Tra arte e design - Città dei Mestieri

Transcript

Tra arte e design - Città dei Mestieri
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o
tra arte e design
N°77
Marzo / Maggio 2010
OSPITI
INASPETTATI
GILLO
DORFLES:
L’AVANGUARDIA
TRADITA
IL
GRANDE
GIOCO
IL MIDeC
DI LAVENO
RIAPRE AL PUBBLICO
I codici segreti
di battista
luraschi GIUSEPPE
RIVADOSSI,
UNA CATTEDRA
UNIVERSITARIA
DEDICATA AI
IL LEGNO E LA
SUA POETICA
MESTIERI D’ARTE
Artigianato
Tra Arte e Design
Anno 2010 - Numero 77
Marzo / Maggio 2010
www.mestieridarte.it
DIRETTORE RESPONSABILE:
Ugo La Pietra
DIREZIONE EDITORIALE:
Franco Cologni
COMITATO SCIENTIFICO:
Enzo Biffi Gentili, Gillo Dorfles,
Vittorio Fagone, Anty Pansera
REDAZIONE:
Alberto Cavalli
Federica Cavriana
Simona Cesana
Alessandra de Nitto
HANNO COLLABORATO:
Chiara Attolini, Enzo Biffi Gentili,
Paolo Coretti, Paolo Dalla Sega,
Daniele Lorenzon, Licia Martelli,
A
Sommario
pag.
5
Ugo La Pietra
EDITORIALE
Paolo Coretti
IL RUOLO
DELLE
ARTI
APPLICATE
OSPITI
INASPETTATI
TENDENZA
MOSAICO 2010
Simona Cesana
22
Chiara Attolini
6
INSERZIONI PUBBLICITARIE:
Fondazione Cologni
dei Mestieri d’Arte
GRAPHIC DESIGN:
Emanuele Zamponi / Loveeman.com
EDITING:
AG Media S.r.l.
IL
GRANDE
GIOCO
UN PROGETTO DI:
pag.
13
LA FABBRICA
DEL RICICLO
pag.
26
Chiara Attolini
30
MODA CRITICA:
DUE ESPERIENZE
GENOVESI
Ugo la Pietra
GILLO DORFLES:
L’AVANGUARDIA
TRADITA
Licia Martelli
In copertina: Rivadossi,
“Custodia Neva”, 2009. Noce
18
UMANO VS
ANIMALEVEGETALE
36
Enzo Biffi Gentili
SULLA
LINEA GOTICA
42
UNA CATTEDRA
UNIVERSITARIA
DEDICATA
AI MESTIERI
D’ARTE
pag.
Simona Cesana
I codici
segreti di
battista
luraSCHI
48
PALOMA, UN NUOVO
SPAZIO DEDICATO AL
DESIGN ARTISTICO
54
Ugo la Pietra
pag.
58
IL MIDeC DI LAVENO
RIAPRE AL PUBBLICO
Federica Cavriana
65
70
Ugo La Pietra
GIUSEPPE
RIVADOSSI,
IL LEGNO
E LA SUA
POETICA
Daniele Lorenzon
Paolo Dalla Sega
CASA
PEDRINI,
CREMONA
ORGANI
74
Alberto Cavalli
ANDREA
BRANZI,
RITRATTI E
AUTORITRATTI DI
DESIGN
pag. 78
Alberto Cavalli
OPEN
CARE
80
Franco Cologni
UN ANNO DOPO LA
NOSTRA AVVENTURA
pag. 88
Comitato tecnico e corrispondenti per le aree artigiane
Alabastro di Volterra
Irene Taddei
Ceramica sestese
Stefano Follesa
Marmo di Carrara
Antonello Pelliccia
Pietra Serena
Gilberto Corretti
Bronzo del veronese
Gian Maria Colognese
Ceramica umbra
Nello Teodori
Marmi e pietre del trapanese
Enzo Fiammetta
Pizzo di Cantù
Aurelio Porro
Ceramica campana
Eduardo Alamaro
Cotto di Impruneta
Stefano Follesa
Marmo del veronese
Vincenzo Pavan
Tessuto di Como
Roberto De Paolis
Ceramica di Albisola
Viviana Siviero
Cristallo di Colle Val d’Elsa
Angelo Minisci
Mosaico di Monreale
Anna Capra
Travertino romano
Claudio Giudici
Ceramica di Caltagirone
Francesco Judica
Ferro della Basilicata
Valerio Giambersio
Mosaico di Spilimbergo
Paolo Coretti
Vetro di Altare
Mariateresa Chirico
Ceramica di Castelli
Franco Summa
Gioiello di Vicenza
Maria Rosaria Palma
Oro di Valenza
Lia Lenti
Vetro di Empoli
Stefania Viti
Ceramica di Deruta
Nello Teodori
Intarsio di Sorrento
Alessandro Fiorentino
Peperino
Giorgio Blanco
Ceramica di Vietri Sul Mare
Massimo Bignardi
Legno di Cantù
Aurelio Porro
Pietra di Apricena
Domenico Potenza
Vetro di Murano
Marino Barovier
Federica Marangoni
Ceramica faentina
Tiziano Dalpozzo
Legno di Saluzzo
Elena Arrò Ceriani
Pietra lavica
Vincenzo Fiammetta
Ceramica piemontese
Luisa Perlo
Legno della Val d’Aosta
Franco Balan
Pietra leccese
Luigi De Luca
“Ceramiche
faentine”, serie di
vasi realizzati da Bottega
d’Arte Ceramica Gatti (Faenza)
e dipinti a mano dall’autore, 2009
Ugo La Pietra / EDITORIALE
Il RUOLO
DELLE ARTI APPLICATE
Tante nuove energie creative si
stanno impegnando a rivalutare
le arti applicate, l’artigianato
artistico e la manualità. Ma
pochi si stanno rendendo conto
dell’importanza di questa recente evoluzione nel mondo della
creatività.
Siamo tutti sempre più convinti
che stiamo attraversando un
periodo di transizione e che
il “mercato globale, la cultura
globale, l’informazione globale”
porteranno notevoli cambiamenti nel nostro modo di vivere
e pensare.
Rimane il fatto che un periodo
di transizione vuol dire anche
un tempo in cui non tutto scorre
velocemente e facilmente: molti
giovani (e meno giovani) creativi sono oggi sempre più impegnati a fare resistenza, anche
se sembra che il loro operare
non riesca a spostare minimamente la convinzione dei più,
secondo la quale questo processo verso la “grande globalizzazione” sia ormai inarrestabile.
Soprattutto l’arte sembra ave-
re il primato di anticipare la
nuova era: crescono le opere
multimediali, sempre più spinte verso esperienze virtuali, e
il sistema globale dei musei
afferma sempre di più un mercato internazionalista, al di là
di esperienze localistiche e di
espressioni nate con la volontà
di non partecipare al grande
circuito mediatico.
Le reazioni non sono semplicemente le spinte che vengono da
chi crede di poter contrapporre
al mondo “virtuale” un mondo
fatto di valori “reali” ma anche
da chi recupera le capacità di
espressione manuale, le diversità culturali territoriali (genius
loci), le varie forme di comunicazione…
Sembra quindi che la cultura
materiale, attraverso la riscoperta delle arti applicate, possa
venirci in aiuto.
Spesso la cultura materiale
attinge le proprie risorse dalla
natura, quella materia sempre
più compromessa, stravolta e
modificata dall’inquinamento
delle nuove frontiere biologiche,
dal sistematico impoverimento
del territorio.
Quindi i valori da promuovere
dobbiamo cercarli dentro di
noi, proponendo il nostro corpo
come “luogo ideale per tutti gli
scenari di narrazione esistenziale”.
Così “le pratiche artistiche” che
esaltano sempre di più la comunicazione multimediale e gli
artisti la cui più alta ispirazione
è entrare nel “sistema delle
arti” ci ricordano anche che il
recupero della “nostra normalità umana” dovrebbe passare
attraverso esercizi capaci di
esaltare l’integrità della figura
umana all’interno di un contesto
sempre più “antiumano”.
Le arti applicate, con la trasformazione della materia attraverso l’uso delle proprie mani,
possono esaltare la nostra corporeità verso “la diversità”, la
caratteristica fondamentale per
contrastare gli aspetti peggiori
della globalizzazione.
5
Simona Cesana
OSPITI
INASPETTATI
Una mostra che fa dialogare il presente e il passato del design
e dell’arredamento, proposta a Milano nell’ambito degli eventi
legati al Salone del Mobile
6
Nella pagina precedente: panca
“Evolution Bench”, 2008 di Nacho
Carbonell, allestita negli spazi
del Museo Bagatti Valsecchi (foto
Pasquale Formisano)
In questa pagina: armadio
“Valises”, 2008 di Maarten De
Ceulaer (Casamania) a Villa
Necchi Campiglio (foto Luca
Fregoso)
Alcuni edifici milanesi di grande rilevanza storico-artistica quali
il Museo Bagatti Valsecchi, la Casa Museo Boschi Di Stefano,
Villa Necchi Campiglio e il Museo Poldi Pezzoli presentano, con
la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di
Milano e il Cosmit, in occasione del Salone del Mobile 2010, la
mostra “Ospiti inaspettati. Case di ieri, design di oggi”; mostra che
può considerarsi anomala rispetto al consueto vasto panorama
di esposizioni sul design. Di fatto è una rara occasione di vedere
gli oggetti di design che dialogano con altri oggetti in ambienti
abitativi. Un tempo tutto ciò rappresentava il modello dei “musei
dell’ammobiliamento” ma oggi, in un momento in cui il design
sembra essere sempre più lontano dalla cultura dell’abitare, questa
mostra riporta all’attenzione del pubblico un modello espositivo che
8
Sedia “Lazy ‘05”,
2005 di Patricia
Urquiola (B&B
Italia) e seta da
tavola “Élévation
sur table”, 2008 di
Tomàs Alonso in
una stanza di Casa
Boschi Di Stefano
(foto Pasquale
Formisano)
Divano “Gobbalunga”, 2007 di Giovanni
Levanti (Campeggi), sgabelli “Cork family”,
2004 di Jasper Morrison (Vitra) a Casa
Boschi Di Stefano
(foto Pasquale Formisano)
10
propone nuove letture.
In un ordinamento calibrato,
con un allestimento
sostanzialmente impercettibile,
in un insieme “spontaneamente”
sorprendente, la mostra si pone
quindi l’obiettivo di far dialogare
gli oggetti contemporanei (segni
del nostro tempo) con quelli di
epoche trascorse, proponendo
una lettura parallela tra
l’eccellenza dell’alto artigianato
del passato e le caratteristiche
di qualità della produzione
contemporanea. Così il design,
fatto di oggetti che guardano
al presente e qualche volta
al futuro, si misura con la
storia di quattro “case-museo”
mescolandosi con le opere e
gli spazi determinati nel tempo
dalle scelte dei fondatori e
arrivando a confrontarsi con le
meraviglie di questi luoghi unici
e ricchi di storia e di modelli
abitativi del passato. I curatori
della mostra hanno selezionato
oggetti da esporre (guardando
alle ultime esperienze del
design) non solo riferendosi
agli autori, ma anche alle
nuove tipologie di oggetti e alle
recenti esperienze orientate alla
piccola produzione sempre più
vicine alle arti applicate, in un
rinnovato coinvolgimento con
l’artigianato artistico.
In mostra quindi troviamo
Lampada da terra “Horse lamp”, 2006 di
Front, Moooi, nel Museo Poldi Pezzoli
(foto Luca Fregoso)
- vicino agli arredi lignei, ai cofanetti in avorio, alle maioliche, ai
calici e fiaschi in vetro, alle forbici, chiavi e cavatappi della Casa
Museo Bagatti Valsecchi – le opere delle Studio Gorm, di Nacho
Carbonell, la poltrona “Tuttitubi” di Lorenzo Damiani. Al Museo Poldi
Pezzoli, nato da un progetto globale a cui avevano lavorato i migliori
architetti, pittori, decoratori e intagliatori milanesi dall’Ottocento
agli anni Cinquanta, troviamo accanto agli esempi di eccellenza
del passato anche la lampada “Thing” di Front, il vassoio di Fabio
Novembre, i vetri di Anna Gili, il divano di Gaetano Pesce. Nella
Casa Museo Boschi di Stefano, che raccoglie un’importante
collezione di opere del Novecento (oltre duemila) troviamo tra i vari
oggetti esposti la sedia dei Fratelli Campana e quella di Patricia
Urquiola. Infine, nella Villa Necchi Campiglio, accanto alle opere
firmate da Portaluppi, Ulrich, Albini-Palanti, Buzzi, troviamo la
poltroncina “Kana” di Grcic e la lampada fucile di Philippe Starck.
Una mostra quindi che con grande coraggio mette a confronto
la creatività e l’abilità artigianale del passato con le più recenti
esperienze del nostro design.
Ospiti inaspettati.
Case di ieri, design di
oggi
Milano, 11 marzo – 2 maggio
2010
Museo Bagatti Valsecchi, Casa
Boschi di Stefano, Villa Necchi
Campiglio e Museo Poldi Pezzoli
A cura di Beppe Finessi
con la collaborazione di
Cristina Miglio,
Immagine coordinata di
Italo Lupi.
Realizzata in collaborazione con
l’Assessorato alla Cultura del
Comune di Milano e Cosmit
11
In collaborazione con :
d’Arte, Associazione Italiana dei Musei della Stampa e della Carta
Cerchiamo Talenti Nel Settore Cartario
-
.
3
a Edizione del Premio alla Qualità Italiana
nel Settore Cartario
La Carta è oggi più che mai protagonista della green economy e rappresenta
luppo sostenibile. A questo variegato universo è dedicato il Premio Carte.
4 Le Categorie:
Territorio, Tecnologia, Talento, Tradizione
Scadenza Bando 21 Maggio 2010
www.symbola.net e www.comieco.org
Symbola - Fondazione per le Qualità Italiane
tel. 0645430941 fax. 0645430944 e-mail: [email protected]
IL
GRANDE
GIOCO
Una grande mostra su tre
sedi espositive per raccontare
le forme d’arte in Italia tra il
1947 e il 1989
Lampada
“Falkland” di
Bruno Munari per
Danese, 1964
(in mostra alla
Rotonda di via
Besana, Milano)
13
“Il Grande Gioco” è una grande mostra collocata in tre diverse sedi
che cerca di rappresentare un lungo periodo, quello tra il 1947 e il
1989, in cui in Italia si sono avvicendate tante esperienze artistiche,
movimenti d’avanguardia, gruppi di tendenza. Un periodo ricco di
risultati relativamente ai nuovi mezzi espressivi, nuovi territori estetici e un’infinità di intrecci con le altre esperienze come l’architettura,
il cinema, il design, l’editoria, l’economia, l’industria, la fotografia, il
foto-giornalismo, il teatro, la televisione, il fumetto…
Una mostra ampia e trasversale, dove dovrebbe esserci tutto ma
che sicuramente scontenterà molti perché il “tutto” è sempre più
ampio e complesso di come cerchiamo, anche con la migliore volontà, di rappresentarlo.
L’intenzione dei curatori è dunque quella di farci vedere una grande
rassegna di opere in cui sono evidenziati i ruoli, le esperienze, le re-
14
Compagnia Krypton, “Eneide”, 1983
photo Sferlazzo-Lucchese. GAMeC di
Bergamo,1973-1989
Luciano Fabro, “L’Italia d’oro”, 1971,
collezione privata
lazioni, ma soprattutto le interazioni, le rispettive e reciproche
influenze tra varie tendenze e
aree disciplinari.
Dal futurismo che intendeva
entrare nei vari campi espressivi alle correnti figurative e di
astrazione del dopoguerra.
In sintesi, le mostre esplorano
tre periodi: dal 1947 al 1958, in
mostra al Museo di Arte Contemporanea di Lissone, con
gli artisti di Forma 1 e Origine
dove le opere di Accardi, Dorazio, Perilli, Munari, Dorfles,
Fontana, Crippa, Dova, Baj si
affiancano agli oggetti di design
come la Lettera 22 di Olivetti, la
Lambretta e la Vespa o la Fiat
500 e alle grandi architetture di
quel periodo come il Pirelli o la
Torre Velasca.
Nel periodo tra il 1959 e il 1972,
in mostra presso la Rotonda di
via Besana a Milano, si distinguono artisti che hanno fatto
parte di movimenti significativi
quali “gli oggettuali”, “i cinetici”, “i segnici”, “i programmati”
(da Manzoni e Castellani fino
a Alviani e Colombo) fino alla
nascita del gruppo 63 in letteratura e alla formazione dell’Arte
Povera. Accanto a queste opere
troviamo le più significative
esperienze del cinema, da
Antonioni a Monicelli, da Rossellini a Fellini, del teatro e della
musica e la testimonianza delle
varie riviste di estetica, arte, architettura che hanno contribuito
in quegli anni alla crescita del
dibattito socio-culturale come Il
Verri, Collage, Nuovi Argomenti.
La sezione ospitata dalla GAMeC di Bergamo (periodo tra il
1973 e il 1989) mette in evidenza il passaggio dal movimento
degli artisti concettuali a quello
15
Enrico Baj, “Parata”, 1962 (in mostra alla
Rotonda di via Besana, Milano)
Poltrona “Blow” di LomazziD’Urbino-De Pas, 1967 (in
mostra alla Rotonda di via
Besana, Milano)
della Transvanguardia degli anni Ottanta con opere di Paolini, Chiari, Fabro, Mario Merz e molti altri, affiancate agli oggetti di Ettore
Sottsass e Vico Magistretti o alle architettute di Fuksas, Natalini,
Portoghesi e Purini, il tutto arricchito da film d’autore di Pier Paolo
Pasolini e di Federico Fellini, oltre che da testimonianze relative a
importanti opere teatrali.
Il manifesto della mostra
Il Grande Gioco
Forme d’arte in Italia 1947-1989
dal 24 febbraio al 9 maggio
Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (1947/1958)
Rotonda di via Besana, Milano (1959/1972)
GAMeC di Bergamo (1973/1989)
A cura di Luigi Cavadini, Bruno Corà, Giacinto di Pietrantonio
Promosso dalla Regione Lombardia, Assessorato alla Cultura, in
collaborazione con Comune di Lissone, Comune di Bergamo,
Comune di Milano
www.ilgrandegioco.it
www.regione.lombardia.it
17
Ugo la Pietra
GILLO
DORFLES:
L’AVANGUARDIA
TRADITA
Una grande antologica a
Palazzo Reale di Milano con
dipinti, disegni, ceramiche
e gioielli dagli anni del
Movimento Arte Concreta
ad oggi
La mostra di Gillo Dorfles,
curata da Luigi Sansone
e accompagnata da un
importante volume edito da
Mazzotta (con testi dello
stesso Sansone e di Claudio
Cerritelli), rappresenta il giusto
riconoscimento (anche se un
po’ tardivo: Dorfles compie in
aprile 100 anni) che la città di
Milano rivolge alla sua lunga
attività come uomo di cultura
(semiologo, saggista e teorico)
e oggi come artista tra gli artisti.
Dorfles è sempre stato un uomo
curioso e attento a tutti i segni
della nostra società, dentro
e fuori al sistema dell’arte,
sapendo leggere quegli aspetti
secondari e periferici attraverso
quegli elementi che anticipano i
mutamenti del sistema, proprio
perché non ancora inseriti nella
18
“Senza titolo”, 1944, terracotta
dipinta, firmata e datata sul
fondo “Gillo 44”, collezione
dell’artista
sua logica. La sua importante attività di saggista, la sua disponibilità
nei confronti di tutti gli artisti meritevoli (disponibilità che si è
espressa nelle tante presentazioni), la sua capacità di divulgatore
delle esperienze che si andavano avvicendando nel mondo
dell’arte al di fuori dei nostri confini, è oggi arricchita anche dalle
sue pitture e disegni, opere che dimostrano il piacere che Dorfles
ha sempre espresso nell’uso del segno e dei colori, quasi sempre
luminosi ed eccitanti. C’è tanto gioco e ironia nelle sue opere, un
atteggiamento che non facilita il confronto della sua pittura con
quella di alcuni mostri sacri dell’arte, anche se si riscontrano delle
“L’orecchio di Dio”, 1996,
acrilico su tela, 180 x 200 cm.
Collezione privata
19
Senza titolo, 2009. Spilla in argento 925, fusione a cera persa e
interventi manuali, 7,5 x 6,3 cm. Realizzata per San Lorenzo Srl,
Milano
affinità con Arp. Forse le sue
“figure” (che Dorfles rifiuta
di collocare all’interno della
pittura figurativa) sono più
vicine a Mirò e Calder, due
artisti astratti/figurativi in cui il
gioco è elemento caratteristico
della ricerca: figure che Dorfles
esplora con una appassionata
attitudine nei confronti di certe
misteriose anomalie psichiche.
Ma il lavoro di Dorfles è così
carico di segno e colore che
quasi con naturalezza è
passato dalla tela alla ceramica,
dal mosaico al gioiello. Già
20
Senza titolo, 1947. Terracotta dipinta, 16 x 8 x 8 cm.
Collezione dell’artista
nel programma del MAC e
poi in una serie di espressioni
del gruppo storico erano
apparse indicazioni esplicite di
un’interpretazione del processo
artistico con la produzione
(arte applicata all’industria,
al disegno industriale, etc);
tentativi che avrebbero dovuto
costituire il punto di partenza
per le ricerche di integrazione
tra le arti. Non stupisce quindi
la disponibilità e la disinvoltura
con cui Dorfles si avvicina
recentemente alle arti applicate
e alle tecniche manuali, dando
senso e valore al contributo
artigianale. Ecco quindi: le
ceramiche realizzate nel
Laboratorio Ernan di Albissola,
le mattonelle in terracotta
realizzate a Gala di Barcellona
(Messina), le spille in argento
progettate per San Lorenzo
(Milano) e i mosaici di Villa
Rosnati ad Appiano Gentile
(Como). Opere che esprimono
la fantasia e la libertà creativa
di Dorfles e la sua passione per
i “divertimenti” cromatici.
Gillo Dorfles davanti alle sue opere all’inaugurazione della mostra Kandinsky e l’astrattatismo in Italia. 1930-1950, a cura di Luciano
Caramel, Milano, Palazzo Reale, 2007
Senza titolo, 2009.
Pennarello su carta,
22 x 28 cm. Collezione
privata
GILLO DORFLES:
L’AVANGUARDIA TRADITA
dal 26 febbraio al 23 maggio
Mostra a cura di Luigi Sansone
Promossa dal Comune di
Milano – Cultura
Una produzione di Palazzo
Reale e della Fondazione
Antonio Mazzotta
Palazzo Reale, Milano
Piazza del Duomo 12
21
Paolo Coretti
TENDENZA
MOSAICO 2010
A Pordenone, la terza edizione della fiera “Tendenza Mosaico”
propone per il secondo anno consecutivo il concorso
internazionale “Mosaico & Architettura” e la rassegna “Mosaico
& Design”
Anche quest’anno si terrà a
Pordenone “Tendenza Mosaico”; le date previste sono 2225 aprile. Si tratta della terza
edizione della manifestazione
fieristica che, unica nel suo
genere, vede riunite le migliori
aziende artigiane del settore
musivo, la Scuola di Mosaico
di Spilimbergo, i produttori
delle materie necessarie al
fare mosaico e, nel medesimo
settore, il mondo della sperimentazione artistica applicata
al campo dell’arte, dell’artigianato e dell’industria.
Accanto alla mostra dedicata
alla seconda edizione dell’ormai famoso concorso internazionale “Mosaico & Architettura” - premio che, promosso
da Pordenone Fiere e dall’Associazione Culturale degli
Architetti della Regione FriuliVenezia Giulia, lo scorso
anno ha visto premiata la città
francese di Grasse, l’architetto greco Alexandro Tombatzis
e l’architetto friulano Guido
22
Gianmaria Colognese, “Il
mese di Maggio”, bozzetto del
vaso ideato per la rassegna
“Mosaico & Design”
Esecuzione
da parte
di una
mosaicista
del vaso
ideato da
Stefano Jus
e dedicato
al mese di
febbraio per
la rassegna
“Mosaico &
Design”
Attività didattica presso la Scuola di
Spilimbergo per la riproduzione di un
mosaico pavimentale ritrovato in Anatolia
e risalente all’VIII secolo a.C.
Foto di Federico Fazzini
24
Gallet - la Scuola di Spilimbergo mostrerà, nell’ambito di un percorso didattico senz’altro stimolante, la tecnica musiva applicata
alle pavimentazioni. Si potrà apprezzare la ricostruzione di antichi
pavimenti ritrovati in Anatolia, di lacerti di pavimenti romani, barbarici e medioevali per poi vedere, in una sorta di laboratorio attivo,
il procedimento costruttivo di pavimenti appartenenti allo splendido periodo che, nel corso del Settecento e dell’Ottocento, ha dato
origine al terrazzo alla veneziana fino a considerare le nuove recentissime ricerche tecnologiche legate al mondo del multiplo d’arte o
della semplice serializzazione
decorativa.
Si terrà anche la seconda edizione della rassegna “Mosaico
& Design”, che dopo il successo
di visitatori e di critica ottenuto
nel 2009 e l’ormai buon risultato commerciale riconosciuto
agli oggetti presentati in quella
occasione, vedrà esposta una
collezione di vasi da tavolo
ciascuno dei quali dedicato
ad un diverso mese dell’anno.
Realizzati in collaborazione
da artisti e maestri mosaicisti
spilimberghesi e ravennati, i
vasi riassumeranno dal punto
di vista decorativo diversi modi
di operare nel campo dell’arte e
del fare mosaico e costituiranno
senz’altro uno stimolo alla sperimentazione nel settore musivo
applicato alla cultura dell’oggetto. Vedremo le figure ieratiche
che, pensate per la superficie
del vaso da Ugo Marano e tra
loro sovrapposte e compenetrate come a descrivere una metamorfosi, illustreranno i primi
incerti segni del cammino del
nuovo anno. Accanto alla fantasmagorica e carnevalizia visione del mese di febbraio, ideata
da Stefano Jus e tradotta in
mosaico dagli allievi della Scuola di Spilimbergo, sarà possibile vedere il caleidoscopico e
coloratissimo vaso “Il mese di
Maggio” realizzato da Friul Mosaic su progetto decorativo di
Gianmaria Colognese. Ma ancora, in rapida sequenza, farà
parte della rassegna il vaso con
i grandi fiori che, realizzati con
procedimenti quasi industriali
in mosaico ceramico dal laboratorio Guizzo su disegno di
Paolo Coretti, saranno dedicati
al mese di giugno e alla poesia
seriale di Andy Warhol; il vaso
progettato da Ugo La Pietra per
le tessere di Luciano Petris con
il segno zodiacale che, in riferimento al mese di novembre,
vuole essere nello stesso tempo
classico ed ironico; la galassia
e il mondo astrale delle notti
di luglio disegnate da Giovanni Cavazzon per il vaso che
sarà realizzato in mosaico da
Giuliano Rossi e, infine, i vasi
ideati da Flavio Variano, Stefano Zuliani, Rosanna Mandalà,
Paolo Furlanis, Aldo Ghirardello
e Paolo Falaschi.
Anche quest’anno i visitatori di
Pordenone Fiere troveranno
affascinante il rutilante e coloratissimo mondo del mosaico e
dei suoi attori, e contribuiranno
a fare di questa manifestazione un punto di riferimento
internazionale per coloro che
comprendono il mosaico tra le
ragioni della loro cultura.
TENDENZA MOSAICO
Tecnologie, progetti e materiali
del settore Mosaico
Tendenza Mosaico è l'unico
appuntamento nazionale
sull'arte musiva.
dal 22 al 25 aprile 2010
Pordenone Fiere , Pad. 7
V.le Treviso 1 - 33170
Pordenone - Italia
tel.0434 232111
www.tendenzamosaico.it
25
Chiara Attolini
LA FABBRICA
DEL RICICLO
A Genova un progetto che, rieducando al rispetto dell’ambiente
e delle risorse, raggiunge anche obiettivi di carattere umanitario e
sociale
Chaise - Longue e poltrona in cartone –
“Ricicletta”
26
Che l’arte sia spazzatura potrebbe non risultare un’offesa se
lo dite a “quelli” della Fabbrica del Riciclo: un ex capannone
industriale nell’area di Campi – periferia genovese, un passo da
Ikea – dove artigiani dipendenti di AMIU – Azienda Multiservizi e
di Igiene Urbana – sono impegnati a restaurare mobilia e oggetti
che i cittadini buttano nel cassonetto, o meglio portano all’Isola
Ecologica. Oggetti di uso comune che vengono riproposti su base
d’asta, recuperati alla loro originaria funzione. Armadi, credenze,
sedie, poltrone e divani, comodini e letti, ma anche vecchie
macchine da cucire, mitiche macchine da scrivere, valigie (quelle
in cartone), bauli (qualcuno ancora con il timbro di una datata
spedizione e l’interno rivestito in carta fiorentina, un po’ ingiallita ma
sempre buona) e poi ancora
specchi, giocattoli, attrezzi da
palestra, damigiane “spogliate”
dell’impagliatura e trasformate
in vasi da fiori: c’è un po’ di
tutto alla Fabbrica, un po’ di
tutto come nelle vecchie case
delle nonne. E in effetti è un po’
anche una fabbrica di emozioni:
una volta entrati ci si immerge
in uno spazio senza tempo; un
mondo surreale dove gli stili si
mescolano, si sovrappongono,
dove i ricordi si rincorrono, tra
case di campagna, soffitte,
mercatini d’antiquariato,
infanzia trascorsa a giocare
con bambole ancora bambole,
cavallini di legno, formine
perché i bambini erano bambini
come quelli che l’acquisto di
uno di questi “riciclati oggetti”
può contribuire a curare e,
speriamo, a salvare.
Il ricavato delle aste, infatti, che
si tengono il primo sabato di
ogni mese, viene interamente
devoluto all’Unicef per il
progetto “Uniti per i bambini,
uniti contro l’Aids”. Di fatto gli
oggetti restano di proprietà
dell’AMIU solo fino a quando
stanno dentro il laboratorio
annesso alla Fabbrica del
Riciclo; una volta entrati nello
spazio espositivo vengono
ceduti a Unicef alla cifra
simbolica di un euro mensile.
Una pratica burocratica che
consente a quest’ultima
struttura di emettere regolare
ricevuta all’acquirente finale che
potrà, così, detrarre la spesa
dalla dichiarazione dei redditi.
“È un progetto pilota” – spiega
Massimo Bizzi, Dirigente Servizi
Territorio AMIU – “mirato a
rispondere a più esigenze
sociali: rieducare al rispetto
per l’ambiente e le risorse;
raccogliere fondi per attività
benefiche e di volontariato;
impiegare al meglio personale
dell’azienda, altrimenti e per
ragioni varie, poco produttivo”.
In sostanza gli oggetti
ingombranti che, da tempo,
occorre portare nelle apposite
isole ecologiche, una volta
arrivati a destinazione vengono
selezionati: se irrecuperabili,
vengono smontati in modo da
differenziare lo smaltimento
dei singoli pezzi (il legno viene
triturato, plastica e ferro riciclati
così come il vetro); se in buono
stato, restaurati nel laboratorio
della Fabbrica e messi in
vendita.
“Molti acquisti vengono fatti
da extracomunitari e da
giovani coppie, con pochi
soldi da spendere e la voglia
di personalizzare le proprie
abitazioni” – racconta Tonito
Magnasco, Responsabile
del Settore Impianti Raccolta
Differenziata per AMIU – “Ma
dal 2007, l’anno in cui abbiamo
lanciato l’iniziativa ad oggi, i
nostri clienti si sono sempre
più differenziati: ci sono
appassionati di interior design
alla ricerca di pezzi autentici
e rari; amanti del vintage;
semplici curiosi e hobbisti che
L’Interno dello spazio espositivo
27
L’interno dello spazio espositivo
cercano qui un buon affare,
qualcosa da risistemare e,
magari, da reinventare”.
Il valore aggiunto di questo
progetto sembra essere la
capacità di stimolare creatività,
dentro e fuori la Fabbrica,
grazie anche all’impegno
di promoter attenti a fare
conoscere questa realtà e a
innescare sinergie con altri
soggetti per creare circoli
virtuosi per produttività e
visibilità data a chi, di volta
in volta, prende parte ad un
progetto. È nato, così, ad
28
esempio, l’Angolo del Rifatto:
settore espositivo dove trovano
spazio gli oggetti artigianali o
di design prodotti con materiali
riciclati. C’è la “Ricicletta”,
bicicletta realizzata in alluminio
riutilizzato; la chaise-longue e
la sedia in cartone; la poltrona
ottenuta dalla camera d’aria
della ruota di un camion
rivestita con tela di jeans,
ovviamente usati. E per esaltare
le potenzialità dei materiali di
scarto, la Fabbrica ospita anche
opere di artisti che utilizzano
prodotti di riciclo. È il caso della
scultura in vetro della francese
Nordine Sajot, “M3”, ottenuta
da barattoli pressati a caldo e
assemblati insieme.
L’attenzione all’ambiente e al
sociale si sviluppa non solo con
la convenzione con l’Unicef,
rinnovata per tutto il 2010,
ma anche attraverso singole
iniziative come quelle delle
cinquanta biciclette da spinning
regalate alla Fabbrica da
Virgin in occasione del rinnovo
attrezzature e vendute all’asta
per 50 euro l’una. Il ricavato
è servito a finanziare l’arredo
pubblico del quartiere popolare
Diamante, sulle alture genovesi,
un terribile e ormai riconosciuto
errore urbanistico degli anni
passati, un dormitorio senza
servizi dove a farla da padrone
sono il disagio e la delinquenza.
E proprio per cercare di porre
rimedio agli errori del passato,
l’impegno di “quelli” della
Fabbrica si dipana tra le fila dei
più giovani con visite guidate
al laboratorio e all’esposizione
L’interno del laboratorio
per le scolaresche. “È
dall’educazione dei piccoli
che possiamo sperare di
cambiare la società” – dichiara
il responsabile della struttura,
Magnasco – “ed è per questo
che investiamo molto del
nostro tempo per accogliere
le classi e spiegare ai ragazzi
la necessità di non sprecare
risorse, di rispettare l’ambiente,
di imparare ad aggiustare e
a non buttare, l’importanza
di essere fantasiosi, creativi,
e che questa creatività sia
accompagnata da un saper fare
che è anche manualità”. Proprio
per favorire il radicarsi di questa
rinnovata cultura artigianale,
profondamente legata ad
un vivere eco-sostenibile, la
Fabbrica ospita Il centro del
Riciclaggio Creativo, REMIDA,
struttura che promuove una
cultura pedagogica attenta
alle capacità creative dei
bambini e dei ragazzi, aiutati a
sviluppare una sensibilità civica
contraria allo spreco attraverso
laboratori nei quali materiali
recuperati vengono messi a
loro disposizione per giochi e
creazioni.
La Fabbrica del
Riciclo
Via Greto di Cornigliano, 10
Genova
è aperta il primo sabato del
mese dalle 9 alle 13
www.fabbricadelriciclo.it
[email protected]
29
Chiara Attolini
Foto di Federico Fazzini
MODA CRITICA: DUE
ESPERIENZE GENOVESI
Ricic-labò e Tobe Myself, due marchi sartoriali creati da tre giovani stiliste
dopo anni di attività in laboratorio
L’esterno negozio 67eco-friendly fashion
shop. Al tavolo di un bar del centro storico
genovese le stiliste durante l’intervista
L’interno del negozio 67eco-friendly
fashion shop. In esposizione creazioni
Ricic-labò
32
In altri parti d’Europa è una realtà consolidata. In Italia la moda
critica si sta affermando solo in questi ultimi anni grazie allo spirito
responsabile e a una ferma consapevolezza della necessità di
percorrere nuove vie da parte di giovani stilisti e designer che
hanno saputo e sanno interpretare le esigenze di un certo mercato,
in controtendenza rispetto ai processi di globalizzazione.
L’affermazione del critical fashion, insomma, dipende da due
fattori: da una parte la domanda di una fascia sempre più larga di
consumatori attenti – anche nel vestire – non solo alle tendenze
e all’estetica, ma anche alle qualità etiche di abiti e accessori;
dall’altra la capacità di alcuni stilisti emergenti di interpretare questa
esigenza e di creare brand alternativi ai marchi globali del fast
fashion.
Mai come in questi tempi – così concentrati sull’immagine e
l’apparenza – “l’abito fa il monaco”, nel senso che veramente
acquista un valore culturale e simbolico: segno di omologazione per
chi sceglie il più sfrenato consumismo e – al contrario – espressione
della propria identità culturale, dei propri valori per chi abbraccia
una moda artigianale, “certificata” nei processi di produzione, di
filiera corta, di capi unici. In questo senso la moda critica si afferma
come vero e proprio stile, oltre i modi e le mode.
È proprio in tale contesto, non privo di contraddizioni e di nodi da
Interno del negozio 67ecofriendly fashion shop
e creazioni in tessuti naturali,
riciclati e tanto vintage remake
nel rispetto dell’ambiente e
della persona.
“L’attività di laboratorio” –
spiega Monica Berti – “ci ha
dato grandi soddisfazioni,
permettendoci di partecipare
ad esposizioni e fiere di settore
e di essere invitate a diverse
sfilate. Ora ci interessa avere
una vetrina per Genova: sulla
strada, per essere viste e
proporre il nostro messaggio
anche a chi non ha tempo o
spazio per essere informato
della necessità di ripensare
anche la moda”.
RICIC-LABÒ:
VINTAGE REMAKE
ED ECOFASHION
STYLE
sciogliere, che si colloca la produzione di Monica Berti, Sara Aurelio
e Carlotta Tilli, tre giovani stiliste genovesi, creatrici di due distinti
brand: Ricic-labò e Tobe Myself, due marchi interamente sartoriali
e made in Italy. Provenienti da diverse esperienze formative, le
tre creative – dopo anni di vita di laboratorio – si sono riproposte
al mercato della moda con un punto vendita nel cuore del centro
storico di Genova, in Piazza Cinque Lampadi. L’hanno chiamato “67
eco friendly fashion shop”.
Limitativo definirlo negozio per gli obiettivi che le tre creative si sono
poste: creare una eco-factory, punto di incontro per artisti e artigiani
emergenti, impegnati in settori complementari al loro, quello
dell’abbigliamento. Must per entrare nel giro: vivere eco-friendly e lo
si capisce appena si varca la soglia: pareti bianche, mobilio di riciclo
30 anni, Monica Berti e Sara
Aurelio, hanno iniziato per gioco
a creare i loro modelli, abiti
ironici, spesso cuciti a mano e
senza cartamodello, realizzati
riciclando usato vintage. Fare,
disfare, vestire, svestire,
sovrapporre, manipolare: una
giacca diventa un pantalone; un
pantalone un gilet; una giacca
o dei calzini, un top; centrini
di pizzo e camicie, abiti; un
processo creativo dove nulla
si distrugge ma tutto si ricrea.
Capi particolari dalle forme
bizzarre, pantaloni da uomo
capovolti e trasformati in abiti
da donna, sciarpe e foulard,
ma anche calzini e cravatte che
diventano vestiti, maglie, borse.
Il loro processo creativo,
in continua evoluzione, le
ha spinte a sperimentare
tagli nuovi, forme morbide e
irregolari, strutture e geometrie
33
Abito P/E 2010 realizzato reinterpretando
un vestito vintage – Ricic-labò
34
non convenzionali ottenute
sfruttando gli scarti della
produzione tessile.
Le asimmetrie, gli orli a taglio
vivo, le cuciture a punto vista
volutamente grossolane, i fili
pendenti, tessuti di pesantezze
diverse, i rammendi estetici,
sono alcuni esempi che
caratterizzano la manifattura
fortemente creativa.
“Sono i tessuti e l’usato a
suggerire, spesso, idee” spiega
Monica Berti. “Stravolgere
un abito usato non significa
distruggerlo, ma esaltarne tutte
le potenzialità. Nel nuovo ci
piace conservare le tracce di
quello che era stato quel capo
prima che finisse nelle nostre
mani”.
Il risultato sono capi unici,
ovviamente sartoriali,
assolutamente eco-sostenibili.
Modelli che sanno, in qualche
modo, ammiccare alle
tendenze, ma che si collocano
al di sopra della moda della
stagione, che vanno capiti,
interpretati e magari – chissà –
ancora stravolti per diventare
essi stessi espressione di uno
stile personale di vestire e
intendere la vita.
“Si produce troppo” – dice
Sara Aurelio. “Si spreca e si
butta: scegliere un nostro abito
significa farsi portatori di un
messaggio anti-consumista
e anticonformista. I nostri
non sono capi di moda, di
tendenza, ma pezzi unici, che
hanno la vocazione di essere
eterni. Per indossarli ci si deve
innamorare.”
Al loro attivo articoli su riviste
di settore, partecipazioni di
successo a fiere e sfilate
(Dressed Up critical fashion
show – Milano; Vintage Next
- Belgioioso, la fiera più glam
della moda d’epoca e del
remake; Fiera Milano City
“Fa’ la cosa giusta” – Sezione
Speciale Critical Fashion), una
collezione per le maschere del
teatro genovese dell’Archivolto,
le creative dell’Atelier Ricic-labò
sono arrivate al successo un
po’ per caso, grazie a un paio
di pantaloni da loro realizzato
e indossato da una amica alla
Vintage Selection di Firenze.
Creazione apprezzata dalle due
sorelle californiane fondatrici
del Compai Collective, nome
simbolo della sartoria creativa
contemporanea e del pezzo
unico eco-sostenibile.
TOBE MYSELF: STILE
AUTOREFERENZIALE
ED ECOSOSTENIBILE
“È qui, a Genova, la mia
città, che voglio cambiare
qualcosa”. Carlotta Tilli, 31
anni, esperienza nel settore
moda prima a Parigi, poi a
Barcellona, parla in maniera
semplice, come la sua faccia e
il suo look, incarnazione del suo
brand: “Tobe Myself – dice – è
un modo di essere e di vestire
che permette a ogni donna di
esprimere sempre se stessa.”
Abiti essenziali e perfetta
vestibilità, sono – nel concept
del marchio - la base dalla
quale partire per creare il
proprio stile, personalizzando il
proprio look attraverso la scelta
degli accessori.
Made in Italy in edizione limitata
(massimo 10 pezzi per colore
e materiale), confezionati
artigianalmente e con tessuti
di qualità, gli abiti Tobe Myself
sono eco-friendly perché
realizzati con stock di tessuti
riciclati, così da risparmiare sui
processi di produzione.
Anche la confezione dell’abito
è rispettosa dell’ambiente: una
polybag non in plastica, ma
nello stesso tessuto dell’abito,
un accessorio in più da
riutilizzare e non scartare.
“Tobe Myself è un fashion
concept atemporale che vuole
svincolarsi dai cambiamenti
repentini della moda,
proponendo un capo di qualità,
durevole nel tempo”, prosegue
la stilista che in una frase
riassume e spiega la logica
della sua linea, nata dopo
anni di studi e di esperienza
professionale nel settore moda:
“Ti insegnano che la moda è
appartenenza, l’imposizione
di un marchio, un fast&pay,
in definitiva omologazione.
E allora mi sono chiesta:
perché non stravolgere tutto?
Perché non dare a chi ne
sente la necessità strumenti
per esprimersi, per essere se
stessi?” L’abito, quindi, diventa
– non per consistenza del
tessuto, ma per forma – una
seconda pelle, la base naturale
(nel senso di ecologica) da
decorare come meglio si crede
per esprimere se stessi.
Abito P/E 2010 realizzato con tessuti di
scarto e bottoni vintage
35
Licia Martelli
UMANO
VS ANIMALE-VEGETALE
Questo il tema per il Fuorisalone 2010 di D.O.C./Dergano
Officina Creativa: il circuito della creatività applicata milanese
Caira Design, l’interno dell’atelier
Visitatori dell’edizione 2008.
Visitors at the 2008 edition.
Seduta realizzata da Falegnameria
Ecologica Bevilacqua
38
Le Officine Creative D.O.C. ripresentano la loro proposta di circuito
Fuorisalone alternativo: alla scoperta di alcune realtà creative milanesi in un quartiere della periferia storica Dergano-Bovisa. Il tema di
quest’anno indaga il rapporto tra mondo animale e vegetale, mondi
che sembrano vivere in armonia, dove l’unico elemento di disturbo
pare essere l’uomo, che ha con entrambi un rapporto controverso.
Vengono esplorati il mondo animale e vegetale nel complesso
rapporto con l’uomo che tende a trasformare e ridisegnare a sua
immagine gli elementi di questo mondo, ma allo stesso tempo è
sempre alla ricerca di una riconciliazione, di una fruizione emozionale di questi, di un avvicinamento armonico in ottica di una felice
convivenza più che di uno sfruttamento, con lo scopo di sentirsi
piccola parte di un tutto. Girando per le Officine D.O.C. si troveranno: un giardino di colori derivati da piante tintorie nell’Officina di Arte
e Natura; la ‘ceramica animalier’ nell’Officina di Ceramiche Puzzo;
piccoli elementi di prato da scrivania, insoliti animali da giardino e
paesaggi in ceramica nell’Officina di Ceramiche Libere!; abiti farfalla
con sete vintage nell’Officina di Caira Design; casette per piccoli
animali in carta riciclata nell’Officina di Ceebee; ‘GIARDINCANTO’,
piccole sculture ispirate alla natura ed ai suoi movimenti nell’Officina
di EfestoArt; piante carnivore
realizzate con i materiali della
costumistica teatrale prestati
al design nell’Officina di TIIS;
elementi d’arredo trattati con
materiali animali e vegetali nell’Officina 1380; sedute,
tavolini e librerie rivestiti con
pelli e scheletri di strani animali
in legno naturale, nell’Officina
di Lorenzo Crivellaro; animali
e vegetali dalla savana per le
decorazioni nell’Officina di Jole
Prato & Carlo Giordana.
Un insieme di prodotti originali e unici, frutto di un saper
fare tradizionale applicato alla
trasmissione dei valori estetici
contemporanei delle singole
realtà creative.
Una proposta di prodotti D.O.C.
che in questo quartiere sono
stati pensati e in questo quartiere vengono fatti utilizzando le risorse professionali del territorio,
costituendo un vero e proprio
circuito a km 0 della creatività
applicata. I prodotti dei Docs
sono inoltre presenti in prestigiose gallerie, concept stores e
case di tutto il mondo.
Una proposta che non si esaurisce con il ‘fuori salone’ ma
che prosegue tutto l’anno con
eventi, mostre, laboratori aperti
al pubblico: un vero e proprio
attivatore culturale per un quartiere dall’alta creatività diffusa,
nella aspirazione di utilizzare
la matrice della creatività per
caratterizzare e trasformare
un’area di Milano.
Il tema scelto dalle Officine
D.O.C. è anche un pretesto di
dibattito e scambio all’interno di
un gruppo multidisciplinare di
creativi che intrecciano esperienze, saperi e risorse con l’intento di riportare l’attenzione del
Fuorisalone su ricerca, contenuti e qualità insieme agli ospiti di
quest’anno: l’Associazione Ad
Arte, l’architetto Ugo La Pietra
e TheBagArt Factory. Il circuito
Fuorisalone D.O.C. sarà un’oc-
casione per esplorare un quartiere poco conosciuto anche
ai milanesi. Oltre alle mostre
allestite nelle singole Officine e
negli spazi di Madeproduction
Company e Madevents, di Via
Carnevali 24, il quartiere sarà
coinvolto dalle installazioni degli
artisti del TheBagArt Factory,
che nella loro sede di via Cevedale 5, presenteranno la loro
personale visione del design.
L’intento del D.O.C. è anche
quello di far emergere le eccel-
Stefano Puzzo
39
Manufatti del
laboratorio
Ceramiche
Libere!
TIIS, collana
D.O.C. fuorisalone
In occasione del Salone del
Mobile di Milano
lenze presenti nel quartiere e non solo in ambito di design.
Insieme alle visite delle mostre del Fuori Salone sarà possibile assaggiare il gelato artigianale di Misciolgo, in via Varchi 4, una vera
esperienza sensoriale; i menù a tema design nelle trattorie Ciboenò
di via Schiaffino 21 e Latteria Maffucci di via Maffucci 24, che offrono una cucina curata e originale; il “farinello” caldo di Dacri (il panettiere di piazza Dergano), solo per citare alcune delle proposte degli
esercenti presenti finora sulla mappa D.O.C.
Il gruppo Made, articolato in Madeproduction Company e Madevents, rispettivamente una casa di produzione cinematografica e
una di organizzazione di eventi, ospita quest’anno le mostre degli
ospiti D.O.C. nella propria sede a Dergano, una vecchia officina
recuperata ad uffici con un progetto dello studio Zanuso ed il teatro
di posa dove vengono inventate e costruite le scenografie per i set
cinematografici e spot pubblicitari famosi in tutto il mondo.
14-19 aprile 2010, h. 10-22
Zona Dergano-Bovisa
Informazioni e contatti:
Tel. +39 02 69901136
[email protected]
www.derganofficinacreativa.it
D.O.C./Dergano Officina
Creativa nasce da un’idea
dell’architetto Licia Martelli
Progetto e coordinamento:
Arch. Licia Martelli,
Arch. Sonia Occhipinti
41
Maxsiator, notturno della Margaria di
Pelagio Palagi a Racconigi
Enzo Biffi Gentili
SULLA LINEA GOTICA
Una riflessione in occasione dell’inaugurazione della
“Bottega Reale” al Castello di Racconigi, allestita con
arredamenti “neogotici”
“Vetrinegotiche”. Schizzi di Ugo La Pietra
44
Sono arruolato, non da oggi, tra i promotori e i difensori della
“linea gotica”. Chiariamoci subito però: intendo riferirmi a battaglie
culturali, non militari. Mi sono dedicato a questo tipo di lotta sul
terreno dell’architettura e delle arti applicate. Dove la guerra è più
dura, nonostante la cultura postmoderna del progetto sia onnivora,
e divori la storia, e si pensi, negli ultimi anni, di quanti stili l’architetto
o il designer si sia cibato (e quanti altri abbia citato). Ma mentre a
esempio il barocco impazza, sino al dolciastro rococò - i nomi di
autori e aziende li conoscono tutti: Alessandro Mendini e Ferruccio
Laviani, Maarten Baas per Moooi e Marcel Wanders per Cappellini,
e la superstar Philippe Starck, tra l’umile policarbonato di Kartell e
l’aristocratico Cristal de Baccarat, in un crescendo di frastuono, sino
allo spudorato Barock ‘n Roll di Sawaya e Moroni… tutte pompe
che ci hanno un po’ rotto i maroni - il gotico latita, rappresenta
un’eccezione in questa regola dell’ingestione-indigestione stilistica.
Curiosamente, perché l’immaginario gotico non è mai esaurito:
nella moda è revenant, ed è sempre straordinariamente fiorito
nella cultura di massa e in quella giovanile… Già tre lustri fa, a
metà degli anni ‘90, decisi di reagire a questa rimozione del gotico
nell’architettura e negli interni con Delirium Design, una mostra
allestita ad Abitare il Tempo a Verona, in modalità scenografiche
forse eccessive, quasi horror (per dovere, ospite d’onore era
Hans Ruedi Giger, premio Oscar per Alien, nelle meno note vesti
di mobiliere…). Recentemente invece un mio vecchio amico,
Schindler Salmerón,
Aluminium Hocker, 2008
Umberto Pecchini, ha deciso
di iniziare a ricostruire una
“linea gotica”. Che questa
volta passa per Racconigi, in
Piemonte. Pecchini è infatti
attualmente amministratore
delegato dell’Associazione Le
Terre dei Savoia, che riunisce
circa 50 comuni del cuneese
e ha sede nell’ex-gendarmeria
del Castello di Racconigi, il cui
parco è ornato dalle gemme
del complesso agricolo della
Margaria di Pelagio Palagi
e delle Serre del suo allievo
Carlo Sada, due capolavori
ambientali e architettonici
neogotici assoluti degli anni ’30
e ‘40 dell’Ottocento voluti da
Carlo Alberto. E l’Associazione
Le Terre dei Savoia ha deciso,
nell’ambito delle sue attività
di promozione del territorio, di
riappropriarsi di quell’eredità
neogotica, rileggendola e
contaminandola con sensibilità
contemporanea, sviluppando,
un progetto intitolato Neogotico
tricolore. Che parte con
l’arredamento di una “Bottega
Reale” che sarà installata nel
Castello di Racconigi come
nuovo Museum Shop. E qui si è
riaperta la questione della rarità
di prove neogotiche nel furniture
design, e la conseguente
necessità di una difficile ricerca,
svolta da chi scrive, che ha
però dato qualche frutto.
Così dal 10 aprile prossimo,
data di inaugurazione della
Bottega Reale a Racconigi,
sarà possibile vedere, tra
l’altro, arredi e complementi
più o meno arbitrariamente
45
Louise Campbell, “Spider Woman”, 2008.
Produzione Hay
Castello di Racconigi
Bottega Reale (Museum Shop)
Inaugurazione 10 aprile 2010
Via Morosini 3, 12035
Racconigi (CN)
tel. 0172-84005
www.castellodiracconigi.it
46
definibili come “neo-neogotici” come gli sgabelli del gruppo
svizzero-spagnolo Schindlersalmerón, le sedie Spider Woman
della danese Louise Campbell per Hay, la consolle dell’anglotedesco Peter Rolfe, le tappezzerie degli scozzesi Timorous
Beasties, e per quanto riguarda l’Italia un “trono” dello scomparso
architetto toscano Lanfranco Benvenuti, un tavolo-gazebo dello
Studio Kha dedicato al “genio del luogo”, Pelagio, per culminare in
una vera e propria “sala reale”, con tre vetrine del nostro Ugo La
Pietra, sempre fondamentale… Attenzione però: la caratteristica
principale di questo inedito assemblaggio consiste in un certo qual
minimalismo espressivo, in una evocazione dello spirito “costruttivo”
del gotico, in una spoliazione che cerca prudentemente di evitare
il perturbante… Insomma, per la prima volta dopo molti anni, da
questo Piemonte “provinciale”, si riafferma una tendenza destinata
a far nascere qualche polemica anche a livello internazionale.
Nessuna paura, va tutto bene: questa volta, ne sono sicuro, la “linea
gotica” tiene.
47
Un momento della realizzazione della
facciata di una credenza in noce
Simona Cesana
Giuseppe Rivadossi,
il legno e la
sua poetica
Un’intervista con un grande artista e artigiano del legno, che
scava il materiale per modellarne l’anima
“Blocco Galla”, 2007, tiglio
50
L’atelier di Giuseppe Rivadossi è un cantiere (ha sede a Nave
in provincia di Brescia) dove si elaborano progetti e realizzano
strutture e opere riguardanti l’abitare.
Il legno è la materia prima di questa bottega e viene usato nel
rispetto massimo delle sue caratteristiche.
Le tecniche fondamentali utilizzate sono l’assemblaggio per incastri
e la lavorazione a scavo da blocco.
L’operare di Giuseppe Rivadossi è tutto rivolto a ricostruire uno
spazio poetico domestico, a servire ed umanizzare lo spazio ed i
gesti quotidiani con nuove strutture che nascono da radici antiche.
Giuseppe Rivadossi, classe 1935, scolpisce e lavora il legno fin
dagli anni Sessanta; varie mostre ne documentano il lavoro, fino a
una grande antologica sul lavoro del suo atelier alla Rotonda della
Besana di Milano nel 1980 con presentazione dello storico dell’arte
Gianfranco Bruno e catalogo Electa.
In seguito, all’opera di Rivadossi, vengono dedicate numerose
mostre ed esposizioni, e molte testimonianze dal mondo della
cultura e dell’arte, tra cui quelle di Giovanni Testori, Ermanno Olmi,
Mario Botta, Philippe Daverio, ne sottolineano il valore e la forza.
Philippe Daverio, disegna con queste parole il ritratto di Giuseppe
Rivadossi:
“(…). Lavora e fa lavorare il
legno con l’abilità d’un pianista,
con il rispetto che gli uomini
della terra portano da sempre
alla materia della natura. Lo
fa con la tenacia di chi sa
che l’insistenza è il sentiero
d’accesso ai misteri della
poesia, che la quotidianità
del lavoro approfondisce il
sentire. E questo lavoro suo
consiste nel progettare e
nell’eseguire in un gesto unico,
che poi è quello della scultura,
un lavoro che si cimenta nel
muovere le masse del legno,
nell’incastrarle, nel delinearle.
Riesce così Rivadossi ad
essere al contempo ebanista
e carpentiere per una visione
dell’abitare dove l’individuo
torna a predominare sulle
astrazioni estetiche dello
spazio”.
Questo profilo mette ben in
luce il doppio binario su cui
Rivadossi si muove: la ricerca di
una poetica attraverso il lavoro
e il quotidiano rapporto con la
materia e la ricerca del giusto
equilibrio tra oggetti/architetture
e l’uomo.
Ho fatto qualche domanda
a Giuseppe Rivadossi, a cui
lui ha gentilmente risposto
chiarendo il suo pensiero e il
suo approccio al lavoro e al
progetto.
Vorrei mettere in luce il
pensiero di Rivadossi rispetto
alla “cultura dell’abitare”: che
ruolo hanno gli oggetti che ci
circondano nei nostri ambienti
domestici? Quale è la funzione
che devono assolvere, oltre a
quella primaria di contenere,
mostrare, proteggere (a
seconda della tipologia
specifica)?
Le attrezzature dell’habitat,
unite alle strutture murarie,
contribuiscono con le loro
forme e le loro dimensioni a
determinare uno spazio più o
meno umano e poetico.
In una casa, lo spazio non
deve vivere in funzione del
protagonismo di un oggetto o
dell’altro, ma considerando la
persona che ne fruirà e le sue
esigenze, anche le più sottili.
Abitare la casa o abitare la terra
è secondo noi la medesima
cosa: gli oggetti di cui ci
circondiamo devono consentirci
di ritrovare la nostra vera
identità nelle nostre azioni e
nelle nostre opere.
Il rapporto tra cultura del
progetto e cultura del fare:
quanto, nell’esperienza di
Rivadossi e dell’atelier, l’una
alimenta l’altra, e viceversa?
Per me dietro ogni progetto
c’è una cultura del fare e del
vivere, l’opera è sempre il frutto
Giuseppe Rivadossi
con i figli Emanuele
e Clemente
Credenza “Moissac” 2009, noce
nazionale
51
“Punta Krisa”, 1996, tiglio
52
di una stretta unità fra il sentire,
le necessità funzionali e le
possibilità tecniche.
La cultura del fare si può
realizzare se dietro al fare vi
è una visione della vita, dei
valori tanto forti da resistere
alle tendenze disgregative del
modello economico attuale.
Il progetto ed il fare non sono
due cose distinte, esistono l’uno
in virtù dell’altro: è un grave
errore considerarli distinti e
separabili.
Il lavoro “di bottega” è sempre
stato parte della cultura
dell’arte italiana; in questo
momento si trovano rari
esempi di “botteghe” nelle quali
giovani maestranze seguono
il maestro e da lui apprendono
l’arte. Rivadossi mi sembra
uno di questi rari esempi.
Se le istituzioni culturali ed
economiche del nostro Paese
investissero sulla promozione
di questo tipo di crescita
professionale si potrebbero
creare migliori opportunità
di lavoro per le nuove
generazioni?
La cultura antica del lavoro
ha avuto sempre delle grandi
botteghe. Oggi però questo
straordinario patrimonio di
conoscenza, di capacità
e di senso del lavoro è
completamente scomparso.
Sussistono ancora alcune code
nostalgiche e dilettantistiche,
prive però di quella conoscenza
del proprio tempo e della storia
le cui proposte sono surreali e
prive di incidenza.
Quindi non lasciamo spazio
a sterili amori tardo-romantici
per mestieri perduti: mettiamo
sul tavolo della riflessione
non solo le nuove tecnologie
ma soprattutto le motivazioni
vere e profonde che ci fanno
progettare e costruire.
Educhiamo i giovani ad
inquadrare il frutto delle loro
azioni come effetti fisiologici
di ciò in cui credono, saranno
poi loro a realizzare nuove
professionalità.
Per quanto riguarda la
promozione, il riconoscimento
o un aiuto pubblico io non so
cosa significhi. Ho portato
avanti la mia proposta rivolta
a promuovere una dimensione
poetica nello spazio dell’uomo,
ho fatto questo con un mio
rigore, con le mie forze e con
il sostegno dei committenti
che hanno creduto e credono
in quello che facciamo. Non
è stato facile, ma mi sono
divertito.
Quali sono i prossimi programmi
dell’Atelier Rivadossi, anche in
vista del prossimo Salone del
Mobile?
Per il prossimo Salone del
Mobile noi presenteremo
nel nostro Atelier di
Nave gli elaborati
più recenti. Siamo sicuramente
abbastanza distanti da Milano,
ma crediamo che coloro che
sono veramente interessati
ci raggiungeranno anche
qui. Ci sarà poi in novembre
2010 una presentazione della
nostra proposta alla Facoltà
di Architettura di Ferrara,
promossa dalla stessa
università. La curiosità per
modalità “nuove”, progettuali
e realizzative sta crescendo
in quanto bisogno di aziende
manifatturiere e del design.
RIVADOSSI
Via Borano 25, traversa IV
25075 Nave (BS)
+39 030 2532773
www.rivadossi.net
Madia Intagliata
1979, tiglio
53
Daniele Lorenzon
PALOMA,
UN NUOVO
SPAZIO DEDICATO
AL DESIGN ARTISTICO
A Milano, un nuovo spazio/galleria organizzato per offrire oggetti
e servizi per gli amanti del design e dell’arte
In questa pagina pezzi di: Gastone
Rinaldi, Angelo Mangiarotti, Illmari
Tapiovaara, Charles Eames,Vico
Magistretti, Alfred Hendrickx
Nell’immagine alcune opere di Giotto
Stoppino, Verner Panton, Giovanna
Canegallo, Giò Ponti
56
Paloma nasce dopo alcuni
anni di lavoro e appassionato
impegno nel mondo del
design: prima lavorando per
il bookshop alla Triennale di
Milano e poi con la gestione di
Tingo Design Gallery, oltre che
con esperienze in vari studi
professionali tra cui quello di
Rodolfo Dordoni e di Roberto e
Ludovica Palomba.
Lo spazio che ho concepito è
quello di una galleria ampia e
confortevole che si propone
di diventare anche luogo di
incontro e officina di idee.
Già durante l’inaugurazione lo
spazio Paloma non ha deluso le
aspettative del folto pubblico di
appassionati e addetti ai lavori:
si è dimostrato vivace, versatile,
un po’ fuori dagli schemi
offrendo oggetti di design,
modernariato, arte (oggetti,
arredi, lampade, quadri,
stampe, fotografie, accessori,
…). Inoltre, ormai da diversi
anni propongo il noleggio di
opere di molti designer italiani,
da Sottsass a La Pietra, da
Mangiarotti agli Archizoom, a
Magistretti, Colombo, Ponti…
in questo senso l’attività della
galleria è rivolta anche a questo
tipo di scambio commerciale,
con la possibilità di consultare
la biblioteca di oltre 2500
volumi. Durante l’inaugurazione
è stata presentata anche una
mostra fotografica di Emanuele
Zamponi dal titolo “L’uomo
artigiano”: con questo progetto
Zamponi ha ricevuto il Premio
Giornalistico “Benvenuto
Cellini” – sezione Reportage
Fotografici, promosso dalla
Fondazione Cologni dei Mestieri
d’Arte. La ricerca fotografica
di Zamponi è rivolta alla
ricerca dell’identità personale
e della passione di varie
realtà artigianali presenti sul
territorio lombardo, attraverso
immagini che coinvolgono il
pubblico in un gioco che prima
nasconde e poi rivela l’identità
dei protagonisti: ritratti isolati,
volti per lo più sconosciuti
all’osservatore si manifestano
in un secondo momento grazie
al contesto in cui prende vita
la loro arte. Storie personali
di cultura artigiana raccontate
attraverso gli strumenti, i
laboratori, i volti: una tradizione
di qualità ed eccellenza
vista attraverso l’obiettivo
del fotografo. Un’ulteriore
dimostrazione di come Paloma
sia uno spazio aperto a varie
iniziative culturali che sappiano
aprire un dibattito attorno al
mondo del design e dell’arte,
indagando situazioni dove il
fare artistico e la progettazione
si incontrano per dar vita a
proposte uniche e interessanti
per la ricerca e la valorizzazione
dell’abitare.
Un ritratto della serie “l’Uomo Artigiano” di
Emanuele Zamponi
Paloma
Via G. Fiamma 12, Milano
lunedì-venerdì 10-13 / 14-18
Tel. 02/8728.1904,
Fax 02/8728.1905
[email protected],
www.palomaprops.com
57
Palazzo Perabò, sede del
MIDeC, si affaccia sul Lago
Maggiore a Cerro di Laveno
Mombello (VA)
Ugo la Pietra
IL MIDeC DI LAVENO
RIAPRE AL PUBBLICO
Incontro con Emma Zanella, nuovo direttore del Museo
Internazionale del Design Ceramico, in merito alle linee
programmatiche per il futuro di questa storica istituzione
Il cortile interno di
Palazzo Perabò,
sede del MIDeC
60
Domenica 7 marzo 2010 il Museo Internazionale del Design
Ceramico di Cerro di Laveno ha riaperto al pubblico dopo aver
ricevuto, nel dicembre 2009, il prestigioso riconoscimento regionale
a museo, che lo ha inserito nella rosa dei più significativi della
Regione, e dopo aver ultimata una prima parte dei lavori di
sistemazione e organizzazione degli spazi. Ciò che è più importante
è che il Museo si avvia a una nuova attività, per altro già annunciata
da alcune prime iniziative, sotto l’intelligente spinta del nuovo
direttore Emma Zanella. Alcune mostre come “Fuori Registro.
Attitudini concettuali nella ceramica italiana” in cui Emma Zanella
ha coinvolto otto giovani artisti per dialogare con il Museo e la sua
collezione, o “Giacomo Vanetti. L’ultima trasparenza. Memorie
della fabbrica trovata” (in corso fino al 16 maggio) a cura di Vittoria
Broggini, in cui l’artista rilegge l’attività della ceramica Richard
Ginori di Laveno Mombello attraverso le immagini, raccolte con
uno sguardo concettuale, dell’edificio della fabbrica abbandonata
da quasi venti anni, ma soprattutto il concorso internazionale
“Lungolago per l’arte” che si propone di selezionare annualmente
opere in ceramica da realizzarsi sul lungolago di Cerro di Laveno
Mombello, dimostrano il nuovo percorso intrapreso da questo
Museo. Il direttore Zanella risponde alle nostre domande chiarendo
Antonia Campi, “Brocca”, 1952,
realizzata da Società Ceramica
Italiana Laveno, collezione storica
del Museo
come, dopo il percorso degli
ultimi decenni che ha visto
la direzione di Reggiori e
Morandini, la volontà è di aprirsi
ad un livello più internazionale,
guardando alla ceramica nel
modo più aperto possibile.
Un atteggiamento che di fatto
vuole superare la dimensione
troppo spesso localistica dei
tanti Musei della ceramica
presenti nelle varie Regioni
d’Italia. L’apertura è auspicata
anche pensando al legame
tra la ceramica e il mondo del
design, già insita nel nome
stesso del Museo e che si
concretizzerà anche grazie
al collegamento che il Museo
sta avviando con la Triennale
di Milano. Alla domanda
61
Vincenzo Cabiati, “La figlia del poliziotto”,
2002, ceramica policroma, collezione
privata, Modena (installata nel loggiato)
62
d’obbligo “fino a che punto il
Museo riuscirà ad assolvere
le tre importanti attività
che distinguono l’impegno
di un vero Museo ovvero
acquisizione, promozione,
conservazione”, Emma
Zanella informa che circa
la conservazione è in atto
un piano di ristrutturazione
e quindi di sistemazione
(sostenuta attraverso
un’indagine preliminare del
Politecnico di Milano e grazie ai
finanziamenti della Fondazione
Cariplo) per il recupero dei
sottotetti (spazi indispensabili
per l’ampliamento), per
la sistemazione delle
barriere architettoniche, del
riscaldamento e dei servizi
igienici. Per quanto riguarda
la promozione, l’iniziativa
del Concorso intende
valorizzazione il territorio con
opere di ceramica site specific
e che riapre il grande tema del
rapporto delle arti applicate con
il “genius loci” e rappresenta un
modo intelligente di promuovere
il Museo, espandendo nella
città segnali che ne esaltano
l’attività e l’identità. Suggeriamo
un ruolo ancora più importante:
quello di riuscire a collegarsi
con i tanti musei della
ceramica per “fare sistema”
determinando, come accade
con l’arte, una valorizzazione
delle opere e degli autori
(valore aggiunto!) in grado di far
sviluppare il mercato, le gallerie
di ceramica contemporanea, il
collezionismo e le quotazioni
degli autori più o meno legati
alle botteghe d’artigianato.
Giorgio Spertini, vaso, 1903, collezione
storica del Museo
Bracciale ideato da Mario Buccellati per
Gabriele D’Annunzio dalla Collezione del
Museo Mario Buccellati (Milano). Photo
Giorgio Majno.
A bracelet created by Mario Buccellati for
Gabriele D’Annunzio, from the Mario Buccellati Museum Collection (Milan).
MIDeC Museo
Internazionale
Design Ceramico
Cerro di Laveno Mombello
(VA), Lungolago Perabò 5
Guido Andloviz, vaso con piedistallo, 1932, realizzato da Società Ceramica Revelli,
collezione storica del Museo
Siamo certi che, proprio per il suo impegno già dimostrato con
la direzione della Galleria di Arte Moderna di Gallarate, in cui
per anni ha saputo incentivare e promuovere l’arte moderna e
contemporanea, Emma Zanella saprà fare altrettanto bene anche
per l’arte applicata. In questo senso a lei vanno tutti i nostri migliori
auguri.
Tel./Fax 0332 666530
martedì 10-12.30;
mercoledì / venerdì
10:00-12.30 / 14.30-17.30;
sabato e domenica
10:00-12.30 / 14:00-17:00;
Ingresso gratuito
www.midec.org
63
Federica Cavriana
Foto di Manuel Scrima
Casa Pedrini
Cremona
Organi
102 anni tra tradizione e sperimentazione organaria
Una lavorazione nella Bottega Artigiana
Pedrini
Il Maestro organaro Marco Fracassi
66
Non solo violini, viole, violoncelli,
contrabbassi. Non solo liutai e liuteria. La cultura musicale di Cremona
è anche altro: formazione e spettacolo, orientamento e tradizione.
Una tradizione spesso antica di
secoli, come quella di Casa Pedrini
Cremona Organi: una ditta nata
nel 1908 e tramandata da avo a
fratello, da fratello a figlio, da figlio
a nipote e così via, sempre nell’ambito della stessa famiglia.
Marco Fracassi (di madre Pedrini), odierno responsabile artistico,
musicista diplomato e concertista,
parla della manifattura con grande
soddisfazione ed evidente passione
per il suo mestiere di progettazione
e finitura sonora dello strumento,
ossia calibrazione e accordatura.
Casa Pedrini, con le sue maestranze, si occupa davvero di tutte le fasi
della produzione, dal disegno alla
fattura delle componenti – canne
lignee e metalliche comprese,
all’assemblaggio e accordatura.
Se un organo va dai 3 ai 40 registri
circa (dove per registro si intende
una fila di canne dal timbro omogeneo) un organo di media grandezza
richiede sette/otto mesi di lavoro,
a cui Casa Pedrini affianca l’attività di restauro di organi antichi.
Ogni strumento ha una fisionomia
e sonorità irripetibili, e già in fase
di progetto viene immaginato da
Fracassi all’interno della struttura
di destinazione (chiese perlopiù).
La sua sfida è quella di trovare
un compromesso tra le personali
esigenze estetiche - la sua filosofia
sonora, e le esigenze del committente, che può avere consulenti
organisti, magari anche esecutori,
con richieste specifiche: un suono
di gusto nord-europeo, o francese,
o dell’Italia rinascimentale...
E se lo scioglimento di queste
opposte tensioni costituisce una
sfida creativa, è ben comprensibile il motivo per cui l’organaro
rimanga indifferente alla copia di
organi antichi e produca con minor
frequenza piccoli strumenti di impostazione seriale.
Secondo Fracassi la voglia legitti-
Dal Museo
Storico di
Casa Pedrini:
vecchi
sistemi di
registrazione
Un particolare degli strumenti di lavoro
ma di creare qualcosa di sempre
nuovo si spiega con il fatto che
“l’organo è lo strumento più carico
di storia continuativa, ha avuto
un’evoluzione insuperabile, non è
mai stato fermo. Venticinque secoli
di storia di continua evoluzione:
nessun altro artigiano come un
organaro è così sperimentatore,
inventore, e contrastare questa
storia di evoluzione sarebbe antistorico e anticulturale”. Qualsiasi
organaro ha sete di novità continua, desiderio di creare ausili per
chi suona. Contemporaneamente
rimane il grande rispetto in fase
di restauro per i documenti del
passato “dove non si può sovrapporre un gusto personale, ma è
necessario leggere il documento
nella maniera migliore possibile,
per meglio restituirlo”.
68
La famiglia Pedrini è stata anche
tra i fondatori dell’AIO, l’Associazione Italiana Organari; un ente
che promuove la circolazione delle
idee, organizzando incontri con
studiosi di acustica, metallurgia,
meccanica, ma anche la conoscenza reciproca dei produttori,
con il proposito di superare l’atavica diffidenza e rivalità tra colleghi.
Ancor più importante, l’AIO impone
ai propri associati una sorta di codice deontologico, che assicuri la
qualità e unicità degli strumenti.
Marco Fracassi non teme per il
futuro la decadenza dell’organo, nonostante sia da prevedere
qualche cambiamento per quanto riguarda gli scenari logistici:
uno strumento da sempre legato
alla Chiesa, è forse tempo che si
mostri con più frequenza nelle sale
da concerto. L’organaro si augura
inoltre che il suo comparto possa
crescere di qualità per presentarsi al mondo senza complessi di
inferiorità, soprattutto di fronte a
nazioni come Francia e Germania
dove da sempre ci si interessa a
questi temi, e con maggiore impegno istituzionale.
Infine, personalmente, spera di
potersi ancora esprimere seguendo la sua istanza interiore per
quanto riguarda i nuovi strumenti
e di coltivare ancora l’interesse
per lo studio filologico nel restauro di quelli antichi, naturalmente,
tramandando intatte passione e
abilità, sperimentazione e minuziosa ricerca ai nuovi eredi di una
tradizione centenaria che, fortunatamente, non teme ancora l’oblio.
Un momento della
lavorazione della canna
dell’organo.
69
Paolo Dalla Sega
Una cattedra
universitaria
dedicata
ai Mestieri
d’Arte
La Cattedra Fondazione Cologni
di Sistemi di gestione dei mestieri
d’arte, attivata presso l’Università
Cattolica all’interno del corso di
laurea in Economia e gestione dei
beni culturali e dello spettacolo,
è un progetto di valorizzazione di
un patrimonio storico e culturale,
sociale ed economico: di un mondo, anzi dell’universo dei mestieri
d’arte italiani, di un saper fare che
lungo una storia di secoli ha scritto
vicende importanti di creatività,
di trasformazione della materia
in manufatti, opere e oggetti con
valori estetici, simbolici e d’uso.
Se è vero che la civiltà, ogni civiltà
nasce con l’uomo che maneggia
gli utensili per costruire le case in
70
cui condurre serenamente la vita
(Esiodo sul “glorioso” Efesto) e
che questo “uomo artigiano”, per
citare un felice volume di Richard
Sennett, scompare e riappare carsicamente nella storia della nostra
cultura a ricordarci l’esistenza e
l’importanza, anzi la necessità del
sapere concreto che non separa
ma connette “mente e mano”, che
affronta ed esprime le “idee nelle
cose”, l’avventura storica, ma anche geopolitica, del nostro Paese
ci restituisce uno scenario particolare, unico, con caratteri propri di
patrimonio e di eredità culturale.
Le opere e i giorni, lungo i secoli,
dell’uomo artigiano italiano – artista
e artigiano, in una parola sola e
più antica: artifex – hanno tracciato
il genius loci, lo spirito del luogo
di città e territori, regioni fisiche e
paesaggi sociali. Le pietre, la terra,
l’acqua, le risorse, la posizione
sulle vie del commercio e degli
scambi; le aggregazioni urbane e i
poli di circuiti nazionali e internazionali; la stretta relazione con la sfera
dell’arte in passato (Cellini e Donatello furono artisti e orafi) e oggi di
creatività più note come il design e
la moda, più in generale del Made
in Italy, pongono questo antico e
però vivo saper fare al centro di un
potenziale progetto di valorizzazione e comunicazione culturale, ad
ampio respiro, sull’Italia tra passato
e presente.
La potenzialità, che vuol continuare a vedere nella “crisi” – o negli
scenari problematici – una stimolante opportunità di cambiamento
e di sviluppo, è tutta nella sfida che
vuol far uscire da un cono d’ombra questo patrimonio nascosto,
questo giacimento profondo che
innerva i nostri territori e le nostre
comunità: accogliendo questa
eredità nei beni culturali “viventi”,
alla pari delle arti e delle grandi
tradizioni, e quindi inserendola nei
processi virtuosi della moderna,
responsabile, attenta valorizzazione. Dallo studio e comprensione
(la consapevolezza) alla gestione e
valorizzazione, a una nient’affatto
epidermica comunicazione (messa
L’intervento del Rettore Bodega alla
lezione Inaugurale della Cattedra
Fondazione Cologni di Sistemi di gestione
dei mestieri d’arte
71
Una lezione
con Pino
Grasso,
ricamatore e
Rita Airaghi,
direttore della
Fondazione
Ferré
72
Una lezione con l’architetto Ugo La Pietra
e lo scenografo Ferruccio Bigi
in comune di identità, valori e messaggi), verso un incremento di valore
e dunque risorse per la tutela, la conservazione, la consistenza del bene.
L’itinerario del corso, a partire da riflessioni di sfondo teorico, perlopiù tra
sociologia e storia della cultura, sviluppa un’analisi della nascita e della
storia dei principali mestieri d’arte italiani, con approfondimenti su moda tessile, oreficeria - gioielleria, spettacolo ed eventi, design ed enogastronomia. Quindi si segue l’evoluzione del mestiere d’arte, con i nuovi maestri,
le tecnologie e le sfide del mercato globale, e si approda a una considerazione di questi “patrimoni viventi” come risorse del territorio, in un sistema
di distretti improntato alla creatività di contesto; risorse su cui sperimentare
nuovi modelli di gestione, organizzazione e valorizzazione, nell’ultima e
sperimentale sessione d’aula. Le attività d’aula della Cattedra – realizzata
con il contributo di Fondazione Cariplo - sono arricchite da testimonianze,
lezioni aperte, visite e iniziative di ampia divulgazione sviluppate e proposte in ateneo dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte.
73
Ugo La Pietra
I codici
segreti di
Battista Luraschi
Presso Villa Calvi a Cantù l’antologica di Battista Luraschi, a cura
di Giampaolo Mascheroni e Peppo Peduzzi: spirito ludico, già noto
all’inizio degli anni Ottanta per essere considerato dalla critica un
componente del Nuovo Futurismo
“Adelmo con Irene”,
2005-2009
carta e dorsini in
p.v.c., cm 200 x
200 x 45
74
“Non parla mai. Usa un leggero sorriso e un paio di sguardi (uno
preoccupato, uno attento), poco per comunicare! Battista Luraschi
affida tutta la comunicazione tra il suo mondo e ciò che lo circonda
ai suoi segni. I segni di Luraschi partono da elaborazioni semplici
e nello stesso tempo complesse: si circonda di un microcosmo
di oggetti che trova nella produzione più banale e attraverso un
processo di decodificazione tutto suo li ricompone. Li ricompone
seguendo regole che solo lui
conosce dove la complessità
è alla base del suo linguaggio,
complessità ottenuta attraverso
rielaborazione di figure,
attraverso proiezioni ortogonali
e assonometrie sostenute
dall’uso dinamico di colori forti.
Luraschi prima di tutto è uno
sperimentatore, poi si potranno
leggere i suoi risultati di volta in
volta come opere di grafica, di
pittura o di design.
Il progetto pittorico C.A.S.A. del
1986 di fatto è dentro e fuori
dalla disciplina pittorica ed è
dentro e fuori dalla grande area
del design. (…)
Luraschi rimane ancora una
persona da conoscere e da
capire. Già presentata in alcune
mostre di design d’avanguardia,
di fatto la sua ricerca in questi
ultimi anni non ha subito alcun
processo di impoverimento.
Parlo di quel tipo di processo,
spesso condizionato da mostre
e pubblicazioni, ma soprattutto
dal rapporto con il mondo
della produzione che mortifica,
in alcuni giovani designer, il
giusto spazio di autonomia e
di ricerca. Il rapporto con la
produzione non ha quasi mai
sfiorato il lavoro di Luraschi,
così le sue opere si muovono
ancora con grande liberà di
espressione ma anche con
grande rigore. Luraschi, nelle
opere bidimensionali, si è
dato regole molto limitanti:
nel colore (rosso, blu, bianco,
giallo), nel segno omogeneo
tracciato con strumenti;
mentre per gli oggetti è più
facile trovare una maggiore
apertura nell’accostamento di
vari materiali. Comunque tutti
i suoi lavori portano sempre
lo spettatore in una posizione
di incertezza e di curiosità per
quel senso di infantile candore
Piatto “Ore dodici”, 1997
mediumdensity laccato, d. cm 40 x 4
75
“Svuotatasche”, 2005
polipropilene, gomma,
76
cm 27 x 11 x13
“Empatia” (raccolta di 42 disegni), 1999
legno dipinto, colori ad olio, alluminio,
setole, cm 70 x 50 (disegni), cm 73 x 60 x
8 (valigia)
“Verissimo” (cassettiera per 18 libretti
cartonati), 1992.
Mediumdensity laccato, olio, ottone
argentato, cm 38 x 32 x 32
“Senza Titolo”, 1997
piatto di vetro a tre spessori, d. cm 36 x 3
nei confronti di oggetti e segni
che si unisce a una sorta di
sottile ironia.” (Tratto da D’ARS,
n°117, 1987).
Questa l’analisi che feci di
Luraschi e del suo lavoro negli
anni Ottanta. Oggi è ancora
attuale!
Il suo percorso coerente,
solitario, carico di colpi di
scena, di giocoso umorismo,
di rimandi concettuali a Bruno
Munari (per le sue sculture
da viaggio) è continuamente
alimentato dalla sua capacità
visionaria e dalla sua sapiente
artigianalità.
L’antologica a Villa Calvi è il
giusto riconoscimento ad un
artista tra i più singolari, capace
di emozionarci costruendo con
la carta e i dorsini reggifogli
un mondo fantastico fatto di
cavalli, oggetti d’arredo, case e
casette, maschere, ma anche
di piccole sculture coloratissime
capaci di evocare in ognuno di
noi sorprese ed emozioni.
Battista Luraschi.
Codici segreti.
Villa Calvi, Cantù
17 gennaio – 20 marzo 2010
a cura di
Giampaolo Mascheroni e
Peppo Peduzzi.
Promossa dall’Associazione
Amici dei Musei di Cantù.
Catalogo edito da La Vita
Felice, 2010
77
Alberto Cavalli
ANDREA BRANZI
RITRATTI E AUTORITRATTI
DI DESIGN
Il 19 Aprile verrà presentato
presso il teatro Agorà del
Museo del Design presso
la Triennale di Milano il
libro “Ritratti e autoritratti di
design”, il nuovo volume della
collana Mestieri d’Arte, edita
da Marsilio e coordinata e
promossa dalla Fondazione
Cologni dei Mestieri d’Arte. Il
decimo della collana è firmato
da Andrea Branzi, uno dei più
illustri nomi della storia del
design internazionale, che ha
vissuto e racconta da grande
protagonista questa storia
vista dall’interno. Che cosa
significa, oggi, fare del design
una professione? E qual è
il rapporto tra il mondo del
design e quello dei mestieri
d’arte, entrambi espressione
di una capacità progettuale ed
esecutiva che in Italia ha saputo
raggiungere livelli straordinari?
Secondo Giulio Carlo Argan,
la discriminante critica per il
successo del design italiano
consisteva in “una miscela
di sapere tecnico di natura
artigianale e di intuizione
estetica di matrice artistica”.
Artigianalità, progettualità
ed estetica: tre punti di
fondamentale importanza per
interpretare e comprendere
l’evoluzione del design in Italia,
nonché tre declinazioni che
la professione del designer
assume nel nostro Paese.
In tutti i settori produttivi del
sistema-Italia, infatti, il design
gioca un ruolo insostituibile, a
testimonianza di una relazione
virtuosa (ma spesso poco
indagata) tra lo sviluppo
dell’economia di un Paese
e la sua capacità creativa e
progettuale. Una capacità
che passa necessariamente
attraverso la formazione, la
crescita e il successo della
figura del designer.
Ma che cos’è oggi la
professione, il mestiere d’arte
del designer?
Per rispondere a una domanda
tanto attuale e complessa, il
libro di Andrea Branzi descrive
le vicende di numerose
generazioni di designer, dai
cosiddetti Maestri del design
italiano alle tendenze degli
ultimi anni. Il volume è diviso in
una serie di macro-capitoli.
In “L’epoca dei Maestri”,
l’autore segue la tradizione
di Giorgio Vasari che nel
Rinascimento scrisse “Le
Vite”, rinunciando a una teoria
generale del movimento per
raccontare le biografie dei
suoi protagonisti. Nei capitoli
successivi le biografie si
incrociano con l’autobiografia,
le esperienze personali con
quelle di interi movimenti, come
quello radicale o Alchymia e
Memphis, di cui Andrea Branzi
è stato uno dei protagonisti. Il
“sistema dinamico” del design
italiano, nel quale queste
esperienze si collocano, viene
analizzato nei suoi molteplici
aspetti, con riflessioni sul ruolo
di una nuova didattica e sul
design come professione di
massa.
Questo passaggio dal ritratto
all’affresco di gruppo, dalla
biografia all’autobiografia alla
teoria, costituisce la novità e
fa di questo libro un lavoro
sperimentale che, come scrive il
suo autore, “non porta a risultati
garantiti, ma apre lo sguardo
a scenari, a volte corali a volte
frammentari, che testimoniano
la peculiarità del design italiano,
mai unitario ed omogeneo, ma
fatto di variazioni e differenze
che costituiscono la sua
originalità e la sua ricchezza”.
“Grazie al volume di
Andrea Branzi”, scrive
Franco Cologni, presidente
dell’omonima Fondazione,
nella sua introduzione al
volume, “è ora possibile
percorrere agevolmente e
con un crescente senso di
fascinazione il dialogo che il
designer ha saputo intessere
con se stesso, con i colleghi,
con gli interlocutori industriali
o artigianali, con l’evoluzione
della società, con le mutazioni
del gusto, con le modifiche del
sistema formativo, distributivo,
ideativo. Con personale
partecipazione l’Autore ci
aiuta a ritrovare le significative
posterità culturali che ognuno
dei grandi Maestri del design
ha saputo lasciare, imprimendo
un segno profondo nella storia
dell’estetica internazionale...”.
Andrea Branzi
fotografato da
Ruy Teixeira
Andrea Branzi
Ritratti e
autoritratti
di design
Marsilio / Fondazione Cologni
dei Mestieri d’Arte
Pagine 264
Euro 28,00
79
Alberto Cavalli
OPEN CARE
Una delle stanze
destinate all’art
consulting
Il Palazzo del ghiaccio dopo la
ristrutturazione ad opera di Open Care
82
Nelle parole di Cesare Brandi, il restauro è “il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica
e nella duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”.
Proprio la trasmissione al futuro delle opere d’arte è al centro delle
attività del restauratore, una figura professionale recentemente al
centro di una controversa riforma. Il 30 Marzo 2009, infatti, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha pubblicato un bando finalizzato alla definizione di chi possa fregiarsi della qualifica di “restauratore di beni culturali” e di chi debba invece essere associato a
quella, di livello inferiore, di “collaboratore restauratore”.
Le discussioni in merito a questa riforma sono tutt’altro che placate,
e investono tutti i protagonisti di questo delicato settore professionale: un esercito di professionisti i cui ambiti di specializzazione
sono molteplici e multiformi, spaziando dalla pittura su tela e su tavola agli affreschi, dai materiali lapidei ai manufatti vitrei, dai tessuti
alla scultura lignea policroma, dai manufatti metallici a quelli ceramici, dai mobili agli strumenti musicali, dalla cartapesta al restauro
librario. Numerose e ricercate sono anche le diverse figure che
affiancano quella del restauratore, nelle sue diverse declinazioni: il
responsabile di cantiere di restauro architettonico, il diagnosta del
patrimonio culturale, il tecnico collaboratore restauratore
di beni culturali, di superfici
decorate di beni architettonici, il tecnico dell’ispezione e
manutenzione di edifici storici,
lo stuccatore, il decoratore,
il doratore di edifici storici, il
falegname specializzato in beni
culturali, il doratore specializzato in beni culturali…
Professioni che in Italia sono
rappresentate ai massimi livelli:
il 26 ottobre 2004, per esempio, è stato firmato a Parigi un
accordo tra UNESCO e Ministero italiano per i Beni e le
Attività Culturali con il quale si
istituzionalizzano le modalità
degli interventi “sul patrimonio
dell’umanità esposto ai rischi e
soggetto agli effetti delle calamità naturali e degli eventi
bellici”.
Tuttavia, per poter agire con
maestria e competenza sui
delicatissimi materiali oggetto
del lavoro di restauro, occorre
una formazione specifica e per
nulla facile: una formazione che
spesso è anche di natura arti-
gianale, e che non può prescindere da una seria esperienza
“sul campo”.
“Il saper fare è conseguenza
del saper progettare, organizzare, coordinare e interpretare” afferma Giovanni Morigi,
restauratore e fondatore di
un laboratorio specializzato
nell’ambito delle opere in metallo, nonché autore di importanti
restauri tra cui quelli del Nettuno di Giambologna e del Perseo di Cellini. Un forte segnale
sulla necessità di “affiancare la
vecchia e apprezzata scuola
artigiana con tecniche d’avanguardia e materiali sofisticati”
viene anche da altri ambiti,
come quello del restauro del
libro, ad opera di Paolo Crisostomi, uno fra i maggiori esperti
nel campo e a capo di un laboratorio divenuto un punto
di riferimento per i più celebri
restauri librari.
Oggi l’idea della bottega caratterizzata dal maestro che tramanda oralmente i suoi segreti
metodi di lavoro agli allievi è
stata superata. Con la fonda-
Intervento su un
dipinto, particolare
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Una fase di restauro di
“Compressed motorcycle” di
César
zione dell’Istituto Centrale della
Patologia del Libro e l’Istituto
Centrale del Restauro, l’insegnamento appreso in bottega è
stato istituzionalizzato, normalizzato e aperto all’esigenza di
conoscenze più approfondite
che dovevano fare del restauratore un tecnico capace nel
disegno ma anche critico, conoscitore d’arte e in possesso dei
necessari saperi della chimica e
della fisica.
La specificità del mestiere del
restauratore risiede dunque
nella completezza delle competenze: fondamentale è infatti la
congiunzione di abilità manuale
(requisito essenziale per l’accesso alle scuole specializzate
e che si affina nelle botteghe
artigiane), di conoscenza scientifica e dell’uso delle tecnologie
più avanzate.
Caratteristiche ben presenti e
quotidianamente sperimentate
I caveau dove vengono conservate le
opere
Un’immagine della facciata che
caratterizza Open Care
85
Dettagli dell’ingranaggio di un antico
orologio in restauro
86
da numerosi atelier italiani di
eccellenza, botteghe, istituiti e
centri di ricerca, tra i quali emerge una realtà del tutto unica nel
panorama dei servizi per l’arte e
il restauro: quella di Open Care.
Nata dalla riconversione della
storica Frigoriferi Milanesi di Via
Piranesi (fondata nella metropoli lombarda nel 1899), Open
Care è l’unica società privata
europea che propone servizi
integrati per la gestione, valorizzazione e conservazione del
patrimonio artistico pubblico e
privato.
Non solo custodia e conservazione, dunque, ma anche
una mirata azione di restauro
che avviene nei sei laboratori
specializzati della struttura di
Via Piranesi: sei spazi dove il
savoir-faire e la ricerca scientifica si incontrano quotidiana-
mente, e dove la competenza
dei restauratori viene applicata
alla manutenzione ordinaria e
straordinaria e nel restauro di
dipinti e opere polimateriche,
arredi lignei, arazzi e tessili antichi, tappeti e antichi strumenti
scientifici.
Le più sofisticate e avanzate
tecnologie permettono di eseguire analisi fisiche non invasive e analisi microinvasive.
Numerosi e significativi i restauri compiuti dagli specialisti di
Open Care: per quanto riguarda
l’arte moderna e contemporanea, i restauratori di Via Piranesi hanno lavorato su opere di
Lucio Fontana, Enrico Castellani, Emilio Vedova, Sebastiàn
Matta, Kenneth Noland, Marc
Quinn, Terence Koh, Kiki Smith,
Grayson Perry. Significativi anche i restauri compiuti su capo-
lavori come la Sacra Conversazione Dolfin di Giovanni Bellini,
conservata presso la Chiesa di
San Francesco della Vigna a
Venezia, o il laborioso restauro
degli arredi, stucchi, tappezzerie e arazzi della splendida Villa
Necchi Campiglio di Milano, per
conto del FAI. Gli interventi sulle collezioni dei principali musei
internazionali comprendono
per esempio il restauro di tre
tappeti ottomani, facenti parte delle collezioni del Castello
Sforzesco di Milano, e di sette
Meilim (antichi tessuti sinagogali) di proprietà della Sinagoga di
Vercelli. Anche l’orologio Dondi
della torre di Piazza dei Signori
a Padova è passato attraverso
le mani e le competenze dei
maestri di Open Care. Numerose e prestigiose anche le analisi
scientifiche condotte: non solo
la quasi totalità del corpus delle
opere di Antonello da Messina,
ma anche le sette opere veneziane di Giovanni Bellini sono
state analizzate dagli specialisti
di Via Piranesi.
Alle spettacolari, capillari e preziose attività di restauro Open
Care affianca un caveau di 8
mila metri quadri di depositi di
massima sicurezza, un servizio
di art consulting e un eccellente
servizio di logistica per l’arte; il
complesso è strutturato intorno
al celebre ex-palazzo del ghiaccio milanese, un edificio liberty
del 1923 che dal 2007 è stato
riaperto come spazio polifunzionale. Dopo, ovviamente, un
attento e magnifico restauro.
Tintura dei filati per le
opere in restauro nel
laboratorio arazzi e
tessili antichi
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Franco Cologni
UN ANNO
DOPO
LA NOSTRA
AVVENTURA
Franco Cologni, presidente della
Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte
Un anno dopo l’inizio della nostra
avventura on-line, possiamo dire di
aver raggiunto dei risultati.
Diffusione: Artigianato tra arte
e design è diffusa a migliaia di
contatti, gallerie, istituzioni e
appassionati delle arti applicate
e dei mestieri d’arte, che nel
nostro giornale trovano (speriamo)
qualche spunto per ricordare la
bellezza e l’importanza di questo
mondo. Contenuti: la flessibilità
della nostra formula editoriale ci
permette di raggiungere argomenti
diversi e complementari, ma
sempre legati alla nostra visione
strategica dei mestieri d’arte. Dalle
mostre agli atelier, dagli artigiani
ai progetti istituzionali, il nostro
mondo si allarga a comprendere
i protagonisti di un sistema non
sempre forte, ma spesso dotato di
una straordinaria resistenza e di
una tangibile creatività.
Progetti: Artigianato tra arte
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e design sostiene il progetto
RE.T.I.C.A. – Rete Territoriale
per l’Innovazione della Creatività
Applicata; un progetto cofinanziato da Regione Lombardia
– Giovani per permettere una
lettura artistica del territorio
lombardo, che comprenda anche
le arti e i mestieri d’eccellenza
della nostra Regione. Grazie a una
serie di iniziative quali i laboratori
d’orientamento, gli incontri con
i maestri d’arte, i cineforum, gli
eventi espositivi e le attività degli
Spazi-Creatività che il Progetto
ha fatto sorgere in Lombardia,
la consapevolezza in merito alle
possibilità e alle opportunità
offerte dai mestieri d’arte sono
diventate per molti giovani motivo
di riflessione. La nostra speranza
è che sempre più ragazze e
ragazzi di talento decidano di
trasformare la loro creatività in
uan professione, restituendo al
nostro territorio (non solo urbano,
ma anche periferico e rurale) il
prestigio, la bellezza e la poesia
che gli competono.
Novità: da Giugno, la rivista torna
ad assumere una forma cartacea.
Un nuovo nome: “Mestieri d’Arte”,
semplicemente. Un nuovo
editore: il gruppo Swan, editore
di Monsieur e SpiritoDiVino,
partner sensibile ed entusiasta del
nostro nuovo progetto. Una nuova
distribuzione: allegati a Monsieur
a partire dal numero di Giugno.
Una nuova periodicità: due
numeri “cartacei” nel 2010, e una
frequenza ancora da stabilire per
il 2011. Ma lo stesso entusiasmo
di sempre, venato da quel tocco
di visionarietà che, in fondo, è
caratteristica necessaria di ogni
vero maestro d’arte.
Seguiteci su www.mestieridarte.it
per seguire l’evoluzione di questo
progetto.