genere e rappresentanza politica - Pari opportunità

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genere e rappresentanza politica - Pari opportunità
GENERE
E RAPPRESENTANZA POLITICA
PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
Assessorato all'emigrazione,
solidarietà internazionale,
sport e pari opportunità
Ufficio per le Politiche di Pari Opportunità
Via Jacopo Aconcio, 5 - 38100 Trento
Tel. 0461.493156 - Fax 0461.493157
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PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
GENERE
E RAPPRESENTANZA POLITICA
PARI OPPORTUNITÀ TRA DONNE E UOMINI
NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE
2005
2
Osservatorio per le politiche di pari opportunità
Assessorato alle Pari Opportunità
© Provincia Autonoma di Trento
Assessorato all'emigrazione, solidarietà internazionale,
sport e pari opportunità
Progettazione e coordinamento
dott.ssa Lucia Trettel
Ufficio per le politiche di pari opportunità
dott.ssa Francesca Alioli
Ufficio per le politiche di pari opportunità
GENERE
e rappresentanza politica : pari opportunità
tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive.
Trento : Provincia Autonoma di Trento. Giunta, 2005
(stampa 2006). 47 p. ; 24 cm. (Osservatorio per le
politiche di pari opportunità ; 2)
In testa al front.: Provincia autonoma di Trento,
Assessorato alle pari opportunità
1. Donna - Attività politica - Trentino - 2004-2005 Indagine statistica 2. Donna - Attività politica - Italia 3.
Rappresentanza politica I. Trento (Provincia).
Assessorato all'emigrazione, solidarietà internazionale,
sport e pari opportunità
323.34
PROVINCIA
AUTONOMA DI TRENTO
Assessorato alle Pari Opportunità
GENERE
E RAPPRESENTANZA POLITICA
PARI OPPORTUNITÀ TRA DONNE E UOMINI
NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE
Giunta della Provincia
Autonoma di Trento
Osservatorio per le politiche di pari opportunità
Trento 2005
PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
Assessorato all'emigrazione,
solidarietà internazionale,
sport e pari opportunità
Osservatorio per le politiche di pari opportunità
GENERE E RAPPRESENTANZA POLITICA
2
PARI OPPORTUNITÀ
indice
TRA DONNE E UOMINI NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE
1. Prefazione
5
2. “Donne in politica: l'importanza
ed il dovere di esserci”:
gli incontri sul territorio trentino,
9
a cura di Barbara Poggio
3. La rappresentanza politica
“femminile” in Italia,
34
di Marilisa D'Amico
4. Genere e cittadinanza,
39
di Alisa Del Re
3
1. Prefazione
di Iva Berasi
Assessore provinciale alle pari opportunità
La questione della scarsa presenza femminile nei luoghi di decisione politica è un dato
che, a sessant’anni dall’acquisizione del diritto elettorale da parte delle donne, è sintomo
di una sconfitta per la stessa democrazia e lascia aperto il problema del riequilibrio della
rappresentanza e della realizzazione di una democrazia effettiva e non dimezzata.
La sottorappresentanza delle donne nelle assemblee legislative nazionali costituisce
un aspetto sorprendente, comune alla vita politica delle democrazie occidentali. È però
importante ricordare che l’attenzione nei confronti della composizione per genere delle
assemblee elettive è un dato abbastanza recente; il movimento per il diritto di voto delle
donne, infatti, aveva posto l’attenzione sulla questione dell’elettorato attivo, considerando
l’elettorato passivo come una sua conseguenza ovvia ed inevitabile. Solo a partire dalla
fine degli anni ottanta ha iniziato a muoversi un interesse particolare per il fenomeno della
sottorappresentanza delle donne nei parlamenti e nei consigli, interesse che si riallaccia
direttamente al concetto di una democrazia piena.
Ma perché è importante agire per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini nella
rappresentanza politica?
Una risposta chiara ed esauriente è quella elaborata da Anne Phillips, che attraverso il
concetto di politica della presenza ci spiega perché è importante se i nostri rappresentanti
sono uomini oppure donne.
Se la rappresentanza politica si basasse solo sui programmi e sulle idee, chi sono i nostri
rappresentanti sarebbe meno rilevante rispetto a cosa essi rappresentano; ma in questo
caso ci dovremmo aspettare di trovare pressoché lo stesso numero di uomini e di donne
tra gli eletti. Questa situazione, di fatto, non corrisponde alla realtà.
Le idee e le modalità di gestire il mandato elettorale risultano inevitabilmente legate all’esperienza, che fissa dei limiti a ciò che possiamo immaginare o che riteniamo essere
prioritario. Il peso dell’esperienza gioca un ruolo fondamentale dal quale non è possibile
prescindere.
Prefazione
La politica della presenza può essere così spiegata: di fatto, i nostri rappresentanti al
momento dell’elezione hanno dei mandati da rispettare ma essi hanno anche una certa
dose di autonomia. È per via di questo ruolo giocato dall’elemento personale, individuale
e culturale, che diviene importante chi sono i nostri rappresentanti.
Il fatto di incrementare il numero di donne nei luoghi della decisione, che di per sé non
costituisce garanzia di un reale cambiamento in politica, ne diviene tuttavia una condizione necessaria.
La questione della partecipazione politica delle donne ha assunto nuovo vigore anche
nella nostra provincia in coincidenza con le elezioni comunali svoltesi la scorsa primavera. La previsione di quote nelle liste di candidati, per cui nessuno dei due sessi poteva
essere rappresentato in misura superiore ai 2/3 del numero massimo di candidati spettanti a ciascuna lista, ha portato dunque ad un buon risultato.
In 154 comuni le quote sono state rispettate; un segnale positivo arriva anche dall’incremento del numero di comuni in cui, andando oltre le prescrizioni delle quote, le donne in
lista superavano il 40%. Questi comuni, solo 4 nelle tornata elettorale precedente, sono
stati 17 nel 2005. È necessario però sottolineare che nei restanti 51 comuni, considerando il totale delle liste, non è stata rispettata la quota del 30% di candidature femminili (e
ciò a causa della possibilità, di fatto, di bypassare la norma).
Il numero di donne elette alle ultime elezioni comunali ha subito un incremento significativo: ci sono infatti 247 donne in più nei consigli e la presenza femminile costituisce ora
il 24% del totale degli eletti, mentre nella precedente tornata elettorale la percentuale si
fermava al 16%.
Il sistema di quote sperimentato sembra dunque aver funzionato bene consentendo di
incrementare la presenza di donne nei consigli comunali.
Ma, e questo è un dato altrettanto interessante, dall’analisi dei dati è stato possibile osservare che l’aumento del numero di donne elette è da attribuire quasi esclusivamente al
maggior numero di donne presenti in lista. Infatti, la proporzione delle donne elette rispetto a quelle presenti in lista è rimasta pressoché la stessa (nella scorsa tornata elettorale
era del 26%, mentre nel 2005 è stata del 25%). L’incremento della presenza femminile
è da collegarsi pertanto all’aumento delle donne candidate piuttosto che a significative
Prefazione
modifiche nella propensione media a “votare donna”.
Si può senz’altro dire, quindi, che il sistema delle quote si è rivelato uno strumento efficace ai fini di un consistente riequilibrio della presenza di genere nella rappresentanza, ma
da solo non sembra essere sufficiente per un significativo cambio di rotta della politica .
In questo sembrano dunque persistere delle difficoltà di matrice culturale che impediscono un’equa rappresentanza tra i generi nei luoghi decisionali e che non consentono un
percorso realmente paritario verso la rappresentanza.
Proprio per intervenire sul rafforzamento della presenza delle donne ma anche sulle
competenze che le stesse ritengono necessarie per muoversi con maggior sicurezza
nel mondo della politica, l’Assessorato alle pari opportunità della Provincia Autonoma di
Trento ha iniziato oramai da tempo un’azione di sostegno e sensibilizzazione sul territorio
trentino, che ha coinvolto in prima persona le donne ma che ci auspichiamo abbia ripercussioni di portata più ampia.
In particolare, nell’autunno del 2004 è stata lanciata l’iniziativa “Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci” che, in più edizioni, ha visto la realizzazione di incontri
sul territorio finalizzati a creare momenti di riflessione comune sul significato e sul valore
della politica, sulle modalità di partecipazione e sulle possibili strade da percorrere per
essere presenti nel terreno politico non in termini minoritari o come “specie protetta”, ma
con autorità e capacità di influenza.
Questo volume è nato a partire dall’analisi dei questionari compilati da 266 persone (in
grande maggioranza donne) coinvolte negli incontri sul territorio, a rappresentare una
nuova tappa dell’impegno dell’Assessorato nella promozione e sostegno delle donne in
politica.
Il volume, che rientra nella collana di pubblicazioni dell’Osservatorio per le politiche di
pari opportunità, vuole essere uno strumento utile per chiunque sia interessato, a vario
titolo, al tema della partecipazione delle donne alla politica e alla realizzazione di una
democrazia piena. Oltre alla presentazione dell’indagine svolta, il volume si completa con
ulteriori interventi di taglio politologico e giuridico che offrono spunti ed approfondimenti
particolarmente interessanti.
2. “Donne in politica:
l’importanza ed il dovere di esserci”:
gli incontri sul territorio trentino
A cura di Barbara Poggio
Questo rapporto si basa sui dati raccolti attraverso questionari somministrati a conclusione di
due successivi cicli di incontri sulla cittadinanza attiva delle donne (cfr. appendice 2), realizzati
nella prima edizione in sette differenti comuni della Provincia di Trento (Ala, Cles, Mezzocorona, Cavalese, Telve Valsugana, Tione e Trento) e nella seconda edizione in altri dieci
differenti comuni del territorio trentino (Breguzzo, Rovereto, Pergine, Arco, Pieve di Ledro,
Malé, Cembra Sardonico, Tonadico e Trento). L’iniziativa è stata promossa dall’Assessorato
alle pari opportunità della Provincia Autonoma di Trento, insieme con la Commissione provinciale Pari Opportunità e l’Associazione A.d.ele (Associazione donne elettrici) partendo dalla
consapevolezza dell’ancora scarsa presenza della componente femminile nei luoghi istituzionali e decisionali pubblici provinciali al fine di fornire alle donne interessate un’occasione
di riflessione condivisa sul significato e sul valore della politica e sulle effettive possibilità e
modalità di partecipazione.
Gli incontri della prima edizione sono stati realizzati nei mesi di ottobre e novembre 2004. Le
tematiche affrontate hanno riguardato in particolare il tema dell’autostima, dell’amministrazione dell’ente pubblico e la questione del rapporto tra genere e potere. Gli incontri della seconda
edizione sono invece stati realizzati nei mesi di febbraio e marzo del 2005 e hanno affrontato
il tema degli strumenti della partecipazione alla vita politica, con una particolare attenzione al
coinvolgimento e alla presenza delle donne.
Tabella 1 Partecipanti agli incontri
della prima edizione di “Donne in politica”
LUOGOTot. Questionari
Ala
Cavalese (Predazzo, Tesero)
Cles
Mezzocorona
Telve
Tione (Condino, Breguzzo)
Trento
Totale
24
6
6
6
23
8
44
115
Tabella 2 Partecipanti agli incontri della seconda
edizione “Donne in politica”
LUOGO
Tot. Questionari Breguzzo Rovereto Trento
Pergine Arco
Pieve di Ledro
Malè
Cembra Sarnonico
Tonadico-Primiero
Totale
15
16
10
9
18
18
10
16
6
33
151
Entrambe le edizioni hanno suscitato forte interesse e partecipazione da parte della cittadinanza. Nel primo caso sono state coinvolte almeno 115 persone, nel secondo almeno 1511
(tab. 1), in forte prevalenza donne.
L’iniziativa ha inoltre rappresentato una significativa opportunità per costruire e rafforzare sul
territorio una rete di donne impegnate nel contesto della politica, a partire dal riconoscimento della rilevanza della costruzione di network sul territorio per l’accesso e l’affermazione ai
contesti della politica.
1. Il campione
I dati che saranno presentati in questo rapporto fanno dunque riferimento ad un questionario
somministrato nelle diverse sedi ad un campione complessivo di 266 soggetti tra gli intervistati
della prima e della seconda edizione, di cui oltre il 90% è composto da donne2, di età compresa tra i 16 e i 70 anni3. La classe di età maggiormente rappresentata è quella compresa fra i
41 e i 50 anni (37,0%). Nel 2005 questa classe di età è stata ancora più numerosa rispetto alla
precedente edizione (40,2% rispetto al 32% del 2004), a differenza della classe tra i 51 e i 60
anni, che ha rappresentato nell’ultima edizione il 18% circa delle partecipanti, a fronte di un
25% del 2004. L’età media si assesta intorno ai 44 anni4.
1 I dati si riferiscono al numero di questionari raccolti, che si presume inferiore al numero complessivo di persone coinvolte
dall’iniziativa.
2 Vista la quasi assoluta prevalenza di donne nell’analisi non verrà effettuata una disaggregazione dei dati per genere e il commento ai dati sarà declinato al femminile, privilegiando il principio della dominanza.
3 Ringrazio Annalisa Murgia e Claudia Leonarduzzi che hanno collaborato all’analisi dei dati.
4 Nella tabella n. 1 in appendice 2 sono riportati i dati concernenti l’età delle partecipanti nelle due differenti edizioni.
10
Tra le rispondenti il livello di scolarità è piuttosto elevato: quasi il 60% possiede un diploma o
una qualifica professionale, il 22,2% possiede una laurea o un diploma universitario e il 4,6%
ha conseguito una specializzazione post-laurea oppure ha svolto il dottorato, mentre solo il
13,4 % ha un titolo di studio inferiore alla scuola dell’obbligo o non ha alcun titolo di studio.
Le persone occupate sono circa il 60%, mentre le rimanenti si suddividono tra pensionate
(14%), casalinghe (10% circa), persone in cerca di occupazione (2,5%) e studentesse (4,1%).
Va evidenziata le percentuale contenuta di donne in condizione di casalinga. Da rilevare però
il fatto che le casalinghe sono maggiormente rappresentate nella seconda edizione (12,6%),
rispetto alla precedente edizione in cui si attestavano intorno ad un esiguo 4,3%. Anche il
numero di studentesse partecipanti è lievemente cresciuto, dato che permette di avanzare
l’ipotesi che l’interesse alla politica coinvolga donne in differenti posizioni e non esclusivamente le donne lavoratrici5.
Tra coloro che sono occupate, oltre la metà si trova in una condizione di lavoro dipendente (di
cui circa il 10% occupa la posizione di dirigente, oltre il 50% occupa una posizione impiegatizia
e solo il 5% svolge l’attività di operaia), il 15% circa si dichiara imprenditrice o libero professionista e il 4% lavoratrice autonoma. Si noti che nella seconda edizione la quota di rispondenti
che svolgono un lavoro dipendente (meno del 50%) risulta più circoscritta, anche se sempre
rilevante, rispetto a quella del 2004 (quasi 60%), mentre è aumentato il numero di persone che
afferma di essere una libera professionista (21% a fronte di un 9% del 2004) o di svolgere un
lavoro di tipo autonomo (6% nel 2005 contro un 2% nel 2004)6.
Figura 1 Distribuzione per età
meno di 30 anni
13.2%
31-40 anni
22.6%
oltre i 60 anni
6.4%
51-60 anni
20.9%
41-50 anni
37.0%
5 Nella tabella n. 2 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni.
6 Nella tabella n. 3 in appendice 2 sono riportati i dati relativi alla posizione professionale nella prima e nella seconda edizione.
11
2. Interesse e partecipazione al mondo della politica
Complessivamente le rispondenti presentano valori altamente significativi rispetto al grado
di interesse alle vicende della politica e al livello di informazione. Circa il 60% legge spesso i
giornali e gli articoli politici (60,9%), discute spesso di politica all’interno della famiglia (64%)
e quasi nove rispondenti su dieci seguono con una certa frequenza le trasmissioni politiche
alla televisione.
Sebbene in misura più contenuta rispetto ai dati relativi all’interesse e al livello di informazione,
anche la partecipazione attiva ad iniziative ed attività pubbliche appare significativa, in quanto
dichiara di partecipare a manifestazioni pubbliche la metà delle intervistate (il 14,6% spesso
e il 32,1% qualche volta) e altrettante sono effettivamente impegnate in attività politiche sindacali, di partito, di movimento o associative (il 26,4% partecipa “spesso” e il 24% “qualche
volta”). Rispetto alle risposte fornite su tali tematiche non vi è stato uno scostamento significativo tra i due cicli di incontri7.
Una più incisiva azione in termini di motivazione, sensibilizzazione, formazione e costruzione
di network sembrerebbe dunque poter rappresentare una strada da percorrere al fine di facilitare la traduzione di un interesse condiviso in una pratica attiva.
Tabella 3 Interesse e partecipazione
ad attività politiche (%)
o
s
es
Sp
Discutere di politica
con familiari /amici
64,0
30,5
4,2
1,3
Leggere articoli/giornali
di carattere politico
60,9
32,2
5,3
1,6
Seguire alla tv trasmissioni
di carattere politico
40,7
46,6
10,4
2,3
Partecipare a manifestazioni
di carattere politico
14,6
32,1
33,1
20,2
Partecipare attivamente all’attività
di partiti/sindacati/movimenti
politici/associazioni
26,4
24,0
24,8
24,8
7 Nella tabella n. 4 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni.
12
e
nt
he
lc a
me
i
a
a
t
r
Ma
Quvol
Ra
3. La presenza delle donne in politica
Quasi tutte le rispondenti concordano nell’affermare che il numero di donne presenti in politica
dovrebbe essere più elevato (93%). In particolare un aumento della presenza delle donne
in politica comporterebbe un miglioramento per il 94% delle rispondenti. Solo 8 persone su
263 affermano che non cambierebbe nulla e 4 dichiarano di non averci mai pensato, mentre
solo una ritiene che ci sarebbe un peggioramento. Le ragioni di tale miglioramento sarebbero
rappresentate per la maggior parte di coloro che hanno risposto dal fatto che la presenza delle
donne porterebbe nell’arena politica nuove prospettive rispetto a quelle attualmente dominanti
(tab. 4). Una quota quasi altrettanto significativa di risposte sottolinea l’esistenza di una specifica sensibilità femminile nei confronti di particolari problemi, che il questionario non declina,
ma che probabilmente si riferiscono ad alcune aree culturalmente più vicine all’esperienza
delle donne. Circoscritto è invece il numero di rispondenti che sottolineano una maggiore
capacità delle donne nell’agire politico. Il confronto in base all’età mostra che sono soprattutto
le rispondenti più giovani a sottolineare l’importanza della presenza delle donne in quanto
portatrici di nuovi punti di vista, mentre sono le donne in età più avanzata ad enfatizzare una
differente e maggiore sensibilità delle donne rispetto a particolari problemi (fig. 2). Anche per
quanto riguarda queste tematiche non vi sono scostamenti rilevanti rispetto ai dati rilevati nelle
due edizioni8.
Sembra tuttavia confermato il permanere di significative riserve e pregiudizi sociali nei confronti delle donne che ricoprono ruoli in ambito politico. Quasi l’80% di coloro che hanno
risposto sostiene infatti che non le sostengono, il 37% che i cittadini non hanno fiducia nelle
donne e il 44% ritiene che le donne non siano ritenute capaci9.
Tabella 4 Perché una maggiore presenza delle donne
in politica porterebbe dei miglioramenti (%)
Portatrici
di nuovi punti di vista
Maggiore sensibilità
per certi problemi
Maggiori capacità
Altro
Totale
%
49,6
46,2
2,0
2,2
100,0
8 Nella tabella n. 5 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni.
9 Va tuttavia evidenziata l’elevata percentuale di persone che non rispondono alle domande relative all’atteggiamento
dei cittadini nei confronti delle donne, che va dal 33,5 al 45,5%.
13
Figura 2 Miglioramenti in politica grazie alla
presenza delle donne per classi di età
>50 anni
35-50 anni
<35 anni
0%
20%
40%
Portatrici di nuovi punti di vista
Maggiore sensibilità per certi problemi
60%
80%
100%
Maggiori capacità
Altro
4. Opinioni sul rapporto tra donne e politica
Una delle domande presenti nel questionario chiedeva agli intervistati di prendere posizione
rispetto ad una serie di affermazioni relative al rapporto tra donne e politica, alcune delle quali
richiamavano convinzioni e luoghi comuni ancora piuttosto diffusi tra la popolazione (tab. 5).
Nel complesso le affermazioni che raccolgono il maggior grado di adesioni sono quelle che
riguardano la scarsa attenzione e in molti casi l’ostilità che il mondo politico dimostra nei
confronti della componente femminile: tre rispondenti su quattro sono molto o abbastanza
d’accordo con l’affermazione che ai partiti non interessa coinvolgere le donne e poche meno
considerano l’attuale mondo politico ostile alle donne (67,7%). Anche nel caso poi che le
donne vengano candidate alle elezioni, sostengono sei intervistate su dieci, è probabile che
non vengano elette, anche se non è chiaro se questo sia dovuto ad uno scarso sostegno in
campagna elettorale o ad un atteggiamento di scarsa fiducia nei confronti delle donne da
parte degli elettori.
La distanza che separa le donne dalla politica è legata per molte rispondenti da un lato al fatto
che le donne non condividono il modello di politica dominante, ovvero quello praticato dagli
uomini (ne è molto o abbastanza convinto il 64,5% del campione) e dall’altro al fatto che le
donne pensano di non essere portate per la politica (56,9%). Ciò che le persone intervistate
sottolineano in questa ultima risposta è la mancanza di fiducia nelle proprie capacità che
sembra caratterizzare le donne, mentre invece una quota significativamente più circoscritta
sottoscrive (e solo in parte) l’affermazione che le donne non sono interessate alla politica
(35,5%) e pochissimi ritengono che le donne non siano all’altezza dei compiti richiesti dall’impegno politico (2,3%).
Un’analisi a parte merita il problema rappresentato dai tempi della politica, considerati dal
14
54,4% del campione poco o per nulla compatibili con quelli delle donne. E’ interessante tuttavia notare che nel 2004 il 21,8% delle rispondenti si era dichiarato “molto d’accordo” con
l’affermazione secondo cui i tempi della politica non sono compatibili con quelli delle donne,
a differenza dell’edizione recentemente conclusasi, in cui solo il 7,9% ha dato la medesima
risposta. In maniera speculare, cresce invece dal 18,9% al 26,4% la quota di coloro che si
Tabella 5 Grado di accordo con alcune affermazioni
do
or
Pe
d’ r n
ac ie
co n
rd te
o
d’
ac
c
o
Po
c
o
M
d’ olt
ac o
co
rd
A
d’ bba
ac s
co tan
rd za
o
diffuse sul tema ‘donne e politica’
Ai partiti non interessa
coinvolgere più donne
22,1
53,0
17,0
7,9
Per una donna in gamba
non esistono particolari difficoltà
a entrare nel mondo politico
27,9
29,8
34,5
7,8
Le donne non condividono
il modello di politica
praticato dagli uomini
19,8
44,7
27,3
8,2
L’attuale mondo politico
è ostile alle donne
18,1
49,6
26,0
6,3
I tempi della politica
non sono compatibili
con quelli delle donne
13,9
40,5
22,6
23,0
Anche se le donne si candidano,
poi non vengono elette
14,6
49,6
26,7
9,1
Le donne pensano
di non essere portate
per la politica
11,5
45,4
26,1
17,0
Alle donne
non interessa la politica
2,3
33,2
38,7
25,8
Le donne non sono
all’altezza dei compiti
che l’impegno politico richiede
0,8
1,5
18,8
78,9
15
dichiarano “per niente d’accordo” rispetto alla stessa affermazione. Si rileva di conseguenza
un maggior numero di persone che ritengono che la difficoltà di dialogo tra donne e politica
non risieda tanto nei tempi femminili, ma piuttosto sia legato ad altri fattori, primo fra tutti il
disinteresse, se non l’ostilità, da parte dei partiti nel coinvolgere più donne al loro interno. E’
maggiore anche la percentuale di intervistate che in questa edizione sostiene che, nonostante
tutto, per una donna in gamba non esistano particolari difficoltà a farsi strada nel mondo politico (61% rispetto al 54% del 2004)10.
Il confronto tra le risposte offerte da soggetti di età diverse mette in luce un maggiore ottimismo tra le rispondenti più giovani, sia rispetto alla rappresentazione delle donne (di cui si
riconosce un più alto grado di interesse per la politica), sia rispetto alle effettive opportunità di
affermarsi. Tra le aventi meno di 35 anni il 39% si dichiara “per niente d’accordo” con l’affermazione secondo cui le donne non sono interessate alla politica, a fronte di un 25,8% tra chi ha
tra i 35 e i 50 anni e un 19% tra chi ha superato i 50. Sono ancora soprattutto le giovani donne
a ritenere che per le “donne in gamba” non esistano particolari difficoltà per affermarsi in
politica (37,5%, contro un 29,4% tra le 35-50enni e un 17,7% tra le rispondenti oltre i 50 anni).
Le giovani donne sembrano inoltre meno convinte della presenza di diversi modelli di cultura
politica legati all’appartenenza di genere, dell’esistenza di una ostilità di fondo o comunque di
una sorta di disinteresse da parte del mondo politico nei confronti delle donne e del fatto che
anche quando si candidano, le donne non vengono elette. Tra le aventi meno di 35 anni non vi
Figura 3 Motivazioni dell’abbandono della attività
politica da parte delle donne
TEMPI
E CONCILIAZIONE
AUTOSTIMA
MANCANZA
DI SOSTEGNO
DISCRIMINAZIONE
NON CONDIVISIONE
MODELLO
DOMINANTE
MANCANZA
DI FORMAZIONE
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto
10 Per un confronto tra le risposte fornite nell’edizione del 2004 e in quella del 2005 si veda la tabella n. 6 riportata nell’appendice
n. 2.
16
è nessuna che aderisce a quest’ultima affermazione dichiarandosi “molto d’accordo”, diversamente dalle rispondenti tra i 35 e i 50 anni (15,3%) e tra chi ha più di 50 anni (24,2%).
Alle intervistate è stata inoltre offerta la possibilità di indicare liberamente le principali ragioni
che possono portare una donna a rinunciare ad un progetto di attività politica (fig. 3).
La motivazione maggiormente segnalata riguarda la difficoltà di conciliare i tempi della politica
con quelli della famiglia e in molti casi anche del lavoro: per le donne che hanno responsabilità
familiari e lavorative, quella politica diventa infatti la terza presenza e non sempre è facile o
possibile trovare un equilibrio, sebbene precario, tra queste tre dimensioni. La seconda ragione individuata è legata alla carenza di autostima che sembra caratterizzare le donne e che le
porta a sminuire le proprie capacità e competenze. Si sottolinea poi una generale mancanza
di sostegno da parte dei vari contesti di riferimento (i partiti, le famiglie, la cittadinanza), ma
anche una mancanza di solidarietà tra le stesse donne. Lo stesso peso viene attribuito al
problema della discriminazione da parte degli uomini, che rappresenta la ragione principale
di rinuncia per una donna all’attività politica per circa il 9% delle rispondenti. Viene infine
segnalata la scarsa identificazione delle donne nei modelli politici dominanti, prevalentemente
maschili e pochissime persone indicano il minor grado di formazione politica delle donne.
Concentrando l’attenzione sulle risposte provenienti da coloro che dichiarano di aver rinunciato ad un progetto di partecipazione politica (un terzo delle rispondenti), si osserva che le prime
due indicazioni vengono confermate: resta infatti prioritario il problema della conciliazione dei
tempi, seguito dal problema della scarsa fiducia nelle proprie capacità. Il terzo fattore critico
è invece rappresentato dal non riconoscersi nel modello culturale dominante nel mondo della
politica.
5. Quali azioni per incentivare la partecipazione delle donne
Una volta individuati i principali fattori che sembrano ostacolare l’accesso delle donne al mondo della politica, sono state proposte alle rispondenti una serie di possibili soluzioni e/o iniziative per incentivare il coinvolgimento e la partecipazione politica delle donne, chiedendo loro
di individuare delle priorità (fig. 4). L’opzione che raccoglie la maggior parte dei consensi (sia
complessivamente che come prima scelta) è quella relativa all’esigenza di offrire percorsi di
formazione politica (sia in termini di acquisizione di conoscenze che di sviluppo di competenze). Segue (per numero complessivo di scelte) l’esigenza di creare reti locali di sostegno per
le donne, anche se l’azione che raccoglie la seconda maggior quota di prime scelte riguarda il
rafforzamento dell’autostima e della sicurezza delle donne, che risponde all’esigenza emersa
in precedenza, laddove una consistente quota di rispondenti riteneva che le donne pensano
di non essere portate per la politica (il 56,9% si era dichiarata “molto” o “abbastanza d’accordo” con questa affermazione). Minori preferenze raccolgono soluzioni mirate a sensibilizzare
cittadinanza e partiti. E’ interessante sottolineare che tra un’edizione e l’altra è cresciuta in
maniera considerevole la percentuale di persone che ritengono l’introduzione delle quote una
possibile azione per sostenere le donne in politica (quasi il 40% nel 2005, a fronte del 26%
nel 2004)11.
11 Per un confronto tra i dati relativi al 2004 e quelli relativi al 2005 si veda la tabella n. 7 in appendice 2.
17
Figura 4 Azioni ritenute utili per sostenere la
presenza delle donne in politica
FARE FORMAZIONE
POLITICA
(CONOSCENZA,
COMPETENZE)
CREARE RETI LOCALI
DI SOSTEGNO PER LE
DONNE
RAFFORZARE
L’AUTOSTIMA E
LA SICUREZZA
DELLE DONNE
SOLLECITARE
I PARTITI PER FAVORIRE LE
CANDIDATURE DI DONNE
SENSIBILIZZARE
LA CITTADINANZA
FISSARE UNA QUOTA
MINIMA DI CANDIDATURE
PER IL SESSO MENO
RAPPRESENTATO
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto
A sottolineare la rilevanza di una formazione di tipo tecnico sono soprattutto le rispondenti più
giovani, nella cui esperienza il percorso formativo assume una rilevanza più significativa rispetto alle generazioni precedenti, anche in relazione alle aspettative di carattere professionale. Sono invece le donne meno giovani a segnalare maggiormente l’esigenza di un intervento
formativo finalizzato a rafforzare l’autostima e la sicurezza delle donne, ma anche l’opportunità di azioni di sensibilizzazione o di sostegno a favore della componente femminile.
Di fronte a questi dati vale tuttavia forse la pena di ricordare come varie ricerche abbiano
dimostrato che le donne che oggi accedono alla politica (ma più in generale al mondo delle
professioni) siano mediamente più preparate e formate rispetto alla componente maschile e
come questo, pur rappresentando una condizione necessaria, non rappresenti tuttavia una
condizione sufficiente per riconoscere e non mettere in discussione le proprie competenze e
per farsi strada e ottenere gli adeguati riconoscimenti12.
12 Cfr. Pescarolo, A. “Donne e uomini nella politica”, Firenze, Consiglio Regionale della Toscana, 2001; Bison, I. Pisati, M. e
Schizzerotto, A. “Disuguaglianze di genere e storie lavorative”, in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,
a cura di S. Piccone Stella e C. Saraceno, Bologna, Il Mulino, pp. 253-279,1996.
18
6. Proposte di approfondimento
L’ultima parte del questionario si concentrava sulle indicazioni rispetto ad eventuali ulteriori momenti formativi, proponendo alle rispondenti di indicare quale argomento meritasse un
maggior approfondimento, potendo scegliere tra il tema dell’autostima, quello dell’amministrazione dell’ente pubblico e la questione del rapporto tra genere e potere (fig. 5). Alle partecipanti al ciclo di incontri è stato inoltre chiesto di segnalare eventuali altre tematiche di interesse
(tabella 9). Se nel 2004 era prevalso l’interesse per l’amministrare, nel 2005 il tema più indicato per ulteriori approfondimenti è stato quello relativo all’autostima (45,3) seguito da quello
concernente all’amministrare (40,3). Questa inversione di tendenze può essere probabilmente
ricondotta al fatto che il tema dell’autostima, diversamente da quanto accaduto nel 2004, non
è stato oggetto di discussione nel ciclo di incontri del 2005, e che quindi le partecipanti hanno
espresso la necessità di riprenderlo in considerazione13.
Figura 5 Indicazioni per eventuali approfondimenti
dei temi trattati: seconda edizione
AMMINISTRARE:
COS’È
CHE “GENERE”
DI POTERE
AUTOSTIMA:
CONVINCERSI
DI ESSERE CAPACI
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Figura 6 Indicazioni per eventuali approfondimenti
dei temi trattati: PRIMA edizione
AMMINISTRARE:
COS’È
CHE “GENERE”
DI POTERE
AUTOSTIMA:
CONVINCERSI
DI ESSERE CAPACI
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Più importante Mediamente importante Meno importante Non scelto
13 Nella tabella n. 8 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni.
19
Sembra dunque che la richiesta prioritaria sia quella di acquisire una maggiore autostima, in
modo da possedere una maggiore sicurezza per la partecipazione all’attività politica: viene
nuovamente confermata l’esigenza di rafforzare la fiducia nelle proprie capacità e di convincersi di avere le competenze adeguate per entrare con successo nel mondo della politica. Già
nelle precedenti domande, alla richiesta di indicare le azioni ritenute maggiormente utili per
sostenere la presenza delle donne in politica, le intervistate avevano espresso come seconda
scelta (di poco superata dalla necessità di formazione) il rafforzamento dell’autostima.
All’invito a proporre eventuali altre tematiche da approfondire, le persone che hanno risposto
(solo il 33% del totale) hanno reagito suggerendo una molteplicità di percorsi. Nella tabella 6
vengono individuate alcune categorie di sintesi delle diverse indicazioni raccolte (presentate
per esteso nell’appendice 1).
Tabella 6 Indicazioni di possibili tematiche
da approfondire (%)
2004
Dato
2005
complessivo
Le donne e la politica
34,8
31,5
33,3
Amministrare
26,1
34,2
29,8
Autostima e comunicazione
15,2
13,3
14,3
8,7
10,6
9,5
Nuove generazioni e politica non presente
5,2
2,4
Altro
15,2
5,2
10,7
Totale
100,0
100,0
100,0
Costruzione di reti
In primo luogo emergono le richieste di approfondimento rispetto al tema della presenza delle
donne in politica, che vanno dalla riflessione sull’apporto specifico che la donna può dare alla
politica, alla considerazione dei possibili interventi mirati a favorire l’equità tra donne e uomini
nei contesti politico-istituzionali, ad una analisi più generale dei modelli culturali di genere
nella politica, ma anche nella società. Seguono le proposte di approfondimento di questioni
relative all’attività dell’amministrare, come il funzionamento dell’amministrazione pubblica, la
rappresentanza partitica e il diritto pubblico in generale (istituzioni nazionali e locali). Occorre
tuttavia evidenziare il fatto che nell’edizione del 2005 si è riscontrato un maggior interesse
rispetto ai temi dell’amministrazione in confronto a quelli riguardanti il rapporto tra donne e
politica, probabilmente maggiormente approfonditi nel corso dell’iniziativa. Inoltre, seppure in
misura più contenuta, vengono segnalate la tematica dell’autostima – nello specifico espressa
20
dal desiderio di imparare a parlare in pubblico e di vincere le proprie paure – e del networking,
ovvero dell’opportunità di costruire reti tra donne o di sostegno alle donne. Nell’edizione del
2005 emerge inoltre la necessità di approfondimenti formativi che mettano al centro della
discussione il rapporto tra politica e nuove generazioni (5,2%), che parte probabilmente dal
desiderio di ricostruire un interesse e un coinvolgimento dei giovani al discorso politico, che
contribuisca all’individuazione di nuove forme e modalità del fare politica e della partecipazione democratica.
Appendice 1 - Tematiche proposte per possibili approfondimenti
Le donne e la politica
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
Come conciliare lavoro e politica
Come fare a far votare le donne
Come coinvolgere le donne in politica
Complementarietà con il genere
maschile in politica
Donne e politica nel passato
Donne e politica nel passato e
prospettive per il futuro
Emancipazione delle donne in politica e
in generale e delega del lavoro di cura
Importanza della collaborazione tra
uomo e donne in politica
Modo femminile di pensare i rapporti
sociali in politica
Rapporto tra donne e politica
Il ruolo delle donne oggi in politica
Valori e potere in politica: come
coinvolgere le donne
Come convincere il territorio del valore
della donna in politica, aiutare le donne
Come coordinare impegni lavorativi e
familiari, come amministrare, crescita e
sviluppo
Come possono entrare forze nuove
in politica: la politica femminile come
professione
Confronto tra le realtà in cui la presenza
femminile è alta e quelle in cui è bassa:
tesi equità
Cos’è veramente la vita politica? cos’è
per la donna?
Cosa noi donne possiamo portare alla
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
politica visto che non dobbiamo né
vogliamo emulare gli uomini
Donne e lavoro
Laboratori creativi e supporto alle donne
già in politica
L’educazione dei bambini e i
meccanismi inconsci che ripetono le
dinamiche del sistema sociale
Promuovere la necessità di essere attive
Psicologia maschile/femminile
- informazione politica/ informazione &
politica
Rafforzare l’idea di uguaglianza e pari
opportunità
Rendere visibile l’importanza del ruolo
della donna
Sentire l’esperienza di una donna in
politica
Studio della società che cambia in
favore della presenza delle donne in
politica, corsi di formazione
Studio di meccanismo per costringere i
partiti a introdurre le donne nelle liste e
a sostenerle
Amministrazione
e normative
■
■
■
■
Aggiornamento sulle normative
provinciali e regionali
Amministrazione locale e partecipazione
Come operare per essere buone
amministratrici
Comprensione del bilancio
21
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
■
Conoscere gli organismi istituzionali e
il bilancio
Funzionamento della gestione
amministrativa
Gestione dell’amministrazione
Corsi sulla legislazione specifica del
contesto locale
La riforma istituzionale
Organizzazione comunale per le donne
Organizzazione interna al comune
Strategie di governance a livello locale
Corsi sul tema amministrativo
Approfondire i tre temi svolti con
particolare attenzione alla formazione in
materia istituzionale
Aspetti giuridici ed economici
dell’amministrare
Burocrazia: come funziona, servizi al
cittadino e alle imprese, formazione
continua
Comunità e bene comune, storia/
economia internazionale
Conoscenze tecniche
sull’amministrazione
Corsi di legislazione - sull’ordinamento
dei Comuni - sulla gestione provinciale e
sulle competenze
Formazione politica
Formazione politica, rete territoriale
possibile per unificare donne e politica,
responsabilità politica
Imparare a conoscere i meccanismi
della politica
Legislazione nei principali ambiti
dell’amministrare, urbanistica, industria,
commercio, cultura ecc.
Nozioni legislative
Tematiche amministrative in politica,
cos’è un’interrogazione o una mozione,
saper intervenire
Autostima e comunicazione
■
■
■
22
Come prepararsi a parlare di fronte a un
pubblico
Comunicazione in contesti istituzionali
Educazione al confronto politico
■
■
■
■
■
■
■
■
■
Modelli comunicativi in politica
Comunicazione nelle politiche pubbliche
Autostima
Incontro alla pari tra uomini e donne,
capacità di parlare in pubblico, vincere
le paure
Parlare in pubblico
Rafforzare l’autostima e la
partecipazione
Saper parlare, riuscire a farsi capire
Strategie comunicative e di mediazione
Tecniche di comunicazione, ruolo della
donna nelle istituzioni
Costruzione di reti
■
■
■
■
■
■
■
■
Come creare gruppi di supporto alle
donne
Modelli partecipativi e reti tra donne
Strategie relazionali e di sostegno nel
gruppo amministrativo
Rete di sostegno e tempi politici
Fare seminari o piccoli gruppi con
confronti tra donne amministratrici,
incontri con i partiti
Forme della partecipazione democratica,
costruzione di “reti”, forme alternative di
fare politica
Incontrare le donne di vari partiti su
problemi e temi sociali insieme
Interventi politici fatti attraverso i
comitati, i gruppi di pressione ecc.
Nuove generazioni e politica
Altro
■
■
■
■
■
■
■
■
■
Classi deboli ed emarginazione
Inquinamento, viabilità, vivibilità
Approfondimento culturale generale
Il campo sociale
La politica come arte del compromesso?
Lavoro, razzismo, politica
L’utopia di credere nel benessere
collettivo e nella sua possibilità di essere
perseguito
Mobbing
Nuovi modi di fare politica
Appendice 2 – Risultati dei questionari somministrati disaggregati
per anno di edizione
Tabella 1 Distribuzione per età nelle due edizioni
% 2004
2005
Meno di 30 anni
13
13,1
31 – 40 anni
23
22,6
41 – 50 anni
32
40,2
51 – 60 anni
25
18,3
7
5,8
100,0
100,0
Oltre i 60 anni
Totale
Tabella 2 Distribuzione per posizione professionale
nelle due edizioni
% 2004
2005
Occupato/a
60
51,7
In cerca di occupazione
2,6
2,0
13,9
14,6
Casalinga
4,3
12,6
Studente
2,6
4,6
Altra condizione
5,2
6,6
11,3
7,9
Pensionato/a Non risponde
23
Tabella 3 Distribuzione per posizione professionale
nelle due edizioni
% 2004
2005
Dipendente
56
46
Imprenditore/trice
o libero/a professionista
21
9
Lavoratore/trice autonomo/a
2
6
Altro
2
4
19
35
100,0
100,0
Non risponde
Totale
Tabella 4 Interesse e partecipazione ad attività
politiche (%)
SPESSO
2005
% 2004
QUALCHE RARAMENTE
VOLTA
2004 2005 2004 2005
2004
MAI
2005
2004 2005
Discutere di politica
con familiari /amici
64,0 63,8 30,7 29,5 3,5 4,7 0,0 2,0
Leggere articoli/giornali
di carattere politico
66,7 54,4 25,4 36,7 2,6 7,5 1,8 1,4
Seguire alla tv trasmissioni
di carattere politico
40,4 40,8 49,1 44,9 9,6 10,9 0,9 3,4
Partecipare a manifestazioni
di carattere politico
16,7 13,1 28,9 33,1 36,0 31,0 16,7 22,8
Partecipare attivamente
ll’attività di partiti/sindacati/
movimenti politici
/associazioni
26,1 26,6 26,1 22,4 23,4 25,9 24,3 25,1
24
Tabella 5 Perché una maggiore presenza delle donne
in politica porterebbe dei miglioramenti (%)
% 2004
2005
Portatrici di nuovi punti di vista
47,3
51,1
Maggiore sensibilità per certi problemi
45,5
46,8
Maggiori capacità
3,6
0,7
Altro
0,9
1,4
100,0
100,0
Totale
25
Tabella 6 Grado di accordo con alcune affermazioni
diffuse sul tema ‘donne e politica’ (%)
% 2004
2005
2004 2005 2004 2005
2004 2005
Ai partiti non interessa
coinvolgere più donne
28,2 17,9 47,3 57,1 15,2 18,6 9,8 6,4
Per una donna in gamba
non esistono particolari
difficoltà a entrare
nel mondo politico
25,5 29,6 28,6 31,0 37,5 32,4 8,9 7,0
Le donne non condividono
il modello di politica
praticato dagli uomini
24,5 16,3 36,8 50,4 28,8 26,2 9,9 7,1
L’attuale mondo politico
è ostile alle donne
23,6 14,3 45,1 52,9 23,9 27,9 8,0 5,0
I tempi della politica
non sono compatibili
con quelli delle donne
21,8 7,9 36,9 42,9 22,5 22,9 18,9 26,4
Anche se le donne
si candidano,
poi non vengono elette
17,3 12,8 47,3 51,1 28,6 25,5 7,1 10,6
Le donne pensano
di non essere portate
per la politica
12,7 9,9 47,7 44,0 24,3 27,7 15,3 18,4
Alle donne non interessa
la politica
1,8 2,1 37,5 30,1 36,6 40,6 24,1 27,3
Le donne non sono
all’altezza dei compiti
che l’impegno politico
richiede
0,9 0,7 1,8 1,4 18,6 19,0 78,8 78,9
Molto d’accordo Abbastanza d’accordo Poco d’accordo Per niente d’accordo
26
Tabella 7 Azioni ritenute utili per sostenere
la presenza delle donne in politica
% 2004
Fissare una quota minima
di candidature per il sesso
meno rappresentato
2005
2004 2005 2004 2005
2004 2005
11,8 16,5 5,3 7,9 9,2 13,7 73,7 61,9
Sensibilizzare la cittadinanza 2,7 9,4 9,3
Sollecitare i partiti
per favorire
le candidature di donne
Rafforzare l’autostima
e la sicurezza delle donne
20 11,6
4 3,6 6,7 13,7 21,3 10,8
25 27,3
68
71
68 71,9
25 20,9 7,9 7,9 40,8 43,9
Creare reti locali di sostegno
per le donne
15,8 12,9 28,9
Fare formazione politica
(conoscenza, competenze)
8
23 23,7 24,5 31,6 39,6
34,7 30,2 21,3 20,1 13,3 11,6 30,7 38,1
Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto
Tabella 8 Indicazioni per eventuali
approfondimenti dei temi trattati
% 2004
2005
2004 2005 2004 2005
2004 2005
Autostima: convincersi
di essere capaci
28,7 45,3
Che “genere” di potere
16,5 12,9 20,9 33,8 30,4 34,5 32,2 18,8
Amministrare: cos’è
32,2 40,3 23,5 28,1 20,9 18,7 23,4 12,9
20
18 16,5
23 34,8 13,7
Più importante Mediamente importante Meno importante Non scelto
27
Appendice 3 – Il questionario
“Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci”
Data:
Luogo dell’incontro:
1. Facendo riferimento al suo interesse per la
politica, indichi, per cortesia, con quale
frequenza compie le seguenti attività:
Mai
Raramente
Qualche volta
Discutere di politica con familiari /amici
Leggere articoli/giornali di carattere politico
Seguire alla tv trasmissioni di carattere politico
Partecipare a manifestazioni di carattere politico
Partecipare attivamente all’attività di partiti/
sindacati/movimenti politici/associazioni/ …
Spesso
2. Secondo lei, il numero di donne attualmente
in politica dovrebbe essere (1 sola risposta):¨
va bene così più elevato
più basso
non so/ non ci ho mai pensato
3. Secondo lei, una maggior presenza femminile nei
luoghi decisionali potrebbe comportare dei
cambiamenti nella qualità delle decisioni
politiche? (1 sola risposta)
vai alla domanda 3.1
ci sarebbero dei miglioramenti
vai alla domanda 3.2
no, non cambierebbe nulla
28
ci sarebbero dei peggioramenti
vai alla domanda 3.3
non so/ non ci ho mai pensato
vai alla domanda 4
3.1 No, non cambierebbe nulla.
Perché? (1 sola risposta)
non c’è alcuna differenza tra le decisioni prese da uomini e da donne
anche se ci fossero più donne, a loro sarebbero destinati i posti privi di reale potere
anche se ci fossero più donne, non avrebbero l’autorevolezza di imporre
il loro punto di vista
altro: ________________________________________
3.2 Ci sarebbero dei miglioramenti.
Perché? (1 sola risposta)
le donne sono portatrici di nuovi punti di vista
le donne hanno una maggiore sensibilità di fronte a certi problemi
le donne hanno più capacità degli uomini
altro: _____________________________________
3.3 Ci sarebbero dei peggioramenti.
Perché? (1 sola risposta)
le donne sono meno esperte degli uomini a gestire il potere
le donne hanno meno capacità degli uomini
le donne dedicherebbero meno tempo degli uomini agli impegni politici
altro: ________________________________________
29
4. Secondo lei, qual è, in generale, l’atteggiamento
dei cittadini nei confronti delle donne che
partecipano alla vita politica?
(1 risposta per ogni coppia di affermazioni)
5.
i cittadini hanno fiducia
oppure
i cittadini non hanno fiducia
i cittadini le sostengono
oppure
i cittadini non le sostengono
i cittadini le ritengono capaci
oppure
i cittadini non le ritengono capaci
Di seguito vengono riportate alcune
affermazioni sul tema ‘donne e politica’.
Per ciascuna di esse potrebbe indicare
il suo grado di accordo/disaccordo?
Poco
Abbastanza
Molto
d’accordo
d’accordo
d’accordo
d’accordo
Alle donne non interessa la politica
Le donne pensano di non essere portate
per la politica
Le donne non sono all’altezza dei compiti
che l’impegno politico richiede I tempi della politica non sono compatibili
con quelli delle donne
Anche se le donne si candidano,
poi non vengono elette
Ai partiti non interessa coinvolgere più donne
L’attuale mondo politico è ostile alle donne
Le donne non condividono il modello
di politica praticato dagli uomini
¨ Per una donna in gamba non esistono particolari
difficoltà a entrare nel mondo politico
30
Per niente
6. Secondo lei, che cosa si dovrebbe fare per
sostenere la partecipazione delle donne in
politica?
(al massimo 3 risposte in ordine di importanza:
1= più importante, 2=mediamente importante,
3=menO importante)
fissare per legge una quota minima di candidature per il sesso meno rappresentato
fare formazione politica (conoscenze, competenze)
rafforzare l’autostima e la sicurezza delle donne (empowerment)
sensibilizzare la cittadinanza
creare reti locali che sostengano le donne che vogliono partecipare alla vita politica
sollecitare i partiti al fine di favorire le candidature delle donne
altro: _____________________________________________
7. Secondo lei, una donna che vuole entrare
in politica ma poi rinuncia a questo progetto,
per quali ragioni giunge a tale decisione?
Indichi, per cortesia, le tre ragioni che lei
ritiene più verosimili.
a. _______________________________________________________________________
b. _______________________________________________________________________
c. _______________________________________________________________________
7.1 A lei è mai successo? (solo per le donne)
Sì
No
31
8. Secondo lei, quali sono i temi degli incontri
per cui sarebbe interessante
un approfondimento?
(al massimo 3 risposte in ordine di importanza:
1= più importante, 2=mediamente importante,
3=meno importante)
Autostima: convincersi di essere capaci
Amministrare: cos’è
Che “genere” di potere
9. Quali altre tematiche
le interesserebbE approfondire?
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
Dati individuali
10. Sesso
M
F
11. Età
_____
12. Titolo di studio
nessun titolo/ licenza elementare/ licenza di scuola media inferiore
qualifica professionale/ diploma di scuola media superiore
laurea/ diploma universitario
dottorato di ricerca/ specializzazione post-laurea
32
13. Condizione occupazionale
Occupato/a vai alla domanda 13.1
In cerca di occupazione
Pensionato/a
Casalinga
Studente
Altra condizione
13.1 In quale posizione occupazionale si trova?
(solo per chi è occupato)
Dipendente
vai alla domanda 13.2 Imprenditore/trice o libero/a professionista
Lavoratore/trice autonomo/a
Altro
13.2 Lei è alle dipendenze come…
(solo per chi è alle dipendenze)
Dirigente/direttivo/quadro Impiegato/a
Operaio/a
Altro ____________________
33
3. La rappresentanza politica “femminile”
in Italia
di Marilisa D’Amico
Ordinario di Diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università statale di Milano
L’Italia è fra i Paesi europei e mondiali con una delle percentuali più basse di donne in
Parlamento. La storia degli ultimi anni ha vissuto alterne vicende: da un lato sono state
varate leggi tendenti a garantire una quota minima di candidati donne, dall’altro sono
intervenute alcune sentenze della Corte costituzionale non del tutto coerenti fra loro; da
ultimo è stato modificato l’art. 51 Cost. che ha consentito un primo provvedimento in tema
di elezioni europee.
Nel 1993, con la legge n. 81, il legislatore aveva pensato di risolvere il problema della
bassa percentuale di donne nelle Assemblee elettive, introducendo, per la prima volta, le
cd. “quote” in merito alle elezioni dei rappresentanti negli enti locali.
Per le elezioni regionali e comunali si prescriveva che nelle liste i candidati dello stesso
sesso non fossero inseriti in misura superiore ai due terzi, con ciò sostanzialmente riservando un terzo dei posti disponibili al sesso sottorappresentato.
Per le elezioni nazionali, invece, veniva introdotta l’alternanza obbligatoria di uomini e
donne nelle liste per il recupero proporzionale previsto dalla legge elettorale per la Camera dei deputati.
Questa serie di interventi legislativi sono stati censurati da una sentenza della Corte
costituzionale, la n. 422 del 1995, con la quale il giudice costituzionale ha chiarito che, in
via generale e senza alcuna eccezione, in materia elettorale debba trovare applicazione
soltanto il principio di eguaglianza formale (artt. 3, 1 comma, e 51, comma 1, Cost.) e che
qualsiasi disposizione tendente ad introdurre riferimenti “al sesso” dei rappresentanti,
anche se formulata in modo neutro, sia in contrasto con tale principio.
Nonostante l’oggetto specifico della questione di costituzionalità sollevata di fronte al
Giudice delle leggi riguardasse esclusivamente la normativa relativa all’elezione degli
enti locali, la Corte, attraverso l’applicazione dell’art. 27, comma 2, l. n. 87 del 1953
(dichiarazione di illegittimità consequenziale), è giunta all’annullamento di tutte le norme
presenti nell’ordinamento miranti, sia pur con tecniche diverse, a riequilibrare la presenza
di uomini e donne nelle Assemblee elettive.
In particolare, la decisione della Corte risulta assai significativa in quanto colpisce la
disposizione inserita nella legge per l’elezione della Camera dei deputati, che come già
chiarito, prevedeva il meccanismo di ‘alternanza’ nell’indicazione dei candidati. A conferma della posizione rigorosa assunta dalla Corte, venivano colpite anche le norme
previste per le Regioni a statuto speciale.
L’interpretazione della Corte, di per sé discutibile, anche alla luce di argomenti testuali
(molti autori non sono d’accordo sul significato da attribuire all’art. 51 Cost.), non soltanto
34
determinava l’illegittimità di tutte le disposizioni in materia, ma rendeva impossibile, a Costituzione invariata, per il legislatore ordinario introdurre norme di qualsiasi tipo miranti a
favorire l’accesso delle donne alle competizioni elettorali. Tuttavia la Corte, dimostrando
di non sottovalutare l’importanza del problema, aveva espressamente dichiarato che opportune misure di sostegno nei confronti del sesso sottorappresentato, avrebbero potuto
essere assunte liberamente dai partiti politici.
Per superare l’ostacolo posto dalla Corte agli interventi legislativi ordinari, fu necessario avviare un laborioso processo di revisione dell’art. 51 della Costituzione, conclusosi
soltanto molti anni dopo con l’approvazione della costituzionale n. 1 del 2003. Con tale
intervento è stato aggiunto un secondo periodo al comma 1 dell’art. 51 Cost.: “A tal
fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e
uomini”.
Nel medesimo senso, prima della modifica dell’art. 51 Cost., sono intervenuti due altri
importanti provvedimenti del legislatore costituzionale, che hanno ulteriormente mutato il
quadro costituzionale di riferimento. Si tratta, da una parte, dell’art. 2 della legge cost. 31
gennaio 2001, n. 2, il quale prevede espressamente che “al fine di conseguire “l’equilibrio
della rappresentanza dei sessi”, la legge regionale “promuove condizioni di parità per
l’accesso alle consultazioni elettorali”; dall’altra, dell’art. 117, comma 7, che introduce
una disposizione analoga, volta ad impegnare il legislatore regionale a rimuovere “ogni
ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica” e a promuovere “la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive”.
Anche a livello internazionale si è cercato di porre rimedio al problema della sottorappresentanza femminile; l’art. 23 della Carta di Nizza, approvata il 7 dicembre 2000, sancisce
infatti, al comma 2, che “il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione
di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”.
In questo rinnovato contesto si inserisce la sent. n. 49 del 2003, in occasione della quale
la Corte ha modo di tornare sul problema delle cd. “quote rosa”, cioè di disposizioni in
materia elettorale volte a favorire una maggiore presenza delle donne nelle Assemblee
elettive.
L’occasione per il nuovo intervento del Giudice costituzionale è stata offerta dall’impugnazione effettuata dal Governo di una legge della Regione Valle d’Aosta. Curioso è il fatto
che tale impugnazione sia stata avanzata dal medesimo Governo che aveva presentato
il disegno di legge di modifica dell’art. 51, Cost. (il cui testo della relazione di accompagnamento espressamente si riferiva alla necessità di “di mettere un cappello alle quote”),
in corso di approvazione al momento del ricorso stesso. Oggetto del giudizio sono state
alcune disposizioni, in particolare l’art. 7, comma 1, e 2, comma 2 della deliberazione
legislativa della Regione Valle d’Aosta, adottata ai sensi dell’art. 15, comma 2, dello statuto speciale, in base alle quali, a pena di invalidità, le liste dovevano essere formate da
“rappresentanti di entrambi i sessi”. Un simile intervento, finalizzato a garantire una tutela
minima (la sola necessaria presenza di candidati di entrambi i sessi, per ipotesi anche
uno solo del sesso sfavorito) è stato impugnato non per “difetto”, bensì perché contrastante con i principi rigorosi della decisione costituzionale n. 422 del 1995.
35
Il Governo promotore della revisione dell’art. 51 Cost., in sostanza, sostiene dinanzi alla
Corte che la materia elettorale non debba contenere misure che riguardino “il sesso” dei
rappresentanti, tutte incostituzionali in relazione al principio di eguaglianza formale.
La decisione della Corte, che ‘salva’ la norma valdostana, sembra porsi in netta discontinuità rispetto all’orientamento precedentemente assunto con la sent. n. 422 del 1995, al
punto che, forse, non è fuori luogo parlare di vera e propria decisione overruling.
La Corte, infatti, avrebbe tranquillamente potuto fare riferimento al quadro costituzionale già mutato e alla revisione dell’art. 51 Cost. che si stava perfezionando (si sarebbe
conclusa a marzo, e il nuovo articolo sarebbe entrato in vigore a giugno), nonché all’art.
23 della Carta di Nizza, Carta già applicata dalla Corte costituzionale e anche da giudici
comuni in altre occasioni.
Al contrario, il Giudice costituzionale affronta il cuore del problema, ribaltando il ragionamento della sent. n. 422 del 1995: secondo la Corte la disposizione impugnata, introducendo un riferimento neutro (“ambo i sessi”) ed incidendo soltanto sulla formazione delle
liste, non violerebbe gli artt. 3 e 51 Cost. Essa, infatti, inciderebbe soltanto sull’accesso
alla competizione elettorale, non toccando né l’eleggibilità, né la candidabilità dei singoli
candidati.
Inoltre, proprio perché attinente soltanto alla formazione della lista, la disposizione in
esame non sarebbe idonea a stabilire un vincolo fra elettori ed eletti, vincolo che sarebbe
escluso dal principio della rappresentanza unitaria, classicamente inteso.
La Corte, contrariamente a quanto aveva fatto nel 1995, introduce una differente valutazione fra misure costituzionalmente legittime, in quanto incidenti soltanto sulla formazione delle liste e in quanto formulate in modo neutro (che potremmo definire “riserve di
lista”), che espressamente qualifica come strumenti diversi dalle azioni positive, e misure
più forti, che garantiscano non solo una parità o un riequilibrio nei punti di partenza, bensì, propriamente, il risultato medesimo (azioni positive o quote in senso vero e proprio),
che invece sarebbero lesive dei principi costituzionali.
Con la sent. n. 422 del 1995, invero, la Corte aveva formulato un giudizio sostanzialmente opposto sulle norme volte a garantire una significativa presenza di candidati appartenenti ad entrambi i sessi.
In quella circostanza la formulazione neutra delle norme era stata ritenuta insufficiente
a porla al riparo dal vizio di incostituzionalità. La volontà del legislatore era stata indubbiamente quella di favorire in maniera consistente la candidatura del sesso sottorappresentato (quello femminile). Nella sent. 49 del 2003, al contrario, la Corte ha dato un
peso determinante al contenuto minimo e al riferimento neutro rispetto al sesso, con
ciò salvando le disposizioni che “stabiliscono un vincolo non già all’esercizio del voto o
all’esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili, ma alla formazione delle libere scelte dei
partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali, precludendo loro (solo) la
possibilità di presentare liste formate da candidati tutti dello stesso sesso”.
E’ sicuramente molto significativo che la Corte costituzionale abbia voluto ragionare sul
problema a mente sgombra da riferimenti al nuovo contesto costituzionale e che abbia
utilizzato tali riferimenti solo come argomentazione di sostegno e in un secondo momento.
Ancor più significativo che il Giudice costituzionale si sia riferito alla legge cost. n. 2 del
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2001, riguardante le Regioni a statuto speciale, al nuovo art. 117, comma 7, riguardante
le Regioni a statuto ordinario e, genericamente, agli indirizzi degli organi dell’Unione
europea, senza citare direttamente la Carta di Nizza. È assente, dunque, nella decisione
qualsiasi accenno alla revisione dell’art. 51 Cost., in procinto di approvazione; in questo
modo la Corte costituzionale sembra aver voluto rimandare l’esame del problema riguardante l’esatta interpretazione del nuovo testo dell’art. 51 Cost.. Rimane quindi aperta la
questione sull’effettiva portata innovativa della disposizione ora indicata: essa potrebbe
sia rendere necessaria una tutela minima del genere discriminato nella competizione
elettorale (almeno un candidato di entrambi sessi), sia, in maniera più estensiva, implicare la necessità di una vera e propria riserva di quota a favore del sesso che si ritiene, in
un determinato momento, sfavorito.
Significativo è che la Corte, richiamando nuovamente l’importanza del ruolo dei partiti politici in questo settore (i quali però, finora, in genere non hanno mostrato grande propensione ad intervenire spontaneamente in questo senso), arrivi però a ritenere ammissibile
un intervento autoritativo del legislatore finalizzato ad imporre a tali soggetti particolari
vincoli nella formazione delle liste da presentare agli elettori.
La Corte dunque, rigettando la questione, modifica profondamente la propria giurisprudenza sul tema della legittimità di norme che abbiano la finalità di riequilibrare la rappresentanza politica dal punto di vista “sessuale”: nella decisione, come si afferma al punto
n. 5 della motivazione, vengono ritenute legittime norme in cui il “vincolo resta limitato al
momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini,
sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle
candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza
elettiva”.
Vale la pena soffermarsi ancora sull’importanza della nuova formulazione dell’art. 51
Cost., il quale, come già ricordato, inserisce un’importante specificazione del principio di
uguaglianza sostanziale sancito in via generale dall’art. 3, comma 2, Cost.. Va sottolineata, tuttavia, anche la potenziale ambiguità della norma: si parla di provvedimenti, e non di
leggi; si parla di promozione, e non di diritto.
E’ evidente, però, che al di là dei rilievi formali, la norma costituzionale riformata consente
interventi legislativi in materia elettorale che la Corte costituzionale riteneva impossibili
nella sent. n. 422 del 1995: vero è che la successiva pronuncia (n. 49 del 2003), resa
in un momento nel quale la revisione dell’art. 51 Cost. non era ancora stata completata,
ritiene legittime le cd. “quote di lista”, così modificando il precedente rigido orientamento;
tuttavia è chiaro che la modifica dell’art. 51 Cost. rende molto più sicuro l’intervento del
legislatore.
Non a caso, all’indomani della modifica costituzionale, è stata emanata la legge 8 aprile
2004, n. 90 (“Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre
disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004”), il cui art. 3 introduce disposizioni in materia di pari opportunità.
Esso prescrive che le liste aventi un medesimo contrassegno debbano essere formate
in modo che “nessuno dei due sessi” possa essere rappresentato “in misura superiore ai
due terzi dei candidati”.
Interessante notare che il secondo e il terzo comma dell’art. 3 introducono una penalizza-
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zione economica per i partiti che non rispettino tale proporzione (in particolare si tratta di
una riduzione del rimborso per le spese elettorali) e un incentivo per i partiti che “abbiano
avuto proclamata eletta una quota superiore ad un terzo dei candidati di entrambi i sessi”
(la ripartizione della somma derivante dalla riduzione di cui al comma 2).
Con tale norma si introduce un meccanismo nuovo, che non prevede soltanto una penalizzazione per la mancata presentazione in lista, ma addirittura un incentivo per i partiti in
cui le donne riescano anche ad essere elette: è noto che il grosso problema delle quote
di lista è che non basta introdurre le donne alla competizione elettorale; occorre che
esse siano anche in grado di vincere, per giungere ad una effettiva modificazione della
composizione delle Assemblee elettive.
Merita da ultimo evidenziare come il tema della rappresentanza di genere e della parità
di accesso alle cariche elettive siano stati tenuti in particolare considerazione a livello
regionale: in molti dei nuovi statuti regionali, approvati definitivamente o ancora in itinere
compaiono apposite disposizione volte a garantire le “pari opportunità” (Statuto della
Regione Toscana) o la “parità” tra uomini e donne nell’accesso alle cariche pubbliche
(Statuto della Regione Puglia).
In questo mutato quadro non può che apparire stonata la ‘bocciatura’ dell’emendamento
presentato durante l’esame del disegno di legge di riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale, per le Camere (A. C. 2620, approvato dalla Camera il 13 ottobre 2005).
L’emendamento intendeva predisporre un meccanismo che obbligasse i partiti a inserire
all’interno delle liste, che per altro risultano essere immodificabili da un eventuale voto di
preferenza espresso dagli elettori, una quota di donne, e cioè almeno una ogni tre candidati: di fatto, si trattava di una norma molto blanda, che non sanciva l’inammissibilità delle
liste che non rispettassero la previsione, bensì soltanto sanzioni di tipo economico.
Il modo in cui è avvenuta la bocciatura da parte della Camera dei deputati, la quale, a
voto segreto, ha rigettato questa norma conferma le perplessità sulla formulazione dell’art. 51 Cost., il quale, consentendo, ma non obbligando, il legislatore a introdurre norme
in materia elettorale che favoriscano o garantiscano la presenza femminile nelle Assemblee elettive, si presta formalmente ad una interpretazione riduttiva, contraria alle proprie
intenzioni (il Governo, infatti, ha cambiato la Costituzione “per introdurre le quote”).
Significativa, comunque, a riprova della difficoltà culturali, in un Paese come il nostro, di
introdurre strumenti a tutela di una maggiore presenza femminile nei luoghi della politica,
che chi si appresta a modificare la legge elettorale si rifiuti di introdurre una norma che
sarebbe molto appropriata per il tipo di sistema che si vorrebbe scegliere. E’ noto infatti,
ma questo sarebbe capitolo di un diverso scritto, che i sistemi proporzionali sono quelli
più favorevoli alla presenza di norme che garantiscano una certa percentuale di donne
in lista, a differenza dei sistemi maggioritari, per i quali risulta più difficile la previsione di
percentuali femminili, dal momento che nel singolo collegio candidare una donna equivale a non candidare un uomo.
La natura del sistema elettorale, però, soltanto in Italia non muta alcunché riguardo all’atteggiamento del mondo politico rispetto al problema della (inesistente) rappresentanza
“femminile”.
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4. Genere e cittadinanza
di Alisa Del Re
Docente di Politica sociale e di pari opportunità nell’Unione Europea, Università di Padova
Introduzione
Non sempre è chiaro di cosa si voglia parlare quando si uniscono due termini come
genere e cittadinanza. Essi non vengono spesso coniugati insieme. Nella loro storia autonoma essi sono l’uno polisemico e l’altro neutro con contenuti indefiniti. Nella polisemia
di genere il significato d’uso più frequente e comune è quello di condizione femminile. E
non è il senso più corretto dell’espressione. Per questo sono necessarie alcune precisazioni. Anche il termine cittadinanza richiede una definizione iniziale, una dichiarazione di
intenti per chiarire di cosa si sta parlando. Solo dopo queste puntualizzazioni sarà possibile parlare della relazione che esiste tra genere e cittadinanza nelle nostre moderne
democrazie.
Dimensione di genere
La dimensione di genere fa riferimento al modo sessuato con il quale gli esseri umani
vivono socialmente e si percepiscono tra loro: nella società convivono due sessi e il
termine « genere » segnala questa duplice presenza. Si tratta di un termine non univoco, binario: gli uomini, come le donne, costituiscono il genere. Il concetto di genere,
a differenza di quello di condizione femminile, non si limita a segnalare una esperienza
di subordinazione, o oppressione, delle donne rispetto agli – e da parte – degli uomini,
ma pone in modo radicale la questione della costruzione sociale della appartenenza di
sesso. Inoltre esso nega la possibilità che la condizione femminile – i modi concreti in
cui si danno esperienze e collocazioni sociali di donne, inclusa la subordinazione o l’oppressione – possa venir analizzata in modo isolato, separato da quella maschile1. Troppo
spesso (e le stesse ricercatrici non sfuggono a questo equivoco) le analisi che affermano
di trattare il genere tendono a concentrarsi sulla situazione delle donne, cancellando, o
ignorando ciò che riguarda il rapporto tra i sessi. Spesso il genere (che è un rapporto)
è confuso con una delle sue parti (le donne) e limitato a questo. A giustificare ciò sta la
scarsa riflessione sulla non inclusione delle donne nel discorso politico. Al massimo si
pensa alle donne come un fattore «aggiuntivo», con una problematica ridotta alle procreazione e al lavoro di cura, come se la collocazione esclusivamente riproduttiva delle
1 Piccone Stella S., Saraceno C. (1996) “Introduzione. Storia di un concetto e di un dibattito” in Piccone Stella S., Saraceno C.
(a cura di) Genere, Bologna , il Mulino, pp. 7-38.
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donne non determinasse anche molte delle discriminazioni e delle disparità in altri ambiti
delle relazioni sociali. Vi è poi la connotazione «visuale», che ha alte valenze simboliche:
le donne come corpo « altro », che rappresenta il diverso, mentre la norma è il corpo
maschile. In politica – che è anche rappresentazione – questa alterità del corpo viene
accettata con difficoltà.
Prendere in considerazione il tessuto sociale in un’ottica di genere permette – o dovrebbe
permettere - di rendere visibili le disuguaglianze tra i sessi, soprattutto sul terreno politico
e per quanto riguarda la cittadinanza e i diritti che ne conseguono. E’ importante evitare
che queste disuguaglianze siano considerate una realtà data, valida per sempre: questo
tipo di lettura obbliga coloro che attuano le politiche a situare le disuguaglianze nel loro
contesto e a coglierne i cambiamenti2.
La cittadinanza dei diritti
Storicamente l’acquisizione della cittadinanza ha avuto un percorso diverso per donne e
per uomini, a causa di una disuguaglianza patente di genere socialmente determinata.
Questo ha ancor oggi una forte rilevanza, soprattutto quando viene affermata un’indifferenza di genere nell’universalizzazione dei diritti.
Non è quindi solo questione di sapere chi è il cittadino; è anche questione, ed è forse la
cosa più importante, di sapere quali sono i diritti del cittadino e per quanto ci riguarda più
direttamente fino a che punto essi abbiano una dimensione sessuata, siano quindi detenibili e spendibili da uomini e donne, e dai diversi gruppi sociali. Mi riferisco in particolare
alle tesi di T.H. Marshall. Egli ha proposto una nozione di cittadinanza che si articola
attorno a tre componenti: i diritti civili, politici e sociali, la cui realizzazione corrisponde a
tre periodi storicamente determinati (XXVIII secolo per i diritti civili, XIX per i diritti politici e
XX per i diritti sociali)3. Secondo Marshall questi tre tipi di diritti si sono susseguiti ed hanno finito per costituire la struttura della cittadinanza moderna, in una tensione evolutiva
verso l’uguaglianza di tutti i cittadini. Anche se si possono avanzare riserve nel confronti
di questa teoria, c’è un’idea che per me conserva tutta la sua validità: la cittadinanza si
costituisce con dei diritti concreti e storicamente quantificabili; essi non sono separati, né
subordinati gli uni agli altri, ma si articolano semplicemente tra loro nel tempo. A questo
titolo, i diritti sociali che, nella sequenza marshalliana, appaiono per ultimi, sono dei diritti
universali e fondanti come gli altri, e costituiscono perciò una dimensione essenziale della cittadinanza. Lo Stato sociale democratico è il coronamento e la sintesi del lungo percorso nella storia moderna della cittadinanza. Questo tipo di approccio rompe così con
l’accezione liberale più ristretta che limita la cittadinanza al solo riconoscimento dei diritti
civili e politici. Un’accezione riduttrice, come sottolineano diversi autori - particolarmente
2 Gaspard F. Heinen J. (2002) “Introduction à “L’égalité, une utopie?”, Cahiers du Genre n. 33., pp. 5-16.
3 Nel 1949, in una serie di conferenze date a Cambridge in onore di Alfred Marshall e pubblicate in seguito in Citizenship and
Social Class (1964), T.H. Marshail formulò e rese pubblica la sua teoria sulla cittadinanza nei termini più completi.
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Ralph Darendorf e Jurgen Habermas4 - e che può dimostrarsi fatale per la democrazia,
nella misura in cui essa riduce l’ampiezza della maggior parte dei diritti sociali che tendono ad eliminare le discriminazioni di classe e di sesso.
Per Marshall la cittadinanza rappresenta l’insieme dei diritti e dei doveri - lo statuto - che
conferisce la piena appartenenza ad una società data. Per definizione questo statuto è
indipendente dalle contingenze dei mercato. La cittadinanza è dunque un concetto non
economico, che definisce la posizione degli individui, qualunque sia il valore particolare
attribuito al contributo di ciascuno al processo produttivo. In questo contesto dunque i
diritti sociali non dovrebbero dipendere dal lavoro - e quindi dal salario - dei beneficiari.
Il Welfare - lungi dall’essere mera assistenza ai bisognosi - è definito dall’organizzazione
concreta e materiale dei diritti (effettività del diritto alla casa, alla cura, alla sopravvivenza, ecc.). Il principio dello Stato sociale trova, nel periodo che segue la conclusione
della seconda guerra mondiale, la propria sanzione in alcune delle più significative carte
costituzionali (all’articolo 38 della Costituzione italiana e all’articolo 20 della legge fondamentale tedesco-federale). Questo mostra come l’immagine inclusiva e progressiva della
cittadinanza presentata da Marshall corrispondesse ad un sentire comune dell’epoca in
Europa occidentale.
Diversi tipi di obiezioni sono state rivolte alla teoria di Marshall, non sempre condivisibili,
soprattutto se si colloca il suo intervento nel contesto storico che gli compete. Gli è stato
rimproverato, ad esempio, di avere una visione acritica dello Stato sociale e di presentare
la sua teoria come se si trattasse di un processo lineare in cui i diritti sociali incarnerebbero in un certo senso il coronamento della cittadinanza al di fuori da ogni conflitto5. Ma, al
di là degli scritti femministi6, il dibattito suscitato dal pensiero di T. H. Marshall non ha per
nulla posto l’accento sul fatto che il suo schema teorico rinvia ad una periodizzazione che
riguarda esclusivamente gli uomini7. Senza contare che la tipologia che egli propone non
è facilmente generalizzabile poiché essa si applica essenzialmente alla Gran Bretagna
(sulla cui storia si fonda l’analisi empirica), è evidente che la sua analisi non tiene conto
4 Per Dahrendorf (Dahrendorf R. (1990) Reflections on the Revolution in Europe, London, Chatto) il rapporto conflittuale tra
i beni e i servizi prodotti nella società e la titolarità d’accesso per la loro utilizzazione costituisce un elemento centrale per
definire il contenuto della cittadinanza. Il periodo attuale è caratterizzato da una disponibilità di beni e servizi sempre più larga,
parallelamente ad una riduzione dei diritti che permettono di beneficiarne. E’ dunque su questa contraddizione che deve
svolgersi il dibattito sulla cittadinanza futura. Habermas, dal canto suo (Habermas J.(1992) “Ciudadanía y identidad nacíonal:
Consideraciones sobre el futuro europeo” in Débats n. 39) critica il formalismo liberale (uguaglianza giuridica) al quale lo Stato
sociale ha opposto la “materializzazione del diritto” (uguaglianza sostanziale), secondo un processo socioeconomico che ha
finito per sconvolgere l’istituzione stessa dello Stato sociale. La critica di Habermas appare particolarmente pertinente per
quanto riguarda i diritti di cittadinanza delle donne, sia perché pone il problema dell’autonomia della persona (indissociabile
dall’autonomia civile e politica), sia perché rifiuta il “paternalismo” del Welfare, che si esprime con forme di controllo imposte
all’individuo dallo Stato sociale.
5 Giddens A. (1981) A contemporary Critique of Historícal Materialism, London, MacMillan; Barbalet J. M. (1988/1992) Cittadinanza, diritti, conflitto e disuguaglianza sociale, Padova, Liviana.
6 Pateman C. (1989) The disorder of Women. Democracy, feminism and Political Theory, Oxford, Polity Press; Jenson J. (1992)
The model citizen? Women in the New Europe, comunicazione presentata al Center for European Studies, Harvard; Del Re A.
(1994) “Droits de la citoyenneté: une relecture sexué de T. H. Marshall, In Vogel-Polsky E. (a cura di) Manuel de resources sur
les Women’s studies, Point d’appui Women’studies de l’ULB, Bruxelles, Services féderaux des Affaires scientifiques ; Marques
Pereira B. (1996) « Cittadinanza e rappresentazioni : qualche annotazione per un’analisi comparativa » in Del Re A., Heinen
J. (a cura di) Quale cittadinanza per le donne?, Milano, FrancoAngeli.
7 Tranne i lavori di David Held (Held D. (1989) Political Theory and the Modern State, Cambridge, Polity Press) per quanto riguarda ciò che lui chiama una concezione riduttiva della cittadinanza in Marshall, poiché non terrebbe in conto i diritti detti della
quarta generazione, come la libertà riproduttiva. A questo proposito, vedere anche Tom Bottomore (Marshall T. H., Bottomore
T (1992). Citizenship and Social Class, London Pluto Press).
41
della situazione specifica delle donne. Anche la periodizzazione adottata è contestabile,
quando si fa una lettura sessuata della cittadinanza. Se è vero che per gli uomini, i diritti
civili sono anteriori a quelli politici « universali » introdotti nel XIX secolo, e che questi
precedono i diritti sociali che si sono concretizzati con la generalizzazione del Welfare,
l’ordine è più o meno inverso per le donne. Molti dei diritti sociali che le riguardano più
specificamente (in particolare la protezione della maternità e l’interdizione del lavoro notturno) sono stati instaurati prima che esse avessero diritto al voto, e molti dei diritti civili
(particolarmente per le donne sposate) hanno continuato ad essere loro rifiutati fino agli
anni 1970. Alcuni di questi diritti non sono d’altronde ancora loro riconosciuti, come il diritto all’integrità fisica (il riconoscimento della violenza sessuale coniugale non è ammesso
nella legislazione di numerosi paesi sedicenti democratici - per esempio, in Germania, è
stato riconosciuto per legge solo nel maggio 1996). Senza contare, come viene sottolineato da Carole Pateman8, che alcune dimensioni incluse da Marshall nella sua definizione di cittadinanza e delle categorie costitutive sulle quali essa si fonda, non sono neutre
in termini di genere. Insistere, come fa Marshall, sul diritto al lavoro nel momento stesso
in cui lo Stato sociale imponeva il modello dell’uomo capofamiglia e della donna-mogliedipendente, o ancora sulla responsabilità del cittadino di difendere il suo paese (his in
inglese), è solo una maniera implicita di indicare che il cittadino è prima di tutto un uomo
e che dunque è molto meno « universale » di quello che sembra. Il preteso universalismo
della cittadinanza democratica marshalliana si frantuma di fronte alle critiche femministe
(e anche del movimento afro-americano statunitense), che mostrano come esso sia tutt’altro che restio ad ospitare al proprio interno persistenti discriminazioni e meccanismi
di dominio costruiti attorno agli elementi di “razza” o di “genere”. La critica femminista ha
indicato in modo assai convincente come lo stesso sviluppo dei marshalliani diritti sociali
di cittadinanza, lungi dal determinare un progressivo superamento della struttura originariamente patriarcale della cittadinanza, ha piuttosto assunto come scontata e confermato
una divisione sessuale del lavoro all’interno della famiglia e della società che ha riprodotto per le donne lo status di cittadine di seconda classe. Per questo mi sembra importante
ritornare sul dibattito in corso integrandovi la dimensione di genere.
Per quanto riguarda i diritti politici, sarebbe utile definire il significato del loro pieno godimento, e quali siano i limiti della partecipazione alla definizione “dell’interesse comune”
per cittadini e cittadine. Ciò richiede l’apertura di una discussione circa la forma della
rappresentanza in senso paritario. Per quanto riguarda i diritti sociali, è importante sottolineare che, anche se questi ultimi non modificano di molto i rapporti di classe (hanno
maggiore influenza sui meccanismi della distribuzione piuttosto che su quelli della produzione di merci), possono modificare i rapporti di sesso quando incitano le donne a
svolgere un ruolo attivo nella contrattazione sociale. Le politiche del Welfare permettono
– nonostante tutto - alle donne di assumere una pluralità di ruoli e rappresentano una
condizione necessaria, benché insufficiente, per aumentare il loro potere politico nella
8 Cit. 1989
42
società9. E’ evidente che la presenza delle donne sul terreno politico non si riduce al solo
ambito del Welfare. Tuttavia, quest’ultimo ha spesso dato loro la possibilità di formulare
delle rivendicazioni sulle condizioni del loro lavoro, sia salariato sia gratuito di riproduzione degli individui. Le trasformazioni degli Stati sociali legate alla forte diminuzione delle
spese statali, sensibile in tutta Europa, provocano una diminuzione dei diritti delle donne
alla cittadinanza. I paesi dell’Europa centrale e orientale ne sono l’esempio estremo: il
cambiamento di regime e la rimessa in discussione concomitante dei vantaggi sociali
concessi nell’era del “socialismo reale” si accompagnano ad una vera e propria regressione dello statuto delle donne nella polís10.
Comunque, a mio avviso, la pertinenza di molte critiche non toglie nulla all’interesse
dell’approccio marshalliano su due punti fondamentali: la tipologia dei diritti e la nozione
di “cittadinanza ideale”. Mi sembra che, in generale, l’articolazione che egli stabilisce tra i
tre tipi di diritti che costituiscono la cittadinanza civili, politici e sociali sia utile per riflettere
sullo statuto delle categorie di individui che non sono riconosciuti come cittadini in senso
pieno. Questo è vero per gli immigrati che godono di diritti civili e sociali, ma non dei diritti
politici o almeno molto raramente e, in questo caso, solo a livello locale (come, ad esempio, in Francia). E’ vero per le donne che, ancor oggi, dispongono di diritti civili incompleti,
mentre i “loro” diritti sociali, lungi dal rispondere ad un processo di individuazione, sono
spesso dei diritti indiretti che riguardano altri attraverso le donne (il diritto di occuparsi dei
figli, dei malati ecc.). I diritti “politici” infine, per le donne, sembrano ridursi al diritto attivo
di voto, con una forte riduzione pratica del diritto all’eleggibilità.
Il secondo punto importante, nell’analisi di Marshall, è l’idea che ogni epoca produce
una “immagine di cittadinanza ideale” che permette di misurare i risultati già acquisiti, e
con il cui metro si definiscono le aspirazioni11. Beninteso, non esistono principi universali
che determinino quali siano i diritti e i doveri in una società data (tranne forse i patti costituzionali), ma l’immagine in questione costituisce un motore per coloro che cercano di
ottenere dei diritti che ancora non detengono e che desiderano essere riconosciuti come
cittadini in senso pieno. Una specie di modello di cittadino, una figura emblematica che
serve di riferimento ai gruppi che si mobilitano per conquistarsi dei diritti di cui sono stati
privati fino a quel momento e che corrispondono alla base della “cittadinanza ideale”.
Questo “modello” può servire anche per rimetterne in discussione la definizione, come
hanno fatto, per esempio, i movimenti delle donne occidentali, denunciando i falsi universalismi sui quali si fonda il concetto stesso di cittadinanza, lottando non solo per l’uguaglianza giuridica e contro le leggi discriminatorie, ma anche per l’estensione dei diritti
alla sfera personale e per rimettere in questione le categorie tradizionalmente accettate.
Il “cittadino modello” è evidentemente un’immagine di riferimento cui attingere e che si
presenta nella sua articolazione più ricca, non certo come un’imposizione coercitiva e
statica di comportamenti.
9 Siim B. (1996) « Genere, potere e democrazia : elementi del dibattito scandinavo » in Del Re A., Heinen J. (a cura di) Quale
cittadinanza per le donne?, Milano, FrancoAngeli.
10 Heinen J. (1996) « Sfera privata e sfera pubblica nell’Europa dell’Est” in Del Re A., Heinen J. (a cura di) Quale cittadinanza
per le donne?, Milano, FrancoAngeli.
11 Cit. 1992
43
La cittadinanza politica
Qualsiasi tentativo di affrontare il tema della cittadinanza politica e della conquista della
cittadella del potere (maschile) in termini di differenza si scontra con quello che Carole
Pateman ha chiamato il « dilemma di Wollenstonecraft »12.
Alla base di questo dilemma sta il dato oggettivo dell’oppressione delle donne e si articola
nelle seguenti alternative:
■ se si invoca una cittadinanza uguale a quella degli uomini, l’inclusione non avviene
secondo un reale principio di uguaglianza perché il contenuto stesso della nozione
di cittadinanza non è trasformato per includere sia l’esperienza storico-sociale delle
donne che quella degli uomini13.
■ se invece, si vuole sottolineare la differenza femminile nelle capacità e nei bisogni,
questa diversità viene compresa come devianza o mancanza, perché i gruppi
privilegiati stabiliscono la norma, in relazione alla quale gli oppressi rappresentano
l’eccezione.
Da un lato quindi le donne devono far appello all’universalismo morale ed insistere sul
fatto che non esistono differenze sostanziali tra donne e uomini che giustifichino la negazione di opportunità per il sesso femminile; dall’altro esse sentono l’esigenza di affermare le loro differenze che, nell’applicazione rigida del principio di uguaglianza formale,
mettono le donne in una situazione di svantaggio rispetto agli uomini.Ciò conduce ad un
double bind (doppio legame, doppia costrizione): il problema è che le misure che favoriscono un trattamento speciale, come le quote di partecipazione o le azioni positive, per
un verso sono mezzi per contrastare la discriminazione che si nasconde nelle politiche
di uguaglianza apparentemente neutrali nei confronti del gender; per un altro verso sono
soluzioni insoddisfacenti (non a caso le proponenti in grande maggioranza le considerano temporanee) poiché irrigidiscono il sistema e rinforzano certi stereotipi sessuali che
vedono le donne come bisognose di protezione.
Eppure, se non si adotta alcuna misura di tutela o di azione positiva, le discriminazioni
continuano a tenere le donne lontane dalla politica e, in generale, da tutti i posti decisionali. La situazione sembra inestricabile: da un lato le donne si richiamano a dei principi
morali di tipo universale (diritti uguali per tutti), insistendo sul fatto che non esiste alcuna
differenza sostanziale che giustifichi il rifiuto di accordare alle donne opportunità uguali a
quelle degli uomini; dall’altro esse risentono la necessità di affermare le loro differenze,
coscienti che un’applicazione rigida dell’uguaglianza formale sarebbe per loro svantaggiosa nei confronti degli uomini.
12 Pateman, C. (1992) “Equality, difference, subordination: the politics of motherhood and women’s citizenship” in Bock G., James S. Beyond Equality and Difference, New York, Routledge, pp. 17-31.
13 Lamoureux D. (1996) “Femminismo, cittadinanza, democrazia” in Del Re A., Heinen J. (eds) Quale cittadinanza per le donne?
Milano, FrancoAngeli.
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Argomenti per il riequilibrio della rappresentanza politica
Vorrei ora analizzare gli argomenti maggiormente utilizzati nelle proposte e progetti di
legge destinati a promuovere la rappresentanza equilibrata di uomini e di donne. I primi
tre (utilizzati soprattutto per le quote) sono: l’argomento della proporzionalità, dell’utilità e
della differenza. Si possono ritrovare questi argomenti nei discorsi pronunciati in occasione dell’incontro internazionale di Ginevra nel 1989 organizzato dall’Unione interparlamentare14, nelle prese di posizione della rete di esperti su “Le donne nei processi decisionali
in sede pubblica e politica” (Commissione europea, 1994)15 e nella piattaforma d’azione
uscita dalla Conferenza internazionale di Pechino nel 199516 . Il quarto argomento si fonda sulla realizzazione del diritto di parità come diritto umano, maggiormente presente nel
dibattito pubblico francese e fondato sul riconoscimento della dualità del genere umano
e sul diritto all’uguaglianza.
L’argomento della proporzionalità lega l’importanza quantitativa delle donne nella popolazione all’idea di una rappresentanza politica proporzionale al loro numero. La legittimità
democratica è così giustificata a partire da una visione estensiva e quantitativa piuttosto
che in termini qualitativi. Parlare di numeri proporzionali comporta la consapevolezza
della necessità di escludere parte dei candidati maschili a favore di candidati donna e
immette quindi l’idea di concorrenza tra i sessi. Inoltre viene suggerita l’idea che il rappresentante debba possedere le caratteristiche dell’elettore. Cosa che sembrerebbe corrispondere a delle esigenze di ordine simbolico importanti per gli outsiders del sistema
politico. In effetti costoro possono rivendicare la presenza di rappresentanti che non solo
assicurino la difesa dei loro interessi ma permettano anche, attraverso le loro caratteristiche personali, l’identificazione e lo sviluppo della sensazione di essere presenti sulla
scena politica. In questo modo può esprimersi l’esigenza di rappresentatività17. Questa
esigenza è concepita come il riconoscimento della dualità del genere umano in politica.
Un tale riconoscimento testimonierebbe la volontà manifesta di evitare qualsiasi tipo di interpretazione di tipo corporativo o di rappresentanza di gruppo sociale (e certamente non
comunitarista). Tradurrebbe anche una rimessa in questione della neutralità simbolica
del potere politico. Paradossalmente oggi è il monopolio maschile di questo potere che
ne garantisce la neutralità simbolica18. Poiché in politica solo gli uomini appaiono come
degli esseri neutri, asessuati. Le donne vengono sempre ricondotte al loro corpo, connotato in termini peggiorativi. Solo le donne rappresentano l’alterità. In questo senso la
parità costituisce una rottura rispetto alla logica dell’assimilazione alla norma maschile.
14 Decauquier C. (1994) « Retour sur les arguments fondant la demande d’une représentation accrue des femmes en politique
», Res Publica, vol.36, pp.119-127.
15 European Network of Experts « Women in Decision-Making » Created in the Framework of the Third Medium-Term community
Action Programme on Equal opportunities for Women and Men (1994) Women in Decision-Making. Facts and Figures on
Women in Political and Public Decision-Making in Europe, European Commission, Bruxelles.
16 Sawer M. (2000) « Parliamentary representation of Women : From Discourses of Justice to Strategies of Accountability », International Political Science Review, vol.21, n°4, pp.361-380.
17 Beccalli B. (1999) (a cura di) Donne in quota, Milano, Feltrinelli
18 Vogel J. (1996) « Parité et égalité », Cahiers du Gedisst, n°17, pp.1-32.
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L’argomento utilitario sottolinea la mancanza di efficacia che rappresenta l’esercizio delle
funzioni politiche che si priva delle competenze di una metà della società. Questo argomento anticipa l’effetto perverso, stigmatizzante che può essere usato dagli oppositori
della parità quando denunciano il carattere di deroga al principio meritocratico nella concorrenza elettorale quando si usa la parità. Esso permette ugualmente di controbattere
l’idea che i benefici ottenuti dalla parità si rivolgerebbero solo alle donne e di convincere
coloro che sono sensibili alla necessità di rinnovamento del personale politico, della sua
utilità a rispondere al disincanto degli elettori, all’astensione e alla volatilità crescente
dell’elettorato. In questa prospettiva la parità o le quote rappresenterebbero una risposta alla crisi della rappresentanza politica. In realtà in questo caso non si tratta di una
risposta, ma piuttosto dell’espressione di una delle sue possibili metamorfosi19. In effetti
la parità potrebbe rientrare nella tematica della personalizzazione della scelta elettorale
caratterizzata dal fatto che il o la candidato/a si presenta non solo come persona ma
propone in più una linea di demarcazione o una differenza, in questo caso la differenza
di genere. Tuttavia la parità lascia inalterato il meccanismo del governo rappresentativo:
oggi come ieri la democrazia non è certo il governo del popolo. Inserendo la parità delle
candidature maschili e femminili non si realizza una sorta di democrazia maggiormente
partecipativa. Il governo rappresentativo è un governo di élites distinte e separate dalla
massa della popolazione. In questa prospettiva la parità è l’espressione di una femminilizzazione delle élites che non modifica il principio distintivo dell’elezione e, in questo
senso, ci si potrebbe chiedere se la parità potrebbe contribuire a risolvere il problema
rappresentato dalla crisi della rappresentanza, cioè lo scarto che si è creato tra rappresentanti e rappresentati.
L’argomento della differenza mette l’accento sul fatto che l’aumento del numero delle
rappresentanti implicherebbe un cambiamento delle politiche pubbliche: le elette terrebbero maggiormente conto degli « interessi delle donne ». Questo argomento suggerisce
ugualmente che un tale aumento modificherebbe i valori e i modi di condurre l’azione
politica. Potrebbe evidentemente anche implicare una categorizzazione essenzialista
degli uomini e delle donne. Il principio della rappresentanza delle donne in quanto tale
modificherebbe l’idea che l’esercizio della cittadinanza politica corrisponda ad un neutro
e quindi oscuri la diversità costitutiva delle donne. In questa prospettiva, la sfida politica
consisterebbe nel fondare le richieste non solo sul numero delle rappresentanti ma soprattutto sulla qualità delle elette che dovrebbero essere impegnate in un’azione politica
tesa a modificare i rapporti sociali di sesso, come è stato notoriamente il caso dei paesi
nordici20. Si tratta di aver chiaro che non ci sarebbe nessuna garanzia assoluta in tal
senso, anche perché funzionerebbe nella maggior parte dei casi solo come sanzione
quando i/le candidati/e si presentassero alla rielezione. Tuttavia, l’argomento della differenza funziona per quanto riguarda l’uso che può essere fatto di queste nuove compe-
19 Manin B. (1995) Principes du gouvernement représentatif, Paris, Calmann-Lévy.
20 Bergqvist C. (a cura di) (1999), Equal Democracies ? Gender and Politics in the Nordic Countries, Oslo, Scandinavian University Press.
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tenze, soprattutto se una massa critica di presenza femminile è raggiunta21. Un maggior
numero di donne in politica può essere l’ingrediente di una trasformazione degli obiettivi
della politica stessa. Senza dubbio le soluzioni proposte dalle rappresentanti in generale
sono lontane dall’essere consensuali e spesso sono lontane dall’essere femministe. Ma
è comunque certo che la femminilizzazione delle élites politiche rappresenterebbe una
modificazione che non può essere ridotta al solo equilibrio della rappresentanza politica
tra uomini e donne. Poiché la parità traduce un riconoscimento (e una trasformazione)
dei rapporti sociali di sesso in politica.
L’ultimo argomento, che però è anche una proposta, è quello della rivendicazione paritaria. Esso è stato al cuore del dibattito francese. La rivendicazione paritaria tenderebbe a
erigere il principio di uguaglianza tra uomini e donne come diritto umano fondamentale.
Qualunque sia la portata simbolica della parità, non si riduce quindi alla sola femminilizzazione delle élites. Poiché sul piano giuridico-politico la rivendicazione paritaria tende
ad erigere il principio di uguaglianza di status tra donne e uomini a diritto fondamentale.
Cioè che l’uguaglianza giuridica è enunciata in maniera globale, in quanto diritto umano,
altrettanto fondamentale del diritto alla dignità o alla sicurezza. In questa prospettiva la
parità acquista la legittimità di un interesse generale che rafforza la rivendicazione di
un diritto effettivo all’eleggibilità. Il ricorso al discorso politico dei diritti umani e istituisce
la parità come rivendicazione legittima formulata e sostenuta da attori legittimi, poiché
questo discorso è un principio nello stesso tempo procedurale e sostantivo: procedurale
nella misura in cui l’interazione politica nella democrazia rappresentativa si fonda sull’inclusione, sostantivo, poiché si tratta di un discorso politico che obbliga a fare emergere
pubblicamente delle esperienze e delle prospettive specifiche, perché situate socialmente e storicamente, trascendendo la loro particolarità. In questo senso la parità possiede
una portata che va ben al di là del suo valore strumentale: se essa è un mezzo efficace di
condivisione del potere politico tra i sessi, traduce ugualmente una delle finalità maggiori
della democrazia – il diritto all’uguaglianza di tutti gli esseri umani, donne e uomini.
Vorrei concludere con una frase proprio di Eliane Vogel Polsky – nota giurista europea
che per prima ha elaborato il principio della parità come diritto umano – per definire
meglio la problematica esposta. Essa dice: “Rivendicare la parità come diritto umano
permette di evitare sia una forma corporativa di rappresentanza degli interessi delle donne, spesso tutelata da una forma di femminismo di Stato sia una diluizione completa in
un preteso mainstreaming che si riduce a moltiplicare delle strutture e delle procedure di
consultazione all’ombra dei centri di potere reale”22.
21 Ovviamente si tratta di partire dalle considerazioni di Drude Dahlerup sulla soglia critica (che essa situa oltre la barriera
del 40% di presenza femminile (Dahlerup D. (1988) “From a Small to a Large Minority: Women in Scandinavian Politics” in
Scandinavian Political Studies, vol. 11, n°4), cioè la percentuale di presenza femminile al di sotto della quale non è possibile
percepire una “presenza di genere” nelle pratiche politiche. Da un lato perché – per essere accettate e non considerate “difformi” - prevale l’omologazione al modello maschile, dall’altro perché prevale la “fedeltà al partito” al quale si deve la candidatura
e l’elezione rispetto all’”appartenenza di genere” che può risultare, nei modelli culturali prevalenti per il personale politico, un
elemento indebolente l’immagine politica.
22 Vogel-Polsky E. (1999) “La governance et les femmes” comunicazione presentata al Convegno “Femmes et governance”
organizzato dalla Commissione Europea, Bruxelles, 3-4 marzo 1999, p. 18
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Finito di stampare nel mese di gennaio 2006
Grafica: Prima Agenzia di Pubblicità - Trento
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