32-39_Identita? N 11:Identità

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32-39_Identita? N 11:Identità
identità - differenza
Mali
Arcipelago islam
Oasi di democrazia laica o nuova culla del
radicalismo? Viaggio attraverso uno dei Paesi
più poveri (e belli) del mondo, dove a un millenario
islam moderato si va affiancando una concezione
più integralista del messaggio coranico.
Finanziata dai fondamentalisti arabi
NOVEMBRE 2007 POPOLI 33
reportage
Testo e foto: Emiliano Bos
DJENNÉ (MALI)
o studio del Corano garantirà loro un futuro migliore». Ibrahim, marabutto
con un filo di barba che imperla il viso, ne è convinto. Ha sei allievi e pochi
soldi. La sua è una delle oltre cento
scuole coraniche di Djenné (Mali). All’alba la città s’accende di riflessi e di
piccole sagome scalze. Sono i talibé, gli
allievi. La metà delle scuole è riservata
agli studenti che vengono da villaggi
sperduti seguendo il loro marabutto, il
maestro. Le altre sono frequentate da
chi abita in questo millenario crocevia
di spiritualità islamica africana e di
traffici transahariani, dove la storia ti
catapulta all’indietro di secoli. Djenné
(insieme a Timbuctù) è una delle attrazioni turistiche del Mali. Un Paese che
l’indice di svilupIslam e povertà
po umano delvanno di pari
l’Onu inchioda al
passo.
terzo posto tra gli
In Mali, l’85%
Stati più poveri
dei dodici
del pianeta. Ma è
milioni di
ricco di tradizioni
abitanti è
e cultura, proiettate nei pinnacoli
musulmano.
di argilla della
Il 69% vive
Grande Moschea
sotto la soglia
color ocra - la più
di povertà
grande del mondo
in fango, costruita nel 1280 e riedificata un secolo fa.
I piccoli talibé gironzolano chiedendo
cibo per sé e per il marabutto. In una
mano una scatola di latta, per le offerte, nell’altra le loro tavolette di legno
lavabili sulle quali scrivono con carboncini i versetti in arabo del Corano.
«Ne imparano a memoria pochi alla
volta», spiega il maestro Arou, 48 anni, accovacciato lungo il muro esterno dell’antico edificio di mattoni d’argilla. Un capannello di bambini vocianti lo circonda, intorno anche
capre e pecore. Il marabutto ha studiato qui a Djenné. Non parla francese, lingua dei colonizzatori, ma solo
bambarà, l’idioma più diffuso del Pae-
«L
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se, e un po’ di arabo appreso negli an- scela esplosiva che il radicalismo muni studiando al-Kitab, il Libro, che ora sulmano può far detonare. Qui non
insegna ai suoi allievi.
ancora. La religione del Corano (preSekou Touré, 10 anni, ciondola ritmi- sente da quasi mille anni) si dimostra
camente la testa in avanti ripetendo aperta e tollerante. Però sta crescendo
come una cantilena la Sura 34. Da se- a macchia di leopardo la presenza decoli, qui, il Corano si tramanda così: gli wahabiti, corrente riformatrice e
con pochi versetti scritti sulle tavolet- rigorista legata anche economicate di legno e mandati a memoria. Ge- mente all’Arabia Saudita.
sti antichi, ripetuti con un andamento
quasi musicale anche dal piccolo «UN PAESE, PIÙ PAESI»
Ismael, 7 anni e una maglietta gialla di Il presidente Amadou Amani Touré
Beckham che si allunga fino al ginoc- (riconfermato a maggio per il seconchio. «Il nostro è un islam tradiziona- do mandato) è impegnato ad afferle, che si ispira a un messaggio di tol- mare l’immagine del Mali come oasi
leranza», sottolinea un altro marabut- di democrazia laica nell’Africa occito. L’eredità della grande tradizione dentale. Uno dei pochi tra i 57 Paesi
sufi qui è ancora forte, legata indisso- dell’Organizzazione per la conferenza
lubilmente a figure come Tierno Bo- islamica dove non musulmani e donkar, il «saggio di Bandiagara».
ne hanno pari accesso alle istituzioni;
«Vorrei andare in pellegrinaggio alla dove c’è libertà di stampa, anche se
Mecca, ma non posso permettermelo», metà degli abitanti non sa leggere;
si lamenta il maestro.
dove esiste una sola
Islam e povertà vanno di Il confronto tra
emittente pubblica, ma
pari passo. In Mali, l’85% l’apertura
42 giornali e 125 radio
dei dodici milioni di abi- al dialogo
private; dove i religiosi
tanti è musulmano. Il proposta dalla
cristiani sono liberi di
69% vive sotto la soglia mistica sufi e la operare. Come padre Aldella povertà. Altrove, rivendicazione
do Giannasi, dei Missioislam e miseria sono mi- della propria
nari d’Africa (Padri Bian-
identità dei
wahabiti è
sempre più
evidente
I ragazzi imparano a memoria in arabo
i versi del Corano trascrivendoli
su tavolette di legno.
qui o vengano da fuori». Dov’è - se
davvero esiste - la frontiera dell’islam
percepito come «radicale»? Ciascuno la
sposta più in là. La rinvia a un «altrove» che sembra nascondersi ancora più
a nord, verso le dune del Sahara.
chi), in Mali da 36 anni. A Bamako ha
aperto un centro che mette a disposizione spazi di studio con libri di testo
per 250 studenti di scuole superiori e
università, senza distinzioni di fede.
A partire soprattutto dal XVIII secolo,
le grandi confraternite hanno elaborato un sincretismo conciliante, binomio
tra spiritualità locale e istanze di rinnovamento dell’islam. Il risultato è che
oggi nessuno nega spazi a cristiani e
animisti né impone leggi islamiche.
Il Mali, sostiene Ismaeli Samba Traoré,
scrittore e linguista, «è oggi un Paese
fondato su più Paesi», mosaico d’etnie
diverse tra loro. Capaci in questi anni
di realizzare un felice modello di convivenza democratica: «Tuareg, peul,
dogon, bambarà, malinke: tutti - osserva - hanno saputo creare una combinazione di tolleranza e comprensione
reciproca che ha prevalso sul meccanismo dello scontro e del conflitto».
Il confronto tra l’apertura al dialogo
proposta dalla mistica sufi e la rivendicazione della propria identità religiosa rimarcata dai wahabiti diventa
più evidente allontanandosi dalla capitale. Basta proseguire da Djenné in
direzione nord, verso Mopti, la perla
del Niger. Sul caotico porto fluviale un
arcobaleno di piroghe scivola sfiorando le acque gonfie del Grande Fiume.
Al tramonto, si allungano le ombre di
un caleidoscopio di umanità. Le stesse
di cui parla Ismaeli Samba Traoré,
scrittore e intellettuale: pastori peul
con cappelli circolari, pescatori bozo
che sbrogliano reti, commercianti
bambarà che mercanteggiano. E donne velate, a volte con il viso interamente coperto di nero. «Da qualche
tempo il loro numero sta aumentando
- racconta Omar, una guida locale ma non è chiaro se siano originarie di
AVANZATA WAHABITA
A Bandiagara (70 chilometri dopo
Mopti) lo scenario cambia. «Vedi quella moschea? I lavori erano fermi da
anni perché mancavano soldi. Ora sono arrivati i finanziamenti dei wahabiti, non si sa da dove», afferma Alpha
Nou Cissé, marabutto da dodici generazioni nella città di Tierno Bokar, che
fu icona dell’islam tradizionale e moderato di questa parte dell’Africa.
Quando il sole cala e il muezzin richiama alla preghiera, «loro» si radunano a
parte. «Mi preoccupa il rischio di conflitti all’interno dell’islam, perché la
crescente presenza wahabita rischia di
modificare le nostre abitudini», aggiunge Alpha Nou con tono più dispiaciuto che polemico. Racconta gli
anni di studio in Costa d’Avorio, dove
conobbe Amadou Hampâté Bâ, il più
celebre discepolo di Bokar e grande
tessitore di dialogo con le altre religioni. Quella tradizione di tolleranza e
apertura, sostiene Alpha Nou, è ancora ben radicata. Di Bokar resta una
tomba nel piccolo cimitero nascosto
dietro alcune casupole. Il marabutto
accompagna gli ospiti stranieri sulla
sepoltura del Saggio, riconoscibile a
fatica solo per una piccola stele che, in
Un dettaglio di una delle tavolette
sulle quali vengono trascritti
i versi coranici.
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reportage
Alcune imbarcazioni ancorate nel porto
di Mopti sul fiume Niger.
arabo, ne porta il nome. Ancora più
viva la figura del suo seguace prediletto, Hampâté Bâ. Se lo ricorda bene
Abubakar Toumbouli, falegname e
imam wahabita di Bandiagara: «Era il
1959, tenne un discorso qui al mercato cittadino. Ci esortò a essere musulmani coraggiosi e tolleranti».
La presenza della minoranza rigorista
wahabita cresce nella zona di Bandiagara e si estende verso il cosiddetto
Paese Dogon. Una manciata di villaggi sparpagliati tra un altopiano ancora fertile e una pianura screziata di
miglio e acacie. Sulla Falesia incantata di Bandiagara - grande fenditura di
roccia lunga oltre cento chilometri - i
dogon, forse uno dei popoli più studiati del continente, sono accomunati
dalla forte identità e dall’incanto della loro magica cultura. In gran parte
islamizzati, hanno mantenuto credenze animiste. Si diversificano però nell’appartenenza ai due volti dell’islam.
Tutti i 300 musulmani del villaggio di
Kani, per esempio, si sono «convertiti»
al wahabismo negli ultimi due lustri.
Hanno provato persino a relegare in
casa le donne: «Lo prevede la sharia
(la legge coranica)», spiega l’imam
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Amadoué Lugé. Non ci sono riusciti pellegrinaggio alla Mecca che ogni
però: il «sesso debole» a queste latitu- musulmano dovrebbe compiere almedini non lo è affatto, ma rappresenta no una volta nella vita)». Contatti con
l’instancabile forza-lavoro del villag- gli arabi? «Solo qualche riunione con
gio. Hanno cercato di imporre il velo loro a Bamako», taglia corto. Anche lo
nero a mogli e figlie. Ma loro non studio del Corano risente di questo
hanno rinunciato ai boubou, i vario- isolamento. «Non lo conosciamo molpinti abiti tradizionali. La sharia pre- to», ammette il capo del gruppo wahavede anche la lapidazione in caso di bita, aggiungendo che comunque il
adulterio. «Ma il nostro - precisa dialogo con il resto della comunità
l’imam - è un Paese laico e non isla- musulmana «resta aperto». Altri tre
mico. È il governo che decide».
chilometri lungo lo sterrato che conDue chilometri più in là, sotto la stes- duce verso Endé, altro cambio di prosa gigantesca falesia, i wahabiti di- spettiva. Nel villaggio di Wahaliya,
ventano minoranza nel vicino villag- 700 abitanti e altrettante capre, di wagio di Teli: non più di una cinquanti- habiti nemmeno l’ombra. «Nessuno di
na su 800 abitanti. Yussuf Guindo è noi è mai andato alla Mecca. E non
uno di questi: si chiamava Koumbé solo per mancanza di denaro», argoprima del pellegrinaggio in Arabia menta con tono pacato l’imam MousSaudita. Là si è convertito alla corren- sa Guindo, 43 anni. Intorno a una picte wahabita e ha cambiato nome. cola veranda di legno intagliato si ra«Utile per la sua attività di commer- dunano altri adulti maschi. «Spesso i
ciante», maligna qualcuwahabiti ci accusano di
no nel villaggio, convinto «I wahabiti
essere impuri e di non
che un nome arabo ga- ci accusano
praticare i precetti delrantisca buoni contatti e di essere impuri
l’islam. Per noi non è un
soprattutto commerci si- e di non
problema di forma, ma di
curi. «Ci siamo convertiti praticare
cuore. Che solo Dio può
- aggiunge Yussuf - otto i precetti
scrutare», osserva Mousanni fa, dopo l’hajji (il dell’islam.
sa, fasciato in uno splen-
Per noi non
è un problema
di forma,
ma di cuore»
La tomba di Tierno Bokar, teorico
dell’islam moderato. A destra, una strada
di Bamako, la capitale del Mali.
dido abito blu a strisce damascato.
«Una decina d’anni fa i wahabiti vennero qui per tentare di convertirci. Rispondemmo chiaramente di no», aggiunge. Però sono tornati di recente.
Da un fuoristrada sono scese quattro
persone, apparentemente turisti occidentali. «Hanno portato in omaggio
noci di cola ad Adama, l’anziano del
villaggio», raccontano i giovani. Un
gesto semplice, se non fosse per la
quantità spropositata del dono: di solito si offre una piccola noce di questa
preziosa pianta coltivata in Costa
d’Avorio, da cui si ricava anche
l’estratto per la Coca Cola. Invece gli
strani visitatori hanno lasciato un
sacco di noci di cola da 25 chilogrammi. Erano «emissari» wahabiti provenienti dal Kuwait. Le autorità locali li
hanno allontanati.
VERSO TIMBUCTÙ
Spinte contrapposte si propagano fino
alla mitica Timbuctù, città dei 333
santi. Per secoli è stata porta d’ingresso del Sahara, incrocio di commerci
tra Africa e Mediterraneo e indiscusso
punto di riferimento culturale per gli
studi islamici. Ma l’epoca degli imperi medioevali del Mali è solo un ricordo: all’arrivo, ti ritrovi in un agglomerato di case tra la sabbia. Le dune
hanno conservato quasi intatti alcuni
tesori. All’Istituto di studi arabi «Ahmed Baba», il responsabile Djibril
Doucoré apre le teche che custodiscono frammenti di storia: una copia del
Corano del XII secolo, o l’incunabolo
del XV che riproduce un trattato di
medicina di Avicenna. Oltre ad aver
salvaguardato i tasselli del collage
millenario di Timbuctù, secondo qualcuno oggi il deserto - che qui inizia
appena fuori dal centro abitato e anzi
s’insinua fino all’ingresso delle case offrirebbe riparo a svariati gruppi armati di diversa matrice. Difficile verificarlo di persona. La fascia di Sahara
tra Mali, Mauritania, Algeria e Niger
da alcuni esperti è considerata una
nuova «frontiera di sabbia» del terrorismo internazionale. Impossibile affermarlo con certezza. Di certo sono
attive bande di predoni. Timbuctù è
l’ultimo bastione sotto il controllo
delle autorità, in un territorio con presenze considerate «pericolose». «Negli
ultimi dieci anni sono state costruite
21 nuove moschee con i petrodollari
arabi dei wahabiti. Alcune sono vuote, in altre si predica il jihad, la guerra santa - afferma Nouh Ag Infa Yattara, pastore della Chiesa evangelica
battista di Timbuctù -. Il governo del
Mali ne è consapevole, ma non ha i
mezzi per affrontare queste derive
estremistiche. Vedo un pericoloso
cambio di mentalità».
Dopo Timbuctu, verso nord, solo un
nulla sabbioso. Se non le carovane
che da secoli scendono dalle miniere
di Taudennì trasportando il sale. Li
vedi arrivare all’alba nel porto di Kouriomé, l’attracco di Timbuctù sul Niger. Dove le grandi piroghe scaricano
uomini e animali caricando a bordo le
lastre salmastre, moneta di scambio
dalla notte dei tempi. Per poi salpare
verso la capitale. E dal Mali si continua a fuggire verso l’Europa, cercando un varco nel deserto. Senza distinzione di fede o di corrente islamica.
«Malgrado le differenze - sostiene
l’imam wahabita di Bandiagara, che
nel 1965 impiegò 14 mesi per arrivare a piedi alla Mecca -, apparteniamo
tutti alla stessa grande famiglia musulmana».
ACQUA E DESERTO
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