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SUR 38
Julio Cortázar
Così violentemente dolce.
Lettere politiche
(Lettere – Volume III)
titolo originale: Cartas
traduzione, selezione e cura di Giulia Zavagna a partire dall’edizione
in spagnolo curata da Aurora Bernárdez e Carles Álvarez Garriga
Opera pubblicata nell’ambito del Programma «Sur»
di sostegno alla traduzione del Ministero degli Affari Esteri
e Culto della Repubblica Argentina.
Obra editada en el marco del Programa «Sur»
de apoyo a las traducciones del Ministerio de Relaciones Exteriores
y Culto de la República Argentina.
© Eredi di Julio Cortázar, 2012
© SUR, 2015
Tutti i diritti riservati
Edizioni SUR
redazione: via della Polveriera, 14 • 00184 Roma
tel. e fax 06.83514309
sede legale: viale Parioli, 73 • 00197 Roma
[email protected]
www.edizionisur.it
I edizione: ottobre 2015
ISBN 978-88-97505-78-5
Progetto grafico di Riccardo Falcinelli
Composizione tipografica degli interni:
Miller (Matthew Carter, 1997)
Julio
Cortázar
Così
violentemente
dolce
Lettere politiche
a cura di Giulia Zavagna
Avvertenza:
Per agevolare la fruizione del testo al lettore italiano, le note dell’edizione
originale sono state integrate e ampliate dal curatore.
In appendice al volume sono riportate delle brevi note biografiche sui destinatari delle lettere e una bibliografia selezionata delle opere citate.
A Eduardo Hugo Castagnino
Il 1951 è l’anno che segna una prima svolta nella vita di Cortázar:
si trasferisce a Parigi e abbandona l’Argentina peronista, per motivi più estetici che politici: «stavo affogando in un peronismo che
ero incapace di comprendere allora, quando un altoparlante sotto
casa mi impediva di ascoltare i quartetti di Béla Bartók». Solo
qualche anno dopo l’autore, alla fine del secondo mandato di Perón,
si aprirà a considerazioni politiche che sfoceranno via via in un
vero e proprio impegno. Questa lettera a Castagnino ne è uno dei
primi esempi.
Parigi, 9 maggio 1957
Mio caro Doc,
mi hai scritto secoli fa, non ti ho risposto, sono di una pigrizia ripugnante. So benissimo che posso già contare sulla
tua generosità, ma in ogni caso non dovrei approfittarmene
in questo modo. Parigi è davvero una donna; ti getta le braccia al collo, ti isola dal mondo poco a poco, ti propone ogni
giorno qualcosa di nuovo per suscitare il tuo apprezzamento
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o rifiuto. D’improvviso ti rendi conto che già due o tre mesi
sono caduti dal calendario, e ti prendi la testa tra le mani. Ma
non credere che mi dimentichi di voi, anzi. Ogni volta che
qualcuno mi porta una notizia da Buenos Aires, soprattutto
di ordine politico – sempre falsificate, tergiversate, tendenziose, puzzolenti di veleno e sporco –, mi piacerebbe averti
davanti a un bicchiere di birra, al caro vecchio Helvética,1 per
chiederti che ne pensi di tutto ciò, come interpreti quel merengue apocalittico che è la nostra dolce patria.
Sembravi piuttosto irritato nella tua ultima lettera, e io e
Aurora abbiamo avuto l’impressione che non fossi per niente contento di come andavano le cose, soprattutto nell’ambito della scuola (questa Cenerentola argentina picchiata da
tutti, che siano di destra o di sinistra, preti o «progressisti»).
Mi conforta, tuttavia, pensare che tra pochi mesi potrò
ascoltarti a lungo, sapere da vicino che cosa ne pensi. Sei un
po’ il mio «testimone», il mio doppio rimasto in Argentina,
che guarda e giudica per me; credo che sia un altro modo di
definire fiducia e amicizia.
Partiremo il 6 agosto, e arriveremo verso il 26; credo che
ci fermeremo almeno due mesi. Naturalmente, come sempre, ci vedremo molto meno di quanto avremmo voluto, perché puoi bene immaginare cosa significhi far fronte a due
famiglie e a una rispettabile quantità di amici e conoscenti.
Ma cercheremo di stare insieme il più possibile, Doc, e toglierci la voglia di chiacchierare.
Mi ha fatto molto piacere sapere che siete riusciti a vedere almeno alcuni dei migliori film recenti, perché so cosa
rappresenta il cinema per te, e quanto gli argentini ne siano
stati privati durante il regno di Juan i. Conosco tutti i film
che mi citi, e sono completamente d’accordo con la tua opinione. La strada e La signora omicidi sono, ognuno nel suo
1. Storico caffè di Buenos Aires.
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genere, due meraviglie. Il successivo di Fellini, Il bidone, mi
è piaciuto molto meno; preferisco I vitelloni.
[...]
Tutto ciò che dici sul tema generale del «siamo fottuti» lo
capisco e lo so fin troppo bene. Hai tutte le ragioni del mondo: siamo vanitosi, ci crediamo una razza superiore, non accettiamo il fatto che Perón non ha avuto altra colpa che quella di rappresentare uno stato di coscienza, una morale che è
disgraziatamente radicata nel più profondo del carattere
degli argentini. Il trucco del capro espiatorio è molto facile,
ma continuiamo a utilizzarlo senza vergogna. L’abbiamo fatto con Yrigoyen, poi con Uriburu, ora con Perón. Ho appena
letto su La Nación un secco, chiaro e contundente discorso
di Aramburu, il cui tono oratorio mi sembra perfetto (ragione per cui non sarà popolare). Dà l’impressione che quello
sia già stufo di dire al popolo che siamo rovinati, che non
possiamo permetterci lussi inutili, etc.; e sospetto che siano
in pochi a credergli, e che la maggioranza non si fidi né di lui
né del resto del mondo... fino al momento in cui sorgerà il
Gran Demagogo che li abbindolerà con un paio di slogan e il
dieci per cento di aumento di stipendio.
Nemmeno qui le cose vanno bene, la questione dell’Algeria è uno schifo completo, e i francesi fanno fatica a convincersi che sono un povero e piccolo paese di scarsissima importanza. (Credo di averti detto che dall’India questo si nota
in modo impressionante, e lo stesso vale per tutta l’Europa.
Di colpo ti rendi conto di che cos’è l’Asia, quel vivaio incredibile di uomini e forze; in confronto, l’Europa è come un angolino sulla mappa, qualcosa di vecchio e stanco e paralitico... Ma quando atterri a Orly, subito ti ritrovi i titoli presuntuosi dei giornali, la Francia di qua e la Francia di là, e l’Inghilterra, e l’Italia, e tutta la combriccola.) Non si rendono
conto di cosa sta per piombargli addosso. Per quanto mi riguarda, spero di morire prima. O, perlomeno, che la prima
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bomba mi prenda proprio al centro della testa. Sono troppo
occidentale per rifarmi una vita secondo i gusti di Zhou Enlai2 – e perfino di Nehru.
Ciao, vecchio mio, un grande abbraccio da Aurora per Alda e i ragazzi, e tutto l’affetto di
Julio
Che mi dici di Sugar Robinson? È degno dell’Iliade, checché
ne dicano gli esteti...
A Eduardo Jonquières
Dopo un governo molto limitato dalla pressione del potere militare,
e dopo aver subito moltissime sommosse e sei tentativi di colpo di
stato, il presidente argentino Arturo Frondizi venne definitivamente deposto con il golpe del ’62.
20/3/’62
Mario!!!3
Io me domando se questa lettera ti arriverà perche cui le
patate ardono [sic]. Ovvero è successo quello che doveva
succedere. Gli hanno dato sei anni per rifarsi, gli hanno permesso la propaganda più sfrenata, e due giorni fa i peronisti
hanno dato a Frondizi il colpo di grazia. Come già saprai,
intervento in cinque province, e chissà che altro succederà
mentre questa lettera sarà in viaggio o finirà persa in una
cassetta insieme a cicche di sigarette, sputacchi e volantini
2. Zhou Enlai (1898-1976) fu un importante politico cinese: dirigente del
Partito Comunista Cinese, fu capo di governo della Repubblica Popolare Cinese dal 1949 fino alla morte.
3. Soprannome con cui Cortázar chiamava Eduardo Jonquières.
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della ucri.4 Io, in quanto membro di uno strato oligarchicoliberale-piccoloborghese-intellettualoide della R.A.,5 sono
schifato da questo ritorno della massa sudaticcia. E inoltre,
in quanto osservatore oggettivo, credo che questo sia un ritorno alla normalità e alla verità della suddetta R.A., ovvero
che la tale R.A. sia peronista, o militarista, o panciafichista,
o escapista, e che noi galleggiamo, poveri rimasugli di sughero, sul generoso e fecondo mare di merda che costituisce
la nostra patria. Amen.
Ceci dit, revenons à Eugénie Grandet.6
Sakai mi ha telefonato alcuni giorni fa per annunciarmi le novità sul tuo conto, che mi sono sembrate eccellenti.
Mi riferisco naturalmente alla pittura. Vede, giovanotto,
cosa significano l’impegno e lo sforzo? Lei dipinge e dipinge, e quelli la comprano e la espongono. Sciagurato che
non sei altro, potevi anche mandarci due // [righe]. Uno
deve scoprire cose del genere passando per il Giappone.
Salaud, va.7
Non so se sai che dopo innumerevoli complicazioni abbiamo trovato posto sul Río Bermejo che «dovrebbe» partire
il 26/3. Però con le notizie politiche e il clima da sciopero
generale che c’è oggi, mi chiedo... Presumo che ci toccherà
sborsare altri dollari e tornare in aereo. Ti assicuro che non
vedo l’ora di andarmene da qui, ancora una volta mi sento
minacciato, intrappolato, e ho un malumore che combatto
4. Unión Cívica Radical Intransigente: partito politico argentino sorto dalla scissione dell’Unión Cívica Radical, nel 1957. Il suo leader fu, appunto,
Arturo Frondizi.
5. República Argentina.
6. «Detto ciò, torniamo a Eugenia Grandet». Espressione che Cortázar usava spesso per introdurre argomenti letterari, dalla celebre affermazione di
Balzac: «Torniamo alla realtà, parliamo di Eugenia Grandet».
7. «Mascalzone».
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con la lettura delle opere complete di Eugenio Cambaceres,
grande cronopio dell’Ottocento.
A casa tutto come al solito. Sempre fedele ai nostri appuntamenti, la Signora con la Falce si è portata via l’ultimo
dei Pereyra, sposato con la cugina di mia madre. Da un po’ di
tempo a questa parte non mi perdo un rosario.
Spero che tu o María abbiate ogni tanto un attimo per
andare fino a casa a vedere se è tutto a posto. Non rispondermi qui: o parte la nave, o ce ne andremo in aereo entro una
settimana. Se prendiamo la nave ti manderò due righe per
avvisarti della data di arrivo a Parigi.
È vero che hanno dichiarato la pace con l’Algeria? I comunicati non mi convincono del tutto. Di quante cose dobbiamo parlare.
Un abbraccio a tutti e a te da
Julio
A Perla ed Enrique Rotzait
Parigi, 12 agosto 1962
Cari Perla ed Enrique,
ho avuto voglia di scrivere questa lettera praticamente da
quando siamo partiti da Buenos Aires. È soprattutto per colpa dell’Unesco che ho tardato quattro mesi a farlo. L’Unesco
e Parigi, che appena arrivi ti avvolge con le sue malie e ti obbliga deliziosamente a entrare in un circolo vizioso infinito,
di mostra in mostra, di teatro in teatro, di libro in libro... Ora
qui è estate, una domenica di sole e caldo, Aurora è tutta intenta a leggere i racconti di Italo Calvino e Tommaso Landolfi, e io dopo vani tentativi pittorici, dai quali sono uscito
come sempre coperto di tempere assortite dalla testa ai piedi, decido di raccontarvi tutto questo e chiedervi come state
in quella Buenos Aires che per noi, da dieci giorni a questa
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parte, si riduce a un comunicato dopo l’altro sui giornali, tra
il marcio e la muffa, con ministri di guerra che vanno e vengono, Loza che va in frantumi,8 Toranzo Montero9 che brama, e Guido... che fa Guido? Vai a capire cosa fa Guido!10
Non crediate che mi diverta scrivere queste pessime battute. Qui ci chiediamo ogni giorno che cosa sta succedendo
veramente in Argentina, e che direzione sta prendendo l’intera America Latina. La distanza non ci rende affatto onniscienti, né ci garantisce una buona prospettiva, perché le
informazioni sono precarie e tendenziose, e in più siamo privi di una formazione storica o politica che ci permetta di
comprendere a fondo questi problemi. L’unica cosa che ci
resta sempre tra le mani, quando posiamo il giornale sul tavolo, è la malinconia. E pensare agli amici che lì, indifesi,
sopportano la grottesca stretta dei prepotenti del momento.
Qui tutto bene. Aurora, come prevedeva il chirurgo, si
sente sempre meglio, e il brutto periodo dell’anno scorso è
stato più che giustificato. A me, ovviamente, il viaggio sul Río
Bermejo ha curato i nervi in pochi giorni. Siamo stati a bordo
ventotto giorni, tra una quotidianità splendida e scali interessanti. Quello di Orano è stato drammatico, con la città sul
piede di guerra, morti per strada e un ambiente degno della
Peste. Di notte, dalla nave, sentivamo le mitragliatrici e le
8. Juan Bautista Loza, militare argentino, nel 1962 comandante in capo
dell’esercito e segretario di guerra. Il gioco di parole nell’originale è con il
sostantivo loza, porcellana.
9. Carlos Severo Toranzo Montero, militare argentino, fu a capo dell’esercito dall’agosto 1959 al marzo 1961, durante la presidenza di Frondizi. Estremamente politicizzato, aveva preso parte a varie cospirazioni e per tutta la
durata del suo incarico tentò di sollevare l’esercito e provocare la caduta del
presidente.
10. José María Guido, avvocato e politico argentino, prese il potere in seguito al golpe del 29 marzo 1962 che rovesciò Frondizi, e fu presidente dal marzo 1962 al 1963.
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bombe, e la mattina gli scaricatori algerini arrivavano al porto su camion militari che li proteggevano (non sempre con
successo) dalla rabbia impotente dei pieds noirs francesi. A
Barcellona abbiamo passato cinque giorni interi, cosa che ci
ha dato il tempo di esplorare a fondo la città, andare alla corrida e in trattoria, e mangiare tanti gamberoni che solo un
volume equivalente di camomilla poteva placare la sete che ci
mettevano. Quando verrete in Europa, cercate di farlo su una
di queste piccole navi, perché sono un vero toccasana per il
riposo. Qui c’è stata una tale quantità di incidenti aerei che a
noi piacciono sempre di più le navi. Retrogradi!
[...]
Dovrei dirvi tante di quelle cose, ma è difficile perché a
voi non piacerà che io ve le dica, e tuttavia le dirò lo stesso.
Voglio che sappiate che nei tristi mesi che ho passato a Buenos Aires, la vostra casa – come quella di Esther e Lipa11 – è
stato un rifugio meraviglioso. So che lo sapete, o lo sospettate, ma voglio dirvelo lo stesso. Con voi, in quelle serate di
musica e chiacchiere tranquille e felici, mi sono sentito tra
gli amici di una vita, capivo ed ero capito senza bisogno di
parole, solo grazie al valore di un affetto così semplice e così
vero. Ecco, l’ho detto. È un po’ come se fossi di nuovo per un
attimo insieme a voi.
Ora si sentono rumori strani qui nel granaio, è che Aurora non ha trovato niente di meglio da fare che fabbricare
enormi quantità di pop-mais. Dovrò salire a mangiarlo, perché è un nobile prodotto. E stasera andremo alla Butte a
prendere un vinello e so già che parleremo di voi come ci
succede quasi sempre quando siamo contenti e in qualche
modo dobbiamo associarlo a voi, alla speranza che arriverete un giorno e che tra tutti e quattro rivolteremo Parigi. Sì,
11. Esther Herschkovich e Lipa Burd, amici di Aurora Bernárdez e suoi testimoni in occasione del matrimonio con Cortázar.
12
Aurora, vi dirò che vi abbraccia e che vi scriverà presto (??).
Tanto, tanto affetto per entrambi da
Julio
A Eduardo Jonquières
Cortázar, che da Parigi aveva seguito la Rivoluzione Cubana, fu invitato all’Avana nel 1963 come membro della giuria del premio letterario Casa de las Américas. Fu il primo di moltissimi viaggi non solo
di piacere, e l’inizio di un avvicinamento concreto ai problemi sociali e politici dell’intera America Latina.
L’Avana, 22 gennaio ’63
Caro Eduardo,
da 15 gradi sottozero a Praga, a 30 sopra lo zero all’Avana,
un bel salto, no? Però l’abbiamo fatto davvero ed eccoci qui,
alloggiati in un hotel dove gli americani giocavano alla roulette di fronte a un mare favolosamente azzurro (Drake,
Morgan, Kidd, oh Manes di Stevenson!). Non ti scriverò una
lunga lettera perché la Casa de las Américas non me lo permette, è un continuo di passeggiate, mostre, visite, montagne di libri e di riviste (che ti darò a Parigi, ci sono poeti e
scrittori di racconti formidabili), e poi c’è la città, incredibile,
con la sua piazza della Catedral – Gropius disse che era la più
bella d’America e io gli credo – e con la sua gente contenta,
entusiasta, carica come si può essere solo dopo una rivoluzione simile. Della rivoluzione parleremo poi, oggi ti dico
solo una cosa: salvo quattro o cinque scrittori (Lydia Cabrera, Novás Calvo...) tutti gli intellettuali e gli artisti sono con
Fidel Castro fino al collo, lavorano come pazzi, contribuiscono all’alfabetizzazione e alla direzione dei teatri, e vanno nelle campagne a capire che problemi ci sono... Devo ammettere che mi sento vecchio, rinsecchito, francese in confronto a
loro. Se avessi vent’anni di meno, ti manderei un saluto e
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resterei qui. Ma tornerò, ormai non posso andarmene dal
mio piccolo guscio. (Senza contare che vedo bene anche la
contropartita, ma in realtà non è nulla di fronte alla bellezza
di questo son entero.)12 Che persone, che popolo incredibile.
L’embargo è mostruoso. Non ci sono medicine, nemmeno
delle pastiglie per la gola. Si fanno miracoli per combinare il
riso con le batate e le batate con il riso. Il tutto con viso sorridente (a parte, ovvio, le inevitabili smorfie di quelli che non
resistono con meno di sette uova al mese...). Credo che ci
fermeremo fino al 20/2, più o meno. Ti mando due righe per
mia madre, per favore spediscile a María Herminia D. in Pereyra, General Artigas 3246, App. 7. Se hai qualcosa da scrivermi, fallo presso la «Casa de las Américas», L’Avana. Cari
saluti da Aurora a tutti voi, un grande abbraccio,
Julio
Se vedi Alex Rosa,13 digli che Calvert14 è un grand’uomo e che
siamo diventati molto amici. Saluti a tutti!
A Paul Blackburn
Vienna, 1° aprile 1963
Caro Pablo,
non so come iniziare questa lettera. Starai pensando che
io sia rimasto a Cuba o che i feroci barbudos mi abbiano uc-
12. El son entero, libro di poesie dello scrittore cubano Nicolás Guillén. Il
son cubano è un ritmo nato a Cuba nella metà del Novecento, dalla contaminazione tra la tradizione musicale dei colonizzatori europei e quella degli schiavi africani.
13. Traduttore dell’Unesco.
14. Calvert Casey (1924-1969) fu un giornalista e scrittore cubano di origini
statunitensi.
14
ciso. Be’, no, niente di tutto questo. Ti spiego che cosa è successo. Ho ricevuto la tua ultima lettera pochi giorni prima di
partire per L’Avana, e non ho avuto tempo di risponderti. Da
Cuba era impossibile scriverti, perché... sai già perché. Siamo tornati a Parigi il 21 febbraio, e ho trovato il tuo meraviglioso tape, su cui ho molto da dirti, e per cui ti ringrazio. Ma
allora, quando ero sul punto di scriverti, l’ondata di freddo
europeo è caduta su di noi, e sia io sia Aurora ci siamo ammalati piuttosto gravemente, io di influenza e lei di bronchite. Abbiamo dovuto posticipare il nostro viaggio a Vienna,
dove ci aspettavano per lavoro, e il 10 marzo siamo partiti
per l’Austria, già quasi guariti. Il peggio è che da allora fino a
oggi ho avuto così tanto da fare (a bloody UN Conference on
Consular Relations)15 che non mi è stato possibile scriverti.
Ora approfitto di un momento libero per iniziare questa lettera, che finirò appena possibile.
[...] So (come dici tu tra due letture). So, so. So. What
next?
Cuba, of course. Be’, nonostante quello che mi dicevi nella
tua lettera, e le garanzie che mi davi per un possibile viaggio
a New York, immaginerai che una volta all’Avana mi sono
reso conto che sarebbe stato impossibile. La situazione era
troppo tesa per viaggiare da Cuba agli Stati Uniti senza rischiare conseguenze catastrofiche. E poi, mi sono fermato
un mese scarso, e ho approfittato di ogni istante per conoscere l’isola e i suoi abitanti. Luis Buñuel mi aveva invitato ad
andare in Messico a trascorrere qualche giorno a casa sua,
ma non sono voluto andare nemmeno lì. Quando arrivi a
Cuba, non vuoi più andartene. Non immagini con che tristezza ho preso l’aereo per tornare in Europa. E ti dico francamente che se ormai non fossi troppo vecchio per queste
15. «Una maledetta Conferenza delle Nazioni Unite sulle Relazioni consolari».
15
cose, e non amassi tanto Parigi, tornerei a Cuba per accompagnare la rivoluzione fino alla fine. Personalmente credo
che le cose finiranno male, molto male, e non sarà per colpa
dei cubani, ma del resto dell’America, a partire dagli Stati
Uniti e a seguire con tutte le «repubbliche» democratiche
(democratic my foot) dell’America Latina. I cubani possono
aver commesso degli errori, ma li hanno commessi quando
si sono visti con le spalle al muro, quando nessuno voleva
comprargli lo zucchero, quando gli Stati Uniti gli hanno negato il petrolio. Mi fa ridere che gli yankee si strappino i capelli al pensiero che i reds hanno preso il controllo di Cuba.
Se lo State Department avesse dimostrato un po’ più di intelligenza, questo non sarebbe successo. A chi potevano chiedere aiuto i cubani quando si sono trovati con le spalle al
muro? etc., etc. Ma io non so nulla di politica, e non voglio
parlare di questo. Voglio invece dirti che il popolo cubano mi
è sembrato meraviglioso. Un popolo allegro, capisci, che ha
fiducia in sé stesso, disposto a farsi uccidere per Fidel Castro,
e allo stesso tempo privo di odio contro il nemico. Ti sembrerà una bugia, ma è così. I cubani non odiano nessuno, e non
hanno paura di nessuno. Sono come bambini sotto molti
punti di vista; giocano, ridono, lavorano ballando, cantano.
Eppure al momento della Bay of Pigs, hai visto di cosa sono
capaci. Quella gente mi dà una sensazione di gioia e di coraggio che mi ha meravigliato. Gli scontenti sono sempre coloro
che si sentono minacciati nei propri interessi, «quelli che
pensano con la pancia», come ha detto Fidel. Per esempio,
all’Avana, i proprietari e i camerieri dei ristoranti non appoggiano la rivoluzione. Perché? Perché ricordano i dollari
che guadagnavano con il turismo che veniva da Miami. Ogni
volta che c’è dello scontento, basta cercare di approfondire
un minimo per rendersi conto che è per ragioni «di pancia»,
money, money, money. Ma quando parli con il popolo, con la
gente di strada, con i contadini, con gli operai degli zucche16
rifici, trovi allegria e fiducia. La cosa che mi ha colpito di più
è stata la campagna di alfabetizzazione: sanno leggere e scrivere, e sono orgogliosi di aver imparato. Abbiamo fatto un
viaggio in macchina per tutta l’isola (in piena libertà, parlando con chi volevamo, entrando nelle case, mangiando nei
ristoranti popolari) e abbiamo visto come i guajiros (peasants) si sentono uomini, e non schiavi. Tu lo sapevi che ai
tempi di Batista, il quartiere dei ricchi all’Avana era difeso da
uomini armati e catene con cui chiudevano le strade la sera?
Nessuno poteva entrare, e soprattutto se era di pelle nera.
Ora in quei palazzi vivono gli studenti con le borse di studio
del governo. Ma forse la cosa che mi ha più colpito di Cuba è
stato il sostegno degli intellettuali alla rivoluzione. Salvo due
o tre che se ne sono andati, tutti gli scrittori e gli artisti appoggiano il governo. E non con semplici parole, ma lavorando per la rivoluzione, contribuendo all’alfabetizzazione, curando edizioni magnifiche, scrivendo e traducendo libri.
Niente meno che Alejo Carpentier è il direttore della Casa
editrice di Stato. Nicolás Guillén è il poeta della rivoluzione.
Li ho conosciuti tutti, li ho sentiti parlare, ho ascoltato le loro
critiche (perché le critiche abbondano, ma non sono negative, propongono sempre qualcosa di costruttivo), e mi sono
convinto del fatto che se una rivoluzione ha dalla sua parte
tutti gli intellettuali, è una rivoluzione giusta e necessaria.
Non può essere altrimenti, non può essere che centinaia di
scrittori, poeti, pittori e musicisti si siano sbagliati. Il grande
pericolo di Cuba (e Castro, il Che Guevara e la maggioranza
degli intellettuali lo sanno) è il comunismo «duro», di taglio
stalinista. Se a Cuba trionfasse questa tendenza, la rivoluzione sarebbe perduta. Per ora Fidel è riuscito a eliminare i
«puristi», e ad appoggiarsi sul settore moderato del comunismo. Ma ce la farà sempre? Questo è il dramma, senza contare la mancanza di macchinari, di pezzi di ricambio, di medicine, e i mille inconvenienti derivati dall’embargo. La cosa
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meravigliosa è che nonostante tutto i cubani sono felici e
contenti. Un poeta (che ti conosce e che ti manderà un suo
libro, si chiama Antón Arrufat, ed è una persona stupenda)
mi ha detto: «Amico, così non può durare a lungo, gli yankee
faranno in modo di liquidarci. Ma nel frattempo siamo vivi,
e vivere è bello, ed è per questo che fino all’ultimo non ci faremo ammazzare». Quando senti cose del genere, ti fermeresti a Cuba per sempre.
Ascolta, ti mando questa lettera così com’è per farti avere
qualche mia notizia. E poi te ne scrivo un’altra, qui a Vienna
o da Parigi, Okey? Un grande abbraccio a Sara, e per te tutto
l’affetto di questo dangerous red
Julio
Isn’t he red?
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