numero 11 - Ricreatorio San Michele

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Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione Ricreatorio San Michele
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p.12diario boliviano 2
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“Credo in un solo Dio“
Fedi in
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Il 29 settembre scorso, mentre noi festeggiavamo
il nostro santo patrono, dall’altra parte dell’oceano si
davano da fare per seppellire Darwin. Poco distanti
dalle dorate spiagge di Miami, in un’aula della
University of South Florida gremita di studenti, c’è
stato un dibattito dal titolo “Darwin or Design?
Resolving the Confl ict”, con i due biologi considerati
capofi la dello scetticismo anti-Darwin: Michael Behe,
autore di Darwin’s Black Box, e Jonathan Wells.
L’idea centrale dei due biologi americani è questa:
l’Uomo è troppo perfetto perché sia soltanto il
risultato dell’evoluzione; i meccanismi che regolano
la vita, dalle sue forme minime, come le cellule, a
quelle più complesse, come l’uomo, sono talmente
sofi sticati perché siano semplicemente frutto del caso
o dell’adattamento ambientale. Com’è che siamo fatti
così allora? Behe e Wells spiegano che un’intelligenza
superiore (da qui il nome di Intelligent Design alla loro
teoria) è intervenuta per regolare le leggi dell’universo.
Nello stesso periodo, l’autorevole National
Geographic ha pubblicato un reportage su uno dei
maggiori ritrovamenti nel campo dell’antropologia
degli ultimi anni: la recente scoperta di Lucy’s Baby.
Questo è il più antico scheletro fossile (3,3 milioni di
anni) rinvenuto nel nord dell’Etiopia e, secondo gli
esperti, è l’ulteriore anello di congiunzione nella catena
evolutiva dell’Uomo. In altre parole, è una conferma in
più del fatto che i primi uomini erano scimmie un po’
più evolute.
Nel primo caso Dio non appare nelle sue “vesti
ufficiali”, mentre nel secondo non è stato nemmeno
invitato. Chiaramente non è questa la sede per
sviluppare un tema tanto ampio come quello del
dibattito tra scienza e fede. Neppure saremmo in
grado di fornire risposte. Tuttavia, abbiamo voluto
indagare come in città s’interpreta questo tema,
soprattutto per quanto riguarda il più ineluttabile
aspetto della vita: la morte. Ci siamo interessati
all’eutanasia, stimolati dalla prepotente esplosione
del tema per alcuni giorni su quotidiani,
settimanali, TV, Internet…
Come ci rapportiamo a questa idea? Quanti di
noi sono favorevoli e quanti contrari? Perché?
Com’è affrontata nei luoghi in cui spesso ci si trova
di fronte a scelte laceranti? Come sempre, abbiamo
ascoltato i pareri di alcune persone perché ci
aiutino a formarne di nostri.
Norman Rusin
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Anno 2 numero 11, novembre-dicembre 2006, periodico bimestrale gratuito
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• Segreteria telefonica e fax 0431 35233 • e-mail: [email protected] • internet: www.ricreatoriosanmichele.org
• Direttore responsabile: Norman Rusin • Redattori: Alberto Titotto, Luca Toso, Simone Bearzot, Andrea Doncovio, Giuseppe Ancona,
Lorenzo Maricchio, Don Moris Tonso, Costantino Tomasin, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Silvia Lunardo, Claudia Carraro, Andrea Folla,
Sofia Balducci, Christian Franetovich, Giovanni Stocco, Marco Simeon, Francesca Giusti • Progetto grafico: Maurizio Barut, Cervignano
• Impianti/stampa: Graphic 2, Cervignano • Autorizzazione Tribunale di Udine: n. 15 del 15 marzo 2005 • Tiratura 1.000 copie
Fede e politica
Fede e scienza
Ho incontrato Antonio Casola da Positano classe
1955. È a Cervignano dal 1984 dove si è sposato. Ha
due figli e fa l’insegnante nonché il consigliere comunale nelle file della lista “Il Ponte“. Mi fa divertire
per il suo forte accento campano, parla agitando le
mani ed ha il sorriso facile. Gli spiego che ho voluto
ascoltarlo perché lo considero un politico anomalo, A volte il confine tra la vita e la morte è molto sottile. Può capitare di vedere un proprio caro soffrire in
cristiano praticante e militante di sinistra.
un letto da dove non può più alzarsi, soffrire senza
magari
rendersene più conto. Possiamo chiamarla a
Sei iscritto formalmente ad un partito politico?
Mi iscrissi al partito comunista nel 1980 presso la pieno titolo ”vita”? Come si reagisce di fronte alla
sezione di Positano, ma la mia adesione ideale al pensie- terminalità?
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“Voglia di vita”
ro marxista non fu mai totale. Non ho mai accettato la
negazione dell’esistenza di Dio. Oggi sono tesserato nelle
fila dei Democratici di Sinistra.
Però pratichi la chiesa, come definisci
la tua presenza ed il tuo impegno nella comunità?
Sono un credente. Credo in Dio e in Gesù Cristo, non
ho problemi ad affermarlo; frequento le celebrazioni, anche se il mio impegno concreto in parrocchia di fatto non
esiste. Di questo mi dispiaccio, ma forse ciò è condizionato da un mio rapporto difficile con don Nino: quando
era parroco a Cervignano ci ho pure litigato.
Ma non ha mai avuto problemi
nel giustificare le tue scelte?
Io ho il massimo rispetto per il pensiero diverso dal
mio, senza posizioni pregiudizievoli, e tanto mi aspetto
dagli altri, ho sempre rivendicato la libertà della mia
coscienza, non ha padroni. Considero la sinistra la mia
casa politica più quale risposta ad esigenze giovanili che
per completa condivisione del pensiero ideologico.
Sì, va bene, ma dalla gioventù ad oggi hai dovuto fare alcuni passi di maturazione ed in qualche modo anche alcune
scelte. Non puoi negarmi che rispetto a certi argomenti la
tua coscienza cristiana e la tua appartenenza politica abbiano qualche problemino di coerenza. Come mi spieghi la
tua posizione rispetto al divorzio, all’aborto, all’eutanasia?
Non si può un fare discorso unico, ogni argomento ha
una sua specifica. Però ribadisco il massimo rispetto per
il pensiero diverso senza posizioni pregiudizievoli. Anche se rispetto all’aborto, a parte casi particolari, affermo la più assoluta condanna anche in contrasto con le
posizioni del mio partito. Perché in coscienza mi sento
libero e comunque le mie convinzioni morali prevalgono
rispetto a quanto affermato dal partito.
La politica dovrebbe essere proprio questo, la traduzione pratica delle proprie convinzioni, l’argomentazione della propria coscienza al fine di poter condividere le idee e
farle crescere. Ma fammi un esempio nella tua esperienza.
Mi è capitato di trovarmi in difficoltà rispetto ad alcuni argomenti che non condividevo, e non avendo potuto confrontarmi con i miei compagni ho dovuto seguire
la via di rinunciare a differenziare la mia posizione. In
quella occasione ho sofferto.
Giuseppe Ancona
in
uotattualità
Cos’è PEG?
La sigla PEG e’ formata dalle iniziali di tre parole
inglesi: Percutaneous Endoscopic Gastrostomy (Gastrostomia Endoscopica Percutanea).
La PEG viene applicata a pazienti che non possono
alimentarsi adeguatamente, nei quali vi sia la necessità di un’alimentazione enterale per un periodo di tempo superiore ad un mese. L’applicazione è indicata, per
esempio, in caso di patologie a carico del sistema nervoso centrale e periferico (M. di Parkinson, M. di Alzheimer). In molti casi si rivela un presidio determinante nel
migliorare la qualità di vita residua poiché, pur avendo
alcune patologie di base una lenta evoluzione, permette
di correggere in modo fi siologico il deficit nutrizionale
ad esse correlato.
Casa di riposo di Cervignano:
87 posti letto, 59 non autosufficienti
(7 di questi allettati, fra questi 3 Peg)
I rimanenti semi o autosufficienti
Casa di riposo di Muscoli:
41 ospiti, 4 autosufficienti
Il resto parzialmente
1 solo allettato
Per capirlo abbiamo voluto far visita alle case di riposo di Cervignano e di Muscoli, luoghi che, purtroppo,
anche a detta di chi ci lavora, rappresentano uno degli
ultimi passaggi della vita. Abbiamo voluto parlare con
chi, ogni giorno, si rapporta al disagio della malattia e
alla reazione dei familiari.
Scopriamo che il primo grosso scoglio che si incontra è il ricovero del familiare in una struttura come la
casa di riposo. Un fatto che nella maggior parte dei casi
suscita senso di colpa nei parenti e disagio nell’ospite.
«Purtroppo- ci racconta Elena Paliaga, vice presidente
dell’associazione Alzheimer, che lavora nella casa di riposo di Cervignano- sul territorio non esiste niente che
possa dare aiuto alla famiglia a livello domiciliare nei
casi di non autosufficienza. Non è facile scegliere di ricoverare l’anziano in struttura, ma non è neanche facile
assisterlo 24 ore su 24 a casa». «Qui cerchiamo di fare il
possibile per mantenere gli ospiti sereni. Cerchiamo di
far alzare tutti per almeno 3 ore al giorno, tranne, ovviamente, nei casi in cui l’ospite ha la Peg.».
Concorde nel vedere come prima e difficile tappa il
momento del ricovero è Morena Pierobon, direttrice della casa di riposo di Muscoli, struttura privata e, come
sottolinea, « improntata ad un andamento familiare ».
Struttura che, in quanto privata, non gode di nessun
contributo regionale, ma che per l’assistenza medica si
avvale del supporto del distretto sanitario. «L’unico problema l’abbiamo con le visite neurologiche che ci vengono negate o che vengono protratte a lungo. Purtroppo
sono visite molto importanti per una persona anziana».
«Nella demenza-ci spiega Elena- si assiste a una perdita iniziale: la perdita della persona che si conosceva.
Ci si trova di fronte a una persona completamente diversa». «Anche a livello umano è una cosa difficile da
accettare, ma non tutti i parenti stanno vicini agli ospiti
in modo uguale» afferma Morena.
In queste strutture, però, i casi più gravi e più difficili sono quelli riguardanti gli ospiti con la PEG. Ne
parliamo con Monica Miniussi, coordinatrice dei servizi assistenziali e animatrice della casa di riposo di
Cervignano. «E’ un passaggio che non avviene in casa
di riposo, ma in ospedale, anche se magari la persona
vi è entrata per motivi completamente diversi. Qua cerchiamo di imboccare gli anziani fi no all’ultimo. In
ospedale, però, a volte la PEG viene proposta anche se
non c’è l’urgenza».
Dello stesso argomento parliamo anche con la direttrice della struttura di Muscoli. «Quando viene
proposta la PEG, i familiari sono quasi obbligati ad
accettare, sono moralmente obbligati. È vista come
l’unica alternativa. Quando capisci che, se non accetti, l’anziano muore di fame, cos’altro puoi fare? ».
Monica ci racconta una storia interessante:«Siamo
riusciti a togliere la PEG ad una signora. È entrata nella nostra struttura con la PEG, ma secondo il
medico non era necessaria, così ci siamo messi tutti
d’impegno, praticamente l’abbiamo svezzata come si
fa con un bambino».
Ma come reagiscono i parenti di fronte a una demenza allo stato terminale, quando il familiare è allettato e con la PEG? Monica ed Elena concordano
nel dirci che è una cosa che dopo un po’ viene accettata, anche se molto dipende da persona a persona e
dal rapporto che hanno i familiari con l’anziano. Più
dura invece la risposta di Morena Pierobon: «Quando
si arriva alla terminalità, qualche parente vorrebbe
vedere il proprio caro fi nire di soffrire. Se dovessimo
fare una casistica sicuramente il 50% dei familiari
sarebbe propenso all’eutanasia sia per i loro cari che
per sé stessi».
Silvia Lunardo e Sandro Campisi
Fede e scienza sono due temi che il più delle volte ci
paiono conflittuali, alternativi tra di loro e destinati a
scontrarsi in una lotta senza esclusione di colpi nella
spasmodica ricerca della Verità. Ci sono persone che
questi temi li affrontano quotidianamente, cercando di trasmettere la dimensione del problema ai più
giovani. Una di queste è Dianella Pez, professoressa
di matematica e fisica presso il liceo scientifico “A.
Einstein” di Cervignano.
Professoressa, il rapporto tra fede e scienza
emerge nel corso del dialogo scolastico?
Questi sono temi che vengono affrontati periodicamente a scuola, in particolare nelle materie che insegno: la
matematica infatti è legata a una continua tensione verso
il misticismo e la trascendenza. Ad esempio, il concetto
di “spazio” rappresenta un continuo richiamo all’assoluto. Newton sosteneva, a riguardo, che “lo spazio è sensore di Dio”. In fisica, poi, rileggendo biografie di grandi
scienziati come Giordano Bruno o lo stesso Newton, più
credente che uomo di scienza, si ritrova sempre la ricerca spasmodica della divinità e della ragione ultima.
A che punto della storia, dunque, questo intreccio
tra fede e scienza si è scisso, proseguendo
su due binari apparentemente diversi?
Il distacco è avvenuto durante l’Illuminismo, con il
pieno sviluppo della procedura scientifica. Da quel momento fu chiaro che anche la scienza aveva creato dei
propri assoluti, dei dogmi dai quali partire.
Al giorno d’oggi, dopo la crisi di certezze
che anche la scienza ha vissuto, quali sono
gli ambiti in cui la fede può operare?
Il biblista Gianfranco Ravasi, che ha scritto più volte sul
Corriere della Sera, ha sottolineato spesso che il rapporto
che intercorre tra fede e scienza non è un duello, bensì un
duetto. La differenza non è l’ambito, ma solamente i differenti linguaggi utilizzati. Così, mentre la scienza si esprime attraverso calcoli matematici, esperimenti e teoremi,
la fede utilizza gli strumenti della metafora, del simbolo
e della parabola. Esse hanno comunque uguale valore.
Da questo punto di vista, può la fede
colmare il vuoto lasciato dalla scienza?
La fede non si deve cercare laddove la scienza abbia
fallito,perché sarà la scienza stessa a correggere le proprie mancanze. La fede è un’esperienza esistenziale, non
può inserirsi nelle crisi della ragione, non può fungere
da tappabuchi. La fede deve anzi utilizzare la ragione per
rafforzare se stessa.
Quindi, entrambe sono importanti
per la ricerca del senso vero dell’esistenza?
A proposito, vorrei ricordare due citazioni significative. La prima frase fu detta da papa Giovanni Paolo
II: “Ragione e fede sono le due ali con le quali lo spirito
umano s’innalza verso la contemplazione della Verità”;
la seconda venne affermata dal filosofo ateo Giulio Giorello: “La ragione assoluta mi acceca, come anche il buio
dell’irrazionalità. Nella penombra invece riesco più serenamente a riposarmi e nutrirmi del necessario”. Da
questo punto di vista, la fede è “lunare”, priva di certezze,
un percorso da costruire.
Il rapporto tra fede e scienza investe la realtà in cui
viviamo quotidianamente. È difficile trasmettere
questa problematica ai ragazzi del Liceo?
Negli anni abbiamo sviluppato numerosi progetti sul
tema, come ad esempio un pomeriggio dedicato a film
sull’argomento. Resta il fatto che sono pochi i ragazzi
che si interessano e analizzano con attenzione il tema.
Solitamente si tratta di rare eccezioni, giovani che hanno
vissuto esperienze associative, politiche e religiose, e che
quindi dispongono già di un background culturale proprio. Altrimenti, c’è il bisogno di trovare stimoli forti, intensi, potenti: in fin dei conti gli ambiti di fede e scienza
riguardano le grandi categorie umane: la vita, l’origine,
la fine, il diritto di fare ed il diritto di non fare.
Al giorno d’oggi, cosa manca maggiormente
alla dimensione umana all’interno
del rapporto tra fede e scienza?
Secondo me, oggigiorno si vive come se non ci fosse più
nulla di sacro: tutto può essere banalizzato, ridotto. Per
sacro non mi soffermo solo sul termine religioso, bensì
sull’intero concetto di integrità, totalità, trascendenza.
Simone Bearzot
“Morte dignitosa”
Cervignano del Friuli
via Mercato 1
fax 0431 35233
cell. 339/8025423
[email protected]
• “Io sono per il libero arbitrio. Nel mio caso la vorrei,
non sarebbe un problema. Se dovessi decidere per gli altri… Sì, se uno ha tanto male, allora sì. Ma se è giovane,
o se fosse mio figlio, sarebbe molto difficile. Davvero. Se
uno è anziano, no, è più facile.” Anonimo.
• “Io in certi casi sono favorevole. Su di me? No, nemmeno per sbaglio. Io sono molto attaccata alla mia vita..
finchè vivo c’è sempre un lumicino di speranza. Decidere
per gli altri? Solo se la loro volontà è espressa esplicitamente.. sennò niente.” Roberta.
• “No, contrario assolutamente… la morte deve essere una
cosa naturale, non imposta, nel bene o nel male”. Anonimo.
• “È giusto che chiunque decida per se come vuole. Io
non deciderei mai per un altro. Dovrei pensarci MOLTO.
Non sarebbe affatto facile. Se me lo chiede lui? Tecnicamente sì, ma al momento non capirebbe quello che mi
chiede. È difficile. Gli altri? Non li giudico… ognuno agisce come meglio crede.” Simone.
• “È giusta se è l’interessato a decidere. Io per me? Sì,
sicuramente. Darla a qualcuno? Io dico di sì.” Anonimo.
• “L’eutanasia no, uno deve essere lasciato spegnersi
naturalmente se non c’è più nulla da fare. Tagliati i nervi,
non sente dolore e muore piano piano: no all’accanimento terapeutico! Ma ai medici va bene così, loro vogliono
sperimentare nuovi farmaci. Su di me, o su parenti, no.
Poi ognuno scelga quello che preferisce.” Renzo.
• “L’eutanasia? Deve esistere. Si deve dare alla gente
la possibilità di non soffrire. Favorevole, sia a darla, che
a subirla.” Sabrina Vrech.
• “Per me sì. Darla ad un altro, o a una persona cara, è
molto più difficile. Sono titubante, dovrei trovarmi in quel
momento in quella situazione. Sono titubante. Se uno decide
di sì, allora condivido. Ognuno deve essere libero.” Stefano.
• “Se si parla al di fuori di me, allora sono più che
favorevole. Se si tratta di me, o del mio ambito familiare,
è molto più difficile: credo che terrei duro fino all’ultimo.
Bisogna tirare avanti il più possibile, perchè la speranza
non ha mai fine. In ogni caso dovrebbe essere sempre il
diretto interessato a decidere. Per me stesso, non saprei.”
Paolo Veronesi.
• “Favorevole ad averla. Favorevole per chi soffre. Favorevole per chi voglio bene”. Anonimo.
• “Non si può parlare in generale, ma distinguere caso
per caso. Se decide il malato allora sì, in caso contrario
no. Non è giusto che siano gli altri a decidere. Per me,
sono contrario. Anche se dovessi essere io a scegliere io
direi di no. Gli altri? Liberi di scegliere quello che meglio
credono.” Roberto.
• “Bisogna essere lì per vedere e sapere. Bisogna conoscere, vedere la situazione. Io dico di NO. Solo se la
volontà la dà lui.” Susi.
• “Guarda, per me è giusta in alcuni casi. Se uno sta
tanto male sì. Che sia io, che siano gli altri, sì.” Virgilio.
• “Io sono sempre a favore, sopratutto nei casi più
disperati. Altrimenti poi arriva l’accanimento terapeutico. Per le malattie gravi, sì. Anche su di me, o su di un
familiare. Se vedi soffrire qualcuno a cui tieni davvero,
non puoi fare a meno di pensarlo.” Anonimo.
• “No, assolutamente no. Solo Dio può decidere. Se uno
la sceglie? Non sono nessuno per giudicare.” Anonimo.
Luca Toso
Dura Lex Quota Lex
Dal punto di vista giuridico, la legislazione italiana
attuale, pur senza disciplinare direttamente la materia,
prevede una serie di norme che di fatto vietano l’eutanasia: innanzitutto l’art. 5 del cod. civ., il quale prevede il
divieto di porre in essere atti di disposizione del proprio
corpo che possano cagionare una diminuzione permanente della integrità fi sica o che siano altrimenti contrari alla
legge, all’ordine pubblico o al buon costume; in secondo
luogo, l’art. 579 del codice penale, che disciplina il così
detto omicidio del consenziente, fattispecie che ha forti
attinenze con la pratica dell’eutanasia attiva e passiva.
Questa ipotesi di reato punisce, con pena meno severa
rispetto all’omicidio doloso di cui all’art. 575 c.p., chi cagiona la morte di un uomo col suo consenso. Il consenso, dunque, funge da attenuante pur non escludendo la punibilità
(sono comunque previste pene dai sei ai quindici anni).
Nel caso di eutanasia attiva dunque, non essendovi
una normativa ad hoc, il soggetto agente è punito ai
sensi dell’art. 579 c.p. se c’è il consenso della vittima. Se
invece non c’è il consenso, perché il malato è in coma o
comunque in stato di incapacità di intendere e di volere,
l’agente è punito per omicidio doloso.
Oggi, la giurisprudenza prevalente ritiene che il consenso possa ritenersi presunto quando le particolari
condizioni della vittima conducono ad affermare che, se
fosse stata cosciente, lo avrebbe prestato. In tal caso il
soggetto agente è punito per omicidio del consenziente.
Anche il suicidio assistito è considerato un reato, ai
sensi dell’articolo 580.
Per quanto riguarda l’eutanasia passiva, la dottrina
prevalente ritiene punibile la sola eutanasia passiva non
consensuale. In questo caso infatti, l’art. 32, 2° comma
della Costituzione, dispone che nessuno possa essere
obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se
non per disposizione di legge. Da tale principio costituzionale si deduce che la scelta di sottoporsi o meno alle
cure è un diritto di libertà della persona, per cui non è
possibile praticare una cura contro la volontà espressa
del paziente, anche quando l’omissione della cura o la
sua sospensione porti alla morte. Se dunque il malato
esercita il suo diritto di non curarsi, il medico ha l’obbligo di sospendere le cure e l’eventuale persistenza dell’attività medica viene condannata come accanimento
terapeutico. L’eutanasia passiva consensuale è dunque
considerata lecita ed oggi comunemente ammessa.
Bisogna però precisare che la Costituzione non garantisce il diritto di morire, ma il più limitato diritto di
non curarsi. Da quanto detto risulta evidente la necessità di introdurre una normativa specifica a disciplina
della fattispecie in oggetto, ora lasciata alle soluzioni
interpretative della giurisprudenza.
Sandro Campisi
uotattualità
Centri estivi, animazioni
feste di compleanno…
Servizi di pulizia,
pulizie condominiali,
abitazioni private…
Si perché io non sono altro che un intermediario tra i vostri pensieri e Alta Quota, tra quello che Cervignano
pensa e il mezzo più efficace che ha per dirle. Ecco quindi che quello che leggerete qui, altro non sono che i vostri
pensieri. Alcuni si ritroveranno, in queste frasi. Altri ancora no, altri ancora si sentiranno turbati.
Prima di lasciare parlare voi, però, vorrei spiegare come sono state raccolte queste vostre impressioni: le domande
alle quali vi ho chiesto, se volevate, di rispondere, e un dato significativo che penso sia emerso. La domanda era:
“Come ti poni nei confronti dell’eutanasia? Nel caso di dover decidere per te, di decidere per gli altri, o di poter
giudicare chi ne fa uso.”
Il dato interessante è che molti di noi associano l’eutanasia all’accanimento terapeutico, come se una fosse la
conseguenza dell’altro, o una condizione che porta al realizzarsi dell’altra. In molti si dicono favorevoli a scegliere
la “dolce morte” per se stessi. Gli stessi però si trovano a disagio, o fortemente in difficoltà, se dovessero scegliere
per i propri figli, o per i propri cari. In fi ne, nessuno si sente di giudicare qualcuno che fa una scelta diversa dalla
sua. Ma lasciamo spazio alla vostra voce.
in
Ci spieghi innanzitutto cosa è capitato a sua madre.
Cominciò ad ammalarsi quattro anni fa. Sulle carte, i
medici scrissero che si trattava di “demenza senile”. Fu
un aggravarsi lento, ma inesorabile: pochi mesi prima di
morire perse la memoria, poi cominciò a fantasticare e a
diventare aggressiva, distruggendo le foto di famiglia, insultando me e i miei familiari, arrivando perfino a tentare di picchiarci. Infine non riuscì più a muoversi: rimase
bloccata sul letto per molto tempo e nell’ultimo mese di
vita i medici le davano da mangiare con un sondino.
E a quel punto?
A quel punto ci rendemmo conto che farla rimanere
in vita in quelle condizioni era una barbarie: aveva le
piaghe da decubito, era del tutto immobile, si vedeva il
disfacimento della carne. Un’esperienza terribile. Dopo
aver visto tutto ciò per qualche tempo, ho maturato l’idea
che non era possibile continuare così: i miei familiari ed
io abbiamo chiesto ai medici se si poteva smettere con
quello che per noi era un accanimento terapeutico, ma la
risposta fu: «Ci dispiace, ma la legge non ce lo permette».
Tra l’altro io non ero nuovo a simili esperienze: il fratello di mia moglie morì di tumore alla gola e per mesi lo
vedemmo soffrire come un cane su un letto, impossibilitato a parlare e ancora perfettamente cosciente.
Le confesso che io sono uno di quelli che crede
nel “non staccate la spina”; tuttavia non saprei
cosa dire in questi frangenti…
Io dico che ognuno ha il diritto di avere una morte dignitosa: se mi chiedi brutalmente come la penso, ti rispondo
che è giusto staccare la spina. Certo la questione è complessa, dal momento che entrano in gioco l’etica e soprattutto la religione, o meglio la Chiesa. Quest’ultima si oppone completamente all’eutanasia, ma dovrebbe rendersi
conto che una cosa è avere una legge in tal senso, come
esiste in tutti i paesi civili, un’altra è servirsene effettivamente: tuttavia la libertà di scelta deve essere garantita!
Esiste dunque un diritto alla morte
così com’esiste un diritto alla vita?
Per me sì. Penso che anche molti cristiani sotto sotto
la pensino così. Tutti devono avere il diritto di scegliere
come morire, ma oggi in Italia non è possibile. C’è chi
pensa che, con una legge in favore dell’eutanasia, la situazione sfuggirebbe di mano: qualora accadesse, sarei il primo a combattere questo abuso, tuttavia non
credo nell’eventualità di questo rischio.
Negli ultimi anni non sono mancati i casi
di gente che si è risvegliata dal coma
dopo dieci, quindici, perfino diciotto anni…
Sui miracoli non si può contare, poiché, appunto,
sono miracoli e quindi avvengono in pochissimi casi:
uno stato, nel promulgare le leggi, non può guardare
al singolo, occasionale episodio. Se è per questo c’è
anche chi dice: «Non è giusto staccare la spina perché
in questo modo s’impedisce alla scienza di progredire».
Se permetti, però, non vorrei mai che mio figlio facesse da cavia per degli esperimenti.
Vanni Veronesi
Cronaca ed impressioni raccolte in una giornata mediamente normale
dalle persone di Cervignano incontrate più o meno casualmente nei bar.
Avrebbe potuto intitolarsi così questo pezzo, scritto praticamente da voi.
n.11 pag.03
Giovanni è il nome di fantasia con cui abbiamo chiamato il nostro intervistato. Parlare di eutanasia risulta difficile già a livello di dibattiti, ancor di più
partendo da un’esperienza personale: proprio questo
è il caso di Giovanni, che alcuni mesi fa ha perso sua
madre dopo un lungo periodo di sofferenze. Ecco la
sua testimonianza.
Eutanasia , scelta lacerante
Un salto al supermercatino
n.11 pag.04
occasioni e curiosità
in piazza Indipendenza
mer
atini
Alla ricerca dell’occasione perduta
Prima domenica del mese: appuntamento con il
mercatino dell’usato in Piazza Indipendenza. Sono le
10.00 quando arrivo in piazza. Fa freddo. Mi mescolo
tra la folla e comincio a guardarmi attorno. La piazza
sembra diversa così piena di oggetti e di persone. Gli
espositori sono davvero molti, le cose esposte fra le
più varie. C’è molta gente in giro.
Gente che è qui solo per curiosare come P.L. di
Cervignano che mi dice:«All’inizio c’è solo semplice curiosità, poi magari si trova qualche oggetto, qualche idea» o come una signora di Fiumicello che ammette: «Non so esprimere giudizi su questa iniziativa, è la seconda volta che vengo! Ci si
guarda un po’ in giro, ci sono cose di vario tipo».
Gente che oltre a curiosare ne approfitta per fare
incontri, per passare il tempo o che semplicemente
apprezza una giornata diversa dalle solite. G.G. e E.R.
affermano:«E’ interessante! A noi piace, dà un po’ di
movimento alla piazza. Poi ogni tanto si trova anche
qualcosa di simpatico».
Una signora sa già che non comprerà niente («Vengo per vedere, non per comprare!»), ma mi dice: «È
bello, si passa una mezza giornata».
Gente che, invece, è alla “disperata” ricerca di un oggetto in particolare come M.L. di Cervignano: «Di solito
vengo solo per dare un’occhiata; un mese fa, però, ho
visto un bel quadretto. Sono andata via, ma subito dopo
sono tornata indietro per prenderlo, ma non c’era più!
Così oggi sono qui per cercarlo, in qualsiasi bancarella!».
Gente per la quale passeggiare per i mercatini dell’usato è diventata un’abitudine o forse proprio una
passione. Perinotto Venicio mi racconta:«Io e mia moglie giriamo per vari mercatini del genere. Ci piace,
lo vorremmo ogni settimana! Costa poco e si compra
bene». A questo punto interviene la moglie:«Io sono
vestita di mercatino e me ne vanto. Proprio oggi ho
comprato un paio di scarpe!».
Gente che ha un po’ di nostalgia del passato e che lo
rivive passeggiando fra i numerosi oggetti antichi che
popolano la piazza. «E’ una giornata caratteristica,
dei tempi che furono. Al giorno d’oggi bisogna apprezzare le cose belle che ci rimangono» mi raccomanda
N.A., un’anziana signora di Cervignano.
Gente un po’ più giovane ma che è «un po’ per le
cose antiche» come M.M.A. di Torino (!!!).
Decido di terminare qui la mia inchiesta. Ho raccolto vari pareri, nonostante qualcuno, invocando la
legge sulla privacy, si sia rifiutato di rispondere. Tutti,
in un modo o nell’altro, mi sono sembrati entusiasti
del mercatino dell’usato. Ho avuto modo di notare che
molti avventori non sono di Cervignano. Un’ultima
occhiata in giro prima di andare a casa e un’ultima
opinione, forse la più semplice e diretta:«E’ un’iniziativa bellissima!! Perché?! Bè, mia figlia è una delle
espositrici!».
Silvia Lunardo
Soprammobili, abat-jour e… fantasia
Ed eccoli, dunque, i veri protagonisti: i venditori. Il
bello di questi mercatini è, infatti, accanto alla possibilità di acquistare gli oggetti più disparati, anche quella di
conoscere personalmente coloro che tali oggetti li vendono. Voglio dire: chi non sarebbe incuriosito di fronte ad un individuo che ti presenta nella sua bancarella
cavatappi degli anni ‘50? O magari vecchi gioghi per i
buoi? E solo per dirne una o due… Di fatto, ogni prima
domenica del mese, Piazza Indipendenza si riempie di
bizzarrie varie, ma anche di oggetti molto interessanti e
soprattutto di persone che meritano di essere intervistate.
Un po’ per caso, un po’ per destino e molto per comunanza d’interessi cominciamo il nostro giro da uno dei
venditori di libri presenti, che ci risponde gentilmente:
«Vengo da Monfalcone e sono uno di coloro che ha iniziato questo mercatino alcuni anni fa, su invito della
Pro Loco. Devo dire che da quando c’è questa iniziativa
qui si vede molta più vita; pure la clientela non manca,
anche se non si vende più di tanto». Sul banco troviamo
libri che ad occhio e croce avranno 40, 50 anni; ci viene
spontaneo chiedere da dove provenga il materiale: «Soprattutto – dice – da sgomberi di cantine, mansarde etc.;
è tutta gente che vuole disfarsi di cose che ha in casa».
Un altro venditore di libri è Roberto Varagnolo. Vista
la grandezza della bancarella e la varietà dei volumi in
mostra, la domanda che gli porgiamo ha in realtà il sapore e il tono dell’affermazione: «Lei è un libraio, vero?»
Naturalmente, sbagliamo in pieno: «No, faccio il bracciante al mercato ortofrutticolo di Trieste». Appunto…
Potete capire, a questo punto, la nostra curiosità, immediatamente soddisfatta: «Fin da piccolo raccoglievo cose
da leggere: prima i fumetti, poi i libri». Viene solo qui o
gira anche altrove? «No, vado anche a Gradisca, Muggia
e Cividale. Devo dire che la clientela di Cervignano è
particolare; cerca soprattutto libri di storia, specie sugli
Asburgo e sulla Prima guerra mondiale».
Ce ne andiamo salutando e promettendo una copia
di Alta Quota, mentre dietro di noi sentiamo parlare un
idioma che, a giudicare dall’ «ostrega», sa poco di friulano… Un mercatino interregionale, dunque!
Fra i tanti venditori che vediamo, ci colpisce, per l’affluenza nella sua bancarella, un collezionista di monete e francobolli: «Vengo da Tricesimo e sono qui ogni
prima domenica del mese per il mercatino; trovo che
sia un’iniziativa che riscuote un notevole successo e che
attira molta gente. Una volta a Cervignano di domenica non c’era nessuno, mentre ora il mercatino è quasi
sempre affollato: anche quelli che magari sono diretti
a Grado si fermano in paese per dare un’occhiata o per
curiosare in giro, e questo può essere un beneficio anche
per i bar della piazza, visto che tutti, almeno un caffé, lo
prendono. Io lo faccio per passione, sono un collezionista, e i miei clienti sono per lo più collezionisti, non sono
interessato al guadagno, che comunque è poco».
Arriva Natale e anche il mercatino si adegua; ecco
allora, fi nalmente, un cervignanese che vende addobbi:
«Io sono cervignanese e trovo che il mercatino sia davvero una bell’iniziativa, anche se non riscuote più tanto
successo come una volta perché non è più una novità:
adesso, a differenza di qualche anno fa, ogni paese ha
il suo mercatino» Quest’ultima è un’osservazione che
ci hanno fatto in molti, ed è la stessa che abbiamo riscontrato già per l’inchiesta su San Martino a proposito
della fiera; sarebbe una cosa su cui riflettere (trovando
nuove “strategie” per rilanciare l’iniziativa?), ma oggi
è domenica e preferiamo lasciare da parte i problemi
e continuare con l’intervista: «Io vendo principalmente
addobbi natalizi artigianali e lo faccio solo per passione,
visto anche che il guadagno, già irrisorio qualche tempo
fa, ora è ulteriormente diminuito».
Continuando il nostro giro capitiamo in una bancarella che offre classici oggetti per la casa; ancora una
volta, il venditore proviene da “oltre Timavo” (il derby
Friuli – Trieste, almeno al mercatino, sembra che lo vinca la seconda!): «Vengo da Trieste e sono qui ogni prima
domenica del mese; lo faccio principalmente per passione e per arrotondare un po’ la pensione: il guadagno infatti non è molto, circa 60-70 euro al giorno, anche se la
gente che viene anche solo per dare un occhiata è tanta.
Io vendo principalmente porcellane e vetrerie, cose che
si trovano a casa o in soffitta, da parenti o amici, cose
che magari fi nirebbero buttate via, e anche oggetti in
ferro che faccio io a mano».
Girovagando per la piazza ho incontrato anche un
rivenditore polacco, di nome Taddeo, che esponeva un
po’ di tutto, dai libri e riviste usati a canne da pesca,
ma non siamo riusciti a intervistarlo per i suoi problemi
a esprimersi in italiano. Siamo invece riusciti a sapere
di più da una coppia di sloveni, rivenditori d’oggetti di
ferro antichi, che ci hanno detto che, per loro, la vendita
è un modo di arrotondare lo stipendio, oltre che una
passione: «Siamo qui ogni volta che c’è il mercatino, e ci
sembra che ogni anno ci sia sempre più gente».
Dopo aver passato in rassegna più o meno tutti gli
stand – lasciando gli occhi su alcuni splendidi impianti
hi–fi degli anni ’80 che, a quanto ci dicono, sono molto richiesti - concludiamo con una coppia di Pordenone
che vende mobili restaurati: «Si tratta di un articolo abbastanza richiesto e riusciamo a guadagnarci qualcosa,
anche perché siamo gli unici del mercatino a proporre
questo genere di cose. Oltre ai mobili vendiamo anche
pezzi di stoffa di vario genere per rattoppare e delle
sciarpe particolari che faccio io a mano. La gente viene,
forse anche attirata dal bel tempo, anche se freddo, e
dalla bella piazza, ma non spende molto quando viene
qui: credo che fare questo come lavoro, vivere solo di
questo, sarebbe impossibile».
Sono le undici e trenta: giusto il tempo per bere un bicchiere e andare a pranzo: cin cin al mercatino, appunto!
Vanni Veronesi e Marco Simeon
filiale di
Cervignano
del Friuli
Prima Puntata
Viaggio a Cervignano
Inchiesta sui beni culturali a Cervignano
Avete presente la statale 352? Certamente sì: è la strada che percorriamo a sud per andare ad Aquileia e Grado, a Nord per Palmanova e Udine. È l’antica via Iulia
Augusta, che in epoca romana congiungeva Aquileia al
Norico (margine meridionale del Danubio), passando per
Cividale. Attorno a questo tracciato, nell’odierno Borgo
Gortani, anni fa sono stati trovati cocci, tegole, resti di
una strada, un acquedotto e una necropoli con urne cinerarie: tutto d’epoca romana. Ad illustrare ciò che avete appena letto c’è solo un cartello posto nella zona, all’angolo fra via Pradati e una laterale sterrata, via Obiz.
Parlare di beni culturali a Cervignano significa anche
questo: imbattersi per caso in uno di essi e scoprirlo per
la prima volta. “Alta Quota” dunque vi propone un viaggio in più puntate nei luoghi d’interesse storico e culturale di Cervignano, alla riscoperta di quei “luoghi della
memoria” - come li chiamano i giornali...- che possono
renderci più orgogliosi di vivere nella nostra città. In
questa prima puntata mi occuperò di un patrimonio solo
in parte conosciuto: le nostre chiese. Prendo la mia solita
bici (la stessa dell’articolo sulla fiera di San Martino...) e
comincio il “viaggio” dal luogo più ricco di memorie di
Cervignano: la chiesa di San Michele Arcangelo.
3) Cappella Bresciani
Ho con me la macchina fotografica e alcuni libri di
storia locale, per capire meglio ciò che vedrò. In uno di
questi leggo che il primo documento fi nora conosciuto che farebbe riferimento a Cervignano risale all’anno
762 e riguarda una donazione a due monasteri vergata
a Nonantola (Modena); a fare da testimone per questo
atto ci fu, se è corretta l‘interpretazione, anche un nostro antico concittadino: frà Orso del Monastero di San
Michele Arcangelo. A questo punto recupero nella memoria alcune nozioni storiche che avevo accantonato da
anni: nel 762 il Friuli era ancora nelle mani dei Longobardi e del loro re Desiderio, ma solo 12 anni dopo, nel
774, Carlo Magno, re dei Franchi, avrebbe conquistato
l’Italia. Dunque Cervignano aveva una certa importanza già prima di Carlo Magno: la cosa m’inorgoglisce e
proseguo la lettura.
Il primo documento - pervenutoci comunque non in
originale - che, invece, nomina espressamente Cervignano è il diploma del re franco Berengario dell’anno
912. Scopro dunque che all’epoca la nostra cittadina era
chiamata Cervineana e che esisteva un Monasterium S.
Michaelis Archangeli, bruciato alcuni anni prima a causa di un’incursione dei cosiddetti Pagani (gli Ungari) e
poi immediatamente rinato. Il documento di Berengario
è preziosissimo perché si colloca fra la prima incursione
ungara agli inizi del sec. X e la seconda, quella del 950
circa, dopo la quale l‘abbazia non risorse mai più.
Cosa resta di quel monastero, nato, secondo la tradizione, nel 668? Un toponimo (via della Badia) e soprattutto il mosaico pavimentale d’epoca longobarda scoperto nel 1915, che oggi possiamo vedere in Piazza Marconi. Dico “vedere” e non “guardare” poiché i vetri che
lo ricoprono, sporchissimi, m’impediscono del tutto di
ammirarlo, per non parlare delle infi ltrazioni d’acqua e
delle erbacce, che hanno trasformato una bella pavimentazione colorata (così me la ricordo da quando ero piccolo) in una distesa quasi monocolore di tessere sbiancate.
L’attuale chiesa, voluta dai cervignanesi in sostituzione dell’angusta parrocchiale del 1614, risale, come posso
leggere dalla lapide in latino posta sulla facciata, al 1788
(ma seguirono lavori di consolidamento e rimaneggiamenti vari). Meritano attenzione gli affreschi all’interno,
opera (metà dell’ottocento) del veneziano Sebastiano
Santi, e la cripta sotterranea. Merita invece un giudizio
negativo la mancanza di un cartello esplicativo (anni
fa c’era, che fi ne ha fatto?) che dia notizia di tutto ciò.
4) Chiesa di San Martino di Terzo
L’ultima tappa di questo primo percorso è la chiesetta
della vicina San Martino di Terzo, che, pur essendo fuori
dal nostro comune, mi sono sentito in obbligo di inserire
nell’articolo, in quanto storicamente legata a Cervignano e al suo antico monastero perduto. Il viaggio con la
bici dura poco meno di un quarto d’ora. Apro la porta
sul fianco destro ed entro: è una di quelle grigie e umide
giornate autunnali, perciò il primo impatto è quello con
un luogo scuro, con pochissima luce. Pian piano, però,
gli occhi si abituano ed ecco che posso ammirare gli
affreschi, risalenti per la maggior parte al XIV secolo,
mentre uno di essi è addirittura dell’XI secolo. Mi diverto ad interpretare le scene: riconosco facilmente il peccato di Adamo ed Eva, così come la cacciata dall’Eden,
ma ho qualche difficoltà su molte altre scene; infi ne, la
mia attenzione si concentra su una commovente crocifi ssione, assai rovinata, ma ancora leggibile. Uscendo
mi viene da pensare: “È così vicina questa chiesa che
ssarebbe stato un peccato non andarci”.
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2) Chiesa di San Girolamo
Riprendo la bici e vado alla volta di San Girolamo. Un
po’ mi vergogno a pensare che ci sono entrato l’ultima
volta sei anni fa, ma se anche questa volta non posso
farlo non è colpa mia: la chiesetta, infatti, è chiusa... Mi
consolo leggendo le parole di Angelo Molaro (“Cervignano e dintorni“, 1920), primo storico di Cervignano,
secondo il quale la chiesa di San Girolamo « è antica
forse come quella di San Michele»; di quest’ultima ne
condivide pure le sorti, dal momento che l’antica chiesa
non esiste più da secoli e oggi, al suo posto, ne sorge
una risalente al 1873 e totalmente rifatta nel 1924 in
forme neoromaniche, secondo la moda dell’epoca. Nei
muri esterni l’osservatore attento - io non lo sono, se ho
dovuto leggere per vedere quello che vi sto per scrivere - può scorgere frammenti di lapidi e altro materiale
d’epoca romana ritrovato nella zona; qui, per fortuna,
il cartello esplicativo c’è e dice cose molto interessanti:
per esempio che sono state scoperte, nella zona, delle
tracce di una strada e che presso il vicino fiume Ausa
sorgeva fi n dall’epoca romana un piccolo porto, i cui
pochissimi resti sono stati rinvenuti presso la chiesa di
San Michele.
Questo primo viaggio si chiude qui, a San Martino,
simbolicamente a metà strada fra la nostra cittadina e
Aquileia, “madre” storica di Cervignano. Nel prossimo
numero ci occuperemo dei borghi di maggiore interesse
storico e artistico, con particolare riguardo, ovviamente,
per Strassoldo. Il viaggio, dunque, continua.
Vanni Veronesi
Fonti:
Giuseppe Fornasir,
Storia di Cervignano.
II edizione aggiornata.
Udine 1981.
Antonio Rossetti,
Cervignano ed il suo antico territorio nel Medioevo.
Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia.
1984
Angelo Molaro,
Cervignano e dintorni.
Udine 1920
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Pochi minuti e sono presso la Cappella Bresciani,
accanto alla villa nobiliare. Leggo che fu edificata nel
1692 su un edificio preesistente e fu modificata nel 1873.
Qui per fortuna posso entrare, come ho già fatto molte
volte: eppure, accanto alle tombe gentilizie, il grande
crocifi sso ligneo posto sopra l’altare mi colpisce sempre.
L’opera, di scuola bavarese, risalente alla prima metà
del 1200, è stata sapientemente restaurata fra il 2000 e
il 2003, e ha così ritrovato il colore e le forme originali,
restituendoci anche una preziosa scoperta: in una cavità dietro la testa del Cristo, infatti, è stata rinvenuta
una croce pettorale in smalti colorati, di chiara fattura
bizantina, probabilmente un ex voto. Consiglio a tutti,
quando vi capita di camminare per via Trieste, di visitare questa cappelletta: non sono minuti sprecati.
1) Chiesa di San Michele Arcangelo
n.11 pag.05
Pochi lo sanno, ma Cervignano ha una storia millenaria. Se lo vai a dire in giro, le reazioni sono di tre tipi: una risposta come «ma dai, figurati», oppure una risata, oppure incredulità e meraviglia. Eppure è proprio vero, e confesso
che io stesso ho scoperto delle cose che non sapevo proprio in occasione della preparazione di quest’articolo.
Pignarûl
viva la befana!
n.11 pag.06
La dodicesima notte, ultima del periodo delle festività natalizie, ha sempre incantato ed affascinato le genti antiche, fin
dal più lontano passato. Nella nostra regione, questa antica
tradizione è ancora profondamente radicata e celebrata da
giovani ed anziani, che si riuniscono intorno al grande fuoco
il 5 o il 6 novembre.
Nonostante la diffusione dell’evento, pochi sanno le sue origini, che si perdono nella notte dei tempi.
Per i popoli antichi, i periodi solstiziali, erano quelli più significativi, che simboleggiavano intensamente la lotta fra il bene
e il male, fra la luce e le tenebre. Questa concezione dualistica
del mondo, viene dunque espressa attraverso un falò, grande
fuoco dedicato al culto della luce, strettamente legato al paganesimo, sia come significato, sia come preparazione; esso aveva uno scopo propiziatorio per le campagne e per l’agricoltura,
e in più, si crede, anche divinatorio e purificante per la Luna.
Da dove nasce la figura della Befana, e per quale motivo si
è scelto un personaggio femminile da bruciare sopra la pira?
Nella società antica dove il pignarul nacque, si riteneva che
l’uomo fosse un essere solare, e che la donna, invece, fosse
strettamente legata alla Luna. Troviamo dunque il fuoco come
simbolo della morte (inverno) e contemporaneamente come
speranza per una prossima rinascita (bella stagione).
Col trascorrere dei secoli, la tradizione del pignarul è mutata: partendo da una concezione prettamente pagana e legata
al culto degli elementi naturali, giunge ad una tradizione indissolubilmente collegata al Cristianesimo, essendosi col tempo
estinta la parte chiassosa, scherzosa e più carnevalesca, oltre
che magica, che è stata sostituita da un insieme di precisi riti
a metà fra il popolare ed il religioso, e che sono considerati
la chiusura ufficiale del periodo natalizio, completata de gesti significativi, come la figura dell’anziano (rappresentante la
saggezza e l’esperienza) trae auspici, dal fumo che il pignarul
emette, prevedendo la buona sorte o le future difficoltà. Inoltre in ogni località la tradizione ha assunto alcune sfumature
diverse, derivanti dalla storia del paese o della zona in cui il
pignarul è organizzato.
Anche a Cervignano, il “rito” del pignarul, è annualmente
celebrato. Abbiamo sentito due testimonianze particolari, che
da molti anni organizzano questo evento.
Alessandro Florit, presidente dell’associazione nautica cervignanese, ci racconta che già una decina d’anni si prepara
questa manifestazione, strettamente correlata al fiume Ausa:
la befana, infatti, è portata nel piazzale Donatori di Sangue,
su una barca, lungo il fiume, prima di essere bruciata. Il pignarul-aggiunge-è un’ottima occasione di aggregazione per la
cittadinanza, anche in relazione alla nostra associazione.
Un altro pignarul significativo è quello organizzato dal ricreatorio S. Michele a Scodovacca. Come ci dice la signora Bruna Michelli, responsabile del ricreatorio che ospita il pignarul,
sono già 6 anni che questa tradizione ha luogo qui, costituendo
un eccellente modo per rinnovare le tradizioni antiche.
Calendario in arrivo...
“Mai più una fatica simile”. Dodici mesi or sono,
mentre nelle notti dicembrine facevamo le ore piccole
per fascicolare i calendari AQ del 2006, la frase ricorrente in redazione era indubbiamente questa. Parole
che, dopo il successo ottenuto dall’iniziativa, sono rapidamente scivolate nell’album dei ricordi, sovrastate
dai complimenti della gente e dalla soddisfazione per
un’opera forse senza eguali nella nostra città.
Perché se è vero che a Cervignano, come altrove, ogni anno l’avvicinarsi di San Silvestro dà il la
a un’improvvisa proliferazione di calendari, il coinvolgimento attivo dell’intera comunità rappresenta un
traguardo precedentemente mai tagliato.
Alta Quota però ha voluto continuare a correre.
Puntando a trasformare l’innovazione in tradizione.
Spinta dal desiderio di offrire nuovamente a Cervignano e ai cervignanesi un regalo di Natale che possano
sentire proprio. Un calendario che accompagni il 2007
attraverso immagini simbolo della nostra vita comunitaria. Fino al giorno dell’uscita (sabato 16 dicembre)
temi e foto resteranno per ovvie ragioni segreti.
Non i loro autori, cui Alta Quota ha presentato una
proposta finora unica nel suo genere. Unire il genio,
l’esperienza e la professionalità di tutti i fotografi della città, facendo realizzare a ciascuno di loro i dodici
scatti che accompagneranno il nuovo anno nelle case,
negli uffici, nei negozi e nei locali dei cervignanesi.
Quegli stessi cervignanesi che, con le loro offerte, contribuiranno a finanziare le attività sociali in favore
della comunità.
Un progetto che solo un anno fa sarebbe stato impensabile. Ma proprio in questo particolare, nel trasformare cioè desideri, idee o semplici auspici in fatti concreti, Alta Quota ha trovato
la sua essenza. Divenendo strumento privilegiato
di contatto tra le variegate anime (in molti casi tra
loro sconosciute) della nostra piccola grande città.
A ognuna di queste vogliamo augurare buon Natale.
Andrea Doncovio
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Sofia Balducci
laStrip
La convenienza è di casa
(aperto tutte le domeniche e festivi di dicembre, esclusi 25 e 26)
di Luca “snoop” Di Palma
Foto sopra: 3º media, anno 1954, prof. Coscino
(fotografia pubblicata per gentile concessione di
« Fotoservizi Gennaro » di Luciano Trombin
Cervignano, via Garibaldi 2)
www.cisonostato.it
Questo è un sito deticato in particolare ai diari di
viaggio con racconti, foto ed esperienze di viaggio
dei turisti in tutto il mondo.
LoChef consiglia…
www.haflinger.it
per 2 persone
bastanza grande l’olio e aggiungere la cipolla
tritata e l’aglio sbucciato e quando quest’ultimo sarà diventato di color marrone, aggiungere
Pedocii gratinadi
PPe
grati
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ttinadi
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il pesce (non tutto, lasciare 200g per dopo), lasciare
(Cozze al gratin)
Ingredienti:
una trentina
di
tiin di per qualche minuto a fuoco basso e togliere quindi
cozze fresche, 2 spicchi d’aglio, l’aglio e aggiungere l’anguilla e il prezzemolo tritato.
30g mollica rafferma grattugia- Unire, se necessario, pochissima acqua calda e
ta, un mazzetto di prezzemolo, cuocere a fuoco vivo per 10 minuti, quindi ab25g Parmigiano grattugiato, 2 bassare il fuoco e continuare la cottura. In un’alcucchiai di olio extravergine tra padella rosolare nell’olio il resto del pesce
d’oliva,mezzo bicchiere di vino tagliato a pezzi, bagnarlo con l’aceto, lasciarlo
evaporare; quindi aggiungere un bicchiere d’acbianco secco, pepe nero, sale.
Preparazione: sistemate le qua calda e proseguire la cottura per 10 minuti.
cozze in un grosso recipiente, copritele d’acqua e fa- Una volta posto nella pentola con l’anguilla e il resto del
tele spurgare per almeno un’ora. Asportate le barbe, pesce, salare e pepare con pepe macinato sul momento.
raschiate i gusci e risciacquate bene in abbondante Coprire con acqua bollente e fare sobbollire per 15
acqua fredda. Raccogliete le cozze in una padella minuti. Togliere dal fuoco e servire caldo in fondine.
capiente, ponetele sul fuoco, spruzzate con il vino e
n e polenta
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Renga
polenta)
coprite. Quando tutte le valve si saranno aperte, tongghe affu
affum
f um
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mi
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i
Ingredienti: 3 aringhe
affumicate,
½ litro di latgliete le cozze dalla padella ed eliminate sia quelle
o i extravergine d’oliva,
rimaste chiuse, sia quelle aperte ma prive di mol- te freddo, 3 cucchiai di olio
lusco. Pulite e tritate l’aglio e il prezzemolo. In una ½ cipolla, 2 spicchi d’aglio, 1 cucchiaio di prezzemolo
ciotola versate mezzo bicchiere di acqua di cottu- tritato, 2 foglie di alloro, 1l di acqua, 250g di farina
ra delle cozze e aggiungete il pane grattugiato, un di mais, sale grosso.
Procedimento aringa: sistemare le aringhe in una
po’ di prezzemolo tritato, il Parmigiano, l’aglio, un
cucchiaio d’olio, un pizzico di sale e di pepe. Amal- terrina capiente, versare il latte e fare riposare 12 ore.
gamate bene gli ingredienti e farcite tutte le cozze. Dopo le 12 ore scolare e trasferire l’aringa in una paSistemate quindi i molluschi in una larga pirofi la della, coprire d’acqua tiepida e cuocere per 10 minuti
unta d’olio e passateli in forno caldo a 200° per circa dal momento in cui l’acqua bolle. Quindi sgocciolare,
15 minuti. Prima di portare in tavola profumate con il asciugare e diliscagliare il pesce. Tritare l’aglio e la
cipolla, metterli in una padella con l’olio, ½ bicchiere
prezzemolo rimasto. Servite caldo.
di acqua tiepida e il prezzemolo, soffriggere per circa
8 minuti. Unire le aringhe e farle insaporire nel sofBoretto
Boretto alla gardesana
Boret
gardesan
de aana (Brodetto
(Br
(Brod
((B
B det
Bro
Brodet
etto
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al gradese)
Ingredienti:
ngredienti: 900g dii pesce
esce
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(asià,
(as
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assi
sià spigola, coda di fritto per 10 minuti. Servire caldo.
Procedimento polenta: portare ad ebollizione l’acrospo, passera, orata, o altroo pesce
p
bianco) e qualche
pezzo di anguilla, 2 spicchi d’aglio, ½ bicchiere di qua, aggiungere il sale grosso e versare la farina a
aceto bianco, ½ cipolla, prezzemolo, 2 cucchiai di olio pioggia, mescolando continuamente con una frusta,
in modo che non si formino grumi. Proseguire, medi oliva, sale grosso, pepe nero in grani.
Procedimento: pulire il pesce e tagliarlo in scolando per 50 minuti.
Marco Gerin
tranci di 4 cm circa, versare in una teglia ab-
“QUEST’ANNO SI È CORSO IL RISCHIO
CHE L’ISOLA PEDONALE LUNGO
VIA ROMA DURANTE IL PERIODO
NATALIZIO NON FOSSE RIPROPOSTA…”
www.ciai.it
Sito del CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia), si
batte per promuovere il riconoscimento del bambino
come persona e difenderne ovunque i diritti
fondamentali, alla vita, alla salute, alla famiglia,
all’educazione, al gioco e all’innocenza. Visitando
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nel mondo, con le offerte che volendo si possono fare.
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NELLA SCARSA COLLABORAZIONE
DA PARTE DEI COMMERCIANTI…
TU COSA NE DICI MENI?”
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n.11 pag.07
ba eka
QUINTERNET
n.11 pag.08
A
Noi siamo nati cristiani. Ci siamo trovati immersi,
dentro fino al collo, senza mai fare una scelta, senza che
qualcuno fosse mai interessato a sentire se siamo d’accordo.
In pratica, in fatto di religione non siamo liberi. Ma io penso una cosa ancora peggiore:
non solo non siamo liberi, ma neppure desideriamo essere liberi, non abbiamo la passione di scegliere e di decidere.
Ma allora chi siamo religiosamente? Siamo dei “fai
da te”, e, quel che è peggio, senza dedicare neanche un
minuto per documentarci ed avere delle motivazioni appoggiate su qualche riflessione: io scelgo quello che in
questo momento mi viene in testa. Prendo un pezzettino, o anche un pezzo più grosso, ma solo quello che mi
risulta facile ed immediato. E’ proprio vero: la nostra
società è destrutturata, senza un peso e un valore da
difendere.
E la Chiesa? Nessuno ne vuole far parte.
“Figurarsi, io scegliere di far parte di una Chiesa? Io
sottomettermi alle idee dei Vescovi e dei preti? In Chiesa
bisogna andare, ma tenendo un giusto distacco, fermandosi sulla porta, con un piede dentro ed uno fuori…”
“Per i bambini la chiesa va bene: bisogna dare loro il
battesimo ed anche sopportare che i preti per due anni li
preparino alla I Comunione. Certo, due anni sono un tempo piuttosto lungo, ma se hanno deciso così, sopportiamo
l’incomodo di dover accompagnare i nostri piccoli ogni
settimana a quell’ora di catechismo che poi, veramente
non serve a gran che. Comunque, i preti male non insegnano! E può anche darsi che impari qualcosa di buono.”
“Ho sentito che il parroco ha avuto l’idea bizzarra di
chiedere ai genitori di non presentare i loro figli al sacramento della cresima, affermando che quando saranno grandi, decideranno loro se accostarsi a questo sacramento e chiedere il dono dello Spirito Santo”
“Certamente mio figlio da grande non lo chiederà questo sacramento; è meglio fare subito tutto e poi, sarà
quel che sarà.” (In effetti non abbiamo mai avuto tante
iscrizioni al sacramento come dopo questa proposta fatta ai genitori!)
Poiché la comodità è l’unico Vangelo, si capisce che la
gente non è dalla parte della chiesa neanche di fronte
alla difesa della vita! Se si tratta di salvare un cane
dalla cattiveria degli uomini, siamo tutti in pieno accordo, ma di fronte alla pretesa di salvare un bambino che
creerebbe tanti guai a noi adulti… (che razza di adulti
abbiamo tra noi: irresponsabili e incapaci di continuare
ciò che loro hanno iniziato!).
La Chiesa comunque piace quando si interessa della
povera gente. (Purché non debba impegnarmi io in qualche
cosa: avendo tante cose da fare, non ho proprio tempo!)
Ma forse qualcosa sta nascendo,
qualcosa di responsabile, pensato, voluto e scelto.
Ai genitori dei ragazzi che si preparano ai sacramenti
è stata consegnata una corona con 10 grani e si è chiesto
a loro, ogni giorno, di pregare un mistero del Rosario per
i loro figli e, se i ragazzi accettano, anche con i loro figli:
Sai che parecchie persone hanno iniziato
a pregare in casa e assieme?
don Silvano
Scampanotá
una tradizione che continua ancora
A Muscoli il giovane Gabriele si è affiancato a Ermes per suonare le campane
Se al giorno d’oggi chiedi a un giovane chi siano gli “scampanotadôrs”, sicuramente ti direbbe in che lingua
stai parlando. Eppure un tempo, fino a pochi anni fa, c’erano in tutti i paesi… e anche tanti! Uomini dalle
braccia robuste che con grande abilità salivano le scale pericolanti dei nostri campanili fino alla cella campanaria per far risuonare nell’aria la voce delle campane con un’armonia più unica che rara.
Ma una volta si andava spesso a “scampanotà”?
Una volta le campane suonavano molto più di adesso e
si suonava sempre “a mano”, tirando la corda con la sola
forza delle braccia; non c’era l’impianto elettrico come
adesso. Si suonava in occasione di ogni grande festa religiosa: Natale, Pasqua, Ascensione, Corpus Domini, Cristo Re, l’8 settembre e per il patrono San Zenone nel mese
di aprile. Si cominciava alla vigilia, verso l’imbrunire.
Il giorno dopo si iniziava già alla mattina presto verso
le 6 e si continuava anche durante la giornata prima e
dopo le celebrazioni liturgiche. Il giorno dei Santi poi era
un gran da fare: si cominciava subito dopo la funzione
pomeridiana in cimitero e si andava avanti fino a notte
inoltrata: bisognava suonare per tutti i morti! L’unica
pausa consentita era solo per la cena che si consumava a
casa del sacrestano. Alla mattina del giorno dopo, verso
le 5 si ricominciava già a suonare. In quegli anni nessuno si lamentava, non era come adesso.
Perché ha deciso di trasmettere questa passione
a un giovane come Gabriele?
Signor Ermes, quando ha iniziato a “scampanotà”?
Una volta a Muscoli c’erano tanti “scampanotadôrs”;
Ho cominciato quando ero ancora bambino, a 9 anni. mi ricordo ad esempio di Onelio Mian, Ottone Baldassi
Pensi… adesso ne ho 73! È stato Franco Salvino, un e Aldo Zammarchi. Con me invece venivano a suonare
“scampanotadôr” di quegli anni, a portarmi per la prima Sergio Iustulin, Giordano Baldassi, Antonio Vidon, Lino
volta sul campanile di Muscoli. Io mi ero accucciato in Comar, Oreste Franco, Severino Bortolossi, Livio e Salvo
un angolo della cella campanaria e guardavo quegli uo- Rivetti, Eugenio e Berto Del Ponte. Ora alcuni si sono rimini che con bravura suonavano le campane. Assieme tirati; gran parte di loro purtroppo non ci sono più e così
a Franco c’erano anche Giovanni Bortolossi e Aldo Del sono rimasto solo. Ho visto che Gabriele aveva un po’ di
Ponte. Ad un certo punto mi hanno invitato a prendere in passione e ho subito pensato di insegnargli a suonare.
mano la corda del batacchio e da quel giorno si può dire
Sentiamo allora la voce del giovane Gabriele.
che non l’ho più mollata.
alta
uria
Questi dunque gli “scampanotadôrs”, abili suonatori
di campane con la sola forza delle braccia e di un “buon
orecchio”, capaci di trasformare questa passione in una
vera e propria arte. Oggi i “scampanotadôrs” sono in via
di estinzione; non ci sono più neanche a Cervignano e
non si può pretendere che ci siano con un duomo senza
campanile e dopo parecchi anni in cui anche la vecchia
torre della Chiesa Madre è stata muta perché dichiarata
pericolante. Nei piccoli paesi dove il suono delle campane ha ancora un significato e dove il “scampanotà” è una
vera e propria tradizione, i “scampanotadôrs” esistono
ancora e alcuni di essi sono anche giovani. È il caso di
Muscoli dove all’unico “scampanotadôr” ancora in attività, Ermes Fontana, si è aggiunto anche il giovane
Gabriele Scolaro. Questa “new entry” ha suscitato tanto
piacere e gioia nella piccola comunità fortemente legata
alle proprie tradizioni. Ho pensato allora di intervistare
brevemente Ermes e Gabriele per sentire anche la loro
voce personale su questo fatto.
IL CROGIOLO
di Alfonso Mansi, laboratorio orafo
Cervignano (UD) via Roma 11, tel. 0431 34336
Gabriele, tu hai 21 anni.
Come mai ti sei messo a suonare le campane?
Sono un giovane molto legato alle tradizioni della mia
comunità di Muscoli e ho sempre guardato ai “vecchi”
per imparare qualcosa da loro. Veder morire una tradizione nel mio paese è stato un dispiacere e così, dato che
“il scampanotà” è una tradizione del mio paese ed è anche
una cosa che sento forte dentro di me, ho subito voluto
affiancarmi a Ermes per imparare a suonare le campane.
Quand’è che hai cominciato?
Circa un anno fa. Ogni sabato pomeriggio andavo sul
campanile assieme ad Ermes che con pazienza mi insegnava a dare i colpi giusti con il batacchio. All’inizio non è
stato facile, ma poi quando l’armonia ti entra dentro, tutto diventa più facile, più bello, ancora più appassionante.
Cosa diresti ai giovani come te
che sembrano poco interessati a queste cose?
Ognuno ha i suoi interessi, ognuno fa quello che si
sente e ciò che è portato a fare. Conosco alcuni giovani che cantano in qualche coro. Io preferisco suonare le
campane. Inoltre il suonare le campane è comunque un
qualcosa di legato alla propria religione ed giusto che
ognuno esprima ciò che sente dentro senza la paura del
giudizio degli altri. Per me la Chiesa è sempre stata un
punto di riferimento, un luogo di incontro e di crescita.
Ringraziamo Ermes e Gabriele per la loro disponibilità e da buon “scampanotadôr” come sono anch’io mi
auguro che l’ingresso di Gabriele sia davvero l’occasione
per continuare a portare avanti le tradizioni dei nostri
paesi che hanno segnato e segnano la nostra storia e la
nostra identità. Condividere una grande passione, stare
assieme, portare avanti una tradizione… Forse “il scampanotà” non è davvero una cosa del passato; ha invece
ancora qualcosa di attuale e importante da dire ad ogni
uomo del nostro tempo.
don Moris
Lucio Comar
tra pittura e musica
La sua formazione artistica avviene innanzitutto alla scuola d’arte privata con sede a Milano
(anni ’50), poi alla scuola di disegno e pittura di
Parigi. Negli anni ’80 frequenta anche il liceo artistico e sostiene l’esame di storia dell’arte a Fidenza.
L’artista è membro onorario delle seguenti accademie: Accademia Tiberina – Roma;
Accademia Guglielmo Marconi – Roma.
Nell’anno 1979, per meriti artistici gli è stata conferita la “Legion d’oro” dell’accademia Tiberina di Roma.
Dopo molti anni d’esperienza nel campo della pittura, si è affermato anche a livello nazionale. Infatti è presente nei maggiori
cataloghi: Comanducci, Bolaffi , Celit,
Unedi. Le sue opere si trovano anche
in pinacoteche pubbliche e private.
Inoltre ha fatto anche diverse mostre
d’arte in regione e in tutta Italia.
Comar, oltre ad essere un pittore in
proprio, ha fondato una scuola di pittura dove lui stesso è professore. Nel
suo atelier d’arte si frequentano corsi
di formazione artistica professionale.
Nel 1984 fonda, appunto, la sua
scuola privata di pittura su richiesta
di insegnanti di scuola elementare. La
prima sede fu una stanza che le ACLI
locali diedero in prestito al pittore.
Questa scuola era frequentata da 8
allievi. Poi si trasferì al dopo lavoro ferroviario e successivamente in via Mercato. Ultima e defi nitiva ormai
già da 15 anni nell’attuale sede di via Turisella dove
appunto ha il suo atelier d’arte e la scuola di pittura,
Ironman
alla fi ne della quale, dopo 10 mesi con lezioni annuali, il
prof. Comar consegna un attestato. Fa anche altri tipi di
corsi di pittura o artigianato che possono durare anche
2 o 3 anni. Nel tempo si sono aggiunte altre tecniche
artistiche quali il vetro Tiffany e il vetro cattedrale. La
sua scuola, tra pittura e artistica, da quando è nata a
oggi ha visto passare circa un migliaio di elementi tutti
con grande volontà di imparare e di affermarsi come
validi artisti.
Come dicevamo, non è solo un pittore, ma la sua passione per la musica l’ha portato a diventare un ottimo
musicista: e anche in questo caso è insegnante di musica. Ha frequentato la “Farfi sa”, cioè l’istituto musicale
italiano dove ha conseguito il diploma “Fisa di concerto”. Dagli anni ’60, privatamente, dà lezioni di tastiera,
piano, fi sarmonica, organo e chitarre.
Comar è anche insegnante esterno dell’istituto musicale italiano. Prima, negli anni ’60, faceva parte di
un orchestra di 5 elementi tutti di Cervignano fondata
proprio da lui: gli “Epicurei”. Questo fi no al 1974. Poi si
dedica quasi esclusivamente alla pittura e all’insegnamento di questa anche se attualmente, in certe occasioni, lo possiamo trovare a fare piano bar nei locali con
musica anni ’60 o liscio.
Come ricordo dei suoi trent’anni di attività come pittore (1974–2004) inizia a scrivere il libro “Il mio Friuli”. Dopo aver raccolto nel tempo le foto della gente dei
campi che ha rappresentato nei suoi quadri, ha deciso
di pubblicare il libro che mette in visione le tradizioni
della nostra bassa friulana. Il libro è stato edito a giugno
del 2006. Nella presentazione del suo libro, Lucio Comar lancia un invito ai lettori, in particolare ai giovani:
“Il mondo rurale mi ha sempre affascinato fi n da bambino, la sua semplicità, la comunione con la natura e le
tradizioni di queste famiglie patriarcali erano uniche
e presenti. Così, al lettore, potrò donare un tempo che
è fortemente mutato. Dedico questo libro al mio paese,
Cervignano del Friuli, che ho visto mutare nel tempo e
che la memoria mi porta ancora alle privazioni d’allora.
Ai giovani chiedo di prendere visione di questo libro
per considerare solo i mutamenti del tempo che inesorabile cambia, con il progresso, la visione semplice e naturale della vita.”
Christian Franetovich
n.11 pag.09
Lucio Comar, pittore, maestro d’arte e musicista, sposato con la signora Bianca:
vive e lavora a Cervignano del Friuli in via della Turisella. Lo andiamo a conoscere perché,
vedendo le sue opere pittoriche, rimaniamo il più delle volte incantati ad ammirare con quanta
precisione e bellezza riesce a ritrarre delle persone comuni che lavorano la terra
della nostra zona, la bassa friulana in particolare.
Intervista a Giovanni Brunetti, stella del triathlon cervignanese
tra il nuoto, il ciclismo e la corsa a piedi, praticate su
distanze variabili.
Siete in molti a dedicarvi a questo sport?
Siamo in parecchi anche se di persone che abitano a
Cervignano non ce ne sono molte e questo è un peccato.
Il triathlon è una disciplina che può dare molte soddisfazioni, ma spesso viene considerata troppo difficile dai
giovani o da chi comunque vuole fare dello sport. Invece
non lo è per nulla, basta avere la costanza di allenarsi e
poi i risultati arrivano.
Anche nel triathlon c’è il doping?
Il doping è una piaga che colpisce il calcio, il basket
e purtroppo anche il nostro sport. Sfortunatamente ci
sono sempre degli individui sleali che cercano di prendere delle scorciatoie per arrivare là dove gli altri arrivano faticando. Alla fine l’unico risultato che ottengono
è quello di rovinare l’immagine dello sport e di rischiare
la loro vita.
Costantino Tomasin
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Fioreria e Agraria
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di Rita Petarin • chiusura lunedì pomeriggio
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Cervignano del Friuli, via Trieste 37, tel. 0431 33772
Papaveri e Papere
uotati
Cosa si prova a portare a termine
un’impresa così difficile?
Non so come descrivere cosa si prova. Posso solo dire
che quando arrivi agli ultimi due chilometri ti sembra
di avere le ali ai piedi e l’adrenalina ti spinge in avanti
passo dopo passo. In quel momento ti rendi conto che i
sacrifici che hai fatto per arrivare fin lì sono stati ripagati con gli interessi.
Di sacrifici devi averne fatti parecchi...
In effetti mi alleno undici-dodici ore a settimana e
mantengo una dieta controllata anche se non rinuncio
a nulla di ciò che mi piace. I sacrifici maggiori però li
fanno mia moglie Raffaella e mia figlia Elisa che in certe
giornate mi vedono poco, ma hanno la pazienza di starmi
sempre vicino sostenendomi.
Per riuscire a portare a termine un “Ironman”
bisogna essere davvero fatti di ferro?
Se dicessi che si tratta di una passeggiata non sarei sincero. Devo dire, però, che è meno dura di quanto si possa
credere. Ci sono da fare i sacrifici di cui ho parlato, ma
a Klagenfurt, dove ho partecipato ai miei due “Ironman”,
correvano anche ultrasettantenni e quasi tutti sono riusciti a portare a termine la prova entro il termine massimo
di 17 ore. Quindi non si tratta di un’impresa impossibile.
Tu pratichi qualche sport in particolare?
Dal 2001 faccio parte della società di Triathlon Happydea di Cervignano presieduta da Bruno Veronelli. Il
triathlon è uno sport che prevede proprio l’abbinamento
ipiù
Immaginatevi che dopo aver percorso quasi 4 chilometri a nuoto e 180 in bicicletta vi toccasse appena di
correre una maratona... impossibile direste voi... e invece no! Nel caso abbiate il coraggio di affrontare una
simile prova sareste in buona compagnia: ogni anno ci
sono migliaia e migliaia di persone che si cimentano in
questa che è una disciplina sportiva a tutti gli effetti.
Certo non è proprio alla portata di tutti e il nome che
porta, “Ironman” (Uomo di ferro), implica un impegno
particolare per riuscire a vincere la sfida. Ma alla fi ne
il risultato vi ripagherà, come spiega Giovanni Brunetti,
fi nanziere ascolano da diversi anni trapiantato a Cervignano, che di queste gare ne ha già disputate due:
Preservare l’habitat:
cacciando si può
n.11 pag.10
“Un cacciatore è, prima di tutto, un ambientalista”. Questa affermazione, che potrebbe sembrare ai limiti del paradosso, è una delle
massime di Italo Zorat, presidente dell’Associazione dei Cacciatori di
Cervignano. Un gruppo formato nel primo dopoguerra, che a metà
degli anni Ottanta superava la cinquantina di iscritti e che al giorno
d’oggi può contare su trenta soci. Abituati, da sempre, a contrastare il
pregiudizio esistente attorno alla figura del cacciatore: “Noi amiamo
l’ambiente: solo se preserviamo l’habitat e le specie che vi abitano, possiamo cacciare” prosegue Zorat. D’altronde, dalla descrizione che quest’ultimo mi fa, la caccia si caratterizza per essere un’attività sottoposta
a regole precise e ferree e ad una stretta collaborazione con chi della
difesa dell’ambiente si occupa per professione: le guardie forestali. “La
caccia si basa su programmazione e selezione dei prelievi, in base alle
quote censite dal sottoscritto e dal corpo forestale” spiega il presidente.
Possono dunque venire abbattute solamente determinate percentuali di esemplari maschi e femmine, di animali giovani e più vecchi.
Ciò di cui forse non tutti sono a conoscenza è che il ripopolamento
e la reintroduzione della fauna è fi nanziato dagli stessi cacciatori:
“Ogni volta che effettuiamo un ripopolamento, ci viene consentito di
cacciare solamente il 70% degli animali reintrodotti, una percentuale
che peraltro non raggiungiamo mai”. Tra le specie maggiormente presenti sul territorio cervignanese, che comprende le aree di Scodovacca,
Strassoldo e del Manolet, vi sono al momento le lepri, le volpi, i caprioli e poi via di seguito fagiani e starne. Sotto il piombo dei cacciatori
non cadono mai merli e uccelletti: la fortuna di questi volatili risiede
nella forza della tradizione e del sistema venatorio in vigore ai tempi
dell’Impero Austro-Ungarico, che prevedeva limitazioni riguardo a
questo tipo di animali.
Quali i requisiti per diventare cacciatore? Anche in questo caso i
criteri si dimostrano molto precisi: sano, incensurato, senza precedenti, ogni cacciatore deve avere il porto d’armi, effettuare controlli
triennali e aver superato un esame selettivo per verificarne le nozioni
sulla fauna e una prova di balistica.
Dopo aver ascoltato tutto questo, un’ultima domanda mi sorge spontanea: perché i cacciatori continuano a portare con loro una nomea
negativa? La risposta di Zorat è perentoria e, in qualche modo, suona
familiare: “I danni più grandi alla caccia provengono dalla politica
che, quando vuole intervenire, fi nisce solamente per creare problemi
maggiori. In fi n dei conti, se noi stessi preserviamo la natura, la caccia
vive, se non la preserviamo, la caccia è destinata a morire”.
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Simone Bearzot
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Correva l’ anno 1954 quando il maestro Galliano Bradaschia, appassionato musicista e suonatore di bombardino,
convocò i suonatori più interessati delle suddette bande.
Fu così che diciotto di questi amanti della musica,
sotto la direzione del Maestro Galliano Bradaschia e la
lodevole presenza di Ivo Burg fondarono la Banda Mandamentale di Cervignano. Il gruppo era animato da un’
enorme passione, e i suonatori, per lo più gente povera
e agricoltori, erano perfi no disposti a vendere i propri
animali pur di riuscire ad acquistare uno strumento.
Trascinati ancora da questa enorme passione, sono più
di 40 attualmente i suonatori che compongono la banda.
Ne abbiamo intervistato uno in particolare, Davide Martini, che ci ha dato qualche notizia in più, raccontandoci
anche alcune interessanti curiosità.
52 anni
di passione
La banda mandamentale di Cervignano tra modernità e tradizione
Già intorno agli anni quaranta, i paesi di Villa Vicentina, Aquileia, Fiumicello, Terzo e Cervignano (paesi del
mandamento di Cervignano ) disponevano di una propria banda distinta. Successivamente, complice il delicatissimo scenario storico della Seconda Guerra Mondiale, i suonatori avevano cessato la loro attività musicale.
Come si articola la vostra annata
per quanto riguarda gli impegni?
Il nostro anno parte dal concerto di primavera, al teatro
Pasolini, dove inauguriamo la stagione dei concerti. Da qui
iniziamo un vero e proprio tour, specialmente nel periodo
estivo: siamo di scena in regione, fuori regione (come è
successo per quanto riguarda il concerto in Trentino Alto
Adige) e anche fuori nazione (memorabile la trasferta in
Austria alla festa della birra). In ogni caso, la maggior
parte dei concerti li effettuiamo in feste dell’unità e processioni… dove ci invitano insomma! Dopo l’impegnativo
periodo estivo ci prendiamo una pausa, e ci dedichiamo a
preparare il concerto di Natale, che si tiene usualmente il
26 dicembre al teatro Pasolini di Cervignano.
Se mi permetti, mi ricordo di un concerto importante,
che si è tenuto nel 2004, in occasione del cinquantennio
Davide, ci presenti la Banda Mandamentale di Cervignano? di fondazione della banda. Il concerto si era tenuto in
Con enorme piacere. Innanzitutto tengo a precisare Piazza Indipendenza in commemorazione di tutti i vecchi
che è una banda di livello dilettantistico. E’ composta da suonatori della banda: per l’occasione avevamo suonato i
40 persone, divise quasi equamente tra più giovani e più vecchi brani dell’epoca. È stato un concerto molto particoesperti, tutti animati da una grandissima passione e par- lare ed emozionante.
tecipazione. Faccio appunto la distinzione tra giovani e
Impegnativo dunque..ogni quanto vi trovate?
più “vecchi”, perché i compiti sono diversi. Mentre i più
Dove effettuate le prove?
esperti si presentano solamente alle prove del lunedì e
del giovedì, i giovani, oltre alle prove, devono sottoporsi
a lezioni con i vari maestri. Oltre ad un corso per tutti (
teoria e solfeggio ), ogni giovane ha dei corsi caratteristici
in funzione dello strumento che suona. I nuovi allievi venautofficina, carrozzeria, soccorso
gono presentati al concerto di Natale, e devono sottoporsi
ad un saggio dimostrativo.
Ci ritroviamo a Terzo di Aquileia, in una sala appositamente creata per noi e adiacente alla sede della protezione
civile. Ci ritroviamo due volte a settimana per le prove:
di solito il lunedì e il giovedì dalle 20.30 alle 22.30. A
questo si aggiungono per i giovani le varie lezioni, come
già prima citato.
Che tipi di pezzi suonate in un concerto?
Suoniamo tutti i tipi di musica; dalla classica, alla moderna e alle tipiche marce della banda.
Tu per curiosità cosa suoni?
Io suono la tromba, mi trovo molto bene. Sia con lo strumento che con la compagnia, è ottima. L’ organizzazione
e il gruppo credo che siano cose fondamentali. Certo, all’
inizio non è stato semplice, è stato importantissimo per
me affrontare l’ emozione di suonare da solista, ma una
volta superato questo tutto è più facile e più divertente.
Che emozioni ti suscita il suonare in un concerto?
Credimi, emozioni indescrivibili. Ti ripaga di tutti i sacrifici fatti nel corso degli anni. E poi vedere la gente
che si diverte e che apprezza la musica ti inorgoglisce, ti
gratifica. È proprio il banale “bravi” gridato dal pubblico
che ti fa andare avanti.
Alberto Titotto
Comelli Claudio, Paolo e C. snc
stradale, organizzato
Cervignano, via Venezia 18
tel 0431 32576, cell. 336 595308
Piccolo motore grande cuore
Una struttura ricavata da campi da tennis inutilizzati, un Comune
disponibile e tanta passione: ecco le tre componenti che hanno portato
alla realizzazione di una pista per macchine telecomandate a Cervignano.
una ragazza tra i 75 della Pro
Alessandro Scolaro, Massimo Comari, Tommaso
Roccia, Sergio Busdakin, Giorgio Migliore e Francesco
Venuti: sono questi gli allenatori che hanno afferrato
quest’anno le redini della scuola calcio cervignanese,
dopo due anni in cui la direzione era stata affidata al
capitano dell’Udinese Bertotto. La Pro Cervignano ha
dunque ripreso la gestione diretta del settore, potendo
contare su un numero di iscritti davvero superiore
alle aspettative. I tanti calciatori in erba (è proprio il
caso di dirlo…) risultano, a seconda delle fasce d’età,
così divisi:
• 6-7 anni: “Piccoli amici” – 15 iscritti
• 8-10 anni: “Pulcini” – 37 iscritti
ripartiti in tre squadre relativamente all’età
• 11-12 anni: “Esordienti” – 23 iscritti
L’attività dei “Piccoli amici” viene svolta nel primo
periodo e in primavera sul campo, mentre durante
l’inverno gli allenamenti avvengono in palestra. Scopo principale della loro formazione è la crescita coordinativa, la conoscenza e il miglioramento motorio
del corpo, senza tralasciare, ovviamente, l’aspetto
propriamente ludico, perché una legge immutabile ed
eterna nel campo del divertimento è che appena si
mette un pallone nelle mani di un bambino, questi
tralascia tutto il resto e comincia a calciarlo…
Inoltre, in tempi di quote rosa, anche la Pro si adegua: quest’anno infatti proprio i “Piccoli amici” hanno, nella loro formazione, anche una ragazza che, mi
assicura Giorgio Titotto, «trasmette energia a tutto il
gruppo con la sua passione e vivacità».
La vera e propria attività calcistica comincia con i “Pulcini”, impegnati per tutta la stagione con il campionato; da segnalare, nel maggio
2007, il torneo “Luigi Lazzaris” organizzato dalla Pro in memoria di un ex presidente prematuramente scomparso anni fa, torneo in cui i nostri “Pulcini” saranno sicuramente i protagonisti.
Ad esordire nel campo “grande”, quello regolamentare, sono, appunto, gli “Esordienti”. Per loro, si
profi la un anno ricco di impegni: non possiamo che
augurare loro buon divertimento e buon calcio!
n.11 pag.11
“Chi mi ha trasmesso questa passione? Semplicemente
l’ho sempre avuta nel sangue.” Meccanico di professione, grandissimo appassionato di automodellismo e di
fatto “boss” dell’impianto sorto a Cervignano vicino al
Quali sono i
Palazzetto dello Sport, Salvatore Mancuso dimostra fin
modellini ammessi?
dalle prime battute quanto profondo sia il suo entusiaAdottiamo dei modellini
smo per tutto ciò che riguarda i motori.
con motore a scoppio di due
diverse scale:1-10 e 1-8 (le
Signor Mancuso, com’è nata l’idea di creare una pista seconde sono leggermente più
per macchine telecomandate a Cervignano?
grandi, ndr). Il carburante è una
Beh, devo fare una piccola premessa prima di rispon- miscela di alcool e olio di ricino.
dere. Da tanti anni io mi diletto con l’automodellismo, più È tuttavia concesso l’utilizzo di modellini elettrici.
precisamente dal 1973. Ero socio di un gruppo a Gradisca
Le macchine sono guidate con un joystick?
d’Isonzo dove assieme agli altri membri ci ritrovavamo
Sì, un joystick ci permette di guidare i modellini via
per prove e gare di vario genere. Purtroppo qualche anno radio. Con un pollice si controlla il freno e l’acceleratore
fa l’impianto è stato chiuso a causa dell’eccessivo rumore mentre con l’altro si dà la direzione alla macchina. Per
prodotto dalle macchine: la pista era adiacente al campo assicurare una visuale ottimale al pilota abbiamo predisportivo e il Comune di Gradisca ci ha fatto fare le valigie. sposto un palco che permette di dominare la pista.
A quel punto si trattava di individuare un sito che potesse
Quanto costa un automodellino?
ospitarci senza creare alcun tipo di problema; e i tre camNaturalmente il prezzo varia a seconda delle esigenze.
pi da tennis inutilizzati vicini al Palazzetto facevano al Diciamo che un modellino medio si aggira attorno ai 600
caso nostro. Dopo aver ottenuto in concessione il terreno euro tutto compreso. Se poi qualcuno cerca un prototipo
dal Comune di Cervignano in compagnia di altri sei soci professionale si sale fino ai 1600 euro, ma soprattutto alabbiamo creato questo nuovo club.
l’inizio si tende a scegliere i modelli base. Ripeto, con 600
A che anno risale quindi la fondazione del club?
euro di spesa si ha tutto il necessario per iniziare.
Al 2002. E tengo a sottolineare la solerzia con cui il
Ci sono dei negozi che si occupano in particolare di moComune ha avallato il nostro progetto: dalla data della dellismo nella nostra zona?
richiesta del terreno all’inizio dei lavori per la costruzione
Fortunatamente sì; in particolare a Udine e Monfalcone
delle infrastrutture è passato davvero pochissimo tempo.
ci sono dei negozi che sono espressamente pensati per
Quanti sono i soci ad oggi?
gli appassionati di modellini. Si tratta di un settore di
Il direttivo è composto da sei persone a cui si vanno ad nicchia e ci vuole molta attenzione e competenza per maaggiungere 45 soci. Naturalmente chiunque fosse interes- neggiare questi “gioiellini”.
sato a divenire membro sarebbe ben accetto. Abbiamo già
Giovanni Stocco
previsto di fornire delle lezioni gratuite ai principianti che
volessero muovere i loro primi passi nel mondo del modellismo. Il club ha inoltre raggiunto una certa notorietà
a livello interregionale: il nostro impianto riceve annualmente anche club stranieri e in particolare sloveni.
Ci sono anche delle gare immagino;
quante sono e in che periodo si svolgono?
Naturalmente ci sono delle gare! La competizione è
e resta una componente determinante di questa attività.
Mediamente organizziamo otto gare all’anno nel periodo
compreso tra aprile e settembre; in ogni caso anche in
questa stagione la pista è aperta ogni sabato e domenica
dalle otto a mezzogiorno e dalle due alle sei del pomeriggio. Per chi volesse contattarci ricordo il nostro sito
internet www.teamfriuli.com.
Pallone in rosa
Vanni Veronesi
L’(at)trazione della città eterna
Non tutte le esperienze scolastiche e sportive sono uguali, soprattutto se a sedici anni queste ti portano
trasferirti a Roma e frequentare corsi assolutamente diversi da quelli che siamo soliti immaginare. Solo un
caso lontano dalla nostra “normale” vita, in una “normale” scuola di una “normale” cittadina? Vi sbagliate!
La protagonista di questa importante scelta ed esperienza è proprio un cervignanese, Giada Dijust. Già
intervistata e menzionata diverse volte in vari giornali, frequentava il liceo scientifico di Cervignano e si
trasferirà tra pochi giorni a Roma, al centro di preparazione olimpica Giulio Onesti, all’Acqua Acetosa, per
continuare gli allenamenti di pesistica.
Agenzia Principale
di Cervignano del Friuli
uotasport
Ciao Giada! Ti rubo solo qualche minuto, so che sei impegnatissima tra bagagli ed altri preparativi. Prima di chiederti qualunque cosa sulla tua partenza imminente, potresti spiegarmi com’è nata questa passione per la pesistica?
Beh, diciamo che ho cominciato in seconda media,
quando durante le ore di ginnastica praticavamo questo
sport in previsione delle gare che si sarebbero svolte a
Udine. Dopo aver vinto il titolo provinciale, sono passata
ai nazionali a Verona ed anche qui sono salita sul posto
più alto del podio! Poi mio padre conosceva il responsabile della pesistica di Cervignano… e così ho cominciato.
E da quella volta hai sempre vinto?
Non ti ha frenata la distanza da famiglia ed amici?
Effettivamente è stata dura. Diciamo che in pratica è
stata una scelta di vita, e sicuramente sono gli aspetti che
hai citato tu che mi hanno fatto indugiare abbastanza a
lungo (per fortuna che questa estate conosciuto già molti
dei miei compagni di classe!). Diciamo che ho messo tutto sul piatto della bilancia: da una parte famiglia ed amiDiciamo che sono sempre arrivata prima o seconda.., ci, dall’altra il mio futuro, ed ha prevalso quest’ultima.
Come può questa tua scelta
E quest’estate ho “fatto” un mese e mezzo di collegiale
cambiare il tuo futuro dopo la scuola?
sempre a Roma ed ho partecipato agli Europei di Palermo.
Innanzi tutto grazie alle varie competizioni (l’obiettivo
E dopo il passato parliamo del futuro! Che tipo di scola
della scuola al momento è Pechino 2008). Poi, una volta
frequenterai? Come concilierai scuola ed allenamenti?
Frequenterò l’istituto tecnico commerciale Ettore finita la scuola posso entrare a far parte di un corpo
Maiorana. È una scola privata all’interno del college e statale. E se dovessi proprio cambiare idea, nessuno mi
avremo nove ore di lezione alla settimana, divise tra lu- vieta di iscrivermi all’università!
Non per portare sfortuna, ma una scuola del genere può
nedì, mercoledì e venerdì pomeriggio. Praticamente quasi
tutto il resto del nostro tempo è occupato da allenamenti, comportare dei rischi. Intendo dire: se ti fai male o se non
riesci ad arrivare a livelli alti potrebbero essere anni persi…
fatta eccezione per la domenica!
Sì, effettivamente in caso di infortuni possono manCome sei arrivata a questa decisione?
darti a casa, ma di solo se non succedono durante gli allenamenti, e lo possono fare anche per fattori di comportamento. Per quanto riguarda il “livello”,mi sono chiesta
diverse volte se sarei stata in grado di affrontare un’esperienza simile…ma il mio allenatore mi ha rassicurato…
del
resto se non fossi stata all’altezza non mi avrebbero
Luigi Candotto e Carlo Costantini Scala S.r.l.
mai proposto di andare a Roma!!
P.zza Libertà 7, tel . 0431 32828, fax 0431 33601
Ok, grazie! Buon viaggio, buon lavoro
e-mail: [email protected]
e buona fortuna!!
Francesca Giusti
El diario de Bolivia:
para saber y compartir
Hola a todos! Benvenuti al secondo appuntamento con il Diario Boliviano! Dopo avervi raccontato
come e perché siamo finiti in Bolivia, questa volta vi riferiremo in cosa consiste il nostro lavoro.
Lavoriamo a Calamarca (dall’Aymara “Città di pietra”), una comunità ad una settantina di chilometri dalla capitale in collaborazione con la Fundación Sartawi, la
nostra controparte boliviana.
In questo territorio molto esteso (circa come la provincia di Gorizia), seguiamo due progetti.
Il primo tratta il tema dello sviluppo rurale ed è finanziato dal Ministero degli Affari Esteri. L’obiettivo
è quello di migliorare le condizioni agricole di questa
zona dell’altipiano (ricordatevi che siamo a 4200m). Tre
sono gli ambiti in cui stiamo agendo con questo progetto: rimboschimento con specie originarie, introduzione
di sementi di foraggio migliorato perché sia più nutriente, e inserimento di vacche di razza migliorata perché
possano vivere senza problemi a queste altitudini e producano più latte.
A integrare il progetto di sviluppo rurale c’è il Progetto Acqua Bolivia fi nanziato dalla regione Friuli Venezia
Giulia, in collaborazione con il CeVI di Udine. Grazie
a questo fi nanziamento stiamo scavando pozzi d’acqua per uso domestico e per abbeveraggio del bestiame,
agendo anche a livello educativo sulle buone pratiche
da tenere perché l’acqua del pozzo non venga inquinata.
Sviluppiamo progetti di micro irrigazione e stiamo per
terminare in questi giorni la costruzione di una diga di
piccole dimensioni per uso agricolo.
C’è molto lavoro sia pratico sul campo che di educazione ambientale da fare nelle comunità e nelle scuole,
se fosse per noi, specialmente per Ivan, passeremmo la
maggior parte del nostro tempo a Calamarca... Ma nella
gestione di progetti di cooperazione e sviluppo c’è anche
una nutrita parte burocratica-amministrativa che non
possiamo sottovalutare. Per questo motivo molte volte ci
dividiamo: l’agronomo parte per il campo e la ragioniera
si ferma in città per regolare le faccende di ufficio.
Le giornate volano, non fai in tempo ad uscire di casa
che, tra pozzi, fatture, acquisti, banche, vacche e sementi, ti ritrovi alla sera sotto le coperte chiedendoti:
“Ma qua le lancette dell’orologio vanno più veloci?”.
Dalla Bolivia per il momento è tutto, non perché non
ci sia da scrivere, ma perché vogliamo stuzzicarvi con
la curiosità. Anche se ci mancano molto cose come il salame o il prosciutto crudo, il formaggio grana e la pizza,
qua la cucina è davvero molto ricca... Alla prossima con
la cucina boliviana!
Hasta Luego e scriveteci!
Anna e Ivan
Posta Elettronica:
[email protected]
Nostalgici delle letterine di carta?
CVCS Bolivia - Casilla 08852
La Paz - BOLIVIA
Rivolgendoti al gruppo CORIMA, avrai la possibilità di sostenere i progetti che il CVCS stà seguendo in Bolivia grazie all’acquisto di un calendario
che Anna ed Ivan hanno realizzato con alcune delle
loro fotografie. L’acquisto del calendario potrebbe
diventare un’ottima idea per regalare un Natale diverso, più solidale, o semplicemente per contribuire concretamente ai progetti di cooperazione per i
quali i nostri amici stanno lavorando!
CORIMA
informa
Il Natale si avvicina e i padroni di casa diventano squisiti prodotti dolciari capaci di scaldarci
nelle gelide giornate ed unirci con simpatia a chi ci
sta accanto.
Tra i vari fornitori di prodotti equo solidali Corima ti ricorda LiberoMondo (www.liberomondo.org),
una Cooperativa Sociale di tipo B, nata nel maggio
1997 dalla naturale evoluzione dell’Associazione di
volontariato “Tsèdaqua” piemontese.
È una cooperativa senza fini di lucro che propone
un Commercio Equo e Solidale Globale.
Commercio Equo e Solidale per favorire ed avviare reali processi di affrancamento dal sottosviluppo
economico e sociale dei paesi e delle popolazioni del
Sud del mondo. A tale scopo LiberoMondo instaura
rapporti commerciali con piccoli produttori autogestionari dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina,
preferibilmente con gruppi e cooperative nascenti o
in difficoltà.
Globale per intervenire anche nelle situazioni
di disagio locali, cercando di offrire una concreta
possibilità di lavoro a persone escluse dai normali
circuiti di impiego.
LiberoMondo vuole che il commercio sia equo e
solidale anche nella fase della trasformazione dei
prodotti, per cui ha attivato al suo interno due laboratori di produzione, uno di pasticceria e uno
di pasta, dove lavorano anche persone svantaggiate assunte come definito dalla legge n. 381 del
8/11/1991, e in inserimento lavorativo tramite la
collaborazione con l’ASL del luogo.
ri uotiamo
n.11 pag.12
(Il diario di Bolivia: per conoscere e condividere)
Allora, non esitare, vieni a scoprire le Morette,
i Torroncini, i Panettoni e tanto altro ancora.
Ogni domenica dalle 10.30 alle 12.30
presso la nostra sede in via Mercato n. 1
(dinanzi al bar del Ricreatorio).
Ti aspettiamo!
COMMERCIO EQUO E SOLIDALE:
Luca Negro – 333/7282767
SOSTEGNI A DISTANZA:
Francesca Trapani – 328/5345959
COOPERATIVA SOCIALE
Servizi ASSISTENZA ANZIANI, EDUCATIVI E DI PULIZIE
GRADO, via San Francesco 7
per preventivi tel. 0431 82936 - fax 0431 877996
[email protected] - sistema di quallità UNI EN ISO 9001:2000