Comunicazione - Audiomedical Pistoia

Transcript

Comunicazione - Audiomedical Pistoia
Supplemento al numero 12 della rivista “L’Audioprotesista”, rivista tecnoco-scientifica dell’udito - Aut. Trib. Pescara nr. 12 maggio 2007 - Sped. in abb. postale art. 2 comma 20/B legge 662/96
Antonio Frintino
Giuliano Giuntoli
Comunicazione
e qualità della vita
Ricerca-pilota
su aspetti psicologici e sociali
della comunicazione-relazione
nelle persone con protesi
per difficoltà uditive
Introduzione di
Paolo Pagnini
Contributo di
Gilberto Ballerini
Racconto di
Giuseppe Bruni
Comunicazione
e qualità della vita
Comunicazione e qualità della vita
Ricerca-pilota su aspetti psicologici e sociali
della comunicazione-relazione nelle persone
con protesi per difficoltà uditive
Antonio Frintino
Giuliano Giuntoli
Equipe scientifica: Antonio Frintino,
Giuliano Giuntoli, Marco Mariani
Conduzione colloqui: Gilberto Ballerini
Rilevazione dati: Diletta Arzilli,
Gilberto Ballerini, Elena Bernardini,
Paolo Cianferoni, Marina Lastrucci,
Francesca Masi, Elena Sardi
Trasferimento dati su supporto informatico:
Francesca Masi
Elaborazione dati e realizzazione figure
e tabelle: Fabrizio Fagni, Diletta Arzilli
Analisi di contenuto dei colloqui:
Antonio Frintino
Analisi dei dati: Antonio Frintino,
Giuliano Giuntoli
Direttore editoriale:
Mauro Menzietti
Redazione:
Virginia Gigante
Progetto grafico e impaginazione:
Lara D’Onofrio
Foto di copertina:
Antonio Frintino
Disegni: Bac
© copyright 2007 AUDIOMEDICAL PISTOIA
Si ringrazia il Dr. Franco Cappellini
per la sua relazione svolta presso
la Casa dell’Anziano di Pistoia
in occasione della somministrazione dei questionari.
indice
indice
Introduzione
(Prof. Paolo Pagnini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Premessa
(Gilberto Ballerini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
parte prima
1.
La tecnologia e l’attenzione alla persona nella ricerca
e nella realizzazione degli apparecchi acustici
(ing. Umberto Cotrona) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.
Audioprotesista: una professione di relazioni
(Gilberto Ballerini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
parte seconda
3.
La ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
3.1
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
3.2
3.2.1
3.2.2
3.2.3
3.2.4
Aspetti metodologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
Obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
MetodI e tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Estensione della ricerca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
Elaborazione dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
3.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
3.3.1 La protesizzazione: testimonianze sulla qualità della vita
(G. Ballerini, A. Frintino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
3.3.2 La comunicazione-relazione: indagine psicosociale
(A. Frintino, G. Giuntoli). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.4
Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
parte terza
Francesca e gli amici
(Racconto di Giuseppe Bruni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
Appendice • tabelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
Introduzione
Paolo Pagnini
Ho letto con interesse, ma soprattutto con grande piacere, questa
ricerca-pilota sulla sofferenza e sul disagio delle persone sorde;
Antonio Frintino e Giuliano Giuntoli sono riusciti ad abbinare rigore scientifico e lettura piacevole, cosa non facile da raggiungere
soprattutto in una ricerca.
Sono grato agli Autori anche perché la lettura del loro saggio ha
fatto riaffiorare nella mia memoria una moltitudine di soggetti sordi
(che hanno popolato gli oltre trenta anni della mia attività professionale) con tutte le loro innumerevoli difficoltà sociali e le loro infinite sfaccettature psicologiche.
Mi è tornata alla mente una distinta signora fiorentina che,
dopo aver recuperato chirurgicamente l’udito, mi dedicò una poesia
(“mi sembra di possedere / una parte di infinito / quell’infinito /
quell’ordine ben preciso / che è amore e vita / è anche Udito”) nella
quale scriveva udito con la “U” maiuscola. Mi sono ricordato del
livornese che, tornato nel mondo degli udenti, mi raccontava con
voce rotta dalla commozione, della felicità provata il giorno che ha
riaperto il suo studio di commercialista, ormai chiuso da due anni
per le sue insuperabili difficoltà di comunicazione. È riaffiorata alla
memoria anche la dolce nonna romagnola, che si era lasciata convincere ad un atto chirurgico solo dalla nascita della nipotina, nata un
anno prima e della quale non era riuscita ancora a sentire la voce.
Mi ricordo ancora la delicata figura di una suora che, diventata
prima cieca e poi sorda, dopo aver recuperato l’udito ad un orecchio,
mi disse “professore, non cambierei questo orecchio che ci sente con un
occhio che ci vedesse” (mi pento solo di aver represso le lacrime per
orgoglio professionale); questo ultimo episodio non mi meraviglia dal
6
Introduzione
momento che la cecità allontana dalle cose ma la sordità allontana
dalle persone.
Sono comunque grato agli Autori per aver scritto sull’handicap
della sordità, tanto diffuso e tanto sottostimato. Spesso sono le cose
apparentemente più sciocche che meglio indicano la scarsa sensibilità di una comunità verso un handicap: così l’esperto nota che i mezzi
di soccorso hanno sirene centrate sui toni acuti laddove la maggior
parte dei sordi ha un deficit prevalente proprio sui toni acuti; che
nelle banche, negli uffici e alle poste, il debole di udito trova impiegati barricati dietro ad un vetro che peggiora ulteriormente la sua
difficoltà di comprensione; che nelle fabbriche e nei laboratori artigianali ad alta rumorosità esistono cuffie protettive attaccate ai chiodi e non agli orecchi degli operai; e qui mi fermo ma, credetemi,
potrei continuare a lungo.
Grazie pertanto, Antonio e Giuliano, e grazie a chiunque vorrà
scrivere con competenza sulla sordità.
Vostro, Paolo Pagnini
Professore Ordinario di Audiologia
Università degli Studi di Firenze
Premessa
Gilberto Ballerini*
Sulla base di un’esperienza lavorativa di circa 25 anni nel settore
audioprotesico, ho avvertito la necessità di approfondire le conoscenze sulle problematiche relative alla comunicazione nelle persone con difficoltà uditive portatrici di protesi acustica, con particolare riferimento agli aspetti psicologici e sociali. Per fare questo mi sono avvalso della competenza, della professionalità e della
disponibilità di Antonio Frintino e di Giuliano Giuntoli.
Le difficoltà che molti deboli di udito incontrano nella
comunicazione sono dovute spesso a pregiudizi che hanno determinato nel tempo un vero e proprio “falso culturale” di cui ancora oggi esistono tracce nel vissuto quotidiano.
Pensare all’ipoacusico come ad una persona inevitabilmente
colpita da ritardo mentale è un pregiudizio abbastanza frequente,
così come, nelle sordità profonde, ritenere la persona sorda affetta da problemi all’apparato vocale.
Naturalmente il pregiudizio - quando presente - si fa più
forte con l’aumentare delle difficoltà di comunicazione dell’interlocutore e, per questo motivo, può manifestarsi con tutta la sua
forza nei casi di ipoacusie gravi e profonde.
Questo non significa però che il debole di udito affetto da
ipoacusia lieve o media ne sia completamente immune.
Nonostante l’evoluzione della tecnologia nel settore audioprotesico abbia alleviato notevolmente il peso della disabilità uditiva e contribuito, unitamente alla corretta informazione, a defini-
*Tecnico audioprotesista
8
Premessa
re in maniera più appropriata le caratteristiche dell’handicap conseguente, permane in molti soggetti ipoacusici, anche protesizzati,
la convinzione di non riuscire a comunicare “correttamente”.
Convinzione che, nei casi più gravi, specialmente se a tarda
insorgenza e comunque non correttamente trattati, può essere
associata a sensazioni di forte disagio nei rapporti con gli altri e
ad una alterata percezione di se stessi.
Un quadro, questo, che può degenerare in frequenti frustrazioni e atteggiamenti di rinuncia.
L’ipoacusico che, dopo la necessaria accettazione del deficit,
decide di avvalersi della tecnologia protesica per cercare di risolvere il problema della sua diminuita sensibilità uditiva, può
migliorare sensibilmente la propria risposta fisiologica agli stimoli acustici, ma non può evitare di confrontarsi con nuove modalità di partecipazione alla realtà quotidiana.
Nel caso di soggetti protesizzati è infatti molto frequente quasi istintivo - mettere in relazione la capacità di comunicare alla
qualità dell’intervento protesico.
Indubbiamente, la qualità della protesi e le caratteristiche
tecnico-applicative sono di fondamentale importanza ai fini del
recupero della sensibilità uditiva, ma determinante è riuscire a
considerare questi aspetti nell’ambito di un progetto di aiuto alla
persona.
In questo senso, può essere opportuno definire meglio il
concetto di qualità dell’intervento protesico e di comunicazione.
Per quanto attiene al successo di un’applicazione protesica, è
importante ricordare che agli inizi degli anni’80, era considerato
“venduto bene” l’apparecchio che non faceva sobbalzare l’ipoacusico in presenza di rumori esterni troppo spesso percepiti come
“forti”.
Il fatto di non riuscire, nella maggior parte delle sordità
determinate da patologia dell’orecchio interno, ad avere un beneficio accettabile in termini di intelleggibilità del messaggio vocale, era considerato un limite invalicabile insito allo strumento.
In quegli anni, l’audioprotesista si sentiva pienamente legittimato nella sua funzione solo quando doveva correggere ipoacusie di tipo trasmissivo.
Premessa
In quei casi, essendo il danno di natura esclusivamente meccanica e di pertinenza dell’orecchio medio, la semplice amplificazione di un apparecchio acustico era sufficiente, se ben calcolati i
valori di guadagno prescritto, a ripristinare la funzione uditiva.
Anche se la prevalenza di questo tipo di perdita uditiva era
molto inferiore (come lo è oggi) alle altre forme di ipoacusia, il
numero di casi da protesizzare era comunque importante per il
fatto che la microchirurgia dell’orecchio, e in particolare la stapedectomia nell’otosclerosi, non era molto praticata.
Nelle ipoacusie di tipo misto, dove cioè l’orecchio interno è
danneggiato, ma è presente una forte componente trasmissiva,
l’uso della protesi acustica garantiva una buona condizione di
ascolto.
In quel periodo, la cultura audioprotesica e le possibilità
operative sul piano tecnico-applicativo erano limitate (l’audioprotesista non aveva una sua dignità professionale, la protesi acustica era vista con diffidenza nell’immaginario collettivo e dalla
maggior parte dei medici, e scarse erano le possibilità di intervento sullo strumento). Per tale motivo la decisione di fare ricorso o
meno alla protesi assumeva molto spesso gli unici connotati della
trattativa commerciale.
Con il risultato di un mercato che non decollava a fronte di
un rilevante bisogno da soddisfare e conseguente frustrazione dei
possibili fruitori.
Da qui, l’esigenza di una ridefinizione dei ruoli e delle competenze, dei comportamenti, di una più attenta destinazione delle
risorse disponibili e di una maggiore attenzione alla ricerca.
Grazie all’evoluzione tecnologica, è stato possibile dotare
l’audioprotesista di strumenti operativi idonei a veicolare le conoscenze - acquisite dalla letteratura scientifica e dai centri ricerche
delle aziende produttrici - nei processi di adattamento finalizzati
a migliorare la qualità dell’intervento protesico inteso come aiuto
alla persona nella vita quotidiana.
Quando parliamo di qualità dell’intervento protesico, è
doveroso quindi non dimenticare il necessario ed inevitabile
richiamo al concetto di riabilitazione che ci induce a prendere in
esame gli aspetti psicologici e sociali.
9
10
Premessa
L’informatizzazione dei sistemi di adattamento ha consentito all’audioprotesista di poter disporre in tempi brevissimi delle
opzioni relative alle sue conoscenze attraverso il computer, e di
poter dedicare tutta l’attenzione possibile alla persona, nella consapevolezza che la percezione del beneficio è assolutamente individuale e che aiutare a comunicare significa dare la possibilità ad
ognuno di riuscire ad interagire nella sua specifica realtà.
In questo senso, nel mettere a fuoco il concetto di comunicazione, vale la pena ricordare che “…l’uomo è più importante
delle sue orecchie” che “gli specialisti dell’udito e del linguaggio
si ritengono obbligati a trattare globalmente la persona” e che “la
persona riabilitata deve imparare a divenire, non una persona
handicappata che viaggia sola, dipendente e frustrata, ma una
persona che porta una protesi acustica... e che è efficiente economicamente e socialmente nei limiti delle potenzialità come qualsiasi altro uomo” (Gaeth, 1979).
Per questo motivo, negli ultimi anni sono stati molto valorizzati l’approccio e la preparazione all’uso della protesi e sono
state messe a punto tecniche di verifica protesica che si basano
sulla compilazione congiunta, dell’assistito e dell’audioprotesista,
di appositi questionari dove l’ipoacusico esprime una valutazione
assolutamente individuale del beneficio ottenuto dall’uso della
protesi acustica nelle varie situazioni di ascolto rispetto ad obiettivi preventivamente concordati.
Data l’importanza della variabile personalità nel processo di
adattamento all’uso della protesi acustica, ho avvertito la necessità di conoscere più approfonditamente - secondo metodiche
scientificamente fondate - le dinamiche psicologiche, sociali ed
ambientali che caratterizzano la dimensione comunicativa delle
persone ipoacusiche che seguo da anni, relazionandole al tipo di
perdita uditiva e al grado di soddisfazione raggiunto.
È in quest’ottica che Audiomedical Pistoia ha commissionato la presente indagine ad Antonio Frintino e Giuliano Giuntoli,
da molti anni impegnati nell’ambito della ricerca sociale.
1
parte prima
1
parte prima
1
capitolo primo
1. La tecnologia e l’attenzione alla persona
nella ricerca e nella realizzazione
degli apparecchi acustici
Umberto Cotrona*
Quello che gli apparecchi acustici sono in grado di fare dipende dalla potenza del
loro chip digitale e dai motivi ed obiettivi per cui i dati vengono elaborati. Gli obiettivi, determinati dalla conoscenza dei meccanismi dell’udito e della comunicazione,
costituiscono la componente “audiologica” degli apparecchi acustici e ne fondano
l’anima.
Il legame fra potenza di calcolo e anima audiologica è simbiotico. La potenza di calcolo asseconda e soddisfa sia le istanze attuali di risoluzione dei problemi delle difficoltà uditive, caratterizzati da intrinseca complessità, sia quelle che la loro progressiva, migliore comprensione propone continuativamente. Si intuisce come per un produttore di apparecchi acustici sia inderogabile la necessità di progredire in parallelo,
sul piano strettamente tecnologico della microelettronica e su quello della competenza audiologica. Entrambi richiedono investimenti in conoscenza, questo è il motivo
per cui la percentuale delle risorse economiche investite in ricerca dai maggiori produttori di apparecchi acustici è più alta di quella di altri settori della microelettronica ad alto tasso di innovazione come, ad esempio, le comunicazioni satellitari.
La necessità di investire in ricerca e sviluppo è inderogabile, è cioè un costo non
comprimibile da parte delle grandi aziende produttrici, pena la loro stessa sopravvivenza. Questo spiega la tendenza alla riduzione del numero di aziende produttrici
mondiali con un continuo processo di consolidamento. Negli ultimi venti anni que*Ingegnere, direttore Oticon Italia
14 parte prima
capitolo primo
sto processo ha portato a restringere il numero delle principali aziende globali del
settore audioprotesico a cinque, quattro delle quali hanno base in Europa.
È stato l’avvento della tecnologia digitale negli apparecchi acustici, avvenuta nel
1996, a consentire progressivamente di allineare le complesse esigenze dettate dalle
difficoltà di udito alle soluzioni.
Delle componenti motivazionali, dello stile di vita e del profilo individuale si è
incominciato a tenere conto, non solo nell’architettura elettronica dell’apparecchio
acustico, ma anche nel suo software di adattamento dedicato, dal 2001.
Nel 2001 per la prima volta nell’adattamento si tiene conto dello stile di vita dell’utente, inteso come variabilità del livello di suono e ricchezza e numerosità degli
ambienti acustici e della sua età, per programmare conseguentemente gli apparecchi acustici che così, a parità di audiogramma, hanno una diversa regolazione che
rispecchia l’utente individualmente.
Nel 2004 per la prima volta si introduce il concetto di “identità” dell’utente, concetto che valuta la sua responsività, volontà e grado di accettazione, di adattamento ai cambiamenti automatici dettati dai processori ad intelligenza artificiale in
risposta alla variazione degli ambienti e degli input acustici.
Infine nel 2006 per la prima volta viene introdotto il concetto di “design”. Questa
variabile, l’aspetto degli apparecchi acustici, che afferisce al mondo emozionale e
motivazionale, è di grande impatto ed efficacia nell’agevolarne l’accettazione e l’utilizzo.
Sebbene oggi siano disponibili apparecchi acustici che inglobano lo stile di vita, le
capacità cognitive, la responsività alle variazioni, la dimensione design, e che supportati da chip ultrapotenti, gestiscono in tempo reale e in modo totalmente automatico le variabili ambientali, l’opportunità di migliorare la qualità di vita degli
audiolesi richiede un approccio multivariabile.
La tecnologia elettronica e l’implementazione di software di adattamento che tengano conto di variabili individuali, non solo audiometriche, sono due di esse. La
conoscenza e la sensibilità da parte dell’audioprotesista alle componenti non uditive dell’individuo ne costituiscono una componente irrinunciabile.
Anche altre variabili influiscono sulle motivazioni e sul comportamento, tra queste
l’aspetto, l’ubicazione, l’accoglienza dei centri audioprotesici, l’accesso, attraverso
tutti i canali, ad informazioni sulle difficoltà di udito e sulle soluzioni, l’attitudine
della classe medica specialistica ad un precoce intervento ed il conseguente incoraggiamento nei confronti dell’audioleso ad agire in modo proattivo per affrontare e
risolvere le sue difficoltà di udito.
La sfida è capire che l’adattamento degli apparecchi acustici è un processo multivariabile, in cui i benefici della componente tecnologica sono modulati da una componente umana che ingloba in sé tanto l’utente audioleso quanto i professionisti
dell’udito che lo assistono.
In altre parole gli apparecchi acustici aiutano persone, non orecchie.
1
parte prima
2
capitolo secondo
2. Audioprotesista:
una professione di relazioni
Gilberto Ballerini*
Da sempre l’uomo si è trovato a doversi relazionare con le conoscenze che ha acquisito e che è riuscito a rendere fruibili nel vivere quotidiano.
Negli ultimi decenni sono state messe a punto innumerevoli applicazioni delle scoperte scientifiche e molte di queste hanno determinato un nuovo modo di comunicare.
Viviamo oggi un momento storico in cui l’uomo si trova a confrontarsi con le proprie creazioni che, nel caso dell’elettronica, sono sempre più raffinate, capaci di elaborare in tempo reale milioni di dati e di trasferire in frazioni di secondo una enorme quantità di informazioni.
Destinatario, non sempre per scelta, di una infinità di sollecitazioni in ogni ambito
di interesse del vivere condiviso, l’uomo di oggi si sente chiamato a riappropriarsi
dei propri tempi e dei propri spazi, nel tentativo di restituire piena legittimità ai suoi
bisogni quotidiani.
Tra questi, essendo l’uomo un animale sociale, la necessità di comunicare è insita
nel concetto di sopravvivenza. Pur considerando la molteplicità e l’importanza delle
varie modalità di comunicazione, quella verbale attraverso il linguaggio ha consentito all’uomo di confrontarsi con i suoi simili e di acquisire maggiori conoscenze da
utilizzare per migliorare la qualità della vita della specie.
I presupposti su cui si fonda la comunicazione verbale sono senz’altro il riconoscimento di sé e dell’altro nella reciproca disponibilità a misurarsi con la diversità, la
*Tecnico audioprotesista
16 parte prima
capitolo secondo
ricerca di un linguaggio anche non verbale condiviso, la corretta attribuzione di
significato alle parole, la disponibilità a partecipare l’altro attraverso l’ascolto attivo
e, naturalmente, la capacità di percezione dello stimolo vocale normalmente assicurata dal sistema uditivo.
Per soddisfare questo bisogno, il debole di udito, verificata l’impossibilità di trarre
un beneficio dall’intervento del medico, ha da sempre cercato di utilizzare correttamente gli strumenti al momento disponibili. E per farlo ha sempre avuto necessità
di svelare il suo problema ad una persona che lo aiutasse. Questa persona è l’audioprotesista.
L’audioprotesista nasce come una professione che, intimamente legata alla tecnologia, si propone di porre rimedio al problema della sordità attraverso l’uso corretto
di appositi dispositivi. Oggi l’audioprotesista dispone di conoscenze e strumenti
operativi che gli permettono di aggiungere valore alla qualità della vita del debole
di udito attraverso interventi sulla protesi mirati ad personam con un buon grado di
precisione.
Ma, affinchè la tecnologia venga loro in aiuto, il debole di udito e l’audioprotesista
sono impegnati a collaborare in un percorso verso il raggiungimento degli obiettivi
che sono stati preventivamente e realisticamente concordati.
Una delle condizioni richieste per raggiungere questo primo importante obiettivo
di collaborazione reciproca tra l’ipoudente e l’audioprotesista, è senza dubbio la
ricerca di occasioni di empatia nella relazione, anche attraverso il riconoscimento
dell’altro come persona diversa da sé.
Le indicazioni offerte dalla letteratura scientifica e le esperienze professionali del vissuto quotidiano, confermate dalla presente ricerca, fanno emergere il dato secondo
cui il livello di beneficio e di conseguente soddisfazione percepito dal debole di
udito è maggiore se la stessa persona viene coinvolta responsabilmente nel graduale
processo di adattamento alla protesi.
Allo scopo di definire meglio i termini entro i quali prende forma la relazione tra il
debole di udito e l’audioprotesista, si è fatto ricorso negli ultimi anni, e sempre più
frequentemente, al concetto di counseling, espressione che deriva dal verbo latino
consulo-ere, “venire in aiuto, avere cura”.
La persona che eroga la prestazione di counseling è definita counselor. Il counselor è
“la figura professionale che attraverso le proprie conoscenze e competenze è in grado
di favorire la soluzione ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale ad
un individuo o ad un gruppo di individui” (S.I.Co.- Società Italiana di Counseling).
Definito l’ambito in cui viene esercitato il ruolo di tecnico audioprotesista (“…la
sua opera si esplica nell’area tecnico assistenziale”) può essere utile confrontarsi sulle
modalità di comunicazione che possono essere condivise per sostenere il progetto di
aiuto alla persona debole di udito.
Due sono gli aspetti del counseling che ritengo essere particolarmente importanti da
segnalare nella pratica audioprotesica.
capitolo secondo
parte prima 17
1) Nell’attività di counseling si ritiene che ogni individuo sia autonomo e che debba
essere sostenuto il concetto di responsabilità individuale. Da qui l’atteggiamento attivo, propositivo e stimolante la capacità di scelta da parte del professionista nei confronti del cliente.
2) L’attività professionale del counselor, pur non potendo prescindere da conoscenze in ambito psicologico, non deve essere confusa con quella dello psicologo: egli
infatti non fa terapia, non fa psicoterapia, non opera cure di alcun genere, non
somministra farmaci, non fa consulenza psicologica, non fa diagnosi.
Per quanto attiene alla consulenza, intesa come capacità di dare una soluzione ad un
quesito di ordine rigorosamente tecnico, l’audioprotesista, verificata la prescrizione
del medico specialista e valutata la motivazione a risolvere il problema uditivo da
parte dell’utente, dispone oggi delle conoscenze e degli strumenti operativi necessari
a farsi carico responsabilmente dell’intero processo di protesizzazione. Avendo cura
di non dimenticare che, nei casi in cui l’intervento riabilitativo assuma una particolare rilevanza, la collaborazione dei familiari e di altre figure professionali (audiologo, logopedista, pediatra, geriatra, psicologo) è sempre auspicabile, se non doverosa.
Il processo di adattamento alla protesi acustica si sviluppa in più occasioni di incontro con l’utente durante le quali l’audioprotesista confronta le informazioni da lui
percepite e i dati strumentalmente rilevati con le indicazioni soggettive riferite dal
debole di udito.
Senza addentrarsi nella letteratura audioprotesica, possiamo dire che il confronto
continuo di questi dati si protrae nelle varie fasi dell’adattamento: identificazione,
valutazione, fissazione degli obiettivi, selezione protesica, adattamento iniziale, verifica e regolazioni successive, indicazioni d’uso, miglioramento continuativo.
Considerato che il livello di soddisfazione percepito dall’utente è maggiore se la persona viene coinvolta responsabilmente nel processo di adattamento e che la quasi totalità degli audioprotesisti nell’esercizio della propria professione commercializza l’apparecchio acustico secondo le leggi di mercato, credo sia molto importante promuovere la cultura audioprotesica nei suoi valori fondanti e nelle conoscenze acquisite.
Allo stesso modo, ritengo fondamentale che sia sostenuta la crescita professionale
degli operatori, i quali, oltre ad aggiornare le proprie competenze specifiche, sono
chiamati a sviluppare la sensibilità e il buon senso necessari a relazionarsi responsabilmente con le persone che necessitano della loro opera per poter recuperare, per
quanto possibile, una qualità di vita accettabile.
Nella quotidianità della professione audioprotesica, sostenere le ragioni che favoriscono una migliore comunicazione può richiedere molto impegno da parte del professionista.
A questo proposito posso dire che, nonostante la lunga esperienza professionale, la
conduzione dei colloqui con persone che fanno uso di protesi acustica relativamen-
18 parte prima
capitolo secondo
te alla parte narrativa della presente ricerca, è stata per me molto faticosa, ma decisamente gratificante. È stata un’esperienza che mi ha dato l’opportunità di fare più
“mia” la percezione dell’importanza del ruolo che l’audioprotesista riveste nell’ambito del progetto di aiuto alla persona. E di avere più strumenti a disposizione per
riconoscere l’altro come persona diversa da me.
Scrivo di questo perché, come nel mio caso, molti colleghi audioprotesisti della mia
generazione che hanno intrapreso l’attività all’inizio degli anni’80, si sono confrontati per la prima volta con la professione in maniera del tutto casuale. Senza cioè
aver avuto la possibilità di progettare la propria vita attorno a valori fondanti e riconosciuti, tipici di altre figure professionali, ma semplicemente per motivi legati alle
opportunità lavorative del momento.
L’identità dell’audioprotesista è andata via via formandosi fino a raggiungere il riconoscimento professionale nel 1994 e successivamente il titolo universitario. Di questo l’audioprotesista non può mancare di essere grato all’Associazione che lo rappresenta e a tutti coloro che nel tempo hanno sostenuto più o meno visibilmente le
ragioni più vere della professione.
Una professione che, per la complessità delle problematiche relative alla percezione
uditiva, alla utilizzazione delle conoscenze acquisite e alla molteplicità delle variabili individuali, nessuno può sostenere di onorare quotidianamente avendone sempre
piena padronanza.
2
parte seconda
2
parte seconda
3.
3
capitolo terzo
La ricerca
A. Frintino - G. Giuntoli
3.1
Premessa
Gli aspetti medici della sordità - sotto il profilo sia diagnostico che terapeutico - presentano un’ampia letteratura scientifica (tra questi, Amiconi E., 1990; Courtois J.,
1989; fra i più recenti, AA.VV, 2002) e numerosi sono i contributi di ricerca mirati alla conoscenza delle condizioni tecniche e psicologiche ottimali per impostare
interventi capaci di migliorare la competenza comunicativa dei soggetti ipoudenti
(fra gli altri, Gomiero F., 2003; Badoer S., 2003).
Particolarmente numerosi risultano in questo ultimo ambito studi e ricerche che
indagano da moltissimi anni i problemi connessi alla sordità in età evolutiva, sia
nella fase pre-verbale che in quella post-verbale. (Bianchi di Castelbianco F., Di
Renzo M., Palermo M.T., Vichi P., 2002; Bianchi di Castelbianco F., Morgantini
F., Sommaruga L., Vichi P., 2002; Crisi A., 2002).
Indagati appaiono pure, seppure meno frequentemente rispetto alle persone adulte
e anziane, gli aspetti di natura psicologica e sociale connessi alla perdita dell’udito:
riscontri emersi da studi sulla riabilitazione dei soggetti sordi protesizzati (Amigoni
E., 1990) fanno riferimento anzitutto ad una condizione di angoscia che si esprime
in atteggiamenti di paura, ansia, disperazione e nella scelta di uno stile di vita caratterizzato dall’isolamento. Ulteriori sintomi che accompagnano la persona privata
della capacità uditiva vengono rappresentati in stati di sofferenza che insorgono per
la difficoltà di comunicare con i propri familiari. Naturalmente, atteggiamenti e
comportamenti sono in relazione alle caratteristiche di personalità dei singoli soggetti ipoudenti e vengono influenzati dalla qualità delle dinamiche che si instaurano con i normodotati.
La scelta terapeutica della protesi pone indubbiamente queste persone nella prospettiva di migliorare la qualità della propria vita: ma l’esito di questo processo che
22 parte seconda
capitolo terzo
dovrà condurre ad una nuova acquisizione delle proprie potenzialità comunicative
è legato ad una serie di condizioni che afferiscono ad aspetti di natura tecnica del
supporto protesico e ad altri specificamente correlati alla motivazione, alle attese,
alla capacità di adattamento delle singole persone. Circa le caratteristiche elettroacustiche che meglio possono rispondere alle singole esigenze le metodiche scientifiche consentono di ottimizzare le scelte per il miglior adattamento della protesi.
Al fine tuttavia di realizzare il progetto di riappropriazione delle capacità comunicative in termini uditivi ed espressivi assumono valenza assoluta gli aspetti psicologici, sociali ed ambientali, che vanno attentamente indagati, e ciò per quanto si riferisce alle fasi di pre-protesizzazione e di post-protesizzazione.
Nella prima fase il ruolo primario è svolto sicuramente dal medico specialista, che
dopo una serie di indagini diagnostiche prospetta al soggetto percorsi terapeutici
che possono includere anche l’uso di una protesi. L’eventuale decisione di seguire
questa strategia d’intervento chiama in causa un altro soggetto, l’audioprotesista
(Cimino I., 2003). Questo specialista partecipa in misura rilevante del processo di
adattamento del paziente alla nuova condizione di soggetto portatore di una protesi. L’adattamento, come è facilmente comprensibile, è di duplice natura, comportando aspetti puramente tecnici e motivi psicologici ed estetici. Questi due elementi concorrono a rendere più o meno agevole e soddisfacente il recupero della capacità comunicativa e il ruolo dell’audioprotesista può risultare sicuramente determinante sotto il profilo tecnico, e di grande aiuto per quanto attiene ad ogni altro
aspetto che afferisca alla sfera personale del soggetto cui è stata indicata la protesi
(Bonanno L., 2003).
È in tale contesto che nasce la presente ricerca-pilota, sollecitata da un tecnico audioprotesista che opera in questo delicato ambito sanitario da alcuni decenni e che ha
avvertito l’esigenza professionale di acquisire - secondo metodiche scientificamente
fondate - elementi conoscitivi sulle dinamiche psicologiche, sociali ed ambientali che
caratterizzano la dimensione comunicativa di persone ipoudenti che hanno scelto di
ricorrere ad una protesi e che lui segue fin dall’inizio nel loro processo di orientamento, scelta e adattamento alla condizione di soggetti con protesi acustica.
3.2 Aspetti metodologici
3.2.1 Obiettivi
Nel quadro della letteratura psicologica sull’ipoacusia/sordità, la presente ricercapilota si pone come obiettivi la rilevazione di abitudini, opinioni, atteggiamenti,
percezioni, relativamente a fondamentali aspetti dei rapporti interpersonali e dei
comportamenti quotidiani in persone adulte ed anziane ipoudenti portatrici di pro-
capitolo terzo
parte seconda 23
tesi acustica. In particolare, rappresentano aree d’indagine lo stile di vita, la qualità
della comunicazione sia in ambito familiare che nei contesti amicali e lavorativi, i
modelli espressivi di affettività ed emotività, la consapevolezza dell’autoefficacia in
ambito familiare, lavorativo, sociale.
Altri aspetti oggetto di indagine sono il senso di personale benessere in termini di
assenza di stress e di anomia, e la proiezione verso il futuro. Attenzione è stata posta
al processo decisionale che conduce alla scelta dell’uso di protesi acustica.
Sono state infine considerate alcune caratteristiche di personalità dei soggetti del
campione: il bisogno di associarsi ad altri, il bisogno di ricevere soccorso o aiuto,
l’adattamento.
3.2.2 Metodi e tecniche
La ricerca ha avuto uno svolgimento in due fasi e ha utilizzato il metodo qualitativo nella prima fase e il metodo scientifico classico nella seconda.
La prima fase è consistita nella conduzione di colloqui non strutturati e nella rielaborazione di materiale tratto da testimonianze di esperienze di vita che soggetti
ipoudenti con protesi hanno fornito al loro audioprotesista durante le periodiche
sedute per controlli tecnici.
In particolare, gli aspetti trattati facevano riferimento alla percezione di sé prima e
dopo la protesizzazione, al clima familiare da un punto di vista della comunicazione, ai rapporti con l’audioprotesista, al processo di adattamento tecnico ed estetico
del soggetto alla protesi acustica.
Sulla scorta delle indicazioni emerse dai colloqui e dall’analisi di contenuto sono
stati individuati gli strumenti per l’acquisizione di dati nella seconda fase. Il primo
era costituito da un questionario strutturato appositamente elaborato e già utilizzato per la conduzione di una precedente ricerca sugli aspetti psicosociali nella terza
età (Sirigatti S.; Frintino A.; Giuntoli G.,1990). Tale strumento ha consentito di
acquisire informazioni sulle attività cui i soggetti sono soliti dedicarsi, con particolare riferimento all’area ricreativa e dei rapporti interpersonali. Altri strumenti per
la raccolta di dati utili alla ricerca erano costituiti dai seguenti test:
1) OSI (Occupational Stress Indicator, di Cary L. Cooper, Stephen J. Sloan e Stephen
Williams, 1998; adattamento italiano a cura di S. Sirigatti e C. Stefanile, O.S.
Firenze) con cui sono stati rilevati aspetti connessi:
a) alla soddisfazione relativamente al tono dell’umore, al controllo delle emozioni, all’autostima psicologica, alla personale situazione economica, al proprio
ruolo familiare;
b) alla capacità di problem solving per quanto attiene a comportamenti in situazioni impreviste, alla capacità di far ricorso a molteplici soluzioni e di controlla-
24 parte seconda
capitolo terzo
re gli eventi ed i contesti entro cui questi si collocano;
c) all’autostima, come convincimento di possedere competenze, abilità nell’agire
e come soddisfazione di sé;
d) alla fiducia nei confronti delle istituzioni, verso il futuro, verso le persone su
cui si può contare;
e) ai sintomi: sonno, abitudini alimentari e sessuali, fumo di sigarette e consumo
di bevande alcoliche, presenza di particolari dolori;
f ) al locus of control, mirato all’ambito lavorativo e dunque rispetto ai dirigenti,
ai rapporti sociali, al successo nella carriera, al ruolo della fortuna e dell’impegno;
g) al coping, con riferimento alle strategie attivate per far fronte alle situazioni
stressanti, all’analisi e controllo delle emozioni, alla progettualità del proprio
futuro, al cercare sostegno negli altri, alla capacità di selezionare i problemi.
2) SAT-P (Soddisfazione soggettiva e qualità della vita, di Majani, G. e Callegari, S.,
2004 Erikson), con cui sono stati rilevati indicazioni su 32 aspetti della vita quotidiana dei soggetti del campione, riferite alla funzionalità psicologica e fisica, al lavoro, al sonno e all’alimentazione, al tempo libero ed alla funzionalità sociale.
3) A.C.L. (Adjective Check List, di Gough H.G., versione italiana di Gough G.H.,
Heilbrun J., A.B., Fioravanti M., 1980; O.S. Firenze). Questo test è stato utilizzato per la rilevazione di alcune peculiarità personali dei soggetti del campione: in particolare sono state utilizzate, come già detto, le scale che si riferiscono al bisogno di
associarsi (11) e di ricevere soccorso o aiuto (17), oltre che alla capacità di adattamento (23).
3.2.3 Estensione della ricerca
Per l’individuazione dei soggetti della ricerca è stato formato preliminarmente un
campione rappresentativo proporzionale - utilizzando le tabelle dei numeri casuali
- per classe di età di tutti i soggetti adulti protesizzati e seguiti dall’Audiomedical di
Pistoia.
Successivamente ai soggetti campionati è stata inviata una lettera nella quale era
illustrato il progetto di ricerca e li si invitava a un incontro nel corso del quale un
medico specializzato e il loro audioprotesista avrebbero tenuto una conversazione
sugli aspetti medici dell’ipoacusia e sui progressi nelle tecniche protesiche. Li si
informava inoltre che in quella occasione sarebbe stato chiesto loro di rispondere ad
una serie di domande presenti in un questionario appositamente costruito per la
ricerca. Per facilitare la partecipazione, di tali incontri ne furono organizzati tre in
capitolo terzo
parte seconda 25
altrettante zone della provincia.
Ai tre incontri furono registrate complessivamente 73 presenze di soggetti, suddivisi secondo sesso, età e tipologia di ipoacusia (mista, trasmissiva, percettiva) come
illustrato nelle figure 1, 2, 3.
Dai protocolli personali di tali soggetti si è riscontrato che la loro ipoacusia era classificata con un grado di perdita che va da lieve (16-25 dB), a severo (66-95 dB),
FIG.1 Distribuzione del campione in base al sesso
FIG.2 Distribuzione del campione in base all’età
26 parte seconda
capitolo terzo
FIG.3 Distribuzione del campione in base al tipo di ipoacusia
secondo la classificazione adottata dall’American National Standards Institute
(ANSI) nel 1991.
3.2.4 Elaborazione dei dati
I dati raccolti nella seconda fase sono stati codificati e trasferiti su supporti informatici per essere trattati secondo le più appropriate tecniche statistiche che comprendono tabulazioni semplici e incrociate e il calcolo di indici sintetici, impiegando a tal fine adeguati sistemi di elaborazione automatica.
In particolare, è stata applicata l’analisi della varianza per rilevare la significatività
statistica delle differenze nei punteggi medi riportati dai soggetti (considerati secondo sesso, età e tipologia di ipoacusia) relativi alle variabili considerate.
Sono state poi effettuate regressioni multiple, prendendo come criterio, singolarmente, i punteggi medi delle dimensioni considerate e come variabili indipendenti
(predittori) il sesso, l’età e il tipo di ipoacusia.
capitolo terzo
parte seconda 27
3.3 Risultati
3.3.1 La protesizzazione:
testimonianze sulla qualità della vita
G. Ballerini - A. Frintino
L’analisi di contenuto dei colloqui ha fatto rilevare cinque variabili, in base alle quali
è stato possibile conoscere la qualità della vita dei soggetti considerati: l’autopercezione prima della protesizzazione, l’autopercezione dopo la protesizzazione, le relazioni con i familiari, l’adattamento tecnico ed estetico alla protesi, la qualità dei rapporti con l’audioprotesista.
3.3.1.1 L’autopercezione prima della protesizzazione
L’autopercezione prima della protesizzazione fa emergere un quadro di sfondo caratterizzato da autodisistima:
da piccolo...ero convinto di non essere normale perché non capivo subito gli altri…mi
hanno sempre detto che sono nato così…
Vengono manifestati scoramento e ansia, percezione della propria condizione come
fortemente limitativa nei comportamenti quotidiani:
…ora, francamente con l’udito non ce la faccio più
…lei non ha idea di quello che vuol dire essere sordi
…ora non ne posso più
…senza sentire è una disperazione
…sono messo male, malissimo…ora è veramente un problema
…sono disperato, la mia sordità aumenta continuamente
…in ufficio mi sento morire quando devo intervenire in un dialogo tra colleghi
…da sola non mi sento di uscire, non mi sento autonoma...mi prende l’ansia
…mi piacerebbe andare al cinema, a teatro...non mi sento libero
…mi vergogno a farmi ripetere le parole...e quando lo faccio, qualche volta
mi sembra di sentirmi male.
Subentra così la perdita di interesse per la vita:
…non mi interessa niente di sentire meglio
non voglio nulla, non mi interessa più nulla.
28 parte seconda
capitolo terzo
Inizia il processo di autoisolamento:
…comincio ad isolarmi dagli altri
…non ho voglia di stare con gli altri perché è sempre una sofferenza…e allora sto
molto in casa, a fare le parole crociate.
capitolo terzo
parte seconda 29
3.3.1.2 L’autopercezione dopo la protesizzazione
La scelta di seguire la terapia protesica, sorretta da una forte motivazione, si rivela
capace di modificare sensibilmente - in termini positivi - la percezione di sé, la visione della vita che si svela - a queste persone - ricca di stimoli, di sensazioni prima mai
avvertite. L’autopercezione dopo la protesizzazione presenta testimonianze di tono
completamente diverso e viene riferita la stupita soddisfazione di un intervento che
ha portato positivi mutamenti nella propria vita:
…da quando ho questo apparecchio sono veramente contento
…dopo un po’ di tempo ho apprezzato il valore di tornare a sentire e distinguere tutti
questi nuovi suoni
…come sento forte con l’apparecchio
…sono contento davvero, i rumori li sento tutti che è un piacere
…non credevo di riuscire a sentire così bene senza avere fastidi
…la prima volta che mi sono messo la protesi ero disorientato, sentivo tutti i rumori
e tutti i suoni acuti che non sentivo più da tanto tempo
…ora è tutta un’altra cosa. Non avrei mai creduto
…sono contenta così...sono rinata
…sono tornato al mondo! Come facevo prima?
…con gli apparecchi va bene. Mi chiedo: come facevano una volta quando non c’era
questa tecnologia?
Le persone che hanno ora la protesi acustica esprimono entusiasmo per la scoperta
di suoni che mai avevano avuto la possibilità di percepire:
…sento tutto, capisco tutto, sento gli uccellini fuori dalla finestra, tutti i rumori di casa,
i rumori benissimo, nel senso che li sento tutti che è un piacere
…l’emozione che si prova a tornare a sentire il ticchettio della freccia della macchina,
il campanello di casa anche da lontano, le parole più chiare anche nel rumore
…la mattina senti i battiti della sveglia…il ticchettio dell’orologio in cucina: è lì da
tanti anni ed io non lo avevo mai sentito
…sento le campane quando suonano il doppio.
Anche il proprio corpo viene ora conosciuto in certi particolari esclusi prima dalle
proprie percezioni:
…da quando porto le protesi sento il mio respiro e certi rumori del mio corpo
…l’altro giorno in bagno ho sentito il rumore che faceva la mia pipì.
Nel mondo del lavoro, nei rapporti interpersonali, nella fruizione di attività di svago
30 parte seconda
capitolo terzo
le nuove potenzialità uditive hanno indubbiamente un grande benefico effetto
secondo questi soggetti:
…in ufficio, in mezzo a tante persone che parlano, con i rumori delle stampanti dei
computer, riesco ugualmente a parlare con i clienti al telefono
…sento se qualcuno mi chiama da lontano, capisco quello che mi dice
…con l’apparecchio vado al teatro, al cinema, posso ascoltare una conferenza e partecipare ad un seminario di studi.
I soggetti che hanno provato l’uso della protesi esprimono considerazioni di stupore sulla qualità della loro vita di relazione senza la protesi:
…come faceva la gente sorda a vivere quando non c’era la protesi? Erano tutti fuori dal
mondo…quanti traumi ho vissuto prima!
…senza apparecchi non si vive
…ora mi rendo conto di quanto sia stata condizionata la mia gioventù da questa sordità, se penso a com’ era la mia vita di ragazzo sordo.
Vengono poi valutate con lucidità ed obiettività le possibili reazioni delle persone parenti, amici, colleghi di lavoro - che per motivi diversi hanno rapporti con gli
ipoudenti:
…ora capisco il disagio di chi sta vicino ad un sordo.
Alla luce di questi esiti della terapia protesica, é caratterizzata in senso assolutamente
negativo l’ipotesi di un ritorno alla situazione precedente, quella cioè senza l’uso della
protesi. Le testimonianze sono fortemente connotate da un punto di vista emotivo:
…mi sconvolge il fatto di non sentire più niente quando tolgo l’apparecchio la sera, mi
sembra di cadere nel vuoto … è una sensazione tremenda
…la sera, quando mi levo l’apparecchio, mi sento piombare in un vuoto angosciante,
mi viene una sensazione di vertigine e di smarrimento
…quando so che mi devo togliere l’apparecchio mi prende un senso d’angoscia, provo
una sensazione di grande disagio
…se non avessi gli apparecchi, non saprei come fare
…quando mi levo l’apparecchio, mi crolla il mondo
…una volta mi rimase l’apparecchio in mano con il guscio rotto. Mi venne l’angoscia,
andai a letto che mi batteva forte il cuore!
…se mi levo l’apparecchio mi sembra di sprofondare in un altro mondo.
Vengono riferite specifiche situazioni di vita quotidiana vissute con grande sconforto:
capitolo terzo
parte seconda 31
32 parte seconda
capitolo terzo
…mi sono tolto la protesi e non ho sentito più niente di quello che dicevano in casa. È
stata una disperazione
…ero in banca e all’improvviso non funzionava più l’apparecchio. Mi sono sentita
persa. Ho preso l’altro che tenevo di riserva in borsa e anche quello non andava. Ero
disperata, non sapevo più chi ero.
La conclusione da tutti riferita è l’impossibilità di adattarsi ad una vita senza un sopporto capace di superare l’ipoacusia:
…se non avessi gli apparecchi non potrei vivere. Non potrei andare a fare la spesa, non
potrei rispondere al telefono, non potrei scambiare quattro chiacchiere con la signora
del pianerottolo, ora è veramente un problema. Se non avessi gli apparecchi non
saprei come fare, io voglio sempre avere due apparecchi perfettamente efficienti.
Pensare di averne uno che non è perfetto mi fa stare male.
Per tutte queste persone dunque, può valere la colorita espressione che uno dei soggetti della presente ricerca ha offerto nel corso del colloquio:
…“ i miei amici!”, io li chiamo così i miei due apparecchi acustici!
3.3.1.3 Relazioni con i familiari
Le relazioni con i familiari si riferiscono a due distinti momenti. Emergono prima
le dinamiche che hanno caratterizzato il percorso verso la protesizzazione:
…io non li vorrei gli apparecchi, ma loro - i figli - vogliono che me li metta
…mia figlia perde la pazienza perché se parla piano molte volte non la capisco e se parla
forte a volte le devo dire di parlare più piano perché non capisco nulla
…e poi non sento mia moglie, non la capisco mai
…mia figlia si arrabbia con me tutte le volte che non sento una cosa … io mi sento
mortificata, non so se dipende da lei perché è nervosa o dal mio problema
…stanno attenti a come parlano, cercano di non escluderti dal nucleo; poi per loro
diventi il sordo che non capisce nulla e ti relegano nell’angolino.
Successivamente viene colto il risultato dell’avvenuto ricorso all’ausilio protesico
con il miglioramento qualitativo dei rapporti all’interno del nucleo familiare:
…è un’altra vita! Ora finalmente posso parlare con mio marito. Da quando mi sono
messa l’apparecchio mi è cambiata la vita
…ora anche mia moglie può ascoltare la televisione sua senza che io le dia fastidio ascoltando la mia
capitolo terzo
parte seconda 33
34 parte seconda
capitolo terzo
…da quando ho gli apparecchi sono più contenti anche a casa … prima, quando non
avevo gli apparecchi, loro erano più arrabbiati di me.
3.3.1.4 Adattamento tecnico ed estetico
L’adattamento alla protesi rappresenta un evento di particolare importanza per il
successo terapeutico.
Naturalmente, giocano un ruolo fondamentale, oltre alla professionalità dell’audioprotesista, le caratteristiche di personalità del soggetto, la sua motivazione, la sua
capacità di tolleranza. Dunque, le esperienza dei soggetti protesizzati risultano assai
diversificate. Per taluni l’uso della protesi non ha fatto sorgere particolari problemi,
anche se c’è la consapevolezza che il processo di adattamento necessita di periodici
controlli:
…prima di farlo non avrei creduto di trovarmi così benino, però mi sono reso conto che
metterlo a punto via via è importante
…spero di poter riuscire a metterlo e a regolarlo
…sono piccolini, vanno tutti dentro l’orecchio e mi sembra di non avere niente addosso. Ora si sente bene, ora sono contenta davvero
…ogni tanto vengo a mettere a punto l’apparecchio come tu mi avevi detto di fare.
Le tipologie di problemi connessi all’adattamento possono essere - ove si presentino - di tipo tecnico ed estetico. Circa il primo aspetto alcuni soggetti fanno riferimento a disturbi generici:
…sento abbastanza bene ma un po’ troppo forte
…mi sento perso, l’apparecchio non mi va
…tutto mi rimbomba
…sento bene i rumori, ma non capisco nulla.
Altri lamentano fastidi provocati dall’intensità dei rumori
…sentivo chiaro ed i rumori mi davano fastidio
…l’apparecchio mi fa un suono strano, diverso, non lo so neanche io come dire.
La qualità della percezione del linguaggio è un altro aspetto messo spesso in evidenza:
…ora va molto meglio, ma bisogna vedere se riesco a sentire così bene quando vado al
bar e le persone urlano.
…non sento le parole
…sono contento dell’apparecchio, ma non sento le parole alla televisione.
capitolo terzo
parte seconda 35
36 parte seconda
capitolo terzo
Anche per quanto attiene alla dimensione estetica, l’uso della protesi fa riscontrare
nei soggetti atteggiamenti e comportamenti diversi. Ci sono persone che non sollevano affatto problemi di questa natura:
…non mi accorgo neanche di averlo, lo porto benissimo
…io non ho problemi di estetica a portare l’apparecchio.
Altri dichiarano di aver considerato l’impatto estetico come un possibile concreto
elemento che avrebbe potuto scoraggiare l’uso della protesi:
…francamente io non volevo mettermi la protesi anche per ragioni estetiche, per me
l’aspetto fisico è molto importante
…quando me lo metto sto meglio, ma la differenza mi crea disagio
…è per l’estetica, ora speriamo di fare un bel lavoro, perché ne ho bisogno.
3.3.1.5 Relazione con l’audioprotesista
Strettamente connesso al processo di adattamento, come è stato prima affermato, è
la qualità della relazione con l’audioprotesista.
Le dinamiche di tale rapporto sono variamente sostanziate e si riferiscono sia ad
aspetti tecnici che a motivi più specificamente personali. Si colgono così espressioni di assoluta fiducia e di piena disponibilità alla collaborazione per ottimizzare i
benefici derivanti dall’uso della protesi:
…sono fiducioso e pronto a collaborare con lei perché le credo
…sono disposto a farle da cavia per tutto il tempo che vuole
…anche questa volta mi sono fidato di lei
…ho letto sul giornale di nuove soluzioni digitali ed eccomi da lei
…ho dato il suo nome ad un amico che ha bisogno di sentire meglio, gli ho detto che
con lei ci si parla bene e che ascolta le persone
…glielo devo dire: sono tanti anni che porto l’apparecchio e non mi è mai successo di
provare l’apparecchio così con calma come faccio con lei.
Il contenuto dei dialoghi verte pure sulla riconoscenza che queste persone hanno
verso l’audioprotesista per il miglioramento della propria capacità di sentire:
…grazie davvero, mi avete rimesso al mondo
…vi devo essere grato a vita per quello che avete fatto per me.
Sono naturalmente frequenti le richieste di aiuto tecnico per mantenere l’efficienza
dell’apparecchio:
capitolo terzo
parte seconda 37
38 parte seconda
capitolo terzo
…scusa se ti disturbo, mi rendo conto che per te è stressante stare tutto il giorno con i
sordi, ma avevo bisogno subito dell’apparecchio nuovo riparato
…la ringrazio tanto per quanto mi ha spiegato sul problema dell’udito, è stato molto
utile, vado a fare Natale con i figli e allora preferisco non avere problemi essendo lontano da lei
…l’altra sera, quando le ho telefonato e lei gentilmente mi ha portato una nuova bustina di pile a casa dopo cena, stavo per ammattire
…mi dispiace approfittare sempre di lei, ma ora mi sono abituato ad essere esigente
…sono venuta ora per vedere se tu puoi aiutarmi perché domani devo sostenere un colloquio e non so come fare.
Vengono inoltre messi in rilievo aspetti dello stile comunicativo dell’audioprotesista
che concorrono a rendere più agevole le pratiche per la messa a punto dell’apparecchio:
…tutte le volte che mi regola la protesi mi sembra di star bene e di sentire bene
…se vengo qui da lei so di avere di fronte una persona che mi capisce e che mi segue
…a fare codesto lavoro ci vuole tanta pazienza, sensibilità, comprensione, l’importante
è che lei mi segua come mi ha detto
…ho capito che le sedute di messa a punto sono importanti quasi come l’apparecchio.
Alcune persone trovano nel loro audioprotesista anche un interlocutore amico,
disposto ad ascoltare anche certe loro sofferenze ed ansie, il peso della solitudine:
…tornai a casa e mi misi a piangere come un bambino, io non sono nervoso, mi vergogno, guardi, essere ciechi sarà brutto, ma essere sordi è tremendo
…se vengo qui da lei so di avere di fronte una persona che mi capisce e che mi segue,
passo ore ed ore solo in casa, vengo volentieri da lei per farmi controllare gli apparecchi, vedo che mi accoglie con il sorriso e non mi sento di peso.
…è triste essere soli, senta cosa facciamo: diamo una controllata all’apparecchio, una
pulitina, cosa ne dice?
…io mi accorgo di vivere isolata, nonostante abbia gli affetti vicini e non mi manchi
niente.
Altri infine parlano di problemi connessi al loro lavoro:
…ho perso anche il lavoro, non mi hanno rinnovato la patente
…che mi consigli di fare per quanto riguarda il lavoro? Come mi devo comportare?
capitolo terzo
parte seconda 39
40 parte seconda
capitolo terzo
3.3.2 La comunicazione-relazione: indagine psicosociale
A. Frintino - G. Giuntoli
I risultati dell’elaborazione dei dati quantitativi - che erano stati acquisiti mediante
somministrazione di una batteria di test descritta nel paragrafo relativo a metodo e
tecniche - hanno consegnato un quadro ampio ed articolato della qualità della vita
dei soggetti del campione. Di questi stessi, puntuali indicazioni sono emerse su
caratteristiche di personalità oltre che su abilità e competenze utili ad affrontare
eventi che la quotidianità presenta.
3.3.2.1 Attività del tempo libero
Lo stile di vita dei soggetti del campione risulta definito da molteplici attività svolte con varia frequenza, senza che emergano tuttavia differenze statisticamente significative rispetto alle variabili considerate, cioè sesso, età, tipo di ipoacusia.
La frequenza più rilevata è relativa all’abitudine di guardare programmi televisivi,
leggere giornali e riviste, fare passeggiate, fare spese e commissioni, dedicarsi al giardinaggio e al lavoro manuale (fig. 4).
3.3.2.2 Soddisfazioni della vita
Il dato generale consegna un profilo delle persone caratterizzato positivamente sotto
molteplici punti di vista (fig. 5): affermano, infatti, di essere soddisfatte dei propri
rapporti con familiari ed amici, della propria immagine sociale, della personale
autonomia psicologica ed efficacia mentale, della misura di fiducia in se stessi.
Elementi di una certa insoddisfazione vengono invece riferiti all’ambito della vita sessuale e dell’attività fisica, del tipo di lavoro e del personale ruolo professionale, e alla
propria situazione economica. I risultati fanno emergere, inoltre (fig. 6) un livello
medio di soddisfazione più elevato dei maschi rispetto alle femmine (p: .002). In particolare, tale differenza risulta significativa rispetto alla percezione del proprio benessere fisico, al tono dell’umore, all’efficienza delle capacità mentali, alla quantità del
proprio tempo libero, al personale ruolo familiare ed alla propria situazione economica. Ulteriore differenza emerge considerando la tipologia di perdita uditiva (fig.
7): più precisamente, l’ipoacusico di tipo misto manifesta della sua immagine sociale una più alta soddisfazione rispetto all’ipoacusico di tipo percettivo (p: .009).
3.3.2.3 Problem solving
In riferimento alla percezione della propria efficacia nell’affrontare le difficoltà che la
vita presenta, gli intervistati si pongono su un piano di accettabile ottimismo (fig. 8).
capitolo terzo
parte seconda 41
Differenze significative non emergono riguardo all’età e al tipo di ipoacusia, mentre - relativamente alla variabile sesso - i maschi (fig. 9) presentano una più alta
capacità media di problem solving rispetto alle femmine (p: .029).
3.3.2.4 Autostima
I soggetti del campione, complessivamente considerati, dichiarano di avere di sé una
stima non inferiore a quella che possono attribuire alla maggior parte degli altri,
relativamente alle personali qualità ed alle competenze utili nella quotidianità della
vita (fig. 10).
I valori medi registrati agli item di questo test consegnano differenze relativamente
al sesso e all’età. I maschi (fig. 11) appaiono maggiormente propensi, rispetto alle
femmine, a percepirsi dotati di qualità, utili agli altri, positivi di fronte alla vita,
rispettosi verso se stessi; inoltre ritengono maggiormente di valere almeno quanto
gli altri (p: .047).
Le persone più anziane (fig. 12) appaiono, rispetto ai più giovani, maggiormente
portate ad avere un atteggiamento positivo verso se stessi (p: .047).
3.3.2.5 Fiducia
Rispetto alla dimensione anomia, i risultati fanno emergere, a livello generale, una
scarsa fiducia nelle pubbliche autorità, la sensazione di non sapere su chi si può contare, un pessimismo sulla condizione attuale della vita ed il convincimento che bisogna vivere alla giornata (fig. 13).
Questo atteggiamento mostra livelli medi più alti nei maschi (fig. 14; p: .003).
3.3.2.6 Sintomi
Dai risultati generali emerge che i soggetti del campione, interpellati sulle personali condizioni di salute, dichiarano manifestazioni solamente di alcuni sintomi:
insonnia, spossatezza e qualche segno di tachicardia appena percepito (fig. 15).
La frequenza di disturbi (fig. 16) appare più consistente nelle femmine rispetto ai
maschi (p: .004).
Nella figura 16 i valori sono: 1 - “molto frequentemente”, 2 - “frequentemente”, 3
-“raramente”, 4 -“molto raramente”. In particolare, i sintomi riferiti attengono
all’impossibilità di addormentarsi o di dormire senza interruzioni, al mal di testa o
dolori alla testa, all’indigestione o nausea, al sentirsi stanco o privo di forze senza
motivo apparente, alla mancanza di respiro e senso di vertigine.
Minore tendenza alla sudorazione e minore sensazione di tachicardia viene dichiarata dalle persone più anziane, ma il dato non è significativo.
42 parte seconda
capitolo terzo
3.3.2.7 Locus of control
Rispetto alla percezione di avere la capacità di influenzare gli eventi che ci vedono
coinvolti soprattutto in ambito lavorativo, i soggetti del campione al momento
ancora in attività tendono a manifestare atteggiamenti di prudenza verso la progettualità del futuro e la possibilità - per l’individuo medio - di poter influenzare il contesto lavorativo e che il proprio impegno sia adeguatamente valutato (fig. 17).
L’analisi differenziale dei dati fa emergere inoltre che i soggetti più anziani (fig. 18)
mostrano punteggi più alti rispetto ai più giovani nell’item 7, relativo al convincimento che “avere successo e diventare un “capo” dipenda dall’abilità” (p: .026).
3.3.2.8 Strategie di coping
Circa le strategie per affrontare situazioni di stress, gli atteggiamenti ed i comportamenti più consueti che emergono dall’analisi generale dei dati sono, fra gli altri, il
mantenere rapporti duraturi con altre persone, tener distinti casa e lavoro, cercare
di essere sempre impegnato a fare qualcosa, sforzarsi a vivere con più calma, organizzare bene il proprio tempo libero, accettare le situazioni e imparare a conviverci
(fig. 19).
Il ricorso a tali strategie è più frequente fra i giovani (fig. 20; p: .031). Ulteriori indicazioni riguardano le donne: esse nascondono più facilmente le proprie emozioni (fig.
21; p: .016). Inoltre, i soggetti con ipoacusia mista dicono di affrontare subito i problemi, mentre quelli con ipoacusia percettiva riferiscono di demandare ad altri l’individuazione di modalità idonee ad affrontare un evento (fig. 22; p: .000).
3.3.2.9 Caratteristiche di personalità (*)
I valori emersi riguardo al profilo disegnato dalla scala di bisogno di associarsi agli
altri indicano che i soggetti del campione hanno un atteggiamento teso alla socialità, ai rapporti interpersonali, alla vita di gruppo. Tale peculiarità risulta senza differenze significative rispetto al sesso, all’età e alla tipologia di ipoacusia (fig. 23).
Circa la scala che misura il bisogno di ricevere soccorso o aiuto, dai risultati emerge
una autovalutazione caratterizzata da indipendenza, consapevolezza dei propri
mezzi, efficacia nella individuazione e nel raggiungimento dei propri scopi (fig. 24).
Riguardo, infine, alla capacità di adattamento, i dati indicano un atteggiamento
positivo verso la vita, apprezzamento verso la compagnia altrui, capacità di portare
a compimento le attività iniziate (fig. 25).
(*) In appendice (tab.1) sono riportati i punteggi dei soggetti considerati secondo le
variabili sesso, età, tipologia di ipoacusia con indicazione dei valori massimi e minimi
del campione normativo.
capitolo terzo
parte seconda 43
3.3.2.10 Rapporto fra dimensioni dei test e variabili considerate
Come già indicato nel paragrafo sulla metodologia, sono state effettuate regressioni
multiple assumendo come criterio i singoli punteggi medi delle dimensioni misurate dal questionario e come variabili indipendenti il sesso, l’età e la tipologia di sordità.
L’analisi dei risultati fa emergere che tutti i predittori utilizzati influiscono sulle singole dimensioni.
In particolare, la variabile sesso risulta il miglior predittore rispetto ai test Soddisfazione (tab. 2), Problem solving (tab. 3), Autostima (tab. 4) e Fiducia (tab. 5),
mentre l’età risulta il miglior predittore in riferimento al Locus of control (tab. 6)
e al Coping (tab. 7).
Per quanto riguarda infine la variabile Sintomi, il sesso e l’età risultano i migliori
predittori (tab. 8).
3.4 Considerazioni conclusive
I risultati emersi dalle fasi di rilevazione qualitativa e quantitativa dei dati hanno
fornito una gamma di informazioni particolarmente utili per l’attività dell’audioprotesista. Anzitutto la conferma che la scelta della terapia protesica è capace di
modificare in senso positivo la qualità della vita del soggetto ipoacusico. A rafforzare tale dato possono sicuramente concorrere le testimonianze assolutamente negative, talvolta drammatiche - da parte di soggetti protesizzati - su situazioni durante le
quali essi sono temporaneamente privi di protesi o queste ultime non funzionano
adeguatamente.
Emerge soprattutto da quest’ultimo dato l’importanza del ruolo del protesista e
della qualità del rapporto che egli deve stabilire con la persona ipoudente nel processo che può condurre al trattamento protesico: appare indispensabile una sua
disposizione all’ascolto, alla premura, alla comprensione per facilitare il processo di
“adattamento” tecnico e di “aggiustamento” psicologico della persona che a lui ha
dato fiducia sotto il profilo professionale.
Per quanto attiene ai dati acquisiti con gli strumenti conoscitivi nella seconda fase
della ricerca, emerge con particolare evidenza che i soggetti di sesso femminile risultano complessivamente più fragili sia da un punto di vista fisico che, soprattutto, da
un punto di vista psicologico. In effetti, queste persone manifestano complessivamente un più basso livello di soddisfazione, si mostrano meno dotate di strumenti
capaci di risolvere situazioni problematiche, hanno minore autostima, accusano una
molteplicità di sintomi di una certa importanza per la qualità della vita.
Di sicuro interesse è pure un altro dato che riguarda i soggetti con ipoacusia di tipo
44 parte seconda
capitolo terzo
misto: questi risultano avere un livello più alto di soddisfazione in vari aspetti della
vita, a confronto delle persone con ipoacusia percettiva. Ancora fra queste due categorie è da sottolineare lo stile con cui vengono affrontate situazioni di stress: i soggetti con ipoacusia mista si distinguono per la scelta di affrontare subito i problemi,
mentre le persone con ipoacusia percettiva tendono a delegare ad altri l’individuazione di modalità utili a far fronte a tensioni e difficoltà.
Di particolare interesse appare inoltre la capacità predittiva di alcune variabili in
relazione ai fattori esaminati. Nello specifico, la variabile sesso risulta un buon predittore riguardo al livello di soddisfazione della vita, alle strategie di problem solving,
all’autostima ed all’atteggiamento di fiducia. L’età, congiuntamente al sesso, dà
ragione in termini predittivi dei sintomi di disturbi fisici.
Infine, l’età raggiunge un livello significativo di predizione rispetto al locus of control e al coping.
Le indicazioni emerse dall’indagine suggeriscono l’importanza delle caratteristiche
dello stile di vita, delle abitudini, delle aspirazioni e delle attese, dei comportamenti in contesti diversi delle persone ipoacusiche che scelgono di seguire un progetto
terapeutico di protesizzazione. L’audioprotesista in questo ambito riveste un ruolo
di particolare rilievo: egli dovrà personalizzare il proprio intervento con grande
attenzione ai molteplici fattori coinvolti: il successo terapeutico dipende in buona
parte dalla disposizione motivazionale del soggetto, dalle potenzialità psicologiche
che questi è in grado di mettere in campo a sostegno di una richiesta di aiuto per
migliorare la qualità della propria vita.
È evidente, come indicato nella parte metodologica, che i risultati del presente sondaggio-pilota non sono generalizzabili per i limiti del campione. Tuttavia possono
rappresentare un valido stimolo per approfondire i diversi aspetti indagati.
capitolo terzo
parte seconda 45
FIG.4 Attività del tempo libero
46 parte seconda
capitolo terzo
FIG. 5 Soddisfazione (maschi e femmine)
capitolo terzo
parte seconda 47
FIG. 6 Differenze nel punteggio medio di soddisfazione
tra i maschi e le femmine del campione
FIG. 7 Differenza nel punteggio medio di soddisfazione in soggetti
con ipoacusia mista (PAT1) e ipoacusia percettiva (PAT3)
48 parte seconda
capitolo terzo
FIG. 8 Percezione della propria efficacia nell’affrontare
le difficoltà della vita - test B
FIG. 9 Percezione della propria efficacia nell’affrontare le difficoltà della vita
capitolo terzo
parte seconda 49
FIG. 10 Livello di autostima - test C
FIG. 11 Differenze nel punteggio medio di Autostima tra maschi e femmine
50 parte seconda
capitolo terzo
FIG. 12 Differenze nei valori medi negli item 1 e 6 fra i tre gruppi di età
FIG. 13 Livello di ANOMIA - test D
FIG. 14 Differenze nel punteggio di Anomia secondo il sesso
capitolo terzo
parte seconda 51
FIG. 15 Sintomi
FIG. 16 Differenze nei valori medi di frequenza di Sintomi, secondo il sesso
Valori: da 1=molto frequentemente a 4=molto raramente
52 parte seconda
capitolo terzo
FIG. 17 Locus of control (capacità di influenzare il proprio ambiente) - test H
FIG. 18 Differenze significative nei punteggi all’item 7 nei tre gruppi di età
capitolo terzo
parte seconda 53
FIG. 19 Coping - test I
54 parte seconda
capitolo terzo
FIG. 20 Differenze significative al valore medio del Coping tra i tre gruppi di età
FIG. 21 Differenze significative all’item 10 secondo il sesso
FIG. 22 Differenze significative all’item 24 tra soggetti secondo il tipo di ipoacusia
capitolo terzo
parte seconda 55
FIG. 23 Bisogno di associarsi agli altri
FIG. 24 Bisogno di ricevere soccorso o aiuto
FIG. 25 Adattamento personale
56 parte seconda
capitolo terzo
Riferimenti bibliografici
Bonanno, L. (2003), Il ruolo del counseling nello studio dell’applicazione protesica; in
L’audioprotesista, rivista tecnico-scientifica dell’udito, anno 1, n°0, 10-11;
Badoer, S. (2003), Successi e insuccessi di applicazioni protesiche con la tecnologia analogica, programmabile e digitale; 14° Congresso Nazionale Audioprotesisti, Sorrento,
7-9 marzo;
Bianchi di Castelbianco, F., Di Renzo, M., Palermo, M.T., Vichi, P., (2002), Uno
studio multidisciplinare sulla sordità; in Babele, 21, 8-16;
Bianchi di Castelbianco, F., Crisi, A., Palermo, M., Palladinio, G., Sommaruga, L.,
Sgueglia della Marra, F., Vichi, P., (2002), Il rischio psicopatologico nella sordità; in
Babele, 21, 36-40;
Bianchi di Castebianco, F., Morgantini, F., Sommaruga, L., Vichi, P. (2002),
Protesizzazione acustica non lineare; in Babele, 21- 91-94;
Cimino, I. (2003), Gli apparecchi acustici impiantabili e il ruolo del Tecnico
Audioprotesista;
14° Congresso Nazionale Audioprotesisti, Sorrento, 7-9 marzo;
Courtois, J. (1989), Terapia protesica nell’adulto e nell’anziano; lezione magistrale,
Milano;
Gomiero, F. (2003), La tecnologia audioprotesica. Presente e futuro; 14° Congresso
Nazionale Audioprotesisti, Sorrento, 7-9 marzo;
AA.VV. (2002), Metodiche e tecnologie per la diagnosi e la terapia protesica della sordità, Convegno di Studi, Milano,14 giugno;
Magoni, A. (1990), La sordità: terapia protesico-riabilitativa nell’adulto e nell’anziano; Masson, Milano.
Sirigatti, S., Frintino, A., Giuntoli, G. (1990), supplemento al nr. 239, I di Vita
sociale.
3
parte terza
3
parte terza
4
capitolo quarto
Francesca e gli amici
Racconto di G. Bruni*
L’ho conosciuta un 29 di febbraio.
Ero uscito appena cessata la pioggia, mi ero fermato al tavolino all’aperto di un
nuovo locale e stavo rileggendo svogliatamente il quotidiano lasciato da qualche
cliente; speravo di riuscire a dare un significato alla solita giornata di suoni confusi,
mentre rimbombavano dentro e fuori di me le voci dei passanti miste a quelle delle
cameriere che cinguettavano le quotidiane sciocchezze.
Fui catapultato improvvisamente nel locale da un branco di ragazzini urlanti che mi
resero ancora più confuso e dissonante col mondo che mi circondava.
L’apparecchio, che mi consentiva di udire suoni netti e precisi, mi confondeva invece quando subentravano più voci o parole mescolate a rumori: sembrava che mi trasmettesse messaggi nascosti, dandomi l’impressione che l’unico modo per difendersi
dal caos fosse l’incapacità di intrappolarlo. Mentre le grida dei fanciulli si urtavano e
si ammassavano nella mia testa, ho compreso ciò che fino a quel momento mi era
sfuggito. Ricollegandomi con il mondo dei rumori, la protesi aveva preso a ripresentarli alla mente in modo fedele. L’audioprotesista mi aveva addestrato a interagire con
l’apparecchio, a capirne la funzionalità e a vedere il risultato nell’ambito di un processo di adattamento, in modo che il fragore della realtà non travolgesse il mio fragile equilibrio. C’era da compiere ancora un passo in avanti.
“Il fastidio che avverto in questo momento - ho pensato - è legato alle voci squillanti dei ragazzi. Devo imparare veramente a interpretare e filtrare le espressioni sonore
del mondo che mi circonda. Dopo l’invasione dei suoni, devo accelerare il percorso
*Psicologo psicoterapeuta
60 parte terza
capitolo quarto
della loro accettazione, riconquistarne i significati in relazione alla mia esperienza,
oltre alla capacità di mediarne i contrasti”.
Questi pensieri mi hanno rasserenato. E comunque, di fronte a tutta quella confusione non sono stato colto dal panico abituale, dalla voglia di scappare, perché ero
troppo impegnato ad osservare la ragazza appena incontrata.
Era impossibile non notarla. In mezzo a bambini sporchi di gelato e gonfi di risate,
appariva assolutamente lontana. Un polo d’attrazione per le piccole pesti, che sembravano ammaliati come i topi dal pifferaio, e la cercavano e la chiamavano senza
riposo. Calma, naturale, come se fosse assente pur trovandosi a neanche due metri
dal mio tavolo, ella riusciva a controllare ogni movimento con la coda di mille occhi
e sempre col sorriso sulle labbra. Sembrava che la totale assenza d’ordine che la circondava fosse il suo habitat naturale, anziché il contrattempo di un sabato pomeriggio e, a ben guardarla, pareva che tutto ciò le piacesse, anzi, che le fosse necessario.
Ero ancora immerso nell’osservazione dei suoi gesti, quando improvvisamente, leggera com’era arrivata, la vidi andar via. Scartai subito l’ipotesi di raggiungerla e parlarle: alla mia età e con la sordità che mi accompagna, mi ero fatto un’idea di quello
che potevo o non potevo osare, di ciò che mi era concesso e non, cercando di farmi
notare il meno possibile dalla vita.
Ad un tratto l’ho vista, come in una scena al rallentatore, fermarsi in mezzo alla strada dove stava facendo attraversare i bambini, incurante delle auto che le sfrecciavano intorno e degli automobilisti che inveivano contro il branco di marmocchi che
avevano invaso le strisce: era rimasta ferma, concentrata ad ascoltare se stessa, una
smorfia sul volto, i bambini che sciamavano impazziti...
In quel momento…il peso della sua apparente, inspiegabile solitudine mi apparve
istintivamente più grande del peso della mia. Corsi verso di lei con le suole incerte
che battevano l’asfalto ancora bagnato e con in testa le parole di una canzone sudamericana di cui ignoravo il senso, ma che assecondava il ritmo di quel pomeriggio.
La raggiunsi in fretta. Non so come, riuscii a convogliare il gruppetto di piccole
pesti dall’altra parte della strada, tenendo lei per una mano.
Le ho detto con il fiato in gola per la corsa e l’emozione: “C’è qualche problema?”.
Lei mi ha guardato con aria interrogativa, mentre una lacrima le rigava il volto e i
bambini si erano fermati attoniti nel vederla piangere. Sorrise appena, ma bastò per
riscaldare di nuovo tutta l’aria.
Solo allora notai la protesi che portava dietro l’orecchio: era una di quelle moderne,
automatiche, di colore grigio e dalla forma sottile e stilizzata. Si era bloccata in mezzo
alla strada perché per un istante il suo apparecchio, forse a causa della batteria scarica, aveva smesso di funzionare, trasportandola dal caos di una qualunque giornata in
un centro cittadino al silenzio assoluto. Un’interruzione di pochi secondi che le aveva
lasciato un senso di paura e di smarrimento sfociato in pianto sommesso.
“M’è successo come quando, da ragazzi, ci si lanciava per scherzo nell’acqua per ritrovarsi improvvisamente sommersi in mezzo a rumori sconosciuti”.
capitolo quarto
parte terza 61
L’ascoltavo a dispetto delle voci dei bambini e mi sentivo vivo. Le sue parole non mi
annoiavano perché capivo bene di cosa stava parlando. Glielo dissi e lei s’illuminò
come una bambina, per tornare triste il momento successivo.
“Anche tu...”
Passato il momento dell’euforia iniziale, il coraggio mi venne meno e sentivo la mia
voce affievolirsi, fino a non percepirne quasi il suono, mentre intorno a noi il rumore del traffico, fino a poco prima dissolto dalle nostre voci, aveva riacquistato tutta la
sua invadenza.
La confidenza spontanea era stata sostituita da una lancinante timidezza: stavo quasi
per andarmene, convinto che per me l’età dell’oro e i treni da non lasciarsi scappare
fossero ormai soltanto un ricordo intriso dell’amarezza di non essere salito sul vagone giusto. D’improvviso lei mi chiese di lasciarle il numero di telefono: glielo scrissi
sul retro dello scontrino del bar e mi feci dare il suo.
Poi se n’andò, leggera com’era arrivata, con lo sciame di bambini che adesso ci guardavano incuriositi, in silenzio, non avendo ben compreso l’evento che si era consumato a quell’angolo di strada.
Sono arrivato a casa stranamente leggero, con un senso di nuvole che si dissolvevano
dentro. Non ho cenato, sono andato subito a dormire. Nel sogno ho rivissuto l’attimo in cui mi ero sentito utile per qualcuno senza ispirargli pietà. Ho dormito di un
sonno bambino. La mattina dopo mi sono svegliato prestissimo, animato da una
nuova energia: mi sembrava di aver da fare cose grandi in quella giornata nuova di
zecca e volevo che anche Francesca ne facesse parte. Finalmente alle dieci riuscii a
prendere la cornetta in mano e a telefonarle. Le ho chiesto se avesse impegni particolari. Mi ha detto di no e le ho proposto di andarcene al mare, a Viareggio, per
cogliere il sentore di quella giornata di fine febbraio così vicina alla primavera.
Siamo partiti con la mia macchina. Lungo la strada che attraversa la macchia di
Migliarino i pini marittimi ci salutavano, esultavano alla brezza frizzante che pervadeva l’aria, mentre l’universo aveva per un attimo smesso di mormorare alle nostre spalle rumori incomprensibili, ci sentivamo di nuovo padroni delle nostre vite. Francesca
mi raccontò di sé, con poche frasi che alternava a slanci improvvisi d’allegria.
Faceva l’insegnante in una scuola elementare. Mi raccontava che fin da bambina giocava a far la maestra con i più piccoli, finché da grande aveva poi scoperto la magica sensazione del saper trasmettere la conoscenza a creature giovani.
La sua sordità era apparsa verso i dieci anni e da allora era lentamente progredita fino
a richiedere l’uso dell’apparecchio verso i trenta, all’apice della sua carriera d’insegnante. Lei aveva sempre cercato di ignorare che stava perdendo la sensibilità uditiva, finché una volta le capitò, durante una gita scolastica, che non sentì la voce di un
bambino che inavvertitamente si era chiuso dentro il bagno.
Poteva sembrare un episodio banale, ma Francesca rimase sconvolta dall’impotenza
in cui l’aveva gettata quella nuova condizione.
62 parte terza
capitolo quarto
Con i bambini, anche da sorda non era difficile comunicare. Le bastava uno sguardo per comprendere le loro esigenze. Le risposte non sempre dovevano essere parole
né gli interrogativi erano solo verbali. I bambini capivano. Evitavano di parlare tutti
insieme dal banco, si recavano uno per volta alla cattedra e parlavano lentamente,
con voce chiara. I problemi insormontabili accaddero nelle assemblee, durante i collegi dei docenti, negli incontri collettivi con i genitori. Il brusio di fondo, le interruzioni, l’alterazione della voce da parte di alcuni le impedivano di seguire il senso del
discorso. Doveva interpretare e integrare con la mente le parole che perdeva. Per non
rischiare di sbagliare evitava di prendere la parola, sedeva nelle ultime file. Un giorno si accorse di non farcela più a sostenere questa fatica.
Prese un anno d’aspettativa dal lavoro, quello che lei oggi definisce “il mio anno sabbatico”. Vegetò per un po’, infine reagì, poi vegetò di nuovo, finché una sua vicina,
forse inviata dalla madre, le portò una bambina, Amelia, affetta da sordità irrecuperabile fin dalla nascita. Le chiese se poteva darle lezioni private perché a scuola proprio non ci voleva stare.
“Con Amelia - mi confidò Francesca - tutte le mie inibizioni sulla sordità svanirono:
il suo entusiasmo nel volere imparare tutto ciò che il sapere può offrire e anche di più
era commovente. Di fronte a lei mi vergognai dei miei complessi e gradualmente
accettai me stessa, la nuova me stessa, che da insegnante “di grido” era diventata una
persona timorosa di andare a fare la spesa.
Pochi giorni fa Amelia mi ha telefonato per dirmi che sta per laurearsi”.
Ascoltando Francesca ripensavo alla mia infanzia inizialmente libera da pensieri,
apparentemente uguale a quella di tutti i bambini, e poi gradualmente sempre più
carica di pesi e sempre meno serena. Era un alternarsi di sensi di colpa (cosa ho fatto
per meritarlo?), rabbia (perché io e non altri?), isolamento, solitudine, (se non riesco
ad essere come gli altri, meglio stare da solo) che hanno preso ad accompagnarmi
fino all’adolescenza. Si è radicata dentro di me la convinzione di essere limitato non
solo per il fatto di non udire, c’era qualcosa di più: un senso di lontananza e di non
appartenenza al mondo in cui il non sentire a volte ti trascina. Ero più lento dei miei
compagni nell’apprendere e al tempo stesso più svogliato, distratto, non m’impegnavo in nessuna materia sebbene fin da piccolo amassi molto tutto ciò che aveva a che
fare coi numeri e col calcolo e mi dilettassi in progetti fantastici di ponti, case, grattacieli.
La scuola media trascorse in assenza di reali progressi e con l’ipoacusia che peggiorava inesorabilmente. Spesso preferivo far finta di non aver studiato piuttosto che rivelare ai professori che non capivo le loro domande se non alzavano la voce.
La svolta arrivò in prima superiore. Il primo giorno, dopo che avevo consumato le
suole prima di decidermi ad entrare in classe, trovai Marco seduto nel banco accanto al mio. Egli soffriva d’ipoacusia grave dall’età di tre anni, portava già due apparecchi acustici con disinvoltura e, così giovane, sembrava muoversi benissimo nel diffi-
capitolo quarto
parte terza 63
cile universo - come lo chiamo io - delle “sillabe mancate”. All’inizio mi sembrava il
solito superficiale che non ha ben compreso quello che gli sta capitando, ma poi a
poco a poco mi conquistò.
“L’ipoacusia è una condizione impagabile” diceva suscitando la mia meraviglia. Noi
possiamo ascoltarci dentro quando lo vogliamo, basta togliersi l’apparecchio ed è
fatta! Chiudi gli occhi e improvvisamente hai intorno a te il niente acustico, come
non appena ti tuffi e, se ascolti attentamente, il mare comincia a parlarti. Nel silenzio emergono nel tuo orecchio fischi o ronzii che sembrano casuali, ma in realtà sono
il rumore “da dentro” del corpo, del cervello che pensa, del tuo cuore che batte. Non
è straordinario?” M’incoraggiò così a parlare seriamente dei miei problemi d’udito
con il medico di base e poi con l’otorino.
Nella sala d’aspetto del reparto di audiologia c’erano tante persone d’età diversa, la
maggior parte giovani, alcuni conversavano fra loro, altri erano avvolti come me nella
propria cappa di silenzio. Quando è arrivato il mio turno, un giovane medico ha
riempito la scheda e si è fermato a parlare con me spiegandomi il significato e la natura delle varie prove audiometriche nelle quali sarei stato impegnato.
Dopo questa visita fui affidato ad un tecnico socievole e paziente che mi ha guidato
nelle prove di ascolto di tutti i tipi di suoni e, a volte, di rumori attraverso l’uso delle
cuffie dentro una cabina. Seduto ad una consolle, il tecnico trascriveva le mie risposte ed inseriva i dati di ciascun esame su un computer. Infine l’audiologo, osservando i risultati delle prove: “siamo un po’ sordi, ha detto. Niente di grave. Può provare senza impegno un apparecchio che risolverà questo problema. Dovrà abituarsi di
nuovo ai suoni gradevoli, ma anche ai rumori e alle dissonanze, selezionarli e interpretarli. All’inizio, troverà di essere precipitato in una babele”.
“Che cosa devo fare?”
“Allegati ai risultati degli esami le unisco la prescrizione per un apparecchio acustico
che potrà applicare parlandone con un esperto. Le consiglio di contattare un audioprotesista di sua fiducia per farsi aiutare nella scelta e nelle problematiche relative
all’applicazione e all’adattamento successivo”.
Ho seguito il consiglio e ho contattato alcuni audioprotesisti. L’esperto a cui ho dato
fiducia ha scelto insieme a me l’apparecchio, me lo ha fatto costruire su misura, lo
ha messo in prova e mi ha addestrato con pazienza all’uso e all’accettazione della protesi attraverso alcuni incontri durante i quali ha ascoltato le mie difficoltà, ha risposto alle richieste di consiglio e ha arginato i miei atteggiamenti di sconforto.
Riconquistata la capacità di udire i suoni della realtà che mi circonda, ho imparato
anche ad escluderli quando lo ritenevo necessario per dare ascolto ad altro. Liberi
dalla paura delle parole degli altri, forti della capacità di ascoltarle o isolarle, Marco
ed io abbiamo intrapreso insieme un percorso che ci tiene in contatto ancora oggi e
che ha portato me a laurearmi in ingegneria, e lui a sviluppare quella sua meravigliosa creatività nella pittura, che diventa soffio vitale quando riesce a comunicare non
solo il bello ma anche ciò che lo spinge a cercarlo.
64 parte terza
capitolo quarto
Marco ci attendeva all’ingresso della mostra. Non si curava dei clienti, dei numerosi
ruffiani e degli spendi-parole-ma-non-soldi della domenica che già se lo contendevano e roteavano per le sale in un turbine di confusione. Era vestito da artista, con pantaloni troppo larghi da quattro soldi e un ridicolo cappello sulla testa, non in tono
con la ormai numerosa clientela e con la fama che lo accompagnava, ma in linea con
se stesso. Ci accolse con lo sguardo da eterno ragazzino. Gli presentai Francesca, che
già conosceva la storia della nostra amicizia, e dopo neanche cinque minuti eravamo
davanti all’ultima sua opera a chiacchierare fitto, suscitando l’invidia di tanti e l’irritazione del gallerista, tutto preso a mettere bollini ai quadri venduti, fissare i prezzi e
le consegne, in un vortice di chiacchiere, salatini e cocktail. L’ultimo quadro di
Marco rappresentava una bottiglia vuota in riva al mare, ripiena per metà di cielo e
per metà di niente, mentre le onde le scaricavano sopra la loro schiuma in una giornata elettrica senza riposo, con nuvole grigio-azzurre gonfie di pioggia o di annunci
di primavera.
S’intitolava: “Da grande”.
Francesca domandò cosa rappresentasse il particolare che si vedeva in lontananza, in
mezzo al mare, poco visibile per via della foschia.
“Rappresenta un uomo, me o un altro, o forse un insetto o una pianta o un apparecchio acustico…, di sicuro qualcosa che pur facendo parte della situazione ha una
posizione a sé, lontana dal fulcro della scena. Sai, di tante persone che oggi si sono
precipitate qui per vedere questo quadro, anche critici affermati o fini intenditori,
tu sei la prima che ha la sensibilità di notare anche il particolare che rimane “al di
fuori...”
Fui orgoglioso di Francesca. Tutti e tre capimmo il senso reale delle parole di Marco:
essere ai margini del mondo ti colloca in una posizione scomoda, ma anche unica.
Dal tuo margine puoi, infatti, comprendere qualcosa che chi sta al centro non può
vedere e che pure è indispensabile per dare un significato alla scena, che poi è la vita
stessa. Uscimmo a fine mostra ridendo degli ignari attori al centro della scena e
andammo a mangiare sulla spiaggia, come tre amici qualsiasi in una domenica come
tante.
Dopo mangiato andammo a riposare a casa di Marco. La sera ci saremmo ritrovati
per un concerto seguito da una cena in una taverna sul porto.
Marco si era trasferito al mare subito dopo aver messo insieme i primi guadagni con
i suoi quadri. All’inizio era stata dura. La sua famiglia, terreno fertile di un’infanzia
felice, preoccupata che un ragazzo affetto dal peso dell’ipoacusia s’imbarcasse in un
mestiere “sconsiderato” come quello del pittore, aveva tentato di ostacolando in ogni
modo. Ha frequentato la Facoltà di Lettere, si è laureato con centodieci e lode ma
non ha mai abbandonato il pennello e i colori, soprattutto non ha abbandonato il
suo ricco mondo interiore. Atteggiamento che lo ha salvato dall’aridità di una condizione che può diventare terribile, se la sensibilità diventa strumento dell’isolamento e della solitudine. “Se essere sensibile ti porta a sentirti non orgogliosamente, ma
capitolo quarto
parte terza 65
terribilmente diverso, è ora di cambiare rotta”, mi ha sempre detto.
Ci siamo trovati puntuali, Francesca, leggera e svagata come un’adolescente alla sua
prima uscita con gli amici, Marco, che aveva una tenuta da elegante gentiluomo, e
io, sorpreso e ubriaco dell’improvvisa leggerezza di quella giornata.
Il concerto si teneva al teatro di Viareggio. Si trattava di un mosaico di vari pezzi di
musica classica, da Beethoven a Brahms, da Mozart a Strauss, che Francesca ben
conosceva, perché da ragazza aveva studiato pianoforte e li aveva suonati più volte.
Ancora oggi mi meraviglio, quando vado ad un concerto: io che da adolescente ero
arrivato al punto di pensare la mia vita al di là d’ogni forma di normalità (guidare,
saper badare a se stessi…), ero addirittura seduto in mezzo ai privilegiati che avevano l’onore di ascoltare e gustare brani dall’armonia senza tempo. La mia capacità di
ascoltare era diversa in parte da quella degli altri, ma non mi sentivo più la “nota stonata” e sapevo inoltre individuare la nota mancante - il silenzio, il mezzo tono - che
nessuno dei normali sarebbe riuscito a riconoscere.
Ritornando il giorno dopo alle sensazioni vissute durante il concerto, ho pensato che
avevo riconquistato la capacità di recepire i suoni della realtà che mi circonda, che
avevo costruito un personale modo di interpretarli. Il cammino era stato lungo.
Ricordavo gli anni dell’università durante i quali avevo ceduto più volte allo sconforto, soprattutto quando, durante le lezioni tenute dentro aule troppo ampie ed affollate, s’instaurava un orribile brusio, terribile sofferenza per me che facevo fatica a non
rimanere frastornato dalla confusione dei suoni. Dopo circa mezz’ora dall’inizio,
quando cominciava a crescere il brusio che precedeva i silenzi della conclusione, il
mio apparecchio di allora, un po’ primitivo, si ribellava all’anarchia dei rumori: suoni
che provenivano da destra cozzavano con altri provenienti da sinistra, da dietro, da
fuori delle finestre. Mi sentivo bombardato da elementi sconosciuti, avevo la sensazione di essere trasportato a forza su una giostra del luna-park su cui non ero voluto
salire. Scappavo fuori dell’aula, suscitando l’ilarità di qualche gruppetto di studenti e
chiudevo la porta alle spalle, sudato e impaurito.
Poi m’incontravo con Marco, mi sprofondavo nello studio, sostenevo un esame in
modo particolarmente brillante e la vita riprendeva come prima, ma ho sempre avuto
e conservato quella paura che d’improvviso il mondo indossasse la maschera che
conoscevo.
Ma poi ho compreso che il dolore, l’insicurezza, la paura che avevo provato e che a
volte provo, non erano diversi da quelli di chi sta al centro della scena, e che la sensazione che il mondo indossi d’improvviso questa maschera inquietante, era comune ad ogni essere umano. La musica si diffondeva per la sala trasportandomi dentro
la mia vita passata e mi sembrava che tutto, proprio tutto, avesse concorso a farmi
arrivare al momento che stavo vivendo. Magari è stato solo un attimo di sicurezza
assoluta. Ritorneranno i complessi, le angosce, le sensazioni d’inadeguatezza, ma
ormai mi sono abituato alle oscillazioni e riemergo dalle fasi negative quasi intatto e
gratificato dal confronto prima-dopo.
66 parte terza
capitolo quarto
I commenti di Francesca e Marco mi tolsero dal fiume di pensieri in cui ero immerso: il concerto era finito. Le luci che si erano riaccese ci mostrarono l’immagine di
noi tre come aristocratici spettatori di un concerto. Mi sembrò tanto buffa che scoppiai a ridere forte, suscitando l’ilarità dei miei due amici che avevano compreso benissimo ciò che pensavo e lo stupore degli altri spettatori che mi guardavano come se
fossi completamente “spostato”.
La cena si annunciò meravigliosa fin dallo scenario. Marco, da pittore quale era, sensibile ai cromatismi e alle sfumature, aveva scelto un locale immerso in un ambiente
surreale: una piccola costruzione bianca e azzurra sul mare, proprio alla fine della passeggiata. All’interno c’era un’accozzaglia di colori e suppellettili d’ogni tipo lasciate lì
per caso, ma in realtà frutto di una disposizione attenta all’estetica quanto alla comodità. Scoprii più tardi che il locale era una casa oltre che un ristorante. Lì vivevano
Maurizio, il gran capo, la moglie, addetta alla cucina, e il figlio Andrea che di tanto
in tanto dava una mano. Marco amava molto sia quel locale che la famiglia, perché
nel momento in cui lui non era ancora corteggiato da galleristi e amatori d’opere
d’arte, loro avevano rappresentato l’ancora di salvezza che lo aveva distolto dal pensiero di abbandonare ogni sogno.
Aveva incontrato Maurizio al porto: Marco aveva vissuto per l’ennesima volta il rifiuto di una sua collezione di quadri con cui pensava di allestire la prima mostra. Erano
tre mesi che abitava a Viareggio ed altrettanti che sperava che le cose volgessero al
meglio. A casa raccontava bugie, per non dover subire, oltre alla delusione personale, anche il peso dell’ansia dei suoi, che lo vedevano inadeguato a vivere là da solo
come un “vagabondo”, un “artista”.
Varcando la porta di casa aveva lanciato a se stesso delle scommesse e ora gli sembrava che quei traguardi non avessero più senso, che si fossero dissolti in una bolla di
sapone. Ormai la prospettiva di superare ogni ostacolo, anche il più grande che la
vita gli aveva messo di fronte grazie alla passione per un sogno, gli sembrava una
sciocchezza.
Era seduto lungo il molo, immerso in questi pensieri, quando incontrò Maurizio che
lo scambiò per un pescatore da cui si procurava il pesce per il suo ristorante.
Chiarirono l’equivoco e, quasi per rimediare, cominciarono a parlare ognuno di sé.
L’amarezza di Marco era così evidente che Maurizio gli disse: “Vieni, ti porto in un
posto che di sicuro conosci bene”.
Lo portò al ristorante in riva al mare dove Marco disse con meraviglia che lui in quel
posto non c’era mai stato. Maurizio lo contraddisse: “Ti sbagli, ci sei stato. Questo è
il posto che io e mia moglie sognavamo di comprare fin da giovani, per fare quello
che ci piace fare, invecchiare cullati dall’eterno movimento del mare e diventare
esperti nell’arte della cucina. Questo, Marco, è il luogo di un sogno per il quale
abbiamo lottato, affrontato compromessi, impiegato soldi, tempo, lacrime. Ciò che
non si rimpiange mai, te lo assicuro, è la fatica che ti è costata arrivarci. Anzi, per noi
capitolo quarto
parte terza 67
l’ha reso ancora più prezioso. Questo è veramente un posto che tu conosci bene.
Pensaci bene prima di abbandonarlo, perché niente reca frutti più dolci dell’avere
una passione e vivere per quella. I soldi, la tranquillità del quieto vivere, non compenseranno mai ciò che perdi abbandonando il tuo sogno”.
Poi lo portò dentro il locale, lo presentò alla moglie e lo invitò a mangiare con loro.
Da allora Marco diventò un frequentatore assiduo di quella casa, dipinse per questi
amici molti quadri, e siccome il locale era frequentato anche da intenditori, presto si
ritrovò coronato dalla fama e circondato dalla ricchezza di poter svolgere con profitto un’attività che adorava.
Maurizio ci aveva fatto accomodare in saletta, in una piccola ala del ristorante separata dal resto del locale. Ci allietò subito con un aperitivo a base di vino bianco spumante secco accompagnato dalla mitica “Tavolozza”, piatto coniato per Marco, un
misto di carpacci di pesci diversi accompagnati da melone e menta, il tutto a circondare una mousse di caviale avvolto in gialle scaglie di limone. Ci colpì l’esplosione di
colori che occupava tutta la nostra visuale quasi ipnotizzandoci, come se non esistesse null’altro in quell’istante ad occupare anche una piccola parte della nostra attenzione. Maurizio fu molto contento di questa nostra osservazione: secondo lui la classifica dei cinque sensi andava completamente rivista a favore del gusto, che, ci spiegò, non è solo questione di bella presentazione o di “è buono, o non è buono”, ma
comprende molto di più, ossia tutta una gamma di sentimenti diversi da palato a
palato. Gli piaceva pensare che, come il quadro dell’artista assume significati diversi
secondo chi lo guarda, così i suoi piatti assumevano odori, sapori e colori diversi
secondo la persona che li gustava. A volte gli capitava persino di creare una variante
di un piatto, per un cliente che gli aveva ispirato qualcosa o evocato un ricordo.
Francesca a fine cena ci disse: “Maurizio mi piace, è una delle poche persone che
comprendono il senso dello sfumato, dell’incerto, del probabile, e lo mettono in
conto, al contrario delle troppe persone per le quali una cosa o è bianca o è nera, o
sei “sordo” o sei “normale”. Sei normale e hai diritto a vivere in tutti i modi possibili, oppure non lo sei, e allora devi vivere ai margini...”.
Ancora oggi dopo quasi dieci anni, l’amicizia tra noi non si è dissolta, forse anche
perché rinsaldata dalle difficoltà che condividiamo, da storie simili nelle loro diversità. Sto aspettando Francesca che torna da un viaggio in Inghilterra. È stata invitata ad assistere ad un corso per il perfezionamento della formazione di bambini e
ragazzi non udenti. Come sempre, ci recheremo a Viareggio, dove Marco ci aspetta
per festeggiare il successo della sua ultima mostra. Brinderemo insieme nella casa
tutta nostra che ho progettato cinque anni fa e che è divenuta il nostro punto d’incontro. Magari non ci vediamo per un mese di fila, poi uno di noi riattiva i contatti e ci si ritrova insieme nella casa vicino al mare, ansiosi di raccontarci esperienze di
cui c’eravamo privati per troppi anni.
68 parte terza
capitolo quarto
Inverno. Un pomeriggio di fine settimana. C’è un sole pallido, il vento agita gradevolmente le onde e sfiora i nostri volti con alito freddo. Camminiamo insieme sopra
la spiaggia. Ascoltiamo il fruscio che fa la risacca ribaltandosi sopra la sabbia, i gridi
improvvisi dei gabbiani, i tintinnii dei vetri e delle stoviglie in un ristorante sul mare
dove stanno apparecchiando per la cena. E ci meravigliamo ogni volta per i dolci
rumori di cui condividiamo l’ascolto.
E quando la vita costringe uno di noi a bere alla fonte del dolore, lo stemperiamo
piano, senza forzature, con la vicinanza, certi del fatto che non è importante udire,
vedere, vivere in modo perfetto, bensì avere uno scopo, una meta, chiunque siamo e
in qualunque modo siamo fatti. Consapevoli che, nel mare, più che il canto delle sirene, è affascinante la rotta verso il porto comune in cui approdano le nostre parole.
Appendice
parte terza 69
Appendice
TABELLE
TAB 1 Punteggi scale ACL
Sex M
Sex F
Scala 11
70 (105-16)
72 (109-22)
Scala 17
70 (203-3)
59 (167-5)
Scala 23
88 (137-1)
86 (139-2)
Ipoacusia M
Ipoacusia P
Ipoacusia T
66 (107-19)
69 (107-19)
82 (107-19)
43 (185-4)
48 (185-4)
48 (185-4)
56 (138-4)
68 (138-4)
60 (112-6)
Età 23-64
Età 65-74
Età 75-oltre
64 (107-19)
72 (107-19)
72 (107-19)
43 (185-4)
43 (185-4)
43 (185-4)
60 (138-4)
68 (138-4)
57 (112-6)
fra parentesi: valori max-min
TAB 2 Risultati dell’analisi di Regressione Multipla per il criterio Soddisfazione
(Costante)
SEX
ETÀ
PAT
Coefficienti
non standardizzati
B
3,098
-,386
-9,122E-02
2,189E-02
Errore std.
,234
,116
,067
,059
Coefficienti
standardizzati
Beta
13,237
-,375
-,156
,042
t
Sig.
,000
-3,324
-1,361
,369
,001
,178
,713
70 parte terza
Appendice
TAB 3 Risultati dell’analisi di Regressione Multipla per il criterio Self-Efficacy
(Costante)
SEX
ETÀ
PAT
Coefficienti
non standardizzati
B
3,480
-,405
-,116
2,415E-02
Errore std.
,351
,174
,101
,089
Coefficienti
standardizzati
Beta
9,911
-,272
-,137
,032
t
Sig.
,000
-2,323
-1,150
,271
,023
,254
,787
TAB 4 Risultati dell’analisi di Regressione Multipla per il criterio Autostima
(Costante)
SEX
ETÀ
PAT
Coefficienti
non standardizzati
B
3,549
-,351
-,109
3,760E-03
Errore std.
,338
,168
,097
,086
Coefficienti
standardizzati
Beta
10,499
-,246
-,135
,005
t
Sig.
,000
-2,089
-1,125
,044
,040
,265
,965
TAB 5 Risultati dell’analisi di Regressione Multipla per il criterio Anomia
(Costante)
SEX
ETÀ
PAT
Coefficienti
non standardizzati
B
3,263
-,524
-,152
5,204E-02
Errore std.
,323
,161
,093
,082
Coefficienti
standardizzati
Beta
10,097
-,368
-,188
,073
t
Sig.
,000
-3,262
-1,642
,635
,002
,105
,527
TAB 6 Risultati dell’analisi di Regressione Multipla per il criterio Locus of Control
(Costante)
SEX
ETÀ
PAT
Coefficienti
non standardizzati
B
2,575
-,368
-,305
,128
Errore std.
,486
,241
,139
,123
Coefficienti
standardizzati
Beta
5,303
-,178
-,260
,124
t
Sig.
,000
-1,525
-2,191
1,041
,132
,032
,302
Appendice
parte terza 71
TAB 7 Risultati dell’analisi di Regressione Multipla
per il criterio Utilizzo di strategie di Coping
(Costante)
SEX
ETÀ
PAT
Coefficienti
non standardizzati
B
3,331
-,178
-,386
9,923E-02
Errore std.
,482
,242
,142
,124
Coefficienti
standardizzati
Beta
-,087
-,327
,097
t
Sig.
6,918
-,736
-2,727
,798
,000
,464
,008
,428
TAB 8 Risultati dell’analisi di Regressione Multipla per il criterio Sintomi
(Costante)
SEX
ETÀ
PAT
Coefficienti
non standardizzati
B
4,143
-,721
-,289
2,666E-02
Errore std.
,454
,225
,130
,115
Coefficienti
standardizzati
Beta
9,127
-,356
-,251
,026
t
Sig.
,000
-3,196
-2,220
,232
,002
,030
,817
Antonio Frintino, psicologo e psicoterapeuta,
consulente tecnico e perito penale del Tribunale di
Pistoia, opera in attività di consulenza e ricerca per
istituzioni pubbliche e aziende private nei settori della
formazione e della salute.
Ha svolto attività di ricerca nelle Università di Firenze e
di Siena e di docenza in Scuole di Specializzazione
Ortofrenica.
È autore di oltre cinquanta pubblicazioni di psicologia.
Giuliano Giuntoli, psicologo e psicoterapeuta,
è professore a contratto del CdL di Psicologia Clinica
all’Università di Firenze. Svolge opera di ricerca in
progetti di prevenzione in età evolutiva e di ricerca e
consulenza per le situazioni di handicap, di devianza
del comportamento e di difficoltà nell’apprendimento
scolastico.
Gilberto Ballerini, laureato in Scienze
Audioprotesiche, vive a Pistoia dove esercita la
professione di Tecnico Audioprotesista.
Giuseppe Bruni, vive a Pistoia, dove esercita
la professione di psicologo e psicoterapeuta. È autore
di testi a carattere divulgativo e scientifico