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SUR 38 Julio Cortázar Così violentemente dolce. Lettere politiche (Lettere – Volume III) titolo originale: Cartas traduzione, selezione e cura di Giulia Zavagna a partire dall’edizione in spagnolo curata da Aurora Bernárdez e Carles Álvarez Garriga Opera pubblicata nell’ambito del Programma «Sur» di sostegno alla traduzione del Ministero degli Affari Esteri e Culto della Repubblica Argentina. Obra editada en el marco del Programa «Sur» de apoyo a las traducciones del Ministerio de Relaciones Exteriores y Culto de la República Argentina. © Eredi di Julio Cortázar, 2012 © SUR, 2015 Tutti i diritti riservati Edizioni SUR redazione: via della Polveriera, 14 • 00184 Roma tel. e fax 06.83514309 sede legale: viale Parioli, 73 • 00197 Roma [email protected] www.edizionisur.it I edizione: ottobre 2015 ISBN 978-88-97505-78-5 Progetto grafico di Riccardo Falcinelli Composizione tipografica degli interni: Miller (Matthew Carter, 1997) Julio Cortázar Così violentemente dolce Lettere politiche a cura di Giulia Zavagna Avvertenza: Per agevolare la fruizione del testo al lettore italiano, le note dell’edizione originale sono state integrate e ampliate dal curatore. In appendice al volume sono riportate delle brevi note biografiche sui destinatari delle lettere e una bibliografia selezionata delle opere citate. A Eduardo Hugo Castagnino Il 1951 è l’anno che segna una prima svolta nella vita di Cortázar: si trasferisce a Parigi e abbandona l’Argentina peronista, per motivi più estetici che politici: «stavo affogando in un peronismo che ero incapace di comprendere allora, quando un altoparlante sotto casa mi impediva di ascoltare i quartetti di Béla Bartók». Solo qualche anno dopo l’autore, alla fine del secondo mandato di Perón, si aprirà a considerazioni politiche che sfoceranno via via in un vero e proprio impegno. Questa lettera a Castagnino ne è uno dei primi esempi. Parigi, 9 maggio 1957 Mio caro Doc, mi hai scritto secoli fa, non ti ho risposto, sono di una pigrizia ripugnante. So benissimo che posso già contare sulla tua generosità, ma in ogni caso non dovrei approfittarmene in questo modo. Parigi è davvero una donna; ti getta le braccia al collo, ti isola dal mondo poco a poco, ti propone ogni giorno qualcosa di nuovo per suscitare il tuo apprezzamento 5 o rifiuto. D’improvviso ti rendi conto che già due o tre mesi sono caduti dal calendario, e ti prendi la testa tra le mani. Ma non credere che mi dimentichi di voi, anzi. Ogni volta che qualcuno mi porta una notizia da Buenos Aires, soprattutto di ordine politico – sempre falsificate, tergiversate, tendenziose, puzzolenti di veleno e sporco –, mi piacerebbe averti davanti a un bicchiere di birra, al caro vecchio Helvética,1 per chiederti che ne pensi di tutto ciò, come interpreti quel merengue apocalittico che è la nostra dolce patria. Sembravi piuttosto irritato nella tua ultima lettera, e io e Aurora abbiamo avuto l’impressione che non fossi per niente contento di come andavano le cose, soprattutto nell’ambito della scuola (questa Cenerentola argentina picchiata da tutti, che siano di destra o di sinistra, preti o «progressisti»). Mi conforta, tuttavia, pensare che tra pochi mesi potrò ascoltarti a lungo, sapere da vicino che cosa ne pensi. Sei un po’ il mio «testimone», il mio doppio rimasto in Argentina, che guarda e giudica per me; credo che sia un altro modo di definire fiducia e amicizia. Partiremo il 6 agosto, e arriveremo verso il 26; credo che ci fermeremo almeno due mesi. Naturalmente, come sempre, ci vedremo molto meno di quanto avremmo voluto, perché puoi bene immaginare cosa significhi far fronte a due famiglie e a una rispettabile quantità di amici e conoscenti. Ma cercheremo di stare insieme il più possibile, Doc, e toglierci la voglia di chiacchierare. Mi ha fatto molto piacere sapere che siete riusciti a vedere almeno alcuni dei migliori film recenti, perché so cosa rappresenta il cinema per te, e quanto gli argentini ne siano stati privati durante il regno di Juan i. Conosco tutti i film che mi citi, e sono completamente d’accordo con la tua opinione. La strada e La signora omicidi sono, ognuno nel suo 1. Storico caffè di Buenos Aires. 6 genere, due meraviglie. Il successivo di Fellini, Il bidone, mi è piaciuto molto meno; preferisco I vitelloni. [...] Tutto ciò che dici sul tema generale del «siamo fottuti» lo capisco e lo so fin troppo bene. Hai tutte le ragioni del mondo: siamo vanitosi, ci crediamo una razza superiore, non accettiamo il fatto che Perón non ha avuto altra colpa che quella di rappresentare uno stato di coscienza, una morale che è disgraziatamente radicata nel più profondo del carattere degli argentini. Il trucco del capro espiatorio è molto facile, ma continuiamo a utilizzarlo senza vergogna. L’abbiamo fatto con Yrigoyen, poi con Uriburu, ora con Perón. Ho appena letto su La Nación un secco, chiaro e contundente discorso di Aramburu, il cui tono oratorio mi sembra perfetto (ragione per cui non sarà popolare). Dà l’impressione che quello sia già stufo di dire al popolo che siamo rovinati, che non possiamo permetterci lussi inutili, etc.; e sospetto che siano in pochi a credergli, e che la maggioranza non si fidi né di lui né del resto del mondo... fino al momento in cui sorgerà il Gran Demagogo che li abbindolerà con un paio di slogan e il dieci per cento di aumento di stipendio. Nemmeno qui le cose vanno bene, la questione dell’Algeria è uno schifo completo, e i francesi fanno fatica a convincersi che sono un povero e piccolo paese di scarsissima importanza. (Credo di averti detto che dall’India questo si nota in modo impressionante, e lo stesso vale per tutta l’Europa. Di colpo ti rendi conto di che cos’è l’Asia, quel vivaio incredibile di uomini e forze; in confronto, l’Europa è come un angolino sulla mappa, qualcosa di vecchio e stanco e paralitico... Ma quando atterri a Orly, subito ti ritrovi i titoli presuntuosi dei giornali, la Francia di qua e la Francia di là, e l’Inghilterra, e l’Italia, e tutta la combriccola.) Non si rendono conto di cosa sta per piombargli addosso. Per quanto mi riguarda, spero di morire prima. O, perlomeno, che la prima 7 bomba mi prenda proprio al centro della testa. Sono troppo occidentale per rifarmi una vita secondo i gusti di Zhou Enlai2 – e perfino di Nehru. Ciao, vecchio mio, un grande abbraccio da Aurora per Alda e i ragazzi, e tutto l’affetto di Julio Che mi dici di Sugar Robinson? È degno dell’Iliade, checché ne dicano gli esteti... A Eduardo Jonquières Dopo un governo molto limitato dalla pressione del potere militare, e dopo aver subito moltissime sommosse e sei tentativi di colpo di stato, il presidente argentino Arturo Frondizi venne definitivamente deposto con il golpe del ’62. 20/3/’62 Mario!!!3 Io me domando se questa lettera ti arriverà perche cui le patate ardono [sic]. Ovvero è successo quello che doveva succedere. Gli hanno dato sei anni per rifarsi, gli hanno permesso la propaganda più sfrenata, e due giorni fa i peronisti hanno dato a Frondizi il colpo di grazia. Come già saprai, intervento in cinque province, e chissà che altro succederà mentre questa lettera sarà in viaggio o finirà persa in una cassetta insieme a cicche di sigarette, sputacchi e volantini 2. Zhou Enlai (1898-1976) fu un importante politico cinese: dirigente del Partito Comunista Cinese, fu capo di governo della Repubblica Popolare Cinese dal 1949 fino alla morte. 3. Soprannome con cui Cortázar chiamava Eduardo Jonquières. 8 della ucri.4 Io, in quanto membro di uno strato oligarchicoliberale-piccoloborghese-intellettualoide della R.A.,5 sono schifato da questo ritorno della massa sudaticcia. E inoltre, in quanto osservatore oggettivo, credo che questo sia un ritorno alla normalità e alla verità della suddetta R.A., ovvero che la tale R.A. sia peronista, o militarista, o panciafichista, o escapista, e che noi galleggiamo, poveri rimasugli di sughero, sul generoso e fecondo mare di merda che costituisce la nostra patria. Amen. Ceci dit, revenons à Eugénie Grandet.6 Sakai mi ha telefonato alcuni giorni fa per annunciarmi le novità sul tuo conto, che mi sono sembrate eccellenti. Mi riferisco naturalmente alla pittura. Vede, giovanotto, cosa significano l’impegno e lo sforzo? Lei dipinge e dipinge, e quelli la comprano e la espongono. Sciagurato che non sei altro, potevi anche mandarci due // [righe]. Uno deve scoprire cose del genere passando per il Giappone. Salaud, va.7 Non so se sai che dopo innumerevoli complicazioni abbiamo trovato posto sul Río Bermejo che «dovrebbe» partire il 26/3. Però con le notizie politiche e il clima da sciopero generale che c’è oggi, mi chiedo... Presumo che ci toccherà sborsare altri dollari e tornare in aereo. Ti assicuro che non vedo l’ora di andarmene da qui, ancora una volta mi sento minacciato, intrappolato, e ho un malumore che combatto 4. Unión Cívica Radical Intransigente: partito politico argentino sorto dalla scissione dell’Unión Cívica Radical, nel 1957. Il suo leader fu, appunto, Arturo Frondizi. 5. República Argentina. 6. «Detto ciò, torniamo a Eugenia Grandet». Espressione che Cortázar usava spesso per introdurre argomenti letterari, dalla celebre affermazione di Balzac: «Torniamo alla realtà, parliamo di Eugenia Grandet». 7. «Mascalzone». 9 con la lettura delle opere complete di Eugenio Cambaceres, grande cronopio dell’Ottocento. A casa tutto come al solito. Sempre fedele ai nostri appuntamenti, la Signora con la Falce si è portata via l’ultimo dei Pereyra, sposato con la cugina di mia madre. Da un po’ di tempo a questa parte non mi perdo un rosario. Spero che tu o María abbiate ogni tanto un attimo per andare fino a casa a vedere se è tutto a posto. Non rispondermi qui: o parte la nave, o ce ne andremo in aereo entro una settimana. Se prendiamo la nave ti manderò due righe per avvisarti della data di arrivo a Parigi. È vero che hanno dichiarato la pace con l’Algeria? I comunicati non mi convincono del tutto. Di quante cose dobbiamo parlare. Un abbraccio a tutti e a te da Julio A Perla ed Enrique Rotzait Parigi, 12 agosto 1962 Cari Perla ed Enrique, ho avuto voglia di scrivere questa lettera praticamente da quando siamo partiti da Buenos Aires. È soprattutto per colpa dell’Unesco che ho tardato quattro mesi a farlo. L’Unesco e Parigi, che appena arrivi ti avvolge con le sue malie e ti obbliga deliziosamente a entrare in un circolo vizioso infinito, di mostra in mostra, di teatro in teatro, di libro in libro... Ora qui è estate, una domenica di sole e caldo, Aurora è tutta intenta a leggere i racconti di Italo Calvino e Tommaso Landolfi, e io dopo vani tentativi pittorici, dai quali sono uscito come sempre coperto di tempere assortite dalla testa ai piedi, decido di raccontarvi tutto questo e chiedervi come state in quella Buenos Aires che per noi, da dieci giorni a questa 10 parte, si riduce a un comunicato dopo l’altro sui giornali, tra il marcio e la muffa, con ministri di guerra che vanno e vengono, Loza che va in frantumi,8 Toranzo Montero9 che brama, e Guido... che fa Guido? Vai a capire cosa fa Guido!10 Non crediate che mi diverta scrivere queste pessime battute. Qui ci chiediamo ogni giorno che cosa sta succedendo veramente in Argentina, e che direzione sta prendendo l’intera America Latina. La distanza non ci rende affatto onniscienti, né ci garantisce una buona prospettiva, perché le informazioni sono precarie e tendenziose, e in più siamo privi di una formazione storica o politica che ci permetta di comprendere a fondo questi problemi. L’unica cosa che ci resta sempre tra le mani, quando posiamo il giornale sul tavolo, è la malinconia. E pensare agli amici che lì, indifesi, sopportano la grottesca stretta dei prepotenti del momento. Qui tutto bene. Aurora, come prevedeva il chirurgo, si sente sempre meglio, e il brutto periodo dell’anno scorso è stato più che giustificato. A me, ovviamente, il viaggio sul Río Bermejo ha curato i nervi in pochi giorni. Siamo stati a bordo ventotto giorni, tra una quotidianità splendida e scali interessanti. Quello di Orano è stato drammatico, con la città sul piede di guerra, morti per strada e un ambiente degno della Peste. Di notte, dalla nave, sentivamo le mitragliatrici e le 8. Juan Bautista Loza, militare argentino, nel 1962 comandante in capo dell’esercito e segretario di guerra. Il gioco di parole nell’originale è con il sostantivo loza, porcellana. 9. Carlos Severo Toranzo Montero, militare argentino, fu a capo dell’esercito dall’agosto 1959 al marzo 1961, durante la presidenza di Frondizi. Estremamente politicizzato, aveva preso parte a varie cospirazioni e per tutta la durata del suo incarico tentò di sollevare l’esercito e provocare la caduta del presidente. 10. José María Guido, avvocato e politico argentino, prese il potere in seguito al golpe del 29 marzo 1962 che rovesciò Frondizi, e fu presidente dal marzo 1962 al 1963. 11 bombe, e la mattina gli scaricatori algerini arrivavano al porto su camion militari che li proteggevano (non sempre con successo) dalla rabbia impotente dei pieds noirs francesi. A Barcellona abbiamo passato cinque giorni interi, cosa che ci ha dato il tempo di esplorare a fondo la città, andare alla corrida e in trattoria, e mangiare tanti gamberoni che solo un volume equivalente di camomilla poteva placare la sete che ci mettevano. Quando verrete in Europa, cercate di farlo su una di queste piccole navi, perché sono un vero toccasana per il riposo. Qui c’è stata una tale quantità di incidenti aerei che a noi piacciono sempre di più le navi. Retrogradi! [...] Dovrei dirvi tante di quelle cose, ma è difficile perché a voi non piacerà che io ve le dica, e tuttavia le dirò lo stesso. Voglio che sappiate che nei tristi mesi che ho passato a Buenos Aires, la vostra casa – come quella di Esther e Lipa11 – è stato un rifugio meraviglioso. So che lo sapete, o lo sospettate, ma voglio dirvelo lo stesso. Con voi, in quelle serate di musica e chiacchiere tranquille e felici, mi sono sentito tra gli amici di una vita, capivo ed ero capito senza bisogno di parole, solo grazie al valore di un affetto così semplice e così vero. Ecco, l’ho detto. È un po’ come se fossi di nuovo per un attimo insieme a voi. Ora si sentono rumori strani qui nel granaio, è che Aurora non ha trovato niente di meglio da fare che fabbricare enormi quantità di pop-mais. Dovrò salire a mangiarlo, perché è un nobile prodotto. E stasera andremo alla Butte a prendere un vinello e so già che parleremo di voi come ci succede quasi sempre quando siamo contenti e in qualche modo dobbiamo associarlo a voi, alla speranza che arriverete un giorno e che tra tutti e quattro rivolteremo Parigi. Sì, 11. Esther Herschkovich e Lipa Burd, amici di Aurora Bernárdez e suoi testimoni in occasione del matrimonio con Cortázar. 12 Aurora, vi dirò che vi abbraccia e che vi scriverà presto (??). Tanto, tanto affetto per entrambi da Julio A Eduardo Jonquières Cortázar, che da Parigi aveva seguito la Rivoluzione Cubana, fu invitato all’Avana nel 1963 come membro della giuria del premio letterario Casa de las Américas. Fu il primo di moltissimi viaggi non solo di piacere, e l’inizio di un avvicinamento concreto ai problemi sociali e politici dell’intera America Latina. L’Avana, 22 gennaio ’63 Caro Eduardo, da 15 gradi sottozero a Praga, a 30 sopra lo zero all’Avana, un bel salto, no? Però l’abbiamo fatto davvero ed eccoci qui, alloggiati in un hotel dove gli americani giocavano alla roulette di fronte a un mare favolosamente azzurro (Drake, Morgan, Kidd, oh Manes di Stevenson!). Non ti scriverò una lunga lettera perché la Casa de las Américas non me lo permette, è un continuo di passeggiate, mostre, visite, montagne di libri e di riviste (che ti darò a Parigi, ci sono poeti e scrittori di racconti formidabili), e poi c’è la città, incredibile, con la sua piazza della Catedral – Gropius disse che era la più bella d’America e io gli credo – e con la sua gente contenta, entusiasta, carica come si può essere solo dopo una rivoluzione simile. Della rivoluzione parleremo poi, oggi ti dico solo una cosa: salvo quattro o cinque scrittori (Lydia Cabrera, Novás Calvo...) tutti gli intellettuali e gli artisti sono con Fidel Castro fino al collo, lavorano come pazzi, contribuiscono all’alfabetizzazione e alla direzione dei teatri, e vanno nelle campagne a capire che problemi ci sono... Devo ammettere che mi sento vecchio, rinsecchito, francese in confronto a loro. Se avessi vent’anni di meno, ti manderei un saluto e 13 resterei qui. Ma tornerò, ormai non posso andarmene dal mio piccolo guscio. (Senza contare che vedo bene anche la contropartita, ma in realtà non è nulla di fronte alla bellezza di questo son entero.)12 Che persone, che popolo incredibile. L’embargo è mostruoso. Non ci sono medicine, nemmeno delle pastiglie per la gola. Si fanno miracoli per combinare il riso con le batate e le batate con il riso. Il tutto con viso sorridente (a parte, ovvio, le inevitabili smorfie di quelli che non resistono con meno di sette uova al mese...). Credo che ci fermeremo fino al 20/2, più o meno. Ti mando due righe per mia madre, per favore spediscile a María Herminia D. in Pereyra, General Artigas 3246, App. 7. Se hai qualcosa da scrivermi, fallo presso la «Casa de las Américas», L’Avana. Cari saluti da Aurora a tutti voi, un grande abbraccio, Julio Se vedi Alex Rosa,13 digli che Calvert14 è un grand’uomo e che siamo diventati molto amici. Saluti a tutti! A Paul Blackburn Vienna, 1° aprile 1963 Caro Pablo, non so come iniziare questa lettera. Starai pensando che io sia rimasto a Cuba o che i feroci barbudos mi abbiano uc- 12. El son entero, libro di poesie dello scrittore cubano Nicolás Guillén. Il son cubano è un ritmo nato a Cuba nella metà del Novecento, dalla contaminazione tra la tradizione musicale dei colonizzatori europei e quella degli schiavi africani. 13. Traduttore dell’Unesco. 14. Calvert Casey (1924-1969) fu un giornalista e scrittore cubano di origini statunitensi. 14 ciso. Be’, no, niente di tutto questo. Ti spiego che cosa è successo. Ho ricevuto la tua ultima lettera pochi giorni prima di partire per L’Avana, e non ho avuto tempo di risponderti. Da Cuba era impossibile scriverti, perché... sai già perché. Siamo tornati a Parigi il 21 febbraio, e ho trovato il tuo meraviglioso tape, su cui ho molto da dirti, e per cui ti ringrazio. Ma allora, quando ero sul punto di scriverti, l’ondata di freddo europeo è caduta su di noi, e sia io sia Aurora ci siamo ammalati piuttosto gravemente, io di influenza e lei di bronchite. Abbiamo dovuto posticipare il nostro viaggio a Vienna, dove ci aspettavano per lavoro, e il 10 marzo siamo partiti per l’Austria, già quasi guariti. Il peggio è che da allora fino a oggi ho avuto così tanto da fare (a bloody UN Conference on Consular Relations)15 che non mi è stato possibile scriverti. Ora approfitto di un momento libero per iniziare questa lettera, che finirò appena possibile. [...] So (come dici tu tra due letture). So, so. So. What next? Cuba, of course. Be’, nonostante quello che mi dicevi nella tua lettera, e le garanzie che mi davi per un possibile viaggio a New York, immaginerai che una volta all’Avana mi sono reso conto che sarebbe stato impossibile. La situazione era troppo tesa per viaggiare da Cuba agli Stati Uniti senza rischiare conseguenze catastrofiche. E poi, mi sono fermato un mese scarso, e ho approfittato di ogni istante per conoscere l’isola e i suoi abitanti. Luis Buñuel mi aveva invitato ad andare in Messico a trascorrere qualche giorno a casa sua, ma non sono voluto andare nemmeno lì. Quando arrivi a Cuba, non vuoi più andartene. Non immagini con che tristezza ho preso l’aereo per tornare in Europa. E ti dico francamente che se ormai non fossi troppo vecchio per queste 15. «Una maledetta Conferenza delle Nazioni Unite sulle Relazioni consolari». 15 cose, e non amassi tanto Parigi, tornerei a Cuba per accompagnare la rivoluzione fino alla fine. Personalmente credo che le cose finiranno male, molto male, e non sarà per colpa dei cubani, ma del resto dell’America, a partire dagli Stati Uniti e a seguire con tutte le «repubbliche» democratiche (democratic my foot) dell’America Latina. I cubani possono aver commesso degli errori, ma li hanno commessi quando si sono visti con le spalle al muro, quando nessuno voleva comprargli lo zucchero, quando gli Stati Uniti gli hanno negato il petrolio. Mi fa ridere che gli yankee si strappino i capelli al pensiero che i reds hanno preso il controllo di Cuba. Se lo State Department avesse dimostrato un po’ più di intelligenza, questo non sarebbe successo. A chi potevano chiedere aiuto i cubani quando si sono trovati con le spalle al muro? etc., etc. Ma io non so nulla di politica, e non voglio parlare di questo. Voglio invece dirti che il popolo cubano mi è sembrato meraviglioso. Un popolo allegro, capisci, che ha fiducia in sé stesso, disposto a farsi uccidere per Fidel Castro, e allo stesso tempo privo di odio contro il nemico. Ti sembrerà una bugia, ma è così. I cubani non odiano nessuno, e non hanno paura di nessuno. Sono come bambini sotto molti punti di vista; giocano, ridono, lavorano ballando, cantano. Eppure al momento della Bay of Pigs, hai visto di cosa sono capaci. Quella gente mi dà una sensazione di gioia e di coraggio che mi ha meravigliato. Gli scontenti sono sempre coloro che si sentono minacciati nei propri interessi, «quelli che pensano con la pancia», come ha detto Fidel. Per esempio, all’Avana, i proprietari e i camerieri dei ristoranti non appoggiano la rivoluzione. Perché? Perché ricordano i dollari che guadagnavano con il turismo che veniva da Miami. Ogni volta che c’è dello scontento, basta cercare di approfondire un minimo per rendersi conto che è per ragioni «di pancia», money, money, money. Ma quando parli con il popolo, con la gente di strada, con i contadini, con gli operai degli zucche16 rifici, trovi allegria e fiducia. La cosa che mi ha colpito di più è stata la campagna di alfabetizzazione: sanno leggere e scrivere, e sono orgogliosi di aver imparato. Abbiamo fatto un viaggio in macchina per tutta l’isola (in piena libertà, parlando con chi volevamo, entrando nelle case, mangiando nei ristoranti popolari) e abbiamo visto come i guajiros (peasants) si sentono uomini, e non schiavi. Tu lo sapevi che ai tempi di Batista, il quartiere dei ricchi all’Avana era difeso da uomini armati e catene con cui chiudevano le strade la sera? Nessuno poteva entrare, e soprattutto se era di pelle nera. Ora in quei palazzi vivono gli studenti con le borse di studio del governo. Ma forse la cosa che mi ha più colpito di Cuba è stato il sostegno degli intellettuali alla rivoluzione. Salvo due o tre che se ne sono andati, tutti gli scrittori e gli artisti appoggiano il governo. E non con semplici parole, ma lavorando per la rivoluzione, contribuendo all’alfabetizzazione, curando edizioni magnifiche, scrivendo e traducendo libri. Niente meno che Alejo Carpentier è il direttore della Casa editrice di Stato. Nicolás Guillén è il poeta della rivoluzione. Li ho conosciuti tutti, li ho sentiti parlare, ho ascoltato le loro critiche (perché le critiche abbondano, ma non sono negative, propongono sempre qualcosa di costruttivo), e mi sono convinto del fatto che se una rivoluzione ha dalla sua parte tutti gli intellettuali, è una rivoluzione giusta e necessaria. Non può essere altrimenti, non può essere che centinaia di scrittori, poeti, pittori e musicisti si siano sbagliati. Il grande pericolo di Cuba (e Castro, il Che Guevara e la maggioranza degli intellettuali lo sanno) è il comunismo «duro», di taglio stalinista. Se a Cuba trionfasse questa tendenza, la rivoluzione sarebbe perduta. Per ora Fidel è riuscito a eliminare i «puristi», e ad appoggiarsi sul settore moderato del comunismo. Ma ce la farà sempre? Questo è il dramma, senza contare la mancanza di macchinari, di pezzi di ricambio, di medicine, e i mille inconvenienti derivati dall’embargo. La cosa 17 meravigliosa è che nonostante tutto i cubani sono felici e contenti. Un poeta (che ti conosce e che ti manderà un suo libro, si chiama Antón Arrufat, ed è una persona stupenda) mi ha detto: «Amico, così non può durare a lungo, gli yankee faranno in modo di liquidarci. Ma nel frattempo siamo vivi, e vivere è bello, ed è per questo che fino all’ultimo non ci faremo ammazzare». Quando senti cose del genere, ti fermeresti a Cuba per sempre. Ascolta, ti mando questa lettera così com’è per farti avere qualche mia notizia. E poi te ne scrivo un’altra, qui a Vienna o da Parigi, Okey? Un grande abbraccio a Sara, e per te tutto l’affetto di questo dangerous red Julio Isn’t he red? 18