanto, in difetto di accertamento dell'obbligo risarcitorio in uno dei due modi indicati, la
suddetta spesa dev'essere dall'assemblea provvisoriamente ripartita, secondo gli ordinari criteri di ripartizione,
tra tutti i condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell'amministratore,
contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato. (Nella specie, in
applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza di merito e, decidendo nel
merito, ha dichiarato nulla la deliberazione condominiale impugnata, la quale, senza che vi fosse stato
riconoscimento di responsabilità ed essendo riservato, quindi, al giudice il relativo accertamento, aveva attribuito
all'assemblea condominiale il potere di deliberare sulla responsabilità di un singolo condomino ed aveva
addebitato al medesimo la spesa occorsa in conseguenza del fatto dannoso imputatogli).
* Cass. civ., sez. II, 22 luglio 1999, n. 7890, Fusco c. Cond. Via Santuario Regina degli Apostoli 25.
Il principio della compensatio lucri cum damno, che ha fondamento nella norma contenuta nell'art. 1223 c.c.,
trova applicazione quando sia il danno che il vantaggio siano conseguenza immediata e diretta dello stesso
fatto, il quale abbia in s‚ l'idoneità a produrre ambedue gli effetti. (In un'azione di responsabilità proposta dai
condomini di un edificio, nei confronti del costruttore, per gravi difetti riscontrati nello stabile stesso, la Suprema
Corte, in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che potessero compensarsi i danni subiti dai
condomini stessi - infiltrazioni di acqua, muffe e condense - con il vantaggio, indiretto e riflesso, costituito
dall'isolamento esterno del fabbricato, quale unico rimedio necessario per eliminare, a spese del costruttore, i
menzionati danni).
* Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1994, n. 10218, Soc. In. Im. c. Giovannini A.
E' ammissibile l'azione proposta in sede contenziosa dal singolo condomino - soggetto attivo dell'obbligazione
risarcitoria verso il condominio per il danno cagionato dalla cosa comune alla sua proprietà esclusiva - anche
quando, persistendo il processo dannoso, il condomino medesimo non abbia fatto preventivo ricorso allo
speciale procedimento previsto dall'art. 1105, quarto comma, cod. civ. per eliminare le cause della lesione
lamentata.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 14 gennaio 1987, Mottola c. Condominio di via Solimene n. 139, Napoli, in Arch. loc. e
cond. 1987, 738.
In caso di danno subito dalle cose comuni, il singolo condomino può agire anche per l'intero, quale concreditore
solidale ex lege, fatta salva la destinazione della somma così conseguita alla riparazione delle cose comuni, se
possibile, ovvero, in subordine, la ripartizione dell'importo tra i compartecipi, in proporzione delle rispettive quote.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 giugno 1992, Mantegazza c. Acquaro e Cond. di Via Don Minzoni n. 38 di Bresso,
in Arch. loc. e cond. 1993, 570.
La rinuncia al risarcimento dei danni causati ad un locale da infiltrazioni di umidità provocate dalla rottura del
pluviale di smaltimento delle acque meteoriche, per essere valida deve essere espressa all'amministratore del
condominio e non a singoli condomini.
* Pret. civ. Lecce, 23 novembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 409.
Il singolo condomino, allorchè‚ agisce per il risarcimento dei danni derivati alla sua proprietà individuale per la
difettosità delle parti comuni dell'edificio, si presenta in posizione di terzo nei confronti del condominio: questi è
obbligato a risarcire il danno ex art. 2051 c.c. e, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di
ulteriori danni, è anche obbligato a rimuovere ex art. 1172 c.c. le cause del danno stesso; e ciò anche quando
trattasi di vizi costruttivi dell'edificio, in relazione all'obbligo del condominio, nella sua qualità di custode e in virtù
del precetto generale del neminem laedere, di rimuovere le caratteristiche dannose delle cose comuni,
ancorchè, da altri create.
* Trib. civ. Roma, 13 novembre 1991, n. 14418, in Arch. loc. e cond. 1992, 132.
Agisce, non quale condomino, ma come proprietario esclusivo (e quindi come terzo rispetto al condominio) chi
chiede il risarcimento di danni alla proprietà esclusiva cagionati dalla mancata manutenzione di parti comuni
dell'edificio e la delibera condominiale che respinge tale pretesa risarcitoria non è impugnabile, perchè‚ non
pregiudica il diritto del condomino ad agire giudizialmente, quale terzo, nei confronti del condominio per ottenere
il risarcimento dei danni.
* Trib. civ. Parma, 9 dicembre 1991, n. 1150, in Arch. loc. e cond. 1992, 128.
d) Caduta di neve dal tetto
E' da escludersi la responsabilità del custode di un immobile per i danni causati dalla caduta di un blocco di neve
dal tetto del medesimo, quando il fatto sia da attribuirsi unicamente a forza maggiore. (Nella specie:
precipitazioni nevose di inusitata ed eccezionale intensità verificatesi nel giorno del fatto dannoso o nei giorni
immediatamente precedenti, tanto da provocare la paralisi della città e dei mezzi pubblici di trasporto).
* Cass. civ., sez. III, 11 novembre 1987, n. 8308, Zucchini c. Calzolari.
Il condominio è responsabile ed è tenuto a risarcire i danni provocati a terzi da cose comuni dello stabile
condominiale. (Nella specie, il danno era stato causato da un blocco di neve e ghiaccio caduto su un autoveicolo
in sosta dal tetto dello stabile condominiale).
* Pret. civ. Milano, sez. I, 10 dicembre 1979, n. 8589, Grossi c. Condominio di Via Famagosta 24, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1980, 277.
Sussiste la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. a carico del condominio riguardo ai danni causati ad un
autoveicolo da un lastrone di ghiaccio caduto dal tetto dello stabile condominiale presso il quale il veicolo era
parcheggiato, semprechè‚ il condominio medesimo non provi ovvero identifichi il caso fortuito che ha reso
eccezionalmente possibile l'evento dannoso. (Nella specie il giudice ha escluso, date le circostanze in cui si è
verificato l'evento, che il caso fortuito potesse essere rappresentato da una abbondante nevicata). La suddetta
responsabilità può altresì concorrere con quella del danneggiato allorchè‚ questi abbia parcheggiato il proprio
veicolo in modo imprudente, non prestando attenzione alle segnalazioni di pericolo apprestate dal condominio.
* Pret. civ. Torino, 14 gennaio 1988, Vittonatto c. Condominio di Via Migliara n. 9, Torino, in Arch. loc. e cond.
1988, 389.
Nel caso di caduta di neve dal tetto di un edificio è configurabile una responsabilità civile per danni a norma
dell'art. 2051 c.c. il quale pone una presunzione legale di responsabilità per il danno cagionato da cosa in
custodia. Il titolare e/o il custode del bene-edificio si libera da tale responsabilità soltanto provando il caso
fortuito, da intendersi comprensivo anche della condotta colposa dello stesso danneggiato qualora tale condotta
abbia un rilievo causale esclusivo. Vi è concorso di colpa del danneggiato, qualora la colpa di questo,
inserendosi nella serie causale produttrice del danno, risulti priva di un'autonoma efficienza causale, apparendo
prevedibile da parte del titolare o custode del bene.
* Pret. civ. L'Aquila, 14 giugno 1984, in Giust. civ. 1985, 1490.
e) Caduta di oggetti
In un edificio condominiale, a differenza del solaio divisorio di due piani, che funziona da sostegno del piano
soprastante e da copertura di quello sottostante, l'aggetto costituito da un balcone (o terrazzo) appartiene
esclusivamente al proprietario dell'unità immobiliare corrispondente, il quale, pertanto, è esclusivo responsabile
del danno cagionato a terzi da un pezzo di muratura staccatosi dal balcone.
* Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1986, n. 5541, Amoruso c. De Bellis.
La terrazza ancorchè‚ prospiciente il cortile comune dell'edificio condominiale appartiene in via esclusiva al
proprietario dell'appartamento al quale accede in qualità di pertinenza. Ne consegue che il predetto proprietario
e non il condominio è obbligato al risarcimento dei danni cagionati a terzi dalla caduta di materiali distaccatisi
dalla terrazza anzidetta.
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1992, n. 12317, Graziani c. Cecchi.
Non sussiste l'infrazione prevista dall'art. 30, primo comma, c.s., secondo il quale i fabbricati ed i muri
fronteggianti le strade devono essere conservati in modo di non compromettere l'incolumità pubblica, nel caso in
cui la caduta di lastroni di pietra cementati alla facciata di un edificio condominiale, avvenuta nonostante fossero
stati compiuti i normali controlli, sia da attribuire ad eventi accidentali ed episodici.
* Pret. civ. Piacenza, 29 ottobre 1997, n. 437, Carini c. Comune di Piacenza e Prefetto di Piacenza, in Arch. loc.
e cond. 1998, 252.
Il mandatario a vendere un autoveicolo che, in sosta, abbia subito danni per la caduta di calcinacci da un
edificio, è legittimato a chiederne il risarcimento ancorchè‚ non ne sia il proprietario, purchè‚ dimostri che il
dovere di custodia della cosa altrui ha avuto un'incidenza negativa sulla sua sfera patrimoniale per colpa di un
terzo.
* Pret. civ. Chieti, 22 maggio 1996, n. 46, Zappacosta c. Assitalia, in Arch. loc. e cond. 1997, 866.
In caso di danni prodotti dalla caduta nel cortile sottostante di un ombrellone con il proprio basamento posto sul
terrazzo di un condominio, deve dichiararsi l'esistenza del caso fortuito qualora i convenuti abbiano provato di
aver adottato tutte le misure indispensabili per evitare l'evento, verificatosi a causa di un eccezionale ed
imprevedibile fortunale abbattutosi sulla zona.
* Trib. civ. Milano, 12 dicembre 1991, inedita.
f) Cattivo funzionamento di impianto comune
La domanda del condomino di risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune (nella
specie: condotta delle acque luride), derivando dal pregiudizio effettivamente subito per il fatto del terzo (il
condominio rispetto ad esso condomino) e tendendo alla ricostituzione dell'integrità patrimoniale del detto
soggetto leso dal difetto del bene comune, non postula, per la sua procedibilità, la previa richiesta
all'amministratore, n‚ la necessità di istanza o convocazione dell'assemblea condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3629, Ciaccia c. Migliore.
g) Cose in custodia
Riguardo ai danni che una porzione di proprietà esclusiva in edificio condominiale subisca per vizi delle parti
comuni, imputabili all'originario costruttore-venditore, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilità
di esperire azione risarcitoria contro il condominio, non in forza dell'art. 1669 c.c., dato che il condominio quale
successore a titolo particolare di detto costruttore non subentra nella responsabilità posta a suo carico da detta
norma, ma in base all'art. 2051 in relazione alla ricollegabilità di quei danni all'inosservanza da parte del
condominio medesimo dell'obbligo di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della
cosa.
* Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1993, n. 6856, Greco c. Ponte e altri.
Nell'espletamento delle attribuzioni di cui all'art. 1131 cod. civ. l'amministratore è un rappresentante dei
partecipanti al condominio, alla tutela dei cui interessi di gruppo egli deve indirizzare la propria attività. La
violazione di tale dovere, se lo rende responsabile dei danni subiti dal gruppo dei condomini, si esaurisce nei
rapporti interni con il condominio, e, pertanto, non esclude o diminuisce l'eventuale responsabilità del
condominio medesimo nei confronti di altri soggetti, compreso tra questi il singolo condomino, distinto dal
gruppo e come tale rimasto danneggiato per la difettosità di parti comuni dell'edificio, da considerarsi nella
custodia del condominio agli effetti dell'art. 2051 cod. civ.
* Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1981, n. 859, Lonza c. Marletta.
In caso di danni provocati a terzi a causa di difetti strutturali dell'edificio o di carenze di elementi accessori in
esso stabilmente incorporati dal proprietario, la responsabilità di questi non viene meno per effetto della
locazione ad altri dell'edificio con i suoi accessori, poichè‚ il contratto di locazione non esclude la responsabilità
ex art. 2053 cod. civ. ed il dovere di vigilanza sull'efficienza dell'edificio e dei suoi impianti ex art. 2051 cod. civ.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1989, n. 4155, Albenzio c. Banco Napoli.
La responsabilità del custode, ai sensi dell'art. 2051 c.c., è esclusa dall'accertamento positivo che il danno è
stato causato dal fatto del terzo, il quale ha avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. (Nella
specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva escluso la responsabilità del condominio per
i danni causati da un rigurgito della conduttura condominiale di abduzione delle acque, occlusa da oggetti ivi
scaricati da un condomino).
* Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1998, n. 10556, Musso ed altro c. Cond. via Cassini, 95.
La norma di cui all'art. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) si applica anche in materia di
condominio, in quanto il singolo partecipante si pone come terzo nei confronti del gruppo della collettività
condominiale, che è tenuto alla custodia e alla manutenzione delle parti e degli impianti comuni dell'edificio; di
conseguenza il singolo può agire contro il gruppo per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per i
difetti di parti comuni dell'edificio (fattispecie in tema di danni causati da periodici allagamenti).
* Trib. civ. Milano, 4 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 586. Nello stesso senso, v. Trib. civ. Milano, 27
maggio 1993, ivi 1994, 613.
Il condominio è obbligato a risarcire i danni causati dalla cattiva custodia di una parte comune dell'edificio (nella
specie: frattura tibiotarsica causata da una caduta provocata da un pezzo di moquette collocato nell'andito con
la parte pelosa rivolta verso il suolo e quella gommosa verso l'alto).
* Trib. civ. Milano, 21 marzo 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 594.
Il condominio, essendo responsabile delle eventuali conseguenze dannose derivanti dalla cattiva custodia di un
manufatto comune, è obbligato a risarcire i danni (nella specie: ferita all'avambraccio di un minore) causati da un
riquadro rotto da tempo di una porta a vetri dell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, 14 febbraio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 594.
La responsabilità per danno cagionato da cose in custodia (nella specie, da un cancello azionato elettricamente
mediante l'uso di un apposito pulsante) postula che l'evento lesivo derivi da mancata o inadeguata custodia della
cosa - da intendersi nel senso ampio, comprensivo di inidoneo governo o impiego di essa da parte di chi ne ha
l'obbligo e senza che rilevi che la cosa stessa sia o non munita di autonoma capacità di nuocere - e si distingue,
pertanto, da quella connessa all'esercizio di attività pericolose, la quale postula una successione continua e
ripetuta di atti che si svolge nel tempo e che rivela una notevole potenzialità di danno, superiore al normale ed
apprezzabile in un momento anteriore all'evento dannoso, così da consentire all'operatore la predisposizione di
adeguate misure di prevenzione e da costituire il parametro di commisurazione della diligenza dovuta, la cui
mancanza integra la colpa presunta dall'art. 2050, anche qualora tali atti si coordinino non già, come di norma,
all'esercizio di una impresa, bensì semplicemente ad un fine tipico oggettivamente pericoloso.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1983, n. 1425, Soc. Peugeot c. Vescia.
Con riguardo ai danni derivanti dal crollo di un solaio divisorio fra due appartamenti, l'applicabilità degli artt. 2051
e 2053 cod. civ., con conseguente presunzione di corresponsabilità sia del proprietario dell'immobile sovrastante
sia di quello dell'immobile sottostante, non introduce deroghe ai principi generali in tema di nesso di causalità e
di concorso di cause, sicchè‚ la responsabilità dell'uno deve essere esclusa quando egli fornisca la prova che il
danno sia stato determinato, con autonoma efficienza causale, dal fatto imputabile all'altro (nella specie, il
proprietario dell'appartamento sovrastante, essendo il solaio caduto per infiltrazioni di acqua provenienti dagli
scarichi del suo immobile).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1985, n. 2234, Cardillo c. Anglesio.
Il singolo condomino, allorchè‚ agisce per il risarcimento dei danni derivanti alla sua proprietà individuale per la
difettosità delle parti comuni dell'edificio, si presenta in posizione di terzo nei confronti del condominio: questi è
obbligato a risarcire il danno ex art. 2051 c.c. e, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di
ulteriori danni, è anche obbligato a rimuovere ex art. 1172 c.c. le cause del danno stesso; e ciò anche quando
trattasi di visi costruttivi dell'edificio, in relazione all'obbligo del condominio, nella sua qualità di custode e in virtù
del precetto generale del neminem laedere, di rimuovere le caratteristiche dannose delle cose comuni,
ancorchè‚ da altri create.
* Trib. civ. Roma, 13 novembre 1991, n. 14418, in Arch. loc. e cond. 1992, 132.
Nel caso di appalto del servizio di manutenzione, continuativa o periodica, di cose, macchinari o impianti, non si
verifica il passaggio dei poteri di custodia e degli oneri di vigilanza - e della connessa responsabilità presunta ex
art. 2051 c.c. - a carico dell'appaltatore: quando il bene resti in potere del committente, pertanto, nel caso di
manutenzione dell'impianto di ascensore da parte di un'impresa specializzata, poichè‚ l'impianto continua a
restare nella sfera di disponibilità dei proprietari dell'edificio, i quali ne conservano, con carattere di continuità,
l'uso e il godimento, ad essi incombono, conseguentemente, gli oneri di custodia e di vigilanza con l'inerente
responsabilità presunta.
* Cass. civ., 21 luglio 1979, n. 4385.
L'obbligo di custodia e la relativa responsabilità verso i terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., non
vengono meno per il proprietario dell'immobile concesso in locazione, essendo la temporanea sottrazione della
cosa alla sua disponibilità compatibile con l'obbligo, su di lui gravante, di effettuarvi visite periodiche e di
eseguire gli opportuni interventi; conseguentemente egli non resta dispensato dall'obbligo di vigilanza e di
custodia, connesso con quello di manutenzione e riparazione dell'immobile locato, in relazione agli analoghi
poteri che spettano al conduttore, sicchè‚ le loro responsabilità verso i terzi - per un evento riconducibile al
mancato esercizio di quei poteri nell'ambito delle rispettive sfere di azione - sono concorrenti, salva la facoltà di
rivalsa del locatore nei confronti del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1985, n. 1589, Spagnoletto c. Angiolini.
Il condominio è responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni cagionati dalla fuoriuscita delle acque fognarie dalle
relative tubazioni a seguito dell'occlusione delle stesse. (Nella fattispecie, la recente pulizia delle fosse settiche
non è stata considerata - in assenza della prova positiva del fortuito - quale elemento sufficiente ad escludere la
responsabilità del condominio).
* Corte app. civ. Milano, sez. II, 3 giugno 1997, n. 1773, Condominio San Pietro c. Brusaferri e Soc. Maeci
Ass.ni, in Arch. loc. e cond. 1997, 1029.
Malgrado il contratto di locazione comporti il trasferimento al conduttore dell'uso e del godimento sia della
singola unità immobiliare sia dei servizi accessori e delle parti comuni dell'edificio, una siffatta detenzione non
esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale
conserva un effettivo potere fisico sull'entità immobiliare locata - ancorchè‚ in un ambito in parte diverso da
quello in cui si esplica il potere di custodia del conduttore - con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di
conservazione delle strutture edilizie e sull'efficienza degli impianti. Gravano, pertanto, sui condomini le
responsabilità per danni subiti da terzi (nel novero dei quali vanno ricompresi anche i conduttori di appartamenti
siti nell'edificio) in conseguenza di omissioni addebitabili all'amministratore del condominio ovvero di inerzia da
parte dell'assemblea condominiale nell'adottare gli opportuni provvedimenti atti ad eliminare una situazione di
pericolo (nella specie, anomalo funzionamento del congegno meccanico di chiusura del cancello).
* Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 1981, n. 6467, Cond. V. Sessant. c. Palmieri.
Per ottenere il risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia, il danneggiato deve provare: a) che il
danno si è verificato per lo sviluppo di un agente insito nella cosa; b) che il preteso danneggiante potesse
effettivamente esercitare un potere di vigilanza e custodia sulla medesima. Per esimersi dalla dichiarazione di
responsabilità il danneggiante deve provare che il danno è derivato da caso fortuito, comprensivo del fatto del
terzo o della colpa del danneggiato.
* Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1977, n. 1747.
Accertato che la fatiscenza del soffitto di un balcone è dovuta a difetto di manutenzione dello sgocciolatoio
destinato allo smaltimento delle acque provenienti dal piano di calpestio del balcone sovrastante, il proprietario
di questo è tenuto, ex art. 2051 c.c. al risarcimento, anche in forma specifica, dei danni causati alla contigua
proprietà dal proprio fatto doloso o colposo, e non vengono in rilievo norme riguardanti la disciplina del
condominio.
* Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1981, n. 3399, Onofri c. Battista.
h) Denuncia di nuova opera
Nel giudizio promosso da alcuni condomini contro altro condomino per ottenere, a seguito di denuncia di nuova
opera, la sospensione dei lavori ed il ripristino della precedente situazione, l'intervento di altro condomino
proprietario di appartamento direttamente interessato dall'opera, il quale, deducendo l'illegittimità della
costruzione ed aderendo alle ragioni degli altri condomini contro lo stesso convenuto, introduce nel processo
domande dipendenti dal proprio specifico titolo, integra un intervento adesivo autonomo. Detto interventore può
proporre domande nuove, non essendo la sua attività processuale legata a quella della parte che ha iniziato il
giudizio, stante l'autonomia del diritto fatto valere nei confronti dell'altra parte convenuta.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4505, Pucci c. Grandoni.
i) Furto
Con riguardo al danno derivante dal furto consumato da persona introdottasi in un appartamento servendosi
delle impalcature installate per lavori di riattazione dello stabile condominiale è configurabile ai sensi dell'art.
2043 c.c. la responsabilità dell'imprenditore che si sia avvalso di tali impalcature per l'espletamento dei lavori,
ove siano state trascurate le ordinarie norme di diligenza e non siano state adottate le cautele idonee ad
impedire un uso anomalo delle suddette impalcature; è altresì configurabile la responsabilità del condominio ex
art. 2051 c.c., atteso l'obbligo di vigilanza e custodia gravante sul soggetto che ha disposto il mantenimento
della struttura.
* Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 1997, n. 9707, Mecheri c. Cond. Via Villa Massimo n. 33 Roma.
Il furto aggravato dall'introduzione in edificio abitativo condominiale, attraverso parti comuni o pertinenze di esso,
è reato complesso, unificandosi in esso, quale circostanza aggravante, la violazione di domicilio consumata
anche nei confronti dei condomini, poichè‚ questa costituisce reato-mezzo, legato da nesso di strumentalità a
quello di furto, preminente, del quale integra la circostanza. In tal caso l'amministrazione condominiale, come il
singolo condomino, riceve indiretta tutela penale e, in quanto soggetto danneggiato dal reato, complessivamente
considerato, può costituirsi parte civile per il risarcimento del danno patito.
* Cass. pen., sez. II, 28 luglio 1987, n. 8790 (ud. 15 maggio 1987), Noris.
In caso di reati in danno del condominio (nella fattispecie, sottrazione di cose comuni in relazione
all'appropriazione di energia elettrica condominiale da parte di un condomino), in assenza di una unanime
manifestazione di volontà dei condomini a che si proceda penalmente in ordine al fatto contestato all'imputato e
di un corrispondente unanime specifico incarico conferito all'amministratore, deve escludersi la legittimazione del
rappresentante del condominio alla presentazione della querela.
* Cass. pen., sez. II, 5 gennaio 2001, n. 3031 (ud. 29 novembre 2000), Panichella.
E' ravvisabile la responsabilità colposa del condominio, in concorso con l'impresa appaltatrice, per i furti subiti da
terzi in abitazioni vicine, qualora siano montate impalcature adiacenti ai relativi balconi prive di accorgimenti
tecnici di protezione idonei ad impedire l'agevole accesso e intrusione da parte di estranei.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 16 maggio 1997, n. 1548, Condominio di via Costanza n. 2 in Milano c. Arosio e
De Pascale, in Arch. loc. e cond. 1997, 1030.
l) Getto di acqua piovana da terrazza
Lo spazzare acqua piovana da una terrazza sporcando i panni ed i vetri della sottostante abitazione non integra
l'ipotesi prefigurata dall'art. 674 cod. pen. che punisce solamente chiunque getta o versa in un luogo di pubblico
transito o in un luogo privato, ma di comune o di altrui uso, cose atte ad imbrattare persone.
* Pret. pen. Foligno, 16 novembre 1984, Cavallone ed altro, in Riv. pen. 1985, 712.
m) Getto pericoloso di cose
Nell'ipotesi di emissione di gas, di vapori o fumi, punita ai sensi dell'art. 674 c.p. si configura un reato di mero
pericolo, per cui non è necessario che l'emissione stessa provochi un effettivo nocumento, essendo invece
sufficiente l'attitudine del gas, del vapore o del fumo, emesso ad offendere, imbrattare, molestare le persone.
* Cass. pen., sez. VI, 11 aprile 1990, n. 5312 (ud. 4 luglio 1989), Toffarin.
La contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen., nelle ipotesi di emissione moleste di gas, di vapori o di fumo, è
un reato non necessariamente ma solo eventualmente permanente, in dipendenza cioè della durata, istantanea
o continuativa, della condotta che provoca le emissioni stesse.
* Cass. pen., sez. I, 25 febbraio 1989, n. 3162 (ud. 10 novembre 1988), Mazzoni.
In tema di getto pericoloso di cose con il termine molestia alla persona deve intendersi ogni fatto idoneo a recare
disagio, fastidio o disturbo ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano.
* Cass. pen., sez. I, 4 novembre 1986, n. 12261 (ud. 4 luglio 1986), Sdi Leo.
Con riferimento alla contravvenzione di getto pericoloso di cose, previsto dall'art. 674 c.p., il versamento
concerne materie liquide e può avvenire per mano dell'agente o in qualsiasi altro modo da lui posto in essere o
lasciato dolosamente o colposamente in azione, e va posto in relazione con l'effetto possibile di offendere,
imbrattare o molestare le persone, anche se questo effetto non si sia verificato. (Nella fattispecie, la Suprema
Corte ha ritenuto che integrasse la contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. il getto di acqua con una pompa
all'interno dell'abitazione altrui).
* Cass. pen., sez. I, 24 luglio 1992, n. 8386 (ud. 2 luglio 1992), Mauro.
Il contenuto della norma di cui all'art. 674 c.p. comprende due ipotesi di reato, entrambe di pericolo, la seconda
delle quali descrive una fattispecie causalmente orientata in cui la condotta - indifferentemente attiva od
omissiva - conduce a provocare, nei casi non consentiti dalla legge, emissioni di gas, di vapore o di fumo, atti a
cagionare offesa od imbrattamento ovvero molestia alla persona. Per la sussistenza del reato è, quindi
sufficiente l'idoneità del fatto alla produzione degli effetti previsti dalla norma; poichè, però, si richiede che tali
effetti siano cagionati nei casi non consentiti dalla legge, il parametro di legalità deve dedursi unicamente dalle
disposizioni di cui all'art. 844 c.c. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione di condanna, per essere
assente in essa qualsivoglia indicazione delle ragioni del superamento della soglia di legalità fissata dalla detta
disposizione civilistica).
* Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 1994, n. 781 (ud. 17 novembre 1993), Scionti, in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
La seconda ipotesi prevista dall'art. 674 c.p., "chiunque... provoca emissioni... di fumo... atte a molestare le
persone nei casi non consentiti dalla legge", richiama espressamente i limiti legali posti dalla legge civile a tutela
del diritto della proprietà fondiaria (e di godimento anche a titolo personale della stessa), in tema di immissioni
oltre il limite della proprietà. Pertanto, si deve fare riferimento in generale a tutte le immissioni dannose per il
vicino sanzionate dall'art. 844 c.c. ove si riscontri il superamento del minimo di tollerabilità. (Nella specie, relativa
a rigetto di ricorso di imputato il quale aveva dedotto che l'accensione di un caminetto domestico non era
certamente un caso vietato dalla legge è stato ritenuto che non la mera accensione di un caminetto, ma le
emissioni di fumo cagionate da quella accensione nella unità abitativa dell'imputato e la loro immissione in quella
della persona offesa avesse superato la soglia della normale tollerabilità).
* Cass. pen., sez. I, 26 febbraio 1994, n. 2544 (ud. 4 ottobre 1993), Uzzi, in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
Pur non essendovi l'obbligo (giuridico e penalmente sanzionato) di tenere pulita la propria abitazione, tuttavia
l'art. 674 c.p. vieta di tenerla talmente sporca da arrecare molestia o disturbo, mediante esalazioni maleodoranti,
alle persone che si trovano nelle vicinanze dell'abitazione medesima. (Nella specie la S.C. ha osservato,
replicando alla censura del ricorrente secondo cui non sussiste alcun obbligo giuridico di tenere pulita la propria
abitazione, che all'imputato non si rimprovera di avere trascurato la pulizia della propria abitazione, bensì di
avere provocato emissioni di esalazioni moleste per le persone, tenendo numerosi cani in un terreno comune
adiacente alla propria abitazione ed a quella delle parti lese e che certamente, se si fosse attivato per eliminare
tali inconvenienti, avrebbe evitato che la sua condotta (di tenere numerosi cani) integrasse gli estremi del reato
previsto dall'art. 674 c.p.). * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 1993, n. 10336 (ud. 28 settembre 1993), Grandoni,
in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
In tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza di una regolare autorizzazione amministrativa all'esercizio di
una attività non esclude di per s‚ la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., ove da tale
esercizio derivi l'emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale
autorizzazione intendere comunque condizionata ad un esercizio che non superi i limiti della tollerabilità
normale, e quindi previa adozione delle misure necessarie ad evitare il superamento di tali limiti o di quelli
imposti da specifiche normative, correlate alle peculiarità delle attività lavorative da cui conseguono le emissioni.
Per ritenere la sussistenza del reato è pertanto necessario accertare il superamento di tali limiti.
* Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1992, n. 3204 (ud. 12 febbraio 1992), Mellino.
Per la sussistenza della contravvenzione di getto pericoloso di cose non si richiede un effettivo nocumento alle
persone in dipendenza del getto stesso, essendo sufficiente l'attitudine della cosa gettata a cagionare effetti
dannosi.
* Cass. pen., sez. V, 13 aprile 1988, n. 4537 (ud. 27 gennaio 1988), Freistener.
In tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza di una regolare autorizzazione amministrativa all'esercizio di
una attività non esclude di per sè la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., ove da tale
esercizio derivi l'emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale
autorizzazione intendere comunque condizionata ad un esercizio che non superi i limiti della tollerabilità
normale, e quindi previa adozione delle misure necessarie ad evitare il superamento di tali limiti o di quelli
imposti da specifiche normative, correlate alla peculiarità delle attività lavorative da cui conseguono le emissioni.
Per ritenere la sussistenza del reato è pertanto necessario accertare il superamento di tali limiti. (Fattispecie in
tema di emissioni di vapori da canna fumaria).
* Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1992, n. 3204, Mellino.
n) Indennità
Nel caso in cui a causa di lavori di ripristino di una facciata condominiale venga collocato per alcuni mesi un
ponteggio che impedisca la sistemazione dei tavolini esterni di un esercizio commerciale (nella specie: un bar)
con un danno per la perdita della clientela e dell'avviamento commerciale, oltre all'inutile spesa dell'indennità di
occupazione di area pubblica per quel periodo di tempo, ricorrono le condizioni per l'applicazione della norma di
cui all'art. 843 c.c., che riconosce il diritto ad un indennizzo in caso di occupazione del fondo per la esecuzione
di opere, anche se compiute nell'interesse comune allo stesso proprietario del fondo.
* Trib. civ. Milano 20 febbraio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il condominio ha il diritto di eseguire, in forza di propri legittimi deliberati, lavori di interesse comune, pur se
comportanti il passaggio o la temporanea occupazione di beni di proprietà esclusiva di singolo condomino (nella
specie una terrazza). Ne consegue che l'incomodo derivante a quest'ultimo dai lavori condominiali, in quanto
diretta conseguenza dell'esercizio di un diritto, non configura gli estremi di un danno giuridicamente rilevante, e
quindi risarcibile, bensì comporta solo un pregiudizio con rilevanza economica. E tale pregiudizio, in mancanza
di espressa previsione di legge, la cui necessità discende dalla dedotta inapplicabilità degli artt. 2043 e seguenti,
c.c., non è indennizzabile.
* Trib. civ. Napoli, 16 febbraio 1994, in Arch. loc. e cond. 1994, 342.
o) Infiltrazioni d'acqua
L'amministratore del condominio è passivamente legittimato rispetto all'azione per responsabilità extra
contrattuale, promossa dal conduttore di locali inseriti nell'edificio condominiale, per danni sofferti a causa di
infiltrazioni di acqua piovana da parti comuni dell'edificio stesso (esempio il tetto, i lastrici solari, le fognature)
salva, nel merito, l'efficacia liberatoria della prova, a carico del condominio, che l'effettiva disponibilità e, quindi,
l'obbligo di manutenzione di quelle parti comuni competevano ad un singolo condomino o ad altro soggetto, in
forza di diverso rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1981, n. 2998, Monti c. Cond. V. Milano.
Il singolo condomino può agire a norma dell'art. 2051 cod. civ. nei confronti del condominio per il risarcimento
dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per la difettosità di parti comuni
dell'edificio - dalle quali provengono infiltrazioni d'acqua pregiudizievoli per gli ambienti di sua proprietà esclusiva
- ponendosi quale terzo nei confronti del condominio stesso, tenuto alla custodia ed alla manutenzione delle
parti e degli impianti comuni dell'edificio.
* Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1987, n. 1500, Condom. Mottol. c. Latorrata.
In tema di condominio di edifici, qualora il proprietario esclusivo di una terrazza a livello sia responsabile dei
danni da infiltrazioni d'acqua e tale responsabilità abbia natura extracontrattuale ex art. 2051 c.c., le
conseguenze del fatto illecito, anche con riferimento al concorso di colpa del (condomino) danneggiato,
proprietario del sottostante terrazzo trasformato in veranda, devono essere regolate esclusivamente dalle norme
poste dagli artt. 2051 e 2056 c.c., con riferimento all'art. 1227 c.c., che disciplinano la responsabilità aquiliana e
non già secondo le norme relative alla ripartizione tra condomini delle spese di riparazione o ricostruzione di
parti comuni.
* Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727, Marotti Bartoli c. Cao di San Marco Efisio.
Nel caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al condominio, funga da copertura
ad un locale cantinato di proprietà di un terzo, ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate
infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte, non già
nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bensì nel
disposto dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilità, è sufficiente
che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti
riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa),
nonchè‚ dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di
vigilare onde evitare che produca danni a terzi.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1995, n. 2861, Condominio di via Masaniello 3 in Catania c. Castagnola e Bianco,
in Arch. loc. e cond. 1996, 540.
Nel caso in cui il cortile di un condominio funge da copertura di un locale interrato di un terzo, se la cattiva
manutenzione del cortile provoca infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del
condominio trova la sua fonte non già nelle norme di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bensì nel disposto
dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilità, è sufficiente che il
danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti riconducibile
ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa), nonchè‚
dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigiliare
onde evitare che produca danni a terzi.
* Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1999, n. 1477, Cond. via Carlo Poma c. Cond. Garage di via Andreoli.
La tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. deve ammettersi anche con riguardo al pregiudizio patrimoniale sofferto dal
titolare di diritti di credito, non trovando ostacolo nel carattere relativo di questi ultimi in considerazione della
nozione ampia ormai generalmente accolta di danno ingiusto come comprensivo di qualsiasi lesione
dell'interesse che sta alla base di un diritto, in tutta la sua estensione. Trova, in tal modo, protezione non solo
l'interesse rivolto a soddisfare il diritto (che, nel caso di diritti di credito, è attivabile direttamente nei confronti del
debitore della prestazione oggetto del diritto), ma altresì l'interesse alla realizzazione di tutte le condizioni
necessarie perch‚ il soddisfacimento del diritto sia possibile, interesse tutelabile nei confronti di chiunque
illecitamente impedisca tale realizzazione. In siffatta prospettiva trova fondamento la tutela aquiliana del diritto di
credito. L'area di applicazione della responsabilità extracontrattuale per la lesione del diritto di credito, va
peraltro, circoscritta ai danni che hanno direttamente inciso sull'interesse oggetto del diritto. (In applicazione di
tali principi, la S.C., nella specie, ha riconosciuto in capo alla ricorrente, titolare di un'azienda commerciale, e
conduttrice dell'immobile in cui si svolgeva la relativa attività, che aveva richiesto la condanna dei proprietari
delle terrazze sovrastanti il negozio al risarcimento dei danni subiti a seguito di infiltrazioni di acqua, l'interesse
al ripristino del godimento dell'immobile, con il limite della risarcibilità del solo danno per il mancato uso per il
quale la locazione era stata stipulata, con esclusione dei danni derivanti da un eventuale deprezzamento
dell'immobile, che riguardavano direttamente il proprietario).
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1998, n. 7337, Pardo c. Franceschelli, in Arch. loc. e cond. 1998, 672.
Il condominio, che ha in custodia i beni comuni, è tenuto a mantenerli e conservarli in modo tale da evitare
eventi dannosi, per cui è responsabile del danno causato da infiltrazioni d'acqua attribuibili a mancata
manutenzione o ristrutturazione delle condutture sicuramente comuni del condominio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 16 gennaio 1989, n. 241, in Arch. loc. e cond. 1991, 342.
In ipotesi di danni cagionati da una parte comune alla proprietà esclusiva di un condomino (nella specie:
infiltrazioni di acqua provenienti da un muro perimetrale dell'edificio), l'azione risarcitoria di quest'ultimo nei
confronti del condominio non postula per la sua ammissibilità, ancorchè‚ il processo dannoso sia ancora in atto,
il previo esperimento della procedura prevista dall'art. 1105, quarto comma, c.c. per l'eliminazione della causa
dei danni, rilevando la relativa omissione, quale inerzia imputabile anche a detto condominio, solo in sede di
liquidazione de danni stessi agli effetti e nei limiti di cui all'art. 2056, in relazione all'art. 1227 c.c.
* Trib. civ. Napoli, 14 gennaio 1987, in Rass. equo can. 1988, 91.
Sussiste la responsabilità decennale dell'appaltatore nel caso in cui in un edificio condominiale si manifestino
infiltrazioni d'acqua nei muri e il dissesto dell'impianto di depurazione, posto che tra i gravi difetti - che
consentono di far valere tale responsabilità - sono comprese non solo le deficienze costruttive vere e proprie
(quelle cioè che si risolvono nella realizzazione dell'opera con materiali inidonei o non a regola d'arte) e le
carenze riconducibili ad erronee previsioni progettuali, ma anche quei vizi che, pur non incidendo sulla statica o
sulla struttura dell'immobile, pregiudicano in modo grave la funzione cui è destinato e ne limitano in modo
notevole le possibilità di godimento.
* Trib. civ. Piacenza, 10 luglio 1996, n. 412, in Arch. loc. e cond. 1996, n. 5.
Poichè‚ il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della proprietà superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del
terzo residuo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 aprile 1997, n. 3672, Norsa c. Condominio di Via Borgognone n. 31 in Milano, in
Arch. loc. e cond. 1997, 395.
Il danno temuto dal condomino dalla infiltrazione di acqua nell'appartamento di proprietà esclusiva, proveniente
dal sovrastante terrazzo comune, consente il ricorso al pretore, competente per materia, ai sensi dell'art. 688,
primo comma, c.p.c., nei confronti della gestione condominiale, quale custode dei beni comuni.
* Trib. civ. Nocera Inf., 6 febbraio 1995, in Rass. loc. cond. 1995, 289.
Nel caso di danni da infiltrazioni di acque provenienti dal piano superiore il proprietario di questo è responsabile
nei confronti del danneggiato, anche se trattasi di casa locata, salvo rivalsa nei confronti del conduttore.
* Pret. civ. Catania, sez. I, 12 dicembre 1994, Lauria c. Valenza e Soc. Centruffici, in Arch. loc. e cond. 1995,
169.
Ai fini della determinazione del valore della causa le richieste di condanna ad un facere ed al risarcimento del
danno si cumulano e se non sono precisate nel loro ammontare si intendono entrambe proposte per il limite
massimo del giudice adito. Le eventuali modifiche o precisazioni nel corso del giudizio non rilevano ai fini della
determinazione del valore, desumibile soltanto dalla domanda iniziale. (Fattispecie in tema di richiesta, da parte
di un condomino, del risarcimento dei danni cagionati al proprio immobile da infiltrazioni d'acqua, e di
eliminazione delle cause delle infiltrazioni medesime).
* Pret. civ. Catania, 27 gennaio 1998, Landro c. Condominio di via Aprile n. 102 in Catania, in Arch. loc. e cond.
1998, 247.
La ditta appaltatrice dei lavori di rifacimento del tetto condominiale è responsabile, in qualità di custode, del
danno provocato ad un condomino da infiltrazioni d'acqua cagionate dalla mancata predisposizione - da parte
della ditta in questione - degli accorgimenti necessari per evitare danni da allagamento.
* Trib. civ. Piacenza, 10 giugno 1997, n. 147, Girometta c. Condominio Daniela di Via Talamoni in Piacenza, in
Arch. loc. e cond. 1998, 96.
Il giudice ordinario è competente a condannare la P.A. al risarcimento dei danni cagionati ad un condominio da
infiltrazioni d'acqua provenienti da una strada pubblica (nella specie, priva di marciapiede e in cattivo stato di
manutenzione), ma non può condannare la stessa all'eliminazione delle cause del fenomeno dannoso, ossia ad
un facere che finisca per tradursi in un atto di ingerenza dell'esercizio discrezionale dell'attività pubblica.
* Corte app. civ. Roma, 15 gennaio 1997, n. 85, Comune di Roma c. Condominio di Via Boccea n. 192 in Roma,
in Arch. loc. e cond. 1998, 82.
Dei danni da infiltrazione di umidità subiti dal soffitto di un balcone (anche se trasformato in veranda) risponde il
proprietario del balcone sovrastante dalla cui pavimentazione imperfetta penetra l'acqua che determina l'umidità
stessa.
* Pret. civ. Taranto, 29 aprile 1994, n. 264, Masiello c. Millarte, in Arch. loc. e cond. 1995, 183.
Posto che l'art. 844 c.c. contiene un elenco esemplificativo e non tassativo delle immissioni suscettibili di divieto,
l'azienda cessionaria degli impianti di funzionamento di un acquedotto può, con azione di manutenzione ex art.
1170 c.c., chiedere la interruzione di infiltrazioni in una sorgente di acqua in suo possesso, provocate dalla
tracimazione dei pozzetti fognari di un condominio situato nelle vicinanze.
* Pret. civ. Torre Annunziata, ord. 25 novembre 1994, in Foro it. 1995, 3035.
In caso di danni causati da infiltrazioni d'acqua e di umidità verificatesi in una unità immobiliare a causa di
un'apertura praticata nel tetto condominiale da un condomino proprietario di un appartamento immediatamente
sottostante al tetto, sussiste la responsabilità del condominio in solido (ex art. 2055 c.c.) con il condomino che
ha praticato l'apertura, a nulla rilevando che in relazione all'art. 1102 c.c. sarebbe facoltà del condomino
praticare aperture nel tetto condominiale qualora egli sia proprietario dell'unità immobiliare sottostante: tale
facoltà, infatti, non fa comunque venir meno il rapporto di custodia intercorrente tra condominio e parti comuni
dell'edificio, rapporto che persiste indipendentemente dal soggetto che abbia eseguito i lavori sulle parti comuni
stesse.
* Pret. civ. Roma, 31 gennaio 1996, n. 687, Andrelli c. Condominio di Via della Caffarelletta, in Arch. loc. e cond.
1997, 868.
p) Libretto casa
L'adozione di ordinanze contingibili ed urgenti da parte del sindaco deve essere assistita da congrua
motivazione in ordine alle circostanze che impongono lo straordinario esercizio del potere extra ordinem.
Pertanto, è illegittima per mancanza di motivazione, l'ordinanza sindacale avente ad oggetto l'obbligo imposto a
carico dei proprietari di immobili siti nel comune di certificare l'idoneità statica degli edifici (c.d. libretto casa),
ordinanza motivata sul mero allarme suscitato nella popolazione dai tragici avvenimenti relativi al crollo di una
palazzina in Foggia e sulla consequenziale crisi degli uffici tecnici comunali, sovraccaricati dalle richieste di
sopralluoghi urgenti atti a verificare la tenuta statica degli edifici stessi.
* Tar. Puglia, sez. Lecce, 16 novembre 2000, Scarcella c. Comune di Lecce e Associazione Proprietà Edilizia Confedilizia Sez. di Lecce.
q) Precarietà fondale dell'edificio
Il condominio non è tenuto alla rimessione in pristino della statica del fabbricato, qualora la precarietà fondale
dell'edificio, a causa della quale siano derivati fenomeni di lesionamento strutturale a carico di un appartamento
condominiale, sia dovuta a difetto costruttivo dell'opera, come tale non ascrivibile al condominio.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 14 giugno 1995, n. 5447, Bonetti c. Condominio di Via Da Caravaggio n. 42 in Napoli,
in Arch. loc. e cond. 1996, 79.
r) Responsabilità concorrente del condominio
L'accertata responsabilità di una ditta incaricata di lavori di riparazione nell'edificio condominiale nella
causazione di un evento dannoso, non esclude la responsabilità concorrente del condominio, qualora il danno
sia derivato da cosa di proprietà comune. (Fattispecie relativa ad infiltrazioni di acqua dal canale di scarico della
fognatura del condominio).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 17 aprile 1989, Intergamma Srl c. Condominio di via Pucci 6, Milano, Società
Generale di Manutenzione Edile Srl e Italiana Incendio Vita e Rischi Diversi Spa, in Arch. loc. e cond. 1990, 77.
s) Responsabilità dell'amministratore
E' da ritenersi responsabile l'amministratore condominiale per il danno causato dalla tracimazione dei pozzetti di
decantazione delle acque nere e bianche in quanto, ex art. 1130 n. 2 c.c., spetta ad esso il compito di vigilare
sull'uso delle cose comuni da parte dei singoli proprietari.
* Trib. civ. Pordenone, 14 febbraio 1992, Gasparotto c. Stellin, in Arch. loc. e cond. 1993, 127.
t) Responsabilità del locatore
L'obbligo di custodia e la correlativa responsabilità verso i terzi danneggiati ai sensi dell'art. 2051 c.c. non
vengono meno per il proprietario dell'immobile concesso in locazione, permanendo in capo al medesimo un
effettivo potere di controllo dell'immobile locato finalizzato a vigilare sullo stato di conservazione e di efficienza
delle strutture edilizie e degli impianti. Tuttavia, l'operatività nei confronti del proprietario-locatore della
presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. resta circoscritta nell'ambito dell'anzidetto obbligo di vigilanza e
non si estende alle ipotesi in cui il danno sia stato cagionato da sostanze collocate all'interno dell'immobile
dall'inquilino, in ordine alle quali l'obbligo di custodia grava esclusivamente su quest'ultimo, essendo esclusa
ogni concreta possibilità di controllo da parte del locatore, non essendo configurabile alla stregua della disciplina
del contratto di locazione un rapporto di dipendenza o subordinazione del conduttore al locatore, che è così
privo di correlati poteri di vigilanza sul conduttore. (Nella specie la S.C., affermando il suesposto principio, ha
confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità del proprietario locatore per i danni
prodotti a terzi da un incendio causato da materiali altamente infiammabili depositati dall'inquilino nei locali locati
senza idonee precauzioni).
* Cass. civ., sez. III, 28 maggio 1992, n. 6443, Di Martino c. Enasarco.
L'obbligo di custodia e la relativa responsabilità verso i terzi danneggiati non vengono meno per il proprietario
dell'immobile concesso in locazione, essendo la temporanea sottrazione della cosa alla sua disponibilità
compatibile con la permanenza di un potere fisico di controllo sulla unità immobiliare, con il conseguente obbligo
di vigilanza sullo stato di conservazione e sull'efficienza delle strutture edilizie e degli impianti. Ne consegue che
permane a carico del proprietario la presunzione di responsabilità ex art. 2053 c.c., superabile soltanto se
ricorrono gli estremi del caso fortuito e della forza maggiore.
* Trib. civ. Roma, 7 luglio 1999, n. 12628, Botti c. Condominio di via Pigafetta ed altre, in Arch. loc. e cond.
2000, 468.
u) Responsabilità solidale
Dalla comproprietà delle cose, dei servizi e degli impianti comuni nascono per i condomini delle obbligazioni
propter rem con la conseguenza che, in particolare, la responsabilità per i danni derivanti alle unità immobiliari in
proprietà esclusiva dalle cose comuni grava su tutti i condomini, essendo questi tenuti alla manutenzione delle
cose comuni, con l'obbligo di adottare tutte le cautele idonee a scongiurare i pregiudizi, e quindi, responsabili
ove tali pregiudizi si verifichino.
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1994, n. 2454, Perale c. Condominio Maurizio 64.
Nel caso di danno provocato dalla rovina del lastrico solare, parte comune dell'edificio condominiale, tutti i
condomini devono presumersi solidalmente responsabili e, pertanto, il danneggiato ben può pretendere il
risarcimento da uno solo di essi, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri
debitori, i quali non hanno veste di litisconsorti necessari.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 8 giugno 1990, n. 6432, in Arch. loc. e cond. 1991, 134.
v) Scarsa illuminazione
Il condominio non è tenuto a risarcire i danni subiti dal condomino, a seguito di caduta avvenuta lungo le scale
condominiali in condizioni di scarsa visibilità per non essere funzionante l'impianto di illuminazione, qualora
questi si sia inoltrato nonostante l'incompleta visibilità, omettendo di procedere con la dovuta attenzione per
affidarsi alla propria cognizione del sito.
* Trib. civ. Roma, sez. V, 16 settembre 1995, n. 11893, Petroni c. Condominio di Via Conca d'Oro n. 284 in
Roma, in Arch. loc. e cond. 1995, 865.
Qualora per la scarsa illuminazione del cortile un terzo non abbia visto un muretto di cm 30 e sia precipitato
lungo il vano scale, il condominio deve essere condannato al risarcimento del danno biologico per complessivi
cinquantadue milioni.
* Trib. civ. Milano 7 novembre 1991, in L'Ammin. 1991, n. 10.
Le catenelle collocate su paletti e pergolati a pochi centimetri dal suolo costituiscono il tipico caso di insidia e
richiedono una particolare illuminazione ed una opportuna segnaletica.
* Trib. civ. Milano 4 aprile 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
z) Violenza privata
Nell'ipotesi di uso di violenza fisica e di privazione della libertà personale esercitati dall'agente nei confronti di un
coabitante nello stesso stabile condominiale, autore di rumori molesti, al fine di determinarne la cessazione,
sono ravvisabili le ipotesi delittuose di cui agli artt. 605 e 610 cod. pen. e non il reato di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni. (Nella specie è stato ritenuto che la violenza privata fosse elemento costitutivo del delitto di
sequestro di persona).
* Cass. pen., sez. V, 31 ottobre 1983, n. 9075 (ud. 4 luglio 1983), Riga.
DANNI PER RITARDATA RESTITUZIONE DELLA COSA LOCATA
SOMMARIO: a) Caratteristiche del contratto; b) Casistica; c) Corrispettivo; d) Controversie; e) Differenze da altri
contratti; f) Pluralità di contraenti; g) Qualità di locatore; h) Rappresentanza; i) Verbale (denuncia del contratto).
a) Caratteristiche del contratto
Seppure il contratto di locazione ha natura personale e prescinde dall`esistenza e titolarità nel locatore di un
diritto reale sulla cosa, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilità, è necessario tuttavia che tale
disponibilità abbia genesi in un rapporto (o titolo) giuridico che comprenda il potere di trasferirne al conduttore la
detenzione e il godimento, con la conseguenza che non può assumere la qualità di locatore colui che abbia
soltanto la disponibilità di fatto della cosa stessa.
* Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1982, n. 4714.
Nessuna norma autorizza presunzioni di sorta - nè di segno affermativo, nè di segno negativo - sulle possibili
connotazioni di un contratto di locazione (circa le eventuali esigenze abitative che esso è inteso a soddisfare)
posto in essere in forma verbale.
* Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2000, n. 4591, Cerbone ed altri c. Franchi.
Il contratto di locazione può essere provato con testimoni e, quindi, anche con presunzioni.
* Cass. civ., sez. III, 28 settembre 1979, n. 5014.
Poichè‚ il contratto di locazione non è soggetto alla forma scritta ab substantiam, la novazione soggettiva del
contratto stesso, anche se scritto, può essere provata con testi, ovvero con elementi deducibili da documenti e
fatti successivi alla sua stipulazione.
* Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 1980, n. 649 in Arch. loc. e cond. 1980, 226.
b) Casistica
Nel contratto di locazione quando il conduttore acquista la detenzione della cosa, che entra così nell`ambito
della sua disponibilità, su di lui ricadono i rischi inerenti all`utilizzazione di essa, con la conseguenza che, se con
l`attribuzione del godimento della cosa il locatore mette a disposizione del conduttore l`attività dei suoi
dipendenti per l`utilizzazione della cosa stessa, costoro agiscono come preposti del conduttore, senza che tale
circostanza faccia venir meno la natura di locatio rei propria del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1999, n. 1127, Molinari c. Silvi.
Il venir meno, per qualsiasi causa, di uno dei titolari del contratto di locazione non costituisce motivo di
risoluzione del contratto nei confronti degli altri conduttori, avendo ciascuno un diritto autonomo al godimento
della cosa, compatibilmente all`uguale godimento degli altri partecipanti, e restando ciascuno, per la stessa
indivisibilità della prestazione, obbligato solidamente nei confronti del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 27 novembre 1972, n. 3458.
In caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprietari, venuto a conclusione il rapporto
locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore,
questo - avendo diritto al godimento dello stesso in proporzione della sua quota - non può essere condannato al
rilascio del bene medesimo agli altri comproprietari, restando invece ai comunisti di disciplinare l`ordinaria
amministrazione della cosa comune senza privare alcuno dei contitolari del bene delle sue facoltà di godimento
e così eventualmente di ricorrere, in caso di persistente disaccordo, all`autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 1105,
ultimo comma, c.c., per la nomina di un amministratore.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1999, n. 6405, Cappucci c. Sommaruga F. ed altri, in Arch. loc. e cond. 1999,
789.
La locazione, da parte di un socio di una società di persona, ad altro socio della propria quota sociale è
ammissibile. (Nella specie l`usufruttuario di una quota sociale, costituita da parte dei locali e dell`azienda
commerciale in essi gestita, aveva locato la stessa ad altro socio. La Corte Suprema ha enunciato il principio
che precede).
* Cass. civ., sez. II, 12 settembre 1970, n. 1401.
La denunzia di un contratto verbale di locazione, avendo finalità meramente fiscali, non attribuisce alle
dichiarazioni in essa contenute valore determinante, potendo le stesse essere liberamente apprezzate dal
giudice attraverso un raffronto critico con le altre risultanze di causa.
* Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1985, n. 2896.
Le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per sè indice
della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione
o di modalità non rilevanti. Inoltre, la novazione deve essere connotata non solo dall`aliquid novi, ma anche dagli
elementi dell`animus novandi inteso come manifestazione inequivoca dell`intento novativo, e della causa
novandi intesa come interesse comune delle parti all`effetto novativo.
* Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1999, n. 12838, Bonina c. De Leito.
Il contratto con il quale si concede una macchina (nella specie, autogru) in godimento, per un certo tempo e
dietro un determinato corrispettivo, non perde i connotati tipici della locazione, per assumere quelli dell`appalto,
per il fatto che la manovra ed il funzionamento della macchina medesima vengano affidati ad un dipendente del
concedente, ove ci ò non comporti alcuna ingerenza nell`utilizzazione del bene, che rimane a disposizione
dell`altra parte, perchè‚ se ne serva per i propri fini, con ampia discrezionalità di iniziativa. In tale situazione,
infatti, le prestazioni inerenti al funzionamento del mezzo non si ricollegano ad un risultato da conseguire a cura
del concedente, con propria organizzazione ed a proprio rischio, ma assumono carattere meramente accessorio
e strumentale rispetto al godimento del bene, che resta l`oggetto principale del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 20 luglio 1977, n. 3249.
Qualora un`associazione, con finalità di assistenza morale e materiale in favore di coloro che si trovino in
determinate condizioni di bisogno (nella specie, associazione cattolica internazionale al servizio della giovane),
conferisca ad una di dette persone il godimento di una stanza in proprio fabbricato, la revocabilità "ad nutum" di
tale concessione non può essere esclusa, sotto il profilo della ricorrenza di un rapporto tipico di locazione, per il
solo fatto del versamento periodico di una certa somma da parte del beneficiario di quella stanza, poichè‚
l`affermazione del rapporto locativo postula che la suddetta somma configuri controprestazione dell`obbligo del
concedente di garantire il godimento del bene, e non anche, pertanto, mero rimborso di spese nell`ambito di un
comodato o di una concessione gratuita in uso, ovvero mero onere nell`ambito di una locazione atipica e
precaria.
* Cass. civ., sez. III, 25 marzo 1985, n. 2091.
Un contratto misto, con cui una parte si obbliga a dare in godimento un impianto per l`erogazione di carburante,
e l`altra si obbliga a fornire carburante in esclusiva ed a prezzo ridotto, ha i caratteri della locazione e della
somministrazione, ma non del comodato, non essendo concesso il godimento della cosa a titolo gratuito.
Pertanto ad esso È applicabile la disciplina degli artt. 1578 e 1581 c.c. per i vizi della cosa.
* Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1977, n. 580, in Arch. civ. 1977, 401.
L`acquirente di un immobile locato è da considerare terzo rispetto al contratto di locazione intervenuto fra il suo
dante causa venditore ed il conduttore dell`immobile. Consegue, che l`acquirente il quale agisce per la
dichiarazione della simulazione del contratto di locazione, in quanto terzo può, a norma dell`art. 1417, fornire la
prova della simulazione anche per mezzo di presunzioni.
* Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1999, n. 721, Redeghieri c. Immobiliare di Gargioni F. & C. Snc.
La normativa della legge (sull`equo canone) 27 luglio 1978, n. 392, non trova applicazione per quelle
convenzioni in cui al godimento dell`immobile si accompagni la fornitura di servizi di natura genericamente
alberghiera o "personali" (dazione, cambio e lavaggio della biancheria da letto e da bagno e somministrazione di
riscaldamento, luce, acqua e simili), atteso che in tali ipotesi - sempre che non sia ravvisabile un rapporto di
affittacamere per l`assenza di organizzazione e professionalità, dell`abitualità della fornitura a terzi di camere e
servizi relativi e del requisito della precarietà e brevità dei soggiorni - si configura un contratto da ricomprendere
tra quelli "d`alloggio" come contratto atipico avente ad oggetto la concessione di un`ospitalità onerosa
"pensione" con imprescindibile e qualificante prestazione, sia pure in forma "familiare", dei servizi su indicati.
* Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1984, n. 3493.
Nell`ipotesi di inadempienza ad un preliminare di locazione da parte del promittente locatario, cui sia seguita la
stipula di un nuovo contratto di locazione a condizioni meno favorevoli, il lucro cessante in favore del locatore
non va in ogni caso e quasi automaticamente calcolato nella differenza tra l`importo del canone locatizio
stipulato con il promittente inadempiente e quello stipulato con il nuovo conduttore ma in base all`effettiva
diminuzione dell`utile che il locatore avrebbe ricavato dalla stipula del contratto definitivo, previsto nel
preliminare, in relazione cioè non soltanto all`importo dei canoni locatizi ma all`economia generale dei due
contratti ed al complesso delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti.
* Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1971, n. 2561.
La mancanza dei requisiti di abitabilità previsti dalla legge non determina la nullità del contratto di locazione di
un immobile per uso abitativo per impossibilità dell`oggetto, se non ne impedisca concretamente in modo
assoluto il godimento, sia pure con difficoltà e disagi per il conduttore.
* Cass. civ., sez. I, 5 ottobre 2000, n. 13270, Biondi c. Amm. autonoma Monopoli di Stato in Arch. loc. e cond.
2000, n. 6.
Non sussiste nell`ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva in
modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente
determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 c.c.) possono attribuire
efficacia retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto
contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. Né‚ tale possibilità di dare effetto
retroattivo al contratto può ritenersi esclusa per essersi verificata la situazione illecita di mora prevista dall`art.
1591 c.c., non sussistendo nell`ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un
inadempimento e/o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto.
* Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2000, n. 15530, Siracusano c. Ministero delle Finanze, in Arch. loc. e cond.
2001, 147.
c) Corrispettivo
Il corrispettivo a carico del conduttore nel contratto di locazione può essere costituito anche, in parte, da
un`attività lavorativa resa in favore del locatore, non dissimilmente dall`ipotesi in cui il godimento di un locale può
costituire parte della retribuzione del lavoratore in un rapporto di lavoro subordinato. La distinzione tra le due
ipotesi consiste nella diversa importanza della prestazione lavorativa nell`economia del contratto. (Nella specie
la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto che tra le parti fosse stato posto in
essere non già un rapporto di lavoro subordinato, bensì un rapporto atipico che prevedeva l`obbligo per un
soggetto di svolgere l`attività di verifica dell`ingresso e dell`uscita dei fruitori di un`area di parcheggio e
rimessaggio con esazione del prezzo del servizio a fronte del diritto per il medesimo soggetto di godimento di un
appartamento sito nella medesima area).
*Cass. civ., sez. lav., 29 dicembre 1998, n. 12871, Carbone c. Curatela Eredità giacente Chieco.
Il corrispettivo della locazione può consistere in cose diverse dal denaro ed essere rappresentato da utilità di
varia natura, ma è pur sempre necessario che ricorra il duplice requisito della sua determinatezza (o, almeno,
della determinabilità) e del suo carattere obbligatorio, nel senso che esso non può essere costituito da
prestazioni che trovino la loro causa in ragioni diverse (di convenienza, di opportunità, di liberalità, di cortesia)
non caratterizzate dalla forza cogente di un rapporto contrattuale.
* Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1977, n. 4937, in Arch. civ. 1978, 484.
Per la validità della locazione non è necessario che il corrispettivo dovuto dal conduttore sia determinato, ma è
sufficiente che sia determinabile, in applicazione di criteri o sulla base di elementi precostituiti, vale a dire fissati
nell`atto stesso della stipulazione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1975, n. 1484.
Il rilascio di quietanze per somme pagate a titolo di pigione non costituisce, di per sè, prova della sussistenza di
un contratto di locazione, essendo idonee, per il loro carattere unilaterale, soltanto ad indicare l`autore del
pagamento ed il quantum ricevuto.
* Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1989, n. 2207, Faustini c. Angilella.
Non si può presumere il carattere gratuito dell`uso di un immobile di proprietà del datore di lavoro accordato al
lavoratore e costituisce onere di quest`ultimo provare l`eventuale esistenza di un rapporto di comodato. (Nella
specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, sulla base di una situazione di incertezza probatoria,
aveva escluso la detraibilità, dalle somme dovute al lavoratore per differenza retributiva ex art. 36 Cost., del
corrispettivo dovuto per l`uso dell`abitazione).
* Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2000, n. 14472, Stortoni c. Di Buò, in Arch. loc. e cond. 2001, 78.
d) Controversie
Nelle controversie aventi ad oggetto i diritti nascenti da un contratto di locazione, è elemento costitutivo della
pretesa del locatore la disponibilità del bene locato. Tale disponibilità deve essere legittima, concreta ed attuale,
ed - in caso di contestazione da parte del conduttore convenuto - deve essere dimostrata dal locatore. Questo
principio trova applicazione anche nell`ipotesi in cui locatore e conduttore, concluso un contratto di transazione
avente ad oggetto i rispettivi obblighi sorti dalla locazione, controvertano in giudizio sulla validità delle
obbligazioni sorte dalla transazione.
* Cass. civ., sez. III, 7 novembre 1996, n. 9711, Cirillo c. Camilli ed altro.
Nelle controversie relative al rapporto di locazione, come quella per recesso del locatore ex art. 59 della L. 27
luglio 1978, n. 392 (sull`equo canone), l`indagine sulla legittimazione attiva attiene, non alla qualità di
proprietario del bene, ma a quella di locatore, che non deve necessariamente identificarsi con la persona del
proprietario.
* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1983, n. 358.
Il conduttore risponde quale custode a norma dell`art. 2051 c.c. dei danni che la cosa locata abbia cagionato a
terzi (compreso in essi il locatore, se danneggiato in altra sua cosa o nella persona) e si libera da tale
responsabilità solo dando la prova del fortuito, che può anche consistere nella dimostrazione che il fattore
determinante il danno ha riguardato strutture o apparati dell`immobile sottratti alla disponibilità dello stesso
conduttore ed estranei, quindi, alla sfera dei suoi poteri e doveri di vigilanza.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2001, n. 782, Carlone c. Soc. Flep, in Arch. loc. e cond. 2001, 220.
e) Differenze da altri contratti
La differenza tra locazione di immobile con pertinenze e affitto di azienda consiste nel fatto che, nella prima
ipotesi l`immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell`economia del contratto, come
l`oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed
assorbente rispetto agli altri elementi, i quali (siano essi legati materialmente o meno all`immobile) assumono
carattere di accessorietà e rimangono collegati all`immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e
coordinazione. Nell`affitto di azienda, invece, l`immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica,
ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di
interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicchè‚ l`oggetto del
contratto è costituito dall`anzidetto complesso unitario.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 1243, Zanin c. Innocente.
Il criterio discretivo tra locazione di immobile ad uso non abitativo e affitto d`azienda è fondato, rispettivamente,
sulla valenza assorbente ed esclusiva dell`immobile nel primo caso e, viceversa, sulla sua considerazione
funzionalmente paritaria e complementare con gli altri beni organizzati per l`azienda, nel secondo caso.
* Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n. 10106, Savina c. Pelizzi Faro di Pelizzi Ivan e Giuseppe, in Arch. loc. e
cond. 2000, n. 5.
Al fine di stabilire la sussistenza di un rapporto di comodato ovvero di locazione, occorre mettere a confronto i
sacrifici ed i vantaggi che dal negozio derivano rispettivamente alle parti, con contenuto di equivalenza sullo
stesso piano, cosicchè‚ il carattere di essenziale gratuità del comodato non viene meno se vi inserisce un modus
posto a carico del comodatario, mentre cessa se il vantaggio fornito da questi si pone come corrispettivo del
godimento della cosa con natura di controprestazione.
* Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1984, n. 2151.
Ogni qualvolta che per il godimento di un bene sia stata pattuita una controprestazione di qualsiasi natura, forma
o misura, si realizzano gli estremi di un rapporto locatizio e non di un comodato.
* Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1975, n. 276.
Qualora insieme alla merce il venditore consegni al compratore recipienti che sono destinati ad essere restituiti
ad uso avvenuto, sorge, accando al rapporto di vendita, un rapporto accessorio, ma autonomo, che può
considerarsi una locazione, qualora risulti conglobato nel prezzo della merce anche il canone di noleggio, e può
invece essere un comodato, ove manchi il corrispettivo. In ogni caso l`obbligazione di restituire sorge nel
momento e nel luogo in cui il recipiente ha adempiuto la sua funzione di raccolta e conservazione; onde la
competenza relativa all`azione tendente ad ottenere l`adempimento dell`obbligazione di restituzione dei
recipienti, ovvero al risarcimento dei danni per la mancata o incompleta restituzione si radica nel luogo di
consegna dei recipienti stessi.
* Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1970, n. 87.
L`affitto di azienda si differenzia dalla locazione di immobile con pertinenze perchè‚ in esso l`immobile non è
considerato nella sua consistenza effettiva e nella sua individualità giuridica, ma costituisce uno dei beni del
complesso unitario destinato al perseguimento di un determinato scopo produttivo, anche se la azienda, nel
momento della conclusione del contratto, non sia ancora in grado di funzionare ovvero richieda una diversa e
più efficiente organizzazione rispetto alla struttura preesistente.
* Cass. civ., sez. III, 26 luglio 1986, n. 4809.
Si versa in ipotesi di affitto di azienda alberghiera quando l`immobile non è considerato nella sua individuabilità
giuridica, ma viene a costituire uno dei beni aziendali in rapporto di complementarietà e di interdipendenza con
gli altri elementi in vista del fine economico perseguito dall`imprenditore, non rilevando che, al momento della
conclusione del contratto, l`azienda non sia ancora in grado di funzionare per mancanza di alcuni suoi elementi;
si versa, invece, in ipotesi di locazione di immobile adibito ad attività alberghiera, quando l`immobile conserva la
natura di cosa principale oggetto del contratto ed attrae ed assorbe gli altri elementi, che assumono carattere di
accessorietà, in quanto, pur se non siano materialmente legati all`immobile sì da perdere la propria individualità
economica, vi siano funzionalmente collegati in posizione di subordinazione e di coordinazione. Accertare se nel
caso concreto ricorra l`una o l`altra figura rientra nei compiti riservati al giudice del merito, il quale deve
procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la comune intenzione dei contraenti, ed avendo
riguardo, dall`altro, all`obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto.
* Cass. civ., sez. III, 2 marzo 1984, n. 1498.
La cessione del godimento di un locale, adibito ad esercizio commerciale, pu ò integrare affitto d`azienda,
ovvero locazione d`immobile munito di pertinenze, secondo che, alla stregua dell`effettiva e comune intenzione
delle parti, in relazione alla consistenza del bene e ad ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che
l`oggetto del contratto sia un`entità organica e capace di vita economica propria, della quale l`immobile configuri
una mera componente, in rapporto di complementarietà ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali,
ovvero sia in via principale l`immobile medesimo, ancorchè‚ dotato d`accessori, come entità non produttiva.
* Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1980, n. 2132, in Arch. loc. e cond. 1980, 202.
Si ha locazione di immobile quando questo sia stato specificamente considerato nella sua effettiva consistenza,
con funzione prevalente rispetto ad altri beni che abbiano carattere accessorio e non siano collegati fra loro da
un vincolo che li unifichi ai fini produttivi; ricorre invece l`affitto di azienda quando oggetto del contratto sia il
complesso unitario di tutti i beni mobili ed immobili, materiali ed immateriali concessi in godimento in quanto
organizzati per la produzione di beni e di servizi. Ai fini dell`individuazione, nel caso concreto, dell`una o
dell`altra figura di contratto, il giudice deve procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la
comune intenzione delle parti contraenti ed avendo riguardo, dall`altro, all`obiettiva consistenza dei beni dedotti
in contratto.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1987, n. 1069.
L`attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, ne presenta
analoga natura, in quanto richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle
necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto
del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (con caratteristiche professionali e finalità
speculative), pur a prescindere dal conseguimento o meno della prescritta licenza amministrativa. In difetto di
tale ultimo requisito, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell`ambito dell`indicata attività (né‚
quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo).
* Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 1991, n. 755.
L`art. 1 comma nono septies del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, conv., con modificazioni, in L. 5 aprile 1985, n. 118,
ai sensi del quale si ha locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina degli
artt. 27-42 della L. 27 luglio 1978, n. 392), e non affitto di azienda, quando l`attività alberghiera sia stata iniziata
dal conduttore, opera, a norma del successivo comma nono octies, anche con riguardo ai rapporti in precedenza
costituiti, se siano in atto (pure solo sul piano fattuale) alla data di entrata in vigore di detta legge di conversione
(24 aprile 1985). Per tali rapporti, pertanto, la questione della ricorrenza dell`una o dell`altra delle indicate ipotesi
contrattuali, ove ancora sub iudice, resta vincolata allo ius superveniens, di modo che, in caso di attività
alberghiera iniziata dal cessionario, deve essere necessariamente risolta nel senso della locazione, a
prescindere da ogni indagine sull`intenzione delle parti contraenti o sull`obiettiva consistenza dei beni dedotti in
contratto.
* Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1991, n. 7253, Pizzoli c. S.p.A. Immobiliare Arca.
Poichè‚ la normale onerosità è incompatibile con la nozione generale della locazione a norma dell`art. 1571 c.c.,
non si può presumere il carattere gratuito dell`uso di un immobile di proprietà del datore di lavoro accordato al
lavoratore e costituisce onere di quest`ultimo provare l`eventuale esistenza di un rapporto di comodato. (Nella
specie al S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, sulla base di una situazione di incertezza probatoria,
aveva escluso la detraibilità, dalle somme dovute al lavoratore per differenza retributiva ex art. 36 Cost., del
corrispettivo dovuto per l`uso dell`abitazione).
* Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2000, n. 14472, Stortoni c. Di Buò, in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
f) Pluralità di contraenti
Qualora il conduttore di un bene immobile acquisti in costanza del rapporto la proprietà di una quota pro indiviso
del bene locato, si verifica la contemporanea condizione di comproprietario-locatario del bene comune o di parte
di esso, con la conseguenza che il conduttore viene a disporre della res locata, in parte, in virtù del pregresso
titolo obbligatorio locatizio, in parte, in base all`assunta nuova qualità di proprietario, mentre il rapporto di
locazione estinto parzialmente per avvenuta confusione nello stesso soggetto delle anzidette qualità di
conduttore e locatore continua a sussistere tra gli altri condomini originari ed il nuovo comproprietario sempre in
veste di conduttore, vincolato quanto alla durata del contratto e alla destinazione d`uso del bene secondo le
pregresse pattuizioni. Ne deriva altresì che il comproprietario locatore può validamente esperire l`azione di
risoluzione del contratto per intervenuta scadenza ai sensi dell`art. 1103 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2000, n. 12870, Bastogi SpA c. La Rosa in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
Nelle vicende del rapporto locatizio, l`eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, nel cui interno i
diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione.
Conseguentemente, ciascuno dei condomini-locatori può svolgere le azioni che derivano dal contratto,
presumendosi il consenso degli altri alla proposizione dell`azione giudiziaria e salva la possibilità per costoro,
ove rappresentino nell`ambito della comunione una quota maggioritaria, di opporsi all`azione medesima; mentre,
in caso di quote eguali e di dissenso tra i condomini, è necessario il preventivo intervento dell`autorità giudiziaria
ex art. 1105 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1985, n. 158.
Nel caso in cui più soggetti siano titolari, quali conduttori, della locazione di un immobile ed abbiano tra loro
convenuto le modalità di utilizzazione dello stesso, non è consentito ad alcuno di essi di chiedere al giudice di
stabilire giudizialmente le modalità di godimento per ciascuno dei conduttori, atteso che in tal caso non sono
applicabili le norme sulla comproprietà, riguardando una comunione di interessi che scaturisce dalla contitolarità
di un rapporto di natura meramente obbligatoria non solo nei confronti del locatore, ma anche nei loro rapporti
interni, che può essere modificato soltanto con il consenso di tutti.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1990, n. 11, Denaro c. Farina.
Con riguardo alla locazione di immobile, che sia poi pervenuto, per successione al locatore, a diversi eredi, il
diritto del singolo erede di conseguire la risoluzione del rapporto limitatamente alla propria porzione, deve
essere negato qualora la prestazione fissata con l`originario contratto abbia carattere indivisibile, alla stregua
dell`unitaria funzione assegnata dalle parti al contratto stesso, atteso che, in tale ipotesi, detta indivisibilità opera
anche nei riguardi degli eredi, ai sensi dell`art. 1318 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 11 aprile 1987, n. 3611.
g) Qualità di locatore
Poichè, nel rapporto di locazione, si prescinde dalla titolarità del diritto di proprietà o di usufrutto del locatore
sull`immobile - essendo sufficiente, in relazione all`obbligazione principale da lui assunta di consentire al
conduttore l`uso ed il godimento dell`immobile stesso, che egli abbia la disponibilità del bene - spetta allo stesso
la legittimazione ad agire per tutte le questioni che concernano la costituzione, lo svolgimento e la cessazione
del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1983, n. 2973, Lambiase c. Sica.
Poichè per l`assunzione della qualità di locatore non è necessario essere proprietario della cosa locata, ma è
sufficiente averne la disponibilità, non può il conduttore contrastare la pretesa del locatore di pagamento dei
canoni negando il diritto di proprietà di quest`ultimo sulla cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1985, n. 3060.
Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico
(esclusi, cioè, il ladro, il ricettatore, l`usurpatore di immobile, etc.) può validamente concederla in locazione, in
comodato o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed è, di conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione
allorchè‚ il rapporto venga a cessare.
* Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1984, n. 4119.
h) Rappresentanza
Tra i partecipanti alla comunione esiste un reciproco rapporto di rappresentanza, in virtù del quale ciascuno di
essi può procedere alla locazione della cosa comune ed agire per la cessazione o la risoluzione del contratto e
la consegna del bene locato, anche nell`interesse degli altri partecipanti alla comunione, trattandosi di atti di utile
gestione rientranti nell`ambito dell`ordinaria amministrazione della cosa comune, per i quali è da presumere,
salvo prova contraria, che il singolo comunista abbia agito anche con il consenso degli altri.
* Cass. civ., sez. III, 26 marzo 1983, n. 2158.
i) Verbale (denuncia del contratto)
La denuncia di contratto verbale di locazione ha finalità di ordine puramente fiscale e non ha altro valore se non
quello di una mera dichiarazione della parte che l`ha fatta: ci ò non esclude, tuttavia, che essa possa offrire al
giudice elementi di convincimento circa l`esistenza del contratto, non solo quando il suo contenuto non sia
contestato dall`altra parte, ma anche quando, nonostante la contestazione, essa risulti effettuata in epoca
ritenuta non sospetta dal giudice del merito.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1984, n. 2507. Conforme, Cass. civ., sez. III, 30 aprile 1979, n. 2511.
La denunzia di un contratto verbale di locazione avendo finalità meramente fiscali, deve, in una controversia fra
privati, essere liberamente valutata come dichiarazione di parte in un raffronto critico con gli altri elementi
probatori acquisiti alla causa, e ci ò anche nell`ipotesi in cui chi l`ha sottoscritta e redatta abbia dichiarato fatti a
s‚ sfavorevoli e favorevoli alla controparte, dovendo escludersi che in tale atto, attesa la specificità dello scopo
che lo caratterizza, sia configurabile una confessione stragiudiziale, mancando nel dichiarante la
consapevolezza e la volontà di porre in essere una attestazione della verità dei fatti utilizzabili tra le parti nei
rapporti contrattuali.
* Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1997, n. 1100, Mendola c. Sacco.
La denuncia di un contratto verbale di locazione all`ufficio del registro ha finalità di solo ordine fiscale, sicchè la
stessa, quand`anche sottoscritta da entrambe le parti contraenti e quand`anche annualmente ripresentata al
fisco, una volta prodotta in giudizio e contestata dalla controparte, non è idonea, in sè, a provare che una
pregressa convenzione scritta di locazione pluriennale sia stata novata con accordi di diverso contenuto.
* Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2000, n. 329, Picco Mariagrazia ed altro c. Toffolo.
DEPOSITO CAUZIONALE
La controversia relativa alla restituzione del deposito cauzionale è diversa da quella per la quale è previsto il rito
speciale e va devoluta al giudice competente ratione valoris secondo i principi generali.
* Pret. civ. Molfetta, 3 aprile 1987, n. 44, La Forgia c. Sciancalepore. in Arch. loc. e cond. 1987, 561.
Il terzo acquirente dell’immobile locato subentra, ai sensi dell’art. 1602 c.c., nei diritti e nelle obbligazioni
derivanti dal contratto di locazione e così anche nell’obbligazione accessoria di restituzione del deposito
cauzionale versato dal conduttore, a nulla rilevando la mancata consegna del relativo importo da parte
dell’originario locatore.
* Pret civ. Milano, 18 luglio l989, Collini c. La Via e Fiscella, in Arch. loc. e cond. 1991, 188.
Esauritosi il rapporto di locazione e avendo il conduttore provveduto al pagamento dei canoni dovuti e alla
consegna dell’immobile, il locatore non può trattenere il deposito cauzionale versato dal conduttore a garanzia
delle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, eccependo la mancata restituzione di mobili lasciati dal
locatore nell’immobile e concessi al conduttore in comodato mediante un diverso ed autonomo rapporto
giuridico.
* Pret. civ. Milano, 18 luglio 1989, Collini c. La Via e Fiscella, in Arch. loc. e cond. 1991, 188.
In tema di locazione, l’obbligazione del locatore di restituire il deposito cauzionale versato dal conduttore, a
garanzia degli obblighi contrattuali, sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile
locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell’immobile da parte
del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura
di specifici danni subiti, la sua obbligazione di restituzione ha per oggetto un credito liquido ed esigibile, che
legittima il conduttore ad ottenere decreto ingiuntivo. In tal caso i diritti del locatore potranno essere fatti valere in
sede di opposizione all’ingiunzione, sempre che la sua pretesa sia compresa nei limiti della competenza del
giudice che ha emesso il decreto.
* Cass. civ., sez. III, 9 novembre 1989, n. 4725, Pascalino c. Argenti.
La omma versata a titolo di deposito cauzionale - conservando la funzione di garanzia in ordine
all’adempimento, da parte del conduttore, di tutte le obbligazioni sorgenti dal contratto, sino al momento
della risoluzione del rapporto - diventa esigibile solo da questo momento.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 febbraio 1990, n. 1018, Golia c. Vicini, in Arch. loc. e cond. 1991, 339.
In tema di locazioni di immobili urbani, il patto contrattuale che preveda il versamento del deposito cauzionale su
libretto di risparmio intestato al conduttore con capitalizzazione degli interessi è affetto da nullità rilevabile anche
d’ufficio dal giudice, ex art. 79, L. n. 392/1978, nei limiti in cui da esso consegua un trattamento deteriore per il
conduttore rispetto a quello stabilito dall art. 11 della stessa legge, per il quale il deposito cauzionale "è
produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno".
* Pret. civ. Milano, 20 aprile 1990, Bollati c. Gasparini, in Arch. Ioc. e cond. 1990, 579.
È nulla la clausola di un contratto di locazione avente ad oggetto l’imposizione al conduttore di un secondo
deposito cauzionale.
* Trib. civ. Roma, sez. III, 11 giugno 1990, Carnevali e altri c. S.p.A. Immob. Salce, in Arch. loc. e cond 1990,
749.
In tema di locazioni di immobili urbani, l’art. 11 della L. 27 luglio 1978 n. 392 - il quale, disponendo che il
deposito cauzionale non può essere superiore a tre mensilità del canone produttive di interessi legali da
corrispondere al conduttore alla fine di ogni anno, ha abrogato per incompatibilità, ai sensi del successivo art.
84, l’art. 4 della L. 22 dicembre 1973 n. 841, statuente che il deposito cauzionale non poteva essere superiore a
due mensilità del canone e doveva essere depositato su conto bancario vincolato - pur applicandosi come jus
superveniens, a decorrere dall’entrata in vigore della citata legge n. 392 del 1978, non solo ai rapporti di nuova
costituzione ma anche a quelli in corso, in regime transitorio, non può trovare applicazione con riferimento a quei
contratti per i quali, sempre alla data di entrata in vigore della legge sia in corso un giudizio, poiché a questi
rapporti continuano ad applicarsi le leggi precedenti (nella specie il citato art. 4 della legge n. 841 del 1973), ai
sensi dell’art. 82 della legge n. 392 del 1978, il quale si riferisce sia alla disciplina sostanziale che a quella
processuale in materia di locazioni urbane.
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1990, n. 7580, Fondi c. Rancati.
Possono essere considerate nulle, ai sensi del combinato disposto degli artt. 79 e 11, L. n. 392/1978, soltanto le
clausole tendenti a costituire forme di garanzia assimilabili (quanto al contenuto ed all’oggetto) al deposito di cui
al citato art. 11, limitatamente alla parte eccedente la misura ivi fissata; ne deriva che deve affermarsi la piena
validità della clausola che preveda l’obbligo del conduttore di fornire garanzia fidejussoria, atteso che, così
formulata, l’obbligazione non comporta necessariamente, per il conduttore stesso, quella privazione di mezzi
finanziari, che il citato art. 11, intende sanzionare.
* Trib. civ. Verona. sez. III, 22 agosto 1990, n. 1401, Impresa Coltri Prefabbricati c. Ditta Metalveneta, in Arch.
loc. e cond. 1990, 742.
La somma versata dal conduttore al locatore a garanzia del pagamento del canone, della restitutio in integrum e
per la copertura degli aumenti previsti e prevedibili del canone per effetto degli scatti ISTAT, s’intende versata a
titolo di deposito cauzionale (e non a fondo perduto) e l’eventuale vertenza relativa all’attribuzione di detta
somma è assoggettata alla disciplina ordinaria della competenza per valore.
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 29 dicembre 1990, n. 13562, Marseglia c. Marino. in Arch. loc. e cond. 1991, 605.
Il mancato versamento del deposito cauzionale è motivo di risoluzione del contratto locatizio.
*Trib. civ. Brescia, sez. III, 17 febbraio 1992, Mori c. Bianchi, in Arch. loc. e cond. 1992, 362.
Sono valide le clausole di pagamento anticipato del canone annuo di locazione degli immobili urbani per uso
non abitativo, soggetti al regime della legge sull’equo canone, non essendo applicabile il divieto dell’art. 11 di
tale legge, che si riferisce esclusivamente al deposito cauzionale, né la disposizione dell’art. 2 ter. della L. 12
agosto 1974, n. 351 (che commina la nullità delle clausole di pagamento anticipato del canone per periodi
superiori a tre mesi) che è stata implicitamente abrogata non essendo compatibile con la libertà di
determinazione del canone locativo degli immobili per uso non abitativo consentita alle parti dalla legge sull’equo
canone.
* Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1992, n. 6247, Carbone c. De Grecis Ville Arredamenti Srl.
In materia di locazione di immobili urbani il diritto del conduttore di ottenere la restituzione del deposito
cauzionale si prescrive nel termine ordinario decennale, atteso che la funzione di mera garanzia del suddetto
deposito ne esclude l’assimilabilità al canone o, comunque, ad un corrispettivo della locazione, e che la
prescrizione breve quinquennale riguarda esclusivamente l’azione del locatore volta al pagamento del canone.
* Cass. civ., sez. III, 5 giugno 1992, n. 6941, Di Geronimo c. Falconi.
A norma dell’ art. 11, della L. 27 luglio 1978, n. 392, gli interessi legali sul deposito cauzionale devono essere
corrisposti dal locatore alla fine di ogni anno senza che occorra una richiesta del conduttore, e, se non si è cosi
provveduto, vanno restituiti unitamente al deposito una volta che il vincolo contrattuale sia stato risolto ed il
conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni.
* Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1993, n. 8405, New Shoes Srl c. Calò P e G.
L’obbligo del locatore di un immobile urbano, di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito
cauzionale versato da quest’ultimo - obbligo stabilito non soltanto dall’art. 11, L. n. 392 del 1978 (norma
applicabile anche ai contratti in corso alla sua entrata in vigore), ma anche dall’art. 4, L. n. 841 del 1973 - ha
natura imperativa, in quanto persegue finalità di ordine generale, tutelando il contraente più debole ed
impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, possa tradursi in un incremento del
corrispettivo della locazione; con la conseguenza che tali interessi devono essere corrisposti al conduttore
anche in difetto di una sua espressa richiesta.
* Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1995, n. 979, Mazza c. Braghieri.
Similmente agli interessi sui salari e sulle altre prestazioni dei lavoratori, per i quali la prescrizione non può che
decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, per gli interessi sulla cauzione versata all’atto della stipula del
contratto di locazione la prescrizione non potrà mai decorrere durante il rapporto di locazione ma soltanto dalla
cessazione del medesimo.
* Pret. civ. Parma, 4 gennaio 1996, n. 2. Larini c. Levati, in Arch. loc. e cond. 1996, 256.
L’obbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sorge al termine della locazione, ma soltanto se il
conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni, giacché, diversamente, assume rilievo la
funzione specifica del deposito, che è quella di garantire preventivamente il locatore dagli inadempimenti del
conduttore. (Nella specie il locatore aveva dedotto che la conduttrice, essendo receduta senza preavviso, gli
aveva cagionato un danno di importo corrispondente al cumulo dei canoni scaduti durante tutto il periodo per il
quale l’immobile era rimasto sfitto).
* Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1997, n. 538, Cascella c. Soc. Meridional Fusbet e C.
Il locatore, ancorché abbia ottenuto un titolo esecutivo per l’intera somma dovuta dal conduttore per il mancato
pagamento dei canoni, può soddisfare anche in parte il suo credito con il deposito cauzionale ed eccepire
l’estinzione del credito di restituzione del deposito del conduttore per effetto della compensazione con il proprio
credito pregiudicando in tal modo le eventuali successive pretese del terzo creditore pignorante ex art. 543
c.p.c..
* Cass. civ., sez. III, 8 agosto 1997, n. 7360, Contarino c. Benediktinerkloster, in Arch. Ioc. e cond. 1997, 995.
DESTINAZIONE DEGLI IMMOBILI A PARTICOLARI ATTIVITA'
Con riguardo ai contratti di locazione di immobili adibiti a una delle particolari attività di cui all'art. 42 della legge
n. 392 del 1978, il comma 2 di detto articolo, richiamando il preavviso per il rilascio di cui all'art. 28, importa
l'applicabilità a tali contratti dell'intera disciplina della durata contenuta nell'art. 28 e, pertanto, anche del diniego
motivato di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale, dettato dagli artt. 28, comma 2, e 29 della stessa
legge.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 9 luglio 1997, n. 6227, Lazzaro c. Democrazia Cristiana, in Arch. loc.e cond. 1997,
595.
Ai fini della riconducibilità di un contratto di locazione concernente immobile non abitativo nell'ambito di
applicabilità degli artt. 67 e 42 della legge n. 392 del 1978 - per i quali rientrano nel regime transitorio di tale
legge i contratti concernenti immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche
nonché a sede di partiti o di sindacati - occorre aver riguardo non alla natura od alla qualifica del conduttore,
bensì all'attività che in concreto viene svolta nell'immobile locato. (Nella specie, sulla scorta di tale principio, la
Suprema Corte ha escluso l'applicabilità della richiamata normativa con riguardo alla locazione di alcuni locali
all'Inps, da tale istituto destinati ad ufficio).
* Cass., sez. III, 5 dicembre 1985, n. 6101, Soc. Edil. Ce. c. Inps.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'attività scolastica
esercitata a fini di lucro integra una attività commerciale rientrante nella previsione dell'art. 27 della legge n. 392
del 1978, e pertanto può costituire per il locatore motivo di recesso dal contratto a norma degli artt. 73 e 29 della
detta legge la necessità di adibire l'immobile a tale attività, senza che venga in rilievo la disposizione dell'art. 42
della stessa legge che - nel dettare particolari disposizioni per gli immobili urbani adibiti ad attività ricreative,
assistenziali, scolastiche... - non ha escluso che la scuola possa avere fine speculativo, né ha esentato le
locazioni concernenti la stessa dall'applicabilità del richiamato art. 27.
* Cass., sez. III, 20 agosto 1985, n. 4449, Com. Napoli c. Messuri.
Il dato letterale dell'art. 42 della L. n. 392 del 1978 - relativo a quei rapporti locatizi, estranei alla previsione del
precedente art. 27, ma concernenti immobili adibiti ad attività che per le finalità perseguite (ricreative,
assistenziali, culturali, scolastiche o politiche) o per i soggetti che le attuano, sono ritenuti meritevoli di
particolare tutela - comporta che qualsiasi contratto di locazione o di sublocazione di immobile urbano stipulato,
in qualità di conduttore, dallo Stato o da altro ente pubblico territoriale, sia assoggettato, in virtù di detto
esclusivo criterio soggettivo ed indipendentemente dall'uso cui l'immobile è destinato, alla disciplina propria delle
locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo nelle parti richiamate dalla citata norma (segnatamente, con
riguardo alla durata, all'aggiornamento del canone liberamente determinabile ed al preavviso di rilascio, alle
disposizioni di cui agli artt. 27, 32 e 28 della legge medesima). (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato il
principio di cui alla massima con riguardo ad un contratto di locazione stipulato dal Comune di Roma come
conduttore e relativo ad un complesso immobiliare massimamente costituito da appartamenti da destinare ad
alloggio di famiglie sfrattate o disagiate, giusta delibera comunale richiamata nel contratto).
* Cass., sez. III, 4 marzo 1988, n. 2274, Comune di Roma c. Soc. Immobiliare Catullo.
La norma dettata dall'art. 42, comma primo, L. n. 392/1978, nella parte in cui equipara per la durata le locazioni
di immobili prevedute dall'art. 27, comma primo, della stessa legge e quelle stipulate in qualità di conduttore
dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali, non si applica a soggetti diversi da quelli espressamente
contemplati, quali la Cassa per il mezzogiorno e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno,
che alla stregua della relativa disciplina legislativa, vanno considerati enti pubblici distinti dallo Stato e non
organi di questo.
* Cass., sez. III, 2 maggio 1990, n. 3620, Ag. Prom. Sv. Mezz. c. Soc. Fimi.
Ai fini della speciale disciplina dettata per i contratti di locazione di immobili dall'art. 42 della L. 27 luglio 1978 n.
392 non possono essere ricompresi tra gli enti pubblici territoriali enti diversi dai comuni, dalle province e dalle
regioni, anche se ad essi strutturalmente legati.
* Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1991, n. 8880, E.R.S.A. c. Peragallo.
Rientrano nella previsione dell'art. 42 della L. n. 392/1978 tutti i contratti di locazione di immobili urbani stipulati
dallo Stato o da enti pubblici territoriali e tutti i contratti di locazione stipulati da soggetti diversi dai suddetti che
riguardino immobili che siano adibiti ad una delle attività indicate nella norma, senza distinzione fra fine di lucro
o meno e senza alcun riferimento al carattere imprenditoriale o meno delle strutture, poiché lo spirito della norma
è unicamente quello di facilitare la diffusione e lo svolgimento di attività di rilevante carattere sociale che la
Costituzione non riserva esclusivamente allo Stato e ad altri enti pubblici territoriali.
* Trib. civ. Lucca, 29 luglio 1991, Brancoli c. Giulivo, in Arch. loc.e cond., 1991, 770.
La norma di cui all'art. 42 della legge n. 392 del 1978 ha disposto la particolare disciplina - implicante fra l'altro la
non applicabilità delle disposizioni dei precedenti artt. 38 e 39 - esclusivamente in funzione del tipo di attività
esercitata, e non vi è alcun appiglio - né letterale né sistematico - per ritenere che il legislatore avesse voluto
limitare la portata della norma in relazione alle particolari modalità di esplicazione o alle finalità perseguite
dall'attività svolta.
* Trib. Roma, 10 aprile 1985, Verdarelli c. Benedini.
L'attività assistenziale prevista dall'art. 42 della L. 392/78 è quella diretta a soddisfare le esigenze essenziali
della vita ed a difendere i cittadini contro i principali rischi dai quali possono essere colpiti, sottraendoli al loro
stato di bisogno economico, sanitario o sociale.
* Corte app. Potenza, 27 gennaio 1982, Ente Sviluppo Agricolo Basilicata c. Palese.
Le disposizioni di cui agli artt. 27 e 42 della L. n. 392/1978 sono inapplicabili agli enti pubblici non territoriali, e
non economici.
* Pret. Roma, ord. 10 febbraio 1982, Vanoni c. E.N.C.C.
L'attività didattica impartita in un'autoscuola non rientra in quelle previste dall'art. 42 legge 392/78 essendo la
stessa esercitata con scopo di lucro ed accompagnandosi alla somministrazione di taluni servizi ed
all'espletamento di varie incombenze.
* Trib. Forlì, 4 novembre 1982, n. 504, Bastoni c. Berardi.
Va considerato immobile adibito ad attività assistenziali, agli effetti di quanto dispone l'art. 70 L. 27 luglio 1978,
n. 392, in relazione al precedente art. 42, l'immobile condotto in locazione dall'E.N.P.I., considerato il fine
statutario di questo ente, inquadrato nelle oggi più ampie dimensioni del concetto di assistenza.
* Pret. Como, 3 aprile 1982, Società Comense Beni Stabili Spa c. E.N.P.I. - Ente Nazionale per la Prevenzione
degli Infortuni.
I contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attività consolari debbono ritenersi di natura
assistenziale, atteso che a norma dell'art. 5 della convenzione di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata dalla L. 9
agosto 1967, n. 804, i consolati in particolare prestano assistenza e soccorso alle persone nonché
salvaguardano i minori e gli incapaci dello Stato di invio, sicché detti contratti rientrano tra quelli disciplinati
dall'art. 42 della L. 27 luglio 1978, n. 392 ed hanno la durata di cui al primo comma dell'art. 27 della medesima
legge.
* Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1990, n. 11168, Consolato della Repubblica del Venezuela c. Capasso.
L'elencazione di cui all'art. 42 della L. n. 392/1978 non può estendersi ad altre attività ivi non previste, restando
quindi esclusa l'attività di culto.
* Trib. Prato, 6 dicembre 1983, n. 685, Rao c. Tardito.
La destinazione dell'immobile locato ad attività di culto, pur non essendo espressamente menzionata dall'art. 42
della L. n. 392/1978, deve ritenersi egualmente ricompresa nella previsione della norma: tale attività, infatti,
benché non si identifichi in modo integrale ed esaustivo in alcuna delle attività indicate nell'art. 42, ben può
inquadrarsi, ad un tempo, sia tra le attività ricreative sia tra quelle assistenziali sia tra quelle culturali.
* Pret. Milano, sez. II, 30 novembre 1982, n. 6011, Asti c. Oratorio Aschenazita Beth Shelomo.
I botteghini del lotto - dovendosi ritenere che negli stessi si svolga attività ricreativa - rientrano tra le locazioni di
cui all'art. 42 della L. n. 392/1978, anche se al conduttore (gestore della ricevitoria) non può riconoscersi il diritto
all'indennità di avviamento in quanto non qualificabile come imprenditore.
* Pret. Monza, ord. 19 ottobre 1983, Ceraso c. Colombo.
Il rapporto di locazione nel quale è parte conduttrice la Camera di commercio, industria, artigianato ed
agricoltura non è riconducibile all'art. 42 L. n. 392/1978.
* Pret. Firenze, 6 aprile 1987, Grazzini e altra c. Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura.
Il secondo comma dell'art. 42, L. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui contiene un richiamo all'art. 28 della
stessa legge, va interpretato in forza del suo tenore letterale nel senso che alla locazione di cui al primo comma
dell'art. 42 non si applica integralmente la disciplina contenuta nell'art. 28, ma solo quella di cui al primo comma
relativa al preavviso di rilascio, con la conseguenza che il locatore può far cessare il rapporto alla prima
scadenza, anche in assenza dei motivi indicati nel successivo art. 29 e richiamati dal secondo comma dell'art.
28, in presenza di regolare disdetta.
* Pret. civ. Lecco, 14 ottobre 1996, n. 422, Gilardi c. Circolo lavoratori Endas.
I contratti di locazione di cui all'art. 42 della L. n. 392 del 1978, i quali hanno un regime giuridico diverso rispetto
a quello dei contratti ad uso abitativo o di quelli per uso diverso, godono di una tutela attenuata rispetto agli altri;
infatti a tali contratti è applicabile il solo comma primo dell'art. 28 della legge citata e non anche il secondo,
sicché la disdetta risulta essere di per sè sufficiente a produrne la cessazione alla normale scadenza del
contratto.
* Trib. Roma, sez. II, 22 marzo 1986, n. 4338, Vernarelli c. Università degli Studi di Roma.
Alla prima scadenza dei contratti di locazione di immobili adibiti alle attività di cui all'art. 42 L. n. 392/1978, è
sufficiente ad impedire il rinnovo del contratto la mera disdetta di cui all'art. 28, legge citata, non richiedendosi
che essa sia motivata in base all'art. 29.
* Pret. Firenze, 17 maggio 1988, Istituto Gould c. Tosques.
I contratti di locazione di cui all'art. 42 della L. n. 392/1978 hanno la durata minima, prevista dall'art. 27 primo
comma della medesima legge, di sei anni. Anche a tali contratti si applicano gli istituti della rinnovazione
automatica e del diniego di rinnovazione di cui, rispettivamente, agli artt. 28 e 29 della legge sull'equo canone.
* Trib. Milano, sez. X, 7 settembre 1987, n. 7464, Aiazzi c. Ussl 75/10 - Comune di Milano.
Deve ritenersi che rispetto ai contratti considerati nell'art. 42 della legge n. 392 del 1978 non trovino applicazione
le norme relative al diritto di prelazione in caso di vendita o di nuova locazione dell'immobile.
* Corte app. Catanzaro, sez. I, 23 maggio 1985, n. 130, Minervini c. Amm. Prov. Cosenza.
In base al disposto dell'art. 42 della legge 392/78, che estende ai rapporti ivi considerati l'applicazione di alcuna
delle norme dettate per le locazioni di immobili destinati all'esercizio di attività economiche di cui all'art. 27 della
stessa legge, è onere del conduttore provare che l'immobile oggetto del contratto è concretamente adibito ad
una delle particolari attività elencate dalla norma, non essendo a tal fine sufficiente il generico richiamo alle
finalità istituzionali del conduttore.
* Corte app. Potenza, 27 gennaio 1982, Ente Sviluppo Agricolo Basilicata c. Palese.
Il richiamo contenuto nell'ultima parte dell'art. 15 bis della legge n. 94 del 1982 (c.d. Nicolazzi bis) non può
essere inteso come applicazione di ulteriore proroga a tutti i contratti rientranti nella previsione dell'art. 42 della
legge 392 del 1978; il richiamo stesso deve intendersi limitato nell'ambito dello stesso articolo, nel senso che la
ulteriore proroga biennale si applica a quei particolari contratti, previsti dall'art. 42 della L. 392/78 che, per
quanto attiene alla durata nel periodo transitorio, sono regolati dalle disposizioni degli artt. 67 e 70 della stessa
legge.
* Trib. Roma, 9 gennaio 1984.
IL DINIEGO DI RINNOVAZIONE DEL CONTRATTO ALLA PRIMA SCADENZA
SOMMARIO: a) Albergo; b) Ambito di operatività; c) Attività commerciale; d) Coltivatore diretto; e) Controversie;
f) Enti pubblici; g) Farmacia; h) Forma della disdetta; i) Impresa familiare; l) Onere della prova; m) Porzione di
mmobile; n) Restauro; o) Ricostruzione; p) Ristrutturazione; q) Serietà dell`intento del locatore; r) Società di
persone; s) Specificazione dei motivi; t) Strumenti urbanistici; u) Tempestività della disdetta; v) Terzo acquirente;
z) Utilizzazione parziale.
a) Albergo
Ad una locazione ad uso alberghiero sorta nell`anno 1938 e, quindi, soggetta al regime transitorio, non sono
applicabili gli artt. 29 e 59 della L. 392/78; conseguentemente, nessuna motivazione di diniego del rinnovo
occorre che i locatori diano con l`intimazione di finita locazione.
* Trib. civ. Torre Annunziata, sez. stralcio, 11 maggio 2001, n. 971, D`Anna L. ed altri c. Ercolano G. ed altri, in
Arch. loc. e cond. 2002, 188.
In tema di recesso dal contratto di locazione, l`art. 29, secondo comma, della L. 27 luglio 1978 n. 392, in materia
alberghiera, ha natura speciale rispetto al primo comma e contiene una regolamentazione autonoma rispetto
alla generalità degli immobili adibiti ad uso diverso dall`abitazione; ne consegue che solo nelle specifiche ipotesi
ivi previste, e cioè, in caso di ristrutturazione dell`immobile, ferma restando la destinazione alberghiera, o di
apporto allo stesso di notevoli migliorie tali da aumentarne la capacità ricettiva, o comunque da determinare il
passaggio dell`azienda ad una categoria superiore, qualora l`immobile sia oggetto di intervento sulla base di un
programma comunale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti, o, infine, in caso di esercizio diretto della attività
alberghiera è possibile per il proprietario ottenere la disponibilità dell`immobile, restando esclusa la possibilità di
esercitare la facoltà di far cessare tale locazione per necessità abitativa contemplata, per gli altri immobili adibiti
ad uso diverso dall`abitazione, dalla lett. a) del primo comma.
* Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1990, n. 11954, Scarpa c. Nardi.
In tema di locazione alberghiera la facoltà di recesso del locatore per esercitare nell`immobile locato la
medesima attività del conduttore non è subordinata all`accertamento del requisito della capacità professionale,
da documentare con il nulla osta della autorità amministrativa preposta al settore alberghiero, atteso che l`art. 29
della legge n. 392 del 1978 (applicabile anche nel regime transitorio per l`espresso disposto dell`art. 73 della
stessa legge) limita il suo richiamo solo all`art. 5 della legge n. 191 del 1963 (come modificato dall`art. 4 bis della
L. 28 luglio 1967 n. 628) e non anche al successivo art. 6, che tale nulla osta prevedeva e che deve altresì
ritenersi abrogato, ai sensi dell`art. 15 delle preleggi, per incompatibilità con la nuova disciplina organica della
materia locatizia introdotta dalla legge dell`equo canone.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1994, n. 5664, Raimondo c. Iacoangeli.
In tema di locazioni urbane, la disciplina dettata dall`art. 29, secondo comma, della L. 27 luglio 1978 n. 392, con
riguardo agli immobili adibiti all`esercizio di albergo, pensione o locanda, trova applicazione anche con riguardo
agli immobili adibiti all`esercizio dell`attività di affittacamere, la quale, sia pure con proporzioni ridotte, presenta
caratteristiche imprenditoriali analoghe.
* Cass. civ., sez. III, 13 luglio 1982, n. 4124, Tabacco c. Maggiorino.
b) Ambito di operatività
Il diniego di rinnovo del contratto di locazione non abitativa alla prima scadenza non trova ostacolo nel mancato
possesso, da parte del locatore, delle specifiche necessarie autorizzazioni amministrative, che non possono
incidere sul rapporto privatistico di locazione; né rileva l`eccepita disponibilità di altri immobili utilizzabili per la
destinazione addotta, avendo il locatore il diritto insindacabile di scegliere quello ritenuto più idoneo.
* Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2002, n. 537, Miniero c. Esposito Lazzazara.
In tema di locazione di immobili destinati ad una delle particolari attività indicate dall`art. 42 della L. 27 luglio
1978 n. 392, il secondo comma del citato art. 42, nella parte che richiama il preavviso per il rilascio di cui all`art.
28 e lo dice applicabile ai contratti indicati nel primo comma, assoggetta questi contratti alla disciplina del
diniego di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale dettata dagli artt. 28 comma secondo e 29 della stessa
legge.
* Cass. civ., sez. III, 5 novembre 1991, n. 11756, Ministero dell`Interno c. Zannelli.
In materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, alla cessazione del regime transitorio, non
solo la rinnovazione tacita del contratto, ma a maggior ragione la stipulazione (tra le stesse parti e avente ad
oggetto il medesimo immobile ancora occupato dal conduttore) di un nuovo contratto, svincolato da quello
precedente, determina l`assoggettamento del rapporto locativo alla disciplina ordinaria e quindi anche la
applicazione alla prima scadenza del nuovo contratto delle norme in materia di diniego della rinnovazione di cui
agli artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392.
* Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 1996, n. 8786, Buongiovanni c. Landucci.
La semplice classificazione di un immobile come suscettivo di intervento di recupero nell`ambito di un
programma pluriennale di attuazione non è sufficiente a realizzare il presupposto di cui all`art. 29 lett. c) legge n.
392/78.
* Pret. civ. Piacenza, 15 febbraio 1982, n. 43, Grazioli e altri c. Bigatti.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza è sufficiente che nella disdetta si faccia
riferimento ad una delle ipotesi prefigurate dall`art. 29 della L. n. 392/78 nel caso in cui il locatore, per motivi
organizzativi e strutturali, non sia in grado - pur nella certezza della destinazione dell`immobile ad una delle
attività previste dalla norma - di determinare all`origine ed in dettaglio l`utilizzazione specifica che ne sarà fatta.
(Fattispecie nella quale una Banca, locatrice di immobile, aveva indicato nella disdetta di voler utilizzare lo
stesso "per ampliamento della propria attività" senza ulteriormente specificare per quale servizio bancario
particolare il medesimo immobile sarebbe stato utilizzato).
* Trib. civ. Bologna, sez. III, 16 maggio 1991, n. 373, Soc. Banca Agricola Mantovana c. Mistroni.
La clausola con cui le parti fanno decorrere il termine di preavviso del diniego di rinnovazione dalla data di
spedizione della raccomandata che contiene la disdetta motivata e non dalla data in cui la relativa
comunicazione pervenga al conduttore, è nulla ai sensi dell`art. 79 L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Milano, sez. I, 12 novembre 1990, Fidinvest Spa c. Banca del Monte di Lombardia.
c) Attività commerciale
In tema di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo il diniego del rinnovo del contratto alla
prima scadenza per l`intenzione del locatore di destinare l`immobile all`esercizio della propria attività
commerciale, non può trovare ostacolo nel mancato possesso da parte del locatore medesimo delle specifiche
necessarie autorizzazioni amministrative, che non possono incidere sul rapporto privatistico di locazione, pur
essendo tenuto il giudice, ai sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, a verificare la serietà,
concretezza e attualità del proposito del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1997, n. 4568, Noi Incontro Soc. c. Comandini.
Ai fini della cessazione della locazione d`immobile destinato ad uso diverso dall`abitazione per diniego di
rinnovo del contratto alla prima scadenza da parte del locatore per il manifestato proposito di esercitarvi attività
commerciale (o anche alberghiera), è irrilevante il difetto delle prescrizioni richieste per l`esercizio del
commercio, quale l`iscrizione nel registro degli esercenti commerciali, trattandosi di inosservanza di norme non
operanti nell`ambito del rapporto privatistico.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1994, n. 5664, Raimondo c. Iacoangeli.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto per la
necessità addotta dal locatore di adibire l`immobile ad esercizio in proprio di attività commerciale (nella specie,
negozio di rivendita di generi alimentari), ove il conduttore deduca l`impedimento della detta destinazione per
impossibiità giuridica delle necessarie autorizzazioni amministrative, con riguardo ai disposti di regolamenti
locali, il giudice deve provvedere d`ufficio all`acquisizione di tali fonti normative per il principio iura novit curia.
* Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1992, n. 11095, Carmelo c. Morelli.
La disciplina di cui all`art. 29 L. n. 392/78 (diniego di rinnovazione alla prima scadenza solo per i casi ivi
tassativamente indicati), si applica anche laddove le parti di un contratto di locazione commerciale abbiano
pattuito convenzionalmente che il suddetto contratto abbia durata superiore a quella minima imposta dalla legge
(nella fattispecie quindicennale).
* Trib. civ. Modena, sez. II, 12 settembre 2001, X c. Y.
d) Coltivatore diretto
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il d<%-2>iniego di rinnovazione
del contratto alla prima scadenza, previsto dall`art. 29 lett. b) della legge 27 luglio 1978 n. 392 per il caso in cui il
locatore intenda adibire l`immobile ad una delle attività indicate nel precedente art. 27, si riferisce a tutte le
attività elencate in tale ultima norma, ivi compreso, pertanto, l`esercizio abituale e professionale di lavoro
autonomo. Ne consegue che la suddetta disposizione può essere invocata anche dal coltivatore diretto, per
riacquistare la disponibilità dell`immobile locato, pure se non insistente sul fondo coltivato, in relazione ad
esigenze che rientrino funzionalmente nell`economia dell`impresa agricola (nella specie, conservazione dei
prodotti del fondo in vista della successiva vendita).
* Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1983, n. 2972, Bozzo c. De Angelis.
e) Controversie
Per la controversia che riguarda il rilascio di immobile ad uso non abitativo per finita locazione alla scadenza
fissata dalle disposizioni transitorie della legge sull`equo canone, senza che siano posti in discussione i motivi di
recesso previsti dagli artt. 73 e 29 stessa legge (dal locatore non invocati) e senza che il conduttore abbia
richiesto in via riconvenzionale la determinazione dell`indennità eventualmente spettante per la perdita
dell`avviamento commerciale, non va applicata la disciplina processuale di cui all`art. 30 della legge n. 392/1978
e la competenza va determinata secondo gli ordinari criteri di valore dettati dal codice di procedura civile.
* Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1999, n. 9614, Borriello c. Inail, in Arch. loc. e cond. 2000, 56.
Poiché l`obbligo del giudice di conoscere le norme vigenti dell`ordinamento si estende ai regolamenti locali che
integrino elementi fondamentali della fattispecie dedotta in giudizio, qualora, in tema di diniego di rinnovo della
locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto, il conduttore alleghi che il regolamento edilizio è
ostativo alla realizzazione della modifica di destinazione del bene indicata nella dichiarazione effettuata dal
locatore ai sensi dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978, la cognizione del giudice deve estendersi al
regolamento, da acquisirsi all`occorrenza anche d`ufficio.
* Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2000, n. 361, Randazzo c. Cosentino.
La giurisdizione del giudice ordinario, nella controversia che il locatore promuova nei confronti del conduttore per
ottenere la cessazione del rapporto, in relazione alla dedotta esigenza di procedere ad integrale ristrutturazione
dell`immobile, non resta esclusa, in favore della giurisdizione del giudice amministrativo, per il fatto che si debba
accertare, quale condizione di legge della domanda, il conseguimento da parte dell`istante di licenza o
concessione edilizia per l`esecuzione di dette opere (nella specie, ai sensi dell`art. 29, lett. c della L. 27 luglio
1978 n. 392), nonché la legittimità, formale e sostanziale, di tale licenza o concessione, poiché la relativa
indagine ha carattere meramente incidentale, in una causa che investe diritti soggettivi scaturenti da un rapporto
privatistico (e rispetto alla quale resta estranea l`autorità amministrativa che ha adottato detto provvedimento).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 18 dicembre 1985, n. 6449, Soc. Bettuzzi c. Soc. Imm. S. Greco.
Qualora il locatore di immobile eserciti il recesso, per la necessità di procedere a lavori di ristrutturazione del
bene (art. 29 lett. c della L. 27 luglio 1978, n. 392), le questioni poste dal conduttore sulla legittimità del
provvedimento municipale di autorizzazione di dette opere, mentre sono conoscibili, in via incidentale, dal
giudice ordinario, nell`ambito della controversia fra le parti del rapporto locativo, sui diritti inerenti al rapporto
stesso, spettano alla giurisdizione del giudice amministrativo, ove siano sollevate, in via principale, con
domanda di annullamento del provvedimento proposta nei confronti del comune, dato che tale domanda attiene
al rapporto con l`amministrazione e si ricollega all`interesse legittimo dell`istante circa l`osservanza
dell`amministrazione medesima alle norme che regolano la sua attività pubblicistica a tutela di esigenze
generali.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 23 gennaio 1990, n. 369, Soc. Bettuzzi c. Res. Soc. Imm. S. Greg.
L`elezione di domicilio fatta dalla parte in sede di stipula del contratto (nella specie: locazione) deve ritenersi a
carattere non esclusivo, in difetto di chiara ed espressa volontà contraria e, come tale, non ostativa a che l`atto
unilaterale recettizio inerente al rapporto contrattuale (nella specie: comunicazione del diniego di rinnovazione
alla prima scadenza ex art. 29 della legge sull`equo canone) venga trasmesso al diverso indirizzo della parte
medesima, ai sensi dell`art. 1335 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 23 settembre 1996, n. 8399, Graziano c. Fattibene.
In tema di diniego della rinnovazione alla prima scadenza della locazione non abitativa per uno dei motivi indicati
nell`art. 29 della L. 27 luglio 1978, n. 392, la motivata disdetta si pone come condizione di procedibilità della
domanda di rilascio che, pertanto, può essere fondata solo sugli stessi motivi indicati nella disdetta.
* Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 1995, n. 1865, Gattor c. Prisco.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa a norma dell`art. 29, lett. b) legge n. 392 del
1978, l`accertamento relativo alla corrispondenza della destinazione effettiva dell`immobile a quella indicata dal
locatore si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, non censurabile in sede di
legittimità qualora sia sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la decisione di merito che ha ritenuto il diniego di rinnovazione fondato sulla seria intenzione,
espressa dal locatore, di adibire l`immobile ad attività di pittore, sul presupposto che anche la sola eventualità di
vendita al pubblico dei propri quadri sia sufficiente ad integrare la più ampia destinazione ad una fruizione
pubblica, che conferisce natura imprenditoriale all`attività del locatore medesimo e legittima il diniego di
rinnovazione).
* Cass. civ., sez. III, 16 aprile 1996, n. 3562, Fichera c. Viola.
La sentenza di accertamento della risoluzione di un contratto ad esecuzione continuata, quale quello di
locazione, per recesso unilaterale di una parte, ai sensi dell`art. 1373 c.c., o per diniego di rinnovazione alla
prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 della L. 27 luglio 1978 n. 392, non preclude la pronuncia, in un successivo
e distinto giudizio, della sentenza di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento anteriormente
verificatosi, la cui domanda ha contenuto e presupposti diversi, e tale ultima pronuncia, sebbene di carattere
costitutivo, avendo efficacia retroattiva al momento dell`inadempimento (art. 1458 c.c.), prevale rispetto alle altre
cause di risoluzione del medesimo rapporto contrattuale per la priorità nel tempo dell`operatività dei suoi effetti.
* Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1993, n. 2070, Galli c. Togni.
f) Enti pubblici
Anche i contratti di locazione di immobili destinati ad una delle attività particolari indicate dall`art. 42 della legge
sull`equo canone e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori sono
soggetti, in virtù dell`espresso rinvio contenuto nell`ultimo comma dell`art. 42, al regime della tacita rinnovazione
alla prima scadenza in mancanza di disdetta per uno dei motivi indicati dall`art. 29 della stessa legge.
* Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1991, n. 12167, Min. Poste e Telecomunicazioni c. Tosti A.
L`art. 29 comma primo lett. b) della L. 27 luglio 1978 n. 392 in forza del quale può essere negato il rinnovo della
locazione di immobili non abitativi alla prima scadenza quando il locatore sia un ente pubblico o di diritto
pubblico che intenda adibire l`immobile locato per l`esercizio di attività tendenti al conseguimento delle loro
finalità istituzionali, non è applicabile agli enti con scopi di assistenza e beneficenza, anche di origine religiosa
come le Opere Pie, che, non essendo di diretta creazione statale, hanno natura di enti privati.
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1993, n. 8380, Cemon Srl c. Prov. Ital. Ist. Suore Rave di santa Elisabetta.
Ai fini dell`applicabilità dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978 - in forza del quale può essere negato il rinnovo
del contratto di locazione concernente immobile non abitativo alla prima scadenza, qualora il locatore sia un
ente pubblico o di diritto pubblico ed intenda adibire l`immobile stesso all`esercizio di attività tendenti al
conseguimento delle sue finalità istituzionali - esula dalla nozione di ente pubblico il beneficio parrocchiale, il
quale svolge attività essenzialmente religiosa, persegue finalità non riconducibili fra quelle di interesse generale
demandate alla P.A. e non fa parte dell`organizzazione dello Stato.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1985, n. 5118, Di Palma c. Scognamiglio.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, il diniego della rinnovazione del contratto ai sensi
dell`art. 29, lett. b) della L. n. 392 del 1978 qualora il locatore, trattandosi di una P.A., intenda adibire l`immobile
all`esercizio di attività tendenti al conseguimento delle finalità istituzionali, postula che la dedotta necessità abbia
carattere di serietà e di attualità, non anche di definitività. (Nella specie, un comune aveva addotto la necessità
di sistemare nuovo personale assunto per effetto della L. n. 285 del 1977 sull`occupazione giovanile ed il giudice
del merito, la cui pronuncia è stata confermata dalla S.C. alla stregua del principio esposto, aveva accolto la
domanda).
* Cass. civ., sez. III, 3 marzo 1989, n. 1194, Messina c. Com. Frazzanò.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora il locatore, trattandosi di ente
pubblico anche non economico, intenda adibire l`immobile all`esercizio di attività tendenti al conseguimento
delle sue finalità istituzionali, non può nella comunicazione del diniego della rinnovazione del contratto ai sensi
dell`art. 29 lett. b) della legge 27 luglio 1978 n. 392, limitarsi ad un generico richiamo dei suoi fini istituzionali, in
special modo in caso di molteplicità e diversificazione di essi, ma deve specificare, ai sensi del quarto comma
dell`art. 29 citato, la concreta attività da svolgere nell`immobile, perché il conduttore ed il giudice devono essere
messi in condizione di verificare la serietà e l`attuabilità della intenzione indicata nonché di accertare in sede
contenziosa la ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del rinnovo, oltre che di
operare il successivo controllo sull`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, in caso di richiesta di
applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31.
* Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2000, n. 15752, Maimone c. Azienda Usl/5 Messina.
g) Farmacia
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, il diniego della rinnovazione del contratto alla prima
scadenza ai sensi dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978 può essere esercitato anche con riguardo ai locali adibiti
ad esercizio di farmacia, non sussistendo nella citata legge alcuna disposizione in contrario.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 1988, n. 6272, La Vista c. Curini.
La disposizione di cui all`art. 35 della L. n. 253 del 1950, secondo cui non può eseguirsi lo sfratto dai locali
adibiti ad esercizio di farmacia senza la previa autorizzazione prefettizia, attiene alla fase esecutiva del
provvedimento di rilascio e non enuncia un presupposto della decisione di cessazione del rapporto locativo da
emettere in sede di cognizione. (Nella specie giudizio di recesso ai sensi degli artt. 29 lett. b e 73 della L. 27
luglio 1978 n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 1994, n. 8784, Barbero c. Vernassa.
h) Forma della disdetta
La disdetta della locazione, comunitata a fini di diniego della rinnovazione tacita, alla prima scadenza, di un
rapporto relativo ad un immobile adibito ad uso non abitativo deve necessariamente pervenire al conduttore
nella forma della lettera raccomandata, ma non anche obbligatoriamente provenire dal locatore, che può
legittimamente incaricare, all`uopo, un diverso soggetto (in qualità di mandatario) in forma anche soltanto
verbale, poiché l`onere dell`avviso al conduttore per il tramite della raccomandata è sancito (attesa la natura
recettizia dell`atto) unicamente al fine di garantire a quest`ultimo una tempestiva conoscenza dell`intenzione
della controparte.
* Cass. civ., sez. III, 28 giugno 1997, n. 5802, Fag Ind Mobili c. Europa Auto.
Dalla norma dell`art. 1335 c.c. che collega la presunzione di conoscenza delle dichiarazioni recettizie al fatto che
esse giungano all`indirizzo del destinatario, deriva che tale dichiarazione deve ritenersi conosciuta dal
destinatario medesimo, a meno che non provi di non averne avuto notizia senza sua colpa, mentre il mittente
non è tenuto a provare tale conoscenza, essendo sufficiente che dimostri l`avvenuto recapito della dichiarazione
all`indirizzo del destinatario, non essendo necessario che egli provi invece la ricezione della dichiarazione da
parte del destinatario o di persona autorizzata a riceverla, ai sensi dell`art. 37 del regolamento di esecuzione del
codice postale (R.D. n. 698 del 1940). (Fattispecie concernente la disdetta dal contratto di locazione di immobile
non abitativo ai sensi dell`art. 29 legge 27 luglio 1978 n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1997, n. 12866, Rtc Soc. Roma c. Mendici Tabet.
In tema di diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile ad uso diverso
dall`abitazione, la comunicazione da effettuarsi ai sensi dell`art. 29 L. 27 luglio 1978, n. 392, quantunque
contenente l`indicazione di un motivo specifico, deve essere sottoscritta personalmente ed in forma autografa
dal locatore, conseguendo, diversamente, la nullità della stessa.
* Pret. civ. Salerno, 5 febbraio 1990, n. 62, Valente c. Norditalia Assicurazioni Spa.
Nell`ipotesi di diniego di rinnovazione alla prima scadenza per la locazione di immobili adibiti ad uso diverso
dall`abitazione, per la disdetta è richiesta solo una particolare modalità di trasmissione, mentre la mancanza
assoluta della sottoscrizione, da parte del locatore, non comporta l`inefficacia della stessa, qualora la
raccomandata, non sottoscritta da alcuno, sia poi integrata in giudizio da elementi probatori idoeni a dimostrare
che l`atto aveva, comunque, perseguito lo scopo di far conoscere al conduttore la volontà del locatore stesso.
L`atto di intimazione produce l`effetto di ratificare la disdetta intimata dal procuratore del locatore, difettante
precedentemente al giudizio di procura, ed il conduttore non deve ritenersi terzo rispetto a tale ratifica.
* Pret. civ. Salerno, 22 marzo 1991, n. 152, Gioia c. Laudati.
i) Impresa familiare
Costituisce valido motivo di diniego della rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non
abitativo l`intenzione di destinarlo, ai sensi dell`art. 29, lettera b) della L. n. 392 del 1978, all`esercizio dell`attività
commerciale praticata dalla figlia del locatore in regime di impresa familiare insieme al di lei marito, ancorché
titolare ne sia quest`ultimo, atteso che la disciplina dettata al riguardo dall`art. 230 bis cod. civ. - conferendo ai
familiari ed al coniuge collaboratori nell`impresa poteri direttivi e di gestione patrimoniale - consente, in presenza
di idonei elementi presuntivi, di considerarli contitolari dell`impresa stessa.
* Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 1988, n. 2122, Gargiulo c. De Lizza.
l) Onere della prova
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, grava sul locatore che agisce per fare valere
la facoltà di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza per uno dei motivi indicati dall`art. 29 della
legge sull`equo canone, l`onere di provare - ove sorga al loro riguardo contestazione - gli elementi richiesti dalla
legge, quali, in particolare, se il diniego sia fatto dipendere dai motivi indicati dalla lett. b del predetto articolo, il
rapporto di parentela che lo lega al soggetto in favore del quale chiede il rilascio e la serietà dell`intenzione di
destinare l`immobile ad una delle attività di cui all`art. 27.
* Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11734, Tragletti c. Dolei.
m) Porzione di immobile
In difetto di patto contrario, il locatore di immobile urbano per uso abitativo può esercitare la facoltà di diniego
della rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, nei casi previsti dall`art. 29 della L. 27 luglio 1978 n.
392, anche soltanto per una porzione dell`immobile, ove questa sia idonea a soddisfare l`indicata necessità e
l`immobile possa essere comodamente diviso, salva restando la facoltà del creditore di scegliere tra il
mantenimento del rapporto per la parte residua o il suo integrale scioglimento.
* Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 1994, n. 10686, Breschi c. Lippi.
n) Restauro
Ai fini della facoltà di recesso del locatore dal contratto di locazione nell`ipotesi di cui al combinato disposto degli
artt. 73 e 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la nozione di -completo restauro", da riferirsi all`immobile
locato e non all`intero edificio, va ricavata dall`art. 31 della L. 5 agosto 1978 n. 457, e consiste in un intervento
caratterizzato da un insieme sistematico di opere, tra loro coordinate ed effettuate in una visione di compiutezza
su una pluralità di parti dell`immobile, sì da conferire a questo, pur nel rispetto dei suoi elementi tipologici,
formali e strutturali, una nuova identità, o comunque un quid novi che presenti l`immobile come ontologicamente
e qualitativamente diverso da quello precedente, mentre gli interventi di manutenzione straordinaria, i quali non
danno luogo alla facoltà di recesso, pur consistendo, in genere, in opere di una certa consistenza dirette a
rinnovare e sostituire parti anche strutturali dell`immobile, sono privi del detto carattere di sistematicità e di
compiutezza, e si concretano in un`attività edilizia di conservazione che non comporta una modificazione
ontologica di risultato rispetto a ciò che preesisteva, né, in relazione all`estensione dell`intervento, una diversità
qualitativa dell`immobile.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1984, n. 4740, Pagani c. Cassinelli.
o) Ricostruzione
In tema di diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile urbano adibito ad
uso non abitativo, ai sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la ricostruzione dell`edificio previa
demolizione comporta la cessazione dell`oggetto del rapporto, generato dal contratto di locazione, che è
sostituito da un bene diverso, ancorché riproduca la struttura di quello demolito; l`integrale ristrutturazione
comporta, come risultato, la modificazione della struttura dell`edificio, che viene ad assumere un diverso modo
d`essere e, perciò, il sorgere di un quid novi; il completo restauro comporta il ripristino dell`edificio nel suo modo
di essere originario, attraverso il quasi integrale rifacimento delle parti distrutte o deteriorate e la eliminazione di
aggiunzioni sovrapposte.
* Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 1982, n. 5452, Grovili c. Cellino S. Marco.
p) Ristrutturazione
Ai sensi dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978 il possesso della prescritta licenza o concessione costituisce una
condizione dell`azione quando il rilascio dell`immobile locato sia richiesto per ricostruirlo, o ristrutturarlo, ovvero
restaurarlo (art. cit. lett. c), non anche quando venga chiesto per la finalità di cui alla precedente lett. a) ed
occorra ristrutturare l`immobile per adattarlo alle (nuove) esigenze abitative fatte valere, con la conseguenza che
in quest`ultima ipotesi il mancato conseguimento della licenza per i necessari lavori può comportare la
sopravvenuta impossibilità di destinare l`immobile all`uso per il quale è stato ottenuto il rilascio, e l`eventuale
applicazione delle sanzioni previste dall`art. 31 della citata legge n. 392 del 1978.
* Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 1987, n. 1739, Natale c. Muzzo.
In tema di recesso da contratto di locazione di immobile adibito ad uno diverso da quello di abitazione ai sensi
dell`art. 29 lett. b) della L. 27 luglio 1978 n. 392 e nel caso in cui il locatore (nella specie, una banca che
intendeva aprire nei locali una propria filiale), per utilizzare l`immobile, debba eseguire lavori di ristrutturazione e
trasformazione, non costituiscono condizioni necessarie all`azione di rilascio né il possesso della prescritta
concessione edilizia per l`esecuzione delle opere predette, né il rilascio dell`autorizzazione amministrativa per il
mutamento della destinazione d`uso, salvo che la disciplina urbanistica precluda in modo assoluto e
inderogabile l`adozione dei predetti provvedimenti, così da rendere impossibile l`attuazione della nuova
destinazione.
* Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1995, n. 3421, Sita spa c. Banca Popolare dell`Etruria e del Lazio.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto, ai sensi
dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978, nell`ipotesi di integrale ristrutturazione o di completo restauro ai sensi della
lett. c) dell`art. 29 cit. (da valutarsi in relazione non all`edificio nel suo complesso ma alla singola unità
immobiliare locata), l`impossibilità di permanenza del conduttore nel godimento del bene è oggetto di una
presunzione iuris tantum (data l`ampiezza dell`intervento operativo) che esonera il locatore-attore da ogni prova
al riguardo ma che è superabile, per via di eccezione, dal conduttore-convenuto.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
Ai fini del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobili ad uso abitativo,
qualora il locatore intenda, ai sensi dell`art. 29, comma 1, lett. c) della L. n. 392 del 1978, demolire l`immobile
per ricostruirlo ovvero procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro ovvero eseguire su di
esso un intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione, il possesso della prescritta
concessione amministrativa, costituendo condizione dell`azione di rilascio, deve sussistere al momento della
decisione. Pertanto, la sopravvenuta inefficacia della concessione, per mancato inizio dei lavori nel termine di un
anno, impedisce la pronuncia di rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 25 settembre 1996, n. 8460, Sica Snc c. Battaglini.
L`art. 29 lett. c) della legge n. 392 del 1978, nel consentire al locatore di immobile urbano adibito ad uso diverso
da quello di abitazione il diniego di rinnovazione alla prima scadenza (ovvero, in regime transitorio, il recesso dal
contratto ai sensi dell`art. 73 della legge stessa) nel caso in cui intenda procedere, tra l`altro, all`-integrale
ristrutturazione", si riferisce esclusivamente all`immobile locato e non all`intero edificio di cui quello fa parte,
risultando ciò sia dal dato testuale - che usa la dizione -immobile" e non quella di -edificio" - e dalla possibile
indipendenza funzionale del singolo immobile locato, sia dalla ratio della disposizione, potendo l`integrale
ristrutturazione del singolo immobile essere impedita dalla permanenza in esso del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1991, n. 296, Pitronacci c. Puleo.
Il combinato disposto dell`art. 73 e dell`art. 29 lett. d) della L. 27 luglio 1978 n. 392, <%-2>nell`ammettere il
recesso del locatore in caso di ristrutturazione di immobile destinato ad uso non abitativo, al fine di rendere la
superficie del locale conforme a quanto previsto dall`art. 12 della legge 11 giugno 1971 n. 426, sempre che le
opere da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell`immobile stesso, consente la
ristrutturazione non solo quando questo sia libero e nella disponibilità del proprietario, ma anche nel corso del
rapporto locatizio, restando affidato al giudice del merito il compito di valutare se i lavori autorizzati dalle
competenti autorità comunali - il cui provvedimento è condizione per l`esercizio dell`azione di rilascio - siano o
meno compatibili con la prosecuzione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1983, n. 3498, Di Donna c. Ciarrapico.
In tema di locazione concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, per il diniego della
rinnovazione alla prima scadenza del contratto quando il locatore intenda effettuare lavori di ristrutturazione, ai
sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, l`intervento edilizio deve riguardare l`immobile oggetto del
contratto, a nulla rilevando che i progettati lavori interessino altre parti dell`edificio in cui detto immobile è situato,
o che per la loro esecuzione il locatore abbia a subire un aggravio di spesa in conseguenza della permanenza
del conduttore nello stesso, venendo quest`ultima situazione in rilievo solamente nella diversa ipotesi, prevista
dalla lett. d) del medesimo art. 29, dell`esecuzione di interventi sulla base di un programma comunale
pluriennale di attuazione, ai sensi delle leggi vigenti.
* Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1984, n. 2929, Cuochi c. Molinaro.
L`integrale ristrutturazione dell`immobile locato - che legittima, ai sensi dell`art. 29 lett. c) della L. n. 392 del
1978, il recesso del locatore dal contratto concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione non è ristretta ai soli casi di rifacimento o rafforzamento degli elementi essenziali dell`immobile stesso, ma
comprende anche i casi di modificazione e trasformazione, che lo interessino nella sua totalità e si traducano
nella realizzazione, dal punto di vista qualitativo, di un`entità del tutto diversa da quella preesistente. Tale
intervento, inoltre, va riferito esclusivamente all`unità immobiliare locata e non all`intero edificio di cui questa
faccia parte.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
In tema di recesso del locatore dal contratto di locazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 73 e 29 lett.
c) della legge n. 392 del 1978, la nozione di integrale ristrutturazione va ricavata dall`art. 31 della L. 5 agosto
1978 n. 457 che, nella definizione degli interventi sull`immobile, ha carattere di norma generale, in
considerazione della sua inclusione tra le norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente, nonché del disposto dell`ultimo comma dello stesso articolo per il quale le definizioni in questione
prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Rientrano
conseguentemente nella nozione di integrale ristrutturazione (distinta dalla manutenzione straordinaria, avente
finalità solo conservative) gli interventi che comportano, come risultato, modificazione della struttura
dell`immobile, che viene a costituire una entità ontologicamente o qualitativamente diversa da quella
precedente.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1987, n. 5058, Ceracchi c. Prabboni.
q) Serietà dell`intento del locatore
Gli artt. 28 e 29 della L. 27 luglio 1978 n. 392, che consentono al locatore di escludere alla prima scadenza la
rinnovazione del contratto di locazione di immobile destinato per uso non abitativo, non richiedono la necessità
ma solo la seria intenzione del locatore di servirsi dell`immobile per uno degli scopi indicati dall`art. 29 cit. per
cui, ove il motivo sia quello di destinare l`immobile per il trasferimento di un`attività commerciale (propria o di un
familiare) già esercitata in altro locale, il diniego non presuppone la inidoneità di questi locali né può essere
impedito dalla circostanza che il trasferimento comporterebbe un aggravio di spese o lo sviamento della
clientela.
* Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1993, n. 5413, Priolo c. Di Mauro.
Il diniego di rinnovo alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile urbano non abitativo per
l`intenzione del locatore di destinare l`immobile all`esercizio della propria attività commerciale, non può trovare
ostacolo nella mancanza di elementi di carattere amministrativo - quali l`autorizzazione all`esercizio della nuova
attività o l`iscrizione alla camera di commercio - che oltre a presupporre, nella generalità dei casi, la raggiunta
disponibilità dei locali, non possono incidere nell`ambito della disciplina del rapporto privatistico della locazione,
stante la loro attinenza alla normativa pubblicistica.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1999, n. 463, Pianeta Paradies Srl fall. c. Serenissima Sas di Bertocco Patrizia.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione, alla prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, l`intenzione di destinare
l`immobile alla propria attività professionale deve esprimere un intento serio, cioè realizzabile tecnicamente e
giuridicamente.
* Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2000, n. 358, Immob. Sirios Spa c. Eltrongros Spa.
Gli artt. 28 e 29 della L. 27 luglio 1978 n. 392, che consentono al locatore di escludere alla prima scadenza la
rinnovazione del contratto di locazione di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, non richiedono la
necessità ma solo l`intenzione del locatore di servirsi dell`immobile per uno dei motivi indicati dallo stesso art.
29, ciò che, però, non esclude che, in caso di controversia, il giudice debba verificare la serietà e realizzabilità
dell`intento del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1991, n. 10758, Lumachi c. Martinelli.
La comunicazione del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile
adibito ad uso diverso da quello abitativo non può limitarsi ad una generica dichiarazione dell`intento di svolgere,
da parte del locatore, nell`immobile stesso, una attività non meglio specificata (pur se ricompresa tra quelle
previste dall`art. 29 della legge sull`equo canone), ma deve contenere, a pena di nullità, inequivoche indicazioni
in relazione alla medesima, sia perché, in mancanza, il conduttore non sarebbe in grado di valutare la serietà
dell`intenzione indicata (né il giudice potrebbe verificare, in sede contenziosa, la sussistenza delle condizioni per
il riconoscimento del diritto al rinnovo), sia perché verrebbe così impedito il successivo controllo sulla effettiva
destinazione dell`immobile all`uso indicato, ai fini dell`applicazione delle sanzioni di cui all`art. 31 della legge
citata (invocabili anche quando l`immobile sia stato adibito ad un uso riconducibile, sì, ad una delle ipotesi
previste dall`art. 29, ma diverso da quello indicato).
* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1997, n. 5637, Soc. Nadia c. Pagliaro.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello
di abitazione, alla prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978, l`intenzione di destinare
l`immobile alla propria attività professionale non concreta una cessazione del rapporto ad libitum del locatore,
ma deve esprimere un intento serio, cioè realizzabile tecnicamente e giuridicamente. (Nella specie, la S.C.,
enunciando il principio di cui alla massima, ha confermato la sentenza del giudice di merito, il quale aveva
ritenuta la sussistenza della serietà dell`intento della locatrice di destinare l`immobile a studio professionale di
suo figlio architetto, per essere rimasto provato che quest`ultimo svolgeva effettivamente tale professione e che
l`immobile in oggetto era idoneo ad essere adibito a tale uso).
* Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1994, n. 9550, Giurato c. Cravario.
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, il locatore che agisce per far valere la facoltà
di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza per il motivo indicato dall`art. 29 lett. b) L. 27 luglio 1978
n. 392, ha l`onere di provare la serietà della dedotta intenzione di adibire l`immobile all`esercizio, in proprio o da
parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta di una delle attività indicate dall`art. 27, e,
quindi, la realizzabilità tecnica e giuridica, non anche l`effettiva e concreta realizzazione, di quell`intento.
* Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1994, n. 10423, Marisemma srl c. De Floris.
La realizzabilità giuridica dell`intenzione, posta dal locatore a fondamento del diniego di rinnovo, di adibire
l`immobile all`esercizio di attività di ristorante non trova ostacolo nel dissenso di alcuni comproprietari
dell`immobile stesso, atteso che, integrando la gestione di detta attività un atto di ordinaria amministrazione, non
è necessario il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, ma è sufficiente quello della maggioranza di essi.
* Cass. civ., sez. III, 25 novembre 1995, n. 12241, Soc. Fieramosca al Fosso c. Ranieri, in Arch. loc. e cond.
1996, 361.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione alla prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 L. 27 luglio 1978 n. 392, l`intenzione di destinare l`immobile
alla propria attività professionale non concreta cessazione del rapporto ad libitum del locatore, ma deve
esprimere un intento serio, realizzabile tecnicamente e giuridicamente. Il locatore ha l`onere di provare la serietà
dell`intento, da valutarsi con giudizio ex ante in caso di contestazione, e quindi la realizzazione tecnica e
giuridica dell`intento, e non anche, nel trascorrere del tempo, l`effettiva e concreta realizzazione dell`intento
stesso.
* Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2000, n. 15075, Pizzo c. Galdieri.
r) Società di persone
La facoltà di diniego del rinnovo del contratto relativo ad un immobile locato per uso non abitativo alla prima
scadenza può legittimamente esser fatta valere da una società di persone attraverso la rappresentazione della
necessità di destinare l`immobile all`esercizio di una attività (non della società stessa ma) di uno dei soci, a
condizione che tale attività risulti tra quelle elencate nell`oggetto sociale, poiché, non essendo le vicende
imprenditoriali della società (priva di personalità giuridica, ancorché dotata di autonomia patrimoniale) imputabili
ad un soggetto distinti dai singoli soci, la destinazione dell`immobile alla indicata attività integra gli estremi di una
situazione di necessità del socio considerato non individualmente, ma quale membro della compagine
societaria, con conseguente coincidenza di interessi di entrambi ad ottenere la disponibilità della res locata.
* Cass. civ., sez. III, 28 giugno 1997, n. 5802, Fag Ind Mobili c. Europa Auto.
s) Specificazione dei motivi
In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso da abitazione, la disdetta del contratto di locazione,
quale atto di natura negoziale, ha la funzione di impedire, se non opposta, la rinnovazione del contratto; con la
conseguenza che, ancorché detto atto sia inefficace per mancanza di valido motivo di diniego, il rilascio non può
essere ricondotto alla volontà del conduttore in ordine alla cessazione del rapporto od al mutuo consenso delle
parti, non venendo meno il diritto del medesimo all`indennità per la perdita dell`avviamento commerciale. Per
poter contestare validamente la spettanza dell`indennità al conduttore occorre infatti che la cessazione del
rapporto sia dovuta all`iniziativa del medesimo ovvero alla sua partecipazione ad una convenzione risolutoria
(scioglimento per mutuo consenso ex art. 1372, primo comma, c.c.); mentre è assolutamente irrilevante la
circostanza che il conduttore abbia rilasciato l`immobile senza contestazioni in sede giudiziale o stragiudiziale,
prestando adesione, espressa o tacita, alla richiesta del locatore, poiché, in tal caso, la genesi della cessazione
del rapporto si identifica pur sempre nella condotta del locatore, che abbia manifestato la volontà di porre
termine alla locazione. L`accertamento, sia pure di carattere presuntivo, della sussistenza di un rapporto di
causa ed effetto tra diniego di rinnovo della locazione da parte del locatore e rilascio da parte del conduttore
costituisce pertanto una mera quaestio facti, come tale insuscettibile di sindacato in sede di legittimità se
congruamente motivata.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2001, n. 14728, Cavaliere ed altro c. Cioffi.
La specificazione del motivo per cui il locatore nega al conduttore, alla prima scadenza, il rinnovo del contratto di
locazione di immobile adibito ad uso diverso dall`abitazione, condiziona l`efficacia della disdetta e la procedibilità
della domanda di rilascio, che, dovendo esser fondata sul medesimo motivo, non può essere integrato o
modificato in corso di giudizio stante la necessaria tempestività della disdetta - 12 o 18 mesi prima della
scadenza - mentre nel processo è verificabile soltanto la realizzabilità giuridica e tecnica dell`intento manifestato
dal locatore, in caso di contestazione del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 9 settembre 1998, n. 8934, Maffi c. Soc. Fag Infissi.
L`art. 30 della L. n. 392/1978 prevede quale condizione di procedibilità della domanda di rilascio la dichiarazione
della volontà di escludere la rinnovazione del contratto di locazione non abitativa con riguardo alla prima
scadenza contrattuale nella forma di comunicazione a mezzo di raccomandata con la specificazione d`uno dei
motivi previsti dall`art. 29 della citata legge del 1978, n. 392, senza che tale forma possa essere sostituita da
quella contenuta nell`atto introduttivo del giudizio di rilascio, sottoscritto da procuratore cui sia stata conferita
procura nello stato stesso atto, ancorché con riguardo ad una successiva riproposizione della domanda di
rilascio.
* Cass., sez. III, 1 marzo 1990, n. 1574, De Simone c. Sgarilla.
L`art. 29, comma quarto, della L. n. 392/1978 - a norma del quale nella comunicazione del diniego di
rinnovazione deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati nei precedenti
commi dello stesso art. 29, su cui la disdetta è fondata - va interpretato nel senso che esso imponga una
specificazione analitica del motivo di diniego con riguardo alle concrete ragioni che giustificano la disdetta, in
modo da consentire, in caso di controversia, la verifica della serietà e realizzabilità dell`intento del locatore e,
dopo il rilascio, il controllo circa l`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, nel caso in cui il conduttore
pretenda l`applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31 della legge.
* Cass., sez. III, 21 aprile 1990, n. 3352, Biagi c. Soc. Vigna Card.
Per la validità del diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo, è
sufficiente che il locatore, nella disdetta, faccia riferimento ad uno dei motivi tassativamente previsti dall`art. 29
della legge n. 392 del 1978, non essendo invece necessario che venga specificamente indicata la particolare
attività che si intende svolgere nell`immobile, in quanto il quarto comma dell`art. 29 citato non introduce un
onere di specificazione descrittiva nell`ambito del motivo indicato. Ne consegue che le sanzioni previste dall`art.
31 della legge n. 392 del 1978 sono applicabili solo ove, nel termine di sei mesi dall`avvenuta consegna, il
locatore non abbia adibito l`immobile ad esercizio in proprio di una delle attività indicate dall`art. 27 della legge
n. 392 del 1978, non anche quando egli abbia variato, nell`ambito del motivo indicato, le modalità attuative di
esercizio dell`impresa. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto
non sanzionabile il comportamento del locatore che, dopo avere denegato il rinnovo alla prima scadenza
deducendo di voler adibire i locali a deposito e vendita all`ingrosso di articoli di abbigliamento, aveva poi adibito
gli stessi a vendita al minuto, trattandosi, in entrambi i casi, di attività commerciale in proprio, come tale
rientrante nelle attività indicate dall`art. 27 citato).
* Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1997, n. 1191, Boutique Laurens Soc. c. Mode Club S.O.C.
La nullità comminata dal quarto comma dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392 alla disdetta di un contratto
di locazione di immobile per l`esercizio delle attività previste dal precedente articolo 27, se priva della
specificazione dei motivi - previsti dai commi primo e secondo del medesimo articolo 29 per tutelare non solo il
conduttore, ma anche l`interesse generale dell`economia alla stabilità delle locazioni non abitative - è assoluta e
perciò rilevabile sia d`ufficio sia dallo stesso locatore, purché dimostri che dall`incertezza sulla validità di tale
disdetta gli deriva un danno giuridicamente rilevante.
* Cass. civ., sez. III, 29 settembre 1997, n. 9545, Mondial Lus Spa. c. Berrini.
L`onere della specificazione del motivo della disdetta, imposto dall`art. 29 comma quarto della L. 27 luglio 1978
n. 392, è assolto dal locatore anche nel caso che abbia indicato congiuntamente alcune delle ipotesi previste dal
citato articolo ove al conduttore siano note le attività del locatore e gli sia, quindi, possibile verificare, prima del
rilascio, che l`intenzione indicata appare seria e realizzabile e controllare, dopo il rilascio, la effettiva
destinazione dell`immobile per uno degli usi indicati.
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1991, n. 11681, Bottaro c. Spa Centro dei Liguri.
Per la validità del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso
non abitativo (art. 29 legge equo canone) non è sufficiente una indicazione generica da parte del locatore
dell`attività che egli o un suo familiare intende esercitare nell`immobile, ma è necessaria una indicazione
specifica, onde consentire al conduttore e, successivamente in sede giudiziaria al giudice, di verificare la serietà
e la realizzabilità dell`intento manifestato.
* Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 1996, n. 10709, Market Carinelli c. Casali.
La comunicazione del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile
adibito ad uso diverso da quello abitativo non può limitarsi ad una generica dichiarazione dell`intento di svolgere,
da parte del locatore, nell`immobile stesso, una attività non meglio specificata (pur se ricompresa tra quelle
previste dall`art. 29 della legge sull`equo canone), ma deve contenere, a pena di nullità, inequivoche indicazioni
in relazione alla medesima, sia perché, in mancanza, il conduttore non sarebbe in grado di valutare la serietà
dell`intenzione indicata (né il giudice potrebbe verificare, in sede contenziosa, la sussistenza delle condizioni per
il riconoscimento del diritto al rinnovo), sia perché verrebbe così impedito il successivo controllo sulla effettiva
destinazione dell`immobile all`uso indicato, ai fini dell`applicazione delle sanzioni di cui all`art. 31 della legge
citata (invocabili anche quando l`immobile sia stato adibito ad un uso riconducibile, sì, ad una delle ipotesi
previste dall`art. 29, ma diverso da quello indicato).
* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1997, n. 5637, Soc. Nadia c. Pagliaro, in Arch. loc. e cond. 1997, 811.
Il locatore di un immobile destinato ad uso non abitatvo che intenda esercitare la facoltà di diniego di
rinnovazione del contratto alla prima scadenza, ai sensi degli artt. 28 e 29 L. 27 luglio 1978, n. 392, ha l`onere di
specificare dettagliatamente, ai sensi del citato art. 29 commi 4 e 5, nella comunicazione da inviare al
conduttore, il motivo tra quelli tassativamente indicati nei commi precedenti sul quale la disdetta è fondata, al
fine di consentire la verifica preventiva della serietà dell`intento dichiarato ed il controllo successivo circa
l`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, non essendo sufficiente l`indicazione cumulativa di una
pluralità di destinazioni dell`immobile, stante l`inammissibilità di un cambiamento successivo (nella specie, la
S.C. nell`affermare il principio surriportato ha annullato la decisione di merito che aveva ritenuto la validità della
disdetta intimata dal locatore, il quale si era limitato, nella lettera di comunicazione al conduttore, ad un generico
riferimento alle ipotesi di cui alla lett. b) dell`art. 29 cit., dichiarando di dover adibire l`immobile all`esercizio in
proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta ad una delle attività indicate
dall`art. 27).
* Cass. civ., sez. III, 29 novembre 1994, n. 10208, Adaframe srl c. Triozzi.
Il locatore di immobili destinato ad uso non abitativo che intenda esercitare la facoltà di diniego di rinnovazione
del contratto alla prima scadenza, ai sensi degli artt. 28 e 29 L. 27 luglio 1978 n. 392, ha l`onere di specificare
analiticamente, ai sensi del citato art. 29 commi quarto e quinto, nella comunicazione da inviare al conduttore, il
motivo fra quelli tassativamente indicati (nei commi precedenti) sul quale la disdetta è fondata, al fine di
consentire la verifica preventiva dlela serietà e della pratica realizzabilità dell`intento dichiarato ed il controllo
successivo circa l`effettiva destinazione dell`immobile agli usi indicati, senza che di conseguenza sia sufficiente
l`indicazione cumulativa di una pluralità di destinazioni dell`immobile, restando inammissibile un cambiamento
successivo ovvero una specificazione del motivo della disdetta nel corso del giudizio. (Nella specie la S.C.
nell`enunciare il principio surriportato ha confermato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto nulla per
genericità la disdetta intimata dal locatore, il quale si era limitato a dichiarare che intendeva adibire l`immobile
locato ad uso personale, ai sensi dell`art. 29 lett. a e b della legge sull`equo canone).
* Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1993, n. 3894, Persichetti c. S.C.S.
L`esigenza di specificazione del motivo di diniego della rinnovazione, alla prima scadenza, del contratto di
locazione di immobile adibito per uso non abitativo, posta dall`art. 29 comma quarto della L. 27 luglio 1978 n.
392 a pena di nullità dell`atto, comporta la necessità di una precisa indicazione della situazione dedotta e non
può, quindi, considerarsi soddisfatta dal generico richiamo, nella disdetta, alle ipotesi indicate dall`art. 29 comma
primo lett. a) perché la pluralità di questa ipotesi, diverse l`una dall`altra sotto il profilo delle persone alle quali si
riferisce l`esigenza abitativa, non consente al conduttore di individuare quella, tra le varie previste, in concreto
addotta per giustificare il recesso.
* Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1991, n. 5376, Marcucci c. Domenella.
L`onere di specificazione del motivo della disdetta, imposto dall`art. 29 della legge sull`equo canone a carico del
locatore di immobile adibito per uso non abitativo che intenda avvalersi della facoltà di non rinnovare la
locazione alla prima scadenza, deve ritenersi assolto in tutti i casi in cui il motivo sia stato chiaramente indicato
in modo da consentire al conduttore di valutare la serietà della manifestata intenzione del locatore. (Nella specie
il locatore, imprenditore edile, aveva chiarito di volere utilizzare i locali per il deposito di materiale dei proprie
cantieri).
* Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 1991, n. 10847, Regione Campania c. Sibilia.
La disdetta alla prima scadenza del contratto di locazione per uso non abitativo, nulla per la mancata
specificazione del motivo, tra quelli tassativamente indicati dall`art. 29 della legge sull`equo canone, può essere
validamente rinnovata, anche prima dell`accertamento giudiziale del vizio della prima disdetta, con un nuovo
atto contenente l`indicazione dei motivi in precedenza omessi o non sufficientemente indicati, ed essere posta a
fondamento di un`autonoma domanda giudiziale.
* Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 1992, n. 1834, Snc Blue-in Di Doufour Maria Pia c. Massa.
Nelle ipotesi di cui alla lett. a) ed alla lett. b) dell`art. 29 L. n. 392/78, per le quali è previsto come motivo di
diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza la destinazione dell`immobile all`uso abitativo o di
lavoro autonomo di soggetti parenti entro il secondo grado in linea retta del locatore, la specificità dei motivi
deve riguardare non solo la indicazione della destinazione d`uso (con la menzione, per l`uso non abitativo, del
tipo di attività commerciale, professionale ovvero artigianale, che si intende esercitare nell`immobile), ma anche
quella del soggetto beneficiario dell`uso medesimo, essenzialmente quando più siano le persone nella
condizione di ottenere l`immobile per la particolare destinazione d`uso comunicata ed il locatore intenda
favorirne una soltanto ovvero alcune congiuntamente.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2001, n. 792, Soc. Hotel Margutta c. Pasta.
In materia di diniego di rinnovazione del contratto di locazione alla prima scadenza, la mancata specificazione
del motivo nonché la mancanza degli estremi della serietà e della realizzabilità della generica intenzione
manifestata dai locatori nella comunicazione della disdetta, non ne determinano la nullità di cui all`art. 29, quarto
comma, L. n. 392/1978, qualora la serietà e la responsabilità dell`intento di adibire l`immobile ad attività
commerciale possono essere desunte dall`iscrizione del predetto locatore nel registro degli esercenti il
commercio e la richiesta del medesimo di licenza commerciale di vendita al minuto, entrambe sostanzialmente
contestuali alla comunicazione di diniego di rinnovo del contratto.
* Trib. civ. Venezia, sez. II, 21 gennaio 1989, n. 110, Atelier di Formentello & C. c. Palma.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza, la sanzione della nullità non colpisce
soltanto la disdetta completamente carente in ordine all`enunciazione delle ragioni poste a fondamento del
diniego di rinnovo, ma anche la comunicazione limitata ad una generica indicazione dei motivi. (Nella specie la
sentenza ha ritenuto che l`onere di specificazione posto dalla legge a carico del locatore non potesse ritenersi
soddisfatto poiché nella disdetta il motivo di diniego risultava indicato nell`intenzione della Cassa di Risparmio di
adibire l`immobile "ad esercizio della propria attività").
* Trib. civ. Lucca, 12 novembre 1988, n. 1024. * Azienda autonoma della Versilia c. Cassa di Risparmio di
Lucca.
In tema di diniego alla prima scadenza, il generico richiamo alla volontà del locatore di voler adibire il locale a
"proprie attività aziendali", senza indicazione della concreta attività da svolgere nell`immobile, non è sufficiente a
porre in grado il conduttore e il giudice di verificare la serietà e l`attuabilità dell`intenzione indicata nonché, in
sede contenziosa, di verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del
rinnovo, né di rendere possibile il successivo controllo sull`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, in
caso di richiesta di applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31 della legge n. 392/78.
* Trib. civ. Napoli, 26 luglio 2001, Napoletanagas c. Soc. Mondo Moda.
La nullità sancita dall`art. 29, penultimo comma, della L. n. 392/1978 per il caso di comunicazione di diniego di
rinnovazione che non indichi il motivo sul quale il medesimo si fonda, può essere fatta valere solo dal
conduttore.
* Pret. civ. Bergamo, 5 ottobre 1985, n. 204, Boldoni c. LO.MA. Srl.
t) Strumenti urbanistici
In tema di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, il recesso del locatore per
necessità di destinare l`immobile medesimo all`esercizio diretto della propria attività commerciale (artt. 73 e 29
della legge n. 392 del 1978) deve riflettere uno scopo giuridicamente possibile, postulando la realizzazione secondo diritto - della programmata destinazione. Detto recesso va conseguentemente negato quando gli
strumenti urbanistici impediscano inderogabilmente quella destinazione, realizzando siffatta situazione la
carenza di una condizione di fondatezza della domanda, senza che rilevi la previsione dell`art. 31 della
richiamata legge - il quale consente al conduttore di agire per il ripristino del contratto ove all`immobile non sia
data la dedotta destinazione - riguardando essa situazioni successive alla cessazione della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 1 agosto 1986, n. 4920, Bellentani c. Cavedoni.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione per necessità del locatore nell`ipotesi di cui all`art. 29, lett. b)
della L. 27 luglio 1978, n. 392, il mancato previo conseguimento delle autorizzazioni o concessioni prescritte per
l`esecuzione delle opere edilizie occorrenti a realizzare la progettata destinazione non preclude il riconoscimento
della necessità del locatore, quando tali provvedimenti siano in astratto consentiti, sia pure in via di eccezione od
in deroga alle previsioni urbanistiche generali, atteso che solo il divieto assoluto ed inderogabile di realizzare le
opere o il mutamento della destinazione impressa all`immobile, non rimovibile in presenza di particolari
condizioni o situazioni di fatto, comporta l`inidoneità del bene al soddisfacimento della necessità dedotta dal
locatore. Non vale ad integrare un caso di impossibilità giuridica assoluta il vincolo ostativo alla progettata
destinazione che sia impresso da una variante al piano regolatore adottata, ma non ancora approvata, malgrado
la previsione di misure di salvaguardia, considerato che in tal caso l`impossibilità di realizzazione delle opere o
del mutamento di destinazione è transitoria e suscettibile di venir meno per effetto della mancata approvazione
della variante.
* Cass. civ., sez. III, 5 aprile 1995, n. 4003, Giaruglieri c. Banca Popolare dell`Etruria e del Lazio.
In tema di recesso dalle locazioni non abitative ai sensi dell`art. 73 della legge n. 392 del 1978, il possesso della
prescritta licenza o concessione amministrativa che, a norma dell`art. 29, primo comma, lett. c) della citata
legge, legittima il recesso nel caso in cui il locatore intenda -demolire l`immobile per ricostruirlo, ovvero
procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro, ovvero eseguire su di esso un intervento sulla
base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti", costituendo condizione
per l`azione di rilascio, deve sussistere al momento della decisione e presuppone un provvedimento
autorizzativo efficace, con la conseguenza che il venir meno degli effetti della concessione prima della decisione
impedisce la pronuncia di rilascio e non solo gli effetti di questa.
* Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1987, n. 5158, Natoli c. Damico.
In tema di recesso da contratto di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione ai
sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, poiché ai fini del diniego del rinnovo del contratto alla
prima scadenza il possesso della concessione edilizia è condizione per l`azione di rilascio, la produzione di detto
provvedimento può avvenire, oltre che in primo grado, anche nel giudizio di appello, al di fuori dei limiti previsti
dall`art. 437 c.p.c., sempre che il giudice ritenga la produzione indispensabile ai fini della decisione della causa.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
In tema di rilascio dell`immobile locato per l`esecuzione di ristrutturazione o restauri, secondo la previsione
dell`art. 29 primo comma lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la condizione costituita dal possesso di
concessione edilizia resta soddisfatta, per il caso di interventi di manutenzione straordinaria, dal possesso di
autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori, idonea a sostituire la concessione medesima ai sensi dell`art. 48
della L. 5 agosto 1978 n. 457.
* Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1984, n. 4492, Gravina c. Santoro.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, ai fini della proponibilità
della domanda di recesso ex artt. 29 lett. c) e 73 della legge n. 392 del 1978, è necessario solo il possesso , da
parte del locatore, della concessione legittimamente rilasciata, la quale rende giuridicamente possibile il
compimento dei lavori di ricostruzione, di integrale ristrutturazione o di completo restauro per l`esecuzione dei
quali il locatore stesso ha agito in recesso; mentre resta irrilevante se a quello sia stato richiesto, da parte del
comune, anche il pagamento di eventuali contributi ed in quale misura, riguardando siffatta circostanza
esclusivamente il rapporto tra il richiedente e la P.A. e non quello privatistico tra locatore e conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1985, n. 2066, Valenziano c. Messina.
In tema di recesso del locatore dal contratto di locazione concernente immobile adibito ad uso non abitativo, ai
sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, mentre nel caso contemplato dalla lett. c) del richiamato
articolo, l`esecuzione di opere edilizie (ristrutturazione o completo restauro) sull`immobile locato, costituisce lo
scopo unico ed immediato dell`azione del locatore volta a conseguire la declaratoria di legittimità del recesso,
nell`ipotesi riconducibile alla previsione della lett. b) scopo diretto e primario dell`azione è il soddisfacimento
dell`interesse del locatore di destinare l`immobile all`esercizio di una delle attività indicate nell`art. 27, avendo
carattere accessorio e strumentale rispetto allo scopo indicato l`eventuale esecuzione di opere edilizie che
possa rendersi necessaria per assicurare la destinazione stessa. In quest`ultimo caso, il possesso della licenza
o concessione edilizia non costituisce condizione necessaria dell`azione di rilascio, sempreché il locatore
dimostri la serietà dell`intento di adibire l`immobile all`attività indicata e, quindi, anche la realizzabilità tecnica e
giuridica di quell`intento.
* Cass. civ., sez. III, 21 maggio 1997, n. 4518, Brunazzo c. Mary Hermann.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione ad uso diverso dall`abitazione, ex art. 29 della legge
27 luglio 1978, n. 392, qualora a motivo del diniego sia stata addotta l`intenzione di ristrutturare l`immobile, la
circostanza che il provvedimento di concessione edilizia sia intestato ad uno solo dei locatori è irrilevante ai fini
della realizzabilità dei lavori di ristrutturazione e pertanto non incide negativamente sulla valutazione circa la
serietà dell`intenzione del locatore di eseguirli.
* Cass. civ., sez. III, 27 dicembre 1995, n. 13115, Barontini c. Delle Monache, in Arch. loc. e cond. 1996, 353.
Il controllo sulla legittimità degli atti amministrativi e dei regolamenti, devoluto al giudice ordinario, sia pure al
solo fine della loro disapplicazione, è consentito per accertare non solo se la P.A. da cui l`atto promana avesse
in astratto il potere di emetterlo, ma anche se ricorressero i presupposti di legge per la sua emissione, nonché
per accertare l`osservanza della legge durante lo svolgimento del procedimento amministrativo, estendendosi
così sia alla forma, sia al contenuto degli atti. Al predetto potere di controllo va ravvisato un solo limite, quello
della impossibilità per l`A.G.O. di sindacare le valutazioni della P.A., che involgano apprezzamenti discrezionali.
Conseguentemente, in tema di recesso del locatore dal contratto di locazione di immobili adibito ad uso diverso
da quello abitativo, a norma degli artt. 73 e 29 lett. c) della legge n. 392 del 1978 (nella specie, per procedere
alla sua ristrutturazione), il giudice ordinario ha il dovere di accertare incidenter tantum se sussista la eccepita
illegittimità della prescritta concessione (o licenza), al fine della sua eventuale disapplicazione nel caso concreto.
* Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 1986, n. 6391, Mazzaglia c. D`Odorico.
u) Tempestività della disdetta
In tema di locazioni di immobili non abitativi, la disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza,
anche se intempestiva e non motivata, a norma dell`art. 29, L. 27 luglio 1978, n. 392, e cioè inidonea, di per sé
sola, a produrre gli effetti suoi propri (il mancato rinnovo della locazione), determina, tuttavia, in caso di adesione
del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata, non incorrendo nel
divieto di cui all`art. 79 legge citata la rinuncia del conduttore al diritto di novazione del contratto alla prima
scadenza, se compiuta dopo la stipulazione del contratto. Pertanto, dopo l`adesione del conduttore alla richiesta
di anticipato rilascio, il locatore non può invocare vizi dell`atto di disdetta.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2000, n. 15039, Silvestrini R. ed altri c. Soc. C.E.B.A.T.
In tema di locazioni di immobili non abitativi, la disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza,
anche se intempestiva e non motivata, a norma dell`art. 29 della L. 27 luglio 1978, n. 392, e, perciò, inidonea, di
per sè sola, a produrre gli effetti suoi propri (il mancato rinnovo della locazione), determina, tuttavia, in caso di
adesione del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata, non incorrendo
nel divieto di cui all`art. 79 della legge citata la rinuncia del conduttore al diritto di rinnovazione del contratto alla
prima scadenza, se compiuta dopo, la stipulazione del contratto. Pertanto, dopo l`adesione del conduttore alla
richiesta di anticipato rilascio, il locatore non può invocare i vizi dell`atto di disdetta per inferirne l`adempimento
del conduttore nel pagamento dei canoni per il tempo successivo all`intervenuta cessazione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 13 settembre 1996, n. 8262, Bizzarro c. Furs Center.
Con riferimento ad un contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale la previsione ab origine di
una durata dello stesso pari a dodici anni determina implicita rinuncia preventiva del locatore al diritto di recesso,
ex art. 29 L. n. 392/1978, decorso il primo sessennio, salva poi, allo spirare del termine pattuito, la facoltà di
diniego di rinnovo tacito del contratto, mediante tempestiva, ancorché immotivata, disdetta.
* Pret. civ. Verona, 25 settembre 1998, Soc. Ovolat c. Soc. So.So.
Per accertare se la dichiarazione di diniego di rinnovo del contratto di locazione ex art. 29 della L. n. 392/1978,
sia stata effettuata tempestivamente occorre rifarsi alla data di spedizione della raccomandata relativa e non già
a quella di arrivo della stessa al destinatario.
* Pret. civ. Pescara, 20 gennaio 1987, De Nobile c. Spa Standa.
v) Terzo acquirente
Sul piano formale la durata legale delle locazioni di immobili urbani ad uso commerciale è di sei (e non dodici)
anni, essendo l`ulteriore sessennio condizionato dal fatto, pur sempre ipotetico, della mancata disdetta per uno
dei motivi di cui all`art. 29 legge 27 luglio 1978 n. 392. Tali locazioni, pertanto, sono opponibili al terzo
acquirente dell`immobile locato, a norma dell`art. 2923 c.c., anche se non trascritte. Tuttavia il limite di durata di
un novennio dall`inizio del contratto, posto dall`art. 2923 c.c. per l`opponibilità all`acquirente, deve intendersi
esteso a dodici anni, per effetto delle nuove disposizioni della legge n. 392/78.
* Corte app. civ. Napoli, 14 luglio 1997, Soc. Big Shop c. Soc. Secoim.
z) Utilizzazione parziale
In tema di locazione di immobile adibito ad uso diverso da abitazione e di conseguito rilascio dello stesso, ex art.
29 legge 27 luglio 1978, n. 392, alla prima scadenza, l`effettiva utilizzazione del bene da parte del locatore del
bene, atta ad evitare l`applicazione delle sanzioni previste dall`art. 31 della legge citata, è da ritenersi rispettata sempre che realizzi la finalità dedotta a suo tempo dal locatore - anche nel caso in cui essa si riveli solo parziale.
* Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1997, n. 7974, Culin c. Resch.
ESIGENZE ABITATIVE DI NATURA TRANSITORIA
SOMMARIO: a) Accertamento; b) Clausole contrattuali; c) Competenza; d) Dipendenti o collaboratori di una
ditta; e) Durata; f) Legge sull’equo canone; g) Motivi di studio; h) Mutamento delle esigenze; i) Nozione; l)
Stabilità dell’abitazione.
a) Accertamento
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che esclude la locazione dell’immobile urbano per
uso abitativo dall’ambito di applicabilità della L. 27 luglio 1978, n. 392, deve essere accertata con riguardo alla
natura dell’esigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del
contratto e non solo dalle dichiarazioni di una o di entrambe le parti, né dalle circostanze che il contratto sia
stato stipulato per una durata inferiore al quinquennio o ad un canone superiore a quello ritenuto "equo" dalla
legge.
* Cass. civ., sez. III, 13 giugno 1994, n. 5722, Sansoni c. Moro.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore - che comporta l’esclusione della locazione
dall’ambito di applicabilità della L. 27 luglio 1978, n. 392 ai sensi dell’art. 26 lett. A della stessa legge - va
accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che l’immobile locato è destinato a soddisfare al
momento della conclusione del contratto; nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nell’ipotesi
in cui l’abitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto
precaria o sussidiaria nell’immobile locato, mentre va esclusa nel caso in cui l’immobile rappresenti la normale e
continuativa dimora del conduttore. L’indagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso
concreto va compiuta avendo riguardo all’effettiva destinazione dell’immobile e con riferimento alla natura della
esigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dalla sua attività lavorativa nel luogo in cui è situato
l’immobile, dalla disponibilità o non di un alloggio nel luogo di residenza anagrafica), e non alle espressioni
letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore allorquando la dichiarata transitorietà smentita dalla situazione di fatto - abbia costituito il mezzo, vietato dall’art. 79 L. 27 luglio 1978, n. 392, per
eludere l’applicazione della normativa sull’equo canone.
* Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1992, n. 6777, Riomaggiore snc c. De Curatis.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che comporta l’esclusione della locazione dalla
sfera di applicazione delle norme della L. 27 luglio 1978, n. 392, deve essere desunta non dal termine di durata
della locazione stabilito dalle parti ma dalla natura dell’esigenza abitativa che, nelle locazioni transitorie, in
quanto diversa da quella della normale e continuativa dimora, comporta una permanenza solo precaria e
saltuaria del conduttore nell’immobile, assumendo carattere eccezionale e temporaneo (nella specie, trattavasi
di locazione di appartamento utilizzato da una coppia per incontri saltuari che il giudice di merito aveva ritenuto
non transitoria solo a causa del termine quinquennale di durata convenzionalmente stabilito).
* Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1992. n. 2371, Uberbacher Hans Peter c. Bertol Eric ed altro.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore - che comporta l’esclusione della locazione
dall’ambito di applicabilità della legge 27 luglio 1978, n. 392 ai sensi dell’ art. 26, lett. a) della stessa legge - va
accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che l’immobile locato è destinato a soddisfare al
momento della conclusione del contratto, nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nell’ipotesi
in cui l’abitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto
precaria o sussidiaria nell’immobile beato, mentre va esclusa nel caso in cui l’immobile rappresenti la normale e
continuativa dimora del conduttore. L’indagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso
concreto va compiuta avendo riguardo all’effettiva destinazione dell’immobile e con riferimento alla natura
dell’esigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dal sistema di vita di costui, dalla sua attività
lavorativa nel luogo in cui è situato l’immobile, dalla disponibilità o non di un alloggio nel luogo di residenza
anagrafica, ecc.) e non alle espressioni letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore
allorquando la dichiarata transitorietà - smentita dalla situazione di fatto - abbia costituito il mezzo, vietato
dall’art. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392, per eludere l’applicazione della normativa sull’equo canone.
* Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1990, n. 11984, Ressa c. Denaro; conf.: Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 1991, n.
10676, Marziale c. Benaglia.
La transitorietà delle esigenze abitative del conduttore (art. 1 e 26, L. 392 del 1978), da accertarsi dal giudice
con riferimento al momento della conclusione del contratto senza tener conto di eventi cronologicamente
successivi i quali possono aver reso stabile un esigenza inizialmente insorta come contingente e precaria, va
riferita tra l’altro a quei rapporti nei quali l’aspirante conduttore, pur disponendo di propria stabile ordinaria
abitazione, voglia trasferire altrove la dimora per soddisfare bisogni di carattere contingente. tali da non
comportare nemmeno sotto il profilo intenzionale un cambiamento di residenza. Le ragioni più o meno
oggettivamente cogenti o soggettivamente pressanti che possono essere alla origine delle suddette esigenze
abitative non incidono sul quadro della loro transitorietà quando, secondo un giudizio ex ante affidato ad un
criterio di normale prevedibilità, esse si palesino all’atto della stipulazione dell’accordo destinate ad esaurirsi
entro un tempo breve, segnatamente inferiore comunque alla durata minima quadriennale previsto nel primo
comma dell’art. 1, L. n. 392 del 1978 (fattispecie in cui il contratto dedotto in lite era stato stipulato dal conduttore
per fronteggiare una situazione di emergenza venutasi a creare a seguito di eventi sismici che avevano
interessato la località ove egli aveva l’abilitazione e ne avevano consigliato il temporaneo, prudenziale
allontanamento).
* Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1989, n. 4291, Matarazzo c. Sellitti.
Ai fini della qualificazione della natura transitoria del rapporto di locazione ai sensi dell’art. 26 L. n. 392/1978,
non deve farsi riferimento alla pura e semplice volontà dei soggetti contraenti. bensì alla obiettiva natura
dell’esigenza abitativa del conduttore, che comporti una permanenza precaria o sussidiaria nell’immobile,
diversa dalla normale e continuativa dimora, in base alle complessive risultanze del suo sistema di vita ed
attività lavorativa.
* Trib. civ. Firenze, 21 gennaio 1991, n. 106, Milazzo c. Laurella, in Arch. loc. e cond. 1992, 159.
In virtù del disposto dell’art. 26 della L. n. 392 del 1978, la deroga alle norme sulla durata e sulla misura del
canone in relazione alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria è consentita
solo quando le suddette esigenze esistano effettivamente e siano state anche specificamente individuale nel
contratto, cosicché possa esserne apprezzata la particolarità della causa rispetto a quella generica del tipo
negoziale. Nel caso esse non sussistano, le relative clausole di deroga sono sostituite di diritto dalle norme
imperative della legge.
* Pret. civ. Bergamo, 9 maggio 1986, Brognoli c. Ghisalberti, in Arch. loc. e cond. 1986, 728.
Per definire "transitoria" una locazione occorre che detto requisito sussista veramente nella realtà
indipendentemente dalla qualificazione data dalle parti al momento della conclusione del contratto.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Chioppa c. Gargiulo, in Arch. loc. e cond. 1986, 724.
Integra una ipotesi di simulazione per interposizione fittizia di persona la stipulazione di un contratto di locazione
per il soddisfacimento di esigenze abitative di natura transitoria con conduttore apparente (persona
interponente), nell’intesa (accordo simulatorio) che gli effetti della convenzione locatizia si producano nei
confronti di altro soggetto (persona interposta), che sia portatore di esigenza abitativa primaria. (Nella specie la
prova della intesa simulatoria e della natura primaria delle esigenze abitative dell’effettivo conduttore è stata
desunta, oltre che da dichiarazioni testimoniali, anche da elementi indiziari. plurimi e concordanti, non essendosi
ritenuto operante il divieto di prova per testi della simulazione del contratto, posto dall’art. 1417 cc., in
considerazione del fatto che il conduttore ha inteso far valere la "illiceità" e nullità del contratto dissimulato di
locazione con riferimento alla clausola di "transitorietà" dell’uso abitativo per violazione della norma imperativa
dell’art. 79 L. 392/78).
* Pret. civ. Busto Arsizio, 29 gennaio 1997, n. 21, Tripi c. Immobiliare Amba, in A rch. Ioc. e cond. 1997, 113.
Le esigenze abitative del conduttore, di natura transitoria, onde escludere ai sensi dell’art. 26 della legge 27
luglio 1978 n. 392 l’applicabilità della disciplina dell’equo canone, non necessitano, né in base a tale legge
speciale né ai sensi degli artt. 1418 e 1419 c.c., di specifica individuazione, ma possono essere anche soltanto
enunciate.
* Cass. civ., sez. III. 2 aprile 1997, n. 2868, Vienna c. Viziale, in Arch. loc. e cond. 1997, 635.
Qualora, dopo la stipulazione di un contratto di locazione per uso abitativo soltanto transitorio (art. 26 L. n. 392
del 1978), il conduttore invochi, in sede giudiziale, la riduzione del canone per esser l’immobile adibito ad uso
diverso da quello pattuito, pur sussistendo, in ipotesi, un intento elusivo soltanto unilaterale ex latere
conductoris, nel senso che questi, intendendo adibire l’immobile ad abitazione primaria e stabile, abbia
purtuttavia accettato la proposta di locazione transitoria formulatagli dal locatore, detto intento è e resta
inevitabilmente circoscritto entro i confini di una (irrilevante) riserva mentale, non potendosi legittimamente
sostenere, (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 1988 in virtù della quale al locatore è
riconosciuto il diritto alla risoluzione del contratto entro l’anno dall’avvenuto mutamento di destinazione con
decorrenza dalla data della sua effettiva conoscenza e non a prescindere da essa) che ciò che rileva, in
subiecta materia, sta esclusivamente l’elemento oggettivo della effettiva destinazione dell’immobile, senza
alcuna indagine sulla volontà effettiva delle parti quale risultante dal contratto di locazione e senza la doverosa
verifica circa la consapevolezza o meno, da parte del locatore, delle effettive esigenze del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1997, n. 7750, Cannavale c. Hotte, in Arch. loc. e cond. 1997, 993.
Una volta escluso che le parti abbiano, simulando un contratto di locazione volto a soddisfare esigenze abitative
transitorie (nella specie di natura turistica, per la durata di un anno) ai sensi dell’art, 1, comma 2, L. n. 392 del
1978, dissimulato una locazione abitativa ordinaria, la rinnovazione tacita del contratto, non comporta in se
stessa, anche se reiterata, la soggezione della locazione alla disciplina di cui all’ art. 1, comma 1, della stessa
legge in ordine alla durata almeno quadriennale del rapporto, dovendo il giudice esaminare se le parti abbiano
inteso, anche se sol per facta concludentia, rinnovare il contratto originario per soddisfare le stabili e
continuative esigenze abitative del conduttore. In ogni caso, allorché tali esigenze attengano a motivi di lavoro o
di studio, il contratto resta sottratto alla disciplina della L. n. 392 del 1978 quanto alla durata della locazione (art.
1, comma 2), rimanendovi invece soggetto per il regime della determinazione legale del canone (art. 26, comma
1, lett. a).
* Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1997, n. 6990, Pulliero c. Bratoz, in Arch. loc. e cond. 1997, 1007.
Nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti, il primo e principale strumento dell’operazione
interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto, e, qualora queste siano chiare e dimostrino
una loro intima ratio, il giudice non può invocarne una diversa, venendo così a sovrapporre una propria
soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti. (Nella fattispecie, la Corte ha cassato, con rinvio, la
pronuncia del tribunale, la quale, di contro al contenuto fatto proprio dal testo di un contratto di locazione e che
deponeva nel senso dell’avvenuta stipula di un contratto di locazione per finalità abitative ordinarie, aveva
ritenuto di ricostruire, sulla base di una prova testimoniale, l’avvenuta stipula di una locazione per esigenze
abitative meramente transitorie).
* Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1997, n. 4480, Bacchieri c. Cardinali.
b) Clausole contrattuali
Il contratto di locazione per uso abitativo stipulato, con la falsa indicazione della transitorietà dell’uso da parte
del conduttore (art. 26 della L. n. 392 del 1978) al fine di eludere la sanzione della nullità di clausole concernenti
la durata e la misura del canone contrarie al regime giuridico rigidamente prestabilito per esse, integra gli
estremi di una fattispecie simulatoria relativa in fraudem legis, che cela, sotto l’apparenza di una convenzione
negoziale di locazione transitoria, una locazione abitativa ordinaria pattiziamente regolata in difformità dal
regime coattivo cosiddetto dell’equo canone che le è proprio, con la conseguenza che il conduttore che invochi,
in giudizio, l’applicazione del regime legale al rapporto così instaurato (con automatica sostituzione delle
clausole contrattuali nulle, ex art. 79 legge cit.) avrà l’onere di dimostrare l’esistenza della simulazione
contrattuale, e la facoltà di avvalersi, a tal fine, della prova per testi e per presunzioni al di là dei limiti sanciti, per
le parti, dall’art. 1417, attesa la illiceità per contrasto con norme imperative del contratto simulato.
* Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1997, n. 6145, Longhi-tano c. Benvenuti, in Arch. loc. e cond. 1997, 798.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che
assuma la nullità ex art. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della
dedotta natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base all’obiettiva situazione di fatto da quest’ultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore né situazioni di fatto occultate dal conduttore, né la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ., sez. III, 24 luglio 1995, n. 8063, Ami Budget Cultura c. De Santis.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitoria, il conduttore, che
assuma la nullità ex art. 79, L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta
natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da quest’ultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore né situazioni di fatto occultate dal conduttore, né la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ.. sez. III, 5 aprile 1995, n. 4001, Ghezzi c. Capasso.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che
assuma la nullità ex art. 79 L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta
natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da quest’ultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore né situazioni di fatto occultate dal conduttore, né la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ., sez. III, 29 dicembre 1993, n. 12947, Sardi c. Suc. Montefili Immobiliare.
Ai sensi dell’art. 26 lett. a) della L. 27 luglio 1978, n. 392, la deroga alle norme sulla durata della locazione e
sulla misura del canone è consentita solo quando le esigenze abitative di natura transitoria non solo esistono
effettivamente, ma sono anche specificamente contemplate nel contratto, che ad esse deve fare chiaro
riferimento, pur senza formule solenni sacramentali, onde possa esserne apprezzata la particolarità della causa
rispetto a quella generica del tipo negoziale. In mancanza, le clausole di deroga sono sostituite di diritto dalle
norme imperative della legge, in modo particolare per quanto riguarda la misura massima del canone (art. 79
della L. 392/78). L’eventuale diversa opinione del locatore a tal riguardo potrà eventualmente costituire ragione
di annullamento del contratto, se potrà dimostrarsi la sussistenza delle condizioni di legge (artt. 1427 segg. c.c.).
e salvo il diritto al risarcimento del danno se l’errore dovesse risultare imputabile al conduttore (artt. 1337 e 1338
c.c.).
* Trib. civ. Firenze, 31 maggio 1980, Samorè c. Poggi Ricci, in Arch. loc. e cond. 1981, 77.
L’esigenza transitoria rilevante ai fini dell’esclusione del contratto di locazione dalla tutela della L. n. 392/1978
deve essere espressamente evidenziata dalle parti al momento della stipula, mediante riferimento a fatti concreti
relativi alle esigenze abitative del conduttore, a nulla rilevando la qualificazione del rapporto come transitoria o la
pattuizione della sua durata infraquinquennale.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 ottobre 1990, n. 6947, Russo c. Varia e Società Errevi, in Arch. loc. e cond. 1990,
739.
La clausola con la quale i contraenti prevedono, al momento della sottoscrizione del contratto, che nel caso di
specie si verte in un’ipotesi di "locazione transitoria non soggetta ad equo canone" non è di per sé nulla. Per
accentarne la validità o la nullità occorre procedere all’interpretazione della volontà delle parti secondo il
disposto di cui agli artt. 1362 c.c. e seguenti.
* Pret. civ. Milano, 25 ottobre 1980, Fontanesi c. Valeri, motivaz. in Arch. loc. e cond. 1981, 127,
c) Competenza
Il giudice competente in ordine alla controversia concernente il rilascio per " finita locazione" di immobile adibito
ad esigenze abitative di natura transitoria - non essendo questa ricompresa in alcuna delle ipotesi di
competenza per materia poste, in materia locatizia, dagli artt. 30 e 45 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - va
individuato secondo gli ordinari criteri della competenza per valore previsti dal codice di rito.
* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1983, n. 2873, Farfarini c. Pucci.
d) Dipendenti o collaboratori di una ditta
La qualifica della transitorietà dell’uso di un immobile ai fini della esclusione dell’applicazione della L. n.
392/1978 deve essere operata con concreto riferimento alla situazione abitativa degli occupanti. Pertanto, nel
caso di immobile locato ad una ditta che intenda utilizzarlo a favore di propri dipendenti o collaboratori, la
transitorietà deve essere collegata alla situazione concreta degli occupanti e non alla teorica possibilità di una
rapida alternanza degli stessi, né è rilevante l’inclusione nel contratto del termine "transitorio".
* Pret. civ. Bologna, 20 agosto 1990, Sticchi c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 777.
e) Durata
Alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria (art. 1, comma primo, L. 27 luglio
1978, n. 392) non si applica il disposto dell’art, 1, comma primo della stessa legge sulla durata minima legale del
contratto di locazione, non rilevando che il conduttore abiti stabilmente l’appartamento per motivi di lavoro o di
studio (art. 26 lett. a, L. 27 luglio 1978, n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1991, n. 8785, Paglianini c. Caviglia.
Fra le locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria alle quali, ai sensi dell’art. 1 della
legge 27 luglio 1978, n. 392 (cosiddetta sull’equo canone), non si applica il disposto circa la durata almeno
quadriennale del contratto, rientrano quelle concernenti un appartamento per la sola villeggiatura.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1982, n. 4808, Bottigliero c. Signorelli.
Ai fini della determinazione della durata della locazione stipulata per esigenze abitative di natura transitoria, tali
esigenze (che in caso di concreta sussistenza costituiscono i presupposti per l’esclusione dell’applicabilità della
disciplina ex artt. 58 e 65, L. n. 392/1978) devono attenere a brevi periodi di occupazione degli immobili,
contraddistinti dal carattere della occasionalità e della particolarità di un bisogno momentaneo, anche se motivati
da esigenze di lavoro e di studio (nella specie, il conduttore ha posto nell’immobile locato la stabile e continua
dimora della famiglia).
* Pret. civ. Verona, 2 luglio 1986, n. 1040, Mainenti c. Tessani. in Arch. loc. e cond. 1989, 186.
La pattuizione di una durata inferiore a quella legale è sostituita da quella legale in virtù del fenomeno
dell’integrazione del contratto.
*Pret. civ. Varazze, 8 aprile 1989, Piazza c. Garau, in Arch. loc. e cond. 1989, 555.
La locazione stipulata per soddisfare esigenze di natura transitoria, ancorché per motivi di lavoro, seppure
prorogata ai sensi della legislazione vincolistica sino al 31 luglio 1978, resta estranea all’applicabilità degli artt.
58 o 65 della L. n. 392 del 1978 e cessa alla suddetta data, ove non sia stata rinnovata secondo i meccanismi
del codice civile.
* Pret. civ. Roma, sez. II, 15 aprile 1987, Triolo c. Ciabattoni, in Arch. loc. e cond. 1987, 756.
La determinazione della durata della locazione stipulata per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria ancorché si tratti di esigenze di lavoro o di studio - nel regime ordinario della L. n. 392 del 1978 resta affidata
all’autonomia delle parti, ai sensi degli artt. 1, comma secondo, e 26, lett. a) della legge stessa. Una durata
legale di tali contratti è parimenti esclusa nel regime transitorio, restando l’inapplicabilità degli artt. 58 e 65- che
prevedono siffatta ulteriore durata con riferimento, rispettivamente, ai contratti soggetti ovvero non soggetti a
proroga secondo la legislazione precedente - sancita dall’art. 64 e dall’ultimo comma dell’art. 65 che
considerano, ai fini suddetti, solo i contratti previsti alla lettera d) del primo comma e al secondo comma dell’art.
26, con la conseguente esclusione degli altri contratti ivi previsti.
* Pret. civ. Roma. sez. II, 15 aprile 1987, Triolo c. Ciabattoni, in Arch. loc. e cond. 1987, 756.
Nelle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, che ai sensi dell’art. 1, secondo
comma, della legge 392/78 sono sottratte alla durata quadriennale, la "stabilità" dell’abitazione rileva soltanto ai
fini della determinazione del canone.
* Pret. civ. Pontassieve, 20 agosto 1982, Rapaccini c. Sigg. in Arch. loc. e cond. 1982, 764.
Costituisce esigenza abitativa di natura transitoria ai fini dell’applicazione della legge dell’equo canone
quell’esigenza adeguatamente soddisfatta soltanto con una locazione di durata inferiore al quadriennio, nonché
quella che non sia connessa con una stabile abitazione nell’immobile per ragioni di lavoro o di studio.
* Pret. civ. Taranto, 15 maggio 1981, Cofano c. Cartini. in Arch. loc. e cond. 1981, 242.
L’esigenza abitativa transitoria che consente la stipulazione di un contratto di locazione con durata inferiore al
quadriennio entra a fare parte della causa del contratto e ne costituisce quindi elemento essenziale. Incombe al
locatore, che chiede il rilascio allo scadere del termine pattuito, allegarla e dimostrarne l’esistenza. Essa deve
essere oggettiva e non può consistere in una mera aspettativa o in promessa di rilascio da parte del conduttore,
al termine pattuito.
* Pret. civ. Parma, 30 maggio 1980, Gorreri , Benincasa. in Arch. loc. e cond. 1980, 430.
f) Legge sull’equo canone
È disciplinata dalle regole generali di cui alla L. n. 392/78, relativamente alla determinazione del canone, l’ipotesi
in cui il conduttore che stipuli un contratto di locazione per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria,
debba abitare stabilmente nell’immobile per motivi di lavoro o di studio.
* Pret. civ. Bologna, 18 febbraio 1988, n. 159, Bernardini c. Gara, in Arch. loc. e cond. 1988, 785.
In tema di locazione per esigenze abitative di natura transitoria, la sussistenza delle ragioni di lavoro o di studio
non è di per sé idonea, ove difetti la prova di una effettiva stabile occupazione dell’alloggio, ad integrare
compiutamente la fattispecie prevista dall’art. 26, lett. a), L. n. 398/78; ne deriva che la disciplina di cui al capo I
della legge citata è applicabile soltanto se la finalizzazione del rapporto ad esigenze di studio o di lavoro si
traduca in una concreta utilizzazione del bene locato.
* Trib. civ. Pavia, sez. I, 13 gennaio 1987, n. 5, Panigati c. Liapaki e altro, in Arch. loc. e cond. 1987, 113.
g) Motivi di studio
Non può negarsi la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 26 lett. a) L. 392/78 e così ritenere la relativa
locazione soggetta a detta legge nel caso della studente universitaria che si mantenga la casa fuori sede per la
frequenza dei corsi, salvo, forse, solo l’ipotesi che vi andasse appena in occasione degli esami.
* Pret. civ. Chieti, 23 ottobre 1981, Liberi c. Trapani, in Arch. loc. e cond. 1982, 124.
Non può essere compreso tra le locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria il
contratto atipico che preveda come oggetto della locazione la sola utilizzazione, da parte di uno studente
straniero dimorante in Italia, di uno spazio riservato alla collocazione di un letto con l’uso di servizi comuni.
* Pret. civ. Napoli, 26 aprile 1986, n. 1303, Cimmino c. Michalolia. in Arch. loc. e cond. 1986, 729.
Per gli studenti universitari "fuori corso", i quali non devono più frequentare le lezioni ma soltanto dare gli esami
arretrati, non sussistono più le "ragioni di studio" per occupare, con la crisi attuale degli alloggi, stabilmente un
immobile nella sede universitaria presso la quale devono recarsi saltuariamente solo per sostenere detti esami,
a meno che non dimostrino di dovere ugualmente attendere a corsi di pratica professionale, di laboratorio od
altri. Ne consegue che con tali studenti può ben essere stipulata un contratto di locazione transitoria.
* Pret. civ. Parma, 18 ottobre 1980, Orsini c. Trombi, in Arch. loc. e cond. 1980, 624.
Nel caso di contratto di locazione stipulato a favore di terzo (nella fattispecie, dai genitori di uno studente), avuto
riguardo alla previsione di cui all’art. 26 lett. a) della legge 392/78, ci si deve riferire al terzo beneficiario
dell’alloggio al fine di accertare la presenza dei requisiti fissati da detta norma.
* Pret. civ. Bologna. sez. I, 3 aprile 1981, n. 681, Girola e altro c. S.a.s. Weisshorn, in Arch. loc. e cond. 1981,
487.
h) Mutamento delle esigenze
Le esigenze abitative transitorie di cui agli artt. 1 e 26 della L. 392/78 debbono effettivamente sussistere nel
momento della formazione genetica del contratto, a nulla rilevando le mutate esigenze del conduttore, non
valide per esigere una unilaterale modifica del contratto.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 15 gennaio 1983, n. 409, Bacigalupo c. Trestin, in Arch. loc. e cond. 1983, 108.
i) Nozione
L’esigenza abitativa di natura transitoria si riferisce solo alle esigenze del conduttore e deve essere
"oggettivamente" tale nella realtà e non perché le parti ritengono di concordare nel qualificarla tale.
* Pret. civ. Taranto, 15 maggio 1981, Cofano c. Cartini, in Arch. loc. e cond. 1981, 242.
Le esigenze abitative di natura transitoria di cui all’art. 26 della L. n. 392 del 1978 non si caratterizzano alla luce
del mero dato obiettivo positivo dell’esaurimento nel breve periodo, bensì secondo il dato negativo della loro
intrinseca non meritevolezza di tutela per l’obiettiva diversità dall’esigenza abitativa primaria (ovvero giustificata
da ragioni di lavoro o di studio), attesone il carattere meramente sussidiario o voluttuario (quale quella inerente a
vicende di soggiorno turistico, di incontri saltuari con conoscenti ed amici, di utilizzazioni occasionali per i più
disparati scopi). Tali esigenze sussidiarie ben possono, pertanto, protrarsi anche considerevolmente nel tempo,
ed essere soddisfacentemente appagate mediante la protratta disponibilità di un alloggio, con la conseguenza
che non può legittimamente ritenersi incompatibile con la qualificazione di una locazione in termini di
transitorietà l’istituto della rinnovazione tacita del contratto ai sensi dell’art. 1597 c.c., almeno nelle circostanze in
cui non risulti, tra le parti, una volontà novativa rispetto alla originaria convenzione negoziale, con relativa
modificazione della fattispecie legale tipica da locazione transitoria non primaria a locazione abitativa primaria.
* Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1997, n. 6145, Longhitano c. Benvenuti, in Arch. loc. e cond. 1997, 799.
l) Stabilità dell’abitazione
Nelle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, che ai sensi dell’art, 1, secondo
comma, della L. n. 392/1978 sono sottratte alla durata quadriennale, la "stabilità" dell’abitazione rileva solo ai fini
della determinazione del canone.
*Pret. civ. Firenze, 2 dicembre 1985, Gabbrielli c. Demoustier, in Arch. loc. e cond. 1986, 134.
Ove sia stata pattuita una locazione per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria non per motivi di
studio o di lavoro, ed invece dell’immobile venga fatta dal conduttore una utilizzazione abitativa stabile
determinata da uno di detti motivi, il canone è disciplinato dagli artt. 12 - 221. 392/78.
* Pret. civ. Firenze, 4 ottobre 1985,
Nel condominio di edificio, l'allacciamento di nuovi scarichi, che venga eseguito dal singolo partecipante, nella
colonna condominiale di smaltimento delle acque luride, configura un uso (più intenso) della cosa comune. Ne
consegue che la legittimità o meno di detto allacciamento deve essere accertata non con riguardo alle
disposizioni dettate dall'art. 1067 c.c., in tema di esercizio delle servitù, ma con esclusivo riferimento alle norme
che fissano i limiti del godimento del bene comune da parte dei singoli condomini (artt. 1102, 1118 e segg. c.c.).
* Cass. civ., sez II, 23 aprile 1977, n. 1529.
Va ravvisata alterazione della cosa comune nell'ipotesi in cui un partecipante alla comunione intenda usare un
condotto corrente lungo una parete dell'edificio condominiale e destinato allo scarico di acque piovane per
immettervi il liquame di una costruenda latrina, da scaricare in una fogna sottostante ad un cortile di proprietà
altrui.
* Cass. civ., 2 aprile 1969, n. 1086.
L'allacciamento degli scarichi di un fabbricato alle fognature municipali, correnti nel sottosuolo stradale, integra
un uso eccezionale del demanio comunale, e, quindi, si ricollega ad un rapporto di concessione di bene
pubblico. Ne consegue che la controversia che attenga soltanto al canone reclamato dal comune per tale
allacciamento, senza mettere in discussione esistenza, validità ed efficacia di quel rapporto, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5 secondo comma della L. 6 dicembre 1971, n. 1034.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 27 maggio 1991, n. 5974, Comune di Verona c. Smanio.
Nel caso in cui il costruttore - venditore di un edificio condominiale abbia assunto - ancorché nei distinti contratti
di vendita dei singoli appartamenti - l'obbligo di provvedere all'allacciamento dell'edificio stesso alla rete idrica e
fognante, il valore della causa nella quale alcuni condomini chiedono la condanna del costruttore-venditore al
rimborso della quota da ciascuno di essi sopportata nella complessiva spesa del condominio, a seguito
dell'inadempimento, da parte del convenuto, alla detta obbligazione, deve essere determinato con riguardo non
alle singole quote rispettivamente dedotte in giudizio, bensì all'ammontare dell'intera obbligazione, unitariamente
afferente ad opere inerenti all'edificio nel suo complesso e non riferibili singolarmente ai condomini.
*Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1989, n. 3237, Sanzò Merico c. Faenza.
Qualora il canone per l'allacciamento alla fognatura municipale venga determinato dal comune con criterio
proporzionale al numero dei locali, ed il privato insorga contro tale provvedimento, sostenendo che il comune
stesso non ha facoltà di imporre contributi per la manutenzione delle opere fognarie, la relativa domanda integra
azione di accertamento negativo di un'obbligazione di natura tributaria, e, pertanto, esula dalle attribuzioni
giurisdizionali del giudice amministrativo, incluse quelle in materia di concessioni di beni o servizi pubblici. (Nella
specie, il Consiglio di Stato con la decisione impugnata aveva negato la propria giurisdizione ed affermata quella
del giudice ordinario).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 4 dicembre 1989, n. 5348, Forcuto c. Comune Verona.
Il proprietario di un immobile al cui servizio sia stata installata nel sottosuolo di un cortile, di cui egli è
comproprietario con altri, una tubazione fognante, non può permettere a terzi, senza il consenso degli altri
comproprietari del cortile, di allacciare a detta tubazione i loro scarichi, rappresentando tale allacciamento una
nuova servitù che non può essere costituita senza il consenso di tutti i comproprietari del fondo servente.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1976, n. 3892.
L'immissione, da parte del singolo condomino, di acque di rifiuto e di scarico di latrina in un cunicolo
condominiale destinato al solo smaltimento delle acque piovane integra un'alterazione del godimento della cosa
comune, suscettibile di tutela con azione possessoria.
* Cass. civ., 4 gennaio 1977, n. 14.
Un canale di scarico, pur passando nel sottosuolo comune, può essere di proprietà esclusiva, ed in tal caso gli
altri condomini non hanno diritto di usarne, né possono pretendere di usarne contribuendo nelle spese di
manutenzione dell'opera.
* Cass. civ., 26 aprile 1966, n. 1069.
Il principio secondo cui l'utilizzazione delle parti comuni dell'edificio condominiale per la realizzazione di impianti
a servizio esclusivo dell'appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia delle regole dettate dall'art.
1102 cod. civ., sia delle norme sulle distanze, onde evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sulle parti
di immobile di loro esclusiva proprietà, non opera nell'ipotesi di installazione di impianti che debbano
considerarsi indispensabili per un'effettiva abitabilità dell'appartamento, al lume dell'evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini e delle moderne concezioni in tema di igiene. Tuttavia, anche in tal caso, nel far uso della
cosa comune il condomino deve sempre rispettare la proprietà esclusiva degli altri condomini, non potendo
invaderne la sfera di facoltà e di diritti inerenti alla piena potestà sulla cosa, nè gravarla di pesi e limitazioni, ove
non abbia acquisito al riguardo - per legge o per convenzione - il relativo diritto. (Nella specie la Suprema Corte
ha cassato la decisione impugnata affinché i giudici di rinvio accertino se l'installazione di un tubo di fogna lungo
il muro perimetrale dell'edificio condominiale comporti violazione dei diritti del ricorrente, il quale è, nel
contempo, condomino e proprietario esclusivo del fondo confinante con l'edificio condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597, Campria c. Laiacona.
Non costituisce innovazione, ma rientra nell'uso legittimo del cortile comune, la costruzione, nel sottosuolo del
cortile stesso, di tubo di scarico tra l'appartamento di un condomino e la fogna comunale, giacché essa, mentre
non altera la destinazione obiettiva del cortile, che è quella di dare aria e luce agli appartamenti ed ai piani ed
agli edifici circostanti, costituisce un'utilità accessoria che il suddetto bene comune può offrire ai condomini,
purché tale uso sia mantenuto nei limiti dell'art. 1102 c.c..
* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1978, n. 3405.
Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune (nella specie, collocazione nel muro comune di tubi di
scarico dell'acqua) pregiudichi in concreto i diritti degli altri condomini si risolve in un giudizio di fatto, demandato
al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1980, n. 454, Sebastiani c. Specchio.
Deve ritenersi lecita la posizione di una conduttura di acque luride di scarico alla parete di un pianerottolo, in
modo che essa non sia visibile poiché l'uso futuro ed eventuale, che di essa parete vogliano fare gli altri
condomini (a posizione di altri tubi, apertura di porte, ecc.), potrà essere determinato secondo il criterio dell'equo
contemperamento dei diversi interessi.
* Cass. civ., 9 giugno 1975, n. 2293.
L'installazione di nuovi tubi, per lo scarico di servizi igienici nelle condutture di edificio condominiale, la quale
venga eseguita all'interno del solaio di separazione fra due piani, configura un uso legittimo della cosa comune
da parte del singolo condomino, ai sensi dell'art. 1102, ove non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne pari uso, e cioè non ostacoli l'allocazione di altre analoghe tubazioni, e non è soggetta
alle disposizioni che sono dettate dall'art. 889 c.c., in tema di distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi e che
regolano i rapporti di vicinato fra costruzioni e fondi finitimi.
* Cass. civ., 23 aprile 1977, n. 1529.
Non altera la destinazione della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c. il comunista che installa un tubo di
scarico di acque luride nel cortile comune interno ad un fabbricato.
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 30 ottobre 1985, in Nuovo dir. 1987, 574.
Qualora a seguito della rottura di una installazione comune dell'edificio condominiale (nella specie, tubo di
scarico del liquame), riconducibile alla colpevole condotta di uno degli utenti del servizio comune, derivino danni
al terzo, al relativo risarcimento - stante il principio, in tema di responsabilità aquiliana, del carattere personale
della colpa - è tenuto il condomino, da individuare specificamente, che ha causato l'evento dannoso e non il
gruppo dei condomini interessati al servizio ovvero l'intero condominio.
* Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1981, n. 3146, Cond. Isola 98 c. Guerrera.
In caso di allagamento di locali seminterrati a causa esclusivamente del riflusso entro la fogna privata di acque
provenienti da quella comunale, riflusso dovuto unicamente alla mancata e doverosa predisposizione dei
dispositivi antirigurgito, si deve ritenere che responsabile dei danni sia il condominio, ove lo stesso non abbia
adottato le prescritte valvole antirigurgito, e non il Comune proprietario della fognatura.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 15 febbraio 1988, n. 477, Comune di Roma c. Parenza, Cond. via dei Colli
Portuensi, Di Bernardino e Soc. L'Architettonica I e II, in Arch. loc. e cond. 1989,498.
La domanda del condomino di risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune (nella
specie: condotta delle acque luride), derivando dal pregiudizio effettivamente subito per il fatto del terzo (il
condominio rispetto ad esso condomino) e tendendo alla ricostituzione dell'integrità patrimoniale del detto
soggetto leso dal difetto del bene comune, non postula, per la sua procedibilità, la previa richiesta
all'amministratore, né la necessità di istanza o convocazione dell'assemblea condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3629, Ciaccia c. Migliore.
Il condominio è responsabile dei danni causati all'appartamento di un condomino da infiltrazioni derivanti dalla
parte della fognatura condominiale che arriva sino al punto di innesto con la fognatura stradale, mentre non è
responsabile dei danni causati alla rete di fognatura esterna al condominio stesso.
* Corte app. civ. Roma, 30 novembre 1964, in Riv. giur. edilizia 1965, I, 1308.
La P.A. è tenuta sia ad adeguare la propria rete fognaria in modo di evitare il ripetersi di frequenti allagamenti
che si verifichino in occasione di precipitazioni meteoriche, sia al risarcimento dei danni subiti dai cittadini a
causa degli allagamenti suddetti. (Fattispecie nella quale è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni ai
condomini di uno stabile i cui garages avevano subito gravi danni dovuti a consistenti allagamenti).
* Trib. civ. Roma, 28 febbraio 1997, n. 4522, Condominio di via Monte Gran Paradiso n. 28 in Guidonia c.
Comune di Guidonia, in Arch. loc. e cond. 1997, 650.
Qualora un pozzetto e tubi di ispezione della fognatura attengano ad un servizio generale dell'edificio esso è
sottoposto a custodia condominiale anche se collocato in proprietà solitaria. In caso di fuoriuscita però il
condominio perde la responsabilità se esso è stato manomesso dall'occupante della proprietà privata.
* Trib. civ. Milano, 27 febbraio 1992, in L'Ammin. 1992, n. 4.
e) Edifici limitrofi
Nell'ipotesi di cose destinate in modo permanente all'uso di edifici limitrofi, ma ubicate nell'area di uno solo di
essi (nella specie, scarico fognario), l'applicabilità della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ.
postula che quella destinazione all'uso comune sia avvenuta allorché non era ancora unico il proprietario di
entrambi gli edifici, atteso che, ove questi abbia venduto anche uno degli appartamenti dello stabile nella cui
area si trova quel bene, il bene stesso diventa comune nell'ambito di detto stabile e può essere esteso in
comunione a terzi solo con il consenso dei relativi condomini.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1980, n. 3910, Cond. V. Grossi c. Cond. V. Corvisie.
f) Gronde
Le spese inerenti alla pulizia della gronda, trattandosi di spesa relativa a cosa comune, devono gravare su tutti i
condomini, difettando qualsiasi prova che l'intasamento della gronda stessa sia dovuto a fatto esclusivo di un
condomino.
*Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond., 1991, n. 764.
g) Pozzo nero
La costruzione di un pozzo nero, eseguita nel cortile comune da parte di uno dei condomini dell'edificio, che
ricada, in virtù del principio dell'accessione, in comunione pro indiviso, e del quale, pertanto, gli altri condomini
possono fare uso al pari del condominio costruttore, rappresenta un uso consentito della cosa comune, non
dando luogo ad alterazione dell'utilizzazione diretta dell'area sovrastante secondo la sua destinazione naturale e
non impedendo, nel caso in cui non sia sufficiente a soddisfare le esigenze delle varie unità immobiliari, la
possibilità di una pari utilizzazione della parte residua del fondo.
* Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1978, n. 1456.
La comproprietà di pozzi neri scavati sotto un cortile non comporta necessariamente la comproprietà del cortile
soprastante, che può essere esclusa dal titolo e da una diversa situazione di destinazione.
* Cass. civ., 17 ottobre 1966, n. 2488.
h) Scolo delle acque grondanti
Il naturale scolo, in un cortile condominiale, delle acque grondanti da cornicioni, balconi o terrazze delle
abitazioni che vi si affacciano, il quale non si ricollega ad un diritto di servitù, ma configura esercizio del diritto di
comproprietà, resta soggetto ai limiti fissati dall'art. 1102 cod. civ., e non può quindi implicare un'alterazione
della destinazione della cosa comune, od un impedimento del pari uso degli altri partecipanti, né un
danneggiamento della cosa medesima o delle proprietà esclusive dei singoli condomini. (Nella specie, alla
stregua del principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito, che avevano
dichiarato illegittima l'apertura di un foro, alla base di un parapetto, convogliante l'acqua piovana nel cortile con
violenta caduta e danneggiamento di porzioni condominiali).
* Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 1986, n. 5949, Truda c. Alfano.
i) Spese
L'art. 1123, primo cpv., cod. civ., che nell'ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa
dispone che le relative spese sono ripartite in proporzione dell'uso da ciascuno fattone, non può subire deroga
per la circostanza che l'unità immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell'edificio
condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unità immobiliari, servono solo
per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell'edificio comuni a tutti i condomini, ma
non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso
delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la
pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui proprietà era pur inclusa
nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato
era sfornito di impianti igienici).
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484, Cond. V. Nobili c. Carini.
Con riguardo all'impianto di fognatura di un edificio in condominio l'indagine diretta a stabilire se il condomino
che non utilizzi detto impianto, per essere l'unità abitativa di sua proprietà collegata con l'impianto idrico sanitario
di un altro condominio, sia egualmente comproprietario dell'impianto condominiale e quindi, in applicazione
dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai
criteri indicati nell'art. 1117 c.c. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la
comunione di detto impianto ove debba essere negata in base alla citata norma può essere riconosciuta per
effetto di diversa previsione del regolamento condominiale, quando esso abbia natura contrattuale perché
predisposta dall'originario unico proprietario dell'edificio e poi accettato con i singoli atti di acquisto, ovvero
perché adottato con il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle debite forme.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1991, n. 13160, Condominio via L. Nobili n. 46 Roma c. Pierboni.
Le opere destinate a servire una parte dell'intero fabbricato, e i conseguenti danni, sono a carico del gruppo di
condomini che ne trae utilità (nella specie si trattava di interventi condominiali diretti al rifacimento della condotta
fecale).
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 27 giugno 1992, n. 8205, Coppeto c. Panaro, in Arch. loc. e cond., 1993, 116.
Le riparazioni alle tubature effettuate nell'interno degli appartamenti sono a carico dei rispettivi proprietari.
* Trib. civ. Milano, 26 giugno 1970, in Riv. giur. edilizia 1972, I, 216.
Le prese per la costruzione di nuovi canali di scarico e di nuova fognatura, necessari per sostituire il
preesistente sistema di scarico, a pozzi perdenti, con altro collegato direttamente alla fogna comunale, vanno
ripartite tra i condomini, non in proporzione all'uso che ciascuno di essi può farne, secondo la previsione di cui
all'art. 1123, comma 2, c.c., bensì in misura proporzionale ai valori di proprietà individuale espressi in millesimi,
a norma del comma 1 dello stesso articolo, purché i relativi condotti costituiscano un impianto unico non
suscettibile di frazionamenti, quali parti integranti del medesimo condotto principale nel quale confluiscono
senza del quale non potrebbero funzionare.
* Cass. civ., 12 ottobre 1979, n. 533.
Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti all'uso e al
godimento dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di spurgo della fossa biologica e di
pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalità di uso e alla misura dei servizi condominiali
rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7 cpv., c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.) - in quanto la
patrimonialità del thema decidendum prevale sull'accertamento della misura e delle modalità dell'uso, che
costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936, Piccirillo c. Cartaro ed altri.
IMMISSIONI (RUMORI, FUMI, ESALAZIONI)
SOMMARIO: a) Esalazioni maleodoranti; b) In genere; c) Inquinamento atmosferico; d) Limitazioni imposte dal
regolamento; e) Normale tollerabilità; f) Procedimento (azione inibitoria); g) Responsabilità del conduttore; h)
Rumori; i) Servitù di immissione; l) Tutela della salute; m) Vibrazioni prodotte da automezzi.
a) Esalazioni maleodoranti
Per stabilire se la destinazione o la fruibilità di un ambiente comune, in un condominio edilizio, siano state
degradate dalle esalazioni di un gabinetto di decenza costruito da uno dei condomini, il giudice del merito non
può limitarsi a constatare l'esistenza di un parere positivo dell'autorità sanitaria comune, poiché quest'ultima
cura interessi pubblici diversi da quelli privati, tutelati dalle norme del codice civile sul condominio.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1978, n. 4844.
Le esalazioni maleodoranti o comunque sgradevoli non rientrano nella tutela penalmente apprestata dall'art. 674
del codice penale per le emissioni moleste di gas vapori e fumo, ma possono esser fonte di responsabilità civile,
ove eccedano i limiti posti dall'art. 844 c.c.
* Cass. pen., sez. I, 24 aprile 1991, n. 4539 (ud. 29 gennaio 1991), Garzia.
b) In genere
La disposizione dell'art. 844 c.c., è applicabile anche negli edifici in condomino nell'ipotesi in cui un condomino
nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose
nella proprietà di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il
criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla
destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare,
nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a
destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilità sociale, cui è
informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed
economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (v. Cost., artt. 14, 31 e 47) le
esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti
all'esercizio di attività commerciali. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale
aveva ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a
breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli odori
prodotti dal forno di un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090, Cannata c. Pizzo.
La norma dell'art. 844 è applicabile anche ai rapporti tra i condomini di uno stesso edificio, quando uno di essi,
nel godimento della cosa propria od anche comune, dia luogo ad immissioni moleste e dannose nella proprietà
dell'altro.
* Cass. civ., 20 febbraio 1969, n. 570.
Ai fini della valutazione della liceità delle immissioni, l'art. 844 cod. civ. enuncia tre diversi criteri, di cui due
obbligatori ed uno facoltativo e sussidiario: i criteri obbligatori sono quelli della normale tollerabilità e del
contemperamento delle ragioni della proprietà con le esigenze della produzione, mentre il criterio facoltativo è
quello della priorità dell'uso.
* Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 1985, n. 6534, Dei A. c. Dei M.
Qualora i condomini, con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci in materia di
immissioni con norma più rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo, della liceità o
meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto dalla legge,
bensì dal criterio di valutazione fissato nel regolamento (nella specie trattavasi dell'installazione di una tipografia
nonostante che il regolamento facesse divieto di svolgere attività rumorose od emananti esalazioni nocive).
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195.
La protezione della proprietà da immissioni dannose è concessa dagli artt. 949 e 844 cod. civ. anche nei rapporti
tra condomini di uno stesso edificio quando uno di essi, nel godimento della cosa propria o comune, dia luogo
ad immissioni moleste e dannose nella proprietà di altro condomino, facendo sorgere in colui che subisce
l'immissione dannosa, il diritto al risarcimento del danno e ad una declaratoria giudiziale che sanzioni
l'illegittimità delle immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1982, n. 448, Leotta c. Greco.
La domanda di condanna all'eliminazione delle immissioni intollerabili di rumori, fumi e vibrazioni derivanti da
una centrale per la produzione di energia elettrica, proposta dal proprietario di un fondo adiacente alla stessa,
appartiene alla cognizione del giudice ordinario, in quanto, pur potendo comportare la chiusura di detta centrale,
essa è diretta alla tutela di diritti soggettivi (proprietà e salute), che si assumono lesi dalle modalità di attuazione
della produzione di energia, non già alla soppressione del relativo servizio pubblico.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 luglio 1995, Soc. Sep. c. Mazzella.
Sebbene l'art. 844 c.c. contenga un elenco esemplificativo delle immissioni suscettibili di divieto, posto che, in
esso, dopo l'espressa menzione di alcune di tali immissioni seguono le parole "e simili propagazioni" , tuttavia il
carattere eccezionale dei limiti posti alla estrinsecazione del diritto di proprietà fa sì che la tassatività sussiste nel
genus, se non nella species. Pertanto, la norma è passibile di applicazione, per interpretazione estensiva, ad
ipotesi che presentino tutti i seguenti requisiti: 1) materialità dell'immissione, cioè che essa cada sotto i sensi
dell'uomo ovvero influisca oggettivmente sul suo organismo (per esempio, radiazioni nocive) o su
apparecchiature (per esempio, correnti elettriche e onde elettromagnetiche); 2) carattere indiretto o mediato
dell'immissione, nel senso che essa non consista in un facere in alienum, ma costituisca ripercussione di fatti
compiuti, direttamente o indirettamente dall'uomo, nel fondo da cui si propaga; 3) attualità di una situazione di
intollerabilità, non semplice pericolo di essa, derivante da una continuità, o almeno periodicità, anche se non a
intervalli regolari, dell'immissione. Questi requisiti non ricorrono nell'ipotesi in cui aggetti di gronda e tubazioni di
raccolta delle acque piovane sporgano oltre la linea di confine.
* Cass. civ., sez. II, 7 settembre 1977, n. 3889.
La possibilità di eliminare o di ridurre la immissione con l'adozione di idonei accorgimenti tecnici può influire nella
valutazione della tollerabilità delle immissioni stesse, nel senso di far considerare intollerabile ciò che può essere
eliminato senza soverchio sacrificio e con mezzi normali; ma ciò non consente di affermare, in via di illazione,
che possano valutarsi con minor rigore quelle immissioni rispetto alle quali ogni rimedio sia stato adottato e si sia
rivelato, o non possa che rivelarsi, inutile, ciò perché l'adozione di accorgimenti tecnici non rileva, in relazione al
suo costo, sul piano della valutazione della normale tollerabilità delle immissioni bensì, in relazione alla sua
efficienza (o, al più, in relazione al rapporto tra il suo costo e la sua efficienza, ed impregiudicato restando, il
caso di totale o parziale inefficienza, il rimedio dell'indennizzo) sul piano della decisione circa i rimedi e le misure
da adottare.
* Cass. civ., 10 ottobre 1975, n. 3241.
Sia la norma dell'art. 844 cod. civ. e sia quella dell'art. 890 dello stesso codice sono ispirate all'esigenza di
contemperare le ragioni della proprietà con le necessità economico-sociali, con potere del giudice di stabilire i
rispettivi limiti; mentre l'art. 844 tende a tutelare la proprietà delle immissioni, il successivo art. 890 ha un più
vasto campo di applicazione, estendendo la sua previsione a tutti i casi in cui le immissioni sono tali da
provocare anche soltanto il pericolo di pregiudizio alla stabilità di un immobile o alla salubrità del luogo.
* Trib. civ. Napoli, 18 luglio 1983, Longo c. Spa Italsider, in Arch. civ. 1984, 770.
Il problema dell'interpretazione analogica dell'art. 844 c.c. in ipotesi in cui sia stata (esclusivamente) proposta
azione ex art. 2043 c.c. è in realtà (ai fini di causa) un falso problema, perché quando l'attore si limita ad agire
contro l'autore delle immissioni per la loro eliminazione è chiaro che egli svolge solo un'azione personale
inquadrabile nell'azione di risarcimento in forma specifica di cui all'art. 2058 c.c.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
c) Inquinamento atmosferico
La L. 13 luglio 1966, n. 615, la quale, all'art. 20, stabilisce che tutti gli stabilimenti industriali devono possedere
impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i più ristretti limiti che il progresso tecnico consenta, le
emissioni di fumi, gas, polveri o esalazioni ché, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica,
possono contribuire all'inquinamento atmosferico, non concerne la materia delle immissioni, cui si riferisce l'art.
844 c.c., né, più in generale, quella dei rapporti privatistici di vicinato, come risulta dalle finalità di detta
disciplina, quale traspare dal riferimento alla tutela della "salute pubblica" e, in particolare, alla prevenzione
dell'inquinamento atmosferico.
* Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 1975, n. 3241.
In tema di immissioni i limiti di tollerabilità previsti dalla L. 13 luglio 1966 n. 615 non trovano applicazione nei
rapporti privatistici di vicinato, che restano disciplinati dall'art. 844 cod. civ., con la conseguenza che
l'accertamento dell'eventuale intollerabilità delle immissioni comporta l'esistenza del danno in re ipsa e per il
vicino il diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell'art. 2043, fintantoché non vengano eliminate le
dette immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1987, n. 2580, Eridania c. Amoretti.
Le disposizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, contenente provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico,
disciplinano comportamenti che prescindono da qualsiasi collegamento con la proprietà fondiaria e che vengono
presi in considerazione in sé e per sé nell'interesse collettivo alla salvaguardia della salute in generale e non per
stabilire i limiti di equilibrio nella utilizzazione di tale proprietà che rimangono affidati alla disciplina delle
immissioni ex art. 844 cod. civ., senza trovare sanzione nella detta legge avente una diversa sfera di operabilità.
Pertanto, in materia di conflitti tra fondi vicini il comportamento dannoso del proprietario di uno di essi, quale
l'emissione di fumo prodotto da combustione dalla finestra di un locale adibito a panificio, pur essendo contraria
alle dette norme contro l'inquinamento atmosferico, non attribuisce ex se al proprietario di un appartamento
nell'edificio in condominio col primo il diritto di chiederne l'eliminazione se non nel caso in cui egli dimostri che
l'immissione di fumo nel suo appartamento supera il limite della normale tollerabilità ai sensi dell'art. 844 cod.
civ.
* Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1988, n. 2470, Scannapiero c. Califri.
In caso di effetti pregiudizievoli subiti da immobili siti in prossimità di uno stabilimento a causa delle immissioni di
polveri provenienti da questo, possono essere ritenute intollerabili ai sensi dell'art. 844 c.c. anche le immissioni
che non superino i limiti fissati dalla L. 13 luglio 1966, n. 615, sull'inquinamento atmosferico.
* Corte app. civ. Napoli, sez. I, 14 maggio 1992, n. 1162, Società Cementir c. Rigillo e altri, in Arch. loc. e cond.
1993, 311.
d) Limitazioni imposte dal regolamento
Quando l'attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio è idonea a determinare il turbamento del
bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento
condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l'attività stessa illegittima, se questa costituisca o non
immissione vietata a norma dell'art. 844 cod. civ., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono sempre imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite
dalla indicata norma generale sulla proprietà fondiaria.
* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1986, n. 4554, Graziosi c. Fiesoletti.
e) Normale tollerabilità
La disciplina relativa alle immissioni moleste provenienti dal fondo vicino, dettata dall'art. 844 cod. civ., ed il
limite della tutela inibitoria alle immissioni che superano la normale tollerabilità, trovano applicazione anche nei
rapporti di condominio, tra parte di proprietà esclusiva e parte di proprietà comune.
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
L'accertamento della tollerabilità o meno delle immissioni agli effetti previsti dall'art. 844 cod. civ., inerisce non
già ad un presupposto processuale, ma concerne una condizione dell'azione, verificabile, come tale, tenendo
conto anche dei fatti sopravvenuti nelle more del giudizio. (Nella specie, il Supremo Collegio, enunciando il
surriportato principio, ha cassato la decisione d'appello, confermativa del giudizio di intollerabilità delle
immissioni espresse dal primo giudice, perché emessa senza il previo controllo sull'esistenza in atto di tale
intollerabilità).
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6718, Soc. Cartiere R. c. Amadori.
La circostanza che il capoverso dell'art. 844 c.c. dia all'autorità giudiziaria ampi poteri discrezionali nella
valutazione del limite della normale tollerabilità delle immissioni, dovendosi contemperare le esigenze della
produzione con quelle della proprietà, tenendo anche conto, se del caso, della priorità dell'uso, non vuol dire che
quel limite possa essere superato, ma soltanto che esso debba essere valutato più o meno rigorosamente, in
relazione alle indicazioni date dalla norma, e che è conferito all'autorità giudiziaria il potere di dare quelle
disposizioni che valgono a ricondurre, quando sia possibile, al limite di tollerabilità le immissioni, nonché di
determinare un equo indennizzo quando quelle, benché tollerabili, producano un certo danno. Da ciò deriva che
le immissioni ritenute intollerabili dal giudice del merito costituiscono fatto illecito, possibile causa di danno
risarcibile a norma dell'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
In tema di nozione della normale tollerabilità, agli effetti di quanto dispone l'art. 844 cod. civ., opera il criterio
della relatività, essendo affidato al giudice un compito moderatore ed equilibratore da esercitarsi di volta in volta,
con riguardo, oltre alle condizioni di tempo e di luogo nelle quali si verificano le immissioni, anche alla loro
intensità ed idoneità a ripercuotersi sfavorevolmente sui soggetti che le ricevono.
* Pret. civ. Taranto, sede distaccata di Massafra 23 novembre 1977, Iurlano ed altri c. Lombardo e Morelli, in
Arch. civ. 1978, 68.
Il parametro della normale tollerabilità, di cui all'art. 844 cod. civ., in tema di immissioni derivanti dal fondo del
vicino, va accertato in base al criterio della relatività e caso per caso, essendo affidato al giudice un compito
moderatore da esercitarsi in relazione alle singole situazioni e all'entità degli interessi in conflitto e con riguardo,
altresì, alle esigenze della convivenza sociale e della funzione sociale della proprietà.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 27 gennaio 1978, n. 206, Cooperativa Sportiva Villaggio Brugherio Srl c. Castelli,
in Arch. civ. 1978, 546.
f) Procedimento (azione inibitoria)
Qualora un gruppo di condomini chieda la cessazione di immissioni moleste provenienti da un locale adibito ad
esercizio commerciale sito nel medesimo edificio in condominio e il giudice disponga l'esecuzione delle opere
necessarie per l'eliminazione delle denunciate immissioni, deve esser disposta l'integrazione del contraddittorio
nei confronti di tutti quei condomini, estranei al giudizio, le cui proprietà individuali riceverebbero pregiudizio
dall'esecuzione delle opere stesse. (Nella specie, i giudici di appello avevano disposto l'esecuzione di opere
idonee ad eliminare le immissioni stesse - costruzione di canna fumaria lungo la parete esterna dell'edificio - ma
avevano rigettato l'istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini rimasti estranei al
giudizio, limitandosi a disporre che le opere venissero eseguite "salva l'opposizione degli altri condomini aventi
diritto").
* Cass. civ., sez. II, 6 marzo 1978, n. 1108.
L'azione diretta ad impedire le immissioni intollerabili provenienti dal fondo del vicino non può senz'altro essere
considerata azione reale a difesa della proprietà o di altro diritto reale, perché ove la violazione materiale della
sfera giuridica altrui non sia accompagnata dalla pretesa di un diritto reale limitato sulla cosa, l'azione ha
carattere essenzialmente personale, a nulla rilevando che il diritto a pretendere l'eliminazione dell'attività
materiale commessa dal terzo sia sorta a causa della lesione di un diritto reale. In detta ipotesi, la domanda
rivolta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di proprietà esorbita dai limiti della negatoria e
va compresa nell'azione di risarcimento del danno mediante integrazione in forma specifica.
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1975, n. 4124.
L'azione concessa al proprietario ex art. 844 c.c., per far dichiarare l'illiceità delle immissioni moleste provenienti
dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca, costituisce un'azione di carattere reale, che
rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della proprietà, in ordine alle quali il valore della
causa va determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c. Ne consegue, che, quando agli atti non risulta il
reddito dominicale o la rendita catastale del bene immobile, si ha presunzione di competenza del giudice adito, e
grava sul convenuto, che eccepisce l'incompetenza per valore, l'onere di provare l'ammontare del predetto
reddito o della predetta rendita (o che, non risultando tali elementi di valutazione, la causa deve considerarsi di
valore indeterminabile), senza che i limiti di competenza per valore possano ritenersi superati per effetto di
un'ulteriore richiesta risarcitoria, atteso che la riserva di contenimento della competenza va riferita all'intero.
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1995, n. 8602, Barbano c. Ricci, in Arch. loc. e cond. 1996, 50.
In tema di immissioni in alienum la domanda di cessazione della turbativa comprende necessariamente l'istanza
di eliminazione delle molestie e una tale finalità può essere conseguita sia con la radicale rimozione dell'attività
svolta dal vicino, sia con l'attuazione degli accorgimenti tecnici idonei ad evitare la denunciata situazione
pregiudizievole, sia, infine, consentendo le immissioni contro pagamento di un'indennità a carico dell'immittente
ed a favore del proprietario del fondo soggetto alle immissioni medesime.
* Cass. civ., 21 novembre 1973, n. 3138.
In caso d'immissioni che eccedano la normale tollerabilità, l'attore può esperire azione inibitoria ex art. 844 cod.
civ., per far cessare le immissioni ed ottenere il risarcimento del danno subito.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1988, Saccone e altra c. Condominio Via Edison 12, Novate Milanese, in Arch. loc.
e cond. 1989, 538.
L'amministratore di condominio è legittimato a proporre ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare
immissioni moleste solo qualora nel ricorso stesso venga prospettata la sussistenza di un pregiudizio
incombente sul condominio in quanto tale, vale a dire sui beni di proprietà comune ex art. 1117 c.c.
* Trib. civ. Napoli, ord. 26 ottobre 1993, Condominio di via Terracina n. 81/25 di Napoli c. Miceli e Soc. Toscana,
in Arch. loc. e cond. 1995, 168.
Nell'azione ex art. 844, cod. civ., ove la tutela inibitoria sia richiesta per la tutela del diritto alla salute, lo schema
reale diventa un semplice presupposto formale al quale va ricollegata la legittimazione ad agire.
* Pret. Pietrasanta, ord. 17 marzo 1989, Bolgioni c. Moba, in Arch. civ. 1989, 520.
g) Responsabilità del conduttore
Nel caso di molestie determinate da attività svolte in una abitazione data in locazione, il conduttore, che ha il
godimento e l'uso della cosa locata, è responsabile, per le immissioni che superino la normale tollerabilità, nei
confronti dei proprietari o degli inquilini degli appartamenti vicini, e tale responsabilità non può essere limitata al
fatto personale del conduttore medesimo e delle sole persone di cui egli abbia la legale rappresentanza, in
quanto la titolarità del rapporto di locazione implica che egli debba impedire lo svolgimento, nell'abitazione
locatagli, delle predette attività da parte di tutte le persone appartenenti al suo nucleo familiare. La colposa
violazione di tale obbligo, che trova rispondenza in un principio di responsabilità sociale, è fonte di responsabilità
extracontrattuale (ai sensi, peraltro, dell'art. 2043 e non dell'art. 2051 cod. civ.) del soggetto titolare del rapporto
di locazione, che è, pertanto, passivamente legittimato in ordine alle azioni inibitoria e risarcitoria proposte, nei
suoi confronti da inquilini o condomini dello stabile.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1981, n. 6356, Aiese c. Colletta.
h) Rumori
Il bene della salute ha carattere primario ed assoluto, e nello ambito della tutela dei diritti assoluti assicurata
dagli art. 2043 e 2058 cod. civ., deve essere protetto contro qualsiasi attività che possa menomarlo, ma
l'assolutezza e l'incomprimibilità del diritto non escludono la necessità di accertare quali siano le condizioni
obiettive nel cui contesto il diritto viene esercitato, e se sia razionale il sacrificio totale di ogni altra esigenza in
potenziale conflitto con esso, tenuto anche conto che la ricerca dell'effettiva esistenza della menomazione (ossia
del confine tra un'attività che reca un semplice fastidio psicofisico ed un'attività che determina una vera e propria
menomazione di quel bene, nel senso di dar luogo ad oggettivi fenomeni patologici fisici o psichici) non può
essere compiuta con criteri puramente astratti, che prescindano dal concreto ambiente in cui la persona vive ed
opera. Pertanto, sia al fine di accertare la concreta sussistenza della lesione, sia al fine di stabilire le concrete
modalità della tutela, non può ritenersi ingiustificato il ricorso all'applicazione analogica delle disposizioni dell'art.
844 cod. civ. in tema di immissioni moleste, laddove fanno riferimento al criterio della tollerabilità della molestia
ed alla possibilità di estendere l'intervento del giudice al di là della barriera dell'inibizione assoluta, in modo da
ricomprendere la determinazione dei mezzi necessari per ricondurre l'attività aggressiva nei limiti del diritto.
(Nella specie, l'occupante di un appartamento di un edificio in condominio aveva chiesto l'inibizione dell'esercizio
della centrale termica condominiale, ubicata in un locale sottostante allo appartamento, poiché la rumorosità
dell'impianto recava nocumento alla sua salute; la Suprema Corte, alla stregua del principio di cui in massima,
ha ritenuto che, una volta accertata la lesione del diritto, non fosse a priori vietato al giudice, ai fini della tutela
dello stesso, di ordinare, anziché l'inibizione dell'uso dello impianto nel luogo in cui si trovava, l'esecuzione di
opere atte ad eliminare i rumori o a ricondurli nei limiti della tollerabilità).
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
In tema di immissioni (nella specie di rumori), le disposizioni dell'art. 844 cod. civ. trovano applicazione avendo
riguardo alla situazione del fondo che le riceve, con la conseguenza che se questo è sito in zona residenziale, la
normale tollerabilità deve essere valutata in base ai criteri vigenti in tale zona, in cui le immissioni stesse si
propagano, a nulla rilevando la loro normalità riferita al luogo di provenienza (nella specie, zona industriale).
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1984, n. 4523, Sica c. Glielmi.
Dalla mancata emanazione da parte del Comune di una propria regolamentazione limitatrice delle attività
rumorose, in base all'art. 66 del T.U. delle leggi di P.S., approvato con decreto 18 giugno 1931, n. 773, non si
può desumere che il Comune stesso abbia ritenuto l'attività produttiva prevalente sulle esigenze di quiete dei
privati, e che, in conseguenza, ogni imposizione di restrizioni debba considerarsi illegittima e l'art. 844 c.c. non
possa trovare applicazione. Le due norme, infatti, hanno finalità e campo di azione ben distinti: la prima, di
interesse pubblico, mira a tutelare la quiete pubblica, riguarda i rapporti tra l'esercente l'attività e la collettività in
cui egli opera, creando obblighi dell'esercente nei confronti degli enti preposti alla vigilanza, ma non diritti perfetti
nei confronti degli abitanti del Comune; la seconda, invece, regolando un rapporto fra fondi, tutela il diritto reale
di proprietà.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1974, n. 1452.
La potenzialità diffusiva del rumore nelle abitazioni confinanti con il pubblico esercizio dal quale provengano le
immissioni sonore, e il pregiudizio per la tranquillità esistenziale delle persone presenti in tali abitazioni, possono
essere desunti sulla base di prove documentali e testimoniali, oltre che dall'esame degli imputati, senza la
necessità degli accertamenti fonometrici realizzati sulla base dei metodi di misurazione previsti dal D.P.C.M. 1
marzo 1991.
* Cass. pen., sez. I, 19 settembre 1996, Cantarella.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 pone un limite di accettabilità dell'inquinamento acustico che deve essere tenuto
presente nella valutazione della tollerabilità delle immissioni sonore ex art. 844 c.c. per cui, oltre alla
determinazione dei limiti massimi assoluti, si deve tener conto anche dei limiti relativi, ossia della differenza
massima da non superare rispetto al livello del rumore ambientale.
* Corte app. civ. Milano, 29 novembre 1991, n. 1987, in Arch. loc. e cond. 1992, 113.
Tutte le immissioni sonore, anche se provengono da un appartamento ubicato nello stesso stabile in cui si trova
quello ove le stesse si propagano, devono essere mantenute entro i limiti di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991.
* Pret. civ. Pescara, ord. 15 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 non ha sostanzialmente modificato il precedente quadro giuridico di tutela
dall'inquinamento acustico (artt. 32 Cost. e 844 c.c.), in quanto i limiti previsti da tale normativa fanno riferimento
solo agli obblighi dei cittadini verso l'autorità, ma non autorizzano il singolo, una volta che egli abbia ottemperato
a tali norme, a violare i diritti specificamente previsti in favore dell'individuo e della proprietà
* Trib. civ. Monza, sez. I, 14 agosto 1993, n. 1436, Monti e altro c. La Tessitura F.lli Caimi, in Arch. loc. e cond.
1994, 122.
I limiti di maggior favore previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 in materia di inquinamento acustico non hanno
modificato il quadro giuridico di cui agli artt. 844 c.c. e 32 della Costituzione per cui il punto di intollerabilità è da
ritenersi ancora raggiunto allorché un determinato rumore superi di tre decibel il rumore di fondo.
* Trib. civ. Monza 4 novembre 1991, n. 1831, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In materia di inquinamento acustico, i limiti previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 non hanno superato i criteri fissati
dall'art. 844 c.c.; pertanto, nel caso di immissioni sonore, deve farsi riferimento alla "rumorosità di fondo" della
zona, cioè a quel complesso di suoni, di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici della
zona medesima, sui quali si innestano, di volta in volta, rumori più intensi (voci, veicoli...); tali elementi devono
essere valutati in modo obiettivo, in relazione alla reattività dell'uomo medio. In particolare, il principio da seguire
per determinare la tollerabilità del rumore è quello del mancato superamento della soglia di 3 decibel oltre il
rumore di fondo, che equivale ad un raddoppio dell'intensità di quest'ultimo.
* Trib. civ. Como, 21 maggio 1996, n. 871, Moretti c. Carenzio e Gentili, in Arch. loc. e cond. 1997, 103.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilità, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilità di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilità nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
Il rumore, in quanto eccedente i valori della normale tollerabilità, è di per sé nocivo alla salute di chi lo deve
sopportare; per realizzarsi lesione del diritto alla salute non è quindi necessaria alcuna ulteriore prova del danno
psicologico subito né del carattere ingiusto del rumore medesimo.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1991, n. 1304, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In caso di immissioni di rumori intollerabili provenienti da parti comuni dell'edificio, il condomino turbato nel
possesso del proprio appartamento può esperire azione di manutenzione contro il condominio in persona
dell'amministratore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, 20 dicembre 1983, n. 9595, Savarese Colosi c. Cond. via Cocco Ortu 120, Roma, in
Arch. loc. e cond. 1985, 362.
Le immissioni sonore prodotte dall'impianto comune di riscaldamento nell'appartamento di un condomino
possono cagionare un danno alla salute del condomino medesimo qualora siano superiori di tre decibel al
normale rumore di fondo.
* Corte app. civ. Milano, 9 maggio 1986, Condominio Stella di Merate ed altro c. Novati, in Arch. loc. e cond.
1987, 334.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilità delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio che assume
come punto di riferimento il rumore di fondo e ritiene intollerabile le immissioni che lo superino di oltre 3dB(A).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 637, Soc. Tessitura Fratelli Caimi c. Monti ed altri, in Arch.
loc. e cond. 1995, 390.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilità delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio
comparativo, consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo, costituiti dalla somma degli effetti
acustici prodotti dalle sorgenti sonore esistenti ed interessanti una determinata zona, con quello del rumore
rilevato nel luogo che subisce le immissioni, e nel ritenere superato il limite di "normale tollerabilità" per quelle
immissioni che abbiano un'intensità superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 3 ottobre 1989, Bonza e altra e Calloni e altri c. De Bernardi Granaria Spa, in Arch.
civ. 1990, 1149.
Incorre nel reato di cui all'art. 650 cod. pen. l'amministratore di un condominio che ometta di intervenire per
evitare rumorosità di un impianto di riscaldamento. Tra i suoi compiti rientra infatti anche quello di vigilare sul
migliore uso delle cose comuni.
* Cass. pen., sez. VI, 15 marzo 1980, n. 3726 (ud. 6 dicembre 1980), Montagna.
Il limite di normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ, in riferimento alle immissioni rumorose deve essere accertato
con riferimento al criterio relativo-comparativo del rumore di fondo e non al superamento di esso di un certo
livello di decibel in relazione ai diversi periodi della giornata e va tenuta presente, quindi, anche l'intensità in
assoluto del rumore.
* Trib. civ. Vigevano, 25 gennaio 1985, Dondoni c. Riseria F.lli Magni, in Arch. civ. 1985, 1454.
In presenza di immissioni sonore che superino il limite della normale tollerabilità vi è lesione del bene salute nel
momento stesso della realizzazione del fatto illecito, con conseguente esonero del danneggiato dalla prova
dell'esistenza di patologie conseguenti alla lesione; pertanto la risarcibilità del danno biologico deve essere
collegata all'esistenza e alla sopportazione di un'esposizione ad intollerabili e fortemente lesive immissioni
acustiche, idonee a compromettere le utilità della vita di relazione non godute.
* Trib. civ. Milano, 25 giugno 1998, n. 7721, Sgalippa ed altri c. Soc. San Giulianese, in Arch. loc. e cond. 1998,
723.
Costituisce immissione acustica eccedente la normale tollerabilità quella che, avuto riguardo alla natura del
rumore immesso e alla durata dell'attività immissiva, superi di almeno 3 decibel il c.d. rumore di fondo della
zona, inteso come quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e non,
caratteristici del luogo, sui quali si innestano di volta in volta i rumori più intensi prodotti da voci, veicoli o altro,
considerato come fonte rumorosa che persiste in modo continuo nell'ambiente per almeno il 95% del tempo di
osservazione.
* Pret. civ. Busto Arsizio, sez. dist. Saronno, ord. 5 agosto 1997, Tuniz ed altra c. Bar Sunrise, in Arch. loc. e
cond. 1998, 752.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilità delle immissioni sonore e per valutare la sussistenza del
presupposto oggettivo della illiceità dell'immissione, deve applicarsi il criterio comparativo, consistente nel
confrontare il livello medio dei rumori di fondo costituiti dalla somma degli effetti acustici prodotti dalle sorgenti
sonore esistenti e interessanti una determinata zona, con quello del rumore rilevato sul luogo che subisce le
immissioni, e nel ritenere superato il limite della normale tollerabilità per quelle immissioni che abbiano una
intensità superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo; tale disciplina non ha ricevuto deroga dal
D.P.C.M. dell'1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e
nell'ambiente esterno: infatti, le norme ivi previste, che hanno valore puramente regolamentare, disciplinano
esclusivamente i rapporti fra imprese ed enti locali per la bonifica del territorio dall'inquinamento acustico, senza
incidere sui rapporti di diritto soggettivo intercorrenti fra privati, e senza, quindi, porre eccezioni alle disposizioni
di legge di portata generale in materia di tutela dei diritti patrimoniali e della salute che competono ad ogni
persona.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 dicembre 1992, n. 2207, Mascolo c. Cond. di viale Rimembranze di Lambrate n.
9/A di Milano, in Arch. loc. e cond. 1993, 496.
In tema di immissioni sonore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 1 marzo 1991 il quale
fissa le modalità di rilevamento dei rumori, al pari dei regolamenti comunali limitativi delle attività rumorose,
essendo rivolto alla tutela della quiete pubblica, riguarda soltanto i rapporti fra l'esercente una delle suddette
attività e la collettività in cui esso opera, creando a carico del primo precisi obblighi verso gli enti preposti alla
vigilanza. Le disposizioni contenute nel sopraindicato decreto non escludono pertanto l'applicabilità dell'art. 844
c.c., che nei rapporti con i proprietari dei fondi vicini, richiede l'accertamento caso per caso della liceità o illiceità
delle immissioni. (Fattispecie in cui è stata ordinata, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., la sospensione
dell'attività imprenditoriale dalla quale erano derivate le immissioni sonore moleste).
* Trib. civ. Varese, ord. 3 giugno 1997, Ravasi c. Soc. Sev, in Arch. loc. e cond. 1997, 845.
Il D.P.C.M. dell'1 marzo 1991 pone un limite di "accettabilità" dell'inquinamento acustico che deve
indubbiamente essere tenuto presente nella valutazione della tollerabilità delle immissioni sonore ex art. 844
c.c.; oltre alla determinazione di limiti massimi assoluti (differenziati a secondo della tipologia delle zone e
l'incidenza solo diurna o anche notturna), vengono anche fissati per le zone non esclusivamente industriali, dei
limiti per così dire relativi, ossia una differenza massima "da non superare" rispetto al livello del "rumore
ambientale", differenza di 3 dB (A) in periodo notturno (ore 22-6) e 5 dB (A) in periodo diurno.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
Poiché nel nostro Paese mancano norme di legge circa l'isolamento acustico e i rumori ammissibili nelle
abitazioni, la giurisprudenza, necessitata a supplire alla carenza legislativa, ha elaborato, al fine di stabilire i
livelli di tollerabilità delle immissioni, un criterio comparativo-relativo che "determina" come punto di riferimento il
rumore di fondo e ritiene intollerabili le immissioni che lo superano di oltre 3 dB. Poiché il decibel, unità di misura
dell'intensità del suono, ha scala logaritmica, il limite massimo ammissibile di 3 dB sul rumore di fondo comporta
un raddoppio della intensità del rumore e significa che la componente del rumore immesso, considerata da sola,
non può superare il rumore di fondo.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. Loc. e Cond.1993, 496.
Il corretto criterio di liquidazione del c.d. danno biologico causato dai rumori prodotti da un'autoclave è quello
"equitativo" in funzione della intensità e durata delle immissioni acustiche intollerabili, dell'incidenza di queste
sulla salute e sull'occupazione degli attori e sulla loro vita di relazione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 18 maggio 1992, Buccella e altri c. Cond. delle Magnolie di Cesano Boscone, in
Arch. Loc. e Cond.1993, 121.
E' legittimo il ricorso al provvedimento ex art 700 cod. proc. civ. da parte di alcuni condomini, qualora le
immissioni di rumore negli appartamenti di un edificio, provocate dal funzionamento, soprattutto nelle ore
notturne, delle macchine esistenti nel sottostante panificio, eccedendo la normale tollerabilità, siano idonee a
determinare nei condomini stessi una menomazione della loro integrità psico-fisica e, quindi, l'insorgenza di
danno alla salute, autonomamente risarcibile.
* Pret. civ. Molfetta, 27 febbraio 1989, Del Rosso e Bartoli c. Squeo, in Arch. Loc. e Cond.1989, 351.
E' applicabile il procedimento di cui all'art. 700 c.p.c. nel caso di superamento dei limiti di tollerabilità acustica,
che potrebbe determinare un danno alla salute dei condomini. (Nella specie, i rumori intollerabili risultavano
provenire da una discoteca).
* Trib. civ. Milano, 28 ottobre 1993, in Arch. Loc. e Cond.1994, 356.
E' applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare reiterati, insistenti ed intollerabili suoni
di pianoforte provenienti da un appartamento anche se prodotti nelle ore consentite dal regolamento
condominiale, in quanto il primario e incomprimibile diritto assoluto alla salute spetta alla persona di per sé
considerata e non come collegata ad un certo immobile, non potendo tale diritto soffrire limitazioni di eventuali
atti di disposizione.
* Pret. civ. Torino, ord. 27 dicembre 1990, in Arch. Loc. e Cond.1992, 855.
Al fine di valutare il grado di tollerabilità di immissioni acustiche provenienti da un appartamento (nella specie:
attività pianistica e canora di una cantante lirica) non è possibile effettuare un collegamento diretto fra l'art. 844
c.c. ed il D.P.C.M. 1 marzo 1991, in quanto i limiti di tollerabilità di cui alla prima norma sono tutt'affatto diversi
dai limiti di accettabilità di cui al succitato decreto, nel senso che i secondi ben possono esser rispettati pur non
essendolo i primi.
* Corte app. civ. Torino, sez. II, 23 marzo 1993, n. 345, Musacchio e altri c. Vignera, in Arch. Loc. e Cond.1994,
823.
E' applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare le intollerabili immissioni prodotte da
suoni di pianoforte, in considerazione del grave ed irreparabile pregiudizio arrecato al diritto alla salute dei
condomini, il cui ambito di tutela è certamente più ampio e meno condizionato di quello accordato alle proprietà
confinanti in base all'art. 844 c.c.
* Pret. civ. Milano, 18 febbraio 1993, in Arch. Loc. e Cond.1994, 391.
Al fine di stabilire la tollerabilità, oppur no, di immissioni sonore può utilizzarsi il criterio c.d. comparativo, che fa
riferimento alla rumorosità di fondo della zona, tenendo presente che la soglia di pericolosità è costituita dallo
scarto di tre decibel tra il livello medio dei rumori di fondo e l'intensità della sorgente sonora generatrice delle
immissioni.
* Pret. civ. Taranto, 17 giugno 1988, n. 327, Protopapa c. Conversano, in Arch. civ. 1988, 1210.
In caso di immissioni derivanti dal fondo del vicino (nella specie, propagazioni di rumori e calore), deve ritenersi
superato il criterio della normale tollerabilità quando sia accertata una situazione potenzialmente nociva per la
salute dei proprietari che subiscono le immissioni.
* Pret. civ. Foligno, 10 giugno 1988, n. 49, Ferrata ed altri c. Proietti ed altri, in Arch. civ. 1988, 1081.
In caso di lamentata immissione di rumori molesti (nella specie: da impianti di riscaldamento ed autoclave), deve
farsi ricorso all'applicazione analogica dell'art. 844 cod. civ. oltre che per stabilire la sussitenza della lesione (o
del pericolo di lesione) del diritto alla salute tramite il concetto di <normale< tollerabilità, anche per determinare
le modalità della tutela da apprestarsi, dovendosi contemperare le esigenze delle parti con la determinazione dei
mezzi più opportuni a ricondurre nei limiti del diritto un'attività contra legem.
* Pret. civ. Brindisi, ord. 17 marzo 1986, Saponaro c. Condominio G. Puccini, in Arch. civ. 1987, 177.
Il proprietario di un immobile sito nelle immediate vicinanze di una discoteca che determini a suo parere un
rumore intollerabile, ha diritto di controllare la regolarità delle autorizzazioni rilasciate dal comune.
* Tar Lombardia, sez. II, 25 ottobre 1993, n. 629, Compagnoni c. Comune di Brezzo di Bedero, in Arch. Loc. e
Cond.1994, 153.
Degradazione ambientale e rumori, specie in relazione all'attività serale e notturna di un pubblico esercizio,
costituiscono lesioni di un legittimo interesse dei proprietari e residenti di unità immobiliari ubicate nel medesimo
stabile ove si svolge tale attività e legittimano gli stessi a ricorrere al giudice amministrativo per chiedere,
denunciando vizi formali del procedimento, l'annullamento della relativa autorizzazione comunale.
* Tar Emilia-Romagna, sez. II, 10 novembre 1992, n. 525, Meschiari e altri c. Comune di Maranello e Società
Bondi Leontino & C., in Arch. loc. e cond. 1993, 829.
Sussiste l'obbligo del condominio di risarcire sia il danno biologico che il danno morale subito da un condomino
a causa delle immissioni sonore, superiori alla normale tollerabilità, provenienti dalla centrale dell'impianto
comune di riscaldamento. La liquidazione del danno va effettuata con criterio equitativo dal giudice e non può
consistere in una somma meramente simbolica.
* Corte app. civ. Milano, 18 settembre 1990, n. 1803, in Arch. loc. e cond. 1991, 109.
Ai fini della valutazione dell'intollerabilità delle emissioni sonore, in mancanza del decreto, non ancora emanato,
relativo all'introduzione di livelli di tollerabilità particolari per le aree e le attività aeroportuali, in attuazione del
d.p.c.m. 1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di accettabilità delle emissioni sonore nell'ambiente esterno
e abitativo, il giudice può ricorrere ai criteri di tempo elaborati tenendo anche conto dei parametri introdotti da
quest'ultimo decreto.
* Pret. civ. Ciriè, ord. 25 marzo 1993, in Giur. it. 1994, I, II, 208.
In tema di inquinamento acustico in stabile condominiale, il parametro di confronto del <rumore equivalente<
<F128M-<F255D assunto dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 (Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti
abitativi e nell'ambiente esterno), anziché quello del <rumore di fondo < <F128M-<F255D non è idoneo a fornire
l'effettiva incidenza del rumore sulla salute ed appare quindi di dubbia legittimità al pari del fatto che il cennato
decreto non contiene alcuna specificazione a proposito del caso in cui la sorgente sonora sia interna allo stesso
stabile in cui si trova chi lamenta il superamento della normale tollerabilità dell'emissione rumorosa.
* Pret. civ. Monza, ord. 18 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Con riferimento alla nozione di immissione eccedente la normale tollerabilità agli effetti dell'azione di cui all'art.
844 c.c., per <rumore< si deve intendere qualunque stimolo sonoro non gradito all'orecchio umano e che, per le
sue caratteristiche di intensità e durata, può divenire patogeno per l'individuo.
* Trib. civ. Napoli, 17 novembre 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Va accolta la domanda di risarcimento danni di quanti lamentano una lesione alla salute provocata da
immissioni acustiche, superiori alla normale tollerabilità, effetto dell'esercizio di un'attività imprenditoriale (nella
fattispecie attività di falegnameria all'interno di un condominio) caratterizzata da negligenza conseguente alla
mancata adozione delle opportune cautele, nonché dall'inosservanza delle prescrizioni di legge; vanno
differenziate, ai fini esclusivamente del quantum risarcibile, le posizioni di chi dimostri sul piano clinico
un'effettiva lesione dell'integrità psico-fisica, e così un danno biologico oltre che morale, dovuti alla condotta,
dolosa o colposa, del convenuto (nel caso di specie comprovata da una perizia medico-legale), da chi abbia
subito invece un mero turbamento psicologico (e così solo un danno morale) conseguente all'altrui
comportamento illecito, anche penalmente in relazione al disposto dell'art. 659 c.p.p. Sono da ritenersi
civilmente responsabili in solido con il conduttore, ex art. 2055 c.c., per il danno biologico e comunque
patrimoniale (non così per quello morale), gli stessi locatori dell'immobile in cui detta attività lesiva dei diritti dei
terzi era svolta, i quali locatori dovevano (o avrebbero dovuto) infatti conoscere e impedire l'attività che il
conduttore vi avrebbe esercitato e così prevenire le conseguenze lesive da questa prodotte; tale
corresponsabilità civile dei locatori, difettando una rilevanza penale del loro comportamento omissivo, non si
estende peraltro al danno meramente morale.
* Trib. civ. Vigevano, 9 agosto 1991, in Giur. it. 1992, I, 2, 118.
Anche il disturbo dell'abbaiare di un cane nel condominio non è presunto ma deve essere inquadrato nei limiti
della normale tollerabilità.
* Trib. civ. Milano, 22 marzo 1990, in L'Ammin. 1992, n. 4.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrità della persona del condomino ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, né può negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrità psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilità, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante è dato acquisito alla scienza medica
attuale, né occorre in concreto verificarla.
* Corte app. civ. Milano, 29 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, 1921.
Nel giudizio sulla normale tollerabilità, ex art. 844 c.c., di immissioni acustiche provocate dall'uso di campane a
scopo di culto, va effettuato, in estensione del secondo comma di tale articolo, un equo contemperamento tra le
ragioni della proprietà e le esigenze della vita religiosa.
* Pret. civ. Mantova, ord. 16 agosto 1991, in Giur. it. 1993, I, 2, 40.
In caso di inquinamento acustico prodotto nelle abitazioni di uno stabile a causa dell'esercizio di un'attività
lavorativa, la lesione dell'integrità psico-fisica dell'individuo va collocata nell'ambito dell'illecito extracontrattuale
di cui all'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32 Cost.
* Trib. civ. Vigevano, 9 agosto 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 577.
Nel caso di immissioni moleste eccedenti la normale tollerabilità, di cui all'art. 844 c.c., sorgono a favore del
proprietario del fondo danneggiato due distinte azioni: quella reale che si inquadra nel paradigma dell'azione
negatoria servitutis regolata dall'art. 949 c.c., in quanto rivolta ad eliminare le cause delle dette immissioni e
quella personale, avente natura risarcitoria, volta ad ottenere l'attribuzione di un indennizzo commisurato alla
capitalizzazione del minor reddito del fondo, dipendente dalle immissioni stesse. (Fattispecie in tema di rumori e
vibrazioni cagionate nello svolgimento di un'attività di carpenteria metallica).
* Trib. civ. Milano, 10 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
In caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare "disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi
natura", il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale norma
regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
In caso di violazione del limite della normale tollerabilità, posto dall'art. 844 c.c., in virtù di schiamazzi e rumori
provocati dall'attività di una sala giochi, ed essendo risultato vano ogni possibile accorgimento per ricondurre i
rumori entro il suddetto limite, ricorrono gli estremi per disporre la cessazione dell'attività contraria al
regolamento svolta dal convenuto.
* Trib. civ. Milano, 21 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
Il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone è reato di pericolo e per la sua sussistenza non è
necessaria la prova che il disturbo investa un indeterminato numero di persone, essendo sufficiente una
condotta tale da poter determinare quell'effetto.
* Cass. pen., sez. I, 12 gennaio 1990, n. 133 (ud. 23 giugno 1989), Arbore.
Il disturbo punito con la norma dell'art. 659 cod. pen. concerne non soltanto il riposo, ma altresì la quiete, che è
bene tutelato ad ogni ora diurna e notturna, a prescindere da orari lavorativi.
* Cass. pen., sez. VI, 22 marzo 1980, n. 4049 (ud. 9 ottobre 1979), Giangrasso.
Per integrare il reato di cui all'art. 659, primo comma, c.p. non è necessaria la prova del reale disturbo provocato
al riposo e alle occupazioni delle persone, ma occorre la certezza che schiamazzi e rumori siano obiettivamente
idonei a recare tale disturbo. Occorre cioè la prova del superamento dei limiti della normale tollerabilità di
emissioni sonore e della percettibilità delle stesse da parte di un numero illimitato di persone,
indipendentemente dal fatto che in concreto delle persone siano state effettivamente disturbate, trattandosi di un
reato di pericolo. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio l'impugnata sentenza di condanna del titolare di
una discoteca, in quanto il pretore, per stabilire l'idoneità dei rumori provenienti dalla discoteca ad arrecare
disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone, si era basato unicamente sulle dichiarazioni rese da coloro
che dimoravano nelle vicinanze, sostituendo così un criterio soggettivo al criterio oggettivo, in base al quale
deve essere determinata tale idoneità).
* Cass. pen., sez. I, 27 marzo 1992, n. 3741 (ud. 15 gennaio 1992), Barbera.
Per la configurazione del reato di cui all'art. 659 c.p. è sufficiente che la condotta dell'imputato sia tale da poter
disturbare un numero indeterminato di persone, ed è irrilevante che nessuno dei vicini se ne sia lamentato e che
i suoni siano stati rilevati soltanto dagli organi di polizia. (Fattispecie in cui, secondo quanto riferito da un agente,
alle ore 2,30 la misura di uno stereo ad alto volume proveniente dall'appartamento dell'imputato, si udiva nella
strada ad una distanza di circa due-trecento metri; la Cassazione ha ritenuto la sussistenza del reato de quo
enunciando il principio di cui in massima).
* Cass. pen., sez. I, 30 settembre 1993, n. 2895 (c.c. 17 giugno 1993), Solari.
Per la configurabilità del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) è
necessario che i rumori abbiano una certa attitudine a propagarsi, in modo da essere idonei a disturbare più
persone. Pertanto, quando si tratta di rumori prodotti in edificio condominiale è necessario che essi, tenuto conto
anche dell'ora (notturna o diurna) in cui vengono prodotti, arrechino disturbo ovvero abbiano l'idoneità concreta
di arrecare disturbo ad una parte notevole degli occupanti del medesimo edificio, configurandosi altrimenti
soltanto un illecito civile da inquadrarsi nell'ambito dei rapporti di vicinato. Ne consegue che per affermare la
sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. è necessario procedere all'accertamento della natura
dei rumori prodotti dal soggetto agente e alla loro diffusività, che deve essere tale da far risultare gli stessi rumori
idonei ad arrecare disturbo ad un numero rilevante di persone e non soltanto a chi ne lamenta il fastidio.
* Cass. pen., sez. I, 28 marzo 1995, n. 3348 (ud. 16 gennaio 1995), Draicchio.
La violazione di cui al comma 1 dell'art. 659 c.p. - disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - è un
reato di pericolo, ad integrare il quale è necessario e sufficiente che i rumori recanti disturbo abbiano una
potenzialità diffusiva verso un numero indeterminato di persone. Non è invece richiesto - contrariamente a
quanto avviene per il reato di procurato allarme presso l'autorità di cui all'art. 658 c.p. - un attentato alla pubblica
quiete od alla tranquillità della collettività.
* Cass. pen., sez. I, 18 settembre 1995, n. 9704 (ud. 5 luglio 1995
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, i rumori e gli schiamazzi vietati, per essere
penalmente sanzionabile la condotta che li produce, debbono incidere sulla tranquillità pubblica, essendo
l'interesse specificamente tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillità sotto l'aspetto della pubblica
quiete, la quale implica, di per sé, l'assenza di cause di disturbo per la generalità dei consociati, di guisa che gli
stessi debbono avere tale potenzialità diffusa che l'evento di disturbo abbia la potenzialità di essere risentito da
un numero indeterminato di persone, pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare.
Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo ai soli
occupanti di un appartamento, all'interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio
in cui è inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo,
effettivo o potenziale, della tranquillità di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite
persone, sicché un fatto del genere può costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di
danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile.
* Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 1998, n 1406 (ud. 12 dicembre 1997), P.C. e Costantini, in Arch. loc. e cond.
1998, 711.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) è
necessario l'elemento dell'attitudine dei rumori a disturbare una pluralità indeterminata di persone: ne consegue
che, allorquando si tratti di rumori prodotti in un edificio condominiale, ove il disturbo sia arrecato al circoscritto
numero di inquilini di appartamenti sottostanti e soprastanti a quello di provenienza dei rumori stessi, si
configura un illecito civile che resta confinato nell'ambito dei rapporti di vicinato, non essendo ravvisabile alcuna
lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto dal citato art. 659 c.p., costituito dalla "pubblica
tranquillità".
* Cass. pen., sez. I, 4 giugno 1996, n. 5578 (ud. 6 novembre 1995), Giuntini.
i) Servitù di immissione
Non è concettualmente possibile ipotizzare l'acquisto per usucapione di una servitù di immissione. Quando
venga superato il limite della liceità delle immissioni, segnato dall'art. 844 c.c., si è in colpa, ancorché si faccia
uso normale della cosa fonte delle immissioni, e se da ciò deriva danno ad altri il danno è ingiusto, in quanto
ricorrono tutti gli elementi della fattispecie prevista dall'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
l) Tutela della salute
Ai fini dell'art. 844 cod. civ. l'intollerabilità delle immissioni (nella specie esalazioni provenienti dalla evaporazione
di idrocarburi adoperati per il lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto conto del contemperamento delle
esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, sussiste anche quando esse, pur non essendo di
eccessiva entità, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilità che le rende insopportabili, al
bene primario della salute.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1989, n. 3675, Ferulli c. Gargiulo.
L'amministratore di condominio non è legittimato ad intraprendere, in forza di delibera adottata a maggioranza,
un giudizio di natura risarcitoria volto alla tutela del diritto alla salute dei condomini, rientrando tale diritto tra
quelli esclusivi e personali.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, ord. 29 giugno 1999, Condominio di via Petrarca n. 37 di Napoli c. Petruccio P. ed
altra, in Arch. loc. e cond. 1999, 832.
Poiché l'art. 844 cod. civ. disciplina i rapporti inerenti al diritto di proprietà dei beni immobili, dal suo ambito
esulano i diritti personali, tra i quali è da annoverare quello alla salute considerato dall'art. 32 Cost., con la
conseguenza che per la tutela di quest'ultimo, in caso di denunziata lesione dipendente da atto o fatto illecito
ancorché concernente immissioni provenienti dal fondo del vicino, venendo in considerazione ed essendo
applicabili, mediante le opportune statuizioni riparatorie, ripristinatorie ed inibitorie, le norme dettate in via
generale dagli artt. 2053 e 2058 cod. civ. la relativa domanda, in quanto autonoma e distinta da quella fondata
sul cit. art. 844 cod. civ., deve essere proposta in modo espresso, senza potersi ritenere compresa in quella di
natura reale intentata per l'inibizione delle immissioni a norma dell'art. 844 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3921, Bontempi c. Mastropietro.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilità implicano di per sé, anche in mancanza della prova di
una vera e propria menomazione patologica, una lesione del diritto alla salute inteso nel senso più ampio del
diritto all'equilibrio e al benessere psicofisico.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
Poiché il diritto alla salute si configura non solo come diritto alla vita e all'incolumità psicofisica, bensì anche alla
salubrità dell'ambiente, è ammissibile l'azione inibitoria ex art. 700 c.p.c. delle immissioni di cui all'art. 844 c.c.,
alla sola condizione che superino la normale tollerabilità (fumus boni iuris), dato che l'ulteriore requisito del
periculum in mora, richiesto dal codice di rito per l'esperibilità del rimedio d'urgenza, è in re ipsa, comportando
l'immissione nociva sempre l'alterazione dell'equilibrio psicofisico del soggetto, non suscettibile, se non in
minima parte, di essere valutata in termini economici, e quindi di essere riparata ex art. 2043 c.c. all'esito del
giudizio di merito promosso dal danneggiato.
* Pret. civ. Buccino, ord. 18 aprile 1990, in Arch. civ. 1991, fasc. 6.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrità della persona del condominio ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, né può negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrità psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilità, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante è dato acquisito alla scienza medica
attuale, né occorre in concreto verificarla.
* Corte app. civ. Milano 29 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, 1921.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilità, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilità di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilità nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
m) Vibrazioni prodotte da automezzi
Con riguardo all'azione di nunciazione, proposta dal condominio di un edificio nei confronti del comune, in
relazione al pregiudizio alla stabilità del fabbricato derivante dalle vibrazioni prodotte dagli automezzi di pubblico
trasporto urbano, deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario, ove si verta in tema non
d'impugnazione di atti o provvedimenti amministrativi, ma di tutela del diritto dominicale, nei rapporti di vicinato,
contro immissioni eccedenti la normale tollerabilità (art. 844 c.c.), mentre non rileva, al fine di detta giurisdizione,
il tipo della pronuncia cautelare richiesta (influente sotto il diverso profilo dei limiti interni delle attribuzioni del
giudice ordinario, ai sensi dell'art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 24 aprile 1991, n. 4510.
INDENNITA' PER LA PERDITA DELL'AVVIAMENTO COMMERCIALE
SOMMARIO: a) Ambito di operatività; b) Attività prevalente; c) Casistica: c-1) Agenzia pubblicitaria; c-2) Area di
parcheggio; c-3) Artigiano; c-4) Associazione non riconosciuta; c-5) Attività di trasporto; c-6) Attività di vendita al
minuto; c-7) Attività scolastica; c-8) Attività stagionale; c-9) Attività turistica; c-10) Autosalone; c-11) Autoscuola;
c-12) Banca; c-13) Cabina elettrica; c-14) Campeggio; c-15) Circolo culturale; c-16) Deposito; c-17) Ente
pubblico; c-18) Esposizione di merce; c-19) Estetista; c-20) Impresa assicuratrice; c-21) Laboratorio analisi
cliniche; c-22) Mediatore professionale; c-23) Officina; c-24) Palestra; c-25) Ricevitoria; c-26) Sartoria artigiana;
c-27) Scuola di danza; c-28) Studio di pittore; c-29) Studio pubblicitario; c-30) Vendita di tessuti; c-31) Vetrinetta;
d) Competenza; e) Contatti diretti con il pubblico; f) Controversie; g) Determinazione; h) Diritto di ritenzione; i)
Esclusione; j) Finalità; k) Interruzione dell'attività; l) Liquidazione forfettaria; m) Mutamento d'uso; n) Natura del
credito; o) Offerta; p) Onere probatorio; q) Prescrizione del credito; r) Presupposti; s) Procedimento cautelare; t)
Recesso anticipato; u) Rinuncia; v) Risarcimento del danno; w) Sublocazione; x) Tentativo obbligatorio di
conciliazione; y) Vendita dell'immobile.
a) Ambito di operatività
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio
1978, n. 392 e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge, scaduto il contratto, il conduttore
che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennità per
l'avviamento a lui dovuta, è obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 15 novembre 2000, n. 1177, Pascucci c. Zanobbi ed altri.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, la rinuncia implicita alla indennità
di avviamento contenuta in un contratto di transazione non è affetta da nullità ex art. 79 della L. n. 392 del 1978
(per stipulazione di patti contrari alla legge stessa), in quanto tale norma è volta ad evitare la elusione in via
preventiva dei diritti del locatario, ma non esclude la possibilità di disporne una volta che i diritti medesimi siano
sorti.
* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1999, n. 3984, Ledda c. Sulis.
L'indennità per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392 consiste in un debito
di valuta e non di valore. (Nel caso di specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva considerato il
debito per la perdita dell'avviamento come debito di valore, liquidandolo con adeguamento ai valori monetari al
momento della sentenza).
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1998, n. 12090, Andriolo ed altra c. Volpato.
In tema di contratti di locazione non abitativa venuti a cessare alle scadenze legali fissate negli artt. 67 e 71
della legge n. 392 del 1978, se il rapporto successivamente prosegue anche tacitamente fra le parti, viene a
nascita un rapporto del tutto nuovo, soggetto alla disciplina ordinaria di cui alla suddetta legge, e pertanto anche
a quella di cui all'art. 34 circa i criteri di determinazione della indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale.
* Cass. civ., sez. III, 1 settembre 1999, n. 9195, Stracciari c. Fantart di Clò Maria Teresa & c. sas, ed altra.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora la data di rilascio ricada nella
sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 7 D.L. n. 551 del 1988, conv. nella legge n. 61 del 1989, il
conduttore è tenuto, per tutto il periodo di operatività della predetta sospensione, a corrispondere al locatore
l'indennità di occupazione, nella misura prevista dal secondo comma del citato art. 7, a nulla rilevando che non
gli sia ancora stata corrisposta, n‚ offerta, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, spettantegli a
norma dell'art. 34 legge n. 392 del 1978, in quanto, nell'indicato periodo di sospensione, il provvedimento di
rilascio non è eseguibile per cause diverse e indipendenti dalla mancata corresponsione dell'indennità per
perdita di avviamento, con la conseguenza che, durante il periodo medesimo non può ritenersi gravante sul
locatore l'onere di corrispondere la stessa.
* Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1998, n. 12419, Sabbi c. Maselli.
Non integra gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo dell'obbligo di pagare il
canone, pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento.
* Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1999, n. 8389, Cesare ed altro c. Pirozzi.
L'art. 79 della L. 27 luglio 1973, n. 392, il quale sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata
legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad
attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, mira ad evitare che al momento
della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul cosiddetto
equo canone, aggravando in particolare la posizione del conduttore, ma non impedisce che al momento della
cessazione del rapporto le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla
rinuncia da parte del conduttore, dopo la cessazione del rapporto, all'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale di cui all'art. 34 della stessa legge.
* Cass. civ., sez. III, 3 aprile 1993, n. 4041, Pelosi c. Scifo.
L'esecuzione del provvedimento di rilascio di immobile locato ad uso non abitativo è condizionata, a norma
dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978 n. 392, all'avvenuta corresponsione dell'indennità per la perdita
dell'avviamento commerciale, con la conseguenza che tale esecuzione deve necessariamente seguire alla
decisione su detta indennità. Pertanto, ove quest'ultima si sia avuta con la sentenza definitiva, legittimamente la
data del rilascio dell'immobile, che sia stato già disposto con sentenza non definitiva, viene fissata non con
questo provvedimento bensì con quella pronuncia definitiva.
* Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1983, n. 4145, Novelli c. Migliorini.
In tema di indennità di avviamento, poiché‚ l'art. 34 della L. n. 392/1978, stabilisce che l'esecuzione del
provvedimento di rilascio di immobile urbano, per il quale sia dovuta detta indennità, è condizionato al
pagamento della stessa, la sua corresponsione incide non sull'adozione del provvedimento di rilascio bensì sulla
esecuzione di esso, ancorché‚ il rilascio non sia stato espressamente condizionato a quell'adempimento.
* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1990, n. 771, D'Urso c. Scognamiglio.
La disposizione dettata, con riferimento alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione per cui sia dovuta alla cessazione del rapporto l'indennità per la perdita dell'avviamento, dall'art. 34
della legge 27 luglio 1978 n. 392 (e, per il regime transitorio, dall'art. 69, sia nella stesura originaria che nel testo
di cui al D.L. n. 832 del 1986, convertito con modificazioni in legge n. 15 del 1987), secondo cui l'esecuzione del
provvedimento di rilascio dell'immobile è condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennità, ha efficacia
innanzitutto sul piano sostanziale e, subordinando il rilascio al versamento dell'indennità, specularmente
condiziona il pagamento dell'indennità al rilascio e instaura così tra le due obbligazioni un'interdipendenza che
costituisce fondamento per un'eccezione alla stessa assimilabile. Infatti detta disposizione, inserendosi nel
quadro normativo di protezione delle attività imprenditoriali svolte in immobili locati, costituisce ulteriore
espressione della tutela dell'avviamento e non attribuisce un mero diritto di ritenzione, ma consente la
protrazione dell'esercizio dell'attività economica nell'immobile -sulla base di un rapporto instaurato in forza di
legge, geneticamente collegato al precedente rapporto contrattuale, da cui ripete l'essenza minimale delineata
dall'art. 1571 c.c., e avente per finalità proprio la protrazione dell'uso dell'immobile - fino al momento in cui il
conduttore possa utilizzare la prevista monetizzazione del valore di avviamento per assicurare un'altra adeguata
collocazione all'impresa. Conseguentemente non è idonea a determinare la costituzione in mora del locatore
quanto al pagamento dell'indennità di avviamento la sola richiesta di pagamento se non sussiste oggettivamente
la sua mora, in conseguenza del rilascio dell'immobile o di un'offerta del conduttore di restituzione dello stesso,
formulata con le modalità previste dall'art. 1216 c.c. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza con cui, nel
giudizio promosso dal locatore per la determinazione dell'indennità di avviamento, era stato riconosciuto il diritto
del conduttore agli interessi e al maggior danno da svalutazione monetaria relativamente all'indennità stessa, a
seguito di proposizione da parte sua di domanda riconvenzionale in tal senso, dal giudice di merito valorizzata
quale atto di costituzione in mora a prescindere dal rilascio dell'immobile o dalla relativa offerta). * Cass. civ.,
sez. III, 17 ottobre 1995, n. 10820, Soc. Immobiliare Tiziana c. Soc. Gestione Albergo Atlas.
Il diritto all'indennità di avviamento commerciale (art. 34 legge 27 luglio 1978 n. 392) presuppone un rapporto di
locazione in atto, legittimante il godimento de iure dell'immobile, e perciò non spetta se il conduttore,
contravvenendo all'obbligo di restituzione (art. 1591 c.c.), permane nel godimento dell'immobile dopo la
scadenza del contratto, pur se rispetta la data fissata nel provvedimento di rilascio (art. 56 stessa legge).* Cass.
civ., sez. III, 23 gennaio 1998, n. 667, Benevegnù c. Parisi.
La corresponsione dell'indennità di avviamento di cui all'art. 34 comma terzo della L. 27 luglio 1978, n. 392 non
condiziona il diritto del locatore alla esecuzione del provvedimento di rilascio, ma solo l'inizio di tale esecuzione,
per cui non deve necessariamente precedere la notificazione del precetto che, come è reso palese dall'art. 479
c.p.c., è solo atto prodromico rispetto alla esecuzione ed, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., può essere impugnato con
l'opposizione alla esecuzione, prima che questa sia iniziata, solo per contestare il diritto dell'istante di procedere
alla esecuzione per l'inesistenza o invalidità del titolo esecutivo o la successiva modifica o estinzione del diritto.
Ne consegue che, ove non sia stata corrisposta l'indennità di avviamento, il conduttore può proporre
opposizione alla esecuzione solo dopo che questa è iniziata, e non prima, contro il precetto, che, anche se
intimato anteriormente a detta corresponsione, è pienamente legittimo.
* Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11470, Piana c. Zamazio.
Il rifiuto illegittimo del conduttore a ricevere l'indennità di avviamento è da ritenersi equipollente all'avvenuta
corresponsione ai fini della procedibilità dell'esecuzione di rilascio dell'immobile.
* Pret. civ. Piacenza, 4 novembre 1992, n. 833, Società Castel c. Società Il Belvedere.
b) Attività prevalente
Il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392, può
essere riconosciuto al conduttore di immobile nel quale venga esercitata congiuntamente la vendita all'ingrosso
e al minuto (ancorché‚ in violazione del divieto di cui all'art. 1 della legge 11 giugno 1971, n. 426) solo quando
l'attività di vendita al minuto, con modalità che comportino contatto diretto con il pubblico, abbia carattere
prevalente rispetto all'altra. (Fattispecie relativa ad attività di vendita all'ingrosso di apparecchiature farmaceutico
sanitarie, nella quale i giudici di merito -con decisione annullata sul punto dalla Suprema Corte -accogliendo la
domanda di indennità di avviamento avevano dato rilievo allo svolgimento anche di una attività di vendita al
dettaglio di tali apparecchiature senza porsi il problema del carattere prevalente o no di quest'ultima).
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 1232, Ferrero c. Actis Srl.
In caso di locazione unitaria di un immobile usato quale negozio e di altro usato quale magazzino, l'indennità di
avviamento va calcolata in riferimento esclusivo ai locali destinati al commercio al dettaglio.
* Pret. civ. Bergamo, 25 marzo 1982, n. 246, Carrara e altro c. Dolcedo Snc.
Ai fini dell'accertamento sull'obbligo di corrispondere l'indennità per la perdita dell'avviamento, si deve fare
ricorso al criterio della prevalenza qualora solo una parte dell'immobile locato sia destinata ad attività che
comporta contatti diretti col pubblico degli utenti o dei consumatori. Per accertare la prevalenza si deve fare una
valutazione complessiva considerando oltre all'ampiezza della parte d'immobile destinata all'attività, anche il
numero dei dipendenti addetti, l'importanza economica e la natura dell'attività stessa; contribuisce a non fare
ritenere prevalente l'attività, che pur comporta contatti diretti col pubblico, il fatto che è esercitata in condizioni di
monopolio e da un trasferimento di sede non può derivare danno alcuno.
* Pret. civ. Parma, 7 aprile 1979, FAEP c. Zanussi Spa.
c) Casistica:
c-1) Agenzia pubblicitaria
L'attività di agenzia pubblicitaria va inquadrata, ai fini dell'art. 35 della legge n. 392/1978, non tra quelle
professionali - da intendersi nel senso ristretto di esercizio di una professione intellettuale -ma tra le attività
commerciali, realizzando una intermediazione nello scambio dei beni, e precisamente nella cessione di spazi
pubblicitari.
* Pret. civ. Milano, 9 maggio 1985, Communication Service Srl c. Betti.
c-2) Area di parcheggio
In caso di cessazione della locazione di un bene su un immobile complementare -nella specie spazio scoperto,
adibito a stazionamento di un camion per la vendita di panini e bevande, situato su un'area di parcheggio per i
clienti di un esercizio commerciale -non spetta al conduttore l'indennità prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio
1978 n. 392 perché‚ da un lato egli ha sfruttato la clientela altrui (cosiddetto avviamento parassitario); dall'altro la
fattispecie rientra nell'art. 35 ultima parte della stessa legge essendo le esemplificazioni ivi indicate (immobili
complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali) suscettive di
interpretazione analogica.
* Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1997, n. 810, Perni c. Iper Montebello Soc.
c-3) Artigiano
Non spetta l'indennità per la perdita dell'avviamento al conduttore che abbia svolto attività di artigiano,
consistente nella creazione di monili e soprammobili artistici, in un locale nel quale non avveniva il contatto
diretto con i consumatori, in quanto la clientela si formava non in relazione a tale laboratorio, bensì in occasione
di mostre ed esposizioni alle quali l'artista era solito partecipare.
* Trib. civ. Roma, sez. IV, 21 luglio 1992, Milana c. Vignarelli, in Arch. loc. e cond. 1992, 593.
c-4) Associazione non riconosciuta
Compete l'indennità di avviamento commerciale ad una associazione non riconosciuta che, svolgendo attività di
noleggio di pellicole, presta tale servizio ai titolari di sale cinematografiche, in quanto il pubblico degli utenti e
consumatori, ex art. 35 L. n. 392/1978, nel caso di attività di prestazione di servizi, può non essere costituito
dagli utenti finali del servizio.
* Pret. civ. Firenze, 19 gennaio 1989, Società Immobiliare Medio Tevere c. Associazione Cattolica Esercenti
Cinema.
c-5) Attività di trasporto
L'attività di trasporto di collettame, non implicando necessariamente contatto diretto con gli utenti nell'immobile
oggetto di locazione, comporta, qualora il locatore provi l'inesistenza di tale condizione, l'insussistenza del diritto
del conduttore a percepire l'indennità di avviamento commerciale. * Pret. civ. Trento, 5 ottobre 1993, n. 190,
Collodo Luigi e altri c. Soc. Collodo Autotrasporti.
c-6) Attività di vendita al minuto
L'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale ex artt. 34 e 35 della legge sull'equo canone compete al
conduttore dell'immobile adibito ad uso non abitativo soltanto quando l'attività di vendita al minuto con modalità
che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori sia esclusiva o prevalente rispetto ad
altre attività eventualmente esercitate nello stesso locale (nella specie, la decisione di merito confermata dalla
S:C: aveva negato il diritto del conduttore all'indennità in quanto l'attività prevalente esercitata nell'immobile era
quella di progettazione di edifici e non di vendita di appartamenti).
* Cass. civ., sez. III, 15 novembre 1994, n. 9558, Piffer Figli snc c. Beber. Conforme, Cass. civ., sez. III, 10
maggio 1996, n. 4433.
c-7) Attività scolastica
L'attività scolastica esercitata a fini di lucro e con gestione a strutture imprenditoriale integra attività commerciale
rientrante nella previsione dell'art. 27 della legge 27 luglio 1978, n. 392, sicché‚ al conduttore di immobile adibito
alla suddetta attività spetta alla cessazione del rapporto l'indennità di avviamento. * Cass. civ., sez. III, 29
maggio 1995, n. 6019, Giulivo c. Brancoli.
c-8) Attività stagionale
Al conduttore d'immobile adibito ad attività commerciale stagionale compete l'indennità di avviamento, almeno
ogni qual volta la cessazione del rapporto sia dovuta non a mancata manifestazione della volontà del conduttore
di rinnovare il rapporto al termine della prima, seconda, terza, quarta e quinta stagione (situazione da equiparare
ad una disdetta o recesso da parte del conduttore medesimo), bensì alla scadenza naturale del rapporto per
insussistenza di un obbligo normativo del locatore di garantire la locazione stagionale oltre il sesto anno. * Trib.
civ. Lecce, sez. I, 25 giugno 1998 n. 1871, Scardino c. Spedicato.
c-9) Attività turistica
In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo l'indennità per l'indennità per la perdita dell'avviamento
compete anche per la cessazione della locazione di immobili nei quali viene svolta un'attività di interesse
turistico purché‚ detta attività comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, inteso come
l'insieme indiscriminato dei potenziali destinatari dei beni e servizi che caratterizzano l'attività esercitata
dall'impresa, con la conseguenza che deve essere escluso il diritto all'indennità in favore di un club nautico che
svolge la propria attività non a fini di lucro e in favore soltanto dei propri soci.
* Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 1990, n. 162, Club del Mare c. Drago.
c-10) Autosalone
Non spetta l'indennità di avviamento al conduttore che, modificando l'originaria destinazione del fondo, adibito
ad autosalone, lo abbia destinato a deposito di autovetture, essendo quest'ultima destinazione inidonea a
realizzare un contatto diretto con il pubblico e non influendo essa in alcun modo sul volume degli affari, trattati e
conclusi nella vicina sede principale.
* Pret. civ. Pisa, 20 ottobre 1993, Martorana c. Nesti.
c-11) Autoscuola
L'attività didattica impartita nell'autoscuola si accompagna, con carattere di inscindibilità, alla somministrazione
di taluni servizi ed all'espletamento di varie incombenze (quali la richiesta del cosiddetto foglio rosa per il
discente, l'organizzazione delle visite mediche, il noleggio di veicoli specificamente attrezzati, l'organizzazione
per l'espletamento degli esami, i contatti con i pubblici uffici per il rilascio dell'autorizzazione finale) che di per sè
integrano un'attività aziendale. Consegue, pertanto, che l'autoscuola costituisce un'azienda commerciale agli
effetti della applicabilità dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392 per l'attribuzione dell'indennità per la perdita
dell'avviamento, nel caso di cessazione del rapporto di locazione relativo all'immobile ove essa avvenga. * Cass.
civ., sez. III, 27 aprile 1994, n. 3974, La Rocca c. Muserra.
c-12) Banca
L'istituto di credito che esercita la sua attività in immobile locato ha diritto, in caso di cessazione del rapporto,
alla indennità di avviamento di cui all'art. 34 della L. 27 luglio 1978 n. 392 indipendentemente dal riscontro della
prevalenza del servizio di sportello, perché‚ l'attività di intermediazione nel credito, pur non essendo
espressamente menzionata dall'art. 27 della citata legge n. 392, rientra, al pari delle altre attività indicate nell'art.
2195 c.c., fra quelle commerciali ed è, di per sé, finalizzata a fornire servizi al pubblico che all'uopo deve
comunque necessariamente recarsi nell'immobile.
* Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1993, n. 3895, Lazzati c. Banco Lariano Spa.
L'indennità di avviamento commerciale, prevista dall'art. 34 della L. 27 luglio 1979, n. 392, può spettare anche
nel caso di ubicazione, nei locali condotti in locazione, degli uffici direzionali di una banca - la cui attività (art.
2195, n. 4, cod. civ.) è finalizzata ad un servizio pubblico - essendo funzionali al soddisfacimento delle richieste
dell'utenza, secondo l'articolazione organizzativa e le necessità operative del settore. * Cass. civ., sez. III, 16
dicembre 1997, n. 12720, Faiella c. Carisal.
c-13) Cabina elettrica
Poiché‚ la perdita di un immobile usato dall'Enel come cabina elettrica non incide minimamente sull'avviamento
di tale macroscopica azienda, nulla è dovuto per indennità per la perdita dell'avviamento.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 31 marzo 1982, n. 2607, Maranglo c. Enel.
c-14) Campeggio
I campeggi non sono assimilabili, neppure ai fini dell'indennità di avviamento commerciale, agli alberghi e
l'indennità medesima agli stessi spettante deve quindi essere quantificata in diciotto mensilità.
* Pret. civ. Pisciotta, 6 novembre 1989, Talamo c. Srl Tio Pepe.
c-15) Circolo culturale
In tema di locazioni di immobili per uso non abitativo (nella specie, in regime transitorio), l'indennità per la perdita
dell'avviamento commerciale compete anche per la cessazione delle locazioni di immobili adibiti per l'attività di
un circolo culturale o ricreativo ove risulti che questo sia gestito da una società all'uopo costituita da soggetti
diversi dai soci del circolo, realizzandosi con la riscossione delle quote di associazione al circolo, il ricavo
dell'attività di gestione, costituente scopo della società, di cui il socio del circolo è solo un cliente con il quale la
società ha diretto contatto nei locali del circolo.
* Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1992, n. 7409, Srl The Cellar Club c. Fenicia.
c-16) Deposito
Per il disposto degli artt. 34 e 35 della legge n. 392/1978, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale
non è dovuta in caso di cessazione di un rapporto di locazione di un immobile adibito dal conduttore a deposito
ed esposizione di mobili, non trattandosi di attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei
consumatori, a meno che non sia fornita la prova da parte del conduttore, che nei locali a ciò adibiti il pubblico
abbia libero accesso senza l'ausilio di intermediari o di accompagnatori., in tal caso integrandosi l'uso
dell'immobile nell'attività aziendale, ancorché‚ la vendita si concluda in locali vicini funzionalmente collegati. *
Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2001, n. 505, Mobilnova Ciro Telese Sas c. Aricò.
c-17) Ente pubblico
Per l'attribuzione dell'indennità per l'avviamento commerciale, in caso di locazione di immobile ad uso non
abitativo, occorre avere riguardo non alla natura o alla qualifica del conduttore, bensì all'attività che in concreto
viene ivi svolta, ragion per cui il diritto all'indennità e in genere la tutela dell'avviamento non compete a quegli
enti, come lo Stato od altro ente pubblico territoriale, che istituzionalmente non agiscono come imprese, ai sensi
dell'art. 27, L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Siracusa, 18 luglio 1988, Esspa Edilizia Siciliana Spa c. Comune di Siracusa.
Con riferimento ad un immobile locato all'allora Amministrazione delle poste e telecomunicazioni, poiché‚ la
trasformazione di quest'ultima in ente pubblico economico e, successivamente, in società per azioni non ha
integrato mutamento nell'uso pattuito, bensì mutamento nella struttura del soggetto conduttore che ha
trasformato la propria natura giuridica, la conseguente inapplicabilità dell'art. 80 L. n. 392/78 rende insussistente
in capo all'attuale Poste Italiane Spa il diritto alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale in relazione alla riconsegna dei locali.
* Trib. civ. Milano, sez. XIII, 15 marzo 2001, n. 3142, Soc. Max Mara ed altra c. Poste Italiane Spa. 2001, 694.
c-18) Esposizione di merce
L'indennità per la perdita dell'avviamento compete anche al conduttore di locali adibiti soltanto ad esposizione
della merce con possibilità di accesso da parte del pubblico, sebbene le vendite vengano concluse in locali
vicini, sempre che risulti accertato il reale ed obbiettivo inserimento del locale nell'organizzazione aziendale del
conduttore e la sua rispondenza ed esigenza tipiche dell'impresa, essendo così funzionali alla produttività
aziendale e suscettibili di influire sul volume di affari.
* Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 1987, n. 810, Coppolicchio c. Giovine.
L'indennità per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978, compete anche al
conduttore di locali i quali, sebbene non consentano l'accesso da parte del pubblico, comportano tuttavia una
possibilità di contatto col medesimo (nella specie, locali adibiti ad esposizione della merce) e risultano in tal
modo funzionali alla produttività aziendale e suscettibili di influire sul volume degli affari.* Cass. civ., sez. III, 25
febbraio 1983, n. 1457, Solmi c. Soc. Doti.
c-19) Estetista
Ai fini del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 della legge 27 luglio
1978, n. 392, (cosiddetta dell'equo canone) l'attività di estetista come disciplinata dalla legge 4 gennaio 1990, n.
1, non ha carattere professionale e non preclude pertanto il sorgere del diritto alla suddetta indennità a norma
del successivo art. 35 della stessa legge, ma ha natura di attività imprenditoriale artigiana, senza che in
contrario assuma rilievo il riferimento alla professione contenuto nella citata legge n. 1 del 1990, il quale per un
verso ha riguardo alla necessaria preparazione teorico pratica di chi eserciti tale attività e per altro verso denota
il carattere non occasionale ma stabile e duraturo della stessa.
* Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1997, n. 2421, Di.Ma. Srl. c. Piselli.
c-20) Impresa assicuratrice
L'indennità di avviamento di cui all'art. 34 della L. n. 392/1978 spetta al conduttore che, quale una impresa
assicuratrice, svolga la relativa attività - e sempre che la stessa comporti contatto diretto con il pubblico degli
utenti - nell'immobile in locazione, rientrando tale attività, pur non espressamente considerata dall'art. 27 della
citata legge, tra quelle commerciali, in base al disposto dell'art. 2195, secondo comma cod. civ., con la
conseguente applicazione delle disposizioni di legge che fanno riferimento alle attività commerciali e, quindi,
anche del citato art. 27.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1990, n. 8496, Soc. Sai c.
In tema di locazione ad uso non abitativo, presupposto per la spettanza dell'indennità per la perdita di
avviamento commerciale è che l'immobile sia utilizzato come luogo aperto alla frequentazione diretta e
strumentalmente negoziale della generalità originariamente indifferenziata dei destinatari ultimi dell'offerta dei
beni o dei servizi. Pertanto, tale indennità non è dovuta nelle ipotesi in cui l'attività del conduttore non sia
strutturata in modo da contare sul diretto accesso dei consumatori, anche se questo non sia precluso (nella
specie, agenzia assicurativa adibita all'incontro tra i produttori, senza orario di accesso del pubblico, con
frequentazione solo di alcuni utenti che si recavano a pagare i premi).
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1993, n. 10885, Alleanza Ass.ni Spa c. Frasca.
Non è dovuta l'indennità di avviamento per un locale adibito ad ispettorato sinistri di una impresa assicuratrice.
* Pret. civ. Bari, 30 aprile 1983, n. 269, Macario e altri c. Sapa Spa.
Nel caso di contratto di locazione stipulato dalla compagnia di assicurazione, l'indennità per la perdita
dell'avviamento deve essere liquidata a favore della compagnia medesima, e non dell'agente.
* Pret. civ. Sestri Ponente, 6 maggio 1985, n. 26, Spa SAI c. Rollino e Balteri.
c-21) Laboratorio analisi chimiche
Pur non disconoscendosi che nell'esercizio dell'attività medica di laboratorio analista chimico sia compresa una
qualche attività di tipo organizzativo, non può negarsi che è l'elemento fiduciario collegato alla particolare
competenza professionale dell'analista a guidare l'utente verso l'uno o l'altro laboratorio di analisi piuttosto che
l'organizzazione dello stesso. La figura del professionista assume, infatti, un rilievo innegabilmente preminente
rispetto all'aspetto economico-commerciale che, pur se sussistente, appare certamente marginale. * Trib. civ.
Napoli, sez. XI, 14 dicembre 1991, Santoro c. Gramendola e Peluso.
All'attività espletata da un laboratorio di analisi cliniche non è dovuta l'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale, essendo la stessa configurabile come professionale malgrado l'indubbia presenza di un elemento
aziendale molto rilevante, poich‚ il risultato esterno dell'attività medesima appare essere principalmente
riconducibile alla particolare competenza tecnica e qualificata di un professionista (analista), connotato tipico
delle attività professionali.
* Pret. civ. Roma, 20 dicembre 1988, Car c. Dessi.
c-22) Mediatore professionale
Il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, previsto in caso di cessazione del rapporto di
locazione, deve essere riconosciuto anche in favore del conduttore che eserciti attività di mediatore
professionale, stante la sua qualità di imprenditore commerciale. * Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1984, n. 1637,
Germani c. Borghese.
La perdita di clientela che attribuisce il diritto all'indennità di avviamento presuppone che si tratti di quella
clientela che normalmente acquista la merce o il servizio non già nell'ambito di un proprio progetto o di una
organizzazione economica di produzione o di scambio di beni o servizi, bensì per soddisfare un bisogno
personale e, comunque, quantitativamente limitato. Conseguentemente, deve essere esclusa la debenza
dell'indennità in questione in favore di un mediatore professionale la cui attività mediatoria non risulti soddisfare
un bisogno primario e largamente diffuso e creare uno stabile afflusso di domanda verso i locali ove viene
esercitata detta attività. * Trib. civ. Milano, sez. X, 19 giugno 1986, n. 5336, Bosco e C. Spa c. Eredi Di Blasi.
c-23) Officina
Sussiste il diritto del conduttore all'indennità di avviamento ex artt. 34 e 69 L. n. 392/78 in relazione ad un
immobile adibito ad officina per la riparazione di motoveicoli. * Pret. civ. Milano, 26 gennaio 1987, Dall'Agnola c.
Bon.
c-24) Palestra
L'attività di palestra specializzata in ginnastica terapeutica, esercitata con fini di lucro e con prevalenza della
organizzazione aziendale sulla capacità professionale delle persone impegnate, integra un'attività commerciale
ai sensi dell'art. 27 legge n. 392/78; di talché‚, nel caso di cessazione del rapporto di locazione, il conduttore
dell'immobile ove venga esercitata tale attività ha diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale.
* Pret. civ. Milano, 2 maggio 1996, n. 1620, Matalon ed altri c. Soc. Soma.
c-25) Ricevitoria
Poiché‚ l'attività di ricevitoria del gioco del lotto non può qualificarsi attività commerciale, n‚ rientra tra quelle
tutelate dalla normativa di cui agli artt. 27 e 34 L. n. 392/1978, il conduttore di un immobile adibito a tale attività
non ha diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento prevista, per il caso di cessazione della locazione,
dall'art. 69, settimo comma, della stessa legge 392/1978 nella formulazione originaria (ritenuta applicabile nella
specie per essere il contratto cessato prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 832/1986, che ha sostituito detto art.
69 riconoscendo il diritto all'indennità o compenso in questione anche in alcune ipotesi in cui era in precedenza
escluso). * Pret. civ. Milano 15 ottobre 1987, n. 3089, Castoro c. Mazzoleni.
c-26) Sartoria artigiana
Al conduttore che si serve dell'immobile in locazione per l'esercizio dell'attività artigiana di sarto, ricevendovi i
clienti, spetta, in caso di cessazione del rapporto, l'indennità di avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e
35 della L. 27 luglio 1978 n. 392 in favore dei conduttori che esercitano nell'immobile attività commerciale,
industriale od artigianale con diretto contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, restando irrilevante,
in presenza di una clientela pur sempre originariamente indifferenziata, la minore affluenza di una sartoria
artigiana rispetto a quella di una rivendita al minuto di capi di abbigliamento.
* Cass. civ., sez. III, 29 luglio 1995, n. 8340, Calori c. Dal Vecchio.
c-27) Scuola di danza
In caso di locazione di immobile adibito alla gestione di scuola privata di danza, con strutturazione aziendale e a
fine di lucro, non compete alcuna indennità di avviamento commerciale perch‚, anche in caso di prevalenza della
strutturazione aziendale sulle prestazioni personali e professionali del conduttore gestore della scuola, difetta
l'estremo dell'esistenza dei contatti diretti col pubblico degli utenti di cui all'art. 35 della L. n. 392/78.* Pret. civ.
Chieti, 24 febbraio 1992, n. 18, Ruffini c. Di Peppe ed altri. 392.
c-28) Studio di pittore
Non compete indennità per la perdita di avviamento a favore di pittore che eserciti attività in studio cui accedano
i potenziali acquirenti delle opere artistiche. * Pret. civ. Firenze, 27 ottobre 1988, Petrelli c. Cappello.
c-29) Studio pubblicitario
Deve escludersi che uno studio pubblicitario, ancorché‚ iscritto alla camera di commercio come ditta artigianale,
possa rientrare tra gli imprenditori aventi contatti diretti con il pubblico degli utenti (art. 35 L. n. 392/1978), perch‚
tale locuzione individua le imprese industriali dirette alla produzione di servizi, le imprese di trasporto, quelle
esercenti attività bancarie e assicurative, attività ausiliarie, i pubblici esercizi e i servizi di largo consumo, come
trattorie, spacci, autorimesse, tabaccherie, uffici di viaggi.
* Trib. civ. Piacenza, 23 maggio 1983, VBM Snc c. Tansini e Luccherini.
c-30) Vendita di tessuti
Ai fini dell'attribuzione dell'ulteriore indennità per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34, secondo
comma, della L. n. 392/1978, non sussiste il requisito dell'affinità tra l'attività di vendita di tessuti e quella di
vendita di confezioni di abbigliamento.
* Pret. civ. Bari, 26 agosto 1994, n. 997, Soc. Marisemma II c. De Florio.
c-31) Vetrinetta
Nel caso di locazione di vetrinetta ad uso esclusivo di spazio pubblicitario, si verte in tema di immobile locato per
consentire lo svolgimento di una vera e propria attività commerciale, sia pure nella fase iniziale di approccio con
il cliente. Al relativo contratto deve quindi applicarsi la disciplina di cui alla L. n. 392/1978.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 9 giugno 1997, n. 6253, Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 22 in Milano c.
Soc. Messaggerie Musicali.
d) Competenza
Qualora il pretore abbia dichiarato la propria incompetenza per valore a decidere la causa di finita locazione,
senza provvedere sulla domanda riconvenzionale proposta soltanto in via subordinata di pagamento per la
perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della legge n. 392/78, il tribunale davanti al quale la causa sia
stata riassunta e riproposta la domanda di pagamento dell'indennità ex art. 34 cit., non può, ritenuta la propria
incompetenza, in ordine a detta domanda, richiedere d'ufficio il regolamento di competenza, per difetto
dell'indeclinabile presupposto della duplice declaratoria di incompetenza.
* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1999, n. 4163, Basciano c. Brancatello.
Proposta dal conduttore domanda di pagamento dell'indennità di avviamento commerciale, prevista dalla legge
(sull'equo canone) n. 392 del 1978 in caso di cessazione della locazione di immobile ad uso non abitativo, previa
declaratoria di nullità (ai sensi dell'art. 79) della rinunzia ad essa operata in sede di conciliazione nel giudizio di
rilascio dell'immobile stesso, la competenza del pretore (ex art. 45, terzo comma) non è limitata alla
determinazione e liquidazione di tale indennità, bensì si estende all'accertamento della dedotta nullità, il quale
implica una indagine meramente incidentale, al fine dell'accoglimento della suddetta domanda, senza richiedere
una pronuncia giudiziale autonoma con efficacia di giudicato.
* Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1984, n. 2592, Triglione c. Consoli.
Nel caso di cessazione del rapporto di locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, l'art. 45
terzo comma della L. 27 luglio 1978 n. 392, nel devolvere al pretore, qualunque ne sia il valore, la domanda del
locatario diretta al riconoscimento ed alla determinazione dell'indennità per perdita dell'avviamento commerciale
(artt. 34 e 69 della legge medesima), fissa una competenza per ragioni di materia, non derogabile. Pertanto, ove
detta domanda venga proposta in via riconvenzionale davanti a giudice diverso dal pretore, competente per
valore sulla domanda principale del locatore di scioglimento del rapporto, resta esclusa la possibilità di
un'attrazione di tale riconvenzionale nella cognizione di quel giudice diverso, e si rende necessaria la
separazione dei rispettivi procedimenti.* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1986, n. 2914, Bei c. De Luca.
La competenza esclusiva del pretore sulle controversie relative alla indennità di cui all'art. 34 della legge
sull'equo canone comprende, attesa l'unitaria configurazione dell'istituto, anche le controversie che hanno per
oggetto la realizzazione della condizione posta dall'art. 34, comma 3 (e dell'art. 69, comma 10, nel testo
novellato) per l'esecuzione del provvedimento di rilascio. (Nella specie si trattava di opposizione alla esecuzione
fondata sulla eccezione di omesso pagamento della indennità).
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1996, n. 1372, Maggioni c. Soc. Publicity.
e) Contatti diretti con il pubblico
Nel caso di immobile dato in locazione per essere destinato ad un'attività che secondo le sue modalità tipiche
comporta contatto diretto con il pubblico (come quella di intermediazione immobiliare se rivolta a soddisfare le
esigenze non di singoli soggetti direttamente contattati o di singoli altri operatori economici, ma della indistinta
generalità degli interessati, raggiunti attraverso la diffusione di messaggi tipici per tale genere di attività, come
inserzioni sui giornali, cartelli affissi all'esterno degli immobili da vendere, manifesti etc., pur nella mancata
segnalazione della presenza, nell'immobile locato, della sede dell'azienda), qualora il locatore convenuto per il
pagamento dell'indennità di avviamento non neghi l'effettivo svolgimento, nell'immobile, dell'attività
contrattualmente prevista, la domanda del conduttore non può essere respinta sul rilievo della mancanza di
prova del contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, per non essere stata dimostrata
l'utilizzazione dei locali come fonte di procacciamento di clienti, non risultando apposti all'esterno dei locali stessi
i consueti elementi di attrazione per il pubblico (quali insegne, vetrine etc.), trattandosi di circostanze di per sé
non significative, che non possono costituire impedimento ad una prova per presunzioni della sussistenza di tali
contatti, tratta, secondo un criterio di normalità, ed in assenza di contrari elementi di giudizio, dalla circostanza
che essi sono connaturati ad una attività della quale è certo l'avvenuto svolgimento.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 10 marzo 1998, n. 2646, Attika Sas c. Isar Spa.
L'indennità prevista dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978 a favore del conduttore di immobile destinato ad uso
diverso di abitazione, semprech‚ l'attività in esso esercitata comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti
e dei consumatori (a mente del successivo art. 35), compete anche al conduttore il quale svolga nell'immobile
condotto in locazione sia l'attività di produzione che quella di vendita al minuto indipendentemente dalla
prevalenza o meno di quest'ultima attività.
* Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2616, Cravattifi. Mee. c. Univ. Bologna.
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello di abitazione, la indennità per la perdita
dell'avviamento commerciale non può ritenersi dovuta qualora l'immobile locato non risulti aperto alla
frequentazione, diretta e senza intermediazioni, della generalità dei destinatari finali dell'offerta di beni o servizi,
e, in particolare, qualora il pubblico abbia accesso al locale soltanto previo accompagnamento dei dipendenti o
del titolare dell'attività commerciale, dopo essere in altro modo entrato in contatto con la di lui organizzazione
aziendale, non potendo, in tal caso, legittimamente qualificarsi i termini di contatti diretti l'accesso del pubblico al
locale de quo. * Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1997, n. 9869, Merluzzo c. Passeggio.
In tema di locazioni di immobili non abitativi, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non compete
con riguardo all'immobile che pur locato insieme con altro in cui si svolge l'attività con contatti diretti con il
pubblico, non presenti identica caratteristica in ragione della sua strutturale autonomia rispetto al secondo,
restando irrilevante l'eventuale esistenza di un collegamento funzionale per essere lo stesso adibito a deposito
della merce venduta nell'altro locale.
* Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1995, n. 6198, Trattoria Bagutta c. Mazzoni.
Poiché‚ nell'ipotesi in cui l'immobile locato sia adibito ad usi diversi la disciplina applicabile è quella relativa
all'uso prevalente, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, prevista dall'art. 34, L. 27 luglio 1978,
n. 392, compete al conduttore dell'immobile adibito ad uso non abitativo, soltanto quando l'attività di vendita al
minuto con modalità che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sia esclusiva o
prevalente rispetto ad altre attività eventualmente esercitate nello stesso locale (fattispecie in cui nei locali locati
veniva svolta in modo assolutamente prevalente l'attività di lavorazione del marmo destinata all'utilizzazione di
altri imprenditori e non invece ai consumatori finali).
* Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1995, n. 4474, Nai c. Zanaboni.
Le disposizioni di legge sull'equo canone che attribuiscono al conduttore di immobile adibito per uso diverso da
quello di abitazione, per il caso di vendita dello stesso (artt. 35, 38, 69 L. 27 luglio 1978 n. 392), il diritto ad una
indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, hanno uno scopo di tutela dell'avviamento inteso come
clientela e si riferiscono, perciò, solo agli immobili che, adoperati dal conduttore come luogo aperto alla
frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalità dei destinatari finali dell'offerta di beni e di
servizi, assumano la funzione di collettore di clientela e fattore locale di avviamento; ne consegue che l'indennità
non spetta in caso di vendita di immobile adibito dal conduttore come locale di esposizione in cui il pubblico non
accede o accede solo se accompagnato, dopo essere in altro modo entrato in contatto con l'organizzazione
commerciale del conduttore, se non risulti anche che in concreto tale locale è in grado di esercitare, di per sé, un
richiamo sulla clientela. Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1993, n. 10460, Mussi c. Micheletti.
Al conduttore che esercita nell'immobile, senza le prescritte autorizzazioni amministrative, attività commerciale
che implichi contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori non può essere riconosciuto il diritto
all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale dovendosi negare tutela giuridica a chi versa in
situazione illecita.
* Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1993, n. 5265, Grimaudo c. Sicel Mobili Gentili Spa.
Al conduttore che esercita nell'immobile, senza le prescritte autorizzazioni amministrative, una attività
commerciale che implichi contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori non può essere
riconosciuta l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, dovendosi negare tutela giuridica a chi versa
in situazione illecita.
* Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2000, n. 12966, Ribol sport c. Bandini & C. Snc.
Il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi dell'art. 34 della legge sull'equo
canone, al pari del diritto di prelazione e di riscatto (artt. 38, 39 legge cit.) spetta al conduttore di immobile
urbano con destinazione non abitativa, sempre che egli vi eserciti un'attività produttiva o commerciale a contatto
diretto con il pubblico, sia pure come contitolare o consocio di una società di persone della relativa impresa con
soggetti estranei alla titolarità del rapporto locativo.
* Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1996, n. 11363, Mauriello c. De Filippo.
L'indennità di avviamento di cui all'art. 34, della L. 27 luglio 1978, n. 392, spetta anche nei casi in cui il locale sia
utilizzato per una attività che l'imprenditore svolge per mezzo di rappresentanti o di soggetti che operano per suo
conto e che del locale si servano per i loro contatti con il pubblico degli utenti o dei consumatori (nella specie,
trattavasi di una società assicuratrice collegata con la società conduttrice). * Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1992,
n. 6248, Properzi c. Lloyd Internazionale Spa.
Con l'espressione attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, il
legislatore ha inteso individuare quelle attività che si rivolgono alla massa di possibili fruitori, i quali, nella loro
indeterminatezza, vengono a costituire la potenziale clientela del conduttore. Gli utenti e i consumatori
costituiscono, così, l'ultimo anello della catena distributiva, coloro cioè che utilizzano direttamente il prodotto o il
servizio; mentre non rientrano in tale categoria gli intermediari che acquistano la merce od utilizzano il servizio
per il trasferirlo a loro volta al diretto fruitore. (Nella fattispecie, sulla base del principio che precede, è stata
esclusa la spettanza dell'indennità di avviamento all'odontotecnico la cui attività artigianale è ausiliaria della
professione sanitaria e si concreta - secondo il R.D. 31 maggio 1928, n. 1334 - nella costruzione di protesi
dentarie su modelli tratti dalle impronte che possono essere fornite solo dai medici i quali, di conseguenza sono
gli unici suoi possibili clienti e che, a loro volta trasferiscono il prodotto all'utente - paziente).* Pret. civ. Roma, 2
marzo 1988, Salvidio c. Sugameli.
Ai fini della sussistenza del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, non è configurabile il
contatto diretto con il pubblico nel caso in cui l'immobile sia adibito a studio fotografico posto all'interno di un
cortile e non segnalato da insegne nella strada. * Pret. civ. Firenze, ord. 13 aprile 1989, Bencini c. Ricasoli.
Qualora nell'immobile locato ad uso commerciale venga svolta sia attività che comporta contatti diretti con il
pubblico degli utenti e dei consumatori sia attività che tali contatti non comporta, nella determinazione
dell'indennità per la perdita dell'avviamento deve tenersi conto esclusivamente del criterio forfettizzante ed
astratto del valore locativo dell'intera unità immobiliare.
* Pret. civ. Roma, 31 gennaio 1989, Ditta Master c. Nardi.
Non compete indennità per il rilascio di quei locali, nei quali non avviene un contatto diretto con il pubblico degli
utenti o consumatori, ma un contatto soltanto mediato, ancorché‚ i locali siano inseriti nell'organizzazione
produttiva, purché‚ però abbiano una loro precisa individualità e cioè costituiscano un'autonoma unità
immobiliare. Quando, invece, la parte nella quale non avvengono contatti diretti con il pubblico degli utenti o dei
consumatori non ha una sua autonomia e non costituisce una distinta unità immobiliare, si deve tener conto di
tutti locali nel loro complesso; non è quindi accoglibile la richiesta subordinata presentata dal convenuto di
limitare il calcolo del canone corrente di mercato a quella sola parte dei locali al piano terreno frequentati dagli
utenti e non invece a quella adibita a studio o sala di posa.
* Pret. civ. Parma, 24 gennaio 1990, Ditta Telò Pubblicità c. Soc. Immobilare Altan.
f) Controversie
Con riferimento a locazione di immobile destinato ad uso diverso da quello di abitazione, sussiste rapporto di
continenza tra la causa di opposizione a precetto, proposta davanti al pretore, con la quale il conduttore si
oppone al rilascio dell'immobile, intimato in virtù di un verbale di transazione e conciliazione, deducendo la
mancata corresponsione dell'indennità di avviamento, in ragione della nullità della rinuncia ad essa, contenuta
nella detta transazione, e la causa che, previamente promossa dallo stesso conduttore, davanti al tribunale, per
la dichiarazione di vigenza del rapporto locativo relativo allo stato immobile e, in subordine, della nullità del citato
accordo transattivo, si connota per la maggiore ampiezza del petitum, non ricorrendo in ordine alla prima causa
la competenza per materia del pretore, la quale è limitata alla determinazione dell'indennità di avviamento.
* Cass., sez. 8 febbraio 1990, n. 885, Pugliares c. Leonardi.
L'interveniente adesivo ha un interesse di fatto all'esito a lui favorevole della controversia, determinato dalla
necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose della
decisione, ma detto interesse non è idoneo ad attribuirgli un autonomo diritto da far valere nel rapporto
controverso. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata la quale d'ufficio aveva attribuito
l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale al terzo che, quale intestatario della licenza di commercio
e titolare dell'attività esercitata nell'immobile locato, aveva spiegato intervenuto adesivo nella causa fra il
locatore ed il conduttore concernente la cessazione del rapporto locatizio ed il pagamento della detta indennità).
* Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1995, n. 2928, Mazza c. Arcidiacono.
Il locatore, nel giudizio che lo veda in veste di convenuto per l'accertamento o il pagamento dell'indennità per la
perdita dell'avviamento commerciale non può, al fine di negare il diritto del conduttore alla corresponsione della
predetta indennità, limitarsi ad eccepire la morosità di quest'ultimo ma deve provare che il contratto si è risolto
per il suo inadempimento oppure per una delle altre cause di cui all'art. 34 della L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Carrara, 16 agosto 1988, n. 51, Morelli c. Bruschi.
La sentenza condizionale di condanna è ammissibile nei casi in cui l'evento futuro ed incerto, cui viene
subordinata l'efficacia della pronuncia, costituisca un elemento accidentale della decisione e non nell'ipotesi in
cui gli elementi futuri ed incerti concretino un elemento costitutivo del diritto e dell'azione qual è quello tipizzato
dall'art. 34, secondo comma, della L. n. 392/1978 nell'ipotesi l'immobile venga da chiunque adibito all'esercizio
della stessa attività o di attività affini entro un anno dal rilascio.
* Pret. civ. Foggia, 18 febbraio 1985, n. 14, Fattibene c. Ulivieri e altri.
E'inammissibile il ricorso diretto a far determinare dal pretore l'ammontare dell'indennità dovuta per avviamento
commerciale quando sia certa l'entità dell'ultimo canone corrisposto.
* Pret. civ. Matera, 27 aprile 1993, n. 72, Porcari e altri c. Soc. Centro studi arredamento.
Sussiste per il locatore la possibilità di fare determinare anche in via autonoma il quantum dell'indennità di
avviamento, sia prima che durante la procedura di rilascio. * Pret. civ. Bassano del Grappa, 25 giugno 1980,
Ferrajuolo c. Pettenuzzo.
Non essendo il verbale di conciliazione assimilabile ad un provvedimento di rilascio, l'esecuzione non può
essere condizionata dalla richiesta dell'avviamento commerciale ex artt. 34 e 69, della legge 392/78.
* Pret. civ. Firenze, 19 giugno 1982, n. 1424, Innocenti c. Venturi.
Il pretore, adito a norma dell'art. 45 della legge 392/1978 per la determinazione dell'indennità per la perdita
dell'avviamento commerciale, non ha il potere di sospendere l'esecuzione per rilascio eventualmente promossa
dal locatore; tale potere spetta al giudice dell'esecuzione, adito a norma dell'art. 615, comma secondo, c.p.c.,
dovendosi ravvisare nel mancato pagamento della predetta indennità un fatto impeditivo, sopravvenuto alla
formazione del titolo esecutivo giudiziale, nel quale il diritto del conduttore ad ottenerne la corresponsione trova
la sua fonte.
* Pret. civ. Taranto, 25 gennaio 1982, Francavilla c. Palmisano.
E' illegittima la notifica del precetto di rilascio avanti il pagamento dell'indennità di avviamento, configurando il
mancato pagamento di tale indennità un'acquiescenza del provvedimento di rilascio dell'immobile che dà luogo
ad un'ipotesi di sospensione legale dell'esecuzione che si aggiunge a quella di cui all'art. 623 c.p.c. * Pret. civ.
Bassano del Grappa, 25 giugno 1980, Ferrajuolo c. Pettenuzzo.
Nel caso in cui, nel corso dell'esecuzione di un provvedimento di rilascio di locale ad uso diverso dall'abitazione,
il conduttore affermi che non è stata corrisposta l'indennità di legge a lui spettante, l'ufficiale giudiziario
procedente deve fare applicazione della normativa di cui all'art. 610 c.p.c., rimettendo le parti davanti al giudice
dell'esecuzione.
* Pret. civ. Pistoia, ord. 2 dicembre 1980, Elettromarket c. Benesperi.
g) Determinazione
La determinazione e l'attribuzione al conduttore dell'indennità di avviamento prevista dagli artt. 34 e 69 della
legge n. 392 del 1978, non può essere effettuata d'ufficio dal giudice. * Cass. civ., sez. III, 8 aprile 1988, n. 2770,
Nicocia c. Bentivoglio.
L'interesse del locatore ad agire per la determinazione dell'indennità di avviamento alla cessazione del rapporto
di locazione di immobili ad uso non abitativo si configura, anteriormente alla richiesta del conduttore, come
interesse attuale all'accertamento negativo del credito, al fine di poter proporre l'azione esecutiva di rilascio
senza che possa essere opposta l'eccezione di carenza di una condizione di procedibilità. * Cass. civ., sez. III,
17 ottobre 1994, n. 8457, Bredice c. Corepla srl.
E' in base al titolo esecutivo che debbono essere individuati i soggetti del giudizio di accertamento del diritto
all'indennità e/o di determinazione dell'entità della stessa, giudizio finalizzato per il locatore, che abbia
conseguito ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., a rimuovere un ostacolo all'esercizio dell'azione esecutiva,
nell'ambito del quale il conduttore non può opporgli la carenza di legittimazione derivante dalla pretesa non
titolarità del rapporto di locazione, che è oggetto della causa ancora in corso sulla cessazione del rapporto di
locazione. * Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1994, n. 8457, Bredice c. Corepla srl.
La domanda di determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale va proposta secondo gli
ordinari criteri e gradi del processo civile e, quindi, se non sia stata formulata dal conduttore in sede di
opposizione alla convalida di sfratto, deve proporsi, a pena di inammissibilità, entro il termine fissato dal pretore
a norma dell'art. 426 c.p.c.
* Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1997, n. 4568, Noi Incontro soc. c. Comandini.
Il giudizio relativo alla determinazione dell'indennità di avviamento non deve essere sospeso in pendenza del
giudizio inerente alla scadenza del contratto di locazione di un immobile adibito ad uso diverso da quello
abitativo, in quanto il locatore ha indubbiamente un interesse alla determinazione dell'indennità, il cui pagamento
costituisce condizione per l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile locato. * Trib. civ. Piacenza, 7
agosto 1989, Zeppelin Pub c. Groppi.
h) Diritto di ritenzione
In tema di indennità per l'avviamento commerciale, la L. 27 luglio 1978 n. 392 (art. 34, 69) riconosce al
conduttore, indipendentemente da un preciso giudicato, positivo sul credito, un diritto di ritenzione sull'immobile
anche in pendenza della relativa controversia sino al pagamento dell'indennità, ma non comporta, dopo la
scadenza della locazione, una prorogatio del rapporto contrattuale locativo n‚ la mora della restituzione, con
l'obbligo di continuare la corresponsione dei canoni fino alla riconsegna a norma dell'art. 1591 c.c., in quanto la
ritenzione non abilita il conduttore alla prosecuzione del godimento del bene quale utilità corrispettiva del
pagamento del canone, configurandosi come mero onere di custodia anche nell'interesse proprio.
* Cass. civ., sez. III, 2 marzo 1995, n. 2442, Paiola c. Lugagli.
Una volta cessato il rapporto contrattuale, il conduttore ha diritto di detenere l'immobile, così esercitando una
forma di diritto di ritenzione, finch‚ non gli venga corrisposta l'indennità di cui all'art. 34 della legge sull'equo
canone.
* Pret. civ. Pordenone, 7 marzo 1998, n. 79, Sipkova c. Soc. Consap, in Arch. loc. e cond. 1998, 427.
i) Esclusione
Il termine recesso nell'ambito dell'art. 34, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, che esclude il diritto
del conduttore all'indennità per la perdita dell'avviamento quando la cessazione del rapporto di locazione è
dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore, è impiegato in una accezione
ampia, comprensiva di ogni risoluzione anticipata del contratto che, anche se formalmente consensuale per
adesione del locatore, possa farsi risalire ad una manifestazione di volontà del conduttore che non abbia più
interesse alla continuazione della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1995, n. 2231, Macchi ed altri c. Maffia.
Non spetta alcuna indennità per la perdita dell'avviamento commerciale ad una società immobiliare per l'attività
svolta in un locale nel quale, senza alcuna insegna n‚ vetrina, si svolgono solo trattative riguardanti il prezzo di
un immobile o la visione dei progetti, in quanto tale attività non configura l'ipotesi di contatto diretto con il
pubblico ex art. 35, L. n. 392/1978, bensì di mero contatto mediato con una clientela già, in parte, selezionata.
* Pret. civ. Genova, sez. II, 10 dicembre 1991, Romeo c. Società Immobiliare S. Ilario, in Arch. loc. e cond. 1992,
593.
Non spetta indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi dell'art. 35 della L. n. 392 del 1978, in
relazione all'esercizio di attività di progettazione ed allestimento arredamenti, consulenza di architettura,
pubblicità ed estetica industriale, dato il prevalere degli elementi libero professionali, basati sull'intuitus
personale, rispetto a quelli imprenditoriali, e della irrilevanza quindi del luogo di esplicazione dell'attività nel
rapporto con la clientela.
* Pret. civ. Udine, sez. dist. di Palmanova, 1 luglio 1991, n. 24, Soc. So.Te.Co. c. Comune di Palmanova.
Il diritto del conduttore all'indennità ex art. 34 della L. n. 392/1978 è escluso laddove lo stesso, alla cessazione
del rapporto locatizio, abbia trasferito la propria attività in altra unità immobiliare locata allo scopo, facente parte
del medesimo stabile.
* Trib. civ. Roma, 18 febbraio 1998, Caselli c. Bovini.
Non compete alcuna indennità, per la perdita dell'avviamento commerciale per la cessazione del contratto di
locazione, al conduttore esercente un'attività di fornitura, posa in opera e manutenzione di impianti di posta
pneumatica, non comportando questa contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ma solo
rapporti limitati ad una clientela particolarmente qualificata e selezionata. * Pret. civ. Roma, 7 aprile 1989, Are c.
Soc. Varone, in Arch. loc. e cond. 1991, 364.
Non ha diritto all'indennità di avviamento commerciale, atteso il disposto dell'art. 35 L. 392/78, la cooperativa di
consumo, che, per quanto svolga attività commerciale, non ha un contatto diretto con il pubblico degli utenti e
dei consumatori, potendo soltanto avere rapporti con i propri soci.
* Pret. Civitavecchia, 26 ottobre 1984, n. 210, Coop. Consumo Santa Marinella c. De Laurentis.
Deve essere escluso che abbia diritto all'indennità di avviamento il professionista la cui attività commerciale
abbia avuto carattere accessorio a quella professionale oppure - se a carattere prevalente o anche soltanto
autonomo - non abbia comportato rapporti diretti col pubblico degli utenti e dei consumatori. (Fattispecie di
professionista che svolgeva attività di rappresentanza e di procacciamento di materiali da costruzione per
imprese).
* Pret. civ. Pietrasanta, 10 novembre 1982, n. 84, Cipriani c. Baldi Coluccini.
Il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento è esclusa in ipotesi di recesso dalla locazione della curatela
fallimentare a seguito di sentenza dichiarativa di fallimento del conduttore ed è ininfluente la successiva
pronuncia di revoca del fallimento.
* Pret. civ. Napoli, 25 novembre 1985, Antonangeli c. Cond. via Niutta 3, Napoli.
Deve escludersi che sia dovuta l'indennità per l'avviamento commerciale per le attività nelle quali le prestazioni
personali dell'esercente costituiscono l'elemento attraente, capace di determinare l'indennizzo della clientela con
prevalenza sulle altre caratteristiche obiettive legate propriamente all'azienda (nel caso di specie autoscuola).
* Pret. civ. Cesena, 21 maggio 1982, n. 95, Berardi c. Bastoni.
j) Finalità
La disposizione dettata, con riferimento alle locazioni di immobili urbani destinati ad uso diverso da quello
abitativo, per cui sia dovuta, alla cessazione del rapporto, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale,
dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978, secondo la quale l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile
è condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennità, inserendosi nel quadro normativo di protezione delle
attività imprenditoriali svolte in immobili locati, costituisce ulteriore espressione della tutela dell'avviamento, e
non si limita ad attribuire un mero diritto di ritenzione al conduttore, consentendogli la protrazione dell'esercizio
dell'attività economica sull'immobile, verso il pagamento di un corrispettivo coincidente con quello del
precedente rapporto contrattuale, dovuto, peraltro, in ossequio al canone generale della correttezza, anche nella
ipotesi in cui il conduttore, per sua scelta, non utilizzi l'immobile, salvo che costui non rinunzi anche alla mera
detenzione dell'immobile, effettuandone la riconsegna al locatore, o facendogliene offerta ai sensi dell'art. 1216
c.c.
* Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1999, n. 5098, Bevilacqua c. Lepore.
k) Interruzione dell'attività
L'interruzione, da parte del conduttore, dell'attività industriale, commerciale o artigianale comportante contatti
diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, provocata dall'inagibilità dell'immobile locato, non determina
la perdita del diritto del conduttore all'indennità di avviamento se il rapporto, non avendo il locatore fatto valere la
risoluzione del contratto per l'impossibilità sopravvenuta della prestazione, sia successivamente cessato, per
iniziativa di quest'ultimo, solo per effetto della scadenza legale o convenzionale del contratto. * Cass. civ., sez.
III, 10 ottobre 1992, n. 11091, Casal c. Galletti.
l) Liquidazione forfettaria
A differenza della disciplina vigente durante il regime vincolistico (art. 4 della L. n. 19 del 1963), la nuova
normativa delle locazioni urbane ad uso non abitativo di cui alla L. n. 392 del 1978 prevede, con riguardo
all'indennità per l'avviamento commerciale, una liquidazione forfettaria fissa commisurata ad un numero
predeterminato di mensilità, nella quale cioè varia solo l'elemento base costituito dal canone mensile - che può
essere quello da ultimo corrisposto dal conduttore (art. 34), o quello richiesto dal locatore od offerto dal terzo,
ovvero quello corrente di mercato (art. 69) - restando escluso qualsiasi potere discrezionale del giudice di
procedere ad una liquidazione equitativa anche nel caso in cui il locatore non intenda procedere al rinnovo della
locazione nel regime transitorio, atteso che la mera espressione sulla base del canone corrente di mercato
contenuta nel settimo comma dell'art. 69 citato, non comporta alcuna differenziazione dalle altre ipotesi
considerate in precedente (nelle quali il numero delle mensilità indicate dal legislatore costituisce l'importo
concretamente dovuto e non l'ammontare massimo consentito).
* Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1988, n. 4945, Sgrò c. Portale.
m) Mutamento d'uso
Nel caso di mutamento da parte del conduttore dell'uso pattuito, nel corso della locazione, va applicato, al
momento della cessazione del rapporto di locazione, il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente (art. 80
comma 2 della L. 27 luglio 1978 n. 392), con la conseguenza che - in caso di prevalenza dell'uso commerciale
con contatti diretti con il pubblico - l'indennità di cui all'art. 34 legge citata va commisurata all'intero canone
corrisposto per l'immobile concesso in locazione e non già ad una parte del canone proporzionata alla sola
superficie adibita all'uso commerciale predetto.
* Cass. civ., Sezioni Unite>, 28 ottobre 1995, n. 11301, Travaglio c. D'Acquaviva e Vavallo.
In tema di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, non è accordabile la tutela prevista dall'art. 34
legge 392/78 al conduttore che abbia unilateralmente operato un mutamento d'uso dell'immobile, tale da rendere
applicabile un regime giuridico diverso, senza che il locatore ne abbia avuto conoscenza, in quanto ciò
esporrebbe quest'ultimo a subire una situazione che egli non ha in alcun modo contribuito a creare, neppure con
la sua inerzia consapevole.
* Cass. civ., sez. III, 11 agosto 2000, n. 10723, Interass Ass.ni Snc. c. Cardone ed altro.
n) Natura del credito
In tema di locazioni di immobile ad uso non abitativo, il credito relativo all'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale spettante al conduttore nel caso di recesso del locatore, trattandosi di compenso rapportato al
canone corrente di mercato per locali aventi le stesse caratteristiche (art. 69 L. n. 392/1978) ovvero al canone
richiesto od offerto (art. 1 D.L. n. 832/1987 sostitutivo dell'art. 69 cit.) e riferito al momento in cui il recesso ha
operato i suoi effetti (e cioè al sesto mese dopo il preavviso di rilascio), ha per oggetto fin dall'origine una
somma di denaro e, pertanto, costituisce un credito di valuta e non di valore.
* Cass. civ., sez. III, 3 novembre 1993, n. 10836, Buttazzo c. Corona.
o) Offerta
E' sufficiente l'offerta reale dell'indennità di avviamento ai fini della procedibilità dell'esecuzione del
provvedimento di rilascio dell'immobile. * Pret. civ. Piacenza, ord. 12 marzo 1992, Soc. Castel c. Soc. Il
Belvedere, in Arch. loc. e cond. 1992, 165.
L'offerta banco judicis dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale giustifica il diniego di
sospensione dell'esecuzione del provvedimento di rilascio. * Pret. civ. Roma, ord. 6 giugno 1997, Brenci c.
Martino, in Arch. loc. e cond. 1997, 662.
p) Onere probatorio
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, compete al conduttore, il
quale richieda l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, la prova che il rapporto di locazione è
cessato per disdetta o recesso del locatore o per altre cause diverse dall'inadempimento o disdetta o recesso
del conduttore o da una della procedure previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, trattandosi di fatto costitutivo
di diritto. * Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1994, n. 9757, Bufali c. Pagnotta.
In tema di corresponsione dell'indennità di avviamento, quando sia il locatore a rivestire la qualità di attore, onde
ottenere l'accertamento negativo della spettanza di tale indennità al conduttore, è esclusivo onere del primo
provare l'insussistenza dei presupposti del relativo diritto, a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa,
l'adempimento di tale onere può rivelarsi, in concreto, particolarmente gravoso assolverlo. * Cass. civ., sez. III,
19 luglio 2000, n. 9491, Silba spa c. Villa Alba srl.
Il carattere automatico del diritto del conduttore di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione, all'indennità
per la perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392, comporta solo che il
conduttore sia esonerato dalla prova della sussistenza in concreto dell'avviamento e del danno conseguente al
rilascio, ma non implica che tale diritto consegua alla sola destinazione dell'immobile ad una delle attività
protette, quando manchi la prova, da fornirsi dal conduttore, che ad esse l'immobile sia stato concretamente
adibito. * Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1996, n. 4430, Soc. Mas c. Palomo.
Il diritto del conduttore di un immobile non abitativo all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale
compete indipendentemente dalla prova in concreto dell'avviamento e della perdita, avendo il legislatore stabilito
il corrispondente diritto del conduttore con una valutazione fondata sull'id quod plerumque accidit.
* Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n. 6548, Costabile c. Palumbo.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che chiede, in
caso di recesso del locatore, la corresponsione dell'indennità di avviamento, ha l'onere di provare non solo di
avere esercitato nell'immobile una delle attività per le quali la detta indennità è prevista, ma anche che l'attività
stessa comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, mentre nessun dovere ha il
giudice di promuovere di ufficio un siffatto accertamento.
* Cass. civ., sez. III, 5 marzo 1990, n. 1699, Bennicelli c. Bologna.
La norma di cui all'art. 2697 c.c., relativa alla generale disciplina dell'onere della prova in giudizio, trova
applicazione, in sede di controversie insorte in tema di corresponsione dell'indennità di avviamento in favore del
conduttore (art. 34 della legge n. 392 del 1978), nel senso che a quest'ultimo (che rivesta la qualità di attore)
spetta il compito di provare non solo di aver esercitato, nell'immobile, una delle attività per le quali l'indennità è
prevista, ma anche che la medesima comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori,
nessun obbligo di accertamento di ufficio gravando, in tal senso, sul giudice procedente. Se, al contrario, la
qualità di attore abbia ad esser rivestita dal locatore, onde ottenere l'accertamento negativo della spettanza di
tale indennità al conduttore, sarà esclusivo onere del primo provare l'insussistenza dei presupposti del relativo
diritto (a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa, l'adempimento di tale onere può rivelarsi, in concreto,
particolarmente gravoso), mentre, nella ipotesi di azione di accertamento negativa proposta dal locatore e
correlativo dispiegamento di domanda riconvenzionale da parte del convenuto, ambedue le parti dovranno
ritenersi gravate dall'onere di provare esaustivamente le rispettive, contrapposte pretese, con conseguente
soccombenza della parte incapace di assolverlo.
* Cass. civ., sez. III, 6 agosto 1997, n. 7282, Collodo Autotrasporti c. Collodo.
La domanda di attribuzione dell'indennizzo suppletivo di cui al secondo comma dell'art. 34 della legge n. 392 del
1978 - fondata sull'assunto che l'immobile sia stato adibito, dal proprietario, ad attività affine a quella esercitata
dal conduttore uscente - presuppone l'accertamento della data di inizio dell'attività commerciale; sicch‚ non può
ritenersi soddisfatto il relativo onere probatorio attraverso la mera produzione in giudizio, da parte dell'istante, di
una fotografia dello stabile che riproduca l'insegna della nuova azienda ivi ubicata, non essendo da ciò
desumibile la prova della data di inizio dell'attività stessa (fissata dalla legge entro l'anno dalla cessazione del
precedente esercizio). * Cass. civ., sez. III, 23 maggio 1997, n. 4611, Soc. Frette c. Gorni, in Arch. loc. e cond.
1997, 611.
q) Prescrizione del credito
Alla luce della disposizione di cui all'art. 2935 c.c., secondo la quale la prescrizione incomincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto può essere fatto valere, il termine iniziale della prescrizione del credito del conduttore di
immobile urbano, destinato ad uso diverso dall'abitazione, all'indennità per la perdita dell'avviamento, non può
essere individuato nel momento della cessazione de iure del rapporto locativo (poiché‚, in tale momento, il
diritto, pur già sorto, non è esercitabile in ragione della sua inesigibilità, scaturente dalla disciplina dettata dagli
artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978), ma coincide con il momento in cui l'immobile venga rilasciato senza il
contestuale pagamento dell'indennità, poiché‚ solo da tale momento il credito in questione diviene esigibile. *
Cass. civ., sez. III, 2 agosto 1997, n. 7168, Paolini c. Venturucci.
r) Presupposti
In considerazione della chiara e imperativa previsione dell'art. 34 della legge n. 392 del 1978, nonché‚ dal
raffronto con la disciplina della legge n. 19 del 1963, il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale consegue (salvo che nei soli casi tassativamente indicati dal legislatore, e cioè nelle ipotesi di
cessazione del rapporto di locazione dovuta a risoluzione per inadempimento o a disdetta o recesso del
conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) automaticamente ed in
misura prestabilita alla cessazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione, senza che sia necessaria la sussistenza in concreto dell'avviamento e della sua perdita o senza che
rilevi la circostanza che il conduttore, successivamente alla disdetta del contratto, abbia cessato di svolgere ogni
attività nell'immobile locato prima della cessazione del rapporto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza
impugnata che non aveva dato rilievo alla cessazione, prima della scadenza del contratto, di ogni attività
commerciale da parte della conduttrice, senza richiedere da parte di quest'ultima la prova dell'esistenza di un
nesso causale tra il recesso del locatore e la cessazione dell'attività).
* Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2000, n. 12279, Cappelletti c. Fall. Soc. Apollo di Torre e C. S.n.c.
In tema di locazioni di immobili non abitativi il diritto del conduttore all'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale consegue direttamente al fatto che il rapporto sia cessato per la volontà del locatore e, quindi, non
esplica alcuna rilevanza la circostanza che dopo l'intimazione di licenza il rilascio abbia avuto luogo
spontaneamente, anzich‚ coattivamente. Inoltre, il ritardo da parte del locatore nel corrispondere l'indennità fa
sorgere nel conduttore un diritto di ritenzione dell'immobile locato fino a quel momento, ma non comporta una
prorogatio del rapporto locativo dopo la sua scadenza contrattuale.
* Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n. 6548, Costabile c. Palumbo.
L'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 (per il regime ordinario) ed all'art. 69 (per
il regime transitorio) della legge sull'equo canone non è dovuta (dal locatore) al conduttore che unilateralmente
recede dal contratto di locazione di immobile per uso non abitativo.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1993, n. 2284, Srl Sigros c. Moschetto.
Per l'attribuzione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, che il locatore di immobile adibito ad uso diverso
da quello di abitazione è tenuto a corrispondere al conduttore in forza degli artt. 34, 35 della L. 27 luglio 1978 n.
392, è sufficiente l'anticipata cessazione del rapporto a causa del recesso del locatore, non richiedendo la
norma di ulteriori condizioni e, quindi, restando irrilevante la circostanza che il conduttore estromesso abbia
cessato di svolgere ogni attività prima o dopo il rilascio dell'immobile (nella specie, si trattava di un sarto che,
dopo la cessazione del rapporto locativo, aveva cessato la sua attività).
* Cass. civ., sez. III, 10 agosto 1993, n. 8585, Paletti c. Ferranti.
In tema di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo, il diritto alla indennità di avviamento di cui
all'art. 34 della legge n. 392 del 1978 non spetta al conduttore il quale stipuli contratto di associazione in
partecipazione con il titolare dell'attività svolta nell'immobile locato, in quanto costui non diventa contitolare della
stessa, neppure qualora gli venga affidata la gestione interna dell'impresa, a meno che, superati i limiti di siffatti
poteri gestori, sia configurabile, in presenza degli altri requisiti a tali effetti richiesti, una società di fatto. *Cass.
civ., sez. III, 20 maggio 1999, n. 4911, Romana Gestione srl c. Borsò.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, al fine di riconoscere la
sussistenza del diritto all'indennità di avviamento, non occorre accertare se dal rilascio dell'immobile il locatore
riceva un vantaggio o il conduttore risenta un danno, ma occorre piuttosto stabilire se l'immobile sia stato in
concreto utilizzato per lo svolgimento di attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei
consumatori.
* Cass. civ., sez. III, 6 aprile 1995, n. 4027, Orlando A. c. Scaltriti ed altri.
Qualora la locazione di un immobile adibito ad una delle attività contemplate nei primi due commi dell'art. 27
della L. n. 392 del 1978, in corso alla data dell'entrata in vigore della suddetta legge e non soggetta a proroga,
venga a cessare convenzionalmente in data successiva a quella calcolata ai sensi dell'art. 71, il diritto del
conduttore all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale deve riconoscersi non alla stregua della
disposizione transitoria dell'art. 69 ma di quella ordinaria dell'art. 34 della citata legge. (Nella specie si trattava
della locazione di un'area destinata ad attività commerciale con contratto novennale a partire dal 1973). *Cass.,
sez. III, 26 maggio 1989, n. 2566, Falcone c. Binetti.
L'esercizio da parte della P.A. del diritto di prelazione previsto dall'art. 31 L. 1 giugno 1939 n. 1089 con riguardo
alle alienazioni fra privati di beni con valore artistico o storico comporta l'acquisizione coattiva del bene ed il suo
assoggettamento al regime del demanio pubblico, ai sensi degli artt. 822 e 824 c.c., sicché‚ il suo godimento da
parte di terzi non può più avvenire in base a contratti di diritto privato, ma soltanto mediante un atto avente
natura di concessione. Ne discende che il rapporto di locazione concluso dal precedente proprietario
dell'immobile con un terzo cessa automaticamente per effetto dell'esercizio del potere ablatorio della P.A. e che
l'ex conduttore non può vantare nei confronti della P.A., che non ha mai assunto la qualità di locatore, alcun
diritto che sia dipendente o collegato a tale qualità ed, in particolare, non può esercitare ex art. 34 L. 392/78 - o
ex art. 69 per il periodo transitorio previsto da detta legge - l'azione diretta ad ottenere il compenso per la perdita
dell'avviamento commerciale, operando tale normativa nei rapporti fra conduttore e locatore.
* Cass. civ., sez. III, 21 giugno 1995, n. 7020, Finanze Stato c. Mobili Imbottiti srl.
La corresponsione dell'indennità di avviamento di cui all'art. 34, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392,
non condiziona il diritto del locatore alla esecuzione del provvedimento di rilascio, ma solo l'inizio di tale
esecuzione, per cui non deve necessariamente precedere la notificazione del precetto, che, come è reso palese
dall'art. 479 c.p.c., è solo atto prodromico rispetto alla esecuzione, ed, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., può essere
impugnato con l'opposizione alla esecuzione, prima che questa sia iniziata, solo per contestare il diritto
dell'istante di procedere alla esecuzione per l'inesistenza o invalidità del titolo esecutivo o la successiva modifica
o estinzione del diritto. Ne consegue che, ove non sia stata corrisposta l'indennità di avviamento, il conduttore
può proporre opposizione alla esecuzione solo dopo che questa sia iniziata, e non prima, contro il precetto, che,
anche se intimato anteriormente a detta corresponsione, è pienamente legittimo.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1999, n. 9293, INA S.p.A. c. De Leo ed altra.
Affinché‚ sorga a favore del conduttore il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi
degli artt. 34 e 35 della legge 27 luglio 1978, n. 392, l'utilizzazione dell'immobile, nello svolgimento di attività
commerciali che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, deve essere primaria e
non marginale, tale cioè da caratterizzare l'immobile, perché‚ solo in questo modo essa oltre ad essere
obiettivamente palesata, sì da far assurgere l'immobile a punto di richiamo per la clientela, è idonea a realizzare
quel fattore di avviamento commerciale ritenuto meritevole di tutela. Ne deriva che la indennità non spetta nel
caso in cui l'immobile locato sia destinato a deposito e solo occasionalmente ad esso acceda il pubblico dei
consumatori, senza che rilevi il vincolo di accessorietà funzionale eventualmente attuato dal conduttore tra il
detto immobile ed altro.* Cass. civ., sez. III, 10 luglio 1997, n. 6269, Cora Srl c. Zuccarelli.
Con riguardo alla cessazione, per diniego di rinnovazione, di locazioni non abitative, il diritto del conduttore a
percepire l'ulteriore indennità per perdita di avviamento commerciale - prevista dall'art. 34, comma 2, L. n. 392
del 1978, qualora l'immobile venga destinato all'esercizio della medesima attività o di attività affini a quella
esercitata dal conduttore uscente e ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del
precedente - è collegato all'effettivo esercizio dell'attività, non già all'intenzione manifestata dal locatore in
occasione del diniego di rinnovazione del contratto (art. 29 legge cit.); con la conseguenza che l'indicato diritto
sorge solo quando venga accertato che il nuovo esercizio coincida (o sia affine) a quello esercitato dal
precedente conduttore.* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1995, n. 4326, Trillo c. Di Blasio.
In tema di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, il diritto all'ulteriore indennità preveduto dal
comma secondo dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392 presuppone, quando l'esercizio non venga adibito alla
stessa attività già svolta dal conduttore, che la nuova attività, oltre ad essere inclusa nella medesima tabella
merceologica della precedente, sia ad essa affine e la valutazione di tale requisito, costituendo un giudizio di
merito, non è sindacabile nel giudizio di legittimità se congruamente motivata. * Cass. civ., sez. III, 20 ottobre
1989, n. 4225, Gargiulo c. Pica.
Il diritto del conduttore di un immobile non abitativo all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale
sorge, nel concorso dei requisiti di legge, quando cessa de iure il rapporto locativo (nella specie, data per la
quale era stata intimata e convalidata la licenza) con la conseguenza che per il riconoscimento di tale diritto
deve aversi riguardo all'attività esercitata dal conduttore in tale momento.* Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n.
6548, Costabile c. Palumbo.
Il conduttore al quale sia stato comunicato dal locatore preavviso della volontà di recesso dal contratto di
locazione per uso non abitativo (nella specie, soggetto a regime transitorio) per le esigenze di ristrutturazione
dell'immobile indicate dall'art. 29 lett. d) della legge sull'equo canone, in relazione alle quali risulti rilasciata la
licenza o concessione solo in data successiva a quella della predetta comunicazione, ha diritto alla indennità per
la perdita dell'avviamento commerciale nell'ammontare determinato con riferimento alla data della licenza o
concessione, dato che solo da quel momento si sono realizzate le condizioni del recesso.
* Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1991, n. 10761, Di Pino c. Luciani.
L'art. 9 della L. 21 febbraio 1989, n. 61, che, integrando l'art. 34 della legge sull'equo canone, consente
l'esecuzione del provvedimento di rilascio di immobile locato per uso non abitativo anche se sia ancora
pendente il giudizio relativo alla spettanza ed alla determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale quando il locatore abbia corrisposto, salvo conguaglio, l'importo indicato dal conduttore o, in difetto,
da lui offerto o comunque risultante dalla sentenza di primo grado, deve ritenersi applicabile anche alle locazioni
in regime transitorio regolate dall'art. 69 della citata legge sull'equo canone, per le quali è prevista la medesima
procedura esecutiva di rilascio, in relazione alla quale, operando il pagamento dell'indennità di avviamento come
condizione di procedibilità dell'azione esecutiva, ricorre l'esigenza, comune alle locazioni in regime ordinario ed
a quelle in regime transitorio, di impedire che il giudizio di determinazione dell'indennità di avviamento possa
essere strumentalmente utilizzato per ritardare l'esecuzione del provvedimento di rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11415, Dello Iacono c. Simoncini.
Nel giudizio di risoluzione del rapporto di locazione di un immobile ad uso non abitativo, le obbligazioni di
pagamento delle indennità per la perdita dell'avviamento commerciale e quella di rilascio dell'immobile sono fra
loro in rapporto di reciproca dipendenza in quanto ciascuna prestazione è inesigibile in difetto di contemporaneo
adempimento dell'altra, con la conseguenza che la legge, subordinando il rilascio dell'immobile al pagamento
dell'indennità, specularmente condiziona il pagamento dell'indennità al rilascio e instaura così tra le due
obbligazioni una interdipendenza che costituisce fondamento per un'eccezione di inadempimento ai sensi
dell'art. 1460 c.c. o per un'eccezione alla stessa assimilabile.
* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2001, n. 580, Codicè c. Castaldo, in Arch. loc. e cond. 2001, 285.
Perché‚ sorga il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio 1978,
n. 392 occorre che vi sia il rilascio dell'immobile locato, il quale è il fatto causativo della perdita dell'avviamento.
Se alla cessazione del rapporto locatizio non si accompagna il rilascio del locale e quindi l'attività economica ivi
svolta continua ad esservi esercitata, non vi può essere perdita di avviamento e quindi pregiudizio economico da
compensare, sia pure con quel particolare meccanismo automatico introdotto dalla legge n. 392 del 1978. (La
Corte ha affermato il principio in un caso in cui la cessazione del rapporto di locazione conseguiva all'acquisto in
proprietà da parte del conduttore dell'immobile, a seguito della prelazione).
* Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2001, n. 339, Maogima Sas c. Kuwait Petroleum Italia Spa.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora la data di rilascio ricada nella
sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 7 D.L. n. 551 del 1988, conv. nella L. n. 61 del 1989, il conduttore
è tenuto, per tutto il periodo di operatività della predetta sospensione, a corrispondere al locatore l'indennità di
occupazione, nella misura prevista dal comma 2 del citato art. 7, a nulla rilevando che non gli sia ancora stata
corrisposta, n‚ offerta, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, spettantegli a norma dell'art 34, L.
n. 392 del 1978, in quanto, nell'indicato periodo di sospensione, il provvedimento di rilascio non è eseguibile per
cause diverse e indipendenti dalla mancata corresponsione dell'indennità per perdita di avviamento, con la
conseguenza che, durante il periodo medesimo non può ritenersi gravante sul locatore l'onere di corrispondere
la stessa.
* Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1995, n. 3813, Di Mauro c. Oberti.
In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso dall'abitazione, il rilascio dell'immobile da parte del
conduttore a seguito di diniego di rinnovo alla prima scadenza a norma dell'art. 29 della legge 27 luglio 1978, n.
392, non comporta a carico di questi il venir meno del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale, nella ricorrenza degli altri presupposti della stessa, ancorché‚ la disdetta intimata dal locatore
debba considerarsi nulla e priva di effetti (per mancanza, nella specie, di uno specifico motivo di diniego,
essendo state richiamate in essa tutte le ipotesi di utilizzazione dell'immobile elencate nel citato art. 29) giacché‚
in tale ipotesi il rilascio non può essere ricondotto al mutuo consenso del locatore e del conduttore in ordine alla
cessazione della locazione, costituendo la disdetta, ancorché‚ nulla, estrinsecazione di una unilaterale iniziativa
dello stesso locatore, cui soltanto è imputabile la conclusione del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 1230, Pirani c. Immobiliare Giove Sas.
In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo, il diritto del conduttore all'indennità per la perdita
dell'avviamento commerciale consegue direttamente al fatto che il rapporto sia cessato per volontà del locatore,
restando irrilevante la circostanza che la concreta utilizzazione dell'immobile locato sia venuta meno con largo
anticipo rispetto alla riconsegna dello stesso. (Nel caso di specie, pur essendo la risoluzione del contratto
formalmente dipesa dalla disdetta del conduttore, la facoltà di recesso anticipato era tuttavia convenzionalmente
attribuita, stante la volontà manifestata dal locatore in una transazione di non continuare la locazione oltre una
certa scadenza).
* Pret. civ. Perugia, sez. dist. Foligno, 14 dicembre 1998, n. 59, Tabarrini ed altra c. Brunori.
La nuova attività intrapresa nell'immobile va considerata affine a quella esercitatavi dal conduttore uscente ogni
qualvolta essa si avvantaggia comunque dell'avviamento prodotto da quest'ultimo, ancorch‚ soltanto in parte;
quando sfrutta, cioè, la potenzialità economica sviluppata dall'esercizio precedente intesa come attitudine a
produrre con il suo funzionamento un profitto maggiore di quello che il gestore potrebbe ricavare dai singoli beni
che lo compongono, tenuto conto anche della acquisita capacità di attirare clienti. * Pret. civ. Ravenna, 18
giugno 1982, n. 259, Sabbioni c. Ricci Maccarini e altro.
L'indennità per la perdita dell'avviamento, di cui agli artt. 34 e 69 legge n. 392/1978, spetta al conduttore, in
presenza degli altri requisiti richiesti, quando costui sia indotto a rilasciare l'immobile su iniziativa del locatore,
anche se non sia stato emesso nei suoi confronti un provvedimento giudiziale di condanna al rilascio. (Nella
specie, è stato riconosciuto il diritto al conduttore che, ricevuta dal locatore la disdetta del contratto e convenuto
in giudizio per la convalida dell'intimazione di sfratto, aveva poi rilasciato l'immobile volontariamente nelle more
del processo).* Pret. civ. Milano, 9 maggio 1985, Communication Service Srl c. Betti.
Tenuto conto della ratio delle disposizioni degli artt. 34 e 69 L. n. 392/1978 che prevedono il diritto del
conduttore di immobile non abitativo alla corresponsione di una indennità per la perdita dell'avviamento
commerciale in caso di cessazione del rapporto di locazione, il predetto diritto va riconosciuto soltanto a chi è
contemporaneamente titolare del rapporto di locazione - conduzione da cui il diritto stesso trae origine e
dell'attività esecutiva esercitata nell'immobile oggetto della locazione. Pertanto, qualora l'attività di impresa
nell'immobile locato sia esercitata da un soggetto diverso dal conduttore (nella specie, da una società di capitali
costituita dal conduttore stesso, non succedutagli però nella conduzione dell'immobile), il diritto all'indennità di
avviamento non spetta n‚ al primo di tali soggetti, perché‚ privo della qualità di conduttore nel rapporto di
locazione cessato, n‚ al secondo, perché‚ non esercente nell'immobile l'attività eventualmente tutelata attraverso
l'indennità in questione.
* Pret. civ. Milano, 11 novembre 1987, n. 3371, Pastori c. Vima Spa.
s) Procedimento cautelare
Poiché la legge 392/1978 consente al giudice di emettere provvedimenti urgenti in corso di causa ma non
appresta alcun strumento diretto a consentire l'esecuzione di un'ordinanza di rilascio, può adottarsi il rimedio
rituale previsto nell'art. 700 c.p.c. ai fini della determinazione dell'indennità dovuta al conduttore e quindi
dell'esecuzione del provvedimento di rilascio.
* Pret. civ. Roma, ord. 29 dicembre 1980, Pollini c. Pagnotta.
t) Recesso anticipato
Nel caso in cui il locatore abbia, ai sensi dell'art. 69 della legge sull'equo canone (ovvero ai sensi dell'art. 34 per
il regime non transitorio), comunicato al conduttore la propria intenzione di non procedere al rinnovo della
locazione alla scadenza, il rilascio anticipato da parte del conduttore non può essere considerato come un
recesso anticipato dal contratto con conseguente perdita del diritto alla indennità per l'avviamento commerciale,
poiché quest'ultima compete al conduttore per il solo fatto che il locatore abbia assunto l'iniziativa di non
proseguire la locazione, stante l'esigenza del conduttore di reperire comunque una sistemazione alternativa,
collegata a situazioni che non necessariamente coincidano con il termine finale del rapporto locativo.
* Cass. civ., sez. III, 6 marzo 1998, n. 2485, Di Benedetto ed altro c. Romeo.
u) Rinuncia
La rinunzia del conduttore all'indennità di avviamento commerciale non è nulla ai sensi dell'art. 79 della L. 27
luglio 1978 n. 392 quando il vantaggio che il locatore ne ricava è compensato dal danno che subisce per effetto
della contestuale pattuizione di una proroga della locazione in favore del conduttore alla quale quest'ultimo non
avrebbe diritto.
* Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1991, n. 2945, Riglione c. Consoli.
La rinuncia da parte del conduttore all'indennità di avviamento contenuta in una transazione è valida, non
rientrando nella previsione di cui all'art. 79 della legge n. 392/1978, nè ad alcunché‚ rileva che essa non sia stata
raggiunta avanti al giudice.
* Corte App. civ. Brescia, 8 gennaio 1986, Vailati c. Dasti.
v) Risarcimento del danno
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio
1978, n. 392 e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge, scaduto il contratto, il conduttore
che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennità per
l'avviamento a lui dovuta, è obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 15 novembre 2000, n. 1177, Pascucci c. Zanobbi ed altri, in Arch. loc. e cond. 2001, 70.
w) Sublocazione
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, alla cessazione
della locazione e, quindi, della sublocazione, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli
artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978, a differenza della prelazione regolata dall'art. 38 della legge medesima,
che spetta solo al subconduttore, compete nei confronti del locatore al conduttore e non al subconduttore. *
Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1994, n. 692, Ranieri c. Immobiliare Otto Srl.
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano ad uso non abitativo, alla cessazione della locazione e, quindi,
della sublocazione, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e 69 legge 27
luglio 1978 n. 392, compete al conduttore sublocatore nei confronti del locatore ed al subconduttore nei confronti
del sublocatore.
* Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9677, Vata ed altri c. Vivese.
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano adibito ad uso non abitativo, alla cessazione della locazione e
quindi della sublocazione l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e 69 della
legge sull'equo canone, compete al conduttore-sublocatore nei confronti del locatore e al subconduttore nei
confronti del sublocatore medesimo.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6935, Tiberino Srl c. Tomal Srl.
Nell'ipotesi di cessazione del rapporto locatizio concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione, con riguardo alle finalità perseguite con la previsione dell'indennità di avviamento, che sono quella di
ristorare il conduttore del subito pregiudizio (anche se stabilito presuntivamente dal legislatore secondo l'id quod
plerumque accidit) e quella di porre un deterrente per evitare la cessazione dei rapporti locatizi concernenti le
imprese, l'indennità medesima compete esclusivamente a colui che gode l'immobile nel momento in cui cessa la
locazione. Conseguentemente il conduttore che abbia sublocato l'immobile ad un terzo, il quale vi svolga una
delle attività indicate nei nn. 1 e 2 dell'art. 27 della legge n. 392 del 1978, non può pretendere dal proprio
locatore, a titolo personale e diretto, l'indennità prevista dall'art. 34 della richiamata legge, che spetta
esclusivamente al subconduttore. * Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2617, Salvatore c. Soc. Singer.
Qualora il subconduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione richieda l'indennità
per la perdita dell'avviamento commerciale - alternativamente o cumulativamente - sia al locatore che al
sublocatore, si determina non una situazione di causa inscindibile con pluralità di parti in veste di litisconsorti
necessari, bensì di litisconsorzio passivo facoltativo. Conseguentemente, qualora la domanda venga accolta nei
confronti di uno solo dei convenuti - restando l'altro assolto - si verifica una implicita separazione delle cause
originariamente connesse e, ove sia impugnata una sola delle statuizioni, il giudice dell'appello non è tenuto a
disporre la integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c. nei confronti della parte destinataria della
decisione non impugnata. * Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1987, n. 26, Soc. Erko c. Soc. Rimafer.
x) Tentativo obbligatorio di conciliazione
In tema di locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, la domanda di
determinazione dell'indennità di avviamento non deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di
conciliazione, di cui agli artt. 43 e 44 della L. n. 392/1978, richiesto soltanto per le cause relative alla
determinazione, all'aggiornamento ed all'adeguamento del canone.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1990, n. 8488, De Luca c. Arseni.
y) Vendita dell'immobile
La vendita di un immobile -una volta esauritasi la locazione e pur continuando il conduttore ad occupare la res
-non comporta la sostituzione del compratore al venditore nell'obbligo derivante dal contratto di corrispondere
l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale ormai definitivamente maturata in favore del conduttore.
* Pret. civ. Pietrasanta, 31 ottobre 1989, Pio Istituto c. Snc La Costa Marmi.
Il valore di avviamento - inteso nella sua preminente significazione di clientela - può essere oggetto di autonomi
(rispetto alla cessione di azienda) accordi e contrattazioni nei diretti rapporti tra successivi conduttori dello
stesso immobile commerciale.
* Trib. civ. Bologna, 29 marzo 1986, Srl Caniglia di Grali c. Srl Parisotto.
INNOVAZIONI IN CONDOMINIO
SOMMARIO: a) Consenso dei condomini; b) Costituzione di un diritto reale a favore di un solo condomino; c)
Costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo comune; d) Decoro architettonico; e) Destinate a servire
solo una parte dell'edificio; f) Differenze tra innovazioni e modificazioni; g) Gravose o voluttuarie; h) Miglior
godimento della cosa comune; i) Nozione; l) Vietate.
a) Consenso dei condomini
Il comproprietario convenuto per l'eliminazione di un'innovazione alla cosa comune, non può invocare il preteso
consenso dei comunisti per non avere essi reagito, fino a quel momento, alla sua iniziativa, poiché tale
consenso deve emergere dalla volontà della maggioranza dei partecipanti all'assemblea, positivamente
formatasi ed espressa.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111, Salomone c. Colage.
In materia di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., il consenso deve essere manifestato con atto scritto a pena di
nullità ed è inammissibile al riguardo la prova testimoniale.* Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609,
Kranjcevic Srl c. Condominio di via R. Giuliani, nn. 137-139, in Firenze.
La norma dell'art. 1120 cod. civ., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai
condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione d'innovazioni che
comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese,
torna applicabile la norma generale dell'art. 1102 cod. civ. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui
ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, può apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 7 marzo 1980, n. 368, Bonello e Moraschini c. Corvi e Corvi ed altri.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, c.c. (nella specie, consistenti nella collocazione di una porta
sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministrazione del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condominio su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (comunione dei diritti reali) possesso (delle menzionate parti
comuni) proposta da quest'ultimo. Peraltro, l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera
condominiale che ratifichi, con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma, c.c. le spese
relative alle eseguite innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure
tardivamente, sotto il profilo dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto,
facendo venir meno i connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisibili, con
conseguente rigetto nel merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.* Pret. civ. Busto Arsizio, 6
febbraio 1990.
b) Costituzione di un diritto reale a favore di un solo condomino
Una innovazione sulla cosa comune vietata a norma dell'art. 1120 cod. civ., in quanto comportante l'inservibilità,
per gli altri condomini, della cosa comune è la costituzione sulla stessa di un diritto reale a favore di un solo
condomino, e per essere legittima deve essere consentita, a pena di nullità, con atto scritto, da tutti gli altri
condomini, pertanto, inammissibile la prova testimoniale diretta a provare l'esistenza di tale consenso.* Cass.
civ., sez. II, 4 luglio 1981, n. 4364, Vena c. Barbieri.
c) Costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo comune
La disciplina dell'accessione, riferendosi all'ipotesi della costruzione effettuata dal terzo, con materiali propri, sul
fondo altrui, non è applicabile alla diversa ipotesi della costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo
comune perché i comunisti non possono essere considerati terzi fra di loro. Pertanto tale ultima ipotesi trova la
sua esclusiva disciplina nella norma dell'art. 1120 c.c., relativa alle innovazioni apportate dai condomini sulle
cose comuni.* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1977, n. 3565.
d) Decoro architettonico
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 cod. civ. deve intendersi
l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed
imprimono alle varie parti dell'edificio, nonchè all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonica
fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se,
in concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico è demandata al giudice del
merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato.* Cass. civ., sez. II, 7
marzo 1988, n. 2313, Petrucci c. Cond. Via A. Mis.
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle
varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia
senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico.* Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1994, n.
10507, Tosches c. Cond. Corso Mazzini.
Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un
fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima
dell'esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta
pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata già menomata a
seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico.
* Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549, Gentina c. Romerio.
La disposizione dell'art. 1120 cod. civ., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al
decoro architettonico del fabbricato o che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso od al
godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in sè ed il modo di usare e di godere della
cosa comune; consegue che ove l'opera compiuta da un condomino o dal condominio sulla cosa comune rechi
danno o pregiudizio alla proprietà esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporto relativi a due
immobili finitimi, trovano applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989, n. 2548, Napolitano c. Co. V. S. Gior. To.
Il divieto di innovazioni che alterino il decoro estetico ed architettonico di un edificio riguarda, ai sensi dell'art.
1120 cod. civ., i rapporti tra condomini e presuppone quindi l'esistenza di un edificio in condominio, con la
conseguenza che le innovazioni apportate da taluno ad un edificio di sua proprietà non attribuiscono al vicino,
proprietario di un adiacente edificio, il diritto al risarcimento del danno per assunto pregiudizio estetico all'intero
complesso immobiliare unitariamente considerato.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1954, Bramini c. Gaidella.
Poichè le norme del regolamento di condominio di natura negoziale possono derogare o comunque integrare la
disciplina legale, deve ritenersi che qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che
modifichino l'architettura, l'estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione
di decoro architettonico formulata dall'art. 1120 cod. civ., ma recepisce anche un autonomo valore (dandone una
definizione più rigorosa), nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione È
qualificato da elementi attinenti alla simmetria, estetica ed architettura generale impressi dal costruttore o
comunque esistenti al momento dell'esecuzione della innovazione, sicchè l'alterazione di esso (decoro) È
ravvisabile, con conseguente operatività del divieto di cui all'art. 1120 cod. civ., alla menomazione anche di un
solo dei predetti elementi. (Nella specie la Suprema Corte ha corretto la motivazione della decisione impugnata
nel senso che la norma del regolamento condominiale, nel definire la nozione di decoro architettonico, recepiva
un autonomo valore, confermando la decisione stessa poiché i giudici del merito avevano accertato, con esatti
criteri che nel caso concreto la trasformazione di una finestra sul cortile in porta-finestra non aveva pregiudicato
alcuno degli elementi di simmetria, architettura ed estetica considerati dall'art. 11 del regolamento
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861, Di Lello c. Cucciani.
L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un
mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia
del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio
estetico quello economico, senza necessità di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non
sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente
valutabile.
* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717, Valentini c. Cond. Via Città del Castello n. 27 Roma.
L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un
mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia
del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio
estetico quello economico, senza necessità di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non
sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente
valutabile.
* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717, Valentini c. Cond. Via Città del Castello n. 27 Roma.
Il decoro architettonico, che, espressamente richiamato dall'art. 1120 cod. civ., va valutato con riferimento alla
linea estetica dell'edificio indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, È un bene al quale sono
direttamente interessati tutti i condomini ed È suscettibile anche di valutazione economica, in quanto concorre a
determinare il valore sia della proprietà individuale, sia di quella collettiva delle parti comuni.* Cass. civ., sez. II,
31 luglio 1987, n. 6640, Bardi c. Bond. Fr. Pretol.
La tutela del decoro architettonico è stata apprestata dal legislatore in considerazione della diminuzione del
valore che la sua alterazione arreca all'intero edificio e, quindi, anche alle singole unità immobiliari che lo
compongono. Pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre
ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un
deprezzamento dell'intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio
economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilità la quale compensi l'alterazione
architettonica che non sia di grave e appariscente entità.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1987, n. 4474, De Rienzo c. Cond. Is. Cep. FO.
Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della
proprietà comune, ma se la controparte eccepisce di aver apportato modifiche o innovazioni sulla proprietà
esclusiva, è necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini perchè oggetto di controversia
è l'accertamento della natura condominiale o meno, in base ai rispettivi titoli di acquisto, delle parti di edificio
alterate.* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1998, n. 3238, Di Agostino e altra c. Scarozza.
L'azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell'edificio in condominio, estrinsecazione di facoltà
insita nel diritto di proprietà, è imprescrittibile, in applicazione del principio per cui in facultatis non datur
praescriptio. L'imprescrittibilità, tuttavia, può essere superata dalla prova della usucapione del diritto a
mantenere la situazione lesiva (Nella specie è stata confermata la pronuncia di merito con la quale era stata
accolta la domanda riconvenzionale di un condomino di riduzione in pristino del sottostante terrazzo a livello
trasformato in veranda).* Cass. pen., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727, Marotti Bartoli c. Cao di San Marco Efisio.
Il regolamento di condominio, quale che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche
quando non abbia natura contrattuale, a mente dell'art. 1138, comma primo, c.c., può ben contenere norme
intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere
anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ciò si riveli necessario
in funzione della salvaguardia del bene comune protetto. Più in particolare, può ad esempio vietare quegli
interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili
di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto. (Nella fattispecie controvertevasi in ordine ad un tipo di
serramenti installati, da un condomino, in sostituzione di quelli originari, alle finestre della sua unità immobiliare
aperte sulla facciata del fabbricato condominiale).* Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731, Fossa c.
Condominio Via Madonna 4 Rho.
Il proprietario di un immobile non può invocare la norma stabilita dall'art. 1120 c.c. per pretendere che il
proprietario di quello antistante ne curi l'estetica intonacandolo adeguatamente all'esterno, perch‚ tale norma
disciplina i rapporti condominiali sui beni comuni, non esclusivamente altrui, mentre gli interessi al rispetto
dell'ornato pubblico e dell'aspetto dei fabbricati possono trovare tutela nei regolamenti edilizi comunali (artt. 871
c.c. e 33 L. 17 agosto 1942 n. 1150) - la cui esistenza e contenuto va provata da chi l'invoca - che, se violati,
non obbligano ad un facere, ma al risarcimento del danno (art. 872 c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1998, n. 1873, Abbondanza ed altri c. Caldarini, in Arch. loc. e cond. 1998, 558.
Un regolamento di condominio cosiddetto contrattuale ove abbia ad oggetto la conservazione dell'originaria
facies architettonica dell'edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condomini mediante
il divieto di qualsiasi opera modificatrice, persino migliorativa, appresta in tal modo una tutela pattizia ben più
intensa e rigorosa di quella apprestata al mero decoro architettonico dagli artt. 1120, secondo comma, 1127,
terzo comma, e 1138, primo comma, cod. civ., con la conseguenza che in presenza di opere esterne la loro
realizzazione integra di per s‚ una vietata modificazione dell'originario assetto architettonico dell'edificio.* Cass.
civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7398, Cond. Per. Tig. c. Leale Rita.
L'alterazione del decoro dell'edificio condominiale (che in sè non è bene comune ma al regime legale dei beni
comuni è assoggettato) ben può derivare dall'alterazione dell'originario aspetto di singoli elementi o di singole
parti dell'edificio stesso che abbiano sostanziale o formale autonomia o siano comunque suscettibili per sè‚ di
autonoma considerazione, senza che possa rilevare la circostanza che analogo manufatto sia stato da altri
realizzato su di un diverso fronte dello stesso edificio.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175, Vilella c. Centauni.
Alle modificazioni consentite al singolo ex art. 1102, primo comma, c.c. le quali tecnicamente si contrassegnano
perchè non alterano la destinazione delle cose comuni, si applica altresì il divieto di alterare il decoro
architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall'art. 1120, secondo comma, c.c., in tema di innovazioni.
* Cass. civ. 29 marzo 1994, n. 3084.
Nel caso di esecuzione nei locali di proprietà individuale di opere e lavori lesivi del decoro dell'edificio
condominiale o di parte di esso, ciascun condomino ha diritto di chiedere ed ottenere, in via di adempimento in
forma specifica dell'obbligo di non fare (art. 2923 cod. civ.), la demolizione delle opere illegittimamente eseguite,
esulando dai poteri istituzionali dell'assemblea dei condomini - non‚ potendo attribuirla il regolamento
condominiale - la facoltà di deliberare o consentire opere lesive del decoro dell'edificio condominiale (a norma
dell`art. 1138, in relazione agli artt. 1120 e 1122 cod. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175, Vilella c. Centauni.
Se è vero che l'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 cod. civ.,
richiede un mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile, tuttavia, nell'ipotesi di
modifica obiettivamente rilevante, deve ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, con la
conseguente insussistenza dell'obbligo del giudice di un'espressa motivazione sotto tale ultimo profilo. (Nella
specie, in cui si trattava della trasformazione in porte di tre finestre di un appartamento condominiale, il S.C.,
enunciando il principio che precede, ha considerato congrua la decisione dei giudici del merito che avevano
reputato tale trasformazione lesiva del decoro architettonico dello stabile alla stregua della consistenza della
medesima e della sua notevole incidenza negativa sulla simmetria dell'immobile).
* Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1981, n. 1918, Nifosi V. c. Rizza L.
I vincoli per la tutela delle bellezze naturali ed artistiche, gravanti sul proprietario di un immobile in edificio
condominiale, incidono, in ordine alle opere che comportino modifica della situazione preesistente, solo nei
rapporti fra il proprietario esecutore delle opere stesse e la pubblica autorità investita della tutela, ma non
possono interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall'art. 1120, secondo
comma, c.c. per la preservazione del decoro architettonico dell'edificio; da ciò consegue che, al fine di accertare
la legittimità o meno, ai sensi del citato art. 1120, secondo comma, c.c., della innovazione eseguita dal
proprietario di un piano o di una porzione di piano, in corrispondenza della sua proprietà esclusiva, è irrilevante
che l'autorità preposta all'indicata tutela abbia autorizzato l'opera medesima.* Cass. civ., Sezioni Unite, 28
giugno 1975, n. 2552.
I vincoli relativi alla tutela delle bellezze naturali ed artistiche che gravano sul proprietario di un immobile in
edificio condominiale incidono, in ordine alle opere che comportino modifica della situazione preesistente, solo
nei rapporti tra l'esecutore delle stesse e la pubblica autorità investita della tutela ma non possono interferire
negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall'art. 1120 c.c. per la preservazione del
decoro architettonico.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 luglio 1993, n. 2063, Rosolino c. Cond. di via Orsini n. 42 di Napoli.
Il giudice deve accertare non soltanto se l'edificio abbia ed in che misura un decoro architettonico e se esso
risulti concretamente turbato o leso dall'opera che il condomino intende compiere o ha già compiuto, ma anche
se tale turbamento o lesione importi un deprezzamento dell'intero edificio. L'indagine volta a stabilire se, in
concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio è
demandata al potere discrezionale del giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità,
ove sia congruamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1975, n. 706.
La norma dell'art. 1120 c.c., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al decoro
architettonico dell'edificio in condominio, si limita a tutelare l'edificio in sè, mentre il rapporto dell'edificio con
l'ambiente è regolato da legislazione speciale.* Cass. civ., 9 aprile 1975, n. 1304.
L'accertamento del giudice del merito che la costruzione, da parte di un condomino, di due balconi sulla facciata
di un edificio ottocentesco altera il decoro architettonico dell'edificio stesso e limita la luce nell'appartamento
sottostante di altro condomino, e perciò deve ritenersi vietata ai sensi dell'art. 1120, secondo comma, c.c., è
incensurabile in Cassazione; n‚ rileva la circostanza che la costruzione sia autorizzata dal sindaco e dalla
soprintendenza ai monumenti, giacchè le autorizzazioni amministrative debbono intendersi date con salvezza
dei diritti dei terzi.
* Cass. civ., sez. II, 14 maggio 1977, n. 1936.
Nel caso in cui l'innovazione realizzata dal singolo condomino risulta in contrasto con le norme del regolamento
edilizio comunale espressamente richiamate dal regolamento di condominio a tutela dell'estetica e del decoro
architettonico dell'edificio, nessun'altra indagine deve compiere il giudice per verificare l'illegittimità di tale opera
sotto il profilo dell'alterazione dell'estetica e del decoro stessi, trattandosi di aspetto non suscettibile di essere
valutato discrezionalmente con risultati eventualmente non coincidenti con quelli pattiziamente voluti dai
condomini.* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839.
Il decoro architettonico dell'edificio condominiale può essere tutelato a norma dell'art. 1120 cod. civ., su istanza
del singolo condomino, che è, quindi, a tal fine legittimato ad agire anche nell'inerzia e contro il deliberato degli
organi del condominio. Tale decoro deve essere valutato con riferimento alla linea estetica dell'edificio,
indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, avendo riguardo alla particolare fisionomia di ogni singola
costruzione, e senza alcun riferimento all'ambiente nel quale si trova.
* Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1979, n. 6397, Mugnetti c. Cavaliere.
Alle modificazioni consentite al singolo ex art. 1102, primo comma, c.c. le quali tecnicamente si contrassegnano
perchè non alterano la destinazione delle cose comuni, si applica altresì il divieto di alterare il decoro
architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall'art. 1120, secondo comma, c.c., in tema di
innovazioni.* Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1994, n. 3084, Pontecorvo c. Ligori.
La disposizione del capoverso dell'art. 1120 cod. civ., che vieta anche l'esecuzione di opere, nell'edificio
condominiale, che ne alterino il decoro architettonico, in quanto diretta a tutelare la linea armonica di uno stabile,
deve trovare applicazione non solo quando si tratti di edifici di particolare pregio artistico, ma anche quando si
tratti di edifici aventi una propria fisionomia che venga a risultare turbata, nell'armonia delle linee, dalla nuova
opera.* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1980, n. 832, Dentis c. Soc. Hotel Genov.
La valutazione delle innovazioni, al fine della salvaguardia del decoro architettonico, è meno rigorosa per un
edificio di architettura moderna, rispetto a quella necessaria per un immobile antico o d'epoca.* Trib. civ. Milano,
sez. VIII, 8 maggio 1989, Lilloni ed altra c. Gallarini ed altri.
Le modificazioni apportate da uno dei condomini agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza
della preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio, valgono a
far qualificare presuntivamente dette opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata
dell'edificio ed a configurare l'interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della
cosa comune. Nè tale interesse può ritenersi escluso per la possibilità di una postuma convalida da parte
dell'assemblea, perchè l'esercizio del potere di azione non può trovare ostacolo nella aleatoria evenienza di una
successiva convalida da parte dell'assemblea.* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1988, n. 3927, Romano e altro c.
Degli Esposti.
L'esecuzione nell'edificio in condominio di opere che, pur incidendo su beni di proprietà esclusiva, mettano in
pericolo interessi comuni tutelati dalla legge, quale quello connesso al decoro dell'edificio, che costituisce un
particolare aspetto del godimento dei beni e servizi comuni, è legittimamente disciplinata non solo direttamente
dal regolamento condominiale ma anche fissata su delega di questo, dall'assemblea condominiale, tra i cui
compiti è compresa la disciplina della conservazione e manutenzione delle cose comuni. Consegue che
l'eventuale impugnativa, da parte del condomino che contesti la valutazione dell'assemblea che abbia ritenuto la
contrarietà al decoro dell'edificio di una data opera (nella specie: apposizione dei doppi vetri nelle aperture degli
appartamenti) e l'abbia vietata, va proposta nei termini stabiliti dall'art. 1137 cod. civ., senza che rilevi che
all'epoca della delibera il condomino non fosse ancora tale, poichè‚ gli eventi causa dagli originari condomini
restano vincolati dalle delibere assembleari legittimamente prese a suo tempo in ordine agli interessi comuni del
condominio.
* Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1982, n. 4542, c. Condominio <174>Edoardo<175> di Padova.
Allorchè non è dedotta dal condominio la lesione del valore architettonico-storico dell'edificio, il giudice si deve
limitare ad accertare l'eventuale lesione del decoro architettonico, ai sensi dell'art. 1120 c.c., con riguardo a
qualsiasi edificio privo di particolare importanza; ne consegue che non si può parlare di intervento peggiorativo
con riguardo ad un comprovato snaturamento delle linee originarie dello stabile. (Nella specie, accertata la
compromissione della simmetria con l'instaurarsi nel prospetto esterno di una serie disordinata di manufatti ed
infissi di natura e vizi diversi, quali persiane napoletane, ringhiere diversamente disegnate, verande, ecc., il
tribunale ha riformato la decisione del primo giudice, ritenendo legittime e non lesive del decoro del fabbricato
già pregiudicato ed alterato le aperture a balcone del tipo "alla romana", in luogo delle precedenti
aperture-finestre, operate da un condomino).* Trib. civ. Napoli 15 settembre 1990.
La lesione del decoro architettonico può configurarsi anche con riferimento ad un edificio che non abbia
particolare pregio artistico; non rileva a tale riguardo la precedente realizzazione, da parte di altri condomini, di
interventi abusivi.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 6 agosto 1996, n. 2033, Pacera c. Ciaramella.
Il decoro architettonico dell'edificio condominiale è tutelato dall'art. 1120, secondo comma, c.c. solo in relazione
a vere e proprie innovazioni della cosa comune (anche di carattere contingente ma tali da modificarne la
destinazione), non già anche in relazione alle modalità di utilizzazione dell'immobile di proprietà esclusiva.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 25 settembre 1992, n. 1556, Napoli c. Cond. di via Mascheroni n. 25 di Limbiate.
Esclusi problemi di staticità, non sono pregiudizievoli per il decoro e l'aspetto architettonico dell'edificio
condominiale e, pertanto, non se ne può imporre la demolizione, quei manufatti, posti in essere dai singoli
condomini sulle rispettive proprietà esclusive, che non siano (o lo siano in modo inapprezzabile) visibili
dall'esterno, essendo evidentemente determinante, in fatto di estetica, il criterio della visibilità dell'opera.* Trib.
civ. Roma, 13 novembre 1990, n. 3556, in Arch. loc. e cond. 1991, 122.
In materia di disciplina legale della tutela del decoro architettonico di un edificio condominiale il giudice, per
decidere se vi è stato turbamento, deve accertare: 1) l'effettività della turbativa; 2) la diminuzione di valore che
l'alterazione del decoro arreca all'intero edificio ed alle singole unità che lo compongono; e, infine, 3) l'utilità che
si accompagna al pregiudizio (qualora non sia di per sè grave e di appariscente entità). Pertanto, anche quando
l'alterazione produce un danno apprezzabile (economicamente valutabile), se ad essa si accompagni un'utilità
(non meramente soggettiva) idonea a compensarlo, non può esservi turbamento.
* Pret. civ. Capri, 26 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 174.
In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano
limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l'esercizio del diritto
individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le
norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario
proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede
assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare od integrare la disciplina legale ed
in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta
dall'art. 1120 c.c., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti
alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od
in quello della manifestazione negoziale successiva.* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121, Hobby Market
snc di Iotti Alessandra & C. c. Castagnini.
Nel condominio degli edifici, il giudice, nel decidere dell'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico,
deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del
singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in quale
misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in
giudizio, nonchè se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da
altri condomini. In caso di accertato danno estetico di particolare rilevanza, il danno economico è da ritenersi
insito, senza necessità di specifica indagine; il relativo accertamento è demandato alla discrezionalità del giudice
del merito e non è sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
* Cass. civ., 15 aprile 2002, n. 5417, Donvito c. Resta, in Arch. loc. e cond. 2002, 272.
L'utilizzo di una parete esterna dell'edificio condominiale a sostegno di un cartellone pubblicitario grande quanto
l'intera superficie disponibile costituisce innovazione, in quanto destina il bene comune ad una funzione diversa
da quella originaria. Tale destinazione reca indubbio pregiudizio al decoro architettonico dello stabile, in quanto
nel termine "decoro" il legislatore ha compendiato non solo la piacevolezza e l'armonia dell'aspetto architettonico
dell'edificio condominiale, ma anche la rispettabilità e la dignità dello stesso.* Corte app. civ. Milano, 17 giugno
1997, n. 1974, Condominio di via Rubens n. 28 in Milano c. Pasini ed altro.
Per stabilire se vi sia stata lesione del decoro architettonico del fabbricato condominiale, ai sensi dell'art. 1120
c.c., il giudice oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato deve anche valutare se tale lesione o turbativa
determini o meno un deprezzamento dell'intero stabile, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un
pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a una utilità la quale compensi
l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità.* Pret. civ. Taranto, 21 settembre 1993, n.
629, Epino c. Cond. di Largo Europa, n. 10, di Talsano.
La costruzione di una tettoia di m. 4.50 per 0,60 a protezione di un poggiolo sito nella facciata al primo piano È
da ritenersi lesiva del decoro del fabbricato, a meno che il condomino che ha operato tale intervento non provi
che esso, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto ed al contesto in cui è stato attuato, è
compatibile con le disposizioni di legge e di regolamento.
* Trib. civ. Milano, 31 ottobre 1991.
La costruzione di un soppalco in un appartamento integra gli estremi del pregiudizio al decoro architettonico, in
quanto modifica l'originaria distribuzione interna degli spazi, anche quando tale alterazione non sia percepibile
dall'esterno.
* Trib. civ. Napoli, 26 gennaio 1994.
e) Destinate a servire solo una parte dell'edificio
L'art. 1120 c.c., nel richiedere le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con una
determinata maggioranza, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale: ne consegue che, quando le spese debbano far
carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae utilità, trattandosi di innovazioni destinate a servire
solo una parte dell'edificio condominiale (art. 1123, terzo comma, c.c.), il computo della maggioranza prescritta
dal primo comma dell'art. 1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli
facenti parte di detto gruppo.
* Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1995, n. 6496, Bertazzoli c. Cond. di Via Mac Mahon 7, Milano.
f) Differenze tra innovazioni e modificazioni
In tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e qualità
dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per
innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa
comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione
originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa
comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi
dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. (La S.C. ha così escluso che costituisse
"innovazione" vietata il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integrava una
sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rendeva inservibile o
scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limitava a ridurre in misura modesta la sua funzione di
supporto al transito pedonale, restando immutata la destinazione originaria).
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1999, n. 11936, Balducci c. Cond. Via Giunione Lucina 5 Roma.
In tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e qualità
dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per
innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa
comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione
originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa
comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi
dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. Lo stabilire se un'opera integri o meno gli
estremi dell'innovazione prevista dall'art. 1120 cod. civ. costituisce un'indagine di fatto, insindacabile in
cassazione se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie, l'impugnata sentenza - confermata
dalla Suprema Corte - aveva escluso che dessero luogo ad innovazione i lavori di adeguamento alla normativa
vigente dell'impianto termico dell'edificio condominiale, consistenti, fra l'altro, nella sostituzione della caldaia e
nella trasformazione a gasolio del bruciatore esistente nonchè nell'interramento del serbatoio del combustibile al
di fuori dell'edificio).
* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1986, n. 5101, Federico c. Cond. Via Murat BA.
In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ai sensi dell'art. 1120 c.c. non qualsiasi modificazione
della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione
ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle
opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti
l'esecuzione delle opere. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la locazione ad un condomino per uso abitativo di
un appartamento condominiale, in precedenza concesso ad un condomino per uso deposito, non realizza un
mutamento di destinazione nei termini precisati del bene, ma soltanto una diversa utilizzazione che l'assemblea
dei condomini può deliberare a maggioranza semplice di cui all'art. 1136, comma secondo c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1998, n. 8622, De Palma c. Cond. via Monfalcone.
In tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico-giuridico, vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c.,
deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella
modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le
modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino
immutare la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non
possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. (La S.C. ha così escluso che costituisse "innovazione" vietata
l'ampliamento dell'autorimessa condominiale mediante trasformazione dei locali adibiti a portineria ed a centrale
termica, i cui servizi erano stati soppressi con regolari delibere condominiali precedenti).
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2002, n. 15460, Morrone c. Cond. Via Fernando d`Aragona n. 135 Barletta.
g) Gravose o voluttuarie
In tema di condominio di edifici, l'art. 1121 c.c. riconosce ai condomini dissenzienti (e ai loro eredi e aventi
causa), in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai
vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo pro quota nelle spese di esecuzione e di manutenzione
dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che
hanno assunto l'iniziativa dell'opera. (Fattispecie riguardante un impianto di ascensore installato nell'edificio
condominiale non all'atto della sua costruzione, ma successivamente per iniziativa e a spese di parte dei
condomini).* Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746, Oddi c. Tantarelli.
In materia di condominio degli edifici, le innovazioni, per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi
dell'art. 1121 cod. civ., di sottrarsi alla relativa spesa per la quota che gli compete, sono quelle che, oltre a
riguardare impianti suscettibili di utilizzazione separata, hanno natura voluttuaria, ovvero risultano molto
gravose, con riferimento oggettivo alle condizioni e alla importanza dell'edificio. La relativa valutazione integra
un accertamento di fatto devoluto al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da
motivazione congrua.
* Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1984, n. 428, Gargantini c. V. Ciriè 18 Vol.
In materia di condominio negli edifici, le innovazioni per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi
dell'art. 1121 cod. civ., di sottrarsi alla spesa relativa, per la quota che gli compete, sono quelle che riguardano
impianti suscettibili di utilizzazione separata e che hanno natura voluttuaria, cioè sono prive di utilità, ovvero
risultano molto gravose, ossia sono caratterizzate da una notevole onerosità, da intendere in senso oggettivo,
dato il testuale riferimento della norma citata alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio. L'onere della
prova di tali estremi grava sul condomino interessato, vertendosi in tema di deroga alla disciplina generale della
ripartizione delle spese condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1981, n. 2408, Alberti c. Cond. Parco Resi.
Per determinare il carattere gravoso o voluttuario della spesa inerente ad un'innovazione non è rilevante il
riferimento alle condizioni economiche dei singoli condomini. (Nella specie, la circostanza che l'impugnante
fosse uno studente privo di reddito da lavoro proprio non ha inciso sulla legittimità della deliberazione
dell'assemblea).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 4 maggio 1989, Bertazzoli e altra c. Condominio di Via Mac Mahon 7, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1989, 504.
Ove un singolo condomino intenda sottrarsi alla partecipazione alla spesa relativa ad una innovazione gravosa o
voluttuaria, l'onere della prova dell'esistenza degli estremi di cui all'art. 1121 cod. civ. grava sullo stesso
condomino interessato.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Cond. di via Plateja, 28, Taranto c. Carbone Mongelli.
h) Miglior godimento della cosa comune
In presenza di modificazioni apportate dal singolo a proprie spese, per la migliore utilizzazione della cosa
comune nell'interesse della sua sola proprietà esclusiva, la volontà della maggioranza diviene irrilevante, mentre
permane soltanto il diritto di ciascuno degli altri condomini di opporsi a che il singolo, per il raggiungimento di
propri personali interessi, violi i criteri-limite fissati dalla legge per l'uso delle cose comuni e pregiudichi ad altri il
godimento di quei beni.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1974, n. 4046.
L'installazione sostitutiva di una recinzione in rete metallica su di un'area condominiale comune, già in
precedenza delimitata da paletti uniti da una catena interposta, non implica alterazione sostanziale o
cambiamento dell'originaria destinazione nè‚ mutamento dell'entità materiale del bene attraverso una sua
radicale trasformazione. (Fattispecie di rigetto dell'impugnazione avverso delibera assembleare assunta,
secondo la tesi attorea, in spregio delle maggioranze che l'art. 1136, quinto comma, c.c. richiede per le
innovazioni dirette al miglioramento delle cose comuni).
* Trib. civ. Bologna, sez. II, 7 marzo 2000, n. 639, Soc. Delta c. Condominio via Emilia Levante 267 - San
Lazzaro in Savena.
i) Nozione
Costituisce innovazione, ai fini dell'art. 1120 cod. civ., qualsiasi opera nuova che, eccedendo i limiti della
conservazione, dell'ordinaria amministrazione o del godimento della cosa comune, ne comporti una totale o
parziale modificazione nella forma o nella sostanza, con l'effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento e
comunque alterarne la destinazione originaria, con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i
condomini, i quali devono essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata
programmata ad iniziativa di un solo condomino che se ne sia assunto le spese, mentre non costituiscono
innovazione - e sono quindi soggetti alla disciplina dell'art. 1102 cod. civ. - tutti gli atti di maggiore o più intensa
utilizzazione della cosa comune che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non precludano agli
altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggior uso del condomino che abbia
attuato la modifica. (Nella specie, in base al suddetto principio, è stata ritenuta corretta la decisione del giudice
del merito che aveva ritenuto non costituire innovazione l'installazione, ad opera di due condomini, di
un'autoclave, predisposta per l'utilizzazione da parte di tutti gli altri condomini e collocata in una parte - non
altrimenti utilizzabile - dell'androne comune dell'edificio).
* Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1989, n. 2746, De Paolo c. Ferrulli ed altro.
In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa
comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero
determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere
eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione
delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di
un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 c.c., che pur dettato in materia di
comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139
c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che l'apertura
di una porta da parte di un condomino nel muro comune dell'andito di ingresso dell'edificio condominiale, non
alterava l'entità materiale del bene nè‚ modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita
modificazione della cosa comune a norma dell'art. 1102 c.c.).* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240,
Botteri ed altro c. Messina ed altro.
Costituisce innovazione qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia o nella forma ovvero
nella destinazione di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo il limite della conservazione, dell'ordinaria
amministrazione e del godimento della cosa, e che importi una modificazione materiale della forma o della
sostanza della cosa medesima, con l'effetto di migliorare o peggiorare il godimento o, comunque, alterarne la
destinazione originaria con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i condomini, i quali debbono
essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata programmata ad iniziativa di un solo
condomino che se ne assuma tutte le spese. Non sono, invece, innovazioni, tutti gli atti di maggiore e più
intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non
precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del
condomino che abbai attuato la modifica.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111, Salomone c. Colageo.
Perchè sussista l'innovazione di cui all'art. 1120 cod. civ. occorre che le modificazioni apportate alle cose
comuni, nell'ambito della proprietà condominiale, siano di tale entità, sotto il profilo qualitativo e quantitativo da
incidere sulla sostanza della cosa comune, alterandone la precedente destinazione. Pertanto, la sostituzione di
ascensori usurati e non più agibili, con ascensori nuovi, anche se di tipo e di marca diversi, non costituisce
innovazione perchè le cose comuni, oggetto delle modifiche, in vano-ascensore con le strutture ed i locali
annessi, non subiscono alcuna sostanziale modifica e conservano la loro destinazione al servizio ascensore,
anche se vengono apportate modifiche alla loro conformazione e perchè l'edificio, nel suo complesso, con la
sostituzione degli ascensori, non subisce alcun sostanziale mutamento ma conserva un servizio del quale è già
dotato, a meno che l'entità e la qualità delle modifiche introdotte sia tale da involgere un sostanziale mutamento
del servizio e mutamenti di destinazione di parti comuni dell'edificio.* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1981, n. 4646,
Luini c. Cond. XX Aprile.
In tema di condominio degli edifici, deve considerarsi innovazione - come tale sottoposta alle limitazioni di cui
all'art. 1120 cod. civ. - non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità
materiale del bene, operandone la trasformazione, ovvero determini la modificazione della sua destinazione, nel
senso che detto bene, in seguito alle opere innovative eseguite, presenti una diversa consistenza materiale
ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere; ove, invece, la modificazione
della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si
versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che, pur dettato in tema di comunione in generale, è applicabile in
materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549, Gentina c. Romerio.
In tema di condominio di edifici costituisce "innovazione" soggetta ad approvazione con la maggioranza
assembleare di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c. qualunque opera nuova che implichi una modificazione
notevole della cosa comune, alternadone l'entità sostanziale o la destinazione originaria con esclusione quindi
delle modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune. Lo stabilire
se un'opera integri o meno gli estremi dell'innovazione prevista dall'art. 1120 c.c. costituisce un'indagine di fatto
insindacabile in cassazione se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie l'impugnata sentenza
confermata dalla S.C. aveva escluso che desse luogo ad una innovazione la sostituzione della preesistente
pavimentazione del lastrico solare con un diverso tipo di mattonelle).
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602, Pieragnoli A. c. Cond. V. Coppo.
L`art. 1120 c.c., nel consentire all'assemblea condominiale, sia pure con una particolare maggioranza, di
disporre innovazioni, non postula affatto che queste rivestano carattere di assoluta necessità, ma richiede
soltanto che esse siano dirette "al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose
comuni", salvo a vietare espressamente, nel secondo comma, quelle che possono recare pregiudizio alla statica
o al decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento
anche di uno solo dei condomini. Pertanto, al di fuori di tale divieto, ogni innovazione utile deve ritenersi
permessa anche se non strettamente necessaria, col solo limite, posto dal successivo art. 1121, del suo
carattere voluttuario o della particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza
dell'edificio, nel qual caso essa è consentita soltanto ove consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di
utilizzazione separata e sia possibile, quindi, esonerare da ogni contribuzione alla spesa i condomini che non
intendano trarne vantaggio, oppure, in assenza di tale condizione, se la maggioranza dei condomini che l`ha
deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
* Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1996, n. 5028, Neri c. Cond. Casalpalocco Isola.
L'opera nuova può dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, è stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in proprietà esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
* Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840, Chiappara c. Villari.
Il concetto di rinnovamento delle entità abbisognevoli di riparazione, cui si riferisce l'art. 1005 c.c. in tema di
ripartizione delle parti relative alla cosa oggetto di usufrutto, è ben diverso dal concetto di innovazione cui si
riferiscono, in tema di condominio negli edifici, gli artt. 1120 e 1121 c.c. Il primo concetto va posto in relazione ad
opere che comportano la sostituzione di entità preesistenti, ma ormai inefficienti con altre pienamente efficienti. Il
secondo riguarda, invece, opere che importano un mutamento della cosa nella forma e nella sostanza, con
aggiunta di entità non preesistenti o trasformazione di alcuna di quelle preesistenti.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1998, n. 12085, Del Soldato c. Baldini.
Se è vero che non costituiscono innovazioni quegli accrescimenti ed incrementi che sono sviluppi normali e
prevedibili della cosa comune e si risolvono nel trasformare da potenziali in attuali le utilità insite nella natura del
bene, si esula da tale ipotesi allorchè gli interventi siano così incisivi da risolversi in aggiunte che rendano
"nuova" la parte comune rispetto alle caratteristiche dell'edificio così come realizzato.* Corte app. civ. Milano,
sez. I, 9 settembre 1988, n. 1688, Condominio di via Durini 25, Milano c. In.Cos.A. Spa.
In tema di condominio, per innovazione in senso tecnico, come tale soggetta alla limitazione di cui all'art. 1120
cod. civ., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella
modificazione che importi alterazione nella sua entità sostanziale o mutamento della destinazione della cosa
stessa, così da non turbare l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei condomini.* Trib. civ. Napoli, sez. V, 9
novembre 1988, n. 10244, Mensa Vescovile di Pozzuoli c. Condominio Parco Dardano scala C e D in Napoli.
Per innovazione deve intendersi non qualsiasi mutamento della cosa comune, ma solo la modifica materiale
della cosa stessa che importi alterazione della sua entità sostanziale o mutamento della sua destinazione
originaria, sicchè i semplici cambiamenti del modo o tipo di utilizzazione della cosa, come le semplici sostituzioni
di materiale avariato o logoro con altro tipo più moderno, senza alterare la struttura sostanziale o la precedente
destinazione della cosa, rientrano nel contenuto degli atti ordinari di amministrazione.* Trib. civ. Napoli, 26
settembre 1987, in Rass. equo canone 1988, 94.
In tema di condominio si deve considerare innovazione non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma
solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la
modificazione della sua destinazione, nel senso che il bene comune a cui l'opera si riferisce, in seguito alle
opere innovative eseguite, presenti una diversa consistenza materiale, ovvero sia utilizzato per fini diversi da
quelli anteriori all'esecuzione delle opere. Quando invece la modificazione della cosa comune risponda allo
scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ipotesi dell'art. 1102 c.c., in base al quale, nel
servirsi delle cose comuni, ciascun partecipante è soggetto a limitazioni prescritte per la salvaguardia della
originaria destinazione dei singoli beni, e non può quindi n‚ alterare la destinazione della cosa comune, n‚
rendere la cosa comune inservibile anche ad uno solo degli altri condomini, perchè ogni partecipante ha diritto di
farne pari uso.* Trib. civ. Milano, 25 maggio 1992.
La natura dell'innovazione ex art. 1120 c.c. non dipende dal mero fatto fisico che l'opera possa incidere sulla
consistenza materiale dell'edificio, ma deriva da un aspetto più qualificante della modificazione, che si riscontra
quando essa provochi una alterazione della sostanza o della destinazione della parte comune a cui si riferisce.
Pertanto, nel caso in cui l'opera modificativa consista soltanto in un miglioramento delle utilità che il bene
comune aveva già l'attitudine di procurare ai partecipanti, sia pure in misura ridotta, si deve escludere che si
tratti di innovazione. (Fattispecie in tema di ripristino di ascensori di servizio).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 settembre 1992, Lettich e altri c. Condominio di Viale Montenero 71 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 325.
Ciò che nel passato era innovativo e voluttuario può anche non esserlo più, in quanto ogni intervento
manutentivo o innovativo deve essere valutato in relazione alle esigenze dell'attuale situazione economica e
culturale del paese, alla cui stregua vanno interpretati gli stessi concetti di gravosità o voluttuarietà delle opere.
* Trib. civ. Milano, 2 dicembre 1991.
l) Vietate
In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino può servirsi delle parti comuni a condizione che non ne
alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico del
fabbricato e che non arrechi danno alle singole proprietà esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti,
di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla
cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull'entità materiale della cosa, alterandone in
tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volontà dei compartecipanti
ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall'uso o dalla
natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all'uso degli altri condomini in guisa da turbare
l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, è stata
ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unità immobiliare sita ad un
livello più alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione
della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del
traffico veicolare a servizio dell`unità immobiliare utilizzata non più ad uso abitativo, bensì commerciale).* Cass.
civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789, Gaudioso c. Toscano.
La disposizione dell'art. 1120 cod. civ., nella parte in cui vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio al
decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso od al
godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in sè ed il modo di usare e di godere della
cosa comune: consegue che ove l'opera compiuta da un condomino o dal condominio sulla cosa comune rechi
danno o pregiudizio alla proprietà esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporti relativi a due
immobili finitimi, trova applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989, n. 2548, Napolitano c. Condominio di via Saorgio 7, Torino.
In tema di condominio negli edifici, ai fini della distinzione tra innovazioni consentite e innovazioni vietate, non
basta che la nuova opera incida sull'entità materiale della cosa comune ma occorre che ne alteri la sostanza,
con mutamento dell'essenza funzionale e strutturale o ne muti la destinazione (impressavi dalla volontà dei
compartecipanti ed espressa dal titolo: regolamento di condominio, deliberazione assembleare, o gradatamente
dall'uso o dalla natura stessa della cosa). (Nella specie in base all'enunciato principio la Corte Suprema ha
annullato la decisione del merito che aveva ritenuto innovazione vietata l'utilizzazione parziale del sottosuolo del
giardino condominiale per un impianto autonomo di riscaldamento, per cui era rimasta accertata la mancata
alterazione della cosa comune e l'inesistenza di impedimento all'uso degli altri condomini).
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1988, n. 6146, Kravanja c. Buri.
L'esecuzione, su di una parte comune dell'edificio condominiale, di opere od innovazioni non consentite, ai sensi
e per gli effetti dell'art. 1120 cod. civ., dà diritto agli altri condomini di ottenere la rimessione in pristino e ciò
soprattutto quando l'innovazione, per essere stata eseguita in violazione delle norme antisismiche, sia tale da
recare pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza del fabbricato.* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1981, n. 4958,
Iacovone c. Ferrante.
L'inservibilità all'uso o al godimento anche di uno soltanto dei condomini - considerata nell'art. 1120, secondo
comma, c.c. quale conseguenza da impedire in modo assoluto, affinchè possano effettuarsi opere destinate ad
aumentare la funzionalità ed il valore dell'edificio condominiale - deve essere interpretata come sensibile
menomazione dell'utilità che il condomino può trarre dalla cosa comune secondo l'originaria costituzione della
comunione.* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697.
La decadenza di cui all'art. 1137 c.c., che riguarda solo le deliberazioni assembleari annullabili, non opera
quando le deliberazioni dell'assemblea o del condominio siano relative alle innovazioni di cui al capoverso
dell'art. 1120 c.c., che sono espressamente vietate trattandosi di deliberazioni nulle, l'azione può essere
proposta dal condomino indipendentemente dal termine di decadenza di cui al citato art. 1137.* Cass. civ., sez.
II, 15 ottobre 1973, n. 2586.
La limitazione, per alcuni condomini, della originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, comma secondo, c.c., ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor
godimento della cosa comune, alcun pregiudizio, non essendo necessariamente dissenziente un vantaggio
compensativo.
* Cass. civ., Sez. II, 4 luglio 2001, n. 09033, Oliva c. Cond. via Cacciatore 26 Salerno.
Si ha innovazione vietata ex art. 1120 cod. civ. quando le modificazioni apportate alla cosa comune siano di tale
entità e/o incidenza da rendere impossibile o da pregiudicare apprezzabilmente l'originaria naturale destinazione
o funzione della stessa, considerata nella sua unità e non solo nella sola parte modificata; è invece lecita la
modificazione che lasciando immutata la naturale ed originaria funzione della cosa comune, apporti al
comproprietario - condomino che l'ha effettuata - una specifica utilità aggiuntiva, senza però cagionare alcun
pregiudizio al condominio o anche ad un singolo condomino.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988, Deccesari c. Condominio di Via Archimede 16, Milano.
Per innovazioni vietate sulla cosa comune devono intendersi solo quelle che ne mutano la sostanza e la forma
(sempre però in riferimento all'uso cui essa è destinata o che a questo rechino limitazione o danno) e non già
quelle che permettono di trarne una maggiore utilizzazione conforme all'uso. Non costituiscono innovazioni,
pertanto, le modificazioni della cosa comune dirette a potenziare o a rendere più comodo il godimento della
medesima che ne lascino immutata la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare l'equilibrio fra i
concorrenti interessi dei condomini.* Trib. civ. Napoli, 26 settembre 1987, n. 9034, Tramontano c. Condominio di
via Genovesi 25 e via Nicolini 45, Napoli, Orlando e Gaudio.
L'assemblea di un condominio non può, a norma dell'art. 1120, secondo comma, cod. civ., rendere inservibile o
disattivare la cosa comune nei confronti di uno o più condomini dissenzienti, mediante il mutamento della
destinazione strutturale ed economica della cosa comune.* Trib. civ. Rimini, 6 dicembre 1988, n. 672, Savelli e
altro c. Condominio Secchiano.
Ciò che conta, affinchè si abbia attività innovativa non consentita, è che l'azione del singolo sul bene comune sia
tale da alterare l'originario utilizzo che tutti i partecipanti alla comunione potevano ricavare dal bene medesimo e
tale alterazione sussiste quando le modificazioni siano tali da rendere impossibile o pregiudicare
apprezzabilmente la destinazione originaria, attuale o virtuale, della cosa comune, e non già quando l'utilità che
ne ricava il singolo condomino semplicemente si aggiunga a quella in atto.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989.
LASTRICI SOLARI
SOMMARIO: a) Accesso da un solo appartamento; b) Difetto di manutenzione; c) Differenze; d) Diritto di
costruire sul lastrico; e) Funzioni del lastrico solare; f) Giardino pensile; g) Infiltrazioni d'acqua; h) Nozione di
terrazza a livello; i) Opere abusive; l) Parapetti; m) Proprietario esclusivo; n) Sopraelevazione; o) Sostituzione
con un tetto a falde; p) Spese; q) Uso esclusivo del lastrico; r) Vedute.
a) Accesso da un solo appartamento
In tema di condominio degli edifici, il più ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non può
configurare una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, qualora trovi giustificazione nella
conformazione strutturale del fabbricato, come risultante dalla sua originaria costruzione (nella specie,
trattandosi di lastrico solare sopra il quale era possibile accedere, alla stregua di situazione coeva alla nascita
del condominio, da uno solo degli appartamenti di proprietà esclusiva).
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1986, n. 3822, Franzoni c. Buschini.
b) Difetto di manutenzione
I singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell'art. 1117
c.c., (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare,
assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a
terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale di tutti i condomini, a norma degli
artt. 2051 e 2055 c.c. ove non provino, come unica causa di tali danni, il caso fortuito, e ciò a prescindere dalla
conoscenza o meno dei danni stessi (salvo regresso del condomino che abbia risarcito l'intero danno verso gli
altri condomini in ragione delle rispettive quote di proprietà).
* Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6405, Vasile c. Vasile.
I danni cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico solare di un edificio in condominio, al pari delle spese
della sua riparazione o costruzione, non possono porsi interamente a carico del proprietario o usuario del
lastrico stesso, ma debbono essere risarciti con il concorso degli altri condomini nella proporzione stabilita
dall'art. 1126 c.c. Ciò non esclude l'eventuale concorso di responsabilità, da accertare in via di rivalsa ove non
sia stata dedotta nello stesso giudizio, del costruttore o dell'amministratore del condominio in proprio per vizi di
costruzione o per negligente omissione delle necessarie riparazione.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4816, Giordani c. Tarquini. Conforme, Cass. civ., sez. III, 7 dicembre
1995, n. 12606.
c) Differenze
Mentre il lastrico solare, al pari del tetto, assolve essenzialmente la funzione di copertura dell'edificio, di cui
forma parte integrante sia sotto il profilo meramente materiale, sia sotto il profilo giuridico, la terrazza a livello è
invece costituita da una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di
altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che per il modo in cui è
realizzata, risulta destinata non tanto a coprire le verticali di edifici sottostanti, quanto e soprattutto a dare un
affaccio e ulteriori comodità all'appartamento cui è collegata e del quale costituisce una proiezione verso
l'esterno.* Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1986, n. 2924, AA. c. AA.
Le terrazze a livello si differenziano dai lastrici solari non solo perché la loro funzione essenziale non è quella di
copertura dell'edificio, ma anche perché sono delimitate da parapetti i quali servono soltanto a rendere
praticabile la terrazza, consentendone ai proprietari l'affaccio ed il più sicuro passaggio. Ne deriva che le spese
di manutenzione e di riparazione dei parapetti vanno poste a carico dei proprietari esclusivi delle terrazze, unici
beneficiari della loro presenza.
* Trib. civ. Salerno, 10 novembre 1989, in L'Ammin. 1991, n. 8.
A differenza dei lastrici solari, che disimpegnano essenzialmente e principalmente il compito di copertura di un
edificio, a servizio presumibilmente comune dei proprietari dello stesso, le terrazze a livello devono, invece,
considerarsi come facenti parte, strutturalmente e funzionalmente, degli appartamenti da cui vi si accede, ed al
cui uso esclusivo esse sono destinate, quali appartenenze degli stessi, in difetto di contrarie risultanze di un
titolo.
* Cass. civ., 26 febbraio 1959, n. 563.
d) Diritto di costruire sul lastrico
Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario
dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre
unità immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 c.c. In tale ipotesi, pertanto,
l'assemblea del condominio, ancorché in sede di approvazione del regolamento, non può disciplinare e limitare il
diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario.* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1978, n.
4782.
e) Funzioni del lastrico solare
Il lastrico solare quale superficie terminale dell'edificio esercita l'indefettibile funzione primaria di protezione
dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, come quello del terrazzo. L'anzidetta
funzione accessoria del lastrico solare a terrazza in uso esclusivo di un solo condomino, come non fa venir
meno la sua destinazione primaria all'uso comune, così in mancanza di un titolo contrario lascia inalterata la
presunzione di proprietà comune di cui all'art. 1117 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1990, n. 5162, Salina c. Pigli.
Il lastrico solare, ai sensi dell'art. 1117 c.c, è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o
porzioni di piano dell'edificio se il contrario non risulta, in modo chiaro ed univoco, dal titolo, per tale
intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti o delle altre unità immobiliari, nonché il regolamento di
condominio accettato dai singoli condomini.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 1995, n. 4060, Soc. Edilbas c. Della Pittima e altri e Isidori e altri.
Il lastrico solare riveste, nel quadro della sua normale destinazione, una duplice attitudine: quella tipica di
copertura del fabbricato sottostante e quella di superficie praticabile (arg. ex art. 1126 cod. civ.). Il condomino
che, non impedendo un pari uso agli altri partecipanti e lasciando inalterate le possibilità delle concorrenti
utilizzazioni, realizzi ex novo una fruizione del secondo tipo per mezzo di opere che consentono un uso più
intenso ed agevole di quello precedente (nella specie si tratta di una scala a chiocciola costruita nella proprietà
esclusiva del condomino, attraverso la quale il medesimo accede al lastrico solare di proprietà comune,
lasciando inalterato il vecchio passaggio, con scala a pioli, in precedenza utilizzato, in comune, dai vari
condomini) non altera per ciò stesso la destinazione del bene, trasformandolo in terrazzo, né viene ad integrare
una ipotesi di uso esclusivo ovvero di interferenza sull'equilibrio dei contrapposti interessi condominiali. La sua
azione, al contrario, si mantiene nei limiti di normalità di cui all'art. 1102 cod. civ.* Pret. civ. Torre Annunziata, 19
marzo 1982, n. 42, Vastola e altri c. Raiola, in Arch. loc. e cond. 1982, 526.
f) Giardino pensile
Le norme sul condominio degli edifici, consentendo la divisione della proprietà per piani orizzontali, escludono
l'applicazione dell'accessione anche nell'ipotesi di costruzioni, quale un giardino pensile in continuazione di una
terrazza a livello annessa ad un appartamento, facenti corpo con l'edificio condominiale, ma sporgenti dalla sua
linea verticale e gravanti su area appartenente al condominio: in tal caso occorre accertare in base al titolo o, in
mancanza, in base alla presunzione di cui all'art. 1117 cod. civ. se la riconosciuta comunione dell'area di base
su cui la sporgenza sorge comporti o meno la comunione anche del piano (o dei piani) e delle porzioni di piano (
o di piani) sporgenti o comunque sorgenti sopra tale area.
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1980, n. 1738, Magistri c. Condominio Via S.R. Bellarmino, 13, Roma.
Colui che esercita un diritto - nella specie, di proprietà - terrazzando il proprio giardino a livello dell'appartamento
e modificando il flusso delle acque piovane, ha l'obbligo di usare il grado di prudenza e diligenza in concreto
richiesto onde evitare di danneggiare i terzi.* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4074, Condominio di via Italo
Panattoni n. 89 in Roma c. Zingales, in Arch. loc e cond. 1998, 546.
g) Infiltrazioni d'acqua
Poiché il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempimenti alla funzione di conservazione, secondo le
proporzioni stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in
proporzione dei due terzi, ed il titolare della proprietà superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre
utilità, nella misura del terzo residuo.* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 aprile 1997, n. 3672,
Il proprietario di una terrazza a livello che abbia anche funzione di copertura dell'edificio condominiale è liberato
dalla responsabilità per i danni derivati ad appartamenti sottostanti per infiltrazioni di acqua dando la prova del
caso fortuito, della forza maggiore o del fatto del terzo, che può anche consistere nell'inerzia colpevole del
condominio (o degli organi preposti alla sua amministrazione) che sia stato tempestivamente informato
dell'esistenza di guasti, vizi o difetti della terrazza da cui il danno è derivato.* Cass. civ., sez. III, 30 maggio
1988, n. 3696, Degiacomo c. Cond. V. Giotto 3 Mi.
L'amministratore del condominio, tenuto ex art. 1126 c.c. alla manutenzione della terrazza a livello di proprietà
esclusiva, è legittimato passivo quanto alla denuncia di danno temuto proposta dal condomino proprietario della
sottostante unità, il quale lamenti infiltrazioni causate dalle condizioni della terrazza stessa.* Pret. civ. Catania,
ord. 13 dicembre 1993, in Foro it. 1995, I, 416.
h) Nozione di terrazza a livello
In mancanza di titolo di proprietà esclusiva, terrazza a livello è, nel condominio, una superficie scoperta posta al
sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante
strutturalmente e funzionalmente, nel senso che, per il modo in cui è stata realizzata, risulta destinata non tanto
e non solo a coprire le verticali sottostanti - ché in tal caso si tratterrebbe di lastrico solare - quanto, e
soprattutto, a dare un affaccio ed ulteriore comodità all'appartamento cui è collegata e del quale costituisce in
definitiva, una proiezione verso l'esterno.
* Cass. civ., 28 marzo 1973, n. 836.
In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, ossia quell'area scoperta alla quale si accede da un solo
appartamento e solo con questo in comunicazione, appartiene al proprietario del contiguo appartamento di cui
costituisce la continuazione priva di copertura a meno che non risulti diversamente dal titolo.* Cass. civ., sez. II,
16 settembre 1991, n. 9629, Roggero c. Facincani.
Per terrazza a livello deve intendersi, in un edificio condominiale, una superficie scoperta posta al sommo di
alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e
funzionalmente, tale che deve ritenersi, per il modo in cui è stata realizzata, che è destinata non solo e non tanto
a coprire una parte di fabbricato, ma soprattutto a dare possibilità di espansione e di ulteriore comodità
all'appartamento del quale è contigua, costituendo di esso una proiezione all'aperto; quando ricorre tale
situazione dei luoghi, la funzione della terrazza, quale accessorio rispetto all'alloggio posto allo stesso livello,
prevale su quella di copertura dell'appartamento sottostante e, se dal titolo non risulta il contrario, la terrazza
medesima deve ritenersi appartenente al proprietario del contiguo alloggio, di cui strutturalmente e
funzionalmente è parte integrante.* Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1990, n. 8394, Fioretto c. Fioretto.
Nella controversia fra due aventi causa dall'unico originario proprietario di fabbricato poi divenuto condominiale,
circa la proprietà di terrazza a livello, svolgente funzione di copertura dei sottostanti piani dell'edificio, che sia
contigua a (ed accessibile da) entrambi gli appartamenti, deve darsi prevalenza al titolo di acquisto, ancorché
successivo, nel quale la terrazza formi oggetto di esplicito trasferimento in favore dell'acquirente
dell'appartamento, rispetto al titolo, relativo all'altro immobile, in cui del manufatto non si trovi alcuna menzione.
Infatti l'attribuzione legale della terrazza in proprietà condominiale ai proprietari di piano o porzioni di piano, a
norma dell'art. 1117 c.c., quale parte necessaria all'esistenza del fabbricato da essa coperto, è derogabile solo
quando in virtù del titolo di acquisto dall'unico originario proprietario dell'edificio (o con atto di disposizione dei
condomini titolari del diritto di proprietà comune) venga stabilito il diverso regime della proprietà superficiaria (o
dell'uso esclusivo) della terrazza, in favore dell'acquirente dell'immobile ad essa contiguo, in mancanza della
quale deroga, il proprietario originario dell'intero fabbricato, rimasto proprietario anche della terrazza, può
successivamente attribuirne la proprietà all'acquirente di altro immobile, mediante espressa pattuizione in tale
senso. * Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1996, n. 10323, Amodeo c. Preziosi.
i) Opere abusive
In tema di condominio negli edifici, l'azione contro il singolo partecipante, rivolta a conseguire, in via cautelare o
definitiva, la rimozione di opere abusivamente realizzante sul lastrico solare, di proprietà comune, configura atto
di conservazione dei diritti inerenti a detta porzione comune, e, pertanto, può essere proposta
dall'amministratore senza necessità di autorizzazione assembleare, ai sensi del combinato disposto degli artt.
1130 e 1131 cod. civ., mentre resta a tal fine irrilevante la natura reale o personale dell'azione medesima, così
come la circostanza che quelle opere abusive ledano anche diritti individuali dei singoli condomini, e che questi
possano a loro volta agire a tutela delle cose di proprietà comune od individuale.
* Cass. civ., sez. II, 27 luglio 1983, n. 5160, Puca c. Mele.
L'abolizione di rivendicazione della proprietà comune dell'appartamento abusivamente costruito da un
condomino sul lastrico solare comune dell'edificio condominiale, non avendo scopo meramente conservativo,
non rientra tra gli atti che, ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'amministratore ha il potere di compiere senza
necessità di delega o autorizzazione dell'assemblea dei condomini.* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1993, n. 4530,
Condominio Via Montello n. 11 c. Graziani.
Colui che, acquistata dal proprietario dell'appartamento sottostante la proprietà di parte della terrazza a livello
del proprio appartamento, ma con funzione di copertura ed illuminazione di quello sottostante, si sia obbligato a
non costruirvi, non può oscurare con vasi le aperture lucifere, costituite da lastre di vetrocemento. Benvero,
mentre il divieto di costruire ha portata pratica analoga all'imposizione di una servitù ne luminibus officiatur a
carico del titolare del diritto di aderenza o di appoggio ex art. 904 c.c., l'oscuramento dell'orditura lucifera
comporta una innovazione non consentita della soletta comune rispetto alla destinazione ad essa
convenzionalmente impressa dai comproprietari.* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1970, n. 63.
Un condomino non può trasformare un manufatto condominiale, avente la sola funzione di copertura di una
terrazza a livello per il proprio uso esclusivo, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa
comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102 c.c. nella proprietà esclusiva un bene di uso condominiale, senza
che l'autorizzazione possa trovare un'analogia con l'art. 1127 c.c., che presuppone il pagamento di un'indennità
e la ricostruzione dell'intero tetto, senza pregiudizio per la proprietà condominiale.* Trib. civ. Milano, 13
settembre 1991.
l) Parapetti
Le spese inerenti alla riparazione o ricostruzione di un parapetto di un terrazzo di proprietà esclusiva (costituito
dalla prosecuzione in altezza del muro perimetrale di un edificio condominiale) che, pur assolvendo
prevalentemente ad un compito di affaccio, di appoggio e di protezione, eserciti altresì una funzione legata al
decoro architettonico dell'edificio, sono ripartibili secondo il criterio di cui all'art. 1126 c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 febbraio 1992, Zaglia e altra c. Cond. di via Bitti n. 32 di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1993, 129.
Le spese di riparazione e di manutenzione dei parapetti delle terrazze a livello, quand'anche queste ultime
disimpegnino pure il compito di parziale copertura dell'edificio, vanno poste a totale carico dei proprietari
esclusivi delle terrazze, unici beneficiari della loro presenza, ai quali, grazie a tali manufatti, è consentito
l'affaccio ed il più sicuro passaggio sulla loro proprietà esclusiva.
* Trib. civ. Salerno,10 novembre 1989, Di Stasio ed altri c. Condominio di via Luigi Guercio n.117, Salerno, in
Arch. loc. e cond. 1990, 282.
Dovendo i parapetti dei lastrici solari considerarsi accessori e indispensabili completamenti di questi ultimi, le
spese relative debbono seguire il medesimo regime giuridico dei lastrici ai quali sono annessi.
* Trib. civ. Genova, 5 gennaio 1996, n. 55,
m) Proprietario esclusivo
Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti ed agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio, che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, quand'anche non sia proprietario di un
piano o di porzione di un piano; pertanto partecipa anche alla comunione di quella parte dell'edificio necessario
alla sua esistenza, vale a dire alla comunione del suolo su cui l'edificio sorge.* Cass. civ., sez. II,21 maggio
1960,n. 1300.
In tema di edifici in condominio, affinché una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani
sottostanti, possa ritenersi di proprietà esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, è necessario che essa faccia parte integrante da un punto di
vista strutturale e funzionale del piano cui è annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1994, n. 3832, Fiorillo c. Aliboni.
La presunzione che il diritto di proprietà esclusiva su di un piano di un edificio si estenda anche ai terrazzi a
livello del piano stesso comunicanti con il medesimo si applica soltanto a quei terrazzi che dal punto di vista
strutturale e funzionale presentino la natura e le caratteristiche di estensione e di parte integrante del piano cui
siano annessi, sicché la funzione di copertura dei piani sottostanti si profili meramente sussidiaria. La
presunzione anzidetta resta, altresì, esclusa quando la costruzione del terrazzo sia stato il frutto di uno specifico
accordo tra le parti; in tal caso, invero, è a questo soltanto che si deve far riferimento per stabilire l'appartenenza
della terrazza medesima.* Cass. civ., 5 febbraio 1968, n. 363.
Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario
dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre
unità immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 cod. civ. In tale ipotesi,
pertanto, l'assemblea del condominio, ancorchè in sede di approvazione del regolamento, non può disciplinare e
limitare il diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario.* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre
1978, n. 4782
L'incorporazione della terrazza a livello nel piano o nella porzione di piano oggetto di signoria autonoma deve
essere obiettiva, cioè risultare dallo stato delle cose, piuttosto che da una destinazione soggettiva, la quale può
giovarsi dell'interpretazione del titolo -ove esiste e sia di non chiaro significato- oppure, al fine dell'usucapione,
per desumere l'esercizio di un possesso esclusivo, ma non è determinante quando la sottrazione al regime della
comunione si faccia derivare da caratteristiche del bene in sé, che ne impediscano la configurazione come
lastrico solare. Inoltre gli eventuali dubbi di qualificazione vanno risolti tenendo presente che, per regola
generale, vige il regime di comunione, dato che la superficie di cui si discute serve sempre ed almeno a coprire i
vani sottostanti dell'edificio condominiale; e che, per altro verso, tale regime non è escluso dal solo fatto che dal
bene uno o più comproprietari traggano utilità maggiori rispetto agli altri. Conseguentemente, soltanto se dalla
struttura e dalla funzione obiettiva risulti preponderante la destinazione particolare su quella comune, è
consentito ravvisare nella terrazza un oggetto di proprietà esclusiva. (Nella specie è stato ritenuto
sufficientemente motivato il giudizio del giudice del merito che aveva qualificato lastrico solare e non terrazza a
livello un'area posta a copertura di due vani, costruiti uno sull'altro fra gli edifici di diversi proprietari, dei
corrispondenti piani dei quali ciascuno formava il rispettivo prolungamento orizzontale, caratterizzata da un
piano inclinato recante incavi destinati al convogliamento delle acque piovane verso una cisterna appartenente
ad uno dei condomini e dalla possibilità di comodo accesso solo per l'altro condomino).* Cass. civ., 28 marzo
1973, n. 856.
Se non risulti diversamente dal titolo, non è configurabile la presunzione di parte comune dell'edificio
condominiale in relazione ad un lastrico solare che funga da copertura di uno o più locali di proprietà di un solo
condomino. * Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2707
Perché una terrazza a livello, che esplichi anche funzione di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di
proprietà esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui alla terrazza medesima si accede, è necessario che
essa faccia parte integrante, da un punto di vista strutturale e funzionale, del piano cui è annessa, di talché la
funzione di copertura dei piani sottostanti si profili come meramente sussidiaria.* Cass. civ., 21 maggio 1974, n.
40.
L'assemblea condominiale può legittimamente deliberare la riparazione o il rifacimento anche del lastrico solare
di proprietà esclusiva, ma tale decisione non può incidere sulle facoltà di godimento del piano di calpestio dello
stesso, di pertinenza del proprietario esclusivo, facoltà di godimento che ricomprendono il diritto a che i lavori
non comportino mutamento dell'aspetto estetico del bene.* Trib. civ. Sanremo, 12 dicembre 1990, in Arch. loc. e
cond. 1991, 607.
n) Sopraelevazione
La terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva, è equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
della parte sottostante dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale è considerata anche nel regime della
sopraelevazione.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5776, Belforti c. Dedè.
La terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva, è equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale è considerata anche nel regime della sopraelevazione; ne
consegue che il regolamento condominiale può limitare il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario
dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale.* Cass. civ., sez. II, 19 luglio
1999, n. 7678, Ercolino c. Cond. via Doria 40 Roma.
Il giudice che richiesto di ordinare la demolizione di un'opera eseguita da un condomino su una terrazza di
copertura condominiale perché altera il decoro architettonico dell'edificio, e perciò costituisce innovazione vietata
ai sensi dell'art. 1120, comma secondo, c.c., accoglie la domanda ai sensi dell'art. 1127, comma terzo, c.c.
perché ravvisa il pregiudizio estetico dell'edificio, e perciò l'illegittimità della sopraelevazione, ma accerta,
incidenter tantum, conformemente alle difese del convenuto, la proprietà esclusiva della terrazza, non va ultra
petita perché questo è un presupposto della causa petendi - alterazione del decoro architettonico - rimasta
identica, come il petitum attribuito - la demolizione - pur se con argomenti diversi da quelli prospettati.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10334, Meroni e altra c. Bianco.
I condomini possono opporsi alla sopraelevazione eseguita dal condomino dell'ultimo piano sul suo terrazzo a
livello, o lastrico solare, che pregiudica le caratteristiche architettoniche dell'edificio e, se eseguita, ne possono
chiedere la riduzione in pristino e il risarcimento del danno; ma la relativa azione, posta a tutela dei proprietari
esclusivi del piano sottostante, comproprietari delle parti comuni, è soggetta a prescrizione ventennale, perché il
diritto soggettivo reale del condomino a far valere la non alterazione del decoro architettonico, è disponibile e si
prescrive per mancato esercizio ventennale, sì che il condomino che ha sopraelevato in violazione dell'obbligo di
cui al comma terzo dell'art. 1127 c.c. acquista, per usucapione, il diritto a mantenere la costruzione così come
l'ha realizzata, diversamente dal caso in cui con essa comprometta le condizioni statiche dell'edificio, perché in
questo caso non vi è un limite al suo diritto di sopraelevare, ma manca il presupposto stesso della sua
esistenza, e perciò la relativa azione di accertamento negativo è imprescrittibile.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10334, Meroni ed altra c. Bianco P. ed altri.
o) Sostituzione con un tetto a falde
La sostituzione della copertura di lastrico solare con un tetto a falde richiede l'autorizzazione paesistica, poiché
non costituisce opera di manutenzione straordinaria. La L. 8 agosto 1985, n. 431 esclude la configurabilità di tale
ultimo intervento (in ciò differenziandosi dalla normativa urbanistica) quando, come nel caso suddetto, si verifichi
una immutazione appariscente e rilevante, dell'aspetto esteriore dell'edificio.* Cass. pen., sez. III, 21 giugno
1994, n. 1447 (c.c. 6 maggio 1994p)
Spese
Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti e agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, anche se non sia proprietario di un piano
o di una porzione di piano; partecipando egli, pertanto, alla comunione del suolo su cui l'edificio insiste, deve
regolarmente operarsi la detrazione dell'importo della quota di comproprietà a lui spettante per determinare
l'indennità che egli è tenuto a corrispondere, in caso di sopraelevazione, gli altri condomini, a norma dell'art.
1127 c.c.* Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1976, n. 1084.
Il proprietario esclusivo del lastrico solare è tenuto al pagamento, in porzione dei relativi millesimi, delle spese
condominiali comuni anche nel caso in cui è vietato sopraedificare dalla normativa edilizia applicabile nella zona
ove esiste l'edificio, perché tale divieto - peraltro non immutabile- non fa venir meno il suo diritto di proprietà sul
lastrico solare, né questo è utilizzabile soltanto per sopraelevare.
* Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1999, n. 13328, Cerruti c. Cond. Via Pareto,6, Noli.
In base al criterio di ripartizione delle spese stabilito dall'art. 1126 c.c. il proprietario esclusivo del lastrico solare
(cui va equiparata la terrazza a livello) deve contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un
terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi della spesa stessa, che restano a carico dei
soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico (o la terrazza) serve da copertura.* Cass. civ., sez. II, 3
maggio 1993, n. 5125, Marimonti c. Buoncristiano e Condominio di via Cadlolo n. 118/134.
La norma dell'art. 1126 c.c., prevedendo testualmente che la contribuzione per un terzo delle spese di
rifacimento del lastrico solare deve far carico ai condomini <<che ne hanno l'uso esclusivo>> anziché a quelli
che ne <<fanno>> uso esclusivo, attribuisce all'espressione <<uso esclusivo>> il significato di mera potenzialità
o facoltà dell'uso, quale che sia il concreto modo, anche di semplice inerzia, del suo estrinsecarsi,
confermandosi dal tenore della stessa norma, come dalla sua ratio, la volontà del legislatore di prescindere da
una effettiva utilizzazione del bene ed il riferimento alla utilitas ricavabile all'infuori od in più di quella insita nella
generale funzione di copertura sui cui soli fruitori non far gravare le relative spese. * Cass. civ., sez. II, 12
marzo 1993, n. 2988,
La spesa per la riparazione o ricostruzione del lastrico o della terrazza a livello deve essere sostenuta per un
terzo da coloro che ne hanno l'uso esclusivo e per due terzi dai condomini dell'edificio o delle parti di edificio a
cui il lastrico serve come copertura; pertanto, individuati i condomini che hanno l'uso esclusivo del lastrico e
posto a loro carico un terzo delle spese di ricostruzione o riparazione, la rimanente parte di dette spese deve
essere imputata esclusivamente ai proprietari degli appartamenti situati nella zona dell'edificio coperta dal
lastrico.* Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1994, n. 3542,
Il criterio di ripartizione fra i condomini di un edificio delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare
o della terrazza a livello che serva di copertura ai piani sottostanti, fissato dall'art. 1126 c.c., (un terzo a carico
del condomino che abbia l'uso esclusivo del lastrico o della terrazza; due terzi a carico dei proprietari delle unità
abitative sottostanti) riguarda non solo le spese per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cioè del
manto impermeabilizzato, ma altresì quelle relative agli interventi che si rendono necessari in via
conseguenziale e strumentale, sì da doversi considerare come spese accessorie (nella specie: spese per il
rifacimento della pavimentazione e del parapetto, nonché per il trasporto e la discarica dei detriti).
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1992, n. 11449, Ridella c. Morano.
L'articolo 1126 c.c, nel disciplinare la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico solare per
chi ne ha l'uso esclusivo non specifica la natura reale o personale di esso, che è invece determinata dal titolo,
né al fine rileva l'attribuzione millesimale, utilizzata come criterio per contribuire agli oneri condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1999, n. 8532, Bellerate c. Cond. Tre Pini - Lido di classe - Ravenna.
La disposizione dell'art. 1126 c.c, il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del
lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle
riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo
proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilità
relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via
esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex. art. 2051 c.c., e non anche -sia pure in via concorrenziale- al
condominio.* Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1998, n. 6060, Tozzi c. Suma ed altro, in Arch. loc. e cond. 1998,
685.
In un condominio, il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio condominiale che ha la funzione,
oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio deve ritenersi
destinato a servire anche queste ultime, con la conseguenza che le spese di manutenzione devono essere
ripartite tra tutti i condomini che ne traggono utilità, tenendo conto della diversa utilità che ciascuna parte può
trarre.* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1999, n. 3803, Loscialpo c. Condominio di via Valsesia n. 47 in Roma
[RV525463]
In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, anche se di proprietà o in godimento esclusivo di un singolo
condomino, assolve alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità dell'edificio nei
confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che a norma dell'art. 1126 c.c. alla manutenzione della
terrazza a livello sono tenuti, a norma dell'art. 1126 c.c., tutti i condomini cui la terrazza funge da copertura, in
concorso con l'eventuale proprietario superficiario o titolare del diritto di uso esclusivo. Conseguentemente, i
danni cagionati all'appartamento sottostante da infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per
difetto di manutenzione devono rispondere tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, secondo i criteri di
ripartizione della spesa stabiliti dall'art. 1126 c.c. La domanda di risarcimento dei danni è proponibile nei
confronti del condominio in persona dell'amministratore, quale rappresentante di tutti i condomini tenuti ad
effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario dell'appartamento posto allo stesso livello della terrazza.
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1998, n. 9009, Cond. Via Gradoli, 65 - Roma c. Gorgerino.
Il condomino di un edificio che, come proprietario del piano attico, ha l'uso esclusivo di terrazze poste a livello
del suo appartamento aventi anche funzione di copertura (lastrico solare) delle sottostanti parti dello stabile,
deve concorrere alla spesa di riparazione o ricostruzione del lastrico solare soltanto nella misura di un terzo,
restando gli altri due terzi della spesa stessa a carico dei proprietari di piani o porzioni di piani sottostanti, ai
quali il lastrico serve da copertura, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.*
Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1976, n. 497.
L'onere del condomino il quale sia stato gravato, ai sensi dell'art. 1126 cod. civ. di un terzo delle spese di
rifacimento del lastrico solare di cui abbia l'uso esclusivo in base ad una clausola del regolamento contrattuale
del condominio, non viene meno ove l'accesso al detto lastrico rimanga assicurato ancorché con manufatti
diversi da quelli all'uopo previsti nella suddetta clausola e non eseguiti dal costruttore dell'edificio.* Cass. civ.,
sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6681, Balestrero c. Cond. V. Puggia.
Il lastrico solare, anche attribuito in uso esclusivo a uno dei condomini - ovvero in proprietà esclusiva dello
stesso - svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò, ai sensi dell'art. 1126 cod. civ., le spese per la sua
riparazione o ricostruzione sono poste per due terzi a carico del condominio. Di conseguenza, anche i danni
cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico o del manto impermeabile che protegge l'ultimo piano
dell'edificio non possono essere messi interamente a carico del proprietario o usuario del lastrico stesso, ma
debbono essere risarciti col concorso del condominio nella proporzione prevista dalla citata norma.* Cass. civ.,
sez. II, 14 febbraio 1987, n. 1618, Miglio c. Mosca.
In tema di ripartizione delle spese condominiali le attribuzioni dell'assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte
alla verificazione ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, che non comprendono il potere di
introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe venendo ad incidere sul diritto individuale del
singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell'edificio condominiale in misura non
superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto è nulla e non meramente annullabile, anche se presa all'unanimità, la delibera che modifichi il criterio
legale di ripartizione delle spese di ripartizione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i
condomini abbiano manifestato la espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso,
con la conseguenza che detta nullità può essere fatta valere, a norma dell'art. 1421 c.c., anche dal condomino
che abbia partecipato all'assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purché alleghi e
dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio, non
operando nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha
concorso a dare causa alla nullità non può farla valere.
* Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125, Marimonti c. Buoncristiano e Condominio di via Cadlolo n. 118/134.
La funzione delle terrazze a livello di copertura dei piani sottostanti non è essenziale e preminente come nel
caso dei lastrici solari condominiali, bensì meramente sussidiaria rispetto all'altra derivante dalla loro natura e
caratteristica di estensione ed integrazione dell'appartamento cui sono annesse. Conseguentemente, la
ripartizione delle spese di manutenzione o ricostruzione deve effettuarsi tra il proprietario della terrazza e gli altri
condomini in proporzione dei vantaggi da essi rispettivamente ritrattati, soccorrendo all'uopo la disciplina degli
artt. 1123 e 1126 cod. civ., salvo che le spese si siano rese necessarie per fatto imputabile solo a chi ha l'uso
esclusivo del terrazzo.
* Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1986, n. 1029, Tersigni c. Pullini.
La spesa per la riparazione o ricostruzione del lastrico o della terrazza a livello va sopportata per un terzo da
coloro che ne hanno l'uso esclusivo e per due terzi da tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il
lastrico o la terrazza serve, in proporzione del valore del piano di ciascuno. Pertanto, non solo bisogna separare
i condomini che hanno l'uso esclusivo del lastrico e della terrazza, per porre a loro carico un terzo dell'onere
della ricostruzione o riparazione, ma, nell'ambito dei rimanenti condomini, va fatta un'ulteriore distinzione fra
coloro che hanno e coloro che non hanno appartamenti nella zona dell'edificio coperta dal lastrico o dalla
terrazza.* Cass. civ., sez II, 29 gennaio 1974, n. 244.
L'obbligo dei condomini dell'edificio cui il lastrico solare serve di copertura, di concorrere nelle spese di
ricostruzione e di manutenzione dello stesso - ancorché esso sia in tutto o in parte sottratto all'uso comune trova fondamento non già nel diritto di proprietà sul lastrico medesimo ma nel principio in base al quale i
condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell'utilitas che la cosa da riparare o da ricostruire è
destinata a dare ai singoli loro appartamenti. Da tanto consegue che anche i correlativi poteri deliberativi
dell'assemblea restano circoscritti nell'ipotesi anzidetta alle decisioni concernenti la riparazione, ricostruzione e
sostituzione degli elementi strutturali del lastrico solare, inscindibilmente connessi con la sua funzione di
copertura (solaio, guaine impermeabilizzanti etc.) senza che nessuna rilevanza rivesta la natura del diritto di uso
esclusivo, ovverossia il suo carattere reale o personale, spettante a taluni condomini, i quali soltanto, quali
fruitori delle relative utilità debbono sostenere le spese di riparazione e manutenzione e di quegli altri elementi
costruttivi e manufatti (ringhiere e simili ripari) che servono non già alla copertura dell'edificio ma a soddisfare
altre utilità del lastrico o di quella parte di esso di uso esclusivo.
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602, Pieragnoli c. Cond. V. Coppo.
La disposizione dell'art. 1126 c.c., il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del
lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle
riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo
proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi (nella specie: imperfetta
impermeabilizzazione e difetti nei canali di scarico delle acque piovane che avevano invaso le proprietà
sottostanti) la responsabilità relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al
risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 c.c., e non anche - sia pure
in via concorrenziale - al condominio.* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1990, n. 8669, Zorzan c. Omodei.
Nel condominio degli edifici, il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di
tutela possessoria quando uno di essi abbia alterato e violato, senza il consenso ed in pregiudizio degli altri
partecipanti, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o
restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima. Pertanto, con
riguardo al lastrico solare, cui è connaturata la funzione di copertura delle parti sottostanti dell'edificio
condominiale, commette spoglio il condominio che ne immuti lo stato di fatto o ne alteri la destinazione, con
l'effetto di escludere o ridurre apprezzabilmente, anche soltanto sul piano delle possibilità o modalità di esercizio
(accessibilità, ispezionabilità del manufatto), le precedenti facoltà di utilizzazione e godimento del lastrico stesso
- riguardo in questa specifica funzione - degli altri condomini, restando irrilevante, in tale ipotesi, che l'eventuale
fine della immutazione sia quella di consentire o rendere più agevole allo spoliator l'utilizzazione del lastrico
solare come piano di calpestio, non astrattamente incompatibile con la sua funzione di copertura.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1993, n. 2947, Santi c. Addari.
Le spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di un edificio, cui va assimilata la terrazza a livello,
devono essere sopportate a norma dell'art. 1126 c.c., in ragione di un terzo dal condomino che ne abbia l'uso
esclusivo, restando gli altrui due terzi della spesa stessa a carico dei proprietari dei piani o porzioni di piano
sottostanti ai quali il lastrico o la terrazza serve di copertura. Pertanto il proprietario esclusivo del lastrico o della
terrazza è tenuto alla doppia contribuzione soltanto quando sia proprietario anche di una delle unità immobiliari
sottostanti, in proporzione al valore della medesima.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1992, n. 11449, Ridella c. Morano.
Il principio della rimborsabilità al condominio - in assenza di autorizzazione dell'organo competente - delle sole
spese da costui sostenute in via d'urgenza deve essere applicato anche alle spese di riparazione e ricostruzione
del lastrico in uso esclusivo del condomino, trattandosi di spese comunque destinate ad essere ripartite tra tutta
la collettività condominiale (secondo i criteri dell'art. 1126 c.c.) in funzione della comune utilità del bene quale
copertura dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 27 maggio 1993, Ceva Valla c. Cond. Di via Roentgen nn. 16/18 di Milano, in Arch.
loc. e cond. 1994, 128.
I proprietari dei lastrici solari rispondono delle spese rese necessarie dal godimento esclusivo delle terrazze,
come nel caso di danni provocati da sovraccarichi o da esondazioni, così come rispondono delle spese
destinate al ripristino della parte interna dei parapetti.* Corte app. civ. Milano, 15 settembre 1989, n. 1345.
E' illegittimo, per contrasto con l'art. 1126 c.c., il criterio di riparto o di spesa che, in relazione ad opere di
riparazione o ricostruzione della copertura di un edificio, oneri i soli condomini utenti in via esclusiva delle spese
di pavimentazione, limitando l'applicazione del diverso criterio di cui all'articolo citato, alle spese di
impermeabilizzazione.
* Trib. civ. Genova, 7 novembre 1990.
Nel caso in cui un lastrico solare non svolga alcuna funzione di copertura dello stabile condominiale o, se lo
svolga, lo faccia del tutto inutilmente e contro la volontà dei condomini, le spese per la sua manutenzione vanno
ripartite ex art. 1123, secondo comma, c.c. e non ex art. 1126 c.c.* Trib. civ. Roma, sez. V, 18 marzo 1993, n.
4499, Boccardi e altra c. Condominio di via Santuario della Regina degli Apostoli n. 25 di Roma, in Arch. loc. e
cond. 1993, 746.
I condomini di un edificio cui un lastrico solare serva da copertura hanno l'obbligo di concorrere nelle spese di
ricostruzione e di manutenzione, ancorché esso sia in tutto od in parte sottratto all'uso comune, perché tale
obbligo trova fondamento non già nel diritto di proprietà del lastrico, ma nel principio in base al quale i condomini
sono tenuti a contribuire alle spese in ragione della utilità che la cosa da riparare o ricostruire è destinata a dare
ai singoli.
* Trib. civ. Milano, 4 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 633.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilità ritratta, che può equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dell'amministratore, ed è l'assemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in Parma e
Condominio di via Ravà n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Deve porsi a carico dei soggetti interessati alla funzione di copertura della terrazza a livello la quota (dell'importo
pari ai due terzi dell'intera spesa) proporzionale alla parte di edificio condominiale in cui sono contenute le
proprietà comuni e quelle esclusive, calcolando opportunamente la misura dell'incidenza di tali parti.* Trib. civ.
Milano, 7 novembre 1994, in Giust. civ. 1995, I, 1371.
Nel caso di rifacimento di una terrazza a livello, attrezzata e corredata da aiuole in muratura, posta al primo
piano e costituente il tetto di un solo locale adibito ad autorimessa, le spese condominiali devono essere ripartite
secondo i criteri indicati dall'art. 1126 c.c.* Trib. civ. Genova, sez. III, 14 febbraio 1996, n. 417, Accame c.
Corsanego, in Arch. loc. e cond. 1996, 400
La disciplina di cui all'art. 1126 non è applicabile in ordine alla ripartizione delle spese di riparazione di un
terrazzo che, pur svolgendo funzione di copertura per una limitata colonna di appartamenti, è nella libera
disponibilità di tutti i condomini.
* Corte app. civ. Milano, 9 marzo 1990, n. 392, in Arch. loc. e cond. 1991, 325.
q) Uso esclusivo del lastrico
L'art. 1126 c.c., nel prevedere la possibilità di uso esclusivo del lastrico solare, non specifica la natura giuridica
di tale diritto, il quale può avere carattere reale o personale ed è comunque quello che risulta dal titolo, ma, in
mancanza di titolo, ha vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie (della
terrazza-lastrico solare) serve pur sempre a coprire i vani sottostanti dell'edificio condominiale, e che tale regime
non è escluso dal solo fatto che dal bene uno o più comproprietari traggano utilità maggiori rispetto agli altri.
Perché una terrazza a livello, che esplichi anche funzione di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di
proprietà esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui alla terrazza medesima si accede, è necessario che
essa faccia parte integrante, da un punto di vista strutturale e funzionale, del piano cui è annessa, di tal che la
funzione di copertura dei piani sottostanti si profili, come meramente sussidiaria.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1974, n. 1501.
Il condomino che, essendo titolare del diritto di uso esclusivo sul lastrico solare, vi rinunzi è esonerato dalla
contribuzione nelle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico secondo il criterio dell'art. 1126 c.c., e deve
parteciparvi in base alla quota millesimale di proprietà, non potendo estendersi analogicamente alla rinunzia ad
un particolare diritto di uso sulla cosa comune la norma dell'art. 1118, secondo comma, c.c., in base alla quale la
rinunzia al diritto di proprietà sulle cose comuni non esonera il rinunziante dalle spese per la loro conservazione,
dal momento che tale norma, oltre a costituire deroga all'opposto principio generale stabilito dal primo comma
dell'art. 1104 c.c., trova la sua ratio nell'inscindibile collegamento tra la fruizione della proprietà comune e la
fruizione di quella individuale e nella conseguente esigenza di non consentire e al condomino di sottrarsi alla
contribuzione nelle spese per la conservazione di beni dei quali egli continuerebbe necessariamente a godere
pur dopo avervi rinunziato, che non sussiste invece nel caso di un bene il cui godimento, puramente eventuale,
è rimesso alla libera determinazione del suo titolare e con la rinunzia di questi si trasferisce alla collettività dei
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1996, n. 3294, Meroli c. Bonfiglio.
Il diritto esclusivo di calpestio del lastrico solare può essere acquistato per usucapione.* Cass. civ., 17 aprile
1973, n. 1103.
Il condomino è legittimato ad impugnare con l'azione di nullità ex art. 1421 c.c. una deliberazione assembleare
come esorbitante i poteri che competono all'assemblea purché deduca e dimostri di avere interesse
all'accertamento della nullità, e cioè che la deliberazione impugnata gli arreca un apprezzabile pregiudizio ( nella
specie di un condomino avente l'uso esclusivo di una parte del lastrico solare aveva fatto valere la nullità della
deliberazione assembleare che aveva deciso il rifacimento della pavimentazione per tutta la superficie del
lastrico medesimo sostituendo altro tipo di mattonato a quello preesistente, senza indicare quale concreto
pregiudizio era a lui derivato dall'anzidetta sostituzione).* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602,
Pieragnoli c. Cond. V. Coppo.
r) Vedute
Al fine di configurare una veduta da terrazze, lastrici solari e simili, è necessario che queste opere,
oggettivamente considerate, abbiano quale destinazione normale e permanente, anche se non esclusiva, quella
di rendere possibile l'affacciarsi sull'altrui fondo vicino, così da determinare il permanente assoggettamento al
peso della veduta; e non occorre che tali opere siano sorte per l'esclusivo scopo dell'esercizio della veduta,
essendo sufficiente che esse, per l'ubicazione, la consistenza e la struttura, abbiano oggettivamente la detta
idoneità.* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125, De Carlo c. Console.
MIGLIORAMENTI APPORTATI ALLA COSA LOCATA
L'art. 939 c.c. regola, in via generale, soltanto l'unione e la commistione fra cose appartenenti a diversi
proprietari verificatesi in assenza di precedenti rapporti giuridici fra i medesimi. L'ipotesi di addizioni eseguite dal
conduttore nell'ambito del contratto di locazione è, invece, regolata dall'art. 1593 c.c., che, in quanto norma
speciale rispetto al cit. art. 939 c.c. trova esclusiva applicazione. Pertanto, trattandosi di addizione separabile, il
proprietario della cosa beata ha un incondizionato diritto ad ottenerne la rimozione, abbia o meno consentito, in
costanza di contratto, alla sua esecuzione. Il consenso del proprietario al compimento dell'addizione, infatti, è
rilevante nella sola ipotesi in cui l'addizione non sia rimovibile senza danno per la cosa locata ed, inoltre,
costituisca un miglioramento di questa, secondo quanto stabilisce l'art. 1592, richiamato dall'art. 1593 c.c.
* Cass. civ., sez. I, 19 giugno 1971, n. 1891.
Lo jus tollendi può essere esercitato dal conduttore al termine della locazione sempre che il locatore non
preferisca ritenere le addizioni; il conduttore che intenda esercitare tale diritto deve, pertanto, darne preavviso al
locatore.
* Cass. civ., sez. Il, 11 febbraio 1972, n. 395.
L'indennità per miglioramenti e per addizioni deve essere corrisposta, in ipotesi di vendita dell'immobile locato
nel corso del contratto. da chi alla cessazione del rapporto è locatore, e cioè dall'acquirente che, ricevendo in
consegna l'immobile locato, esercita il diritto di ritenere le cose amovibili.* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1974,
n. 3902.
La decisione del locatore di ritenere un'opera eseguita nell'alloggio locato a cura del conduttore ed avente le
caratteristiche dell'addizione, essendo conforme ad esplicito e preciso diritto conferitogli dalla legge (art. 1593
c.c.) non può configurare un atto di spoglio ancorché sia adottata contro il volere dell'ex conduttore.* Cass. civ.,
sez. II, 7 ottobre 1991, n. 10477, Nardi c. Mantoet.
Qualora in un contratto di locazione sia previsto il divieto per il conduttore di apportare modifiche all'immobile
locato senza il preventivo ed esplicito consenso del proprietario - locatore, non incombe a quest'ultimo, che
abbia agito per l'eliminazione delle modifiche apportate dal conduttore, la prova della sua opposizione, bensì al
conduttore la dimostrazione di avere ottenuto il preventivo espresso consenso del locatore, senza che sia
sufficiente la mancata opposizione ad un progetto genericamente prospettato.* Cass. civ., sez. III, 7 aprile 1988.
n. 2740, Di Cesare c. Cossu.
La disciplina dei miglioramenti e delle addizioni eseguite dal conduttore sulla cosa locata. dettata dagli artt. 1592
e 1593 cod. civ., riguarda soltanto quelle innovazioni o quegli incrementi, qualitativi o quantitativi, che ineriscono
alla cosa locata in quanto compiuti nell'ambito rigoroso dei suoi confini, lasciandone integra la struttura
fondamentale, l'organizzazione funzionale autonoma e la destinazione sua propria, e ad essa non può farsi
riferimento quando si tratti di alterazioni strutturali profonde, che abbiano come conseguenza la trasformazione,
anche di una parte soltanto, della cosa locata.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1988, n. 5747, Sambiase c. Camerino Scalf.
In tema di miglioramenti e dì addizioni alla cosa locata, il consenso del locatore previsto dagli artt. 1592 e 1593
cod. civ. non può consistere in una semplice tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca
dichiarazione di volontà, intesa come esplicita approvazione delle innovazioni, sicché la conoscenza e la
mancata opposizione del locatore non vale a legittimare la richiesta di indennizzo del conduttore.* Cass. civ.,
sez. III, 28 ottobre 1989, n. 4512, Martini c. Bongiovanni.
In tema di miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593, non essendo di
carattere imperativo, sono derogabili dalle pattuizioni contenute nel contratto.* Cass. civ., sez. III, 11 gennaio
1991, n. 192, Bocchini c. Boffa.
Il consenso del locatore previsto dagli artt. 1592 e 1593 c.c. in terna di miglioramenti e addizioni alla cosa locata,
non può consistere in una semplice tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione
di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni che si manifesti in fatti concludenti e in un comportamento
incompatibile con un contrario proposito.* Cass. civ., sez. III, 12 aprile 1996, n. 3435, Cellai c. Di Bona.
E' facoltà del conduttore apportare alla cosa locata quelle migliorie od innovazioni che non ne mutino la natura e
la destinazione pattuita. Non trova applicazione, in questo caso, la norma di cui all'art. 1587 n. 1 c.c., ma solo la
disciplina delle migliorie e delle addizioni, di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c.* Cass. civ., sez. III, 8 novembre 1996,
n. 9744, Riva c. Lucia Mario.
Le norme, contenute negli artt. 1592 e 1593 c.c., sono applicabili anche alle accessioni operate dal conduttore
che, originariamente separabili per la loro natura fisica, siano divenute giuridicamente inseparabili per
disposizione di legge o per vincolo amministrativo, dovendosi ritenere che la volontà di legge, come attuata, si
sia sostituita al consenso del locatore in ordine alle addizioni al proprio immobile, per la regolamentazione di più
beni originariamente separabili come entità indivisibile. (Nella fattispecie concreta il vincolo era stato imposto
con decreto del Ministro dei beni culturali ed ambientali ai sensi dell'art. 2 della legge 1 giugno 1939 n. 1089 per
la destinazione d'uso e gli arredi interni di un locale commerciale di particolare interesse artistico e storico ed era
nata controversia alla cessazione del rapporto di locazione sulla sorte degli arredi e sul diritto all'indennizzo a
favore del conduttore).* Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 1996, n. 10959, Soc. Immobiliare Santa Costanza c. Fina
e altro.
Se il conduttore ha citato in giudizio il locatore prima del 30 aprile 1995 per ottenere il rimborso delle spese per i
miglioramenti apportati, con il consenso del locatore, all'immobile e costituiti anche da addizioni (artt. 1592 e
1593 c.c.), la competenza per materia spetta al pretore in base all'art. 8 n. 3 c.p.c. (nuova formulazione),
applicabile ai giudizi in corso a detta data, ai sensi dell'art. 90, comma terzo, legge n. 353 del 1990, come
modificato dall'art. 9 del D.L. n. 432 del 1995, convertito in legge n. 534 del 1995.* Cass. civ., sez. III, 23 maggio
1997, n. 4608, Altair Sas c. Eredi di Cipani.
In tema di miglioramenti ed addizioni all'immobile apportati dal conduttore, la manifestazione di consenso del
locatore, di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., non può desumersi da un suo comportamento di mera tolleranza, ma
deve concretarsi in una chiara e non equivoca espressione di volontà, da cui possa desumersi la esplicita
approvazione delle innovazioni medesime, così che la mera consapevolezza, o la mancata opposizione, del
locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta di indennizzo.* Cass. civ., sez. III, 24 giugno
1997, n. 5637, Soc. Nadia c. Pagliaro, in questa Rivista 1997, 811.
Il contratto novennale stilato per scrittura privata che preveda il pagamento di un canone mensile indicizzato e
l'obbligo del ripristino del terreno con abbattimento di eventuale manufatto e asporto del materiale, ha natura
obbligatoria e carattere locatizio, mentre non comporta la concessione del diritto di superficie su un'area, che
prevede il pagamento in un'unica soluzione di un corrispettivo al proprietario o tutt'al più di un solarium annuale
e dal quale, in caso di estinzione del diritto, normalmente consegue che l'eventuale costruzione ricada nel
dominio del proprietario.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 13 febbraio 1989, P.M. Spa e. Ministero delle finanze, in questa Rivista 1989,
492.
In difetto di consenso del locatore e nell'ipotesi di mancato esercizio da parte di quest'ultimo dello jus retinendi di
cui all'art. 1593, comma primo, c.c., il conduttore, non potendo imporre al proprietario innovazioni migliorative da
lui non approvate, pur legittimamente apportate alla cosa locata in corso di contratto, né, tanto meno, potendo
pretendere il pagamento del relativo importo, è tenuto (ove il locatore lo richieda) alla rimessione in pristino a
proprie spese, in applicazione dell'art. 1590, comma primo, c.c., ancorché le trasformazioni eseguite
concretizzino addizioni non separabili senza nocumento del bene oggetto della locazione. (Nella fattispecie è
stata ritenuta la sussistenza del diritto del locatore di ottenere il ripristino del preesistente stato
dell'appartamento locato e, in particolare, la rimozione della moquette applicata sul pavimento in marmo e della
tappezzeria in stoffa applicata alle pareti dell'immobile a spese del conduttore, essendosi, peraltro, escluso ogni
ulteriore obbligo di quest'ultimo - una volta posto a suo carico il costo della mera ed effettiva rimozione delle
suddette addizioni - di ricostituzione delle originarie ed ottimali condizioni dell'immobile, eventualmente esistenti
alla data di inizio della locazione e che siano risultate naturalmente compromesse per effetto del deterioramento
dovuto alla normale usura del medesimo).
* Pret. civ. Busto Arsizio, 15 novembre 1996, n. 270, Gallazzi ed altri e. Erba, in questa Rivista 1996, 960.
L'inidoneità dell'immobile all'esercizio di una determinata attività commerciale o industriale per la quale è stato
beato (che può consistere anche nella mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti all'uopo prescritti dalla
pubblica autorità) non comporta per il locatore l'obbligo di operare modificazioni o trasformazioni che non siano
state poste a suo carico dal contratto, poiché al locatore incombe l'obbligo (previsto dall'art. 1575, n. 2, c.c.) di
conservare, e non già di modificare, lo stato esistente al momento della stipula della locazione, che il conduttore
ha riconosciuto idoneo all'uso pattuito. (Nella fattispecie è stata esclusa la sussistenza dell'obbligo del locatore di
sostenere la spesa di realizzazione di un servizio igienico per disabili imposta dall'autorità amministrativa ai fini
dell'adeguamento di un esercizio-bar alla normativa della L. 9 gennaio 1989, n. 13, recante: "Disposizioni per
favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati" ed è stato, altresì,
riconosciuto il diritto del locatore medesimo al ripristino del preesistente stato del 1'immobile, mediante
eliminazione del manufatto, a spese del conduttore al momento della cessazione della locazione e della
riconsegna della res locata).
* Pret. civ. Busto Arsizio, 21 aprile 1997, n. 245, Soc. Bar Madyson c. Lupi, in questa Rivista 1997, 467.
Il decreto di vincolo del Ministero per i beni culturali e ambientali, ai sensi degli artt. 1 e 2 della L. 1 giugno 1939,
n. 1089, sull'immobile e sui suoi decori e arredi non è di ostacolo - qualora tali decori e arredi siano di proprietà
del conduttore sottoposto ad esecuzione di sfratto - all'esecuzione dello sfratto medesimo, non potendosi privare
- per la sottoposizione al vincolo anche dei decori e degli arredi - il proprietario dell'immobile della disponibilità
dell'immobile stesso - bene di valore di gran lunga superiore a quello dei decori e degli arredi - e trovando
adeguata soluzione la perdita degli arredi da parte del conduttore nelle norme del codice civile in tema di
miglioramenti e di addizioni (artt. 1592 e 1593 c.c.) soprattutto considerando i decori e gli arredi come addizioni
non separabili per effetto del provvedimento di vincolo.
* Pret. civ. Firenze, ord. 11 aprile 1992, Rossi c. Soc. Neuber, in questa Rivista 1992, 638.
Nel caso in cui il locatore accordi al conduttore la facoltà di provvedere alla edificazione dell'area nuda oggetto di
locazione, non si produce alcuna modifica in ordine alla natura del rapporto contrattuale, che resta soggetto alle
disposizioni della L. n. 392/78, dovendosi tra le parti provvedere solo alle relative restituzioni e reintegrazioni
dettate dagli artt. 1592 e 1593 c.c. una volta estinto il rapporto locativo. (Fattispecie relativa ad area nuda adibita
a lavaggio autovetture).
* Pret. civ. Pescara, 1 giugno 1987, Farchione c. Di Giuseppe, in questa Rivista 1987, 755.
L'indennità di cui agli artt. 34 e 69 L. n. 392/1978 si ricollega esclusivamente al canone corrente degli immobili
concessi in locazione, per i quali cioè sia stata pattuita la cessione del godimento per un certo tempo in cambio
di un corrispettivo, e non si estende alle addizioni operate dal conduttore, non sussistendo, riguardo a queste
ultime, l'onere del canone in corso di rapporto: le stesse non possono di conseguenza essere prese a
riferimento per la quantificazione dell'indennità de qua.
* Pret. civ. Verona, 24 aprile 1990, n. 460, Trittoni L. e G. c. Righi Fascio, in questa Rivista 1990, 578.
L'azione mediante la quale il conduttore miri al conseguimento del valore dell'impianto antifurto che egli abbia
installato nell'appartamento condotto in locazione non può svolgersi nei confronti di colui il quale sia subentrato
nella proprietà dell'immobile dopo la cessazione del rapporto, stante il carattere personale del diritto regolato
dall'art. 1593 cod. civ., che inerisce esclusivamente al rapporto intervenuto tra le parti del contratto di locazione.
* Trib. civ. Monza, 19 novembre 1986, Ernesto c. Zaccardi, in questa Rivista 1987, 740.
Con riguardo all'indennità per le addizioni apportate dal conduttore alla cosa locata, mentre nel caso di
addizione separabile il proprietario ha un incondizionato diritto ad ottenerne la rimozione, abbia o meno
consentito alla sua esecuzione, detto consenso assume decisivo rilievo nell'ipotesi in cui l'addizione non sia
rimovibile e costituisca miglioramento della cosa locata.
* Trib. civ. Napoli, 27 novembre 1996, Terminiello ed altri c. Migliaccio, in questa Rivista 1998, 102.
MURI CONDOMINIALI
SOMMARIO: a) Abbattimento; b) Aperture; c) Attraversamento di condutture, cavi e tubature; d) Costruzione in
appoggio; e) Distanze legali; f) Facciata; g) In parte proprietà comune ed in parte proprietà esclusiva; h)
Intercapedini; i) Luci; l) Muro di sostegno del giardino; m) Muro divisorio; n) Nozione di muri maestri; o) Nozione
di muri perimetrali; p) Parapetti alla sommità dell’edificio; q) Pareti esterne; r) Sopraelevazione; s) Spese; t)
Utilizzo.
a) Abbattimento
L’abbattimento di muro perimetrale di edificio condominiale in cemento armato ad opera di un condomino ravvisabile anche nel caso in cui venga rimossa la muratura (di tompagnamento) facente parte di detto muro incidendo sulla sostanza essenziale della cosa, non rientra nell’ambito dell’art. 1102 cod. civ., che, nel regolare i
diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare l’interesse comune e quello dei singoli consente
solo modificazioni delle cose comuni nei limiti indicati, bensì costituisce innovazione, soggetta, come tale, alle
regole dettate dall’art. 1120 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3741, Di Chiara c. Severino.
La norma contenuta nell’art. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della
cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il
loro diritto, gli attribuisce la facoltà di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma
non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura. Ne
consegue che l’abbattimento di un muro portante di un edificio in condominio - sia pur sostituito, come nella
specie, da travi in ferro - incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non
può farsi rientrare nell’ambito delle facoltà concesse al singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102
c.c., ma costituisce vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120 c.c.
*Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497, Martino c. Ghio.
b) Aperture
In tema di utilizzazione del muro perimetrale dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino,
costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 del cod. civ.,
le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà,
esistenti nell’edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la
destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all’acquisto di una
servitù (di passaggio) a carico della proprietà condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5780, Parr. SS. Vito M. c. Cond. Via Fratt. Conf., Cass. civ., sez. II, 13
gennaio 1995, n. 360.
Qualora l’apertura del muro perimetrale comune di un edificio condominiale sia eseguita dal singolo condomino
per mettere in comunicazione una unità immobiliare di sua esclusiva proprietà con un’altra unità compresa in un
diverso fabbricato, l’uso del muro comune non può ritenersi consentito a norma dell’art. 1102 c.c. in quanto non
si risolve in un semplice maggiore suo godimento, ma integra una anormale e diversa utilizzazione diretta a
sopperire ai bisogni di un bene al quale non è legato da alcun rapporto, venendo inoltre il muro e, quindi, le parti
comuni del fabbricato, quali le fondazioni ed il suolo di cui esso fa parte, ad essere gravate da una vera e
propria servitù a favore di un bene estraneo al condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di
diritti reali immobiliari, è richiesta a pena di nullità la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i
partecipi.* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773, Magazzini c. Alessandri.
Costituisce uso indebito della cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dell’art. 1102 cod. civ.,
l’apertura praticata da un condomino nel muro comune per mettere in collegamento un vano dell’edificio
condominiale con altro suo immobile estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una servitù
a carico del condominio, per la cui costituzione è richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla comunione
risultante da atto scritto a pena di nullità.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
L’apertura di una porta o di una finestra da parte di un condomino o la trasformazione di una finestra che
prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo mediante l’abbattimento del corrispondente
tratto di muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo appartamento non costituisce di per sé abuso
della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1988, n. 1112. Castellana c. Marraffa.
Il condomino può aprire nel muro comune dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se
queste opere, di per sé non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico
dell’edificio.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996. Borgato c. Cond. Il Casone di Cernobbio.
Il comproprietario o compossessore non può servirsi di un’area comune per accedere, attraverso un’apertura
appositamente creata in un muro divisorio comune, ad un immobile di sua esclusiva proprietà o di suo esclusivo
possesso, diverso dal fondo al cui servizio l’area venne originariamente creata, perché ciò si risolverebbe nella
costituzione di una vera e propria servitù di passaggio su tale area, ovvero in una molestia del compossesso
altrui.
* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1987, n. 2973, Gianella c. Bickler.
L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio
condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà
esclusiva, di massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini,
non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art.
1102, primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già
alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato,
ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario.*
Cass. civ., sez. II, 29aprile 1994, n. 4155, D’Urso c. Di Giacomo.
I muri che delimitano il complesso condominiale, costituendone quindi il perimetro, non tollerano - abbiano essi
natura di muri portanti o meramente divisori - aperture, da parte di un condomino, ove realizzando un passaggio
con un immobile di appartenenza dello stesso condomino ma estraneo al condominio, possano dar luogo,
attraverso il prolungato possesso, ad acquisto di servitù a carico dell’entità condominiale che circoscrivono.
* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1985, n. 5628, Magnetto c. Fazzini.
Nell’applicazione delle regole di cui all’art. 1102 cod. civ. il giudice non può limitarsi ad esaminare se le
modificazioni apportate dal condominio alla cosa comune per il migliore godimento di questa o della sua
proprietà singola siano o meno suscettibili di compromettere la stabilità e l’estetica dell’edificio in base all’assetto
attuale; ma deve invece accertare, in base all’esame della destinazione attualmente impressa in concreto alla
cosa comune, nonché in base alle ragionevoli prospettive offerte dall’oggettiva struttura, ubicazione e
destinazione delle proprietà individuali e tenendo conto, altresì, delle aspettative desumibili dall’uso che ciascun
condomino faccia della sua proprietà o da allegati apprezzabili mutamenti, se siano prevedibili modificazioni
uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste sarebbero pregiudicate dalle modifiche già attuate o
in v