View Book Sample - Dunwich Edizioni

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View Book Sample - Dunwich Edizioni
JENNIFER SAGE
KELTOR
THE GUARDIAN ARCHIVES
LIBRO I
Traduzione a cura di Irene Montano e Marco Garofalo
Dunwich Edizioni
Keltor di Jennifer Sage
© 2013 – Jennifer Sage
Traduzione © Irene Montano e Marco Garofalo
Dunwich Edizioni
Via Albona, 95 – 00177 Roma
www.dunwichedizioni.it
Codice isbn 9788898361335
Rosa Gotica
Riconoscimenti
A mia figlia, un raggio di luce in un mondo a volte altrimenti buio.
C’è un luogo sulla Terra in cui nulla ci tocca. È sia buio che luminoso,
tutto comprende e tutto sa. Quando lo accogliamo ogni cosa diventa
possibile. Esso abbraccia la calma calda del grigio e dimentica la luce
e oscurità. C’è qualcosa nel mezzo che farà volare la tua mente, te lo
garantisco. Spero di poter essere tanto fortunata da incontrarti un
giorno sul sentiero per la zona grigia. E felice festa della mamma,
mamma. Ti voglio bene.
Al mio editor Patti, non avrei potuto sopravvivere a questi ultimi,
folli mesi di lavoro da sola senza finire rinchiusa da qualche parte. Sei
un Angelo, soprattutto nel sopportarmi. Scherzo, lo sai, ti voglio bene
e spero di essere più un angelo che un demone. So che tu lo sei.
Ai miei amici e ai miei fan… come avrei potuto avere la forza di
fare tutto questo senza di voi? Timetrius, Amy, Mary, Angel, Jaclyn,
Michele, Sabrina, Dawn, Steph… e tanti altri per cui servirebbero pagine per ringraziarvi tutti. GRAZIE. Per essere stati il mio cuore
quando il mio non era sufficiente. Per aver creduto nelle parole che
ho scritto quando non ero sicura fossero buone abbastanza. Vi amo
tutti così tanto che a volte mi vengono le lacrime agli occhi.
Al mio Guardiano, e tu sai chi sei: la forza creatrice dentro di me. E
ti amo per questo. Continua a portarmi sulle note che ti connettono
alla sorgente. È lì che ho trovato la mia casa. Ed è lì che ho trovato di
nuovo le mie ali. Be’, sì, lì e in Toscana, che dobbiamo visitare presto…
Ciao per adesso,
Jennifer Sage
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Introduzione immortale
Una storia che non doveva essere raccontata se non a rischio della
mia vita ha trovato la strada fino alla pergamena. In stanze illuminate
a lume di candela, rannicchiata al buio, ho scritto più di quanto avessi dovuto e la narrazione non è ancora completa. Un racconto sulla
magia che ci circonda; un mondo in cui molti hanno creduto senza
poterne verificare l’esistenza. Ho visto la luce e l’oscurità combattere
e sono sopravvissuta alle cicatrici di un demone tanto orribile da
bruciare il sangue con un semplice graffio degli artigli.
In questa storia si parla di trovare la morte nella vita e la vita nella
morte, senza dimenticare che una candela che non brucia da entrambe le estremità non sta bruciando affatto. Passione, intrigo,
magia, amore, odio e tradimento… devo dire di più? Continuate a
leggere se ne avete il coraggio ma, se mai verrete a chiedermi se si
tratta di un’opera di immaginazione, naturalmente risponderò di sì.
Tuttavia dovreste sapere che la fantasia trae spunto dalla realtà.
Questa è solo la prima storia dei Guardiani che vegliano su di noi.
Finché sarò in grado di scrivere, continuerò a raccontare le loro avventure. Gli Immortali sono qui, e non vorreste mai sapere
veramente contro cosa combattono.
O sì?
Consideratelo un avvertimento. Continuate e svelate a vostro rischio le vite di cui io non avrei dovuto sapere niente. E in quella
oscurità possiate trovare le luci della passione e dell’amore e i legami
dell’eternità. Ma teneteli per voi. Ci sono molte ragioni per cui i segreti dovrebbero rimanere… segreti.
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Irlanda, oggi
Questo è il luogo in cui sono morto. Lo stesso in cui ho vissuto.
Stava sul ciglio del precipizio, guardando il sole che sorgeva all’orizzonte, proprio come faceva ogni giorno dalla morte della sua famiglia,
circa mille anni prima. Spruzzi d’acqua gli bagnavano la pelle scura
mentre le onde si infrangevano contro le rocce che separavano il suo
antico sguardo dalle gelide profondità sottostanti. Come un monolite,
il guerriero rimaneva perfettamente immobile, con le braccia muscolose incrociate sull’ampio petto. Se un mortale lo avesse visto avrebbe
pensato di avere le allucinazioni. La corazza di cuoio incrociata sui pettorali era carica di un’ampia gamma di armi, che proseguiva per tutta
la lunghezza del mantello di pelle, fino a toccare terra. Coltelli da
lancio avvelenati e dardi abbastanza affilati da perforare le scaglie di
un drago. C’erano anche una Glock e la sua McMillan. Anche se non
amava le pistole, ogni tanto le aveva trovate necessarie. Naturalmente
portava il saratai legato alla schiena: la lama lo seguiva ovunque andasse. Infine era provvisto di un arsenale di esplosivi e arnesi che lo
rendevano efficiente e rinomato tra i Guardiani.
Pregò le Dee per i suoi cari, rifiutando ancora di accettare il dono
datogli dalla Pura. Un pesante accento marcava la sua voce mentre le
parole venivano trasportate dolcemente dal vento. Non c’era niente
per miglia, egli era al sicuro nelle sue terre. Nel corso degli anni si
era assicurato di mantenerle al riparo da sguardi indiscreti. Portato
un ginocchio al suolo, allungò una mano e afferrò una manciata di
scura rena granulosa. La baciò prima di gettarla nel mare affamato;
ebbe così compiuto ciò che era venuto a fare.
Fissando il sole, ora completamente sorto, i suoi vivi occhi verdi
scintillavano e i capelli neri, liberi dalla stoffa che li teneva legati, gli
sferzavano il volto austero. Una cicatrice, residuo della sua vita passata, formava una luna crescente vicino alla tempia destra, ricordandogli per sempre ciò che era stato e il motivo per cui aveva combattuto
l’oscurità. La sua sola e unica ragione di vita.
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Uccidere le creature che avevano sterminato lui e la sua famiglia su
quella stessa spiaggia.
Quel giorno non avrebbe ricordato il suono delle risate del suo
bambino né quello delle urla che si mescolavano al singhiozzare di
sua moglie. Oggi voleva ricordare solamente la bellezza di quel visino e il sorriso di Emi, costante nella loro casa. La donna era stata
un’anima così soave. Appena il suo cuore fu preso da quella morsa
quotidiana di dolore, distolse l’attenzione dal rimorso in arrivo e tornò stoicamente alla Fortezza.
Rocce annerite dagli anni emergevano dai freddi e scuri prati verdi,
luccicanti per la rugiada notturna. I campi erano spogli dopo la raccolta e il gelo aveva iniziato a posarsi sulle distese. L’edera strisciava sulle
pareti come un serpente ed era stata così trascurata che in alcune zone
la pietra era scomparsa e si vedevano solo i viticci. Kelt non si occupava di quelle dannate piante ma a Emi piacevano, così lui le aveva
lasciate crescere più che aveva potuto. Sarebbe stato in grado di ordinare che venissero tagliate alle radici ora che avevano quasi completamente ricoperto il castello? Scacciò via il pensiero e, facendosi largo tra
la vegetazione troppo cresciuta, si diresse verso casa.
Aveva solo quattro custodi per la cura e il mantenimento del maniero, ma questi non sapevano chi fosse in realtà. All’incirca ogni
dieci anni li mandava via con le borse piene a cercare un nuovo impiego e ne prendeva quattro nuovi. Non notavano mai che lui non
invecchiava: d’altronde si faceva vedere raramente dai suoi domestici. Avevano precisi ordini di non attardarsi quando lui era in giro per
la casa. Nella stagione della semina, i lavoratori che curavano i campi
venivano e tornavano ogni giorno dai villaggi circostanti. Tutto ciò,
naturalmente, non impediva che le voci sul Signore della Fortezza si
diffondessero nel paese. Ma preferiva le chiacchiere e la paura piuttosto che l’intromissione di esseri umani, ed egli aveva dovuto
mantenere la finzione di possedere un castello in piena attività per
non far sorgere ulteriori sospetti. Inoltre non avrebbe potuto sopportare di vedere ridotta in rovina la dimora in cui la sua famiglia aveva
vissuto per secoli. Gli uomini che si occupavano della reggia lo
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consideravano come un’ombra, sempre lontano per affari di cui non
si sapeva la natura. Li pagava a sufficienza e loro non facevano
domande. Un Guardiano si poteva fidare poco, con tutti i segreti che
custodiva, e non poteva entrare in confidenza con nessuno a
eccezione dei suoi fratelli. Alcuni di loro avevano fatto amicizia con
degli umani, ma lui non si sarebbe mai permesso di legarsi a esseri
in grado di perire in un battito di ciglia.
Man mano che il suo stomaco cominciava a brontolare chiuse gli
occhi e si diresse dalle sue terre verso la tenuta del suo Capo e amico
fraterno, Lucio. Laddove Keltor prediligeva la fredda pietra come
principale decorazione per la sua dimora, non avendo bisogno di caldo o colore, l’amico era il suo esatto opposto. Stava nel suo studio
circondato da libri e con il fuoco crepitante, superfici di pelle scura e
rovere lucidato ovunque. Quel luogo non solo era la sua casa ma anche la roccaforte del loro clan. Lucio era il più anziano e tutti consacravano a lui la vita e la spada. Era stato il primo, la sua nascita come
Immortale non era avvenuta come per gli altri. Lui era il diretto discendente della Pura, l’unico tra loro a essere stato creato dalle Sue
mani. Non era nato umano per poi essere trasformato dal veleno instillato nei loro corpi. Gli Immortali erano scelti dalla Pura, ma solo
Lucio era suo. Lucio portava rispetto a sua «madre», mentre Keltor la
considerava per lo più una meretrice per non avergli permesso di
morire e di andare nell’aldilà con la sua famiglia.
Respirò profondamente, la stanza profumava di olio all’arancia
utilizzato per pulire le numerose superfici di legno. Camminando
verso gli scaffali allungò il braccio e fece passare il dito sulle antiche
rilegature. L’amico aveva accumulato una collezione di libri che erano unici al mondo. Tutti gli esseri di ombra che avevano combattuto
si trovavano in quei tomi, creature che non erano state avvistate per
decadi o addirittura secoli grazie ai Guardiani.
Avvertì una brezza sulla guancia e si girò velocemente, le labbra piegate in quello che era il suo miglior tentativo di un sorriso. «Fratello.»
Il viso di Lucio era raggiante mentre lo abbracciava. L’Immortale
era senza difetti, sia dentro che fuori. Capelli di seta gli scendevano
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sulle spalle e i suoi occhi erano blu ghiaccio. C’erano forza e grazia in
ogni cosa che faceva, incluso seminare la morte tra le Ombre. Non
c’era da meravigliarsi che fosse lui a guidarli. Era ancora capace di
provare sentimenti, pur avendo visto più di tutti loro.
Un sorriso che mostrava denti perfettamente bianchi lo salutò.
«Keltor, come stai fratello?» La voce profonda risuonò nella stanza.
«Mi hai chiamato, Lucio? Cosa c’è stavolta? Ti prego, dimmi che è
un dannato Bianco», borbottò, stringendo l’altro in un vigoroso abbraccio. «Devo tornare al più presto sul campo: sto perdendo la testa
a giocare con questi piccoli demoni vaganti.»
Una risata bassa increspò la stanza. «Temo che ancora non se ne
vedano ma sarai tu a ricevere l’incarico di dar loro la caccia, hai la
mia parola. Questo è uno strano susseguirsi di eventi, ma sento che
tu sei l’unico a cui rivolgersi, a causa del tuo particolare… distacco.»
Si diresse verso il recipiente della frutta sul tavolo, prese alcune fragole e le portò alla bocca.
Le sopracciglia di Keltor si alzarono per la curiosità, ma rimase in
silenzio mentre aspettava gli ordini.
«Be’, sarà più semplice mostrartelo, naturalmente. Sembra che ci
sia un altro Custode al mondo, ma lei non sa di esserlo.»
La sua mente cominciò a girare. «Lei? Ma Lucio… come?»
Scuotendo la testa di rimando, l’altro lo guardò solennemente.
«Non sappiamo come abbia potuto restare fuori dal radar così a lungo e senza preparazione, è anche difficile comprendere come non
l’abbiano già catturata. E per quanto concerne il fatto che sia una lei,
non sappiamo neanche come sia potuto succedere. L’adorata mamma dice di non saperne niente.»
Keltor inspirò forte e incrociò le braccia sul petto nel suo solito atteggiamento di sfida. «E cosa vuoi che faccia con questa
informazione? Un Custode bambino non è di mia competenza.»
«Per ora proteggila; gli altri acclamati fratelli non riescono a resisterle. Poi trovale un insegnante, cosicché potrà difendersi da sola.»
Osservò il capo con sdegno evidente. «Vuoi che faccia da baby sitter? Sicuramente c’è qualcuno più adatto di me. Sono un cacciatore
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non un guardiano di bambine mortali. Che ne pensi di Dericho? O
di Thaelin? Anche il nostro giovane Tress potrebbe andare bene per
gestire la faccenda.»
«No», disse l’altro, scuotendo la testa. «Non posso affidarla a loro.
Sono tutti bravi ragazzi, ma probabilmente lei si opporrà e avrà bisogno di qualche… metodo non ortodosso che le permetta di capire. I
suoi poteri sono forti e tu sei l’unico che non cadrà sotto la loro influenza, ne sono sicuro. Ho bisogno di un antico: tu conosci il prezzo
di un Custode che cade nelle tenebre.»
Sebbene il petto di Keltor restasse saldo, le sue spalle si abbassarono in segno di disfatta. Non era passato molto tempo da quando il
suo stesso mentore era caduto nell’Ombra perché un Custode era
stato perso. Lanciò sottovoce maledizioni nella loro antica lingua:
non voleva perdere un altro amico a causa dei bastardi dell’altra parte. «Sì, il prezzo è alto. Ma, tanto per essere chiari, non ti aspettare
da me calore e comprensione per la ragazza. Non ho abbastanza pazienza per sopportare i piagnistei semmai ne avessi avuta. E la vita in
cui sarei potuto essere diverso è finita ormai. Farebbe meglio a
trovarsi un insegnante presto, Luc.» Si girò a guardarlo. «Dov’è
dunque la giovane mortale?»
«Vieni, libereremo Thaelin dal ruolo di sentinella e te la mostrerò.
Ma Kelt, non è così giovane; questo è un altro dei motivi per cui dovrai occupartene tu stesso.»
Lucio si dematerializzò prima che Keltor gli potesse chiedere cosa
diavolo intendesse.
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Proteggila
Liz aprì lentamente gli occhi, il suono delle onde che si infrangevano
era sempre più intenso, al punto da destarla dai suoi sogni. Stese le
braccia e premette il bottone per spegnere la sveglia più dolce che
avesse mai udito. Per un attimo si concesse di sorridere per il sogno
che aveva appena fatto. Un uomo meraviglioso, uscito direttamente
dalla copertina di uno dei romanzi della sua libreria, con gli occhi
che sembravano usciti dall’oceano, sedeva sull’orlo della sua coscienza, supplicandola di tornare. Lei gemette, ricordando la massa di
muscoli che le aveva mostrato.
Sospirò e si alzò dal letto. Se solo uomini del genere fossero davvero esistiti e avessero amato donne minute con corpi sinuosi e grandi
occhi a mandorla. Gli occhi erano l’unica parte di sé che lei amava
veramente. Il nocciola delle iridi era quasi color dell’oro con punte di
verde. Spesso le veniva chiesto se indossasse lenti a contatto. I capelli
non erano poi così male, ma li trovava insignificanti. Erano di colore
castano chiaro, con riflessi rossi e dorati al sole. Usando del succo di
limone in estate aveva ottenuto delle meches permanenti senza andare dal parrucchiere. Erano lunghi e aggrovigliati, ma risolveva il
problema tenendoli raccolti in una coda di cavallo per la maggior
parte del tempo. Oh, e quei maschi da sogno avrebbero dovuto anche amare una ragazza che indossava infradito e bermuda piuttosto
che abiti e tacchi alti.
Giusto.
Camminando lentamente vero il bagno, raggiunse il lavandino,
aprì il rubinetto e si bagnò il viso. Strofinando via il sonno dagli occhi e asciugandosi, andò in cucina. Mise l’acqua sul fuoco e prese
una mela dal frigorifero. Guardò fuori dalla finestra mentre metteva
il tè aromatizzato nella teiera e ammirò il giardino sul retro. Non aveva tutto lo spazio che avrebbe desiderato, ma aveva fatto del suo
meglio con ciò che aveva. Nell’angolo in fondo c’era un piccolo
stagno che ospitava le carpe Koi e una vecchia panca di legno trovata
al mercatino. I suoi orticelli rialzati producevano erbe e verdure
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gustose anche così vicino alla città. Piante di gelsomino oltrepassavano la recinzione e, malgrado la stagione della fioritura fosse breve,
nella stagione primaverile poteva stare per ore lì a respirare il loro delicato profumo mentre scriveva. Nei momenti di maggiore calura,
avvertiva l’intenso desiderio di avere una piscina. Sperava che con le
vendite del prossimo romanzo avrebbe potuto comprare una casa
nuova. Una abbastanza grande per una piscina e un giardino. Tenendo conto della difficile situazione economica, lei non aveva ritenuto
saggio vendere la sua abitazione. Ne avrebbe ricavato poco,
malgrado le ristrutturazioni.
Il fischio del bollitore riportò i suoi pensieri alla cucina. Sollevò il
metallo urlante dalla fiamma e versò l’acqua bollente sul tè sfuso. Per
un momento lasciò che la mente indugiasse sul sogno della notte
passata. Mise un po’ di miele nella teiera fumante e si sedette al piccolo tavolo per rilassarsi. Era un altro pezzo di mobilio acquistato al
mercatino dell’usato, ma lei amava il vero legno, anche con tutte le
intaccature e imperfezioni. Non si trovavano più oggetti del genere.
Anche dal più importante rivenditore si trovava lo stesso materiale
pressato di scarsa qualità: spazzatura truciolata.
Soffiando sul vapore bollente, portò il bicchiere alle labbra e sentì
il fumo salire alla prima sorsata. Abbandonato il caffè per ciò che le
faceva allo stomaco, aveva imparato a sentirsi altrettanto rinvigorita
dagli infusi; ora era diventata una tè-dipendente. Verde, alle erbe e ai
fiori bianchi che ben si abbinava al servizio di vetro. Possedeva una
grande teiera Bodum ma, da quando era rimasta sola, le sembrava ridicolo usarla. E anche quando c’era MJ a dire il vero: lui non avrebbe
mai toccato il tè. «È una bevanda da donne», avrebbe detto.
Senza fermarsi a rimuginare sul suo ex fidanzato un minuto di
più, vagò fino alla stanza da letto per vestirsi. Aveva delle cose da fare
quel giorno, tra le quali magari anche scrivere. Chi avrebbe mai pensato che una donna con tante cose da dire sarebbe rimasta senza
parole? I soldi cominciavano a scarseggiare: se non avesse trovato
una soluzione, il suo agente l’avrebbe scaricata e si sarebbe dovuta
trovare un lavoro vero. Rabbrividì al solo pensiero. I diritti non erano
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più pagati come un tempo e le idee non arrivavano. Forse, se fosse
uscita, avrebbe tratto ispirazione per i suoi personaggi osservando la
gente comune.
Aprendo l’ampio e lussuoso armadio che si trovava in una camera
altrimenti mediocre, diede uno sguardo ai vestiti di cotone, di lino e
ai pantaloncini appesi. Sul fondo c’erano ombre di grigio e nero e
qualche accenno di rosso per le occasioni più importanti, ma li indossava raramente. A dominare erano più che altro tonalità color
terra e abiti casual. Nessun Pulitzer sarebbe stato accettato vestito
così, ma erano dannatamente comodi.
Trovò un semplice abito giallo che aderiva al seno, legato dietro al
collo e largo sui fianchi. Sorrise compiaciuta. MJ poteva non apprezzare il suo gusto in fatto di vestiario, mai abbastanza sofisticato, ma
lei in quel modo si sentiva una dea. Non c’era niente che la facesse
sentire così libera come un abito del genere in una mattina di primavera. I pantaloncini avrebbero aspettato l’indomani. Trovò un paio di
infradito di una tonalità spaventosamente vicina al giallo con dei sensuali laccetti intorno ai polpacci. Sì, sarebbero calzati a pennello.
Liz si tirò fuori dalla vestaglia dopo un’ultima stiracchiatina e un
sorso di tè, ed entrò nella bellezza di quel vestito di cotone. Sorrise e
si diresse verso il bagno dove si applicò un idratante solare, si lavò i
denti e si pettinò. Non era una di quelle donne che si truccavano
molto e la maggior parte dei giorni usava solo fondotinta e lucidalabbra. Un giorno avrebbe dovuto lavorarci su, ma non ancora. Il
gremlin dell’età non le aveva ancora fatto visita, con le sue brutte piccole rughe e i capelli grigi. Oh, sarebbe arrivato abbastanza presto,
ma lei non voleva affrettarlo con un sovradosaggio di trucchi. Inoltre
non stava cercando di impressionare nessuno. Erano circa sei mesi
che MJ era uscito dalla sua vita. Erano solo lei, la sua piccola casa e il
suo giardino. E i discorsi saltuari del suo agente che cercava di spronarla a terminare l’ultimo romanzo. Il parco dove si recava nei momenti in cui non riusciva a scrivere aveva dei sentieri nascosti e,
quando si stancava di stare ferma a osservare gli altri, se la svignava
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percorrendone uno a caso per provare la sensazione di perdersi tra la
foresta, senza smarrirsi veramente.
Il suo rituale mattutino era quasi completo, mise la colonna sonora
de Il Gladiatore e sorseggiò il resto del tè di fronte al laptop.
L’orrore nei suoi occhi si rifletteva nel vetro vacillante mentre restava inerte, incapace di comprendere ciò che accadeva. L’oscurità
incipiente nelle sue iridi iniziò a dilagare fintanto che ci fu solo una
fangosa pozza di mezzanotte dove una volta c’era il blu.
Liz guardava le righe e non riusciva ad andare avanti. Era uno
schifo e lei lo sapeva. Tre mesi e niente più di questo affiorava dagli
oscuri recessi della sua mente. Aveva appena trentacinque anni ma
sembrava che la sua vita da autrice fosse terminata. Si strofinò gli occhi con il pollice e l’indice. Durava così tanto il blocco degli scrittori?
Stephen King si era mai seduto davanti allo schermo con l’assoluta
accettazione che niente sarebbe andato a riempire il bianco circostante? No, probabilmente non lo aveva mai fatto. Non che lei fosse a
quel livello, tanto per cominciare.
Si alzò sospirando profondamente, portò il recipiente in cucina e
lo posò sul ripiano. L’aria fresca l’avrebbe aiutata. Sciacquò la teiera
con una spugna marina e la ripose sullo scolapiatti. C’era una piccola
lavastoviglie vicino al lavandino, ma la usava raramente. Con una
sola persona da sfamare non vedeva il senso di aspettare che fosse
piena per utilizzarla.
Determinata a modificare la sua prospettiva sulla situazione attuale, afferrò le chiavi e andò alla porta d’ingresso. Un nuovo
atteggiamento era forse ciò che le serviva. Ogni giornata acquista valore per ciò che ne facciamo, dopotutto. O qualche stronzata del
genere. Si diresse verso l’automobile senza neanche dare uno
sguardo al placido vicinato.
In quel momento, se fosse stata allenata a riconoscere le sottili variazioni d’energia attorno a lei, avrebbe notato un uomo di grossa
stazza appostato sotto l’albero di kumquat nel cortile. Lo sconosciuto
aveva occhi grigi come l’acciaio che non la lasciavano mai, seguendo
i suoi movimenti sia dentro che fuori la casa.
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