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| doc. 56 D A N N O P A T R I M O N I A L E
IL « NUOVO » DANNO PATRIMONIALE – di Domenico Chindemi
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IL « NUOVO » DANNO PATRIMONIALE
La svolta operata nel 2003 dalla Corte costituzionale (sentenza n. 233 del 11 luglio 2003) e dalla
Cassazione (sentenze n. 8827 e 8828 in data 31 maggio 2003) con l’affermazione, tra l’altro, della inclusione del danno biologico nell’alveo del danno non patrimoniale, ha effetti anche sulla costruzione di un « nuovo » danno patrimoniale, con l’auspicabile scorporo del danno alla capacità lavorativa generica, danno di natura patrimoniale, dal danno biologico, di valenza non patrimoniale.
Tale scissione ha ripercussioni ed incide anche sulla mutata nozione di danno alla capacità lavorativa generica che va qualificata quale diminuita capacità di produzione di reddito futuro che è nozione ben differente dalla « lesione di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto che non attiene
alla produzione del reddito », come invece, affermato dalla giurisprudenza della Cassazione per ricomprendere tale lesione nel danno biologico.
Trovano tutela risarcitoria, nel « nuovo » danno patrimoniale, situazioni che prima ne erano escluse,
quali il danno subito dalla casalinga (esteso anche al casalingo, sia nell’ambito familiare che nella famiglia mononucleare (c.d. single), anche se il danneggiato svolge altra attività lavorativa professionale), il danno subito dallo studente, dal minore e dal disoccupato che in precedenza erano esclusi
dalla tutela risarcitoria per la mancanza di reddito al momento del sinistro. L’attenzione si incentra
sulla valutazione della incidenza della invalidità sulla futura attività lavorativa e sulla maggiore difficoltà di trovare un lavoro in una società in cui l’efficienza fisica costituisce parametro discriminante
per entrare nel mondo del lavoro.
Vengono anche individuati i criteri risarcitori, fondati oltre che su elementi probatori di valenza
obiettiva, anche sulle presunzioni e sulla perdita di chances al fine di valutare correttamente il lucro
cessante da incapacità lavorativa generica futura.
(Riferimenti normativi)
1. EVOLUZIONE STORICA DEL DANNO PATRIMONIALE
di
Domenico
Chindemi
Magistrato
La convenzione risarcitoria del danno alla persona, basato sulla dicotomia
danno patrimoniale-non patrimoniale ha subito nell’ultimo ventennio profonde
modifiche, dovute alla individuazione giurisprudenziale e, solo negli ultimi anni anche legislativa, di nuove forme di danno, quali il danno biologico ed il danno esistenziale che hanno profondamente innovato il sistema risarcitorio.
Il danno patrimoniale ha risentito dell’« avvento » del danno biologico, ritenuto
in una prima fase danno di natura patrimoniale, fondato sul combinato disposto
dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 32 Cost, per poi transitare, con le sentenze della Corte
costituzionale (n. 233 del 11 luglio 2003) e della Cassazione (nn. 8827 e 8828 in data
31 maggio 2003) nel danno non patrimoniale.
Il danno biologico ha ridimensionato il sistema risarcitorio fondato in prevalenza (prima del 1986) sul danno patrimoniale con l’unica eccezione per il danno
morale, unica voce, all’epoca di danno non patrimoniale, liquidato, peraltro, solamente nei casi di reato (combinato disposto dell’art. 2059 c.c. e 185 c.p.) (1).
(1)
Ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. non ostano né la mancanza di un accertamento in concreto della colpa
dell’autore del danno (tutte le volte in cui essa
venga ritenuta sussistente in base ad una presunzione di legge, quale quella di cui all’art. 2054 c.c.),
né la inqualificabilità del fatto dannoso in termini
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di reato se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe
qualificabile come reato, Cass. civ., 6 agosto 2004,
n. 15179; Cass. civ., 1 giugno 2004, n. 10482, in
Arch. giur. circ. sin., 2004, 1086.
L’evoluzione giurisprudenziale dei giudici di legittimità ritiene che non sia necessario, ai fini del
risarcimento del danno non patrimoniale, che la
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In tale fase cd. pionieristica il danno non patrimoniale coincideva sostanzialmente col danno morale, a cui doveva riconoscersi natura punitiva per la stretta
correlazione col reato.
Operato il riconoscimento del danno biologico da parte della Corte costituzionale con la storica sentenza n. 184/86 sono state ampliate sostanzialmente le voci di
danno risarcibili, non limitato al solo danno alla salute, ma esteso fino a ricomprendervi altre voci di danno, quale il danno alla capacità lavorativa generica, alla vita
di relazione, alla sfera sessuale, alla serenità familiare.
In tale processo evolutivo il danno patrimoniale che, in precedenza, stava al
centro dell’universo risarcitorio, costituendone la voce principale, si è ritrovato relegato ai confini della galassia risarcitoria, in posizione marginale, quasi negletta, essendosi incentrata l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza sul danno non
patrimoniale in continua evoluzione, dovendosi costantemente adeguare alle esigenze di una società sempre più attenta a tutelare, oltre al benessere fisico, anche
quello psichico ed esistenziale, ampliando la stessa definizione di salute estendendola anche alla sfera interiore ed intima dell’uomo.
In tale fase sono state inserite nel danno biologico anche voci di danno di valenza patrimoniale, quali il danno alla capacità lavorativa generica che ha natura
prettamente patrimoniale, non essendovi, comunque, limiti alla liquidazione del
danno biologico, fondata sul diritto alla salute, costituzionalmente garantito, che ne
consentiva la liquidazione anche al di fuori dei limiti di cui all’art. 2059 c.c.
Completato, almeno in tale fase storico-spciale, l’approfondimento dell’ambito
di operatività del danno non patrimoniale, ormai individuato in tutte le sue componenti, l’attenzione torna ad incentrarsi sul danno patrimoniale, non essendo completo l’inventario delle relative voci risarcitorie alla luce delle mutate esigenze della
società contemporanea che ritiene ormai suscettibili di risarcimento, sotto il profilo
patrimoniale, situazioni che in precedenza ne erano escluse.
In particolare occorre approfondire la tematica relativa al danno patrimoniale
connaturato alle diminuzione della efficienza fisica della persona, liquidato solitamente, sotto la voce della diminuzione della capacità lavorativa specifica, dove per
« specifica » si intende l’attività in concreto svolta dal lavoratore al momento del
fatto dannoso.
Il danno patrimoniale da incapacità lavorativa non veniva, quindi, se non nei
casi in cui il danneggiato già svolgesse una attività lavorativa « stabile » che ne consentisse la quantificazione sul presupposto che il soggetto leso avrebbe svolto, per
tutta la vita lavorativa, fino alla pensione, la stessa attività.
In tal caso il criterio di calcolo si basa su una formula matematica, (mutuata
dalle tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie immediate che risale al r.d. 9
ottobre 1922, n. 1403 e successive modificazioni, che ha approvato le tariffe della
Cassa nazionale per le assicurazioni sociali), generalmente accettata da assicuratori,
danneggianti e vittime, che tiene conto del guadagno annuo netto, moltiplicato per
la percentuale di invalidità e il coefficiente tabellare rapportato all’età della vittima.
Il totale viene diviso per cento e dalla cifra ottenuta si detrae una percentuale variabile dal 10% al 20%, quale scarto tra vita fisica e lavorativa.
Il sistema risarcitorio del danno alla capacità lavorativa, limitato ai soggetti che
già svolgevano attività lavorativa al momento dell’illecito, mostra tutte le sue pecche
nell’attuale società in cui, per motivazione di carattere economico-sociale, il lavoro
da stabile è ormai divenuto interinale, con possibilità di cambiare la stessa tipologia
responsabilità dell’autore del fatto illecito sia stata
accertata in un procedimento penale, in quanto
l’interpretazione conforme a Costituzione dell’art.
2059 c.c. (Corte cost., sentenza n. 233 del 2003)
comporta che il riferimento al reato contenuto nell’art. 185 c.p., comprende tutte le fattispecie corri-
spondenti nella loro oggettività all’astratta previsione di una figura di reato, con la conseguente
possibilità che, ai fini civili, la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge,
Cass. civ., 3 marzo 2004, n. 4359, in Arch. giur. circ.
sin., 2004,729.
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di lavoro, oltre che il datore di lavoro, per diverse volte nell’arco della attività lavorativa, con la prevalenza tra i giovani del lavoro c.d. co.co.co. in alternativa al c.d.
« posto fisso », sempre più difficile da trovare per l’accentuata mobilità nell’ambito
delle stesse imprese e il blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione.
Il sistema risarcitorio tabellare tiene conto, invece, solamente della attività
svolta dal danneggiato al momento del sinistro, operando una prognosi anticipata
delle conseguenze patrimoniali su una tipologia di lavoro che presumibilmente, in
molti casi, non avrà le caratteristiche della stabilità nel tempo, potendo essere sostituito da altro lavoro con caratteristiche e tipologia diverse con conseguente non validità del criterio risarcitorio oggi seguito fondato sul presupposto, oggi non più valido in assoluto, della immutabilità e stabilità del lavoro.
Occorre, quindi, incentrare l’attenzione dell’interprete su tale mutata realtà sociale e prevedere forme risarcitorie della capacità lavorativa che traslino la valutazione economica dell’incidenza della lesione dal lavoro svolto alla diminuita capacità lavorativa del danneggiato, tenendo conto delle attitudini, potenzialità lavorative, specifiche capacità del soggetto, la cui alterazione si ripercuoterà sulla possibilità di trovare un lavoro confacente alle proprie capacità e/o sulla possibilità di
sviluppi futuri.
Tale mutato criterio risarcitorio comporterà per il giudice una maggiore difficoltà di valutazione, dovendosi prendere in esame, oltre alla diminuzione della capacità lavorativa, anche la situazione del mercato del lavoro con una prognosi anche sull’andamento dell’economia, la cui stagnazione rappresenta una oggettiva difficoltà nel trovare lavoro.
2. RIVISITAZIONE DELLA NOZIONE DI DANNO BIOLOGICO ED ESCLUSIONE DELLA COMPONENTE PATRIMONIALE
La novità nel risarcimento del danno patrimoniale è costituita dalla risarcibilità,
sotto tale ambito, della diminuzione della capacità lavorativa nel caso in cui le lesioni
invalidanti siano state subite da soggetto non percettore di reddito, riconoscendosi il
risarcimento anche nel caso in cui la vittima non si sia ancora inserita nel mondo lavorativo (studente, minore), abbia perso o non abbia ancora trovato un lavoro (disoccupato), o svolga una attività lavorativa non remunerata (casalinga).
Il riconoscimento, sotto il profilo risarcitorio, di tali situazioni presuppone, tuttavia, una « traslazione » dal danno biologico della capacità lavorativa generica che
nella tradizionale definizione operata dalla Corte di cassazione è ricompresa in tale
figura, unitamente alla vita di relazione, al danno alla sfera sessuale, al danno edonistico, al danno estetico, figure di danno complementari alla diminuzione della integrità psico-fisica della persona, ma inserite dal 1986 dalla Suprema Corte all’interno della voce « madre » di tutti danni alla persona risarcibile indipendentemente
dalle « forche caudine » rappresentate dall’art. 2059 c.c. nella interpretazione previgente non costituzionalizzata che consentiva la liquidazione del danno biologico indipendentemente dall’accertamento del fatto-reato, la cui mancanza precludeva, invece, il riconoscimento del danno non patrimoniale.
Rimane esclusa dalla definizione giurisprudenziale di danno biologico della
Cassazione l’« incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato », riconosciuta ed inglobata nel danno biologico
dal d.lgs. n. 209/05 istitutivo del nuovo codice delle assicurazioni (artt. 138 e 139).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 233/03 da una definizione diversa di
danno biologico, qualificandolo come « danno biologico in senso stretto, inteso come
lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, dell’integrità psichica e fisica della
persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.) (2)
(2)
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La Consulta nella sentenza n. 233/03 delinea
il nuovo sistema risarcitorio affermando « che può
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Deve auspicarsi la reductio ad unum delle diverse definizioni di danno biologico,
in quanto l’attuale tripartizione di definizioni della stessa voce di danno, operata
dalla legge (d.lgs. n. 209/05), (anche se solo per le lesioni conseguenti a sinistri stradali e della navigazione), dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Consulta, crea
confusione concettuale nell’interprete e conduce a differenti modalità risarcitorie
che si traducono in una differente liquidazione, di dubbia costituzionalità in riferimento agli interessi protetti (persona e salute) e non eticamente giustificabile dalla
diversa genesi delle lesioni al fine di giustificare differenti liquidazioni di danni simili.
Avendo ormai qualificato, sia la Corte costituzionale che la Corte di cassazione
il danno biologico quale danno non patrimoniale, trattandosi di lesione areddittuale, non appare più logico e coerente ricomprendervi anche il danno da riduzione
della capacità lavorativa generica, necessariamente considerata, per poter essere
inquadrata in tale ambito, quale « lesione di un’attitudine o di un modo di essere del
soggetto che non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico » (3).
In particolare la S.C. ritiene che, nella nozione di danno biologico, « rientrano
tutte le ipotesi di danno ‘‘non reddituale’’, e cioè i danni estetici, quelli alla vita di
relazione, i danni da riduzione della capacità lavorativa generica. Questi ultimi, in
particolare, costituendo lesione di un generico modo di essere del soggetto, non attengono in alcun modo al piano della concreta produzione di reddito, sostanziandosi, viceversa, in una menomazione della salute in senso lato, risarcibile come tale
e non come perdita patrimoniale derivante dalla generica capacità lavorativa di cui
ogni soggetto dispone in aggiunta (o in sostituzione) alla capacità lavorativa specifica » (4).
La Cassazione per ricomprendere nel danno biologico, danno non patrimoniale,
il danno da incapacità lavorativa generica deve necessariamente affermare che la
stessa non attiene alla produzione del reddito (5).
La riduzione della capacità lavorativa è un concetto che è, invece, comunque
collegato alla produzione del reddito, in quanto la ridotta capacità lavorativa, sia generica, proiettata nel futuro, che specifica, con riferimento alla attività in concreto
svolta dal danneggiato, comporta, di regola, anche una riduzione della retribuzione,
dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato
dall’art. 2059 c.c., si identificherebbe col danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass.
31 maggio 2003, nn. 8827,8828), che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il
tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno
alla persona, viene, infatti, prospettata, con ricchezza di argomentazioni — nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e del danno
non patrimoniale — un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione del norma ogni danno di
natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti la persona. E dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento
dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, dell’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia, infine, il
danno, speso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di
(altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla
persona » (Corte cost. n. 233/2003).
Per un’analisi di tale sentenza della Consulta,
Ziviz, Il nuovo volto dell’art. 2059 c.c., in questa Rivista, 2003,1036; Navarretta, La Corte Costituzionale
e il danno alla persona « in fieri », in Foro it., 2003,
2272; Bona, Il danno esistenziale bussa alla porta e
la Corte Costituzionale apre (verso il « nuovo » art.
2059 c.c.), Cricenti, Una diversa lettura dell’art.
2059 c.c., Ponzanelli, La Corte Costituzionale si allinea con la Corte di Cassazione, Procida Mirabelli
Di Lauro, Il sistema di responsabilità civile dopo la
sentenza della Corte Costituzionale n. 233/03, tutte
in Danno resp., 2003.
(3)
Per tale definizione, Cass. civ., 6 agosto 2004,
n. 15187, ined.
(4)
Cass. civ., 15 dicembre 2000, n. 15859, in Ass.,
2001, 129.
(5)
Ritiene la S.C. che l’incapacità lavorativa generica non possa formare oggetto di autonomo risarcimento come danno patrimoniale, che andrà
invece, autonomamente liquidato qualora alla detta
riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione
della capacità di guadagno, Cass. civ., 22 giugno
2001, n. 8599, in questa Rivista, 2002, 705, con nota
di Facci, La liquidazione del danno alla persona alla
luce di alcune recenti pronunce.
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presente o futura con una conseguente diminuzione della capacità di produzione
del reddito (6).
Trattasi, pertanto, di danno di chiara valenza patrimoniale, in quanto, ciò che rileva nella ridotta capacità lavorativa generica, come in quella specifica, è la diminuita capacità di produzione del reddito che è nozione ben differente dalla « lesione
di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto che non attiene alla produzione del
reddito », come invece, affermato dalla costante giurisprudenza della Cassazione
per ricomprendere tale lesione nel danno biologico.
Non vi è, in tal caso, alcuna duplicazione risarcitoria ove si ritenga che il danno
biologico, danno non patrimoniale, incide solamente sulla integrità psico-fisica e
sulle attività non reddituali che la situazione pregressa avrebbe permesso alla vittima di svolgere, mentre il danno da incapacità lavorativa generica, danno patrimoniale, ristora la ridotta capacità di guadagno derivante dall’esercizio futuro di una
attività lavorativa produttiva di reddito.
Va anche evidenziato il diverso fondamento costituzionale dei rispettivi diritti,
individuato, per il danno biologico, nell’art. 32 Cost. che tutela il diritto alla salute e
per il danno alla capacità lavorativa, generica e specifica, nell’art. 4 Cost. che tutela
la scelta di qualsiasi forma di lavoro.
Dalla definizione di danno biologico deve, quindi, scorporarsi la capacità lavorativa generica, intesa quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un
soggetto che non svolge ancora attività produttive di reddito, ma che presumibilmente, con prognosi logico-presuntiva, svolgerà in futuro (7).
Viene risarcita, sotto tale ultima voce, la perdita della concorrenzialità della persona nel mondo del lavoro, in relazione alla menomazione della sua integrità psicofisica, che si traduce non solo nella diminuita possibilità di guadagno, non potendo
svolgere alcune attività o mansioni che avrebbero potuto agevolare il danneggiato
nella carriera, ma anche nella maggiore difficoltà di trovare un lavoro confacente
alle proprie aspettative, con un possibile allungamento dei tempi di inserimento
nell’ambito lavorativo che, ove in rapporto causale, esclusivo o concorrente con altri
fattori (stagnazione del mercato del lavoro, crisi del settore, etc), appare suscettibile
di riparazione sotto il profilo patrimoniale, riducendosi in una minore o, comunque,
ritardata produzione di reddito (8).
Verrebbero cosı̀ logicamente inseriti nell’ambito del danno patrimoniale sia la
riduzione della capacità lavorativa generica, nella definizione sopra riportata, sia la
riduzione della capacità lavorativa specifica intesa quale attività in concreto svolta
dal danneggiato, ove provochi una riduzione della capacità di guadagno (9).
(6)
Il contrario orientamento della S.C. ritiene
che « in caso di illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, detta menomazione dà luogo di
per sé a danno biologico, che come tale va provato e
risarcito indipendentemente dal fatto che da esso sia
derivata anche una perdita patrimoniale. Pertanto,
la stessa riduzione della capacità lavorativa generica, vista in sé e non per l’effetto di un mancato
guadagno, è risarcibile sotto il profilo del danno biologico.
Qualora, invece, a detta riduzione della capacità
lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo
ad una riduzione della capacità di guadagno, detta
diminuzione integra un danno patrimoniale. Ne consegue che non può farsi discendere in modo automatico dall’invalidità permanente la presunzione del
danno da lucro cessante, derivando esso solo da
quella invalidità che abbia prodotto una riduzione
della capacità lavorativa specifica. Detto danno patrimoniale da invalidità deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso
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svolgesse — o presumibilmente in futuro avrebbe
svolto — un’attività lavorativa produttiva di reddito.
La relativa prova incombe al danneggiato, e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione
della capacità lavorativa specifica », Cass. civ., 11
agosto 2000, n. 10725, in Mass., 2000.
(7)
Sulla opportunità di scorporare dal danno biologico, danno non patrimoniale, la capacità lavorativa generica che, attenendo alla capacità di produzione di reddito futuro, va qualificata quale danno
patrimoniale, Chindemi, Danno biologico e capacità
lavorativa generica: un binomio da sciogliere?, in
questa Rivista, 2005, 640.
(8)
La Corte d’Appello di Milano ha scorporato
dal danno biologico il danno alla capacità lavorativa generica (App. Milano, 30 maggio 2005,
n. 1425, ined.).
(9)
Al riguardo la Corte di Cassazione puntualizza
che « non può farsi discendere in modo automatico
dall’invalidità permanente la presunzione del danno
da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capa-
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Ovviamente la liquidazione della capacità lavorativa specifica, accertata in concreto in base all’attività lavorativa effettivamente svolta dal danneggiato all’epoca
del sinistro assorbe la capacità lavorativa generica, fondata su una prognosi preventiva sulle possibilità lavorative future della vittima (10)
Anche il danno da « cenestesi lavorativa », che consiste nella « maggiore usura,
fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa », ove si risolva
anche in una presente o futura diminuzione di reddito, per l’impossibilità del lavoratore di svolgere attività che gli avrebbero consentito un maggior guadagno o possibilità concrete di carriera, comporta un danno patrimoniale liquidabile in base al
criterio della « perdita di chance ».
Solamente nel caso in cui tale lesione non incida sul reddito si risolve in una
compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, risarcibile sotto la voce del
danno biologico (11).
3. DANNO ALLA CASALINGA
Il primo importante riflesso della separazione del danno alla capacità lavorativa
generica dal danno biologico è dato dalla possibilità di riconoscere il danno patrimoniale alla casalinga che abbia riportato una lesione invalidante, senza ritenerlo
assorbito nell’ambito del biologico che ne comportava, sovente la sua irrisarcibilità
concreta, ove liquidato con valutazione tabellare uniforme ed indifferenziata (12).
Il fondamento della tutela risarcitoria della casalinga, sia quale componente di
un nucleo familiare legittimo, sia in riferimento ad un nucleo di convivenza comunque stabile, ha valenza costituzionale con riferimento ai principi di cui agli artt. 4,
36 e 37 della Costituzione (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma
di lavoro, ed i diritti della donna lavoratrice), mentre il fondamento della risarcibilità del danno biologico si fonda sul diverso principio della tutela della salute (art.
32 Cost.) (13)
In ossequio al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) tale tipologia di danno non
è limitato alla sola donna casalinga ma è stato esteso « in base alla radicale evoluzione dei costumi » anche ai danneggiati di sesso maschile che, svolgendo o meno anche attività lavorativa retribuita, si occupino delle faccende domestiche (14).
In una società in cui le donne lavorano al pari degli uomini non può non avere
rilievo la scelta, soprattutto della donna, di dedicarsi alla attività di casalinga, sia
cità lavorativa specifica. Detto danno patrimoniale
deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse — o presumibilmente in futuro avrebbe svolto — un’attività lavorativa produttiva di reddito, ed inoltre attraverso la
prova della mancanza di persistenza, dopo l’infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali
ed ambientali dell’infortunato, ed altrimenti idonei
alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di
quelle perse o ridotte. La prova del danno grava sul
soggetto che chiede il risarcimento, e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della
capacità di guadagno », Cass. civ., 18 aprile 2003,
n. 6291, cit.
(10)
La Suprema Corte ritiene, invece, che entrambe le voci di danno debbano essere risarcite,
la prima (incapacità lavorativa generica) inglobata
nel danno biologico, la seconda (incapacità lavorativa specifica), quale voce di danno patrimoniale,
Cass. civ., 12 settembre 2000, n. 12022, in Arch.
giur. circ. sin. str. 2001, 575; Per una definizione di
capacità lavorativa generica, Cass. civ., 18 aprile
2003, n. 6291, in Arch. giur. circ. sin. str., 2003, 948.
(11)
In relazione ai criteri risarcitori della « cine-
stesi lavorativa », la S.C. chiarisce che « il giudice,
ove abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità,
ben può liquidare la componente costituita dal pregiudizio della cenestesi lavorativa mediante un appesantimento del valore monetario di ciascun punto,
restando invece non consentito il ricorso al parametro del reddito percepito dal soggetto leso », Cass.
civ., 24 marzo 2004, n. 5840, in Arch. giur. circ. sin.,
2004, 860.
(12)
Il danno subito dalla casalinga è stato incluso
in precedenza nell’ambito della capacità lavorativa
generica, Cass. civ., 15 novembre 1996, n. 10015, in
Arch. civ., 1997, 750), e solo recentemente è stato
qualificato quale danno, implicitamente escluso dal
danno biologico, danno non patrimoniale, Cass.
civ., 3 marzo 2005, n. 4657, in questa Rivista, 2005,
712, con mio commento, Anche il « single » casalingo va risarcito.
(13)
Cfr. Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20234, pubblicata per esteso in questa Rivista a p. ; Cass. civ.,
3 marzo 2005, n. 4657, cit. Cass. civ., 11 dicembre
2000, n. 15580, Giust. civ., 2001, 2445.
(14)
Cass. civ., 3 marzo 2005, n. 4657, cit.
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per la cura della residenza familiare che dei figli, rinunciando ad una fonte di reddito lavorativo (15).
Il riconoscimento della tutela risarcitoria alla casalinga trova la propria « ratio »
anche nella riconosciuta rilevanza economica all’attività prestata all’interno della
famiglia, anche se non direttamente retribuita (16).
Anche la Cassazione, sia pure senza espressamente operare la logica scissione
della capacità lavorativa generica dal danno biologico, afferma che colui che svolge
attività domestica (attività tradizionalmente attribuita alla « casalinga ») benché non
percepisca reddito monetizzato, svolge tuttavia un’attività suscettibile di valutazione
economica; sicché quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacità
lavorativa... va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale
(come tale risarcibile, autonomamente rispetto al danno biologico, nelle componenti
del danno emergente ed eventualmente anche del lucro cessante) (17).
La Corte di Cassazione valuta, peraltro, nel caso di separazione personale dei
coniugi, l’aspetto patrimoniale, riferito non soltanto al patrimonio, ma anche alla
capacità di lavoro, professionale o casalingo di ciascun coniuge quale parametro di
riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, ai fini
del contributo per il mantenimento dei figli minore, ai sensi dell’art. 148 c.c. (18).
Il danno subito dalla casalinga può concorrere con il danno alla capacità lavorativa c.d. professionale sia nel caso di svolgimento di attività lavorativa del soggetto
che, pur lavorando, si occupa anche del disbrigo delle faccende domestiche, sia nel
caso di incapacità lavorativa generica, ove il danneggiato non svolga ancora attività
lavorativa, ma possa ed abbia l’intenzione e la volontà di inserirsi nel mondo lavorativo.
Nel primo caso sarà anche riconosciuto, in aggiunto al danno patrimoniale per
la incapacità lavorativa di casalinga anche l’ulteriore danno da incapacità lavorativa
specifica in base agli usuali criteri risarcitori, in relazione alla attività lavorativa retribuita svolta, autonoma o subordinata (19).
Qualora trattasi, invece, di incapacità lavorativa generica, non svolgendo ancora
la casalinga altra attività lavorativa, ai fini del risarcimento di tale voce di danno occorrerà fornire la prova della volontà e degli sforzi compiuti dalla casalinga per entrare concretamente nel mondo del lavoro, desumibili anche da parametri oggettivi
(es.: età, partecipazione « ante sinistro » a corsi di qualificazione o di preparazione a
concorsi, titolo di studio e abilitazione professionale), indici di valenza oggettiva
della intenzione del danneggiato di volere lavorare.
(15)
La disparità di trattamento rispetto al componente uomo della famiglia ed al convivente more
uxorio era stata evidenziata da Carbonaro, La questione del risarcimento del danno patrimoniale della
casalinga: la Cassazione al bivio tra azzeramento
delle categorie del danno alla persona e loro reinterpretazione (nota a Cass. 11 dicembre 2000,
n. 15580), in questa Rivista, 2001,612-620.
(16)
« La casalinga, pur non percependo reddito
monetizzato, svolge, cionondimeno, un’attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento, ‘‘lato sensu’’,
della vita familiare, cosı̀ che costituisce danno patrimoniale (come tale, autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria
capacità lavorativa, e che sussiste anche nel caso in
cui ella sia solita affidare la parte materiale del proprio lavoro a persone estranee. Consistendo il danno
‘‘de quo’’ nella perdita di una situazione di vantaggio, e non rimanendo esso escluso neanche dalla
P. 3 8 6
mancata sopportazione di spese sostitutive, legittimo
risulta il riferimento, nel relativo procedimento di liquidazione, al reddito di una collaboratrice familiare,
con gli opportuni adattamenti dettati dalla maggiore
ampiezza dei compiti espletati dalla casalinga »,
Cass. civ., 6 novembre 1997, n. 10923, in Nuova
giur. civ. comm., 1998, 670. con nota di Criscuoli.
(17)
Tale principio è affermato da Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20234, cit.
(18)
Vanno considerate, oltre alle potenzialità reddituali di ciascun genitore, anche la capacità di lavoro domestico, gli obblighi alimentare, gli aspetti
abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale,
l’assistenza morale e materiale, Cass. civ., 19 marzo
2002, n. 3974; Cass. civ., 8 novembre 1997,
n. 11025.
(19)
La riduzione della capacità lavorativa di casalinga « part time » è stato qualificato quale « lucro
cessante » che acquista un autonoma valenza risarcitoria, disancorata dal danno da incapacità lavorativa specifica cd « professionale ». Trib. Treviso, 11
aprile 1996, in Riv. giur. circ. trasp., 1996, 1002.
questioni
DANNO PATRIM ONI ALE | 5 6
Particolare attenzione va riservata ai criteri risarcitori, essendo auspicabile una
uniformità di base che eviti eccessiva discrezionalità e differenti risarcimenti anche
in casi analoghi. con il correttivo della personalizzazione, adeguando la liquidazione
tenendo conto della condizioni soggettive e della peculiarità della fattispecie (20).
Tale danno di chiara valenza patrimoniale, in base alla fictio dello svolgimento
di un’attività lavorativa « figurativa » può essere liquidato danno come se si trattasse
di una incapacità lavorativa specifica, rapportata al reddito di una collaboratrice domestica, utilizzabile anche quale parametro liquidatorio del danno subito dalla casalinga che non svolga attività lavorativa (21).
Non si tratta di liquidare, in tal caso, il danno patrimoniale che la vittima ha subito per il ritardato inserimento nel mondo del lavoro o per la sua futura ridotta capacità di guadagno, ma di attribuire valenza ad un lavoro effettivamente già svolto,
sia pure in ambito familiare, ma senza retribuzione (22).
La Corte di cassazione, con una significativa inversione di tendenza rispetto al
passato ha riconosciuto che « in tema di invalidità permanente o temporanea il soggetto che perde in tutto o in parte la propria capacità di svolgere lavori domestici in
precedenza effettivamente svolti in proprio favore ha diritto al risarcimento del conseguente danno patrimoniale provato (danno emergente e, eventualmente, anche lucro
cessante), riconoscendo il risarcimento di tale voce di danno non solo alla casalinga
o al casalingo inserito in una famiglia allargata ad almeno due componenti ma anche al « single », indifferentemente di sesso maschile o femminile e indipendentemente dalla circostanza che abbia anche una attività lavorativa, che si occupi anche
delle faccende domestiche (23).
(20)
Sulla valutazione medico-legale del danno al
lavoro della casalinga, Introna, La valenza economica del lavoro della casalinga. (Nota a Cass.. 3 novembre 1995), in Riv. it. med. leg., 1997,801, Ronchi,
Riflessioni in tema di danno alla capacita lavorativa
di casalinga, in Riv. it. med. leg., 1995, 769.
(21)
La casalinga non rappresenta più una mera
condizione sociale, bensı̀ una professione caratterizzata da, un vero e proprio lavoro ancorché produttivo di un reddito figurativo. Settesoldi, Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla
persona. Il risarcimento del danno alla persona della
casalinga, in Danno resp., 2000, 1095.
(22)
Non viene specificamente esaminato in questa sede l’aspetto relativo al danno subito dai familiari di una casalinga deceduta o che abbia subito
lesioni consistente nella perdita delle prestazioni
domestiche erogate dalla congiunta, cfr. Cass. civ.,
10 settembre 1998, n. 8970, in Riv. giur. circ. trasp.,
1998, 951.
Nei confronti dei familiari il risarcimento è ammissibile solamente in relazione alla mancata attività lavorativa di casalinga svolta a favore del soggetto danneggiato, mentre nel caso di attività prestata gratuitamente o a pagamento, nei confronti
dei terzi, nel primo caso (attività gratuita) il soggetto danneggiato sarà, come enunciato in sentenza, solamente il terzo, mentre nel secondo caso
(attività di casalinga retribuita), trattandosi di prestazione lavorativa, il danneggiato potrà pretendere
il risarcimento del danno da incapacità lavorativa
specifica, in base agli usuali criteri risarcitori previsti per le colf, mentre il terzo datore di lavoro potrà
far ricorso ai principi generali, ove ne ricorrano i
presupposti, peraltro difficilmente prospettabili nel
caso di sostituzione del lavoro della colf con altra,
della « tutela aquiliana del diritto di credito », chiedendo il risarcimento di tale voce di danno al dan-
neggiante.
In tale caso è stato anche valutato, quale parametro risarcitorio, lo « spirito di generoso adempimento dei doveri di moglie e di madre », attribuiti
nella gestione della comunità familiare, specificandosi che « il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, che spetta, a norma dell’art. 2043 c.c., ai
congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto
illecito, richiede l’accertamento che i medesimi siano
stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato
a fruire in futuro. Pertanto, quello subito dal marito
e dal figlio minore per il decesso, a seguito dell’altrui
fatto illecito, del congiunto (rispettivamente moglie e
madre), costituisce, anche nel caso in cui quest’ultimo fosse stato privo di un effettivo reddito personale, danno patrimoniale risarcibile, concretantesi
nella perdita, da parte dei familiari, di una serie di
prestazioni economicamente valutabili, attinenti alla
cura, all’educazione ed all’assistenza, cui il marito ed
il figlio avevano ed hanno diritto nei confronti della
rispettiva moglie e madre nell’ambito del rapporto
familiare ». Cass. civ. 3 novembre 1995, n. 11453, in
questa Rivista, 1996, 957, con nota di Miotto, Il
danno alla persona della casalinga e quello dei suoi
prossimi congiunti. Nel caso di specie il principio è
stato affermato in relazione al lavoro di una donna
casalinga che la S.C. ha ritenuto essere caratterizzato da un ineguagliabile senso di responsabilità,
nonché da spirito di generoso adempimento dei doveri di moglie e di madre, attribuiti nella gestione
della comunità familiare.
Il risarcimento ai familiari della casalinga può
anche essere diminuito, qualora la stessa si fosse
occupata del disbrigo della faccende domestiche
anche nell’interesse proprio: Trib. Sanremo, 23
gennaio 1998.
(23)
Cass. civ., 3 marzo 2005, n. 4657, cit.
P. 3 8 7
questioni
5 6 | DANNO PATRIMONIALE
Può riconoscersi anche per presunzione il danno patrimoniale subito da un soggetto che, oltre a espletare una attività lavorativa, si occupi abitualmente anche del
disbrigo della faccende domestiche e/o della cura dei figli e sia costretto, a seguito
del sinistro, a ricorrere ad un aiuto esterno per l’espletamento delle attività « domestiche » (colf, baby-sitter) (24).
Un profilo da valutare ai fini risarcitori è l’eventuale scelta del « part-time », con
riduzione della retribuzione del lavoratore, scelta sempre più speso adottata soprattutto dalle lavoratrici per occuparsi delle faccende domestiche o dei figli.
Occorre anche modulare il risarcimento nel caso di rapporto di coppia in cui,
come sempre più sovente è dato riscontrare, il lavoro domestico viene equamente
ripartito nel caso in cui entrambi i coniugi lavorino
In tal caso, tuttavia, il soggetto danneggiato è anche l’altro coniuge o convivente,
costretto a sobbarcarsi l’intero carico di lavoro delle faccende domestiche.
La prova del relativo danno dovrà essere rigorosa, stante le diverse possibilità
di suddivisione del lavoro all’interno della famiglia, non esistendo schemi consolidati o precostituiti, tenendo in considerazione le non sempre attendibili dichiarazioni testimoniali di amici e parenti del danneggiato e la difficoltà di fornire la
prova contraria da parte del danneggiante.
Nel caso di ricorso ad aiuto esterno prima del sinistro (colf) il risarcimento dovrà essere limitato alla sola percentuale di attività riferentesi alle incombenze prima
esercitate dal soggetto danneggiato, oppure, in alternativa, potrà essere riconosciuto
il risarcimento differenziale tra le ore in precedenza lavorate dalla colf e le ore supplementari necessarie per l’espletamento dei lavori domestici prima espletati dal
danneggiato.
In tale ultimo caso l’entità del risarcimento va ridotta in base al principio della
« compensatio lucri cum damno », in quanto il danneggiato beneficia di un « relax »conseguente al non espletamento delle incombenze domestiche (25).
Il danno, in caso di ricorso ad un aiuto esterno è limitato a tale danno emergente pur potendo anche estendersi anche al lucro cessante, nel caso, ad esempio,
di impresa familiare ove si provi una diminuzione di produttività, qualora la prestazione lavorativa all’interno dell’impresa familiare consista nell’espletamento di lavori domestici.
I criteri risarcitori abitualmente adottati dalla giurisprudenza fanno alternativamente riferimento 1) al reddito di una collaboratrice/ore domestica/o, con la variabile per la maggiore ampiezza dei compiti espletati dalla casalinga/o (26) ; 2) alla liquidazione tabellare, in base al reddito figurativo annuo dell’infortunata (27) 3) all’aumento del punto percentuale di danno biologico (28); 4) al triplo della pensione
sociale (29)
(24)
Paventa il pericolo che tale autonomo riconoscimento possa portare ad una duplicazione del
danno, ove tale pregiudizio sia già ricompreso nel
danno biologico, Pietropaoli, Il danno patrimoniale
della casalinga (nota a Cass. 11 dicembre 2000), in
Dir. lav., 2001, 400.
(25)
Analizza il danno alla casalinga sotto il profilo
del danno emergente e del lucro cessante, Miotto,
Il danno alla persona della casalinga e quello dei
suoi prossimi congiunti (Nota a Cass. 3 novembre
1995, n. 11453-Trib. Treviso 11 aprile 1996), in
questa Rivista, 1996, 961.
(26)
Cass. civ. 6 novembre 1997, n. 10923, in
Nuova giur. civ. comm., 1998, 670, con nota di Criscuoli.
(27)
Per il criterio di liquidazione tabellare, in
base al reddito figurativo annuo dell’infortunata in
base ai coefficienti di capitalizzazione, detratto lo
scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Trib. Treviso,
P. 3 8 8
6 aprile 2000, in Arch. giur. circ. sin. str., 2001, 43;
Trib. Treviso, 11/04/1996, in Riv. giur. circ. trasp.,
1996, 1002 ; Trib. Prato, 31 maggio 1990, in Arch.
giur. circ. sin. str., 1990, 959.
(28)
Per l’inabilità permanente si è adottato il criterio dell’appesantimento del valore a punto del
danno biologico e per l’inabilità temporanea il criterio della retribuzione di una collaboratrice domestica. Trib. Venezia, 8 giugno 1994, in Arch. giur.
circ. sin. str., 1995, 637.
È legittimo anche il riferimento indicativo al
reddito giornaliero di una collaboratrice familiare
di prima categoria come parametro di valutazione,
risultando il lavoro della madre di famiglia più importante, per estensione, intensità e responsabilità,
di quello di una collaboratrice familiare ancorché
di prima categoria. Cass. civ., 22 novembre 1991,
n. 12546, in Giur. it., 1992, I, 1036 con nota di
Gallo.
questioni
DANNO PATRIM ONI ALE | 5 6
Appare preferibile, tra tutti, per la sua relativa facilità di calcolo, assicurando
anche uniformità risarcitoria di base, il criterio risarcitorio legato al reddito di una
collaboratrice familiare, maggiorato per la maggiore ampiezza dei compiti di direzione della famiglia, generalmente espletati dalla casalinga, contemperato dalla diminuzione dell’impegno domestico.
4. DANNO AL DISOCCUPATO, AL MINORE ED ALLO STUDENTE E CRITERI RISARCITORI
Nella incapacità lavorativa generica ciò che rileva, come evidenziato, non è la
menomazione dell’integrità psico-fisica, risarcibile sotto la voce del danno biologico,
ma la futura diminuita capacità di produzione di reddito, pregiudizio di valenza patrimoniale.
La diminuzione del reddito può essere attuale, nel caso di soggetto che al momento del sinistro già svolga attività lavorativa, o futura, qualora il danneggiato non
svolga attività lavorativa, come nel caso del disoccupato, del minore e dello studente.
Appare semplicistico, oltre che iniquo, non riconoscere alcun risarcimento a tali
soggetti che hanno subito una lesione, soprattutto se di una certa gravità, della integrità psico-fisica assumendo che poiché al momento del sinistro non lavoravano
nessun danno avrebbero subito.
Negare, in tal caso, il danno patrimoniale da « lucro cessante » costituisce un
grave « vulnus » al principio della integrità del risarcimento e della reintegrazione
del patrimonio del danneggiato (30).
Non svolgendo attività lavorativa tali danneggiati non avranno diritto al danno
da invalidità temporanea, ma conservano integro il diritto al danno patrimoniale futuro obiettivamente collegato alla invalidità permanente che, proiettandosi nel futuro, inciderà, in base ad una prognosi valutativa sulla capacità di guadagno, nel
momento in cui inizieranno a lavorare.
Anche la Cassazione, sia pure in una isolata ma recente pronuncia che ci si augura costituisca la punta di diamante di una auspicabile inversione di tendenza, ha
affermato la risarcibilità del danno patrimoniale subito dal disoccupato, quale danno
futuro collegato alla invalidità permanente che — proiettandosi per il futuro — verrà
ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà
una attività remunerata (31).
I giudici di legittimità ricollegano tale danno, con ragionevole certezza, alla riduzione della capacità lavorativa specifica conseguente alla grave menomazione ca-
Nel caso esaminato dalla è stato giudicato corretto il criterio di determinazione del danno in base
ad una somma lievemente superiore a quella della
collaboratrice domestica di prima categoria, in considerazione della maggiore ampiezza dei compiti
svolti dalla prima, come moglie e madre, in seno al
nucleo familiare.
(29)
Cass. civ. 10 settembre 1998, n. 8970, in Riv.
giur. circ. trasp., 1998, 951; App. Napoli, 22 settembre 1998, in Riv. giur. circ. trasp., 2000, 337.
(30)
La S.C. ritiene che « la riduzione della capacità
lavorativa di un soggetto che svolge vari e saltuari
lavori non qualificati, o dell’operaio non specializzato, non è assimilabile alla incapacità lavorativa generica, liquidabile solo nell’ambito del danno biologico, ma è pur sempre fonte di danno patrimoniale,
da valutarsi considerando quale sia stata in concreto
la riduzione della capacità lavorativa specifica del
soggetto leso, che può determinarsi tenendo conto
della varietà di attività o di lavorazioni che il sog-
getto può essere chiamato a compiere, in riferimento
alla situazione lavorativa specifica, ambientale e
personale, del soggetto stesso... la mancanza di un
reddito al momento dell’infortunio, può escludere il
danno da invalidità temporanea, ma non anche il
danno futuro collegato alla invalidità permanente
che, proiettandosi nel futuro, verrà ad incidere sulla
capacità di guadagno della vittima, al momento in
cui questa inizierà una attività remunerata », Cass.
civ., 11 dicembre 2003, n. 18945, in Arch. giur. circ.
sin., 2004, 510.
(31)
Cass. civ., 30 novembre 2005, n. 26081. I giudici di legittimità ricollegano tale danno, con ragionevole certezza, alla riduzione della capacità lavorativa specifica conseguente alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita affermando che
va liquidato in aggiunta rispetto al danno biologico
riguardante il bene salute.
P. 3 8 9
questioni
5 6 | DANNO PATRIMONIALE
gionata dalla lesione pativa, liquidandolo in aggiunta rispetto al danno biologico riguardante il bene salute.
Non appare necessario, invero, introdurre il « nuovo » concetto di lesione della
capacità lavorativa specifica futura, collegata ad un futuro lavoro, concetto nuovo
estraneo alla usuale convenzione risarcitoria fondata, per costante giurisprudenza,
alla attività già svolta dalla vittima, mentre, nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, non era possibile prevedere, neanche in via di mera ipotesi, quale attività futura avrebbe svolto il danneggiato.
Appare, invero, sufficiente a legittimare il risarcimento del danno patrimoniale
la lesione della capacità lavorativa generica, intesa quale futura, anche se non determinata, attività lavorativa, nell’ambito delle potenzialità del soggetto, (conforme
cioè alle sue aspettative ed abitudini, oltre che alle sue condizioni personali e sociali),
che il danneggiato probabilmente eserciterà in futuro.
Ovviamente tale voce di danno, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, deve
necessariamente essere esclusa dal danno biologico, operazione che la Corte ha,
sia pure sinteticamente, evidenziato, affermando che il danno patrimoniale da perdita di guadagno futuro « va liquidato in aggiunta al danno biologico, riguardante il
bene salute », implicitamente escludendo da tale voce di danno le implicazioni di
natura patrimoniale la capacità, quali la lavorativa generica.
Trattasi, quindi, di operare una valutazione prognostica di un danno certus anincertus quando, escluso solamente ove si fornisca la prova che il danneggiato non
intraprenderà mai alcuna attività lavorativa.
Ai fini della prova la stessa pronuncia (Cass. 30 novembre 2005, n. 26081) ammette la prova per presunzioni semplici, tenendo presente il principio che ai fini di
tale prova non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di esclusiva necessità causale, in quanto basta che il fatto da provare (nel caso di specie la riduzione della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno) sia desumibile dal
fatto noto (l’invalidità permanenete al 25%) come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, applicando più che un criterio di valutazione
fondato sulle presunzioni un vero e proprio criterio di efficacia causale, riconoscendo il risarcimento di un danno futuro, presumibilmente certo che, tuttavia, in
passato, non aveva trovato tutela risarcitoria.
Va rilevato, facendo ricorso alle presunzioni semplici, che i danni alla salute di
modesta entità (c.d. micropermanenti) non hanno, generalmente, conseguenze e riflessi negativi sulla attività lavorativa futura, salva, per il danneggiato, la facoltà di
prova che il danno, pur di modesta entità, abbia una concreta incidenza sulla possibilità di guadagno futuro (32).
Tale valutazione deve ritenersi ammessa non solo nel caso in cui il soggetto
svolgesse una attività lavorativa al momento del sinistro (rientrante nel danno alla
capacità lavorativa specifica), ma anche ove il danneggiato non svolga ancora attività lavorativa, rientrando in una della predette categorie (disoccupato-studenteminore).
Infatti il danno da lucro cessante può essere ravvisato in entrambi i casi ove
sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto riceverà in futuro minori guadagni dal proprio lavoro attuale o futuro.
Ai fini della prova, soprattutto nel caso di macro-lesioni può farsi riferimento,
oltre alle specifiche attitudini e capacità del danneggiato, anche allo stato degli studi
intrapresi o da intraprendere, alla situazione del marcato del lavoro, sia in generale,
sia con riferimento alla specifica presumibile attività da svolgere (33).
(32)
Cass. civ., 11 marzo 2005, n. 5415, Cass. civ.,
26 settembre 2000, n. 12757.
(33)
La stessa Corte di cassazione apre dei varchi
alla autonoma risarcibilità del danno da incapacità
lavorativa generica affermando che « il danno pa-
P. 3 9 0
trimoniale alla persona può essere liquidato soltanto quando si accerti anche a mezzo di presunzioni semplici che il singolo soggetto danneggiato
che agisce per il risarcimento, per effetto del fatto
lesivo della sua integrità psicofisica, subirà una
questioni
DANNO PATRIM ONI ALE | 5 6
Non vi sono ostacoli di natura ermeneutica per applicare lo stesso principio affermato dalla Suprema Corte in relazione al disoccupato anche al danno alla capacità lavorativa generica (o futura incapacità lavorativa specifica) subito dal minore,
la cui condizione di non occupato è fisiologica.
Essendo la capacità di lavoro collegata, nella maggior parte dei casi, al raggiungimento della maggiore età, ed essendo in tal caso ancora più evidenti le ragioni a
fondamento della diminuita capacità di guadano futura, purché collegata in termini
eziologici con l’invalidità accertata.
Non può, infatti negarsi che un minore o un disoccupato, in condizioni fisiche
menomate, allorché entreranno nel mondo del lavoro, avranno evidenti difficoltà
sia nel trovare lavoro, sia nel trovare una occupazione comunque confacente alle
proprie aspettative o al grado di istruzione rispetto ad un lavoratore senza quella
lesione (34).
Occorre anche evidenziare la mutata realtà sociale, caratterizzata dall’accentuarsi del lavoro a termine o interinale e in tale mutata prospettiva la perdita della
capacità lavorativa generica, ben lungi dall’essere « un modo di essere dell’individuo », costituisce un autonomo danno di chiara valenza patrimoniale, pregiudicando
la possibilità del danneggiato di trovare anche lavori interinali, nell’arco della propria vita lavorativa.
È la stessa diversità ontologica tra il danno biologico ed il danno da incapacità
lavorativa generica che impone un autonomo e distinto risarcimento per ciascuna
voce.
Si auspica, pertanto, un deciso « revirement » della Corte di cassazione, sulla scia
della sentenza n. 26081/05, che tenga conto della mutata natura del danno biologico
che impone, sotto il profilo logico-concettuale diversi ed autonomi risarcimenti
delle due distinte voci di danno.
L’effettiva difficoltà di individuare un criterio risarcitorio omogeneo per tale lesione non ne può pregiudicare l’autonoma risarcibilità, ove l’entità del danno non
incida solo sulla integrità psico-fisica, ma anche sulla capacità futura di guadagno
derivante dall’esercizio di una presumibile, probabile, attività produttiva di reddito
conforme alle abilità o qualificazioni tecnico-professionali di cui la persona sia già
in possesso o sia in grado di acquisire secondo criteri di normalità proiettiva.
In tale ultimo caso, il criterio risarcitorio dovrà tener conto del presumibile lavoro che la vittima avrebbe svolto, in base agli studi effettuati, la capacità dimostrata, la situazione del mercato del lavoro, soprattutto ove trattasi di attività manuali (es: muratore, operaio metalmeccanico) o intellettuali (es: avvocato, medico)
individuate e se sia ragionevolmente prevedibile che il soggetto leso avrebbe svolto
tali specifiche attività, fatta salva sempre la prova contraria.
Quale base di calcolo possono utilizzarsi anche le nozioni di « comune esperienza » quali lo stipendio o la remunerazione iniziale che il soggetto avrebbe perperdita della sua specifica capacità futura di guadagno. In difetto di tale prova, la menomazione
della sua capacità lavorativa, non incidente sulla
specifica capacità futura di guadagno, deve rilevare
sotto il profilo del danno alla salute », Cass. civ., 28
aprile 1999, n. 4231, in questa Rivista, 2000, 110,
con nota di Bastianon, Brevi osservazioni in tema
di prova del danno patrimoniale da lucro cessante
(in caso di sinistro stradale).
(34)
La Corte di cassazione opera, peraltro, dei distinguo, quando, ad esempio, afferma che « la riduzione della capacità lavorativa di un soggetto che
svolge vari e saltuari lavori non qualificati, o dell’operaio non specializzato, non è assimilabile alla incapacità lavorativa generica, liquidabile solo nell’ambito del danno biologico, ma è pur sempre
fonte di danno patrimoniale, da valutarsi conside-
rando quale sia stata in concreto la riduzione della
capacità lavorativa specifica del soggetto leso, che
può determinarsi tenendo conto della varietà di attività o di lavorazioni che il soggetto può essere
chiamato a compiere, in riferimento alla situazione
lavorativa specifica, ambientale e personale, del
soggetto stesso, » Cass. civ., 11 dicembre 2003,
n. 18945, in Arch.giur. circ. sin., 2004, 510. La stessa
pronuncia chiarisce che « la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio, può escludere il
danno da invalidità temporanea, ma non anche il
danno futuro collegato alla invalidità permanente
che, proiettandosi nel futuro, verrà ad incidere
sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata ».
P. 3 9 1
questioni
5 6 | DANNO PATRIMONIALE
cepito una volta entrato nel mercato del lavoro, procedendo ad una liquidazione
equitativa, in base alle tabelle usuali di liquidazione del danno da incapacità lavorativa specifica, ove al posto della percentuale di diminuita capacità lavorativa specifica si prenderà come indice di riferimento la percentuale di diminuzione della capacità lavorativa generica.
Ove, invece, non sia possibile determinare in concreto la futura probabile attività lavorativa potrà farsi riferimento, ai fini della determinazione presuntiva del
futuro lavoro, alla posizione economico-sociale della famiglia di appartenenza,
agli studi intrapresi ed alle inclinazioni manifestate, facendo riferimento, quale
criterio residuale per la determinazione di una base di calcolo del lucro cessante,
ai criteri di determinazione presuntiva del reddito, previsti dall’art. 4 l. n. 39/
1977. (35)
Altro criterio di valutazione del danno patrimoniale da futura incapacità lavorativa potrebbe essere costituito dalla c.d. perdita di chance (lavorative) che costituiscono concrete ed effettive occasioni di conseguimento di un lavoro, in un arco di
tempo determinato.
La perdita di chances configura una autonoma voce di danno emergente, quale
danno patrimoniale futuro che va commisurato alla perdita della possibilità di conseguire un risultato positivo, e non alla mera perdita del risultato stesso, risarcibile
a condizione che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre
sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un
valido elemento causale tra il fatto e la ragionevole probabilità della verificazione
futura del danno (36).
Non trattasi, quindi, come affermato dalla Cassazione, di mere aspettative di
fatto, ma di entità patrimoniali a se stanti, giuridicamente ed economicamente suscettibili di autonoma valutazione (37).
La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c.,
richiede comunque la prova, anche probabilistica ed in percentuale sulla sua reale
esistenza.
Occorre pertanto che emergano elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui
proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano,
in termini di lucro cessante, quale perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile,
ma che appaia invece — anche semplicemente in considerazione dell’« id quod plerumque accidit » — connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un
grado di elevata probabilità (38).
La perdita di chance, per un professionista, potrebbe essere individuata, ad
esempio, nella impossibilità di accettare incarichi incompatibili con la menomazione di natura permanente (es. deambulazione), con un aggravio della sua condizione personale concretatesi in un pregiudizio di natura economica.
(35)
Il danno patrimoniale da lucro cessante, per
un soggetto privo di reddito a cui siano residuati
postumi permanenti, configura un danno futuro,
da valutare con criteri probabilistici, in via presuntiva e con equo apprezzamento del caso concreto,
Cass. civ., 2 ottobre 2003, n. 14678. In tale pronuncia, dovendo valutare il lucro cessante di un minore menomato permanentemente e non essendo
possibile prevedere la sua futura attività lavorativa
in base alle inclinazioni ed agli studi compiuti, è
stato ritenuto corretto, sotto il profilo logico-giuridico, il criterio di valutazione del reddito futuro del
minore rapportato, quale parametro di riferimento,
a quello di uno dei genitori, presumendo che il figlio eserciterà la stessa attività del genitore.
(36)
Cass. civ., 4 marzo 2004, n. 4400; Cass. civ.,
P. 3 9 2
27 luglio 2001, n. 10291 Secondo un orientamento
della S.C. la perdita di chance consiste non in un
lucro cessante, bensı̀ nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale, pur affermando che
la chance è una entità patrimoniale giuridicamente
ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta
chance intesa come attitudine attuale ad una attività lavorativa, Cass. civ., 21 luglio 2003, n. 11322.
(37)
In tal senso, Cass. civ., 28 gennaio 2005,
n. 1752; Cass. civ., 28 settembre 2005, n. 18953, in
questa Rivista, ...; Cass. civ., 12 giugno 2003,
n. 9472.
(38)
Cfr. Cass. civ., 30 gennaio 2003, n. 1443.
questioni
DANNO PATRIM ONI ALE | 5 6
Tale criterio, inoltre, appare l’unico possibile nel caso in cui l’entità delle lesioni
sia talmente grave da escludere la possibilità per il soggetto di entrare nel mondo
del lavoro.
Occorrerà, in tal caso, operare necessariamente una valutazione prognostica
delle chances perdute di trovare un posto di lavoro.
L’onere della prova, anche se in modo presuntivo e in base ad una valutazione
probabilistica, pone a carico del danneggiato la dimostrazione della probabilità che
avrebbe avuto di ottenere un determinato lavoro, in quanto la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 c.c., presuppone che risulti comprovata l’esistenza di un danno risarcibile.
Si deve tener conto della sussistenza o mancanza, a causa della invalidità, dei
presupposti per il raggiungimento del risultato sperato, nell’arco temporale considerato (ottenimento di un posto di lavoro compatibile con le condizione sociale e
soggettiva), impedito o reso più difficoltoso dalla invalidità. Occorre, quindi valutare, in concreto, se l’ottenimento del posto di lavoro e le relative utilità economiche
fossero probabili per il soggetto sano e verificare quale incidenza abbia avuto l’invalidità sul perseguimento dell’obiettivo.
Può anche essere richiesto dal danneggiato il risarcimento del danno da dequalificazione professionale (c.d. danno professionale) che può consistere sia nel danno
patrimoniale derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita o
dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità o nella privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa (39).
Il criterio risarcitorio basato sulla perdita di chance, in base al presumibile lavoro che il danneggiato avrebbe svolto, costituisce il modello risarcitorio preferibile,
consentendo al giudice di graduare il risarcimento in ragione della percentuale di
chance perduta, con una liquidazione che, anche se equitativa, tenga conto di tutti
gli elementi concreti della fattispecie per adeguare il risarcimento all’effettivo pregiudizio subito.
(39)
Cass. 10 giugno 2004, n. 11045.
P. 3 9 3