I Videoterminali
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I Videoterminali
Cap.6 Videoterminali e visione Con il termine videoterminale, indicato anche come VDT (dalla denominazione inglese Video Display Terminal), ci si riferisce al dispositivo fisico che viene utilizzato in applicazioni informatiche per la visualizzazione delle informazioni e delle interfacce, comunemente conosciuto come monitor. L’interesse verso lo studio delle problematiche visive associate all’uso di videoterminali è sicuramente stimolato dalla diffusione sempre maggiore che gli strumenti informatici stanno raggiungendo, sia in campo lavorativo che per applicazioni private. In particolare lo scopo di questo capitolo è quello di sintetizzare le caratteristiche tecnologiche che distinguono le tipologie di videoterminali attualmente in uso, definendo le grandezze ergonomiche che li caratterizzano e trattandone l’utilizzo in relazione alla visione. Infine saranno presentati i criteri generali per la correzione visiva dei soggetti in funzione dell’uso del videoterminale. Grandezze ergonomiche relative ai VDT Per poter caratterizzare correttamente le differenti tipologie di videoterminali, non solo dal punto di vista della loro tipologia tecnologica, ma soprattutto in relazione alla visione, è opportuno definire le grandezze ergonomiche comunemente utilizzate nella distinzione delle diverse proprietà dei videoterminali. Nella scelta di un monitor o nella valutazione di eventuali problematiche da esso causate, risulta importante considerare su quali grandezze ergonomiche intervenire per migliorare la resa e l’utilizzo e comunque individuare se una sintomatologia presentata dal soggetto possa o meno essere riconducibile ad alcuna di queste grandezze. Risoluzione Per risoluzione di un videoterminale si intende il numero di pixel presenti sullo schermo. L’immagine percepita osservando un monitor è infatti il risultato della combinazione di un elevato numero di piccole sorgenti luminose,posizionate l’una accanto all’altra. Ogni singolo elemento luminoso del videoterminale prende il nome di pixel (abbreviazione dei termini inglesi picture element), ed il numero di tutti questi punti è la risoluzione dello schermo. In generale la risoluzione viene indicata con una coppia di numeri che rappresentano rispettivamente il numero di pixel orizzontali e verticali. Così ad esempio uno schermo con una risoluzione di 1280x800 sarà costituito da 1280 pixel orizzontali e 800 verticali. E’ opportuno notare che la risoluzione è una grandezza indipendente dalle dimensioni fisiche del monitor, per convenzione indicate con la lunghezza della diagonale dello schermo in pollici (un pollice equivale a 2.54 cm). Tuttavia all’aumentare delle dimensioni dello schermo deve generalmente corrispondere un aumento della risoluzione per evitare fenomeni di scalettatura dell’immagine. Frequenza di refresh L’immagine osservata sullo schermo non è stabile, ma viene continuamente aggiornata: in pratica è come se lo schermo si accendesse e si spegnesse di continuo. Perché l’immagine venga percepita dall’osservatore come stabile e i movimenti delle figure come continui, la velocità con cui essa viene aggiornata sullo schermo deve essere piuttosto elevata. La frequenza di refresh è la grandezza che determina quanto rapidamente l’immagine viene aggiornata, definendo quante volte al secondo ciò avviene. Essa si misura in Hz (l’inverso di un secondo) e valori tipici sono compresi fra i 70 e i 90 Hz. Con una frequenza di refresh superiore a circa 70 Hz il 90% della popolazione percepisce l’immagine come stabile, e la percentuale aumenta fino al 99% per frequenze di refresh di 90 Hz. La mancanza di vantaggi ergonomici sostanziali per ulteriori incrementi di questa grandezza fa sì che generalmente i suoi valori si collochino all’interno dell’intervallo suddetto. La conseguenza di una frequenza di refresh troppo bassa è la percezione di una discontinuità dell’immagine con un fenomeno di sfarfallio della stessa. Come approfondiremo in seguito questa condizione è causa di affaticamento visivo, il quale può peraltro insorgere, riducendo la frequenza di refresh, anche prima della percezione dello sfarfallio vero e proprio. Per i videoterminali a tubo catodico, che descriveremo nel capitolo successivo, la frequenza di refresh è connessa con la cosiddetta frequenza di riga (o orizzontale), generalmente riportata nelle specifiche tecniche del monitor, che rappresenta il numero di righe che possono essere rappresentate sullo schermo in un secondo (risulta circa dal prodotto del numero di righe presenti sullo schermo per la frequenza di refresh). Per quanto detto, la frequenza di refresh determina quante volte in un secondo l’immagine viene rinnovata sullo schermo, ma non specifica in che modo questo viene fatto. In particolare vi sono due tipologie di aggiornamento, quello interlacciato e quello progressivo (o non interlacciato). Diciamo subito che per quanto riguarda i videoterminali collegati a computer viene utilizzato esclusivamente il refresh progressivo, cioè l’immagine viene aggiornata una riga alla volta passando da una riga alla riga adiacente. La tecnica di refresh interlacciato è utilizzata principalmente per gli schermi a tubo catodico televisivi, per diminuire gli effetti di sfarfallio, che altrimenti sarebbero presenti a causa delle limitazioni legate al segnale video analogico. Numero di colori ottenibile Introducendo il concetto di risoluzione dei videoterminali, abbiamo osservato che l’immagine che si forma sullo schermo è in realtà costituita da una serie di elementi puntiformi chiamati pixel. Volendo approfondire il concetto, si deve osservare che ognuno di questi punti è costituito dall’insieme di tre unità cromatiche distinte: una di colore blu, una verde ed una rossa. La presenza di questi tre elementi colorati è essenziale per garantire la corretta percezione cromatica. Le loro dimensioni ridotte impediscono all’occhio umano (a distanza di lavoro) di distinguere i singoli elementi cromatici, i quali vengono visti come un’unica sorgente luminosa puntiforme colorata. Attraverso il controllo indipendente dell’intensità di ognuno dei tre elementi colorati è possibile far coprire al pixel un’ampia scala cromatica. La scelta del numero, tre, di colori utilizzati ha ovviamente ragioni fisiologiche che dipendendo dalla presenza dei tre coni presenti nell’occhio umano per la percezione del colore. La scelta dei colori è legata invece alla teoria additiva del colore per la quale rosso, verde e blu, usati come colori primari, consentono la generazione di un elevato numero di differenti colori. Per quanto riguarda il numero di possibili colori ottenibili sul videoterminale, esso dipende da quante combinazioni di intensità sono possibili per i singoli elementi dei tre colori fondamentali. Un determinato colore è infatti ottenuto modulando opportunamente l’intensità dei singoli elementi colorati, il cui contributo si sovrappone, a determinare il colore osservato. Il numero di colori ottenibile è determinato dalla cosiddetta profondità di colore, che indica il numero di bit necessari per caratterizzare ogni pixel: un colore codificato ad 8 bit potrà ad esempio essere riprodotto con 2^8=256 intensità diverse. Le due rappresentazioni attualmente più diffuse sono quella Hicolor (16 bit per pixel) e quella Truecolor (32 bit per pixel). La prima utilizza 5 bit per rappresentare i colori blu e rosso e 6 per il verde (a cui l’occhio umano è più sensibile), per un totale di 2^(5+5+6)=65536 colori. La rappresentazione in Truecolor (ormai la più diffusa grazie anche alla presenza di schede video adeguate a supportarla) attribuisce ai tre colori 8 bit ciascuno per un totale di 2^(8+8+8)=16777216, cioè più di 16 milioni di colori. Gli 8 bit rimanenti possono essere inutilizzati oppure contenere informazioni aggiuntive, ma sono stati aggiunti principalmente per facilitare la gestione della grafica da parte della memoria del computer. Dot Pitch Il dot pitch è la specifica di un videoterminale che indica la distanza, generalmente espressa in mm, fra due elementi dello stesso colore di pixel adiacenti. E’ strettamente connesso alla dimensione dei pixel: minore sarà il valore del dot pitch minore sarà la dimensione del pixel, quindi, in generale, migliore sarà la nitidezza dell’immagine. Valori tipici sono dell’ordine di 0.25-0.30 mm per i videoterminali attualmente sul mercato. Nella valutazione di questo parametro si deve porre attenzione al tipo di distanza a cui ci si riferisce: generalmente infatti il dot pitch viene misurato in diagonale, anche se spesso si possono trovare valori riferiti alla misura orizzontale che risulta minore di quella diagonale a parità di dimensione del pixel. Misura del dot pitch orizzontale e diagonale: si noti come la distanza misurata in diagonale risulti maggiore rispetto a quella misurata orizzontalmente sebbene la dimensione di una terna rosso-verde-blu (cioè un pixel) risulti identica Tipologie di videoterminali Esistono diverse tipologie di videoterminali a seconda delle loro caratteristiche tecnologiche. Sostanzialmente sono tutti raggruppabili in tre categorie principali: - schermi a tubo catodico o CRT (Cathode Ray Tube) - schermi LCD (Liquid Crystal Display) - schermi al plasma Prima di approfondire le caratteristiche che contraddistinguono le varie tipologie, è opportuno sottolineare che i tipi di schermi citati possono essere utilizzati sia come videoterminali che come televisori, anche se generalmente questi ultimi hanno dimensioni maggiori. Tratteremo tutte e tre le categorie specificandone le proprietà tecnologiche, anche se i monitor al plasma sono più raramente utilizzati come videoterminali. I monitor CRT, diffusissimi fino ad una quindicina di anni fa, stanno venendo gradualmente rimpiazzati da quelli LCD, ma rimangono comunque entrambi ancora lo standard per l’utilizzo come videoterminali e saranno quindi descritti in maniera dettagliata in seguito. Schermi a tubo catodico Come dice il nome stesso, tali monitor sono costituiti da un tubo catodico, cioè una struttura allungata realizzata in vetro, all’interno della quale viene generato e, successivamente, diretto verso lo schermo un fascio di elettroni. La superficie interna dello schermo è rivestita da materiali che interagiscono con gli elettroni incidenti generando luce visibile, attraverso fenomeni di fluorescenza e fosforescenza. Queste sostanze, denominate fosfori, sono di diversa natura e possono emettere luce di colori diversi a seconda del tipo utilizzato. Tipicamente, e per le ragioni descritte nel capitolo precedente, tali fosfori sono di tre tipi: un tipo che emette luce rossa, uno luce blu ed il terzo verde. Ancora l’insieme dei tre elementi caratterizzati da tre fosfori diversi rappresenta un pixel dello schermo, in grado di riprodurre una determinata quantità di colori attraverso la modulazione dell’intensità del fascio di elettroni incidente. Sebbene la tecnologia di tale tipo di videoterminali sia piuttosto datata, presenta delle caratteristiche che l’hanno resa competitiva fino ad oggi con le alternative di più recente realizzazione. La possibilità di ottenere risoluzioni piuttosto alte a parità di dimensioni dello schermo (dot pitch minore) è una di queste, insieme all’ottima resa cromatica. L’offerta di tempi di risposta bassi (intorno ai 10 ms) è un’altra caratteristica che li rende ancora preferibili in applicazioni di nicchia, anche se i più moderni monitor LCD stanno raggiungendoli e superandoli da questo punto di vista. Per contro i monitor CRT presentano consumi piuttosto elevati ed un ingombro notevole, rispetto ai più compatti schermi LCD o al plasma. Queste caratteristiche lo rendono preferibile solo per applicazioni specifiche in cui sono necessarie elevate precisioni nel controllo dei puntatori e ottima resa dei colori (ad esempio per progettisti che utilizzano software cad). Schermi LCD Gli schermi LCD utilizzano le proprietà polarizzanti dei cristalli liquidi per il controllo dell’intensità della luce emessa da ciascun pixel. Ancora una volta ogni pixel è costituito da tre elementi luminosi, uno per ognuno dei tre colori fondamentali, e la luminosità dei singoli colori è controllata polarizzando opportunamente la radiazione attraverso i cristalli liquidi. In particolare uno schermo LCD è costituito, nel suo schema realizzativo di base, da due schermi polarizzati ortogonali fra loro fra i quali vengono inserite due lamine di vetro che racchiudono uno strato di cristalli liquidi; sulla faccia posteriore dello schermo può essere posto uno specchio, a seconda della tipologia costruttiva, come vedremo fra breve. La funzione degli schermi polarizzati è quella di lasciar passare solo la parte di radiazione con polarizzazione identica a quella dello schermo stesso. I due schermi polarizzati messi in posizione ortogonale l’uno rispetto all’altro non potrebbero essere attraversati entrambi dallo stesso fascio luminoso, in quanto, una vota attraversato il primo schermo, l’unica componente delle radiazione presente nel fascio sarebbe quella polarizzata come tale schermo, che risulta perpendicolare al secondo e, quindi, verrebbe da quest’ultimo bloccata. La natura dei cristalli liquidi e le particolari tecnologie costruttive fanno sì che in condizioni di riposo, i cristalli siano orientati in modo da fornire una specie di guida alla luce, per ruotare la direzione della propria polarizzazione nel passaggio da uno schermo polarizzato all’altro. In questo modo la luce polarizzata dal primo schermo, modifica il proprio stato di polarizzazione, grazie alla presenza dei cristalli, fino a renderlo concorde con quello del secondo schermo; ciò consente alla radiazione di attraversare anche quest’ultimo e raggiungere l’osservatore. Compreso il funzionamento di base di un monitor LCD, approfondiremo ora i meccanismi che consentono di controllare i cristalli liquidi determinando quindi le variazioni di luminosità. In corrispondenza di ogni elemento colorato di tutti i pixel, sono disposti degli elettrodi trasparenti, controllando i quali l’allineamento dei cristalli può essere modificato, diminuendone la capacità di allineare la polarizzazione della radiazione a quella dello schermo di uscita e quindi riducendo in definitiva l’intensità della luce emergente. Per quanto riguarda invece il colore della luce emessa dallo schermo, esso viene realizzato utilizzando dei piccoli filtri colorati di diverso tipo per ognuno dei tre colori primari. Riassumendo, per ogni pixel vi sono tre diversi filtri colorati e tre elettrodi in grado di controllare l’intensità della luce che passa attraverso ognuno dei tre filtri; in questo modo è possibile ottenere il colore voluto semplicemente scegliendo quale contributo ogni elemento colorato deve dare al segnale uscente. Schematizzazione del principio di funzionamento dello schermo di un monitor LCD. La luce che raggiunge l’osservatore proviene quindi da dietro lo schermo e lo stravera in maniera selettiva. Per schermi di piccole dimensioni (orologi digitale e piccoli display elettronici) si utilizza in genere la luce ambientale riflessa da uno specchio posizionato dietro il sistema di cristalli liquidi, tuttavia questo sistema risulta piuttosto inefficiente per i monitor, in cui oltre alle dimensioni maggiori, anche i filtri colorati contribuiscono ad un attenuazione dell’informazione luminosa. I videoterminali LCD sfruttano delle sorgenti luminose poste dietro lo schermo, tipicamente lampade a fluorescenza, che garantiscono bassi consumi oltre che sufficienti livelli di illuminazione anche in ambienti poco luminosi. L’ultimo aspetto tecnologico che affronteremo è quello del controllo degli elettrodi per l’allineamento dei cristalli liquidi. Si distinguono due grandi categorie: i monitor LCD a matrice passiva e quelli a matrice attiva. I secondi sono senza dubbio lo standard di riferimento per i videoterminali, grazie ad una qualità dell’immagine decisamente superiore rispetto ai primi. Per matrice attiva si intende che il controllo dell’orientamento dei cristalli avviene grazie a dei componenti attivi (transistor traparenti appositamente realizzati sulla lamina di vetro) che garantiscono variazioni più rapide ed capacità di mantenere l’intensità luminosa costante tra un aggiornamento del colore del pixel e l’altro. I vantaggi dei videoterminali LCD, dal punto di vista dei consumi, sono indubbi rispetto a tutti i concorrenti (CRT e plasma) ed i costi accessibili concorrono alla loro sempre più rapida diffusione. D’altra parte è vero che negli ultimi anni le limitazioni che hanno in passato frenato la diffusione sono stati in buona parte superati; in particolare i nuovi modelli offrono tempi di risposta circa uguali a quelli dei monitor a CRT, livelli di contrasto piuttosto buoni ed anche angoli visivi discreti. L’unico limite ancora evidente è il funzionamento nella sola risoluzione nativa ed eventualmente in alcune risoluzioni predefinite, anche se con qualità decisamente minore. Schermi al plasma I videoterminali al plasma sono costituiti da due pannelli di vetro fra cui sono inserite delle piccole celle cave, riempite di una mistura di gas nobili (Neon e Xenon). In corrispondenza di ogni cella sono posti degli elettrodi; applicando una tensione adeguata a questi ultimi il gas all’interno delle celle viene mantenuto nello stato di plasma (una condizione in cui convivono nella miscela atomi ionizzati ed elettroni liberi). Gli ioni del plasma emettono radiazione ultravioletta per collisione e quest’ultima viene trasformata in luce visibile attraverso dei fosfori di cui è rivestito l’interno delle celle, con un meccanismo analogo a quello delle lampade a fluorescenza. Ancora una volta le tipologie dei fosfori utilizzati sono tre e dipendono dal tipo di colore che si vuole ottenere per la singola cella di gas; le tre celle adiacenti di colore diverso costituiscono il pixel. Alcuni pregi di questo tipo di display sono l’elevata luminosità raggiungibile e gli ottimi livelli di nero, grazie al fatto che ogni cella luminosa costituisce anche la sorgente luminosa della radiazione, un’ampia gamma di colori, dovuta all’utilizzo dei fosfori, e la possibilità di realizzare schermi di grandi dimensioni. Quest’ultima caratteristica ha spinto il mercato di monitor al plasma verso la fascia di mercato degli schermi di grandi dimensioni per applicazioni televisive e questo, insieme ai consumi piuttosto elevati, ne ha reso l’uso come videoterminali marginale rispetto alle due tipologie precedentemente descritte. Nuove tecnologie OLED (Organic Light Emitting Diode) Problemi visivi connessi all’uso di videoterminali Per introdurre fattori di rischio e disagio oculo-visivo connessi all’uso dei videoterminali, è opportuno precisare come non vi sia evidenza che essi siano legati alla presenza di rischi fisici o chimici, ma debbano la loro insorgenza alle modalità di utilizzo e all’impatto ergonomico ambientale[1]. Funzioni visive coinvolte nell’uso dei videoterminali In generale, le funzioni coinvolte nell’uso dei videoterminali sono quelle connesse alla visione da vicino, in particolare l’acuità visiva, l’accomodazione e l’adattamento all’illuminazione ambientale in senso lato. In particolare, la prima è condizionata sia dalle capacità visive del soggetto, stato refrattivo e funzionalità oculare generale, sia dalle caratteristiche della sorgente, cioè dall’intensità luminosa e dal contrasto del videoterminale. Le conseguenze di un uso scorretto e prolungato dei videoterminali comporta affaticamento visivo e può portare alla cosiddetta sindrome astenopica occupazionale, cioè un disagio visivo che si manifesta con un insieme di sintomi principalmente oculari e visivi, ma anche generali, che descriveremo tra breve. Prima di approfondire gli aspetti relativi alla sintomatologia delle problematiche visive connesse all’uso dei videoterminali, è necessario precisare che si tratta sempre di condizioni transitorie che regrediscono piuttosto rapidamente una volta interrotto l’utilizzo del monitor. Tuttavia la riduzione dei fenomeni astenopici presenta vantaggi evidenti nel miglioramento del comfort visivo del soggetto e della sua produttività. Sintomatologia delle problematiche visive I problemi connessi all’uso del videoterminale sono più frequentemente di carattere irritativo o di discomfort, piuttosto che di tipo percettivo, tuttavia anche questi ultimi non sono rari. I più frequenti problemi irritativi sono iperemia congiuntivale, bruciore, lacrimazione, prurito e pesantezza dei bulbi oculari. Per quanto riguarda gli aspetti visivi si possono verificare fotofobia, visione sfuocata o doppia e miopizzazione transitoria. Quest’ultima generalmente ha una durata limitata a pochi minuti, mentre risulta un po’ più lungo il recupero della muscolatura oculare: occorrono infatti circa 15 minuti per il recupero del 50% della riduzione della capacità di accomodazione. A tali sintomi possono aggiungersi anche quelli di carattere generale, non direttamente connessi agli aspetti oculari, quali cefalea, nausea e stato di tensione. Sebbene possano risultare piuttosto fastidiosi, soprattutto subito dopo l’interruzione di un utilizzo prolungato, tutti questi sintomi regrediscono, come detto, in un tempo limitato e non sono cumulativi. Sembra inoltre non esserci una correlazione fra l’insorgenza delle problematiche descritte e l’età dei soggetti. Cause dell’insorgenza dei problemi L’insorgenza dei sintomi appena descritti può avere cause molteplici: può essere dovuta a malfunzionamenti o regolazioni non corrette dello schermo, a condizioni di illuminazione ambientale e a cause legate alla postura del soggetto e ad ametropie non correttamente compensate. Per quanto riguarda il videoterminale, uno sfarfallio del monitor o un’instabilità dell’immagine sono due fattori che inducono rapidamente affaticamento visivo, insieme all’utilizzo di un livello di contrasto troppo basso o eccessivo. La qualità dei moderni videoterminali è elevata ed offre una possibilità di intervento sui parametri appena citati che dovrebbe consentire di configurare lo schermo in maniera appropriata, riducendo al minimo i disagi indotti da contrasto e luminosità inadeguati. Dal punto di vista delle condizioni ambientali, un ruolo cruciale viene svolto indubbiamente dall’illuminazione. Essa deve essere di tipo indiretto evitando riflessi sia da parte dello schermo, sia da parte di superfici riflettenti presenti nell’ambiente di lavoro. Approfondiremo questi concetti nei prossimi paragrafi introducendo la normativa che stabilisce le regole per un corretto utilizzo dei videoterminali. Anche per quanto riguarda la posizione del soggetto le normativa suggerisce indicazioni precise per minimizzare le situazioni di discomfort di vario genere compreso quello oculare. Nell’ultimo paragrafo saranno affrontati gli aspetti relativi alle correzioni visive specifiche per l’uso dei videoterminali; precisiamo soltanto che condizioni astenopiche legate all’uso dei videoterminali possono essere causate da ametropie non corrette, ma anche da problemi di binocularità e dall’uso di correzioni non adeguate al lavoro al videoterminale. Normativa e indicazioni per un corretto utilizzo dei videoterminali Le problematiche visive indotte da un uso scorretto dei videoterminali possono essere notevolmente limitate rispettando le condizioni appena descritte e curando le abitudini di utilizzo e le caratteristiche ambientali secondo le indicazioni che proporremo di seguito. Dal punto di vista normativo, il Decreto Legislativo 626 del 1994, il quale introduce anche il principio secondo cui è il datore di lavoro a garantire la sicurezza e l’applicazione delle norme necessarie a garantirla, regolamenta, al Titolo VI, l’uso di attrezzature munite di videoterminale. La norma stabilisce, tra l’altro, l’effettuazione di una pausa di 15 minuti ogni 2 ore di lavoro al videoterminale e visite di controllo almeno quinquennali (biennali dopo i cinquanta anni). Entrando nel dettaglio, durante l’utilizzo prolungato del videoterminale è opportuno effettuare brevi pause regolari. Anche senza dover necessariamente abbandonare la posizione di lavoro, per quanto riguarda gli aspetti visivi si possono ottenere benefici semplicemente ricordando di distogliere lo sguardo dallo schermo ogni 15-20 minuti per fissare oggetti distanti per qualche decina di secondi. In questo modo si costringe il sistema visivo al rilascio dell’accomodazione, riducendo i disagi legati alla continua sollecitazione della muscolatura oculare. A tal proposito risulta evidente che, per facilitare l’osservazione di oggetti lontani senza abbandonare la posizione di lavoro, il monitor non dovrebbe essere posto di fronte a pareti o ostacoli che impediscano la visione da lontano. Un altro accorgimento, che contribuisce alla riduzione dell’insorgenza di disagio visivo, è quello di battere volontariamente e con regolarità le palpebre. Vedremo nel prossimo paragrafo infatti che l’attenzione prolungata durante l’uso dei videoterminali è associata a fenomeni che contribuiscono alla secchezza oculare; l’ammiccamento volontario, grazie anche alla sua migliore efficacia nel ristabilire l’integrità del film lacrimale rispetto a quello involontario, è un ottimo sistema per contrastare tale effetto. Da un punto di vista della disposizione ambientale è fondamentale evitare la presenza di riflessi e illuminazione diretta sullo schermo, per ridurre problemi dovuti a diversità di contrasto e di intensità luminosa o addirittura di abbagliamento. La valutazione dei riflessi e del tipo di illuminazione che raggiunge lo schermo può essere fatta, in modo piuttosto semplice, osservando il monitor spento. Né sorgenti artificiali, né naturali devono essere quindi rivolte verso il videoterminale, quindi sarebbe opportuno che non fossero presenti finestre alle spalle dell’utilizzatore. D’altra parte anche la presenza di finestre davanti al videoterminale può essere fonte di affaticamento a causa dei forti contrasti che sono generalmente presenti tra l’illuminazione esterna e quella artificiale del monitor. Per questi motivi generalmente è preferibile collocare la postazione del videoterminale, in modo che le finestre si trovino in posizione laterale rispetto allo schermo. Per analoghe considerazioni è opportuno evitare di posizionare il monitor di fronte a pareti eccessivamente chiare o scure, o superfici riflettenti. Per quanto riguarda il posizionamento dello schermo rispetto al soggetto, esso dovrebbe trovarsi ad una distanza di circa 60-80 cm dagli occhi ed il suo bordo superiore pochi cm sotto l’altezza degli occhi. Questo fa sì che il centro del monitor di trovi tra i 5° e i 20° circa sotto la linea di vista, consentendo una posizione corretta, da un punto di vista ergonomico, anche per quanto riguarda la postura del soggetto. Posizione di tastiera e videoterminale per garantire una corretta postura e ridurre i disagi visivi. Talvolta l’utilizzo del videoterminale è associato alla simultanea lettura di materiale cartaceo (ad esempio nell’inserimento di dati elettronici prelevati da moduli stampati); in questo caso sarebbe opportuno che i fogli fossero posizionati un po’ più vicini all’osservatore rispetto al monitor, magari opportunamente sorretti da un apposito supporto che consenta di sollevarli ad un’altezza di poco inferiore a quella dello schermo stesso. Correzioni visive Nel presente capitolo saranno trattati gli aspetti specifici delle correzioni visive relative all’uso dei videoterminali, soffermandosi sugli aspetti che favoriscono certi tipi di soluzioni rispetto ad altre. In generale, nella correzione con lenti conviene utilizzare sempre lenti antiriflesso per ridurre la perdita di luminosità. Per quanto riguarda invece l’utilizzo di lenti colorate per migliorare il contrasto, deve essere ricordato che tali lenti assorbono parte della radiazione incidente con il rischio di una riduzione eccessiva dell’intensità del segnale; risulta quindi necessario l’utilizzo di tonalità piuttosto chiare. Sul tipo di colorazione non ci sono indicazioni generali salvo quella di impiegare colorazioni neutre (tipo grigio o marrone chiari) per non alterare la percezione dei colori; talvolta vengono utilizzate lenti di colore rosato per attenuare disturbi legati all’illuminazione con lampade fluorescenti. In soggetti ametropi non presbiti la compensazione dell’ametropia avviene con lenti monofocali standard, tuttavia il centraggio della lente deve essere fatto per la visione alla distanza di lavoro. A questo proposito è bene ricordare che sebbene il lavoro al videoterminale coinvolga le funzioni della visione prossima, generalmente lo schermo è posto a distanza maggiore (60-80 cm) rispetto a quelle che vengono solitamente considerate per la visione da vicino (30-40 cm). Gli occhiali centrati per la distanza di lavoro al videoterminale dovranno essere utilizzati esclusivamente per tale tipo di attività. Un discorso diverso può essere fatto per i soggetti presbiti. Il lavoro al videoterminale non consente, a causa delle diverse distanze a cui sono posizionati gli oggetti da osservare (tastiera, monitor, documentazione cartacea, …), di compensare tali soggetti con lenti monofocali. D’altra parte le lenti progressive standard presentano zone funzionali ridotte per i poteri necessari per la messa fuoco a distanze caratteristiche del lavoro a videoterminale. Il potere necessario per vedere distintamente a queste distanze si trova, per questo tipo di lenti, in zone all’interno del canale di progressione, dove risulta praticamente impossibile avere aree delle dimensioni dello schermo prive di aberrazioni. La diffusione delle lenti progressive per vicino-intermedio ha consentito di risolvere il problema ed ottenere lenti correttive per soggetti presbiti idonee all’uso del videoterminale. Questo tipo di lenti infatti aumenta le dimensioni della zona funzionale in corrispondenza del potere necessario per la visione a distanze intermedie, consentendo così l’osservazione di uno schermo senza distorsioni, a scapito della possibilità di una visione nitida da lontano. Centrata infatti la zona per vicino della lente, il potere diminuirà gradualmente attraverso un canale di degressione fino a raggiungere un valore che consenta visione nitida a circa 2-4 m. Risulta evidente che questo tipo di lente, non consentendo la visione da lontano, è utilizzabile soltanto durante l’attività al videoterminale. L’applicazione di lenti a contatto per la compensazione di difetti rifrattivi in soggetti che utilizzano videoterminali va valutata con attenzione. L’attività prolungata al videoterminale comporta infatti un peggioramento delle condizioni del film lacrimale, dovuta a due effetti combinati: una riduzione dell’ammiccamento, che passa dai 22 ammiccamenti al minuto in condizioni di relax, ai 10 durante la lettura di un libro, fino ai 7 durante il lavoro davanti allo schermo, ed un aumento dell’esposizione della superficie oculare, riferita ai tre casi precedenti, risulta passare da 2.2, a 1.2 ed infine a 2.3 cm²[3]. L’utilizzo di lenti a contatto, per la loro tendenza a peggiorare lo stato del film lacrimale, rischia di aggravare una situazione resa già difficile dall’utilizzo stesso del videoterminale; è quindi opportuno proporre tale soluzione solo dopo un’accurata valutazione degli effetti appena descritti. Bibliografia (parziale) 1. M.Bellia, E.Farruggia, G.Bellofiore, G.Pollaci, S.Sbona, Valutazione del fenomeno astenopia in una popolazione di dipendenti pubblici esposti professionalmente a videoterminali, INAIL. III Convegno Nazionale di Medicina Legale Previdenziale, 11-13 ottobre 2000. 2. Anna Russo, Ergonomia e sicurezza ai videoterminali, CNRServizio di prevenzione e protezione, http://www.spp.cnr.it/doc_pdf/vari/videoterm.pdf. 3. Tsubota, K. and Nakamori, K. (1993). Dry Eyes and Video Display Terminals. New England Journal of Medicine, 328, 8, 584.