Lettere sulla felicità.

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Lettere sulla felicità.
Lettere sulla felicità.
Firenze, 31 Ottobre 2013.
“TRICKS OR TREAT”?
Dolcetto o scherzetto? Proprio come nella vita. Il mio “voler conoscere il finale” mi porta a
chiedermi, ogni mattina, se la giornata avrà un sapore dolce o amaro.
Domani parto, parto per Cuba.
L’attesa del viaggio mi rende euforica da settimane. Mi entusiasma l’idea di visitare L’Avana
prima della fine del regime di Fidel Castro, prima che venga riempita di negozi alla moda e centri
commerciali. Cuba promette tanta musica, ritmi nuovi da conoscere, da assorbire. E poi Natura,
tartarughe, stelle marine, ibis e pellicani.
Senza dubbio, posso definirmi una viaggiatrice atipica. Fino ad ora le mie destinazioni sono state
scelte da altri; dal mio ragazzo o dagli amici. Quando ero bambina pensavo che il mio primo
viaggio all’estero sarebbe stato in Egitto. Forse, per via di quel libro che mi avevi regalato: le
immagini delle piramidi mi avevano letteralmente rapita. Eppure, nonostante abbia compiuto
trentasette anni, non ho ancora visitato Il Cairo, perché non ho mai incontrato qualcuno che
volesse condividere questa esperienza. Per tanto tempo non ho preso in considerazione l’idea di
fare un viaggio in solitaria; troppo difficile pensavo, troppo pericoloso. E poi perché partire da
sola? Vedevo il viaggio come una sorta di appendice della mia vita di tutti i giorni; uno svago da
vivere nella stessa geografia dei miei affetti. Ma la paura ci limita solo se consentiamo che ciò
accada e può farci crescere, se decidiamo di sfidarla.
Circa un mese fa un’amica, che lavora in un’agenzia di viaggi, mi ha contattato per dirmi che era
stata disdetta una prenotazione per Cuba e che quindi, se lo desideravo, vi era un posto libero sul
volo Malpensa/L’Avana del 02 novembre 2013. Ho risposto impulsivamente di sì e il lunedì
successivo, mi sono presentata al Commissariato di via Pietrapiana per rinnovare il mio
passaporto che sarebbe scaduto alla fine dell’anno.
Molte persone mi hanno detto che mi merito questa vacanza; si sono raccomandate di lasciare a
casa i pensieri. Ma non è facile. Anche se ho tanta voglia di guardare tutto da lontano.
La macchina fotografica è in valigia; i libri, compagni di strada, sono pronti. E’ arrivato il
momento di vivere questo viaggio.
Malpensa, 01 Novembre 2013. DA DOVE VIENI, DOVE VAI.
Sono arrivata a Malpensa in treno; seduta davanti a me una simpatica coppia in pensione. Lui
ingegnere, lei biologa, partiranno anche loro domani mattina per Cuba.
Il tempo, quando sei in viaggio, acquista un valore completamente diverso e alle persone che
incontri poni sempre due domande: “da dove vieni” e “dove stai andando”.
Ci siamo scambiati il numero di telefono con l’intesa di rincontrarci, tra dieci giorni, all’Avana
per visitare insieme l’orto botanico, prima di ripartire per l’Italia. Sarebbe bellissimo se anche tu
potessi vedere il Jardìn Botànico Nacional!
L’albergo dell’aeroporto è tanto confortevole quanto asettico. Il wifi mi consente di scaricare un
ultimo aggiornamento per il telefonino. Purtroppo, o per fortuna, internet a Cuba non è ancora
presente e invadente nella vita di tutti i giorni e, fino all’arrivo a Cayo Largo, sarà improbabile
trovare la connessione.
Blu Panorma, 02 novembre 2013. POSTO 02 C.
Finalmente tra le nuvole e, per una volta, non in senso figurato! Su una comodissima poltrona
della Business Class, grazie ad un over booking. Decisamente un buon inizio, visto che il volo
durerà dodici ore ed io non sono mai stata su aereo per più di due. Sono seduta vicino al
finestrino, accanto ad uomo sulla cinquantina, evidentemente abituato a volare su questa tratta:
dopo neanche cinque minuti dal decollo, si è addormentato. Una hostess mi porge un bicchiere di
aranciata e dei gadgets della compagnia: caldi e morbidi calzini ed uno spazzolino da denti.
Naturalmente non posso resistere e sperimento il meccanismo della poltrona in pelle. Una
targhetta sul sedile racconta che l’aereo è appartenuto alla flotta della Alitalia. La hostess riappare
e, sempre con grande gentilezza, mi offre un quotidiano. Il personale di bordo suggerisce di
guardare un film ma mettermi le cuffie mi dà la sensazione di perdere qualcosa; preferisco
scrivere. Il tintinnare di piatti e carrelli sveglia il mio vicino che sistema il vassoio, mangia tutto
ciò che vi si trova, mi chiede che ore sono e si riaddormenta. Ad un certo punto, guardando il
monitor sopra la cabina di pilotaggio, mi accorgo che l’aereo è raffigurato quasi in parallelo con
New York. Impossibile non pensare alla distanza da casa ed al fatto che sotto di me c’è l’Oceano
Atlantico!
Alle 18,00 (ora italiana), la hostess ci informa che a Cuba non è stata ancora cambiata l’ora legale
e che quindi ci aspetta un’ora in meno di volo. Un meraviglioso spettacolo appare dal finestrino:
sono le Bahamas, viste dal cielo. I colori blu e verde smeraldo dell’acqua creano un suggestivo
contrasto. Mi colpisce la luce, così netta e limpida.
L’hostess, con un largo sorriso, sveglia il mio vicino e lo invita ad allacciare le cinture: stiamo per
atterrare.
LUNGO IL MALECON.
Lo storico e imponente Hotel Nacional svetta sulla cima di un promontorio. Ma appena entrata
nella mia camera, ho la sensazione di trovarmi nell’Italia degli anni ’50. L’arredamento è sobrio,
le lenzuola gialline. Mi affretto a scendere all’ufficio di cambio prima che chiuda. Dal 1944, è
stato introdotto il sistema della doppia moneta: pesos comuni CUP per i locali e pesos
convertibili CUC per i visitatori. Solo questa seconda moneta può essere utilizzata dai turisti. Due
monete, due mercati paralleli; con i cubani che guadagnano mediamente 500 pesos al mese, pari a
circa 25 dollari e poco meno di 23 euro! Il giardino dell’hotel cela una sorpresa: un piccolo
allevamento di pavoni. Secondo lo stile Buena Vista Social Club, intono Chan Chan ad uno dei
pennuti che mi dà il benvenuto mostrando il ventaglio delle sue piume. Mentre cerco di
immortalarlo con la macchina fotografica, ripenso al superotto che hai girato allo zoo di Pistoia
durante la gita scolastica e a come ti mostravi fiera, con le altre madri, di essere riuscita a filmare
un pavone mentre faceva la ruota.
Il sole inizia a tramontare ed il vero spettacolo, la vita cubana, ha inizio.
Le persone sul muricciolo del Malecon non si contano ed ogni volto meticcio mi pare raccontare
un romanzo. Non vedo turisti, solo cubani ma non mi sento affatto in soggezione.
Gli edifici dall’altra parte del viale a mare, sfoggiano una sorta di poetica decadenza. La gente è
gioiosa, vestita con abiti semplici e dai colori molto accesi. Ci sono famiglie, coppie di fidanzati,
ragazzi che suonano la chitarra. Probabilmente queste persone vengono qui ogni sera, eppure è
come se vi trovassero per la prima volta, tanta è la leggerezza che trasmettono i loro sorrisi;
eppure non hanno niente da offrire ai figli di questa terra se non la vita.
Mentre cammino, vengo avvicinata da una venditrice di sigari di contrabbando col viso grinzoso
e un fiore di hibiscus appuntato nei capelli. Non ne prendo, però scambio 3 CUC con una
banconota da 3 pesos comuni con il ritratto del Che. Dopo una lunga ricerca dell’esatta coppia
tempi/diaframma, scatto qualche foto agli sguardi sorridenti che mi circondano e che, a tratti, si
mettono in posa. Quando la sera scende, il porto con il Morro, diventa una vera e propria
cartolina; un’immagine che rimarrà sempre chiara nel mio cuore. L’aria ha un odore nuovo,
sconosciuto e parla di incontri, di scambi, di arrivi e di partenze.
La cena, all’albergo, è un buffet con pietanze che sembrano trovarsi nei vassoi dal giorno
precedente e probabilmente è proprio così. A causa dell’embargo, non viene buttato via niente,
soprattutto gli alimenti. Immancabilmente sento qualcuno lamentarsi del servizio.
Dopo mangiato, mi siedo nel giardino dell’hotel per ascoltare un po’ di musica. La giovane
solista alterna il canto al flauto traverso. Che ispirazione! Purtroppo quando viaggi da solo,
ridurre al minimo il peso del bagaglio diventa un imperativo categorico. Non sai se troverai
qualcuno disposto ad aiutarti, quindi devi essere pronto, in ogni momento, a spostare il peso della
valigia con le tue sole forze. Così, ho lasciato a casa il flauto…Ma non l’armonica!
L’Avana, 03 Novembre 2013. IN UN ETERNO ISTANTE.
Era inevitabile avere problemi di sonno: il fuso orario, i rumori nuovi e l’impazienza di visitare la
capitale, mi hanno fatto rimanere in dormiveglia. Spalancando le tende, ho scoperto una giornata
dai colori grigi ma non mi ha scoraggiato. Sono scesa in giardino con l’hotel ancora
addormentato; niente via vai di turisti. Da questa altura il panorama è suggestivo. Le onde si
infrangono violente contro il muricciolo e sovrastano il Malecon. Il lungomare è deserto; la notte
ha portato via con sé l’esplosione di vestiti colorati della sera precedente. Soffia un vento forte
ma caldo. Contratto con Ariel, un ragazzo sulla trentina, il prezzo del coco-taxi (un sorta di risciò
a motore) per fare il giro della città.
L’Avana si sveglia intorno alle 9,00 del mattino. Prima tappa, un giardino di ficus secolari che ho
notato ieri mentre raggiungevo l’albergo. Resto incantata dalla bellezza di queste piante con
enormi e numerose radici aeree. Provo un’emozione indescrivibile pensando che questi alberi
hanno visto Cuba trasformarsi in un protettorato degli Stati Uniti; che erano qui quando gli
americani abbandonarono l’isola ed anche quando Che Guevara e Fidel Castro entrarono
vittoriosi nella città.
All’arrivo a Plaza de la Revolucion, dove spicca il profilo stilizzato del Comandante, il sole vince
la malinconia delle nuvole. Mentre percorriamo le trafficate strade dell’Avana Moderna,
scorrono, tutto intorno, le numerose auto d’epoca e ho l’impressione di trovarmi in una sorta di
museo interattivo. Cerco di scrutare i pensieri delle persone che incrocio. Ad un certo punto
affianchiamo un autobus di linea ed incontro lo sguardo intenso di un ragazzo. Alzo la macchina
fotografica e lui subito, con un sorriso, da dietro il vetro, mi fa segno di vittoria. Con un click,
fermo nel tempo l’incontro tra le nostre vite.
Il Capitolio Nacional è in restauro ma anche così, circondato dai ponteggi, tradisce l’ispirazione
alla Capitol Hill di Washington. Ai piedi della scalinata, una vecchia fotocamera a soffietto
cattura la mia attenzione. Resto incuriosita dalla somiglianza del nome del proprietario, Koda,
con quello del più famoso Korda che immortalò il Che nella posa, cara a Feltrinelli, divenuta
eterna. Così mi lascio tentare da una foto sulla lastra che Koda esegue con una sorta di
primordiale effetto Photoshop, applicando una piccola scritta a mano Cuba sull’istantanea in
bianco e nero.
L’Avana si svela attraverso le atmosfere. Ho l’impressione di camminare senza appartenere a
nessun luogo, tra le case di epoca coloniale e quelle della metà del secolo scorso. Finalmente
Calle Mercader: è bellissimo scorgere il quotidiano dei cubani. Sono assetata di immagini e
sensazioni. Ascolto il battito della città, il cuore di Cuba che oscilla fra frenesia e colore tropicale.
Passeggio fra le vie del centro di questa decadente città e ne assaporo i suoni, i colori sgargianti,
le musiche afrojazz, le frasi che si colgono camminando. Mi inebrio di questa arte del vivere che
è nell’aria. Nella Plaza de Armas incontro un mercatino di libri usati e mi lascio catturare
dall’odore della carta dei vecchi volumi. Su una delle bancarelle noto una copia, in spagnolo, del
Piccolo Principe e gli appassionati Versos Sencillos di Josè Martì. Tutt’intorno alla piazza, delle
donne cubane, vestite con abiti di cotone bianco, se ne stanno sedute fumando sigari irriverenti.
Si mettono in posa davanti a muri dai colori sgargianti che fungono da perfetta scenografia per i
turisti a caccia di foto ricordo, al costo di pochi pesos.
Arrivo alla Plaza Vieja e la scopro completamente ristrutturata: i colori pastello, ocra e celeste,
perfettamente recuperati e, all’angolo della piazza, la prima boutique, firmata Patrizia Pepe. Le
strade, tutt’intorno, sono rimaste però quelle dell’Avana più vera. Quartieri privi di asfalto, i
panni che pendono dai balconi, la gente seduta sui marciapiedi. Violino, guiro (uno strumento
fatto con la zucca) e maracas intonano, struggenti, Dos Gardenia, Silencio, Besame Mucho.
Dopo aver aggiunto la mia firma a quelle di Hemingway e Neruda, alla Bodeguita del Medio, ho
proseguito la visita dell’Avana Vecchia, a piedi, fino al tramonto; quando Ariel è venuto a
prendermi vicino alla chiesa di San Francisco de Asis. Mentre torniamo all’albergo, passiamo
vicino ad un lungo torrente di persone che ridono e conversano assieme. Il mio cicerone mi
spiega che sono tutti in fila per prendere un gelato, che i cubani sono “abituati” a fare la coda
quasi per ogni cosa e che anche quella è un’occasione per socializzare. Chissà cosa penserebbe se
sapesse che nella nostra civiltà del progresso ogni attesa si inganna con il cellulare; che siamo
vittime del fear of missing out, di una sindrome per cui non è più possibile stare in solo luogo e
che ci induce a creare relazioni effimere e non emozionali in una realtà virtuale e parallela.
L’Avana, 04 Novembre 2013. POLVERE E PENSIERI.
Ha piovuto durante tutta la notte. Anche questa mattina, il vento fa danzare le palme fra le nuvole
grigie ma la temperatura si mantiene intorno ai 27 gradi. Ieri in Avenida Mayo ho comprato il
biglietto dell’autobus per Cienfuegos che dista circa 250 Km dall’Avana. Mi sono seduta in
fondo al pullman, accanto al finestrino e ho impostato la macchina fotografica su un tempo di
scatto molto rapido, pronta a cogliere quello che ha da raccontare la strada. Fuori dall’Avana il
paesaggio cambia e diventa una distesa di palme reali, piantagioni di canna da zucchero e alberi
da frutto, in lontananza le mogotes. Ai margini della strada, numerose persone fanno l’autostop,
in attesa di qualche malconcio camioncino che faccia loro un po’ di posto sul retro. Le accomuna
un fatto: sorridono pazienti. Attraversiamo alcuni villaggi di cui non è segnalato il nome. Le case
sono basse, rettangolari, spigolose e povere, immensamente povere. Arrivata a Cienfuegos, il sole
ha vinto di nuovo il cattivo tempo. Cammino tra le bancarelle che vendono strumenti musicali,
lavori ad uncinetto, oggetti in legno, quadri dipinti con colori sgargianti. I murales si alternano
all’architettura coloniale francese. Come all’Avana, noto che le piazze sono state ben ristrutturate
ma che altrettanto non può dirsi della moltitudine di strade che da esse si dipanano. A differenza
della capitale, c’è poco traffico e non mancano improvvisati mezzi di locomozione trainati da
cavalli. Plaza Josè Martì, al centro della città, è decorata da una lunga fila di sedie in ferro
smaltate di verde, dove i cubani si danno appuntamento per conversare ed è possibile ammirare i
bellissimi mosaici del teatro Tomas Terry. La struttura, all’interno, è di ispirazione italiana con le
sedute in legno, gli affreschi e gli stucchi dorati. Rimango rapita dall’atmosfera e dalla magia che
trasuda il palcoscenico, come se le arie cantate da Caruso vi avessero, in qualche modo, lasciato
un’impronta.
Mentre risalgo in autobus, ripenso alla lunga fila di persone che ho visto ieri davanti alla
gelateria; ai loro sguardi verso i turisti. Ho la sensazione che i cubani siano incuriositi dal nostro
modo di vivere, da tutte le nostre belle cose ma che, allo stesso tempo, non le desiderino affatto.
Forse perché leggono i nostri volti e percepiscono le nostre solitudini, lo scarso valore che
attribuiamo alla vita, soprattutto a quella degli altri. Sembrano pervasi da una profonda e stabile
serenità. Mi chiedo se tutto questo finirà; se anche questa società verrà “corrotta” quando, come
dicono, sarà revocato l’embargo.
TRINIDAD, 05 Novembre 2013. LE VITE DEGLI ALTRI.
Alle 6,30 la luce ha iniziato a filtrare dalla tenda e sono uscita in fretta. Lo spettacolo del mare
caraibico si è aperto davanti ai miei occhi. L’azzurro, il cobalto, il verde, il turchese, si fondono
assieme in un silenzio diverso da tutti quelli che ho ascoltato fino ad oggi. La spiaggia sembra
una macina di conchiglie. Il cielo passa velocemente dal rosa dell’alba all’azzurro di una giornata
molto calda. Avvisto una stella marina! Starei ore a guardarla attraverso l’acqua cristallina, nella
sua solitaria meraviglia, con lo stesso stupore di quando ho visto il mare la prima volta. Ti ricordi
quando stavamo sedute sulla battigia?
Una Tatcheria, la conchiglia tanto amata da Pablo Neruda, rotola vicino ai miei piedi. La
raccolgo e decido di farne un portafortuna.
Tutt’intorno all’albergo c’è una sierra dall’atmosfera irreale. A bordo del taxi, vedo alzarsi in
volo un rapace dalle grandi ali nere e il becco rosso. Si libra libero nel cielo e, come seguendo il
modo di vivere cubano, si lascia andare e si affida alle correnti di aria calda, mantenendo ferme le
lunghe e maestose ali.
Anche a Trinidad trovo tanta povertà. Vengo circondata da ragazzine che vendono, per pochi
CUC, collane realizzate con la poa e i semi di zucca. Lungo una strada in salita, fatta di ciottoli,
vedo un locale spoglio e dal sapore austero: La Libra. Qui vengono forniti gli alimenti agli
abitanti. A Cuba il cibo è razionato ed ogni famiglia ha diritto solo ad un certo quantitativo nel
corso del mese. Queste persone possiedono solo quello che indossano; eppure mentre le guardo,
sedute sui marciapiedi, ho l’impressione che sentimenti come la rabbia e la disperazione non
abbiano mai abitato i loro cuori. Certo non possono vedere, tramite internet, come vive l’altra
parte del modo ma vedono ogni giorno sfilare i turisti che riempiono le strade delle loro città e
certamente intuiscono come il destino ci ha reso diversi. La voglia di guardare al futuro è
palpabile. La gente che incontro non fa che parlare della speranza che facciano ritorno gli
americani ed immettano nuova liquidità.
Passando davanti ad una finestra, sento voci di bambini parlare in coro. Infilo il braccio tra le
inferriate bianche e scosto una pesante tenda, scoprendo una classe alle prese con l’alfabeto. Una
bambina, con la divisa bianca e rossa, corre veloce verso di me e mi stringe la mano. L’accarezzo
e lei mi guarda con gli occhi neri per un tempo che mi pare infinito.
La pioggia mi ha riportato in albergo. Seduta sul patio, suono l’armonica fino a quando il
temporale lascia di nuovo spazio al bel tempo e sulla spiaggia appare un bellissimo arcobaleno.
L’Avana, 11 Novembre 2013. JARDIN BOTANICO NACIONAL.
Cara mamma, oggi si conclude il mio viaggio a Cuba. Sto guardando un Hibiscus Schizopetalus e
non posso fare a meno di pensare che tu non hai mai visto questo fiore a forma di piccola lanterna
rossa e a quanto mi sarebbe piaciuto mostrartelo, almeno in fotografia.
Chiudendo gli occhi, rivedo i kilometri di spiaggia dorata di Cayo Largo, la solenne Santa Clara, i
colori dell’Avana, la lunga strada per Cienfuegos, la piccola mulatta di Trinidad.
Mi accordo di non ricordare dove ho riposto il cellulare l’ultima volta. Le tecnologie hanno
cambiato le persone, hanno interrotto la connessione tra l’uomo e la natura, consentendoci di
soddisfare il nostro implacabile desiderio di controllo. Controlliamo tutto: le previsioni meteo per
evitare di avere, a ferragosto, cattivo tempo al mare e sole in montagna; manipoliamo la nostra
immagine con i filtri per le foto, perché gli altri ci vedano come noi vorremmo essere;
supervisioniamo i profili dei nostri amici sui social network e verifichiamo l’ultimo accesso su
whatsapp convinti di poter conoscere così le loro vite.
Come se tutto questo fosse davvero il mezzo per garantirci la felicità.
Eppure le cose più belle della vita, come per me questo viaggio, accadono in maniera inaspettata
e, di certo, non avrei provato le stesse emozioni se, fin dall’inizio, avessi conosciuto il finale.