INTRODUZIONE ALL`ECOLOGIA STATISTICA
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INTRODUZIONE ALL`ECOLOGIA STATISTICA
INTRODUZIONE ALL’ECOLOGIA STATISTICA Piero Quatto Dipartimento di Statistica, Università degli Studi di Milano – Bicocca ECOLOGIA STATISTICA L’ecologia è lo studio della distribuzione di animali e piante e delle loro interazioni con l’ambiente, inteso come insieme di organismi viventi e materia inorganica. L’ecologia statistica concerne l’insieme dei problemi dell’ecologia che trovano soluzione grazie alla statistica. Tra questi problemi, i più rilevanti (ed attuali) riguardano principalmente lo studio di indicatori ambientali per il controllo del territorio, come le misure di biodiversità, e l’analisi delle dinamiche di popolazioni biologiche, mediante modelli statistico-matematici discreti e continui. BIODIVERSITÀ Il termine biodiversità (o diversità biologica) si riferisce alla variabilità delle forme di vita che caratterizza il nostro pianeta. Il modo più semplice (e sommario) di misurare la biodiversità di un territorio consiste nel contare le specie presenti (naturalmente, restringendo l’attenzione a quelle ritenute d’interesse). Il numero di specie (detto anche ricchezza di specie) rappresenta, però, soltanto un aspetto del concetto generale di biodiversità, che si manifesta a più livelli, 1 comprendendo la diversità genetica all’interno di una stessa specie (chiamata biodiversità intraspecifica), la diversità delle specie appartenenti ad un ecosistema (biodiversità specifica) e la diversità degli ecosistemi (biodiversità ambientale). La biodiversità riguarda, dunque, la diversità genetica all’interno di una popolazione, il numero e la distribuzione delle specie in un territorio, nonché la differenziazione degli ecosistemi all’interno di un ambiente. MISURE DI BIODIVERSITÀ Come anticipato precedentemente, il modo più semplice di misurare la biodiversità di una comunità biologica consiste nel contare le specie presenti. Anche restringendo l’attenzione alle sole specie ritenute d’interesse primario, la stima della ricchezza di specie di un ecosistema comporta un notevole sforzo organizzativo, che implica la raccolta di un campione di organismi rappresentativo di tutte le specie d’interesse e il riconoscimento della specie alla quale appartiene ogni singolo esemplare. D’altro canto, tale campione fornisce ulteriori informazioni statistiche e, precisamente, le frequenze relative delle diverse specie, ovvero le percentuali secondo le quali le varie specie sono presenti nel campione (e, di conseguenza, nella popolazione, se il campione ne è rappresentativo). Tali frequenze relative concorrono, insieme al numero di specie, a definire il grado di diversità biologica di un ecosistema. Infatti, se si considerano due differenti comunità, ciascuna contenente 10 specie, la prima caratterizzata da specie aventi tutte la stessa percentuale (10% del totale) e la seconda dominata da una specie con il 99% degli organismi e le restanti nove specie concentrate nel rimanente 1%, allora è intuitivo attribuire un maggior grado di diversità alla prima comunità. Con l’obiettivo di misurare la diversità ecologica in modo più articolato rispetto all’impiego del semplice numero delle specie, sono stati introdotti alcuni indici di biodiversità basati sulle frequenze relative delle singole specie. Il problema di misurare la diversità (detta anche mutabilità o eterogeneità) non riguarda solo l’ecologia, ma molte altre discipline, come ad esempio la teoria dell’informazione, nell’ambito della quale Hartley, Shannon e Weaver hanno definito il contenuto informativo di un messaggio costituito da diversi simboli sulla base della diversità del messaggio 2 medesimo (per esempio, un messaggio formato da un solo simbolo è meno informativo di uno contenente molti simboli). In seguito, Margalef (1958) ha applicato le idee di Shannon e Weaver (1949) alle discipline ecologiche. Al fine di studiare la biodiversità di un ecosistema, si supponga di avere raccolto (senza privilegiare particolari specie o aree) un campione di n organismi (chiamati individui), classificati in s specie distinte (dette anche categorie o modalità). Indicato con nj il numero di organismi appartenenti alla specie j (j = 1,...,s), si ha che ∑nj = n . Analogamente, definite le numerosità relative (o proporzioni campionarie) pj = nj / n (j = 1,...,s), risulta ∑pj = 1 e ciascuna frequenza relativa pj può interpretarsi come la probabilità che un organismo scelto a caso appartenga alla specie j (ammettendo la rappresentatività del campione). Si ottiene, così, il vettore p = (p1,...,ps) che descrive completamente la distribuzione degli n individui nell’ambito delle s categorie. Per misurare il grado di biodiversità dell’ecosistema considerato, è possibile sintetizzare il vettore delle frequenze relative mediante un opportuno indice di biodiversità, che consiste in una funzione (di s variabili reali a valori non negativi) Is = Is (p1,...,ps) ≥ 0 soddisfacente alle seguenti condizioni: (B0) l’indice non tiene conto delle specie con frequenza nulla (un tale indice si dice 0indifferente), ossia Is (p1,...,ps) = Is+t (p1,...,ps,0,...,0); (B1) l’indice assume il valore minimo se tutti gli organismi appartengono ad una stessa specie, ovvero se 3 ∃i ≤ s pi = 1; (B2) fissata la ricchezza di specie s, l’indice Is raggiunge il massimo, denotato con max(Is), in corrispondenza della situazione di equidistribuzione (che si realizza quando p1 = p2 = ... = ps = 1/s), ossia Is (1/s,...,1/s) = max(Is); (B3) tale valore massimo dell’indice Is cresce all’aumentare del numero di specie s, ovvero, visto come funzione della variabile s, max(Is) = f(s) è strettamente crescente. Queste condizioni non definiscono, però, un unico indice di diversità, dato che esistono infinite funzioni soddisfacenti a (B0-3) (la dimostrazione è un facile, ma utile, esercizio). D’altronde, le misure di biodiversità più utilizzate sono l’indice di Gini e l’entropia. INDICE DI GINI L’indice di Gini (1912) è stato impiegato da Simpson (1949) per misurare la diversità biologica di un ecosistema tramite la probabilità che due organismi scelti a caso non appartengano alla medesima specie. Ad esempio, la probabilità che due alberi presi a caso non siano della stessa specie è molto più alta nella foresta amazzonica che in un bosco della Val di Susa. Dunque, indicata con Gs la probabilità che due individui estratti con reinserimento da una comunità (formata da s categorie di individui) non appartengano ad una medesima categoria, si ottengono le note formule dell’indice di Gini Gs = ∑ pj (1 − pj) = 1 − ∑ pj2 = 1 − |p|2 (le dimostrazioni sono lasciate per esercizio). 4 Evidentemente, l’indice di Gini è compreso tra 0 e 1 (rappresentando una probabilità), è 0-indifferente ed assume il valore minimo (pari a 0) se e solo se ∃i ≤ s pi = 1 (le dimostrazioni sono lasciate per esercizio). Inoltre, sotto i vincoli ∑pj = 1 e 0 ≤ pj ≤ 1 (j = 1,...,s), l’indice di Gini è massimo quando è minima la lunghezza |p| del vettore p = (p1,...,ps); quindi, per trovare tale punto di minimo vincolato, occorre determinare il vettore con lunghezza minima tra i vettori aventi proiezione ortogonale su u = (1,...,1) data da p⋅(u / |u|) = 1 / √s. Basta ricorrere alla rappresentazione geometrica del problema per vedere che la soluzione è fornita dal vettore parallelo a u p=λu con il coefficiente λ=1/s ricavato sostituendo p=λu in p⋅(u / |u|) = 1 / √s. Ne discende che, sotto i vincoli posti, le coordinate pj = 1 / s (j = 1,...,s) individuano il punto in cui la funzione |p|2 assume il valore minimo |p|2 = 1 / s e, di conseguenza, l’indice Gs raggiunge il massimo pari a max(Gs) = 1 – 1/s = (s – 1) / s, che risulta strettamente crescente rispetto alla variabile s. 5 Se ne conclude che Gs, soddisfacendo alle condizioni (B0-3), costituisce un indice di biodiversità. Si consideri ora un campione casuale di n organismi estratti con reinserimento da una popolazione biologica formata da s specie di interesse e si denoti con θj la proporzione di individui appartenenti alla categoria j (j = 1,...,s) nella popolazione studiata. In corrispondenza di ciascuna specie j si può, così, definire la variabile casuale Xj che rappresenta il numero di individui della categoria j (j = 1,...,s) rinvenuti nel campione selezionato. Si ottiene, in tal modo, il vettore casuale (X1,...,Xs) caratterizzato dalla distribuzione multinomiale con parametri n;θ1,...,θs definita mediante la funzione di probabilità s s n! x θ j j : ∑ x j = n, x j ∈ N ∏ P( X 1 = x1 ,..., X s = x s ) = x1!...x s ! j =1 j =1 0 : altrimenti. Se il parametro γ da stimare è dato dall’indice di Gini relativo alla popolazione considerata γ = 1 − ∑ θj 2 , allora lo stimatore naturale per γ è fornito dall’indice di Gini calcolato sul campione estratto G = 1 − (∑ Xj2) / n2. Per stabilire se lo stimatore proposto è corretto per γ, ovvero riesce a cogliere in media l’ignoto valore del parametro, occorre calcolare il valore atteso di G, che risulta E(G) = 1 − [∑ E(Xj2)] / n2 = γ (n – 1) / n < γ, avendo Xj (j = 1,...,s) distribuzione binomiale con parametri n,θj ed essendo, pertanto, E(Xj2) = E(Xj)2 + Var(Xj) = nθj + n(n – 1) θj2 (lo sviluppo dettagliato dei calcoli è lasciato per esercizio). 6 Dunque, anche se G non è corretto per γ, è comunque possibile correggerlo, moltiplicando per il fattore di correzione n / (n – 1), così da costruire lo stimatore corretto per il parametro d’interesse G’ = G n / (n – 1) = 1 − [∑ Xj (Xj − 1)] / [n (n – 1)] (lo sviluppo dettagliato dei calcoli è lasciato per esercizio). ENTROPIA L’indice di Hartley-Shannon-Weaver deve il nome di entropia al matematico Von Neumann, come lo stesso Shannon ha avuto modo di raccontare: «Dato che il termine informazione era fin troppo usato, decisi di chiamarlo incertezza, ma quando ne discussi con John Von Neumann, egli ebbe un’idea migliore. Mi disse che avrei dovuto chiamarlo entropia, per due motivi: “Innanzitutto, la tua funzione d’incertezza è già nota nella meccanica statistica con quel nome. In secondo luogo, e più significativamente, nessuno sa bene cosa sia l’entropia, cosicché sarai sempre in vantaggio nelle discussioni”». L’entropia di un ecosistema è definita come Hs = -∑ pj log(pj) = ∑ pj log(1 / pj) (dove log indica il logaritmo naturale). Chiaramente, tale indice risulta non negativo, è 0-indifferente ed assume il valore minimo (0) se e solo se ∃i ≤ s pi = 1, avendo posto, per convenzione, 0 log (0) = 0 (le dimostrazioni sono lasciate per esercizio). Inoltre, si può provare (ricorrendo al metodo dei moltiplicatori di Lagrange) che, sotto i vincoli ∑pj = 1 e 7 0 ≤ pj ≤ 1 (j = 1,...,s), l’entropia è massima in presenza di equidistribuzione, ossia se pj = 1 / s (j = 1,...,s) e che il corrispondente massimo è dato dalla funzione strettamente crescente in s max(Hs) = [∑ log(s)] / s = log(s). Ne consegue che Hs, soddisfacendo alle condizioni (B0-3), rappresenta un indice di biodiversità. In particolare, dalla disuguaglianza (da dimostrare per esercizio) log(1 / p) ≥ 1 – p valida per p compreso fra 0 e 1, deriva che, rispetto all’indice di Gini, l’entropia dà più peso alle specie rare, ovvero a quelle specie caratterizzate da frequenze relative estremamente basse. Se ne deduce che il valore dell’indice di Gini non può superare quello dell’entropia, ossia Hs ≥ Gs. INDICI NORMALIZZATI Gli indici di biodiversità contemperano due distinti aspetti della diversità biologica: il numero delle specie presenti nell’ecosistema studiato e la distribuzione degli organismi nelle varie specie. Al fine di separare questi due punti di vista, concentrando l’attenzione sul secondo, si introduce l’indice normalizzato, corrispondente al generico indice di biodiversità Is, come rapporto Inorm = [Is – min(Is)] / [max(Is) – min(Is)]. Tale indice può variare nell’intervallo [0,1] e assume il valore 0 in presenza di un’unica specie ed il valore 1 se la comunità biologica è equidistribuita, prescindendo dalla ricchezza di specie s (le dimostrazioni sono lasciate per esercizio). 8 In particolare, l’indice di Gini normalizzato è definito come Gnorm = Gs / max(Gs) = [s / (s – 1)] ∑ pj (1 − pj), mentre l’entropia normalizzata è data da Hnorm = Hs / max(Hs) = Hs / log(s) = -∑ pj log s (pj). NUMERO DI SPECIE EQUIVALENTE In un ecosistema con s specie, dove la biodiversità è misurata con l’indice Is, il numero di specie equivalente rappresenta il numero r di specie, che se equidistribuite, produrrebbero un valore max(Ir) pari al valore osservato dell’indice stesso, ossia r è definito mediante l’equazione max(Ir) = Is, che si risolve come r = f -1(Is), dove f -1 è l’inversa della funzione f(r) = max(Ir), strettamente crescente per la condizione (B3). Si prova facilmente che il numero di specie equivalente soddisfa alle condizioni (B0-3) e che r≤s (le dimostrazioni sono lasciate per esercizio). In particolare, il numero di specie equivalente basato sull’indice di Gini si ottiene risolvendo, rispetto all’incognita r, l’equazione 1 – 1/r = max(Gr) = Gs, che conduce a r = 1 / (1 – Gs) = 1 / ( ∑ pj2 ), denominato indice di Laakso-Taagepera. 9 Si tratta di un indice di biodiversità che, però, è stato introdotto nel 1979 dai politologi Laakso e Taagepera per contare “il numero effettivo di partiti” sulla base dei seggi ottenuti in parlamento. Infine, il numero di specie equivalente relativo all’entropia è definito tramite la soluzione r = exp(Hs) = ∏ pj-pj dell’equazione log(r) = max(Hr) = Hs (lo sviluppo dettagliato dei calcoli è lasciato per esercizio) e prende il nome di indice di biodiversità di Mac Arthur, ma è anche noto come indice di eterogeneità di Leti. DINAMICA DI POPOLAZIONI BIOLOGICHE Nell’analisi della biodiversità, come nello studio di molti altri aspetti di un ecosistema, riveste un ruolo fondamentale la conoscenza del numero di organismi appartenenti ad una specie d’interesse, il quale, naturalmente, può variare nel tempo. Più precisamente, la dinamica di una popolazione biologica consiste nello studio dell’evoluzione temporale della numerosità di tale popolazione, mediante opportuni modelli statistico-matematici(detti anche sistemi dinamici). Questi modelli sono definiti discreti o continui a seconda della natura discreta o continua della variabile temporale impiegata per descrivere la dinamica. In particolare, le due classi di sistemi dinamici più note sono rappresentate dai modelli di Malthus (1798) e di Verhulst (1838). MODELLO DI MALTHUS Il modello esponenziale per la crescita delle popolazioni umane è stato proposto da Malthus nel celebre “Saggio sul principio di popolazione” (1798) ed è stato esteso alle 10 popolazioni animali in occasione della prima esposizione della teoria dell’evoluzione di Darwin (1858). Si supponga che la popolazione biologica d’interesse sia omogenea (ossia formata da organismi appartenenti alla medesima specie) e isolata (ovvero caratterizzata dall’assenza di interazioni rilevanti con altre popolazioni). Indicato con xt l’ampiezza della popolazione (o la biomassa) al tempo t = 0,1,2,..., il sistema dinamico discreto di Malthus è definito dalla progressione geometrica xt+1 = ρ xt con ragione ρ = xt+1 / xt > 0. Ragionando ricorsivamente, si ottiene che xt = x0 ρt (la dimostrazione è lasciata per esercizio), dove x0 è il numero di individui presenti all’inizio dello studio (t = 0). Questa formula fornisce l’ampiezza della popolazione prevista dal modello al generico tempo t e, in particolare, consente di studiare facilmente il comportamento dopo un lungo periodo di tempo, individuando gli eventuali limiti finiti di xt per t → ∞. Nel caso in esame, i limiti finiti sono rappresentati da 0 se ρ < 1 e da x0 se ρ = 1; mentre il limite è infinito se ρ > 1 (lo sviluppo dei calcoli è lasciato per esercizio). Se ne desume che il modello malthusiano prevede l’estinzione della popolazione se la ragione della progressione geometrica è inferiore all’unità, una popolazione costante nel tempo in corrispondenza di ρ = 1 e un’irrealistica esplosione demografica per ρ > 1. In particolare, perturbando la popolazione iniziale di una quantità osservare che per t → ∞ si ha (x0 ± ε) ρt → 0 se ρ < 1 e (x0 ± ε) ρt → x0 ± ε se ρ = 1 (lo sviluppo dei calcoli è lasciato per esercizio). 11 ε > 0 si può Ne consegue che, se ρ < 1, il punto 0 si mantiene stabile sotto l’azione della perturbazione, mentre, se ρ = 1, x0 non è stabile, poiché subisce una traslazione. MODELLI DISCRETI Si consideri il modello discreto definito mediante l’equazione ricorsiva xt+1 = f(xt), nella quale f rappresenta una funzione di una variabile reale non negativa a valori reali non negativi, che fornisce l’ampiezza della popolazione all’istante t+1, se ne è noto il valore all’istante t. In questo modello generale, xt = f [t] (x0) si ottiene iterando t volte l’applicazione della funzione f al valore iniziale x0 (la dimostrazione è lasciata per esercizio). Se, per tale funzione, x è un punto fisso, ossia f(x) = x, allora, evidentemente, quando il sistema dinamico raggiunge il valore x, non lo abbandona più, cosicché xt → x per t → ∞ (la dimostrazione è lasciata per esercizio). Pertanto, i punti fissi di f vengono denominati punti di equilibrio del modello discreto. Inoltre, un punto di equilibrio x si dice stabile, se esiste un intorno I di x tale che ∀x0 ∈ I f [t] (x0) → x per t → ∞. Ad esempio, nel caso malthusiano, f(x) = ρ x e, dunque, i punti di equilibrio sono dati dalle soluzioni dell’equazione dei punti fissi ρ x = x, che coincidono con i limiti finiti precedentemente determinati (lo sviluppo dei calcoli è lasciato per esercizio). 12 In generale, il cosiddetto teorema del punto fisso asserisce che, se la funzione f è continua nel limite finito x della successione xt, allora x è un punto di equilibrio. Infatti, se lim xt = x per t → ∞, allora f(x) = f(lim xt) = lim f(xt) = lim xt+1 = x, grazie all’ipotesi di continuità. Quindi, per determinare gli eventuali limiti finiti di un sistema dinamico discreto non è necessario effettuare il calcolo di lim f [t] (x0) per t → ∞ (che potrebbe rivelarsi molto complicato), ma basta trovare i punti fissi della funzione continua f, risolvendo l’equazione f(x) = x. Inoltre, per verificare la stabilità di un punto di equilibrio è possibile avvalersi del seguente criterio (che fornisce una condizione sufficiente ma non necessaria). Se x è un punto fisso della funzione f:I→I derivabile nell’intervallo I e ∃λ < 1 ∀y ∈ I |f’(y)| ≤ λ, allora x è un punto di equilibrio stabile. Difatti, in corrispondenza del generico istante discreto t, il teorema di Lagrange assicura l’esistenza in I di un opportuno yt tale che xt+1 − x = f(xt) − f(x) = f’(yt) (xt − x), da cui, per la disuguaglianza dell’ipotesi, segue |xt+1 − x| = |f’(yt)| |xt − x| ≤ λ |xt − x|, cosicché, ragionando ricorsivamente, si ottiene ∀x0 ∈ I |xt − x| ≤ λt |x0 − x| → 0 per t → ∞, ovvero ∀x0 ∈ I xt → x per t → ∞. 13 Per esempio, il modello di Malthus f(x) = ρ x con ρ < 1, ha un punto di equilibrio stabile in 0 (lo sviluppo dettagliato dei calcoli è lasciato per esercizio). MODELLI CONTINUI In un modello continuo l’ampiezza della popolazione (o la biomassa) all’istante t è rappresentata mediante una funzione x = x(t ) della variabile continua t ∈ [0,+∞[ e tale funzione è identificata con la soluzione di un opportuno problema di Cauchy costituito da una condizione iniziale x(0 ) = x0 e da un’equazione differenziale che coinvolge la velocità istantanea di accrescimento dx ∆x x(t + ∆t ) − x(t ) = lim = lim . ∆ t → 0 ∆ t → 0 dt ∆t ∆t A questo proposito, si consideri l’equazione differenziale (di ordine 1, in forma normale, autonoma, a variabili separabili) dx = g (x ) , dt che esprime la velocità istantanea di accrescimento in funzione dell’ampiezza della popolazione nel medesimo istante. In un siffatto sistema dinamico, un punto x si dice di equilibrio se è stazionario, ovvero se la velocità istantanea di accrescimento della popolazione si annulla in x: g (x ) = 0 . Inoltre, un punto di equilibrio x si dice stabile, se esiste un intorno I di x tale che 14 ∀x0 ∈ I lim x(t ) = x t → +∞ e la stabilità di un punto di equilibrio può essere stabilita semplicemente studiando il grafico della funzione y = g (x ) (chiamato diagramma di fase), che, riportando in ascissa l’ampiezza della popolazione e in ordinata la corrispondente velocità istantanea di accrescimento, permette di descrivere l’andamento della funzione x = x(t ) in un conveniente intorno di x0 = x(0 ) . D’altro canto, spesso è possibile risolvere l’equazione differenziale dx = g (x ) dt attraverso la separazione delle variabili dx = dt g (x ) e l’integrazione di entrambi i membri, che conduce alla relazione x (t ) t 1 ∫x(0 ) g (x ) dx = ∫0 dt = t da esplicitare rispetto a x = x(t ) . Per esempio, il modello malthusiano continuo è definito dalla condizione iniziale x(0 ) = x0 e dall’equazione differenziale lineare dx = rx , dt che si può risolvere separando le variabili ed esprimendo la relazione 1 1 1 1 x(t ) t= ∫ dx = ∫ dx = log g (x ) r x (0 ) x r x(0 ) x (0 ) x (t ) x (t ) 15 come x = x(t ) = x0 e rt (lo sviluppo dettagliato dei calcoli e il grafico della funzione esponenziale sono lasciati per esercizio). In particolare, dai limiti 0:r < 0 lim x0 e rt = x 0 : r = 0 t → +∞ + ∞ : r > 0 e ∀ε > 0 0:r < 0 lim ( x0 ± ε )e rt = t → +∞ x0 ± ε : r = 0 deriva che, se r < 0, il punto 0 è stabile, mentre, se r = 0, x0 non è stabile (lo sviluppo dei calcoli è lasciato per esercizio). Alle stesse conclusioni si può giungere studiando il grafico della funzione lineare g ( x ) = rx , con particolare riferimento agli zeri, che forniscono i punti di equilibrio del sistema dinamico continuo (la dimostrazione è lasciata per esercizio). MODELLO DI VERHULST Il modello logistico continuo è stato introdotto da Verhulst (1838) con l’obiettivo di correggere la dinamica malthusiana, tenendo conto della limitatezza delle risorse ambientali disponibili per la popolazione (da qui viene l’appellativo logistico). Tale sistema dinamico è definito tramite il problema di Cauchy dx = rx(s − x ) dt x(0 ) = x0 con r , s, x, x0 > 0 , che è risolvibile separando le variabili ed esplicitando la relazione 16 1 t= r x (t ) ∫ x0 x s − x(t ) 1 1 dx = − log 0 x (s − x ) rs s − x0 x(t ) nella funzione logistica x = x(t ) = s s 1 + − 1e −rst x0 (lo sviluppo dettagliato dei calcoli e il grafico della funzione logistica sono lasciati per esercizio). Dai limiti lim t → +∞ s =s s 1 + − 1e − rst x0 e ∀ε > 0 lim t → +∞ s s 1 + − 1e −rst x0 ± ε =s segue che il punto s (chiamato capacità dell’ambiente) è stabile (lo sviluppo dei calcoli è lasciato per esercizio). Alla medesima conclusione si arriva studiando il grafico della funzione quadratica ( g ( x ) = r sx − x 2 ) (la dimostrazione è lasciata per esercizio). MODELLO DI MAYNARD SMITH Il modello logistico discreto, studiato da Maynard Smith (1968), tiene conto della limitatezza delle risorse disponibili nello stesso modo del corrispondente sistema dinamico continuo e, pertanto, può definirsi mediante il valore iniziale x0 > 0 e l’equazione (alle differenze, di ordine 1) xt+1 − xt = g(xt) 17 con g(x) = r x (s − x) (dove r,s > 0), che è equivalente a xt+1 = f(xt), avendo posto f(x) = x + g(x) = x [q + 1 − (q / s) x] e q = r s. Affinché i valori xt previsti dal modello siano interpretabili in termini biologici occorre innanzitutto che la funzione f(x) sia positiva, e ciò avviene quando la variabile x appartiene all’intervallo I = ]0,s + s / q[; inoltre, deve valere la condizione ∀x ∈ I f(x) ∈ I, che è soddisfatta se q ∈ ]0,3[ (lo sviluppo dettagliato dei calcoli è lasciato per esercizio). Sotto i vincoli 0 < q < 3, s >0 e 0 < x0 < (1 + 1 / q) s, il modello di Maynard Smith xt+1 = f(xt), definito dalla funzione non lineare f(x) = (q + 1) x − (q / s) x2, ha un punto di equilibrio in s, che risulta stabile per q < 2, in quanto f(s) = s e |f’(s)| = |1 − q| < 1, 18 secondo la condizione sufficiente di stabilità (lo sviluppo dettagliato dei calcoli è lasciato per esercizio). Lo stesso accade per q = 2. Invece, per q > 2 la successione xt può oscillare tra un numero variabile di punti limite (un punto limite di una successione è il limite di una sua sottosuccessione). Più precisamente, se 2 < q < √6, allora xt è oscillante con due punti limite (quindi, per esempio, è in grado di modellizzare l’evoluzione di piante con periodi di sviluppo alternati a periodi di riposo), mentre se q ≥ √6, il sistema dinamico può assumere un comportamento caotico, caratterizzato dall’esistenza di infiniti punti limite. CONCLUSIONI “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?” (E. Lorenz). “Tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili.” (G.E.P. Box). BIBLIOGRAFIA Gore A., Paranjpe S. (2001), “A course in mathematical and statistical ecology”, Kluwer. Ludwig J.A., Reynolds J.F. (1988), “Statistical ecology: a primer in methods and computing”, Wiley. 19