n. 13 Il Ridotto de I Antichi - Compagnia de Calza «I Antichi

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n. 13 Il Ridotto de I Antichi - Compagnia de Calza «I Antichi
IL
RIDOTTO
ORGANO UFFICIALE DELLA COMPAGNIA DE CALZA I ANTICHI - BOLLETTINO MENSILE
S
anno 2
numero 13
settembre 2008
empre più grosso! Il Ridotto, il nostro organo
ufficiale a tiratura limitata è ora a sedici pagine, anzi
diciotto: ed ecco perché.
Sollecitati e costretti dal
Procurator Grando uomini e donne meravigliosi iniziano con questo
numero la loro preziosa collaborazione alla nostra testata. Da
ognuno secondo le
sue possibilità, sfruttando sfacciatamente
inclinazioni e capacità, ecco dunque delle
guide al lettore, mensili e molto personali.
In ordine alfabetico cognominale: Lucas
Christ illustra (in compagnia dei suoi alter ego
Rudolf Stainer & Professor
Hainz)) gli appuntamenti musicali (a pagina 10); Michael
Krondl,, scrittore e cuoco, europeo e americano, caro amico de I Antichi, racconta di cibi e avventure nel mondo (a
pagina 12); Leonardo Mello,
impavido direttore di Venezia
Musica, scrive di teatri antichi
e moderni, lagunari e di terra
(a pagina 11); Maria Luisa Pavanini Zennaro (cui vanno i
nostri auguri di rapida guarigione dall’intervento di meccanica ossea) guida all’arte in
città (a pagina 9). Ve par poco?
Queste sono le quattro nuove
pagine, che unite ai soliti farneticanti deliri di Colo de Fero (oltre a tutto, terza puntata
del Marinaio Johnny!) e Bob R.
White (ha scritto tantissimo in
questo numero) raggiungono
le sedici pagine. E le altre due?
Geniale! Le altre due, quasi
un inserto (anzi proprio un inserto per i lettori di carta) sono
il calendario del mese, da ta-
IL CIRCOLO
È APERTO
DAL MARTEDÌ AL SABATO
DALLE ORE
17 ALLE ORE 21
venezia
san marco 2674
campo san maurizio
IN QUESTO NUMERO
La Fiera di San Maurizio – Una Cartolina
da Nizza – Ritorna Cuginomichele – Alduccio
Colferai – Nuove Avventure del Marinaio
Johnny – Circolo Scatenato – Enzo Rossi Ròiss
– NUOVE RUBRICHE: Arte, Musica, Teatro,
Avventure nel Mondo!
Inserto: calendario di settembre
IN PROGRAMMA IN AGOSTO
Venerdì 5 e 19 e 26
co’ fa scuro (dalle ore 19,30)
Circolo de I Antichi - Campo San Maurizio
A Tavola con I Antichi
Cena a menu fisso su prenotazione
Sabato 13 settembre 2008
co’ fa scuro (dalle ore 19)
Circolo de I Antichi - Campo San Maurizio
Ore Felici Evento Speciale
Enzo Rossi Ròiss presenta «Ròiss Poemi Doping»
Lunedì 22 settembre 2008
co’ fa scuro (dalle ore 19.30)
Circolo de I Antichi - Campo San Maurizio
Fiera di San Maurizio
Cena in Onor de San Mauritio - Tombola de I Antichi
car anca sul muro
muro. Da una parte, davanti, tutti i giorni, con i
santi, le lune, le albe, i tramonti, e perfino le maree; con gli
appuntamenti importanti e
anche no. Dall’altra parte, di
dietro, i fatti salienti della
storia veneziana accaduti nel mese in corso, trascelti secondo imperscrutabili ragioni da
Colo de Fero. L’inserto si può appendere
al muro, infilzato in
un chiodino, nell’apposito cerchio al centro in alto.
In questo mese.
Apertura furiosa del Circolo: quotidianamente con ombre e cicheti
eti, settimanalmente con A Tavola con I
Antichi (a pagina 2 orari e
menù). Nascita della Fiera di
San Maurizio
Maurizio: abbiamo deciso, perché non potevamo farne a meno, di incominciare un
lungo (più o meno) cammino teso a realizzare ogni anno
nei giorni attorno al 22 settembre una festa popolare dedicata al santo eponimo del nostro campo. Intanto cominciamo con una Cena in Campo
in Onor de San Mauritio, lunedì 22 settembre, con tombola! Dettagli e amenità a pagina 3.
Nuovo libro de I Antichi: Enzo Rossi Ròiss, diversamente anziano e diversamente in
versi, ha scritto «Ròiss Poemi Doping» canzoniere erotico di settant’anni d’amore e di
eros (l’eros è cominciato qualche anno dopo, però) presentazione ufficiale sabato 13 settembre nelle Ore Felici evento speciale (intervista a pagina 8).
Basta così. Buona lettura.
AVVISO – AVVISO
I Compagni de Calza
che hanno ordinato
le calze 2008 si mettano
subito in contatto con la
Priora ad vitam Jurubeba
pagina 2 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio
I
l Circolo de I Antichi festeggia il suo primo compleanno con rinnovato slancio e
alta lena. Assume sempre più
l’aspetto conviviale, oltre che
naturalmente culturale, per
cui è nato. Indi: apertura quotidiana, dal martedì al sabato, con orario 17 – 21 (indicativamente) con servizio, per i soci, di ombre e cicheti; con il penetrar dei giorni nei rigori invernali si introdurranno vieppiù bevande calde di nobilissima origine, quali cioccolatte e
tè, con pasticcini.
Si inizia anche un progetto
follemente culturale e culinario intitolato A Tavola con I
Antichi, che differisce (ocio!)
dalle iniziative intitolate A Cena con I Antichi. Mentre le Cene servono a festeggiare sconsideratamente avvenimenti di
vario tipo e solitamente avvengono fuori, il ciclo A Tavola con I Antichi si compone
altrimenti di una serie di ce-
In Circolo: A Tavola con I Antichi e novità
Menu
(un piatto esclude l’altro, a scelta del cuoco)
Primo Piatto
Risi e Suca – Ravioli di Zucca
Secondo Piatto
Cievoli alla Sant’Erasmo – Strogonoff del Priore
Dolce
Pudim de Leite, com Coco – Torta d’Uva, bianca e nera
Vino & Spiriti
Bianco e Rosso – Grappa Alexander
Anche I Antichi alla LXV Mostra del Cinema
A
nche i soci del Circolo de I Antichi vanno
alla Mostra del Cinema, ma con i loro film. Nel pomeriggio di sabato 30 agosto la
documentarista Anny Carraro ha presentato in Sala Volpi la
sua ultima produzione «Il Carnevale di Karin» frutto del suo
sguardo acuto e disincantato
sulla nostra città. Lunedì 1° settembre Elia Romanelli ha invece aperto al cinema Astra il
Venice Film Meeting con «Chi
crea Venezia», una serie di otto
ritratti di artisti cittadini del secondo Novecento, cui I Antichi
(auspice SebaZorzi) hanno in
parte contribuito. Ne parleremo
e ne vedremo, e festeggeremo. ◉
ne a menu e a prezzi entrambi fissi, decisi senza appello né
cangiamenti dalla Cucina, basati sulla stagione e sull’estro
del momento, che si svolgono
dentro; i posti sono limitatissimi e pertanto riservati ai soci e
necessitati di prenotazione. Di
tal fatta gli appuntamenti di A
Tavola con I Antichi non si sovrappongono agli altri cicli del
Circolo. Essi, i convivi di A Tavola con I Antichi, si tengono di preferenza ogni venerdì,
quando appunto non coincidano o non si sovrappongano con
altre attività.
Essendo anima e corpo dell’iniziativa la Gran Priora ad
vitam Jurubeba sottolineiamo che menu e cicheti saranno inevitabilmente compendio
delizioso di cucina veneziana e
brasiliana.
Prezzo fisso 25 euro a testa; estremamente consigliata la prenotazione. Si rilasciano iscrizioni a scotadeo. ◉
Ilze Jaunberga all’Hotel Des Bains
T
ra i Grandi Eventi Estate 2008 negli spazi dell’Hotel Des Bains al
Lido di Venezia si è distinta
l’esposizione della pittrice lettone Ilze Jaunberga, con opere
scelte tra le cento del ciclo intitolato «Italia Picta in Latvia».
Organizzata dalla Compagnia
De Calza «I Antichi», sponsorizzata dalla Pagoda Circus
dei Antonio Giarola, suppor-
to dell’Associazione culturale
Italo-Baltica, la mostra è stata spettacolarmente allestita nella Sala Visconti dall’1 al
15 agosto. Nella sala, un concerto e due melodrammi comici dell’ensemble dell’Accademia Musicale Italiana presieduta e diretta dal supremo
Maestro Claudio Gasparoni, a
cui va tutto il nostro affetto di
uomini e di donne Antichi. ◉
venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 3
P
artiamo con l’intenzione di andare lontano. Cominciano da quest’anno i festeggiamenti per il santo
a cui è intitolato
il nostro campo, e che per
questa ragione, ma anche
moltissime altre, ci è particolarmente
caro. (A fianco:
El Greco, Martirio di S. Maurizio,
1580-81, Monastero
di S. Lorenzo, El Escorial, Madrid) Cominciano con
una Cena in Campo in Onor
de San Mauritio, lunedì 22 settembre co’ fa scuro, cui farà seguito di stecca una Tombola de
I Antichi (con tanto de tabeon,
balote e cartele) per i partecipanti. Piano piano, anno dopo anno,
la cena e la tombola diventeranno una Fiera di San Maurizio
che nelle nostre fervide e scatenate fantasie prevede, in futuro,
cortei in armi e costumi, sacre
rappresentazioni, banchetti gastronomici e tutto quanto pertiene ad una vera e propria festa
in campo, sagra e fiera. L’unica
a San Marco, ciàpa!
San Maurizio
San Maurizio, noto anche come
Moritz, Morris, o Mauritius sarebbe stato un generale dell’impero romano attorno al 300, a capo della leggendaria legione Tebea (Tebe in Egitto non in Grecia) appunto egiziano-romana, prima in Mesopotamia e poi
nell’Europa centrale, a Colonia
ed a nord delle Alpi. Dopo aver
sconfitto Quadi e Marcomanni,
furiosi barbari che dal fiume Reno premevano in Gallia il console Massimiano decise di usarli per una pulizia etnica contro
i cristiani della zona. Per essersi ripetutamente rifiutati di farlo, nonostante ripetute flagellazioni e decimazioni, i legionari di Maurizio (in tutto seimilaseicentosessantasei) sarebbero
stati infine sterminati per ordine dell’imperatore Diocleziano.
Il luogo dell’eccidio, Agaunum
in Raetia, è oggi Saint Maurice-en-Valais, in Svizzera. Altre
La Fiera di San Maurizio
versioni raccontano
similmente che la
legione si rifiutò di eseguire
gli ordini dopo aver scoperto che un
villaggio che
avevano appena distrutto era di poveri
e innocenti contadini cristiani;
oppure che l’imperatore aveva ordinato
la loro esecuzione al rifiuto ripetuto di offrire sacrifici agli dei
pagani. In ogni caso è quasi certo trattarsi di leggenda, ma ciò
non ha importanza. Per complicate questioni geopolitiche, alcuni decenni prima dell’anno
Mille, San Maurizio divenne
patrono del Sacro Romano Impero, e la sua spada e la sua lancia furono per secoli considerate
reliquie potenti. La spada faceva
parte del corredo degli imperatori austroungarici fino alla fine (dell’Impero Austrungarico)
e si voleva che la lancia con il suo
nome scritto sopra fosse proprio
quella che ferì il costato di Gesù
sulla croce. Secondo l’etimologia, e la leggenda, san Maurizio
era moro: Mauritius (in copto
Maurikios) deriva da Maurus,
originariamente «abitante della Mauretania», la regione dell’Africa che oggi va dall’Algeria
fino al Marocco e alla parte settentrionale della Mauritania,
perciò molto spesso è raffigurato con tratti africani e qualcuno
suppone un’origine nubiana, o
di discendenza mista egiziana
e nubiana. Francese: Maurice;
inglese: Maurice, Morris; olandese: Maurtiz; russo: Movr; spagnolo: Mauricio; tedesco: Moritz; popolare: Mòri(s); femminile: Maurizia.
I Antichi e San Maurizio
Per esempio, rapidi: il Principe
Maurice Agosti incredibile interprete di Giacomina Casanova e Marchetta Polo, il grande
amico e regista Maurizio Scaparro che ci ama sfrenatamente ricambiato; e poi Maurizio
Bastianetto che anche se non ci ama
più ha pur sempre creato cose
indimenticabili; e poi, tremenda, Maurizia Paradiso
senza la quale non avremmo con enorme soddisfazione litigato a mezzo stampa con la Zia
Marina. E poi, la vicenda di San Maurizio, leggendaria o reale che sia, tocca uno dei
punti fondamentali dell’etica de
I Antichi: può lo Stato decidere
la Morale dei suoi sudditi, oggi
cittadini? Secondo noi, e secondo San Maurizio, no. Fede, pensiero, sfera sessuale, orientamento politico sono affari privati. Ma di questo un’altra volta. Ricordiamo infine che miglior santo non avrebbe potuto
darsi come levatrice alla nascita
della Compagnia, data la bellicosissima e pugnace natura del
nostro Priore Fondatore Paolo
Emanuele Zane Cope Zancopè,
uomo d’armi e di sogni.
La chiesa di San Maurizio
La geometrica e abbagliante facciata della chiesa, candeggiata
da un non più recente restauro
che ha dimenticato da qualche
parte santo e angeli soprastanti
il frontone, nasconde una storia
interessantissima. Scrive Giulio Lecomte, ufficiale di marina
e scrittore francese, nel suo Venezia, colpo d’occhio letterario,
artistico, storico, poetico e pittoresco sui monumenti e curiosità
di questa città del 1844: «È una
chiesa nuova. Il patrizio Pietro
Zaguri, morto nel 1806, proponendosi d’imitare la demolita
chiesa di s. Geminiano del Sansovino, la quale sorgeva alcuni
anni prima in piazza s. Marco
ov’è adesso il nuovo Palazzo reale, diede il primo disegno di questa. Morto lo Zaguri, il nob. Antonio Diedo (segretario dell’Accademia delle Belle Arti) e l’architetto Selva (moto nel 1819) lo
posero in esecuzione, facendovi
quelle riforme ed aggiunte che
parvero opportune. La facciata
è di semplice ed elegante disegno del Selva,
riformato dal Diedo. Le stature e i
bassi rilievi furono scolpiti
dal professore Zandomeneghi e da B.
Ferrari. Tutte
le scolture dell’interno sono
buoni lavori del
valente Domenico Fadiga veneziano, il quale si occupò altresì dell’esecuzione della facciata. [...] In mezzo alla chiesa è
la tomba di Pietro Zaguri, autore del primo disegno». Accanto
al patrizio (di cui parleremo diffusamente un’altra volta) fu sepolto anche, nell’agosto del 1768,
«senza pompa alcuna di stemmi, o iscrizioni» il titanico Zorzi Alvise Baffo.
La tombola
Parente povera e familiare del
Lotto è comunque tecnicamente un gioco d’azzardo anche se
blando. Il Lotto a Venezia ha
storia antica e appassionante,
fu governativamente proibitissimo e poi sfruttatissimo per la
sua peculiarità di dilapidare patrimoni, capacità in ogni tempo
considerata legittima e sana
quando esercitata dagli Stati per
loro beneficio. Scrive Giovanni
Grevembroch nel suo Gli abiti
de’ Veneziani di quasi ogni età
con diligenza raccolti e dipinti
nel secolo xviii da cui è tratta la
figura dell’Impressario del Lotto qui a fianco: «Sia come si voglia, il rischio di minuto esborso
ridonda più della Grazia anelata negli antichi Lotti di Elagabalo, appresso cui (secondo il Detto di Lampridio) taluno guadagnava dieci famelici Camelli, alcuno dieci
sfrenati Cavalli, altro
dieci Grilli, o Mosch e».
◉
pagina 4 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio
Echi massmediologici: culinmaschera
R
iceviamo e lietamente ratto pubblichiamo questo lacerto
poetico dedicato al nostro grandissimo Carlo R. Bullo che
rientra (il lacerto poetico) nel poderoso genere dei calembour, non-sense, paronomàsie e in senso lato di tutti i giochi di
parole. Nel caso in questione si può parlare senza meno e senza fallo di un nuovo stile: la poesia bullesca dett’anche bulleada.
La ballata di Bullo ovvero la bullonata
dell’Inconsolabile Console
H
a goduto di immeritatamente breve successo la singolare protesta
estiva di alcuni lavoratori di entrambi i sessi nella bella città di
Bologna. Eppure varrebbe un
lungo esame antropologico e
anche semiologico. Per la prima
volta a memoria d’uomo gli arguti dimostranti hanno messo
in scena un calabrache mascherato. Non potendo o non volendo esibire al naturale le rotonde
posteriorità in segno di sberlef-
fo amichevole ai destinatari della loro protesta, gli scioperanti hanno optato per dei culi di
plastica con un effetto moltiplicatore dei significati: ad esempio il nesso tra maschera e volto e qui tra faccia e culo. Avessero mostrato le chiappe vere sarebbero magari stati multati ma
sarebbero stati eroi, però almeno sono stati patafisici. Al termine pare abbiano detto sconclusionatamente: «se continua
così, restiamo in mutande». ◉
QUANDO LE PAROLE NON SERVONO
Carlo, amante del basebull,
visto il bullettino meteo, prese il bullover ed
uscì coi suoi cani:
un bulldog e un pittbull
di nome Pecos e Bufalo bull
sembravano tre bulldozer.
Carlo, come un vero bullo tirava bulloni,
bevendo una redbull bullente,
come in bulli e Pupe,
mangiando specialità cinesi, con bullo e marmellata.
Dopo aver preso a pugni un pungibull
guardata l’ora sul bulova,
andò a bullare a Genova
all’hotel bullavista
dove lo chiamavano bulin.
Alle elezioni di bullinzona ,
andò al bullottaggio,
facendo un salto nel bulo,
un bulo nell’acqua‼
…ma il bullo deve ancora venire…..
Carlo compilò le bulle d’accompagnamento,
fece il bullino blu, andò al bulla,
acquistò un francobullo,
ma tutto si risolse in una bulla di sapone.
Ai murazzi: invocazioni poco propiziatorie
M
Fegato alla Veneziana
anitù, conosciuto
anche come Wakan
Tanka, Gitchi Manitou, Oki, è il Grande Spirito
onnipotente creatore di ogni
cosa materiale che secondo i
Pellerossa regna nel paradiso
chiamato il Felice Mondo della Caccia, o qualcosa del genere. Il grande Carlo Bullo, in occasione della murazzata preferragosto organizzata splendidamente da Bruno e Lisa,
invaso prepotentemente dal-
l’ascesi mistica nel momento
culminante della cottura cui
si era gioiosamente prodigato, ha invocato la divinità panteistica in un impeto orgasmico sollevando alla volta celeste
un tronco all’uopo arroventato. L’effetto immediato è stato
un subitaneo altissimo incendio del barbecue, con fiamme
spropositate: solo il rapidissimo
intervento di Jacopo Bullo ha
evitato la carbonizzazione totale delle carni appena cotte. ◉
venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 5
A
bbiamo ricevuto una
cartolina da Nizza. È
in bianco e nero. Si vede il mare quieto. Sullo sfondo,
un cielo limpido e una giornata
chiara e senza nuvole. Un gruppetto di persone passeggia lentamente, si direbbe senza fretta,
sulla Promenade des Anglais.
Le donne portano gonne lunghe, con disegni di fiori, che una
brezza leggera muove appena.
Gli uomini indossano completi di lino bianco e hanno in testa
dei panama a tesa larga con la fascia nera. Alcuni si appoggiano a eleganti bastoncini da passeggio di bambù con il manico di
avorio.
La cartolina è indirizzata ai
«meravigliosi amici di sempre» della Compagnia de Calza
«I Antichi». La data non si legge bene, è mezza cancellata dall’inchiostro color seppia del timbro postale. La firma invece, uno
svolazzo arioso, è perfettamente
leggibile. Come anche le parole
di saluto. C’è scritto che il viaggio è andato bene, che il tempo
è buono, e che si tratterrà laggiù
(o lassù, una macchiolina di inchiostro è scivolata proprio sulla
doppia consonante) per un po’ di
tempo. Quello che serve, spiega,
per sistemare alcune faccenduole. Dopo di che, aggiunge, «sarà
una gioia rivederci». «Vi abbraccio tutti», conclude.
La grafia è riconoscibile. La
stessa di sempre. Uguale. Anche se, a ben guardare, una piccola differenza c’è, che la rende sorprendentemente uguale
ma diversa. Appare come più sicura, meno incerta e tremolante di quella degli ultimi tempi.
Come se la mano avesse ripreso
un inaspettato vigore. Una nuova sicurezza. Come fosse guidata da una forza superiore. Anche
la firma, «il Vostro Priore Onorario Conte Emile», sembra più
marcata, più decisa. Ma forse è
solo un’impressione.
Racconta che l’ha fatto di
notte il suo ultimo viaggio, il
Conte Emile Targhetta d’Audiffret, Priore Onorario della
Compagnia de Calza «I Antichi». «Staremo più freschi», aveva detto al suo fido scudiero Michele Neguse. In auto, di notte,
nel silenzio del tempo delle stel-
L’ultimo viaggio del Conte Emile
.
–
di BOB R WHITTE GRAN PRIORE DE I ANTICHI
le cadenti, sull’autostrada deserta, traversando l’Italia addormentata, da un mare all’altro, da
Venezia a Nizza. Dalla città che
si era scelto come palcoscenico, alcova e rifugio, alla città dove novantaquattro anni or sono
aveva aperto gli occhi ridenti al
mondo. Così aveva voluto. E così è stato. Michele gli aveva preparato per il viaggio il suo vestito più bello. Perché tornasse elegante alla sua terra natale. Perché si sentisse a suo agio. Perché
fosse all’altezza, come sempre,
davanti agli amici che lo aspettavano sulla costa.
Aveva preparato tutto con cura, Michele, come faceva ogni
volta che partivano per andare
in riviera, proprio lo stesso viaggio, quando i tepori della costa
addolcivano il rigore degli inverni e l’umidità delle estati veneziane. Tutto come sempre. Immutabile. Solo una cosa, stavolta, rendeva diverso il viaggio che
sembrava sempre uguale. Michele nell’auto sedeva davanti. Il
Conte stava dietro. Di solito accadeva il contrario. Michele non
poté non avvertire la differenza.
Ma il viaggio fu identico. Il Conte e il suo scudiero si parlarono
per tutta la notte. Come facevano sempre, quando discorrevano del tempo, degli incontri che
avevano e che avrebbero fatto,
degli appuntamenti per il bridge,
per il the e la cioccolata, dei nuovi vestiti e cappelli da preparare per il carnevale che verrà,
dei vecchi abiti da sistemare, delle feste e
delle cene con i compagni de calza, delle nuove esilaranti storielle da raccontare nei pomeriggi a
palazzo alla marchesa Cadavàl.
Ma anche nel loro dialogo, che
sembrava sempre uguale, stavolta c’era qualcosa di diverso.
Il colloquio fu costante, sì, come sempre, ma per la prima volta dopo tanti anni fu silenzioso.
Le parole del Conte, le sue erre
vellutate, la sua meravigliosa cadenza francese, arrivavano all’orecchio di Michele senza fare alcun rumore. Michele le percepiva tutte benissimo, nitide e
precise, anche se non ne sentiva
il suono. Curioso, si disse, parlare senza l’eco delle parole. Si parlavano con la mente senza bisogno dei suoni. E parlandosi così,
stando in silenzio, mentre guardavano il volo delle stelle morenti e dai campi tagliati dalla strada saliva il canto d’amore dei
grilli, rividero il film di tutta una
vita nel viaggio lungo e lento attraverso lo spazio della notte.
Arrivarono a Nizza che un’alba nuova era spuntata e colorava la costa di azzurro. C’era una
brezza leggera che muoveva appena la cima dei palmizi e l’aria
profumava di lavanda. Michele aveva avuto il suo bel daffare
quand’era andato in sopralluogo, alcuni giorni prima, come faceva sempre, per far trovare ogni
cosa al suo posto all’arrivo
del Conte.
Stavolta
aveva dovuto faticare più
del dovuto per trovare
e sistemare a dovere la nuova dimora del Conte che aveva scelto
di andare a stare vicino agli altri
membri della sua famiglia che lo
avevano preceduto in quel lembo di terra di Francia. Aveva fatto del suo meglio, avanti e indietro, da un ufficio all’altro, con
passione e precisione. Ma adesso tutto era finalmente a posto.
Gli ostacoli burocratici abbattuti, il posto preparato, il nome con
le date, i fiori freschi che gli piacevano tanto. Adesso Emile era
tornato a casa. Sul suo volto disteso, la pelle liscia e rosea, si disegnava un sorriso tranquillo.
Ci siamo dati appuntamento
per il tredici di ottobre, lunedì. Nella ricorrenza dei tre mesi dalla partenza. Per una specialissima «Soirée d’Audiffret», che poi celebreremo il tredici di luglio di ogni anno a venire. Nel suo palazzo alle Fondamente Nove, pensavamo. Come una volta. Come tante volte.
Padre Angelo e il Conte Marino Zorzi, grande amico di Emile, diranno parole alate. Michele preparerà la cena, come al solito, con i piatti che gli piacevano tanto. Noi compagni de calza indosseremo i nostri costumi più belli. Lasceremo a Emile il suo posto preferito al centro
della tavola imbandita. E impareremo anche noi a parlare con
lui senza sentire il suono delle
sue parole. Sfoglieremo insieme
l’album delle vecchie foto e vedremo il filmato che amava tanto della celebre gita in burchiello
lungo il Brenta. Racconteremo le
sue storie predilette, dal venerdì
all’agnello sacrificale, dai capelli lavati tutti i giorni all’uccellino della chiesa, dall’adultera alla mezzana, da Ca’ Gava ai soffitti di Montecarlo, dagli anni
che passano ai bambini che calpestano lo strascico del vestito,
da chi è questo Michele a non ricordo più nulla, da lei lavora qui
a non riesco a capire il significato di questa parola, me la dicono
fin da quando ero ragazzo. Poi
forse, se Michele vorrà, se ce lo
chiederà, riproporremo in suo
onore la meravigliosa e inimitabile sfilata dei celebri cappelli.
Sarà come se non fosse cambiato nulla. Sarà tutto come sempre.
Bellissimo. ◉
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Quando partì, nell’estate di
due anni fa, e sinceramente non
sapevamo se l’avremmo mai
più rivisto, fu data festa grande
nel giardino del Priore sull’isola
della Giudecca. Ci furono frizzi e
lazzi, aneddoti e storielle, ricordi
e battute, tappi stappati in quantità e progetti impossibili sognati in libertà. Fu festa araba e alcolica. Musiche sinuose e insinuanti, tuniche, turbanti e jalabie, quelle originali, quelle provenienti dal sacco di Khartoum
perpetrato dagli Antichi in una
delle più folli e memorabili tournée della Compagnia de Calza.
Si festeggiava «l’addio», sì l’addio, perché a noi piace un po’ di
melodramma, sia pure condito dal prezioso e sempre più raro sale dell’ironia, l’addio – dicevamo – del Cuginomichele, nome d’arte del compagno de calza
ingegner Michele Busetto, veneziano doc di palesi origini pellestrinotte come inequivocabilmente tradisce il cognome, cugino per l’appunto di un’altra
prestigiosa compagna de calza,
la dottoressa-cavalieredellarepubblica-vicecaporedattoredellarairadiotelevisioneitaliana
Monica Mobu Busetto altrimenti detta anche Little Hole e Petit
Trou, consorte legittima del nostro amato Gran Priore Roberto
Bob R. White Bianchin.
Cuginomichele, per impegni legati al suo lavoro di grosso dirigente di una nota industria internazionale produttrice di telefonini cellulari e apparecchi similari (la Gnochia), lasciava dunque le amate sponde
italiche per trasferirsi armi e bagagli in una terra esotica lontana e misteriosa: Dubai, Emirati
Arabi, o Evira-
Due ammiratori
di Cuginomichele
Il Ritorno del Cugino dal Dubai
.
–
di BOB R WHITTE GRAN PRIORE DE I ANTICHI
ti Arabi come preferiamo chiamarli noi. Inutile dire che avevamo il cuore spezzato mentre versavamo calde lacrime di prosecco. E non solo per l’affetto, di cui
venivamo privati, che ci legava
e ci lega all’impareggiabile Cugino, ma anche perché sul piano artistico venivamo spogliati di uno dei personaggi più carismatici che si era rivelato fin da
subito uno dei migliori acquisti
fatti dalla Compagnia negli ultimi anni.
Facemmo il possibile, e anche
un po’ di più, per alleviare il nostro dolore con possenti libagioni, e soprattutto col conforto del
pensiero delle prospettive tinte
tutte di rosa che ci piaceva immaginare per il nostro amato
Cugino. Già lo vedevamo, elegantissimo e perfettamente a
suo agio, proprio perché dotato
del necessario physique du rôle, nel tunicone orientale ampio
e ricamato «che se sta bei freschi
parché l’aria passa da soto e respira anca i cogioni». Lo vedevamo vestire appunto con meravigliosa nonchalance e assoluta consapevolezza i panni dell’emiro sotto una tenda nel deserto riccamente addobbata,
profumata di spezie, di incensi
e di unguenti. Già ce lo immaginavamo a tracannare vino profumato di cannella, vezzeggiato
e coccolato da premurose, generose e procaci danzatrici del ventre, e amorevolmente accudito
da stormi di giovani efebici e disponibilissimi eunuchi. E già sognavamo per gli Antichi favolose tournée da Mille e una notte,
e cene di Eliogabalo, e spettacoli
di Sardanapalo, nei palazzi scintillanti dei sultani di quelle terre
affascinanti e magiche.
Niente di tutto questo è successo. E noi Antichi per giunta siamo stati così stolti da ignorare colpevolmente i ripetuti inviti del Cugino che generosamente ci aveva più e più fiate offerto i doni preziosi della
sua munifica ospitalità. Così
è stato. E ora ci mordiamo le di-
ta per non dire di altro. Ma il nostro rimpianto, proprio perché le
cose del mondo a volte prendono delle pieghe impreviste e ristabiliscono rapporti e relazioni che si credevano perduti, è
destinato a tramutarsi ben presto in rinnovata allegranza. No,
l’esuberante Luigina, che di cognome fa Allegranzi, appunto,
non c’entra. Qui si tratta di altro.
Gioia pura. Già. Perché sappiate che se noi non siamo andati al
Cugino, sarà il Cugino che viene a noi. Un po’ come Maometto e la montagna. La storia, vedete, si ripete.
L’ingegner Busetto, per motivi che no stago a dirve qua, si avvia difatti a concludere positivamente, e ciò che più conta serenamente, la sua esperienza di lavoro (e di vita) in quel di Dubai, e
dal prossimo mese di settembre
tornerà nuovamente a rimettere piede (e anche il resto, si suppone) sul mai dimenticato suolo italico. E, sembra, per rimanervi. Almeno per un po’. O fino a nuova destinazione. Chissà. Comunque, riprenderà possesso della sua casa milanese in
quel della Bicocca, dei suoi dischi a 45 giri di Little Tony, delle videocassette di Linda Lovelace, e dei pacchettini di formaggini Tigre che aveva dimenticato sparpagliati per la casa nella
fretta di partire.
Inutile dire che ne siamo particolarmente felici. Si capisce. Non
solo perché ritroviamo a tempo
pieno, o quasi, un caro amico di
cui in più occasioni avevamo
sentito la mancanza. Specialmente il Priore, che solo soletto
in quel di Milano non trovava
più nessuno disposto ad andare con lui ai concerti dei Gang, di
Shel Shapiro e degli Olodum, o a
bere cachaça e ad ammirare la
camminata ancheggiante delle
jinetere al festival latinoamericano. Ma anche perché recuperiamo un personaggio importante per la Calza e i suoi spettacoli. Anche se, a dire il vero, il
Cugino non ci ha mai dimenti-
cato neanche dalla lontana Dubai. Tanto è vero che tutte le volte che ha potuto, come a Carnevale e in alcune altre occasioni,
mica ha fatto come noi, ha preso il primo aereo, si è cambiato in
volo, e appena sbarcato è corso
sui nostri palcoscenici a riprendere il suo posto. Così come ha
seguito con amore tutte le nostre imprese dal sito della Calza
e dal Ridotto, e di tanto in tanto
ha anche alimentato il suo blog
con meditazioni profonde e meditati quanto divertenti raccontini di viaggio. Si deve al Cugino
anche il filmato e il lancio planetario su You Tube dell’ormai celeberrimo monologo del Gran
Priore «Basta con queste anticaglie» ripreso in una memorabile e alcolica serata al Circolo degli Antichi.
Adesso che torna davvero tra
noi, sarà tutta un’altra musica.
Sarà come riprendere il filo di
un discorso interrotto e iniziarne uno di nuovo. Intanto daremo una gran festa per il suo ritorno, naturalmente in stile arabo, proprio come avevamo fatto in occasione del suo addio. E
poi lo faremo immediatamente
rientrare negli amatissimi panni dei suoi folgoranti personaggi, da quelli del misterioso Onfalomante a quelli del temibilissimo Gran Khan Khan Kubilai,
fino a quelli, modernissimi, dell’inquietante Cuginomicheledj specializzato in rock lappone.
Ma soprattutto potrà finalmente
dedicarsi, d’intesa col Priore con
cui ha già messo le basi del progetto, alla realizzazione del suo
sogno più ambizioso e più segreto: la spettacolare invenzione de
«Il ritorno dell’uomo cannone». Bentornato
Cugino! ◉
Cuginomichele
venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 7
A
qualcuno piace Aldo,
si potrebbe dire parafrasando un celebre
film americano di qualche lustro fa. Ma sarebbe ingeneroso. Perché Aldo Colferai, Alduccio per gli intimi, Decano della Compagnia de Calza «I Antichi», non piace solo a qualcuno. Piace, e molto,
a tantissimi. A noi per primi. E
per svariati motivi che ora stago a dirve qua.
Il primo è che si tratta dell’unico caso conosciuto al
mondo in cui una tradizione
– in questo caso quella della
Compagnia de Calza – si sia
tramandata non di padre in figlio, come normalmente avviene, ma di figlio in padre. Cosa
che può avvenire solo in una
combriccola alquanto singolare e decisamente unica quale
la nostra. Difatti Aldo Alduccio Colferai, oltre che sposo felice dell’incomparabile «Sirena» della Calza nonché Mamma di tutti i Casanova, Cleonice Nice Silvestri, è anche padre
sereno di quel Luca Colo de Fero Colferai, Procurator Grando e già Gran Priore degli Antichi, che per l’appunto incappò
nella Calza prima del di lui genitore e quindi gliela trasmise,
pur
senza
fatica,
per partenogenesi filiale. Il fatto, pure assolutamente inconsueto, non sembra, in un bilancio a lungo termine,
aver arrecato danni
visibili
o signi-
Aldo Alduccio Colferai visto da Bob R. White
ficative turbative né all’uno né
all’altro.
Il secondo motivo è che Alduccio, detto anche Nicotina
(«Un camino sempre acceso»,
si autodefinisce), è l’uomo dei
record: egli infatti detiene all’unisono gli ambiti primati di
pensionato più giovane d’Italia e di pensionato più abbronzato d’Italia. Quanto al primo
aspetto, relativamente agli anni ormai lontani in cui si esibiva in qualità di mastro tipografo al soldo del quotidiano
lagunare più antico, egli è solito teorizzare che «il lavoro è
un tumore maligno dal quale
fortunatamente sono guarito
presto». Lezione, questa
sì, che è riuscito a trasmettere, anch’egli
senza fatica, di padre in figlio, stavolta in ossequio alla tradizione più ortodossa. Quanto
al secondo aspetto, quello dell’abbronzatura perenne, egli fa
spallucce, sostenendo che non
si mette mai a prendere il sole
volontariamente e tanto meno
frequenta centri specializzati né si abbevera al flusso inquietante di lampade abbronzanti. Semplicemente, spiega,
è fratel sole a baciarlo volontariamente nel tempo, sia estivo che invernale, sia primaverile che autunnale, in cui la
fida cagnetta Lilli lo accompagna in lunghe passeggiate
sulla sabbia dorata del Lido di
Venezia, stando bene attenta
– la cagnetta – a non perderlo di vista, come una volta le
è successo, e a ricondurlo puntualmente a casa per l’ora del
pranzo o della cena, evitando
così di incorrere nelle ire, peraltro non frequenti, della sua
sposa sirena.
Alduccio, depositario della
pietra filosofale degli Antichi,
è la ragione e la coerenza della Compagnia. È il suo pensiero nobile. È la barra sempre diritta del timone: «Non siamo e
non saremo mai figuranti né
attori. Noi siamo. Siamo i personaggi ai quali diamo vita. E
i nostri personaggi sono noi».
Colonna portante degli Antichi fin dagli albori, consigliere segreto e ascoltato di tutti i
Priori, ha sempre rifiutato incarichi e prebende, ma ha sempre dispensato perle di autentica saggezza. Come quando,
in antiche e agitate stagioni,
al fondo di accesissimi consulti, ammoniva severamente il fondatore Zan-
copè: «Paolo, non facciamoci
fuorviare da questo o da quello. Restiamo quelli che siamo.
E pensiamo a fare le cose per
la gente».
Animato da insuperabile spirito di gruppo, d’indole pacifica e temperamento tranquillo,
mai polemico anche quando
ne avrebbe avuto donde, mai
rissoso, mai separatista, mai
eversivo, al contrario sempre
presente e sempre disponibile a ogni ruolo e a ogni nuova avventura, Alduccio è certezza e sicurezza. È affetto e
lealtà e attaccamento ai colori. E se a volte sembra assente,
non lasciatevi ingannare. Sta
meditando.
I suoi molti personaggi, nei
suoi costumi sempre filologici
e impeccabili, portati con nonchalance anche quando erano pesantissimi e dov’eravamo faceva caldissimo, hanno
segnato la storia della Compagnia. Da quello del Compagno de Calza per eccellenza, il
primo per importanza ed eleganza, a quello dal rosso accesissimo del «Pitima» (uno
dei suoi preferiti), da quello da
Doge (che invece non ama affatto ma accetta di buon grado di indossare quando serve)
a quello, superbo, da bagnino
dei primi del Novecento col
suo costumino a righe, la paglietta in testa, e i meravigliosi
baffi a manubrio, fino a quelli del potente Sultano e dell’allucinato fumatore di narghilè
che fu molto lodato dal grande regista Maurizio Scaparro
☞ continua a pagina 14
Dall’alto, Alduccio con Bob R. White, con Mafalda Malpighi
e in versione bagnino di salvataggio
pagina 8 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio
Fresco di stampa: Enzo Rossi Ròiss «Poemi Doping»
uno scrittore settantenne diversamente anziano
Pubblica presentazione sabato 13 co’ fa scuro – Ore Felici in Circolo
H
a le caratteristiche di un
Meridiano Mondadori
il libro edito da «I Antichi» a Venezia col titolo «Poemi
Doping». Ha tali caratteristiche
perché contiene in 350 pagine
tutta l’opera poetica edita e inedita di un solo autore: Enzo Rossi-Ròiss nato nel 1937. Con testimonianze esegetiche di Autori Diversi, la gran parte noti
ai lettori di testi poetici moderni e contemporanei. Tanto che
alcuni meritano di essere citati
(in ordine alfabetico); Vincenzo
Accame, Elio Filippo Accrocca,
Ercole Bellucci, Gianni Celati,
Gualtiero De Santi, Joice Lussu,
Eugenio Miccini, Luciano Nanni (anche Menetti), Roberto Roversi, Sarenco.
Il libro è sottotitolato «Canzoniere 1964-2007», perchè l’Autore ha ordinato la sua scrittura poetica in versi trascorrendo
il suo 70° anno: come Francesco
Petrarca (1304-1374) che non riuscì a compierlo perché morì un
giorno prima. L’ordine di pubblicazione e lettura, però, non rispetta l’ordine di scrittura, poiché i vari testi risultano accorpati in sezioni (dieci) omologanti e monologanti.
Poiché a quasi tutti i testi pubblicati si addice l’oralità dell’Autore, più che la dicitura degli attori di teatro, così come si addice l’esegesi di chi li ha concepiti,
propedeutica a ogni esegesi professorale, una conversazione
con Rossi-Ròiss, a questo punto,
è quanto di meglio per i lettori
de Il Ridotto.
i antichi - Cominciamo dalla copertina aniconica e tricolore: perché?
roiss - Perché è stata concepita come opera visuale, la cui decodificazione o deambiguazione è consentita soltanto a chi si
predispone ad esaminare i suoi
diversi liveli di significazione.
i. a. - Che sarebbero...?
roiss – I livelli di significazione risultano stratificati a cominciare dalla successione (sovrapposizione) delle tre parole tricolorizzate su fondo nero: roiss
(verde) POEMI (bianco) DOPING (rosso). Esaminando il
primo livello di significazione si
connota la nazionalità italiana
dell’Autore e del suo linguaggio
originario. Esaminando il secondo livello di significazione
si identifica la carica simbolica
di ogni colore: nero (l’ideologia
referente dell’anarco-libertarismo), verde (il colore della candela verde che illumina il sapere
patafisico), bianco ( le polverine stupefacenti), rosso (la passionalità espressiva). L’esame di
altri livelli di significazione consente l’accesso ad altre aree metaforiche a chi dispone dei password sapiensiali idonei.
i. a. - Il Doping del titolo significa scrittura stupefacente?
roiss – Significa scrittura poetica assunta come medicinale per positivizzare il negativo,
smascherare le ipocrisie, esaltare le stupefazioni, connotare gli
innamoramenti, deridere l’esibizione di eccellenze soltanto
presunte, stigmatizzare la mediocripositività conclamata, disdegnare la creatività episodica
e l’artisticità domenicale…ecc.
i. a. – La doppia significanza
è diffusa in tutto il libro, l’allego-
ria e la metafora spadroneggiano quasi in ogni testo, la sentenziosità risulta ricorrente, qua e
là profetizzi con disinvoltura:
ironico, sarcastico, raffinatamente crudele, inequivocabilmente laico e agnostico. Ti riconosci come poeta e come persona in tutto ciò?
roiss – Così come mi riconosco in tant’altro «dicibile»
dopo aver letto i miei «Poemi
Doping».
i. a. – Spiega ora la presenza
nei tuoi testi di tante parole, alcune sprovviste di etimo cruscacclarato, irrintracciabili nel
vocabolario: ibridi semantici, ircocervi linguistici, insiemi sfingici, fonemi chimerici, generati da accoppiamenti trasgressivi di notissime parole durante la
tue orge creative.
roiss – Lo spiego col dire, semplificando, che le concepisco per
significare più compiutamente (o completamente) ciò che è
nelle mie intenzioni poetiche.
Facilitato dalle mie frequentazioni patafisiche , oltre che dalla
conoscenza degli esercizi di stile scrittòrio «oulipienne» (ou.
li.po).
i. a. – Un glossarietto finale
prima dell’indice, però, avrebbe
ben figurato.
roiss – È una buona idea. Suggerisco di esemplificarlo impaginando in un riquadro alcuni
dei miei neosememi. Per es:carmepilogus, deufemismazione,
ficofora, gidugliata, iconovulvata, lauramplessi, piedilavori, postchiaraggiunta, tergiversificatori, ubunide, vulvaepistolata, vulvautorale, vulveide,
vulvindex.
i. a. – La sezione erotica del
tuo libro s’impone per qualità e
quantità dei testi. Tanto che puoi
essere considerato e indicato come poeta plurivulvato confesso e
documentato, inviso a ogni altro
poeta monovulvato, avulvato,
devulvato, sia poeta o no. Condividi questa opinione?
roiss – La condivido a condizione che mi si consideri scrittore vulvologo virtuoso ed erudito, alternativo a ogni scrittore vulvomane approssimativo
e maldestro.
i. a. – Hai tradotto in versi tutti
i tuoi innamoramenti?
roiss – Soltanto i più significativi, a prescindere dal loro
epilogo.
i. a. – Ti hanno arricchito tutti?
roiss – A conti fatti, tutti tranne uno che mi ha impoverito.
Poiché l’ho condiviso a lungo
con una donna mediocripositiva che si è rapportata a me applicando la formula: costi tuoi benefici miei / lavoro tuo plus valore mio / capitale tuo rendita
mia / conoscenze tue per nuove
relazioni mie.
i. a. – Concludi con una
dichiarazione.
roiss – Dichiaro che i miei
«Poemi Doping» costituiscono un prezioso campionario del
mio vissuto e che li ho così ordinati a futura memoria della mia
attività scrittòria, per connotarmi «diversamente anziano»
trascorrendo gli anni successivi al mio 70°. ◉
Il libro può essere ordinato a
www.iantichi.org,
oppure a www.libreriaparolini.com
venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 9
G
iovambattista Tiepolo (1696-1770) fu artista veneziano, pittore
di luce, di rosa e di azzurri pastello e nei suoi dipinti rappresentò l’ultimo soffio di felicità
in Europa. Rapido nell’esecuzione (con nove figli da sfamare è più che comprensibile), mascherava col suo pennello veloce ciò che dipingeva fino al punto da far credere facile e divagante la sua opera, che invece è complessa ed enigmatica.
Dalle sue mani tutto sembrava
uscire senza fatica, ma tale facilità di esecuzione non gli venne perdonata. Per molto tempo i
suoi affreschi furono considerati fuochi d’artificio, luce e colore
senza sostanza come i botti del
Redentore. I critici più benevoli
dissero che era un Veronese redivivo, ma senza l’anima e la vitalità dell’illustre maestro.
Fin da giovane capì che solo
assecondando i capricci e il gusto di coloro che avevano potere e denaro avrebbe potuto avere importanti commissioni.
La sua vita sembrò essere una
successione di soffitti dipinti,
più o meno vasti, di pale d’altare più o meno imponenti, di scene mitologiche molto maliziose
e di ritratti che non presentavano il profilo migliore del proprietario. Della sua vita privata poco o nulla sappiamo,
Tiepolo è la disperazione del biografo. Non era discendente dell’illustre
omonima famiglia e forse per distinguerlo da costoro ebbe il soprannome di Tiepoletto, o per accennare al fatto
che era noto a tutti
come una maschera del luogo. Quando l’artista si trovò di
fronte ad inviti di corte straniere fu costretto
a scelte che cambiarono
l’ordine della sua vita.
Andò tuttavia (per la sopravvivenza della numerosa
famiglia) a Wurzburg a dipingere la Residenz del principe vescovo, (580 mq di superficie da
Arte da vedere: il veloce Tiepoletto
di MARIA LUISA MARILÙ PAVANINI ZENNARO
affrescare non potevano essere rifiutati con leggerezza); non
volle invece andare in Svezia
(troppo distante e troppo freddo o forse poco lauto il compenso). A Venezia lasciò la
sua originale impronta alla Scuola dei Carmini,
nella chiesa dei Gesuati ovvero Santa Maria
del Rosario alle Zattere, a Palazzo Labia ma
soprattutto suoi pregevoli affreschi si possono ammirare a Ca’
Rezzonico che è il museo del settecento veneziano. Tutta la pittura del Tiepolo è teatrale, il
suo mondo è fatto di
Veneri e Madonne con lo stesso
profilo ed esse
poggiano con
leggerezza su
nubi vaporose ed infinite. Le dee
del Tiepolo
appaiono,
si mostrano
con sovrana facilità.
In quei cieli
il nostro artista accoglieva tutto (aveva grandi spazi da riempire):
dei, uomini, santi, ninfe, nani, Pul-
cinella, angeli e draghi. L’ultima sua impresa fu la decorazione del Palazzo Reale a Madrid
dove non voleva proprio andare, si fece molto pregare adducendo le scuse più svariate quali: «che doveva sistemare la sua
numerosa famiglia» e che provava terrori panici sia delle Alpi, che del mare. Forse aveva
avuto un oscuro presentimento
perché a Madrid morì nel 1770.
Tutta la sua vita ebbe il cruccio
di finire le commissioni in tem-
po, di far contenti i committenti. Nonostante però si mostrasse servitore ossequioso e
deferente non mancò di disseminare i suoi affreschi di dettagli irridenti e corrosivi nei confronti di quella stessa nobiltà
che con premura serviva. Nato nella città dove le donne usavano la maschera per fare tutto
quello che volevano, la sua abilità metamorfica non apparve
innaturale. ◉
Sopra: Bellerofonte cavalca
Pegaso (1746-47, affresco,
diametro c. 600 cm, Palazzo
Labia, Venezia)
A sinistra: Allegoria con
Venus e il Tempo (175458 olio su tela 292 x 190 cm
Londra, National Gallery)
pagina 10 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio
C
arissime lettrici e amabili lettori, eccoci finalmente giunti a questa
prima piccola (e unica nel suo
genere) guida agli eventi musicali che ci allieteranno il mese di settembre in questa meravigliosa Città. Per non inciampare in inutili equivoci mi sento in dovere di illustrarvi un
attimino come funziona questa rubrica-musicale: verranno menzionati solo quelle manifestazioni che si possono anche effettivamente considerare di valore musicale degno di
questo termine. Dunque sono
esclusi tutti quei terribili concerti in maschera (il termine
corretto è «prostituzione musicale»), tutte quelle cose che
vengono spacciate per musica
ma che in realtà mirano solo a
rimbecillire la giovane popolazione veneziana (ma anche
quella un po’ più matura). Non
verranno privilegiati i grandi eventi dei nostri grandiosi e gloriosi teatri, ma saranno
posti allo stesso livello di tutte
quelle piccole ma-
nifestazioni e concerti che
si tengono nei posti più disparati di questa città e di cui spesso nessuno ne è a conoscenza
(neppure il sottoscritto)! Quindi per far fronte a questo vuoto tristissimo e poter fornire finalmente una guida per orientarsi in questa giungla di note
mi sono avvalso della collaborazione di due illustri esperti
del settore. Si tratta del coltissimo Rudof Stainer, e del Professor Hainz. La grande fama
dei due non necessita altre presentazioni. E quindi non ne farò! Ai meravigliosi lettori basterà sapere che saranno i loro
commenti, le loro analisi, le loro descrizioni e i loro consigli
che vi accompagneranno da
un concerto all’altro. Meraviglioso‼ Che dire ancora? Tante cose.. ma ve le risparmio!
Iniziamo.
Rudof Stainer: «dunque meine herren, per questo mese di
settembre abbiamo qualkosi-
Da sentire: corni, ottavini e zar
di LUCAS CHRIST CON RUDOLF STAINER & PROFESSOR HAINZ
na da segnalare. Il 13, di sabato, alle ore 20 le vanitose sale apollinee del GranTeatro la
Fenice ospiteranno un concerto con un cornista pazzo furioso! Alessio Allegrini. (si racconta che una delle migliori
orchestre del nostro piane-
ta, i Berliner, lo volevano
con loro ma lui rifiutò – perché suonare in orchestra se sono il solista più devastante?). Si
esibirà in qualità di Corno solista e come direttore d’orchestra con il «Sabina International Ensemble», affiancato da
Loris Antiga (corno), Edisher
Savitski (pianoforte) e Vinicio Allegrini (tromba). Suoneranno le stupende musiche
di Haydn (‼!), Mozart, Barber,
Sostakovic, Márquez (e direi
che può bastare!). e poi, Hainz,
che abbiamo?»
Professor Hainz: «ja, poi
sempre in Fenice habbiamo il
14, 16, 18, 20 e 23 settembre
la grande opera «Boris Godunov» (un prologo e quattro Atti‼, vi spiego..) di Modest (modesto!) Musorgskij basato sul
dramma del grande Puskin.
Come non farsi prendere da
queste vicende di Zar, Re, nobili fanciulle, omicidi di eredi
al trono, giochi di potere, invasioni di eserciti foresti?! Straordinario.. peccato che non si ca-
pisce una mazza perché è in
lingua russa! Ma sapendolo ci
si può preparare prima. Il tutto sarà diretto dalla bacchetta
del carismatico Inbal davanti ad un allestimento che ha vinto anche
il prestigioso premio Abbiati 2006.
Dopo abbiamo una piccola cosa per
curiosi più
accaniti..»
– «aspetta Hainz, di
questo parlo io!» – «perché?»
– «perché si! Dunque, si
tratta di un corso dedicato a strumentisti
ma l’accesso è consentito anche come soli uditori. Tra
le storiche mura del
Gran Teatro la Fenice (Ancora..!), ma
organizzato dal Conservatorio di musica veneziano
«Benedetto Marcello», si svolgerà nei giorni 8 e
29 settembre (poi
cont i-
nuerà ad ottobre) dalle 14.00
alle 18.00 il corso «L’Ottavino nella letteratura orchestrale» tenuto dall’affermato
flautista Franco Massaglia.
Quindi, chiunque avesse sempre desiderato e non freme altro che sapere tutto e di più su
questo particolare strumento musicale non può assentarsi da questi incontri. Iscrizione
obbligatoria entro il 31 agosto.
Informazioni presso il Conservatorio B. Marcello.» – «E poi
che abbiamo?» – « Per questo
mese Basta!» – «basta?» – «ja,
gli altri sono ancora tutti in riabilitazione post vacanza!» – «
molto bene, allora alla prossima edizione, che (lo posso già
annunciare) sarà molto
più ricca e folta di piccoli appuntamenti da
non perdere!»
–
«Hainz!». ◉
venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 11
In teatro: Edipo e Pornobboy
di LEONARDO MELLO
S
ettembre e il teatro non
sono certamente una coppia felice, almeno a Venezia. Diciamo ecco anzi che sono quasi prossimi al divorzio,
dato che le (poche) manifestazioni estive sono fatalmente
tramontate e le stagioni regolari sono ben al di là da venire, con buona pace di chi – proprio nel crepuscolo di questa
strana estate – volesse godersi
il sospirato fresco assistendo a
una qualsiasi rappresentazione
di buon livello, non importa se
tradizionale o come si usa dire oggi sperimentale, implicitamente legando i due termini il
primo al concetto di noia mortale e il secondo a quello di incomprensibilità totale.
Ma lasciando perdere le premesse terminologiche, il panorama teatrale del territorio veneto propone comunque almeno due diverse serie di appuntamenti che si preannunciano
succose, per gli appassionati
del teatro che non disdegnano
di muoversi un po’ all’interno
dei confini regionali.
Per costoro sembra interessante il LXI ciclo di spettacoli classici organizzato al Teatro Olimpico di Vicenza, un
gioiello ineguagliato di architettura rinascimentale che festeggia in solitudine i cinquecento anni dalla nascita di
Edipo Interroga la Sfinge, dipinto di
Jean Auguste Dominique Ingres, c. 1805.
Andrea Palladio. Soprattutto
l’Edipo da Lluís Pasqual – regista raffinato e inventivo applaudito alla scorsa Biennale
per una riuscitissima «Famiglia dell’antiquario» goldonia-
na – nasce sotto i migliori auspici, potendo contare, oltre a
un cast di tutto rispetto, anche
su un fuoriclasse come Massimo Popolizio (dal 25 al 29 settembre). La seconda proposta
invece, che sconfina in ottobre
(10-12 ottobre), è un nuovo allestimento di Peccato che sia
una sgualdrina di John Ford,
che al di là del titolo lontanamente gaudente porta in scena
uno dei più foschi e incestuosi snodi del teatro elisabettiano, ripreso dal direttore dello
Stabile veneziano Luca De Fusco a qualche anno di distanza
dalla magnifica versione di Luca Ronconi.
Chi invece preferisce il filone appunto sperimentale, cioè
il teatro più improntato alla ricerca di nuove potenzialità espressive, può con qualche fatica in più arrivare fino
a Bassano, dove – all’interno
dell’Opera Estate Festival Veneto – il 5 settembre viene presentato Pornobboy, lo studio
dell’inedito lavoro del gruppo veronese Babilonia Teatri,
che con l’estremamente indovinato e divertente (anche se
un po’ scurrile e tendenzialmente blasfemino) «Made in
Italy» nel 2007 ha raccontato i
disastri del Belpaese (o di quello che resta di lui), aggiudicandosi il Premio Scenario, cioè il
più autorevole riconoscimento
al teatro giovane e d’avanguardia. A ottobre però si prevede
qualche novità interessante
anche al di qua del ponte della Libertà… ◉
pagina 12 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio
N
on ho neanche fatto in
tempo ad appoggiare la valigia sulla moquette della mia stanza al New
Iberia Holiday Hotel che già
mi bussavano alla porta.
«Vuole guidare da solo o sedersi con la famiglia reale?»
Che cosa avreste fatto? È ovvio: dieci minuti dopo ero seduto, strucà tipo tramezin tra
re regine e principi Cajun, in
un suv bianco scintillante, giù
per la superstrada 90. Al volante l’assistente sceriffo, di
scorta una dozzina di motociclette della polizia, di quelle
grosse, con le luci lampeggianti: stavamo andando, entro i limiti di velocità, dritti dritti all’imminente incoronazione di
Re Saccarosio LXVI. L’evento inaugurale dell’annuale Festival della Canna da Zucchero della Lousiana: una festa di
tre giorni, con parate, cortei,
costumi e zydeco.
Ero arrivato a New Iberia al
momento giusto: il raccolto del
2007 si preannunciava migliore di tutti i precedenti. Gli ultimi anni non erano stati per
niente buoni; una volta addirittura, anche no, l’arrivo dell’Uragano Rita aveva mandato all’aria il Festival proprio
quando le concorrenti al titolo di Regina dello Zucchero si
stavano aggiustando i corpetti
e le crinoline. Ma stavolta le loro Altezze Reali stipate nel suv
dello sceriffo sfoggiavano dolcissimi sorrisi.
Davanti sedeva la Regina
dello Zucchero dell’anno prima: una ragazzona dinoccolata strizzata nel vestito di satin
verde smeraldo, i capelli perfettamente acconciati ad accogliere la corona, ovviamente
verde, che ricorda nella forma
la canna da zucchero. Guardava il mondo intero come se fosse appena scesa dal Regno delle Fate, o appunto, dalla Città
di Smeraldo di Oz.
Sua Altezza raccontava come avesse passato l’anno presenziando in un tour ininterrotto tutti i festival della zona,
accompagnandosi con le altre
Maestà locali. Da queste parti ogni città, per piccola che sia,
ha il suo festival o forse meglio
Dal Mondo: nel Reame dello Zucchero
da New York MICHAEL KRONDL
sagra, dedicata ai più disparati
generi o prodotti agricoli e alimentari: si celebrano gli Astici,
le Rane e i Porcelli; si onorano
le Andouille
(delizio-
stufato sugoso o anche una
zuppa bella fissa). E ognuno
ha la sua Regina e la sua Corte reale. Ogni anno si spendono dei patrimoni tra ve-
Sopra: concorrenti al titolo di Regina dello Zucchero a New
Iberia, Lousiana (Usa). Sotto: canne da zucchero nel tipico
panorama della zona.
se salsicce speziate e affumicate al fumo di canna da zucchero) ; si incensano la Jambalaya
(una versione Nuovo Mondo
della paella) e il Gumbo (uno
stiti di raso e corone. La corona della Regina dei Gamberi e
del Petrolio è decisamente fantastica: una scultura ingioiellata e molto aggrovigliata che
unisce e protende un impianto di estrazione petrolifera offshore con un gambero gigante
e rampante. Sembra, pare, eppure è proprio così: all’inizio i
pescatori ce l’avevano a morte
con le piattaforme perché erano convinti che avrebbero fatto strage dell’ecosistema, devastando le zone di pesca; e
invece poi è venuto fuori che i
gamberi adorano gli impianti
d’estrazione, li usano come zone di riproduzione, e la pesca
attorno alle piattaforme è un
affare d’oro. Il che è un’ottima
ragione per una festa.
Non è per niente facile diventare Regina dello Zucchero.
Prima bisogna vincere il concorso, che è una via di mezzo
tra l’elezione di Miss America e una festa delle debuttanti, e poi bisogna combattere
per tutto lo stato contro le armate degli adepti e dei sostenitori dei Dolcificanti Alternativi, dato che bisogna pur difendere gli interessi dei produttori
di zucchero. Per il Re è più facile. Lui è solo un portavoce con
in testa una corona.
Re Saccarosio uscente è seduto proprio davanti a me, accanto alla consorte, Regina «B». B
Per sta per Bagasse «ma l’abbiamo accorciato – dice la regina – non suona per niente bene». E te credo: non solo in italiano ricorda tanto il mestiere
più antico del mondo, ma in inglese (che negli Usa lo parlano
di più dell’italiano) suona come «bag ass»: culona, con l’accento sulla seconda «a». Io, per
me, incuneato come ero tra il
Principe Ereditario (un sessantenne un po’ troppo serioso per il ruolo) e la sua consorte
(Bagasse) li trovavo tutti semplicemente spettacolari.
Se guidate giù per la superstrada tra New Iberia e Lafayette vi par di essere una formica sperduta in un oceanico
prato all’inglese, di quelli che
stanno davanti ad ogni villa
dei quartieri residenziali, ma
grande da un orizzonte all’altro. Siete circondati da steli giganti d’erba (le canne da zucchero sono alte un metro e ottanta) e in fondo c’è un enor☞ continua a pagina 14
venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 13
T
empo di zuca baruca.
Tipica verdura settembrina che ha nelle fertili campagne intorno all’inclita Chioggia il suo terreno d’elezione. Un tempo, chiamata per
la sua economica abbondanza e
bontà el vedelo de Cioza, veniva
portata alla vendita su delle tavolette, da indomiti e intrepidi
chioggiotti non solo nelle calli e nei campi veneziani, ma in
tutto il Veneto. Ora si trova comunemente nei banchi dei supermercati, anche già tagliata.
Ocio però: di zucche ve ne sono un’infinità, tutte più o meno
buone, ma solo la zuca baruca
si merita la cucina, le altre i porsei. Il conte Marc’Antonio Cavanis, sacerdote, che al tramonto della Serenissima Repubblica
fondò con il fratello la congregazione per educare fanciulli in cui molti hanno studiato,
scrisse per celia un poemetto di
cui vi facciam venia tranne che
di questo verso: «La ga el color
de l’oro, e tanto basta». La zucca ha una storia briosa e curiosa. Era conosciuta già agli antichi Romani che la usavano come esempio di testa durissima
di comprendonio, oltre che come cibo; forse proprio da testona nel senso di zuccona (*tucca, latino popolare) potrebbe
venire la nostra parola zucca.
La zucca venne importata dalle
Americhe dopo la loro scoperta. Zucche aborigene e zucche
foreste si mescidarono quindi a
tal punto che tracciare una storia completa delle loro botanica e biologia è qui impossibile.
Diciamo, ecco. Parente stretta
del melone e del cetriolo, un po’
meno dell’anguria che più vicina a quest’ultimo, la zucca è
la forma adulta della zucchina,
che è stata selezionata qualche
decennio fa come zucchino che
rimane sempre piccolo, sebben
lungo, e maschio, almeno a parole. Ci limitiamo pertanto alla
zuca baruca. Il suo nome latino è Cucurbita maxima, e viene dalla Mesoamerica; data la
forma era anche chiamata zucca moresca oppure a turbante; molti di primo acchito pensano e hanno sempre pensato che sia arrivata chissà come
dall’Oriente, un po’ come il tac-
A Tavola con I Antichi: zuca baruca
chino1: che la zuca baruca sia una
«zucca
benedetta» da ll ’ebr a ic o
Baruch
che significa appunto Benedetto, in italiano reso con
Ba r uc c o,
onomastico il 15 novembre; in
questo aiutati anche da qualche
vecchio bacucco, così detto dal
profeta (vecchissimo) Habacuc. Ciò però, non è. Altri ancora, più sgagi che saggi, propongono l’origine spagnola, dato
che dopo aver invaso le Americhe gli spagnoli portarono indietro con le buone e più con le
cattive molte cose. La zuca baruca è tutta gropolosa: piena
di verruche, e verruca in spagnolo era detta «berrueca» come anche attestato nel Dizionario Inglese Spagnolo scritto nel 1794 dal viaggiatore e
giornalista Giuseppe Baretti2;
ma ci convince poco. Ci convince invece moltissimo la tesi più semplice: c’era un termine aborigeno e plebeo dell’Italia del nord «baroco» con il significato di «balordo strano irregolare bizzarro» che avrebbe
dato anche origine all’artistico «Barocco» ma che poteva,
con semplice apofonia vocalica
qualitativa oscurativa3, diventar «baruco». La scena sarebbe ordunque così: il conquistador spagnolo dice al contadino
chioggiotto: «mira la zuca berreuca!» e il contadino risponde:
1 Del tacchino, detto dindio, parleremo un’altra
volta.
2 Baretti è famoso per aver editato la rivista Frusta Letteraria ed è anche noto per essere stato
l’unico testimone auricolare, cento e venticinque anni dopo, della famosa frase di Galileo Galilei «Eppur si muove». Che recia!
3 Parole difficili in omaggio per John Matthews.
«ma quala berueca, la xè ‘na zuca baruca!».
Per la sua abbondanza, e
per essere un
vegetale, essa è sempre
stata considerata a torto cibo da poareti. La zucca
reti
aborre le spezie, ma adora la cannella e un poco
di zucchero. ◉
⓵ Zuca Baruca in forno
Se volete servirla così dovete prima scorticarla a freddo, squartarla
o tagliarla a spicchi e ripulirla dei
semi ancora cruda; ma per usarla
come ingrediente la pulizia è meglio farla dopo averla cotta, semplicemente tagliata a metà.
⓶ Zuca col late
Appena finito di cuocerla al forno,
pulita prima o dopo, si può servire
in ciotola bagnata di latte, condita
con zucchero e cannella.
⓷ Risi e zuca
Preparate un ricco soffritto di cipolla, con una cipolla per due, evitate l’aglio; meglio l’olio di semi o
di più ancora il burro. Se usate la
zucca cruda è necessario tagliarla
a dadini senza scorza né semi prima di unirla al soffritto; se la zucca è già cotta al forno, sarà nella
versione integrale, per cui pulitela ugualmente: il colore e il sapore
della minestra, o risotto, saranno
però alla fine più intensi. Calcolate
un etto e mezzo quasi due, suvvia,
di zucca cruda a testa. Aggiungete
del brodo, anche di dado non siamo qua a sottilizzare, e remenate
fino ad ottenere una bella crema.
Ora aggiungete il riso nella misura che più vi piace, commisurato
al desiderio. Non aggiungete per
l’amor di dio nessuna spezia, solo un ramo di osmarin se proprio
ne avete bisogno. Alla fine però fa
un figuron un poco di prezzemo-
lo tritato raccolto in un mucchietto al centro del risotto versato nel
piatto di portata. Potete stare più
o meno lunghi di brodo. È buono
anche il giorno dopo, impanato e
fritto, e buonissimo in doppia.
⓸ Crema de zuca
Se invece di mettere il riso, allungate di brodo, magari anche con
del latte a ocio: ecco la crema di
zucca. Da servire, già versata nei
piatti, con crostoni di pane furiosamente raspati d’aglio; potete cospargere zucchero e cannella; potete anche versare a spirale un riccio di crema, dal centro del piatto
all’esterno; potete anche cavarvela con il prezzemolo.
⓹ Gnocchi de zuca
Da una bella zucca di un chilo e
mezzo cotta al forno e in questo,
spento, tenuta ad asciugare, ricaverete, ocio a no scotarve curandola, un passato (come per le patate) adagiato in una terrina, non di
plastica. Due uova e semolino di
grano accortamente aggiunto (un
po’ alla volta e solo fino a quando
serve) vi daranno l’impasto, sodo
ma non duro, che poi trasformerete in gnocchi. Passate gli gnocchi
così ottenuti nel retro della gratacasa, spingendoli (delicatamente!) con il fianco esterno del pollice destro come se suonaste una
balalaika. Fate in furia perché dovete immergerli appena sono tutti pronti, in una grande pentola a
trequarti piena di acqua ribollente e salata. Con una cazza da spiumar (mestolo forato) raccoglieteli
quando vengono a galla: è perché
sono cotti. Servite subito con burro fuso e salvia in esso scottata. Il
cuoco o cuoca mangia per ultima.
⓺ Zuca frita & Zuca in Saor
Cuocete, ma non troppo, la zucca. Mondatela dentro e fuori. Tagliate delle fette rettangolari e regolari non troppo grandi ma spesse mezzo centimetro (avete molti scarti, ma potete mangiarli durante la preparazione). Passatele
nella farina de fior e friggetele in
olio di semi. Servite con zucchero
e cannella (ciàpa qua!). Invece di
servirle subito, potete usarle, come
se fossero delle sardele, per fare la
zuca in saor, al modo appunto che
si usa delle sardele (vedi ricetta nel
n. 11 de Il Ridotto), non come alle
sardele alla zucca potete aggiungere zucchero e cannella; come
alle sardele, dell’uvetta passa. ◉
pagina 14 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio
Aldo Alduccio Colferai visto da BRW
☛ continua da pagina 7
quando andò in scena sui palcoscenici illustri della Biennale teatro.
Ballerino sopraffino, astuto
giocatore d’azzardo, abile manipolatore di cocktail ad altissimo tasso alcolico, Alduccio
ha doti naturali di grande comunicatore. Alla sua affabulazione, spesso praticata nell’idioma d’origine, è affidato l’ingrato compito di rispondere urbi et orbi, praticamente ad ogni manifestazione, alla domanda che continuiamo
a sentirci fare da ventisette
anni e alla quale francamente noi non abbiamo più alcuna
voglia di rispondere: «Ma cos’è la Compagnia de Calza?».
Alduccio, affabile, affabula
e spiega, spesso con l’aiuto di
un medaglione-amuleto dalla scritta misteriosa, che porNel Reame dello Zucchero
☛ continua da pagina 12
me mostruoso tosaerba giallo
che avanza verso di voi. Guardando lo sconfinato mare d’erba gigante ho provato ad immaginare come questi agricoltori in ghingheri siano cresciuti in questo isolamento più che
campestre, figli e figlie inzaccherati di generazioni secolari
di coltivatori di canna da zucchero. Da queste parti l’elettricità era cosa rara fino agli anni Cinquanta. Lo zucchero era
una cosa da vendere per tirare
avanti fino alla fine del mese,
non qualcosa da sprecare come dessert. Ho chiesto loro cosa mangiavano da piccoli come dolce.
«Dolci? Non c’erano dolci.»
ha risposto la Regina.
«Eravamo poveri. La merenda era patate dolci e latte.» ha
aggiunto sua Altezza Reale Re
Saccarosio LXV.
«Non gli badi: loro erano ricchi – ha puntualizzato la consorte – sono stati i primi ad
avere l’elettricità. E potevano
anche permettersi le orecchie
di maiale». Un sorriso increspa il suo lieve imbarazzo al ricordo delle oreilles de cochon,
le pig’s ears: una specie di frit-
ta al collo da decenni. A volte comunica anche con segnali di fumo.
Questa attività gli consente talora di esplorare, insieme ai misteri dell’animo umano, anche certe meraviglie del
creato. Egli è infatti dotato di
spiccato senso estetico, scambiato talvolta da certi malintenzionati per volgare interesse di natura più vile. Non
è raro infatti incrociarlo nelle toilette femminili come anche in quelle maschili. Esiste una precisa casistica al riguardo. Lui spiega che non c’è
nulla di strano. Che da sempre
il veneziano doc è stato equivocato, nella sua prorompente virilità, a causa di certe movenze all’apparenza effeminate, nonché per una qual certa
andatura dinoccolata da tipo
da spiaggia, di cui anch’egli è
dotato. Ma «trattasi di ingan-
no», spiega, perpetrato per ingannare appunto nobildonne e
giovincelle, e per rallegrarle a
sazietà dopo averle ingannate.
Così la sorpresa e la felicità saranno maggiori.
Dispensatore professionista di felicità, Alduccio è altresì dispensatore professionista
di storie introvabili e meravigliose. Da «Tenele pule pesce»
a quella «Ma prima fare un po’
di bumba» che è diventata un
classico degli Antichi al pari
della Priorale «Basta con queste anticaglie». Spesso gliela richiediamo. Lui finge di stupirsi. «Ancora? Ma se la sapete a
memoria!». Allora per convincerlo gli diciamo che c’è sempre qualcuno di nuovo che non
la conosce. Lui fa finta di crederci. In realtà è contentissimo
di raccontarla per l’ennesima
volta. Come noi siamo contentissimi di riascoltarla per l’en-
nesima volta. Perché ci piace
davvero. E ci divertiamo a scoprire che ogni volta aggiunge un particolare o addirittura un aggiornamento legato ai
fatti di cronaca. Anche se, per
fortuna, alcuni passaggi-chiave restano sempre memorabilmente identici. Come le mosse
e le smorfie che fa quando spiega come si pratica la bumba,
quando racconta che il capo
tribù «si erse» in tutta la sua
statura, e quando disse «cosa credi, io studiato Harvard»,
per poi concludere: «Bene, bene, avere scelto morte. Ma prima fare un po’ di bumba».
Negli ultimi tempi Alduccio
sta subendo una strana metamorfosi. Non che la cosa ci inquieti. Ma è convinto di essere l’erede spirituale del Conte
Emile Targhetta d’Audiffret.
Non abbiamo alcun motivo
per contraddirlo. ◉
telle ripiene ripiegate per assomigliare ovviamente alle orecchie del maiale ed impregnate di sciroppo di canna marca
«Steens».
«Steens» è una figura prominente della locale mitologia. Sono gli ultimi produttori
locali dello sciroppo di canna.
Questo sciroppo denso, scuro,
che ricorda la melassa ma che è
molto più dolce perché non gli
si toglie lo zucchero da raffinare, è prodotto bollendo dolcemente il succo della canna fino
ad ottenere la consistenza del
caramello. «Ma non lo fanno
più come una volta – ha spiegato più tardi, durante il ricevimento, un Re di una passata edizione – un tempo tagliavano la canna a mano e la lavoravano nei mulini qui; adesso portano su le cisterne di sciroppo già pronto dall’America Centrale». Gli ho chiesto se
ha lo stesso gusto. Ha annuito,
anche se si vedeva benissimo
che odiava ammetterlo.
La festa per l’incoronazione è
andata avanti tutta la notte, ho
incontrato il sindaco, gli asses-
sori, i notabili della città e più
Re e Regine di quanti potessi contare. Si godevano il momento migliore delle loro vite;
e sembravano persino compiaciuti di avermi con loro. ◉
Note
I Cajun, o Acadiani, sono gli abitanti della Lousiana che parlano una specie di francese (detto, varda ti, cajun) e hanno usanze e costumi peculiari. Sarebbero i discendenti dei francesi che vivono in Lousiana, stato statunitense
del Sud che appunto si chiama così da Luigi XIV di Francia (Re Sole, sempre
lui!) e che ha per capitale New Orleans. La Louisiana è stata più volte passata
di mano tra francesi, inglesi, americani e anche spagnoli. Sarebbero i discendenti perché ai primi francesi si sono aggiunti nell’Ottocento numerosi canadesi francofoni e altri europei non anglofoni, più i neri africani importati come
schiavi. Come per i creoli (di cui chissà quando parleremo) il termine non indica quindi una razza ma una unità culturale e linguistica che ha ben poco a che
fare con la discendenza anche se in molti pensano il contrario.
Lo zydeco è una musica da ballo molto divertente e un poco malinconica a
base di fisarmoniche, tavole per lavare i panni modificate in alluminio dal suono più che caratteristico, violino, corni, chitarre elettriche e tutto il resto compresa la batteria; che si suona appunto nei territori Cajun. Assomiglia un poco al blues soul et cetera ma neanche tanto e accoglie influenze da tutti i generi
da ballo, passati presenti e forse anche futuri. Il termine zydeco è la distorsione inglese del francese «les haricots» (i fasioi in venexian). A metà degli anni
‘50 ebbe un momento di grande popolarità con Clifton Chenier con primi successi quali «Les Haricots Sont Pas Salés» (appunto).
Della canna da zucchero e della sua metamorfosi in zucchero di canna parleremo diffusamente in una prossima puntata di A Tavola con I Antichi.◉
(libero adattamento di Colo de Fero)
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venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 15
M
i sentivo malissimo.
Avevo perduto il mio
sottomarino il Sommergibile Rapido ed Invisibile.
Avevo volato nei cieli dei Tropici dentro un pallone aerostatico.
Avevo bevuto cioccolata calda,
alla violetta, al gelsomino, ai fiori d’arancio e all’ylang-ylang, in
tazze di porcellana finissima, nei
cieli dei Tropici. Ero stato edotto su scarpini su misura, giuoco del bridge, e dinastie europee e anche no. Per un marinaio
di sottomarini è contro natura,
ma tantissimo. Le mongolfiere
mi danno il mal d’aria; e l’altezza mi dà le vertigini; la cioccolata calda mi dà acidità di stomaco e i fiori d’arancio il riscaldo.
Avevo chiesto molte volte almeno un goccio di cachaça (foss’anche non Cachaça Bebedera, via)
ma il fido Fedele Michele aveva finto una totale sordità. Ero a
pezzi, disperato e nauseato. Ma
come diceva il mio comandante di lungo corso Vasco Moscoso de Aragão, prima di ammutinarsi (ma questa è un’altra storia): «Um marinheiro não se dobra a tristeza», e mi tirai su.
Sulla piattaforma del Grande
Phinocchio, l’isola galleggiante dell’Invincibile Cilvio, fervevano le attività: bellicosissime.
E un piacevole beccheggio mi
stava aiutando a liberarmi della cioccolata. Dall’alto della torre di comando l’Invincibile Cilvio mostrava orgoglioso il suo
regno di guerrieri, disseminato
sull’isola di ferro perfettamente circolare e perfettamente irta di fallocannoni d’acciaio: –
Ecco, vedete, nessuno può resistere alla mia forza… un attimo
prego…
Un piccione viaggiatore tutto
rosa, uno delle dozzine che interminabilmente lo circondavano svolazzando, gli portò un
nuovo messaggio. Prontamente l’Invincibile lo lesse; vergò
una risposta; arrotolò di nuovo
il foglietto e, infilatolo nell’apposita cartuccia legata alla zampetta dell’alato messo, lo rispedì al mittente. Questa operazione di leggere, rispondere, scrivere e attendere messaggi portati avanti e indietro dalla flotta aerea di rosei piccioni si ripeteva incessantemente, per cui
ROMANZO D’APPENDICE: TERZA PUNTATA
Le avventure del Marinaio Johnny:
Un terribile spavento!
di LUCA COLO DE FERO COLFEAI
Riassunto delle puntate precedenti.
Vedete, signor conte, questi scarpini? Vedo, vedo... Li ho da tantissimi anni, li ho comprati da un signore bravissimo… E li fanno
anche da uomo? Ah, no, assolutamente: questi sono un modello esclusivo solo per me… Ah che belli! Mi ricordo di quella volta
che... Michele, per favore, un altro po’ di cioccolata, alla violetta
adesso, grazie... dicevamo? ... Ma non ci siamo già incontrati, forse lei gioca al bridge... (io:) Non saprei … Se vuole posso raccontarle della mia prima crociera sul Mar dei Sargassi, quand’ero mozzo del Conte Cadaval… Ah, povero duca, ma lo sa che è morto?
Ma come? Ma sì, non ha fatto nemmeno a tempo a sbarcare dopo quaranta giorni di traversata transoceanica che era già morto... Ma come, ma quando? Ma il 22 gennaio del 1808, a Salvador
di Bahia, con il Re don João di Portogallo non si ricorda? Ah, ho
capito; e a Nizza, invece, avete trovato bel tempo?.
E via così: c’erano anche i petit fours.
La flotta dei Drakkar delle Vikinghe Valkirye di Enzo il
Rossiròiss e l’Idrovolante Invisibile dell’Invincibile Cilvio
ve la racconto solo qui, fate finta che interrompa tutti i dialoghi
da qui in avanti.
– Se avete bisogno di una vera forza d’urto, e con il Terribile
Antonio de Jarola ne avrete veramente bisogno, ebbene solo io
posso darvela, una forza d’urto
vera e bestiale. Ecco vedete, sul
Campo di Marte, vedete, quello è il mio Primo dei Sebastiani
che sta addestrando i miei Phroci da Combattimento. Non sono
bellissimi?
Sul ponte circolare detto Campo di Marte, del diametro impossibile di decine e decine e
ventine di metri, cinquecentocinquantacinque uomini a torso nudo e in braghette di organza rosa si muovevano sincro-
nizzati, in geometriche file e righe, agli ordini di Sebasex, Primo dei Sebastiani, in piedi su un
podio floreale. A gambe divaricate, i cinquecentocinquantasei
energumeni infilavano lentamente il pugno destro nella mano sinistra, al suono di tamburi
e buccine.
– Cos’è quello? - esclamò il
Corsaro Rosa.
– È il Pugno della Morte, una
mossa segreta e mortale, pericolosissima – spiegò l’Invincibile – l’ideale contro le guardie
dell’Imperatore Carlobullo, le
spie della Compagnia delle Indie e gli sgherri di Don Antonio
de Jarola. Quasi nessuno sfugge
al Pugno della Morte.
Un rombo di tuono, un’enor-
me scia di fumo pestilenziale (che aiutò moltissimo il beccheggio del Grande Phinocchio
nel duro compito di liberarmi
dalle cioccolate del Conte Emile) ci travolsero assordandoci e
accecandoci.
– E questo cos’è adesso? – gridò impaurito il Corsaro Rosa.
– È l’Idrovolante Invisibile del
mio Primo dei Sebastiani, Sebazorzi. Solo io possiedo un Idrovolante Invisibile armato di fallocannoncini a ripetizione senza
rinculo, e qualcuno anche con il
rinculo. Devo dire che non sono
riuscito ancora a rendere invisibile il fumo e inudibile il rombo,
ma ci sto provando, tantissimo
tantissimo tantissimo…
Approfittando della caligine
e del frastuono ero riuscito finalmente a liberarmi di tutta la
cioccolata, espellendola fuoribordo con furibondi e liberatori conati, anche il Corsaro Rosa ne approfittò, per chiedermi
sottovoce: – Ma cosa sono tutti
questi uccelli che gli svolazzano
intorno?
– Piccioni viaggiatori, portano
i messaggi delle sue Settantasette Mogli, le famose Ultime Vergini – risposi.
– Ma come Ultime Vergini, se
sono Settantasette Mogli? – come al solito senza creanza, invece di chiederlo a me, lo chiese
all’Invincibile.
– Non vorrete mica che vada a
letto con una donna, per di più
sposata, no? Per quello ci sono
gli Eunuchi!
Inutile chiedere spiegazioni, in
quel momento tra il fumo che si
dissipava apparve come miraggio l’aviatore d’idrovolante, Sebazorzi, in perfetta tenuta di volo, occhialoni e pashmina rosa.
– Guardatelo, non è un amore? Questo è il mio capo delle
Operazioni Super Segrete, operazioni segrete così segrete che
non solo io, ma nemmeno lui,
sappiamo che cosa sono. È fantastico! Che uomo!
Dietro di lui, a pena nascosto
dallo snello Sebazorzi, salutava vezzoso John Matthews, la
più Grande Ballerina Uomo dei
Sette Mari: – Ciao ragazzi! Sono
qui per la Danza dei Sette Veli, in
tournée speciale!
Sembrava che tutto si fosse
pagina 16 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio
messo finalmente per il meglio:
due Primi Sebastiani (Sebasex
e Sebazorzi) cinquecentocinquantacinque Phroci da combattimento, con il Pugno della
Morte, un Idrovolante Invisibile; e tutta la forza d’urto, ma vera e maschia, dell’Invicibile Cilvio. Ci saremo pappati don Antonio in un sol boccone, avremo liberato il Principe Maurice
dalle segrete e dalle torture e, in
men che non si dica avremo disseppellito il Tesoro di Zane Cope! E comprato alcune, anzi molte, casse di Cachaça Bebedera!
Gli occhi del Corsaro Rosa
brillavano di gioia e di anticipazione. E anche i miei.
Fu proprio allora che arrivò
l’urlo.
Non era un proprio urlo, era
più come se si fossero spalancate le porte dell’inferno e tutti
i diavoli ne stessero uscendo veramente indemoniati, e tutte le
anime dei dannati uscissero anch’esse urlando veramente indemoniate: da est, da ovest, da nord
e da sud. Ma più da est, dove una
nube nera nera copriva l’orizzonte e si alzava contro il cielo
come un velo di terrore. E quell’urlo poco a poco, ma non lentamente si articolò, e dalle boc-
che dei diavoli e dei dannati, tutti indemoniati, uscirono dei suoni ch’erano parole, e che paura: –
Rossi-rossi-rossi rossi-rossi-rossi
rossi-ROISS – diceva quel grido.
E sotto la nuvola che adesso arrivava a coprire metà cielo si distinguevano vele rosse e teste di
drago, veloci veloci e sempre più
vicine.
Il Corsaro Rosa mi guardò,
io guardai il Corsaro Rosa: ci
guardammo. Poi John Matthews guardò il Corsaro Rosa e me, e io e il Corsaro Rosa
guardammo John Matthews: ci
guardammo.
L’Invicibile Cilvio sbiancò e
gridò: – NO! Enzo! È lui! È qui!
È qui per le mie Ultime Vergini,
le mie dolci illibatissime Settantasette Mogli! O miei Sebastiani!
O miei Phroci da Combattimento! All’armi, all’armi! Difenderemo il Grande Phinocchio fino
alla morte!
E in un subito la nube nera fu
su di noi. La flotta dei Drakkar
di Enzo cozzò le prore contro
le murate di ferro del Grande
Phinocchio, penetrandole come burro. Dalle navi piovvero
ovunque vulve infuocate lanciate dalle catapulte e dalle baliste di bordo. E dopo la pioggia
di vulve di fuoco, dalle fiancate delle brutali navi dalla testa
di drago discesero le biondissime altissime fortissime Vikinghe Valkirye, e in testa, ebbro
di guerra e di bottino Enzo, detto il Rossiròiss, gridava: – Ilze!
Brunilde! Thrud! Hildr! Sigrdrífa! Sigrún! Sváva! Laura! All’arrembaggio! A me le Vergini!
Sterminare! Sterminare! Sterminare! STERMINARE!
I cinquecentocinquantacinque
Phroci da Combattimento, i due
Primi Sebastiani e Cilvio l’Invincibile con tutti i suoi piccioni viaggiatori si gettarono contro le Vikinghe Valkirye e Enzo detto il Rossiròiss. Lo schianto fu immane: Pugni della Morte, Mazze Iconovulvate, ma anche pugnali, scimitarre, spade,
fioretti e un plateau di francesine appena arrivate dalle cucine.
E i fallocannoni eruttavano ogive testicolate e le baliste rispondevano con altre vulve infuocate. Urla di battaglia si frammischiavano a grida di dolore e anche qualche gemito di piacere.
In men che non si dica il Marinaio Johnny (che sono io) e il
Corsaro Rosa (che è lui) eravamo a bordo dell’Idrovolante Invisibile. Trovato il pulsante, ac-
cesi i motori.
– Magnifico! Sai pilotare anche gli aerei! – disse il Corsaro
Rosa.
– Assolutamente no! – risposi.
– Ma allora?
– Allora: è invisibile, va su per
l’aria. È come un sommergibile,
solo al contrario!
E decollammo.
Una vocina venne da dietro: –
Ragazzi. [pausa] Ragazzi. [pausa] Ragazzi. [pausa] Ragazzi‼!
Il Corsaro Rosa: – Ma è John
Matthews, la più Grande Ballerina Uomo dei Sette Mari! Ma
come mai qui?
In un turbine di tutù John
Matthews disse: – Posso scappare con voi? Ho tanta tanta tanta tantissima paura! Davvero!
Quei ferocissimi Phroci, e quelle orribili Vikinghe Valkirye, e
quel Rossiruass! Che omaccione! Che paura!
Cercai di puntualizzare: – Si
dice Rossiròiss, non Rùass!
Il Corsaro Rosa chiede: – Ah,
non è francese?
Risposi: – No, per niente. E per
aggiunta è pazzo per la vulva.
John Matthews chiese, sbalordito: – La vulva?
In coro: – Mammamia, che impressione!
(continua..)
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E
E
22 settembre
Estate
fine
23 settembre
Autunno
inizio
SETEMBRE
MMVIII
g
f
Vergine
23 agosto
22 settembre
Bilancia
23 settembre
22 ottobre
LUNI
1
5.43
MARTI
06:06 -31
12:34 +71
2
18.59
Ottaviano
B.V. del Sasso – s. Egidio
s.
18:37 -09
8
Nascita di Maria
s. Sergio – s. Natalia
01:09 +05
13:42 +43
s.
MERCORE
3
Elpidio – s. Willi
s. Gioventino
00:20 +57
06:28 -24
12:55 +69
19:05 -09
9
Eustachio
s. Gorgonio – s. Osanna
s.
02:46 -03
11:29 +41
16:25 +33
19:09 +35
ZIOBA
Martino
s. Gregorio Magno
s.
00:49 +51
06:48 -16
s.
13:14 +67
19:34 -08
s.
VENERE
4
Rosalia – s. Rosa
s. Savino
01:16 +43
07:02 -08
5
Baudo – s. Giordano
s. Lorenzo Giustinian
s.
13:32 +63
20:06 -05
01:44 +34
07:10 +01
13:48 +59
20:43 -01
SABO
DOMENEGA
6
7
Regata Storica
s. Donio – s. Vivenzio
Saffiro – s. Consolata
s. Niva – s. Eva – s. Petronio
s.
02:13 +25
07:03 +08
14:01 +54
21:39 +04
02:56 +15
06:01 +13
14:08 +49
10 11 12 13 14
Leonino – s. Pulcheria
s. Nedora – s. Nicola
03:16 -10
10:45 +45
15:59 +26
20:40 +41
Diomede – s. Proto
Adelfio – s. Vinciana
s.
s.
03:41 -17
10:40 +51
s.
16:11 +16
21:25 +48
s. Nome di Maria
Liliana – s. Verenzio
04:05 -22
10:48 +57
16:31 +07
22:02 +54
s.
s. Maura – s. Ligorio
Giovanni Crisostomo
04:29 -26
11:02 +63
16:55 -02
22:35 +58
s.
Rosella – s. Croce
s. Placilla
04:54 -28
11:21 +69
17:21 -10
23:08 +61
15 16 17 18 19 20 21
6.05
18.30
05:19 -28
11:41 +73
17:49 -16
23:40 +61
Cornelio e …
Milla – s. Betta
s s.
B.V. Addolorata
s.
05:44 -25
12:04 +75
18:19 -20
s.
s. Ilde
Roberto Bell…
00:14 +58
06:10 -21
12:29 +75
18:52 -21
s.
s. Enna – s. Sofia
Centina – s. Giuseppe
00:48 +53
06:35 -14
12:55 +73
19:28 -19
s.
Guglielma – s. Gennaro
s. Arnolfo – s. Peléo
01:26 +46
07:01 -05
13:23 +68
20:09 -15
s.
Filippa – s. Candida
s. Eustachio
02:12 +37
07:24 +05
13:52 +61
21:02 -09
s.
Bernarda – s. Giona
s. Matteo
03:20 +28
07:42 +16
14:24 +53
22:28 -04
22 23 24 25 26 27 28
s.
Maurizio
s.
Rebecca – s. Dono
00:47 -05
09:26 +39
15:16 +42
14:20 +31
18:29 +36
29 30
s.
Michele
05:08 -22
11:27 +72
17:43 -19
23:39 +57
s.
Girolamo – s. Onorio
s. Demiro
05:32 -17
11:47 +72
18:10 -21
s.
B.V. della Merc…
Pacifico – s. Coprio
02:13 -11
09:36 +49
15:17 +20
20:17 +41
1
s.
s. Aurelia
Nicolao de F…
03:02 -18
09:57 +57
15:50 +09
21:14 +48
2
Ss. Cosma e Damiano
s. Amanzio
03:40 -23
10:20 +64
16:20 -01
21:57 +53
3
Fidenzio
Vincenzo
s.
s.
04:12 -25
10:43 +69
16:49 -09
22:33 +57
4
s.
Venceslao – s. Salonio
04:42 -25
11:06 +71
17:16 -15
23:07 +58
5
compagnia de calza «i antichi» venezia
IL RIDOTTO DE I ANTICHI 30124 san marco 2674 campo san maurizio
Di questi giorni, tanto tanto tanto tempo fa...
Settembre 976 – Viene nominato il
Settembre 991 – viene eletto Pietro II
ventitreesimo doge: Pietro Orseolo I
Orseolo (960 circa – 1009) ventiseiesiche rimarrà in carica fino al 978 per
mo doge. Era figlio del ventitreesimo
poi ritirarsi, non si sa quanto di spondoge Pietro I Orseolo. Fu eletto dall’asQuesto
tanea volontà e quanto fortemente
semblea popolare quando aveva apmese ricordiamo le
consigliato, a vita monastica sui Pirenei. Pietro I Orseopena trent’anni (a quell’epoca di uomini rudi si diventafigure di due dogi medielo fu eletto a doge nella basilica di Olivolo, san Pietro
va potenti giovani) ed è considerato uno dei più capaci
vali d’importanza capitale nella
di Castello, all’età di quarantotto anni. Discendente
ed intraprendenti dogi. Senza di lui la storia della Serestoria di Venezia. Uguali ma diverdella romana «gens ursia» che a Venezia era in realnissima sarebbe stata decisamente diversa. Abile disi, l’uno primo e l’altro secondo, uno il plomatico, nel marzo del 992 ottenne dagli imperatotà una famiglia di patrizi, mercanti, guerrieri, condottieri, dogi, patriarchi, vescovi (e poi anche san- padre, l’altro il figlio, l’uno religiosissi- ri d’oriente Basilio e Costantino una crisobolla (bolti) succedette a Pietro IV Candiano, il doge che vole- mo e piissimo, l’altro rudissimo e gran- la d’oro, ossia un trattato con concessioni di oligova trasformare la Repubblica in una monarchia eredissimo, l’uno santo, l’altro guerriero, polio e monopolio più o meno estorte con la persuaditaria legata all’Impero e che per questo fu stanato
sione, la forza, l’inganno) che confermava precedenil primo ricostruttore e rinunciatore,
dal Palazzo Ducale con il fuoco e poi inevitabilmenti privilegi commerciali ed immunità (soprattutto nel
il secondo conquistatore e fondate ucciso assieme al figlioletto tramite profonda incicommercio del sale); lo stesso trattato fu concesso daltore, ma entrambi Orsi.
sione della gola di entrambi mediante lama affilata. L’inl’imperatore d’occidente Ottone III il 19 luglio 992 (all’epocendio però si era propagato, fuori controllo, e il fuoco aveca Ottone III aveva dodici anni). Inoltre concluse accordi di
va poi distrutto gran parte della città. Pietro I Orseolo s’inpace e commerciali con i vescovi di Belluno, Ceneda, Trevicaricò della ricostruzione cittadina, del palazzo ducaso e con molti stati saraceni, tutte cose di piccolo conle e della Basilica di San Marco, nella quale fece porto ma di grandissimi fastidi. A simboleggiare la ritrore in luogo segreto le ossa dell’evangelista (tanto sevata armonia con l’Impero, Pietro II convinse l’impegreto che andarono poi perse per alcuni secoli). Fece
ratore (nel 996 a Verona) a fare da padrino per il batinoltre costruire due ospedali. Dalla moglie Felicia, fortesimo il terzo figlio (che fu chiamato ovviamente Ottose Malipiero o forse Badoer, ebbe due figli un maschio
ne). In quell’anno Pietro II Orseolo iniziò le operazioni
e una femmina: del primo qui sotto, mentre la figlia anbelliche marine che originarono, nell’arco di alcuni andò in sposa a Giovanni Morosini (altra famiglia di pani, la gloria veneziana e che sono oggi ricordate, un po’
trizi, mercanti, dogi, guerrieri, ma non santi). Mosso da
malinconicamente invero, con lo Sposalizio con il Mare.
compassione ma più dalla necessità politica, Pietro OrseoNell’Adriatico si affacciava una nuova potenza marittima
lo assegnò alla moglie del suo predecessore Waldrada tutsbrigativamente chiamata Pirati Narentani (dal fiume Nato il patrimonio del defunto: la vedova era sfuggita alle esecurenta, in croato Neretva, alla cui foce in Dalmazia si trovazioni sommarie che le avevano estinto la famiglia e si era rifuno isole ed isolette al tempo dette Pagania). Contro di loro Piegiata presso l’imperatrice madre Adelaide, vedova di Ottone I: la
tro II organizzò una spedizione navale; i narentani, sconfitti, tentaconcessione aveva lo scopo di ammansire l’impero germanico. Il 12 ottorono l’espansione ai danni delle popolazioni dalmate, che si rivolsero a Venebre 977 Pietro Orseolo ottenne dalla città di Capodistria il rinnovamento dei
zia. Stavolta si organizzò alla grande (per la prima volta la flotta veneziana ispatti precedenti, i cui documenti erano andati bruciati nell’incendio del palaz- sò il gonfalone): nel 998 o nel 1000 i narentani furono annientati, messe a ferro e
zo ducale (snodo cruciale della storia patria). Nella notte del 1 settembre del 978 a fuoco Lissa, Curzola e Lagosta, risalito persino il fiume Narenta; la Dalmazia
il doge, in incognito, fuggì da Venezia. Era un epoca in cui i dogi venivano de- e l’Istria divennero protettorati di Venezia. Il doge assunse il titolo di duca delstituiti brutalmente anche per motivi di minor conto di quelli che posero fine ai la Dalmazia (Dux Dalmatiae) ed ebbe così tra l’altro origine la festa dello Sposogni dinastici dei Candiano, ma nulla si oppone all’ipotesi di una vera ascesi salizio del Mare, poi codificata dal doge Sebastiano Ziani nel secolo successivo.
mistica. Pietro Orseolo seguì l’abate Guarino dell’Abbazia benedettina di San Ottenuta la supremazia adriatica, nel 1002 intervenne in soccorso dei bizantiMichele di Cuxa per ritirarsi a vita monastica sui Pirenei Orientali. Qui visse a ni a Bari, assediata dagli Arabi. Si fece riconfermare i privilegi commerciali dal
lungo, dedito ad esercizi di penitenza. Morì in qualche data compresa tra il 982 nuovo imperatore d’occidente Enrico II e gli fece tenere a battesimo, ancora a Vee il 997 e fu sepolto nel chiostro della chiesa. Proclamato beato nel 1027, il suo rona (che gera più comodo par tuti e teren neutro) l’ultimo figlio, Enrico. Ottencorpo venne portato all’interno della chiesa di Cuxa. Il 6 dicembre 1644 le sue ne la benedizione del Patriarca di Aquileia, del Patriarca di Grado, e del papa Silossa, chiuse in una cassa di legno dorato, vennero collocate su un altare dedi- vestro II; che con la Chiesa del tempo, diplomaticamente erano un risultato socato a San Romualdo, cui venne aggiunto anche il suo nome. Nel 1731 fu pro- praffino. Di battesimo in matrimonio: riuscì a combinare le nozze tra il figlio Gioclamato santo: a Venezia, come reliquia del doge santo, furono spedite tre os- vanni e Maria Argira, nobildonna bizantina, con presenza dell’imperatore Basa della gamba sinistra; giunsero nel 1732 ed il 7 gennaio 1733 vennero deposte silio II, Βασιλεὺς τῶν Ῥωµαίων. Gloria e vittoria lo convinsero della bontà delin un’urna d’argento, nella Basilica. Il
la trasformazione della Repubblica in
7 febbraio 1732 si svolse una sontuosa
una monarchia dinastica (anca elo, ma
cerimonia, ed alla messa solenne canxè una mania!) ovviamente a benefitò il celebre sopranista Farinelli. Da
cio della propria famiglia e nel 1004 si
questa data, il senato stabilì che il 14
associò Giovanni come reggente, così
gennaio di ogni anno si svolgesse una
che gli succedesse nella carica. Ma una
«
»
messa solenne, alla presenza del dobreve e feroce pestilenza, nel 1007, conge, in cui venivano esposte le reliquie
dusse ad improvvisa morte Giovanni e
di San Pietro Orseolo. Un suo ritratto
Maria. Rifece il tentativo con Ottone,
è conservato nella chiesa dell’Assunta
che fu successivamente eletto doge con
È DIVERTENTE
annessa alla Ca’ di Dio da lui fondata;
effetti disastrosi e anche ridicoli, e perE ANCHE
un mosaico del XIII-XIV secolo neltanto cacciato con ignominia e barba
INTELLIGENTE
la cappella del battistero della basilica
rasata. Al figlio più anziano, Orso, ladi San Marco lo raffigura vestito da
sciò la cattedra di Patriaca di Torcello,
monaco e con il corno ducale in macon uguali risultati negativi e fuga preno. Al suo ritratto, nella galleria dei
matura. Ricostruì Grado, la cattedrale
dogi del palazzo ducale, fu aggiundi S. Maria a Torcello, abbellì Eraclea,
ta l’aureola dopo la canonizzazione.
la Basilica e il Palazzo Ducale. Pietro
La moglie Felicita non fu dichiaraII Orseolo morì di morte naturale nel
ta beata dalla Chiesa, ma è compresettembre del 1009 e fu sepolto nelsa in un elenco di beati veneziani. ◉
la chiesa veneziana di San Zaccaria. ◉
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IL RIDOTTO
DE I ANTICHI
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