Onnicomprensività dello stipendio

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Onnicomprensività dello stipendio
Onnicomprensività dello stipendio, progetti e retribuzioni accessorie
Scritto da dott. Alessandro Zanutto - funzionario amministrativo
Martedì 16 Novembre 2010 00:00 - Ultimo aggiornamento Sabato 11 Dicembre 2010 11:27
Non è consentito erogare somme ai dipendenti dell’ente locale per attività che rientravano nei
doveri d’ufficio, e al di fuori di qualsiasi istituto di salario accessorio definito dalla contrattazione
o dalla legge.
Per compiti che rientrano nelle attività d’ufficio, nessun compenso può essere erogato ai
dipendenti degli Enti Locali in aggiunta all’ordinaria retribuzione. Nessuna somma può spettare
se non in applicazione di una norma di contratto collettivo, nazionale o decentrato.
La Corte dei Conti Puglia con le recenti sentenze n. 464 del 20.07.2010, n. 475 del 22.07.2010
e n. 487 del 2.08.2010 ha riaffermato con chiarezza il concetto di onnicomprensività della
retribuzione, sia per i dirigenti che per il personale non dirigente.
Le pronunce hanno riguardato il pagamento di compensi connessi ad un progetto attuativo di
programmi della comunità europea; allo svolgimento di attività connesse alla gestione dei patti
territoriali provinciali; alla titolarità del ruolo di responsabile di progetto, nella forma di
un’indennità annua; alla costituzione di un gruppo di lavoro per l’esecuzione di un progetto di
classificazione di strutture ricettive in ambito turistico.
Tutte le fattispecie contestate sono accomunate dalla mancanza, accertata dalla magistratura
contabile, di un presupposto normativo, regolamentare e/o contrattuale, che costituisse un titolo
idoneo a legittimare gli emolumenti aggiuntivi.
Onnicomprensività della retribuzione
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Vige nel nostro ordinamento, e in particolare per gli enti locali, il principio per cui l’ordinario
trattamento economico mensile compensa il dipendente per lo svolgimento di tutti i compiti
rientranti nei doveri d’ufficio.
La Corte argomenta in modo estremamente dettagliato i fondamenti normativi di tale principio.
Per quanto riguarda la dirigenza, il riferimento esplicito è all’art. 24, c. 3 del D.Lgs. 165/2001,
che prevede che il trattamento economico remuneri “tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai
dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi
conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione”.
Più complesso il quadro normativo per il personale del comparto: a partire dall’art. 31 del D.P.R.
347/1983 (rubricato “onnicomprensività”), che vieta di “corrispondere ai dipendenti, oltre a
quanto specificamente previsto dal presente decreto, ulteriori indennità, proventi o compensi,
dovuti a qualsiasi titolo in connessione con i compiti istituzionali attribuiti a ciascun dipendente”,
e che risulta passato indenne dalle abrogazioni espresse del D.Lgs. 165/2001 e da quelle
conseguenti all’introduzione dei primi contratti collettivi. In ogni caso, tale principio sarebbe
comunque desumibile dall’inderogabilità della struttura della retribuzione, stabilita dai contratti
collettivi, secondo il combinato disposto degli artt. 2, c. 3 (“l’attribuzione di trattamenti economici
può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante
contratti individuali”) e 45, c. 1 (“il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito
dai contratti collettivi”) del D.Lgs. 165/2001.
Erogazioni di trattamenti accessori ai dipendenti
E’ dunque il d.Lgs. 165/2001 stesso a riservare alla contrattazione, nazionale e decentrata, la
definizione dei trattamenti economici, fondamentali ed accessori.
La contrattazione ha sistematizzato la quasi totalità delle voci retributive accessorie nel Fondo
per le politiche di sviluppo delle risorse umane e della produttività, come descritto dagli artt. 15
e 17 del CCNL 1.04.1999, con le integrazioni successivamente intervenute. In esso trovano
collocazione sia gli emolumenti di origine contrattuale (indennità di posizione, risultato,
specifiche responsabilità, turno, rischio, disagio…) sia quelli previsti da norme di legge (incentivi
alla progettazione, compensi per avvocatura, commissione elettorale, incentivi ICI…) che vi
rientrano in forza del rimando dell’art. 15, c. 1, lett. k) del CCNL 01.04.1999.
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Dal momento che la contrattazione ha stabilito una stretta correlazione fra percezione di ogni
voce inclusa nel Fondo e conseguente controprestazione di lavoro da parte dei dipendenti
interessati, ne deriva che dare corretta applicazione alle norme sopra richiamate difficilmente
può portare ad una violazione del principio di onnicomprensività. Ogni erogazione di salario
accessorio infatti trova giustificazione in una specifica norma di contratto e in una peculiare
attività di lavoro svolta, che di conseguenza viene riconosciuta con un “di più” rispetto allo
stipendio base. A fronte di una indennità di turno, ad esempio, vi è una prestazione lavorativa
particolarmente disagiata nella articolazione dell’orario nel corso del mese.
E’ chiaro quindi che gli istituti retributivi ulteriori rispetto al trattamento tabellare (disagio, rischio,
indennità di maneggio valori…) sono un numero chiuso, e vanno applicati seguendo la
disciplina contrattuale e quando ricorrano in concreto i relativi presupposti, e che non è
consentita di conseguenza la creazione di nuove e diverse indennità a discrezione
dell’amministrazione (nemmeno con l’accordo delle rappresentanze sindacali in sede locale).
Detto in altri termini, la retribuzione ordinaria, nella sua componente fondamentale e in quella
accessoria, ove vi siano i presupposti per riconoscere indennità contrattualmente previste,
remunera tutte le prestazioni del personale dipendente del pubblico impiego, contrattualmente
esigibili in ragione della categoria di inquadramento. E ciò anche quando si tratti di attività
sporadiche, non coincidenti con quelle abituali, oppure che comportino uno sforzo o una
difficoltà particolari. E’ questo il significato di onnicomprensività della retribuzione.
Il comportamento gestionale contestato e censurato dalla Corte dei Conti è consistito viceversa
nell’aver erogato somme ai dipendenti dell’ente locale per attività che rientravano nei doveri
d’ufficio, ma al di fuori di qualsiasi istituto di salario accessorio definito dalla contrattazione o
dalla legge.
Attività del personale e compiti istituzionali
Un profilo particolare del concetto di onnicomprensività è il suo riferimento ai “compiti
istituzionali” o “doveri d’ufficio”. Infatti il trattamento economico che si considera in tutto
esauriente, è la prestazione economica data dall’ente, in rapporto di corrispettività, a fronte
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della controprestazione lavorativa del dipendente che consiste nell’adempiere a tutti i compiti ad
esso affidati in ragione del rapporto di lavoro. E tali compiti sono tutti quelli che emergono
nell’esercizio delle funzioni proprie dell’ente, e che ad esso sono affidate dalla legge.
La Corte non trascura di richiamare i fondamenti giuridici dei compiti e delle funzioni
particolarmente ampi nel caso degli enti locali quali comuni e province, da rinvenirsi nel testo
unico 267/2000 all’art. 3, commi 2 (“il comune è l’ente locale che rappresenta la propria
comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo” non diversamente dalla provincia al
comma successivo), e 5 (“i comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle
conferite loro con legge dello Stato e della Regione, secondo il principio di sussidiarietà”); e
all’art. 4, c. 3 per cui “la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative è attribuita ai
comuni, alle province… secondo le loro dimensioni territoriali, associative ed organizzative, con
esclusione delle sole funzioni che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale”). Come si
vede è ben difficile giustificare un’attività in concreto svolta dagli uffici degli enti locali,
sostenendo la sua estraneità ai compiti istituzionali dell’ente stesso.
Progetti di produttività secondo l’art. 15, c. 5 del CCNL 01.04.1999
La somma del trattamento fondamentale e di quello accessorio, nei casi e modi previsti dalla
contrattazione, costituisce la retribuzione ordinaria che compensa integralmente lo svolgimento
dei compiti che rientrano nei doveri d’ufficio.
In un tale contesto, problemi possono nascere da quel sostanziale unicum nella contrattazione,
che è l’art. 15, comma 5, del CCNL 01.04.1999, particolarmente delicato perché consente
l’impiego di somme ulteriori rispetto a quelle del Fondo per finalità di incentivazione.
Le condizioni e i criteri per l’applicazione di questo istituto incentivante, oltre che nella
disposizione contrattuale per la verità un po’ generica, si sono consolidati in fase applicativa e
sono stati quindi dettagliati dall’ARAN nel noto pronunciamento 499-15L1. E’ noto che sia la
Ragioneria Generale dello Stato nelle sue visite ispettive presso gli enti, sia la Corte dei Conti,
considerano tali posizioni come linee guida vincolanti, e vera condizione di legittimità
dell’istituto.
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Perciò in tanto i progetti di miglioramento dei servizi sono valido titolo giuridico alla base di
pagamenti in favore dei dipendenti, in quanto siano aderenti alla forma e alla sostanza di quelle
linee guida. Diversamente, come nel caso delle sentenze in commento, le erogazioni vengono
considerate illegittime, e non è sufficiente evocare in modo apodittico concetti come l’attivazione
di nuovi servizi o la riorganizzazione degli stessi, per giustificare aumenti di spesa del
personale.
Alcune argomentazioni difensive (ma non sufficienti per la Corte dei Conti)
La Procura della Corte dei Conti ha evocato in giudizio direttamente i dirigenti che hanno
adottato gli atti di liquidazione dei compensi per i quali è stata accertata la mancanza di un
idoneo titolo giuridico.
Naturalmente i dirigenti convenuti hanno svolto diverse argomentazioni difensive, tutte però
giudicate insufficienti a scongiurare l’ipotesi della illegittimità delle corresponsioni e del
conseguente danno erariale.
(segue): i fondi spesi non erano dell’ente, ma finanziati da terzi
Nel caso della sentenza 464, i fondi spesi erano di provenienza comunitaria, ed erano stati
liquidati come incentivo al personale partecipante ad un progetto attuativo di un’iniziativa
europea. Per la Corte tuttavia non ha alcun rilievo l’origine dei fondi erogati: infatti i fondi,
indipendentemente dalla provenienza dalla Unione Europea o da privati, una volta acquisiti
dall’ente e quindi confluiti nel suo bilancio, non si sottraggono alla disciplina concernente
l’impiego delle risorse finanziarie dell’amministrazione locale. In particolare il principio
dell’universalità del bilancio, per cui il complesso delle entrate finanzia il complesso delle spese,
rende la provenienza della provvista del tutto irrilevante rispetto agli atti di gestione di quelle
somme.
(segue): si trattava di attività non rientranti negli ordinari doveri d’ufficio
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Le liquidazioni contestate sarebbero avvenute a fronte di prestazioni di lavoro che non potevano
rientrare in quelle consuete ed usuali, compensate dalla retribuzione ordinaria. Qui la Corte ha
gioco facile a dimostrare che tutte le attività degli enti locali sono svolte in base ad una
previsione di legge, e come tali sono per definizione ascrivibili a doveri d’ufficio ed esigibili dai
dipendenti. La contrattazione ha messo a disposizione degli strumenti per compensare e
incentivare specifiche prestazioni lavorative: le diverse indennità (di posizione organizzativa, per
specifiche responsabilità, disagio, rischio…); i compensi incentivanti la produttività, disciplinati
puntualmente dagli artt. 17, c. 2, lett. a) e 18 del CCNL 01.04.1999 e con l’integrazione della
contrattazione decentrata; i compensi ai sensi dell’art. 15, c. 5, del CCNL 01.04.1999, applicato
secondo le linee guida che lo regolano. Ogni altra corresponsione è sine titulo, e quindi
illegittima.
(segue): si trattava di attività svolta fuori dall’orario di lavoro
In quanto tale, l’attività svolta fuori orario di lavoro avrebbe comportato l’erogazione di compensi
per lavoro straordinario, quindi quantomeno parte delle somme sarebbero stato comunque
pagate ai dipendenti. Nemmeno questo argomento viene considerato sufficientemente solido a
escludere la responsabilità. Secondo il giudice contabile lo straordinario ha regole proprie,
limitative della spesa e di tutela del lavoratore; e poi implica una espressa autorizzazione
preventiva a comprova dell’interesse pubblico alla sua effettuazione. Sul punto
l’argomentazione della Corte omette di considerare che i dirigenti non hanno dato autorizzazioni
allo straordinario probabilmente solo perché convinti di applicare legittimamente un istituto
diverso, non preoccupandosi così di seguire diverse formalità. Tuttavia è forse significativo che
non sia stato dato spazio a questa considerazione nell’affermazione dell’onnicomprensività
come principio di diritto che informa di sé il rapporto di lavoro.
In particolare, sotto tale profilo, manca l’attestazione non solo dell’interesse pubblico alla
effettuazione degli straordinari, ma anche e soprattutto l’attestazione che le esigenze di servizio
non potevano essere soddisfatte con il normale orario di servizio.
(segue): se fosse stato affidato un incarico esterno, l’amministrazione avrebbe speso di
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Sostiene la difesa che il risultato ottenuto ha comportato un risparmio di spesa, dal momento
che i compensi incentivanti sono stati inferiori rispetto al costo di consulenze o incarichi esterni.
Due le obiezioni: innanzitutto una tale affermazione deve essere comprovata da elementi
concreti e non meramente enunciata come nel caso di specie; in secondo luogo questo assunto
è in netto contrasto con la fisiologia del sistema che prevede che, normalmente, i compiti di
pertinenza dell’Ente debbano essere curati dal personale della stessa amministrazione.
Avvalersi di collaboratori esterni o di consulenti infatti è possibile solo in presenza dei precisi
presupposti indicati dall’art. 7, c. 6, del D.Lgs 165/2001, in ogni caso in via eccezionale e non
per finalità sostitutive di carenze quantitative di personale dell’amministrazione. Come dire: fino
a prova contraria, lavorano i dipendenti dell’ente, e in orario d’ufficio.
Conclusioni: una conferma e un importante principio di diritto
Le tre sentenze in commento si distinguono per almeno due motivi. In primo luogo perseguono
attività gestionali non conformi alle norme in materia di personale, anche quando abbiano
comportato esborsi di poche migliaia di euro, confermando i timori di chi ha compiti di gestione
e ha ragione di temere per la verifica di legittimità del proprio operato pur in un contesto
normativo spesso confuso e in continua evoluzione.
In secondo luogo, chiarito che tutti gli incarichi comunque conferiti dall’amministrazione di
appartenenza e relativi ad attività d’ufficio devono ritenersi assoggettati al principio di
onnicomprensività della retribuzione, costituita dal trattamento economico fondamentale ed
accessorio, la Corte afferma con un chiarezza un importante principio nella gestione del
personale: che l’onnicomprensività è un principio posto a garanzia del preminente interesse alla
corretta ed oculata allocazione delle risorse, e a presidio degli equilibri di finanza pubblica.
dott. Alessandro Zanutto
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Funzionario amministrativo del Comune di Bassano del Grappa, abilitato all'esercizio
della professione forense
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